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Una violetta di campagna, tremante,

Come in ostaggio,
Si sentì perduta, esclusa,
Una fragile cosa;
Temeva, bramava, rosse carezze
Dolci, ed amare delusioni
Lei disprezzava:
Un letto dorato, un sogno, fibrillante
D’infinito, era ciò che voleva, una casa,
Un tetto che la riparasse dalla pioggia
Arida.
Ma attorno a sé solo una cosa vedeva:
L’erba verde, impettita, in attesa
Di essere tagliata.

Senza luce è il vostro volto


Arrogante, pieno e grigio
Di nulla, amici.
Dalla vostra torre non si vede altro
Che il nero degli abiti,
Sporchi di pietà.

Distruggete il sole, abolite il colore,


Chiudetevi nelle vostre sale, gettate la chiave,
Fuori c’è una vita
Strana.
Ballate…
E lasciatemi uscire.

Le mie parole, no, non sono soavi,


né lievi soffici nuvole,
non sono rosa, nello sfondo pallido
e azzurro dell’alba.
Non sarà una pioggia romantica
E dolce, di quelle che coprono,
proteggono, e soffocano,
mentre sotto all’ombrello si baciano
gli amanti, ed uno spiffero sfrontato
ghiaccia la schiena di lei, e soffia via il cappello.
Non sarà uno specchio
d’acqua in cui perdersi, no,
non un boschetto di fiori eterei e vanitosi,
che un tocco di vento sparge nell’aria
mentre tutt’attorno a noi c’è solo il bianco
dei soffioni, sporco e invitante,
fermato dal verde silvano, dal rosso
degli anemoni, dal giallo delle calendule, dal viola
delle viole, spontanee e felici.
No, questo esiste solo nella fantasia.
Che importa se il tuo tiepido cuore è bagnato:
Per noi solo, queste, sono gocce di luce
E la notte e la Terra sono ai nostri piedi.

Piacenza, 2020

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