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rtPCR

La tecnica classica della PCR ci consente, a partire da un campione iniziale di dna o rna,
utilizzato come stampo, di ottenere un amplificazione dello stesso mediante polimerizzazione in
vitro. Tale tecnica ci consente di effettuare un’ analisi del campione solo ed unicamente all'end
point, quando, al termine dei cicli, l'amplificato può essere corso su gel elettroforetico, clonato,
ecc. Un'analisi all'end point non ci permette tuttavia di conoscere quella che era la
concentrazione iniziale del campione utilizzato, la quantità. Conosciamo la resa teorica della
reazione di amplificazione, sappiamo che in teoria il numero di molecole dovrebbe raddioppiare
ad ogni ciclo (resa esponenziale) , secondo la formula P=(2)^n × T, dove n è il numero di cicli
effettuati e T la quantità di template di partenza. La resa teorica tuttavia non si osserva mai nella
realtà, in quanto ci sono una serie di variabili per cui la reazione, man mano che procede perde
di efficienza. Questo è dovuto all'attività della polimerasi, che, nonostante sia resistente ai
cambiamenti di T molto di più di una classica polimerasi batterica, viene comunque danneggiata
man mano che i cicli si susseguono. Allo stesso modo, la quantità di nt liberi e di primer
utilizzato per l'amplificazione va via via a diventare limitante, inficiando quindi la velocità di
amplificazione. Infine, man mano che l'amplificato aumenta, le probabilità che si creeino dei
dimeri di amplificato piuttosto che dimeri amplificato-primer aumenta. Ne consegue che la
reazione continua ad avvenire ma con una velocità/efficienza minore. Infatti, la reale
rappresentazione dell'amplificazione è rappresentata da una curva sigmoide, nella quale si
distinguono 3 fasi: la fase esponenziale (che più si avvicina alla resa teorica), la fase lineare
(nella quale la reazione comincia a rallentare e l'esponenzialità viene persa) fino ad arrivare ad
un plateau, con un esaurimento totale della reazione. Misurare quindi la quantità di amplificato
all'end point, se anche fosse possibile, non ci darebbe informazioni efficaci su quella che era la
quantità iniziale di template, poiché la reazione è passata attraverso diverse fasi e quindi perdite
di efficienza difficili da prevedere. Eppure, in ambito diagnostico, conoscere il quantitativo di
acido nucleico all'interno di un campione può essere utilissimo per diversi motivi. Innanzitutto,
nelle malattie associate al dna mitocondriale, laddove una singola mutazione non è segnale
evidente di malattia, ma è necessario il raggiungimento di una certa soglia, ossia la mutazione
deve essere presente in una data percentuale di mitocondri per determinare la patologia. O
ancora nella diagnosi delle malattie virali, quantificare il genoma estraneo all'interno
dell'organismo è fondamentale per riconoscere in che fase dell'infezione l'individuo si trova, o se
la terapia sta facendo effetto. La quantificazione viene inoltre utilizzata nello studio del
trascrittoma, per valutare gli effetti sull'espressione genica di determinati farmaci, per
riconoscere patologie oncologiche causate da una variazione dell'espressione di geni oncogeni ed
oncosoppressori e così via. Per fare tutto ciò, è necessario utilizzare una tecnica molto più
sensibile rispetto alla classica PCR, ossia la rtPCR. La rtPCR è definita real time in quanto,
attraverso l'inclusione di molecole fluorescenti durante l'amplificazione, ci permette di seguire la
reazione in itinere, durante il suo svolgimento. In questo modo, possiamo misurare la quantità
di acido nucleico presente nel campione iniziale a partire dalla fase esponenziale della reazione,
quella meno sensibile alle variabili di reazione e che più si avvicina alla resa teorica prevista per
la reazione. Il macchinario utilizzato per la real time PCR sarà essenzialmente il medesimo
termociclatore della classica PCR con in aggiunta un sistema ottico per l'emissione di luce ed un
software (associato al macchinario o presente su un computer) per la rilevazione della
fluorescenza del campione. In questo caso, si utilizzeranno delle piastre ottiche, colorate, con
tappi e pellicole ottiche in modo tale che la fluorescenza emessa dal campione non fuoriesca o
venga persa dai lati delle provette ma solo dall'alto, laddove il sistema ottico registrerà il segnale.
