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IL PAVIMENTO COSMATESCO PERDUTO DELLA

BASILICA DI SAN CLEMENTE A ROMA


di Nicola Severino

Nel mio libro Pavimenti Cosmateschi di Roma, Storia, Leggenda e Verità,


del 2012, iniziai lo studio del pavimento cosmatesco della basilica di
San Clemente, riportando una frase del noto A.L. Frothingham che
scrisse1: «In nessuna scuola d’arte Cristiana si vedono pavimenti così
importanti come quelli di Roma. In nessun altro luogo come una chiesa
paleocristiana o medievale l’occhio ha cercato istintivamente l’armonizzazione
tra il pavimento e la ricchezza degli arredi interni». Alla quale Louis Nolan
aggiunse: «Questo è certamente vero nel caso di San Clemente»2.

Stando a queste frasi e considerata l’autorità di chi le ha


pronunciate, sarebbe difficile oggi pensare ad una clamorosa
smentita, se non fosse che questa potrebbe arrivare o da evidenze
documentali storiche o da confronti con antiche illustrazioni del
monumento. Già nel 1417 il potrebbe essere stato oggetto di
rifacimenti, sebbene dalle cronache che scrivono «abbellita ed
ornata di pitture» non sia possibile averne certezza. I restauri di
Sisto V però dovettero certamente riguardare anche il litostrato,
anzi, propenderei nel credere che proprio verso la fine del XVI
secolo, al tempo della riforma gregoriana del 1575, si ebbe uno
sconvolgimento totale del pavimento con una parziale o totale
ricostruzione delle partizioni reticolari, come sembra essere
dimostrato dalla presenza di una parte maggioritaria di listelli
marmorei di delimitazione degli stessi pannelli che non sembrano

 The Monuments of Christian Rome, 1908, pag. 171 
1

 The Basilica of San Clemente in Rome, second edition, Grottaferrata, Roma, 1914, pag. 17 
2
essere più antichi del XVI-XVII secolo. Nel 1700 Clemente XI fece
eseguire nuovi restauri che insieme a quelli successivi che
interessarono gli scavi della basilica inferiore, l’hanno trasformata
nello stato attuale.

Una notizia interessante riguarda nello specifico il pavimento della


tribuna, o Schola cantorum, e ci viene da Alessandro Atti, il quale nel
suo libro Della munificenza di sua Santità papa Pio IX, felicemente
regnante, pubblicato a Roma nel 1864, scriveva:

“Racconciato il pavimento antico di marmo tessellato compreso fra i due amboni


nella chiesa di San Clemente”. Da questa notizia si ricava che il
pavimento costituito dalla bella sequenza di dodici dischi di porfido
annodati al modo di guilloche nella Schola cantorum, fu restaurato
completamente tra il 1859 e il 1864.

Secondo Dorothy Glass (Studies on Cosmatesque Pavements, 1980),

«Il pavimento della basilica superiore di San Clemente merita una dettagliata
relazione perché oggi, diversamente dalla maggior parte degli altri pavimenti
cosmateschi, esso ricopre completamente la navata maggiore, le navate laterali, il
coro e l’abside della chiesa. Sebbene abbia perso gran parte dei suoi preziosi
porfidi e serpentini e fu senza dubbio manomesso (“disturbato”
nell’originale, nda) durante gli scavi della basilica inferiore tra il 1861 e il
1868, esso conserva ancora gran parte della sua disposizione originale…».

Dalla mia precedente analisi, risulta che il pavimento cosmatesco è


stato manomesso e modificato dal XVI secolo fino al XIX secolo
quando è possibile notare significative differenze nella sua facies tra
il disegno di Giuseppe Rossini del 1843, quello di un anonimo del
1852, quello di Paul Marie Letarouilly effettuato prima del 1860,
quello di Sir Lawrence Alma Tadema del 1863 e quello di Nolan del
1881.

In particolare, il dipinto olio su tela dell’olandese Alma Tadema,


conservato nel Fries Museum in Olanda, offre un dettaglio di
grande importanza di come si presentava il pavimento nel 1863 con
le partizioni reticolari che affiancano sul lato destro la Schola
Cantorum, fino alla fila di colonne e pilastri della navata laterale.

Il confronto tra il dipinto e la situazione moderna ci dice subito


quale sia l’entità dello sconvolgimento che ha subìto il pavimento
cosmatesco originale. Le modifiche sono così rilevanti da poter
asserire tranquillamente che oggi non è più possibile avere una
benché minima idea di come poteva essere l’originale.

Fig. 1
Il dipinto olio su tela di Sir Lawrence
Alma Tadema del 1863. Raffigura
l’interno della Basilica di San
Clemente nel dettaglio di nostro
interesse delle partizioni reticolari del
pavimento cosmatesco compreso tra la
recinzione destra della Schola
cantorum e la fila di colonne e pilastri
che delimitano la navata destra.
Fig. 2. Il pavimento cosmatesco compreso tra la recinzione destra della Schola cantorum e
la fila di colonne e pilastri della navata destra, come si vede oggi.

