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I matematici Isaac Newton e Gottfried Wilhelm Leibniz sono considerati i fondatori del

calcolo infinitesimale. Tuttavia la paternità della scoperta venne a lungo discussa e a far
scaturire la polemica furono proprio i due matematici. Secondo le fonti, Newton sarebbe
stato il primo a formulare varie ipotesi sul calcolo infinitesimale senza però pubblicare
alcuno scritto a riguardo (1669-1676.) Intrapreso poi uno scambio epistolare con
Leibniz, informò quest’ultimo dei suoi progressi nel campo matematico trattando anche
del calcolo. L’inizio della disputa è scaturito dalla pubblicazione da parte di Leibniz
dell’opera “Nova Methodus” nel 1684 il cui argomento principale è proprio il calcolo
infinitesimale.

La versione leibniziana del calcolo differiva da quella di Newton per la terminologia e


per l’approccio. Newton rivela un atteggiamento più empirico. I fondamenti del suo
calcolo saranno via via presentati sotto forme non sempre identiche, così come
cambieranno i termini impiegati (momenti, flussioni, prime e ultime ragioni) ma rimarrà
costante il riferimento all’esperienza fisica, alla velocità. La sua è una matematica del
moto che tratta con intervalli di tempo finiti che potenzialmente diventano sempre più
piccoli. Sono le serie lo strumento matematico privilegiato che permette di effettuare
questo passaggio che, nelle varie versioni, in qualche modo anticipa il concetto di limite.
Leibniz è invece più sistematico e geometrico, non utilizza né precorre alcuna idea di
limite ma tratta direttamente con quantità infinitesime. Non deve giustificare la
procedura per cui quantità finite diventano evanescenti ma l’esistenza matematica di
grandezze assegnate dal rapporto differenziale come infinitamente piccole (il cui
corrispettivo a livello filosofico sono le monadi in quanto particelle elementari di
materia) che poi algebrizza come ordinarie quantità finite in base a un principio di
continuità per cui il termine finale di ogni transizione gode delle stesse proprietà dei
termini che l’hanno generato. Al di là delle differenze, quello che viene maggiormente
percepito dalle due rispettive “scuole” è che si tratta della stessa algebrizzazione, basata
su una comune fondamentale intuizione che può essere così espressa in termini moderni:
tutta una serie di problemi (ricerca dei massimi e dei minimi, delle tangenti, delle
velocità ecc.) richiede l’uso delle derivate, cioè di rapporti incrementali generati da un
incremento sempre più piccolo attribuito alla variabile indipendente; il calcolo delle aree
e dei volumi viene invece realizzato ricorrendo agli integrali, laddove i due procedimenti
– di derivazione e di integrazione – sono strettamente correlati, risultando l’uno l’inverso
dell’altro.

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