Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La tecnica classica della PCR ci consente, a partire da un campione iniziale di dna o rna,
utilizzato come stampo, di ottenere un amplificazione dello stesso mediante polimerizzazione in
vitro. Tale tecnica ci consente di effettuare un’ analisi del campione solo ed unicamente all'end
point, quando, al termine dei cicli, l'amplificato può essere corso su gel elettroforetico, clonato,
ecc. Un'analisi all'end point non ci permette tuttavia di conoscere quella che era la
concentrazione iniziale del campione utilizzato, la quantità. Conosciamo la resa teorica della
reazione di amplificazione, sappiamo che in teoria il numero di molecole dovrebbe raddioppiare
ad ogni ciclo (resa esponenziale) , secondo la formula P=(2)^n × T, dove n è il numero di cicli
effettuati e T la quantità di template di partenza. La resa teorica tuttavia non si osserva mai nella
realtà, in quanto ci sono una serie di variabili per cui la reazione, man mano che procede perde
di efficienza. Questo è dovuto all'attività della polimerasi, che, nonostante sia resistente ai
cambiamenti di T molto di più di una classica polimerasi batterica, viene comunque danneggiata
man mano che i cicli si susseguono. Allo stesso modo, la quantità di nt liberi e di primer
utilizzato per l'amplificazione va via via a diventare limitante, inficiando quindi la velocità di
amplificazione. Infine, man mano che l'amplificato aumenta, le probabilità che si creeino dei
dimeri di amplificato piuttosto che dimeri amplificato-primer aumenta. Ne consegue che la
reazione continua ad avvenire ma con una velocità/efficienza minore. Infatti, la reale
rappresentazione dell'amplificazione è rappresentata da una curva sigmoide, nella quale si
distinguono 3 fasi: la fase esponenziale (che più si avvicina alla resa teorica), la fase lineare
(nella quale la reazione comincia a rallentare e l'esponenzialità viene persa) fino ad arrivare ad
un plateau, con un esaurimento totale della reazione. Misurare quindi la quantità di amplificato
all'end point, se anche fosse possibile, non ci darebbe informazioni efficaci su quella che era la
quantità iniziale di template, poiché la reazione è passata attraverso diverse fasi e quindi perdite
di efficienza difficili da prevedere. Eppure, in ambito diagnostico, conoscere il quantitativo di
acido nucleico all'interno di un campione può essere utilissimo per diversi motivi. Innanzitutto,
nelle malattie associate al dna mitocondriale, laddove una singola mutazione non è segnale
evidente di malattia, ma è necessario il raggiungimento di una certa soglia, ossia la mutazione
deve essere presente in una data percentuale di mitocondri per determinare la patologia. O
ancora nella diagnosi delle malattie virali, quantificare il genoma estraneo all'interno
dell'organismo è fondamentale per riconoscere in che fase dell'infezione l'individuo si trova, o se
la terapia sta facendo effetto. La quantificazione viene inoltre utilizzata nello studio del
trascrittoma, per valutare gli effetti sull'espressione genica di determinati farmaci, per
riconoscere patologie oncologiche causate da una variazione dell'espressione di geni oncogeni ed
oncosoppressori e così via. Per fare tutto ciò, è necessario utilizzare una tecnica molto più
sensibile rispetto alla classica PCR, ossia la rtPCR. La rtPCR è definita real time in quanto,
attraverso l'inclusione di molecole fluorescenti durante l'amplificazione, ci permette di seguire la
reazione in itinere, durante il suo svolgimento. In questo modo, possiamo misurare la quantità
di acido nucleico presente nel campione iniziale a partire dalla fase esponenziale della reazione,
quella meno sensibile alle variabili di reazione e che più si avvicina alla resa teorica prevista per
la reazione. Il macchinario utilizzato per la real time PCR sarà essenzialmente il medesimo
termociclatore della classica PCR con in aggiunta un sistema ottico per l'emissione di luce ed un
software (associato al macchinario o presente su un computer) per la rilevazione della
fluorescenza del campione. In questo caso, si utilizzeranno delle piastre ottiche, colorate, con
tappi e pellicole ottiche in modo tale che la fluorescenza emessa dal campione non fuoriesca o
venga persa dai lati delle provette ma solo dall'alto, laddove il sistema ottico registrerà il segnale.