La reazione viene valutata quindi sulla base della fluorescenza emessa, quindi nella curva di
amplificazione avremo in questo caso le unità di fluorescenza (asse Y) in dipendenza del numero
di cicli di amplificazione (X). Vediamo che la curva descrive ancora una volta una sigmoide che
viene però intersecata da due rette: la retta baseline e la retta soglia. La linea baseline
rappresenta il valore limite al di sopra del quale la fluorescenza viene rilevata per la prima volta,
la ritroviamo quindi subito dopo lo zero; identifica l'inizio della variazione della fluorescenza,
quando il campione inizia ad essere amplificato. La linea soglia è una retta parallela alla linea
di base, che interseca la curva corrispondente ad ogni campione a livello della fase esponenziale
di amplificazione, quando, appunto, la reazione è meno influenzata dalle variabili. Questa retta
viene fissata dal macchinario, o può essere fissata dall'operatore stesso, e ci permette di
identificare un altro parametro: il ciclo soglia (threshold cycle). Questo rappresenta il numero
del ciclo al livello del quale la linea soglia interseca la curva di amplificazione in fase
esponenziale, e rappresenta quindi il nostro indicatore fedele della quantità di template iniziale.
Vediamo infatti, che la quantità iniziale di DNA è inversamente proporzionale al valore del ciclo
soglia (maggiore è la conc., minore è il ciclo soglia, e viceversa). Lo si può dimostrare attraverso
amplificando nella stessa reazione un dato campione a concentrazione nota a diversi valori di
diluizione. Man mano che il livello di diluizione aumenta, I campioni, intersecati tutti dalla linea
soglia nella fase esponenziale della curva, “usciranno" ad un ct maggiore e le curve risulteranno
shiftate l'una rispetto all'altra.
Questo vuol dire che possiamo risalire alla concentrazione di dna (o rna) da un campione ignoto
di partenza se utilizziamo come punto di riferimento i valori di ciclo soglia di un campione a
quantità nota diluito più e più volte. Basterà amplificare insieme al campione ignoto, il
campione a concentrazione nota a diversi livelli di diluizione ed in seguito, costruire un
diagramma del logaritmo delle quantità iniziali di dna nei confronti dei valori del ciclo soglia del
campione noto. Ne verrà fuori una retta di riferimento, tale che dal confronto tra i ct dei
campioni ignoti con quelli sulla retta possiamo ricavare la quantità di template inizialmente
presente nel campione ignoto. Questa tipologia di quantizzazione viene detta quantizzazione
assoluta, necessita di un campione standard e della costruzione di una “standard curve" ed è
utile per la quantificazione di dna (ad esempio dna virale).

Un secondo tipo di quantificazione possibile è quella definita quantificazione relativa. In


questo caso, non c'è bisogno di costruire una retta standard di confronto, quello che facciamo è
valutare quanto un gene è espresso rispetto ad un calibratore la cui espressione viene posta
essere 1. Chiaramente, tale metodo di quantificazione si utilizza per lo studio dell'espressione
genica, in ambito della ricerca (per verificare gli effetti di una nuova molecola/medicinale
sull'espressione) o in campo diagnostico (valutazione di malaytie legate ad aumenti o
diminuzione dell'espressione di alcuni geni, come in oncologia).
Abbiamo detto che il valore di ct è direttamente legato alle concentrazioni iniziali del campione,
ma adesso dobbiamo specificare in che modo. C'è una relazione specifica: Quantità iniziale =
2^-◇◇Ct
Usando questa formula, posso quindi verificare quanto un campione viene espresso rispetto ad
un altro scelto come controllo.