Un facile confronto tra la fig. 1 e la fig. 2 mostra immediatamente le


differenze tra due situazioni pavimentali le quali possono così
riassumersi.

1) La doppia fila di partizioni reticolari termina con l’allineamento


alla colonnina della recinzione del coro;

2) Nel dipinto del 1863 si vede un rettangolo musivo composto di


esagoni uniformi neri o di serpentino che non è allineato al resto
delle partizioni; a sinistra è affiancato fino al perimetro del coro da
piccole lastre di marmo di vario genere, malamente assemblate; a
destra è collegata da una fila stretta, composta per metà di pezzi di
marmo e per metà da tessere quadrate disposte di punta, che è
allineata con il pilastro della navata.

3) La fila di partizioni a destra, oltre questo rettangolo, allineata alle


colonne, è composta di vari “rappezzi” musivi nei quali vi sono
degli “inserti” spuri di tessere quadrate nere che dimostrano quanto
lontana fosse la vera arte cosmatesca da questi cattivi restauri
ottocenteschi. Nel dettaglio del rettangolo musivo, le tessere
esagonali nere sono collegate tra loro da campiture fatte di piccole
tessere triangolari le quali, però, non rispettano la regola della
simmetria policroma, essendo commesse tra loro in modo
cromaticamente casuale con utilizzo del giallo antico, del bianco, del
porfido e del serpentino.

4) I motivi geometrici impiegati nelle partizioni reticolari non


corrispondono a quelli che si vedono oggi.

In definitiva, il dipinto mostra una situazione del tutto diversa


rispetto a quella odierna che insieme alle altre difformità riscontrate
negli altri disegni, offre maggiori elementi per poter dire con una
certa sicurezza che il pavimento cosmatesco originale della basilica
di San Clemente non esiste più e quello che si vede oggi non è altro
che un falso realizzato in modo arbitrario e con il reimpiego di
parte del materiale antico ricavato dallo smantellamento dell’opera
originale avvenuto prima del 1852 come si evince dal disegno della
fig. 6.
Fig. 3 (sopra): dettaglio del dipinto di Alma
Tadema in cui si vede il rettangolo con le tessere
esagonali e quelle triangolari commesse tra loro in
modo casuale, senza rispetto della simmetria
policroma. Al di sopra, la fila che affianca le
colonne che sembra contenere “rappezzi” musivi
misti e inserti di tessere nere quadrate.

Fig. 4
Dove nel 1863 c’erano queste lastre di marmo di
vario genere, forma e condizioni e malamente
assemblate tra loro, oggi c’è un piccolo rettangolo
musivo.
 
Fig. 5 (a lato)
Dettaglio del disegno di Giuseppe Rossini del
1843 da cui si evince che il pavimento nell’area
intorno alla Schola cantorum era certamente
cosmatesco.

Fig. 6 (in basso)


Un disegno del 1852 mostra misteriosamente un
pavimento in mattonato intorno alla Schola
cantorum.

   

 
Il disegno sopra (fig. 6), se corretto, cioè se non si tratta di un
improbabile vistoso errore dell’autore, potrebbe spiegarsi solo
ipotizzando che il pavimento cosmatesco (forse perché in forte
stato di deterioramento) fu spicconato prima del 1852 (in
previsione dei restauri) e sostituito temporaneamente con quello in
mattonato (che l’autore del disegno di fig. 6 deve appunto aver
visto al suo tempo) e, ricollegandoci a quanto detto prima, fu
ricostruito (“racconciato” nella citazione) durante i restauri tra il
1859 e il 1864. Diversamente non si riesce a spiegare come mai in
questo disegno del 1852 compare un pavimento in mattoni, mentre
nel 1843 Rossini disegnava un pavimento cosmatesco che poi
riappare con diverse difformità nei disegni dal 1863 in poi.

Inoltre, questa ricostruzione storica spiegherebbe anche la presenza


nel pavimento della basilica di una significativa percentuale di lastre
marmoree bianche risalenti al XIX-XX secolo; la sostituzione del
disco di porfido che si trovava prima dei restauri del 1859 al centro
della croce, formata dalle due file di guilloche, con l’attuale lastra
tombale rettangolare; infine, la diversa varietà dei marmi impiegati
nella ricostruzione che include una discreta parte di materiale
lapideo prelevato dall’antico.

In definitiva, sembra che del pavimento cosmatesco della basilica di


San Clemente, da tanti autori ritenuto un’opera originale, tutto
possa dirsi fuorché che sia, nella sua attuale facies, un’opera originale
dei Cosmati.

Nicola Severino 24 gennaio 2014

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