La reazione viene valutata quindi sulla base della fluorescenza emessa, quindi nella curva di
amplificazione avremo in questo caso le unità di fluorescenza (asse Y) in dipendenza del numero
di cicli di amplificazione (X). Vediamo che la curva descrive ancora una volta una sigmoide che
viene però intersecata da due rette: la retta baseline e la retta soglia. La linea baseline
rappresenta il valore limite al di sopra del quale la fluorescenza viene rilevata per la prima volta,
la ritroviamo quindi subito dopo lo zero; identifica l'inizio della variazione della fluorescenza,
quando il campione inizia ad essere amplificato. La linea soglia è una retta parallela alla linea
di base, che interseca la curva corrispondente ad ogni campione a livello della fase esponenziale
di amplificazione, quando, appunto, la reazione è meno influenzata dalle variabili. Questa retta
viene fissata dal macchinario, o può essere fissata dall'operatore stesso, e ci permette di
identificare un altro parametro: il ciclo soglia (threshold cycle). Questo rappresenta il numero
del ciclo al livello del quale la linea soglia interseca la curva di amplificazione in fase
esponenziale, e rappresenta quindi il nostro indicatore fedele della quantità di template iniziale.
Vediamo infatti, che la quantità iniziale di DNA è inversamente proporzionale al valore del ciclo
soglia (maggiore è la conc., minore è il ciclo soglia, e viceversa). Lo si può dimostrare attraverso
amplificando nella stessa reazione un dato campione a concentrazione nota a diversi valori di
diluizione. Man mano che il livello di diluizione aumenta, I campioni, intersecati tutti dalla linea
soglia nella fase esponenziale della curva, “usciranno" ad un ct maggiore e le curve risulteranno
shiftate l'una rispetto all'altra.
Questo vuol dire che possiamo risalire alla concentrazione di dna (o rna) da un campione ignoto
di partenza se utilizziamo come punto di riferimento i valori di ciclo soglia di un campione a
quantità nota diluito più e più volte. Basterà amplificare insieme al campione ignoto, il
campione a concentrazione nota a diversi livelli di diluizione ed in seguito, costruire un
diagramma del logaritmo delle quantità iniziali di dna nei confronti dei valori del ciclo soglia del
campione noto. Ne verrà fuori una retta di riferimento, tale che dal confronto tra i ct dei
campioni ignoti con quelli sulla retta possiamo ricavare la quantità di template inizialmente
presente nel campione ignoto. Questa tipologia di quantizzazione viene detta quantizzazione
assoluta, necessita di un campione standard e della costruzione di una “standard curve" ed è
utile per la quantificazione di dna (ad esempio dna virale).
Molecular Beacons. Queste sono delle sonde a forcina, formano questa struttura secondaria
grazie alla presenza alle estremità di regioni complementari. Il loop invece, è costituito da una
regione complementare ad una sequenza centrale del gene da amplificare. Si tratta di una
variazione della taqman in quanto anche queste sono altamente specifiche (sonde “di
ibridazione”), anche queste presentato ad un'estremità il reporter e all'altra il quencher.
L'apertura della forcina che si verifica quando il loop si lega al dna fa si che il reporter venga
liberato dall'azione del quencher e fluoresca.
Light Cycler / FRET. Le sonde FRET sono delle sonde ad ibridazione costituite da 2
frammenti di oligonucleotidi complementari ad una regione del dna stampo, alla quale si legano
in sequenza. Il loro funzionamento si basa sul FRET, ossia il trasferimento di energia distanza-
dipendente. Ciascuno dei 2 oligo è legato ad un fluorocromo, ma la fluorescenza che andiamo a
rilevare si verifica solo ed unicamente se entrambi si legano al dna contemporaneamente.
Questo dipende dal fatto che lo spettro di emissione di uno dei due fluorocromi si sovrappone
allo spettro di assorbimento dell'altro. Quindi, quando i due fluorocromi sono vicini, la
fluorescenza emessa dal primo (donatore) diventa luce assorbibile dal secondo (accettore), che
emette di conseguenza a sua volta la fluorescenza che viene rilevata dal software.
Le sonde FRET vengono utilizzate nell'analisi di specifiche sequenze polimorfiche (SNP). Si
sfrutta per fare ciò la curva di melting (melting curve analysis). La denaturazione del dna
stampo legato alla sonda avverrà a temperatura maggiore, se c'è perfetta complementarietà, e a
T minore se c'è un mismatch (in quanto l'interazione sarà meno stabile). Per cui utilizziamo la
sonda che anneala a livello della base polimorfica, con un dato nucleotide, dopodichè facciamo
questa melting curve analysis, innalzando la T, e la denaturazione ci sarà segnalata dal software
attraverso picchi di melting, a causa dell'improvviso calo di fluorescenza dovuto alla
denaturazione. Avremo quindi un grafico dove sulle ascisse è segnata la T e sulle ordinate le
unità di fluorescenza. In questa analisi serviranno dei controlli :
Positivo: campione derivante da un individuo eterozigote di riferimento (darà 2 picchi di
melting)
Negativo: assenza di sequenza target alla quale le sonde possono annealarsi. Non dovrebbe dare
picchi, altrimenti probabilmente c'è stato aspecifico dovuto a dimeri di primer.