Vogliamo verificare quanto un determinato gene si esprime in una situazione patologica (tumore
ad esempio). Innanzitutto dobbiamo normalizzare il valore dell'espressione del gene target
all'interno del nostro campione utilizzando un gene che è espresso costitutivamente. Quindi, il
nostro primo ◇Ct è in realtà dato dal Ct del gene target nel campione – il Ct del gene
housekeeping nel campione.
◇Ct1 = Ct target c – Ct HK c
A questo punto, una volta normalizzata l'espressione nel campione patologico (o presunto
patologico), possiamo confrontare questa con l'espressione normalizzata ancora una volta del
medesimo gene in un campione controllo sano.
◇Ct2 = Ct target s – Ct HK s
Per calcolarci il ◇◇Ct dobbiamo utilizzare un calibratore, ciascun ◇Ct ottenuto verrà
confrontato con ◇Ct del calibratore. Scegliamo come calibratore il campione controllo sano, per
cui il ◇◇Ct2 nel campione controllo sano sarà pari a :
◇Ct2 – ◇Ct2 = 1
Il valore del ◇◇Ct nel controllo sarà sempre pari ad 1, fornendoci quindi il termine di paragone
per esprimere la quantità di trascritto nel campione patologico.
Nel campione patologico avremo che:
◇◇Ct1 = ◇Ct1 – ◇Ct2
Siccome in genere l'espressione del gene target nel campione patologico è maggiore di quella nel
sano (presentando quindi un Ct minore), tale valore sarà negativo.
Lo positivizziamo con l'equazione nella sua interità:
Quantità = 2^-◇◇Ct
Tale valore altro non è che la fold induction, ossia esprimiamo la quantità di trascritto presente
nel campione da analizzare (patologico) utilizzando come misura di paragone un calibratore che
viene posto essere 1. Quindi sappiamo quanto il nostro gene è indotto rispetto al calibratore .
In tali analisi bisogna ricordare di analizzare il tutto in triplicato, in modo dare da assicurarsi
una maggiore validità dei risultati, facendo una media dei valori finali: avremo 33 campioni
prelevati dal paziente e 3 campioni controllo, per ciascuno amplificheremo nella rtPCR 2
frammenti diversi (gene target e HK), in provette diverse. Nel totale facciamo partire 6 reazioni,
assicurandoci che campione e controllo siano segnalati grazie a fluorocromi diversi (per
differenziarli poi nella visualizzazione). Il software ci darà poi come risultato le curve di crescita
relative ai diversi amplificati. Se la procedura è stata svolta correttamente dovremmo avere: ben
6 curve sovrapposte o estremamente vicine per il campione HK (si esprime allo stesso modo sia
nel controllo che nel campione e avrà quindi sempre un Ct uguale), 3 curve vicine che
rappresentano il gene target nel campione e 3 curve shiftate rispetto alle prime 3 ma vicine tra di
loro che rappresentano il controllo. Controllo e campione avranno colorazioni diverse.
Quando si lavora con il trascritto, potrebbe tuttavia capitare che questo sia contaminato dalla
presenza di dna genomico, il che potrebbe darci un amplificato aspecifico, non di interesse. Per
evitare che ciò accada, possiamo disegnare dei primer in modo tale che annealino a cavallo tra 2
esoni diversi. Siccome la rtPCR è una tecnica molto più sensibile rispetto alla PCR classica, non
siamo capaci di amplificare frammenti ampissimi, ma solo tra le 50 e le 150 basi (anche 2000
con la pcr classica). Questo vuol dire che se I primer dovessero annealare a cavallo di 2 esoni sul
dna genomico, l’amplificazione non potrebbe avvenire in quanto sul genoma sono presenti gli
introni che allungano di troppo la sequenza.

Sonde utilizzate nella rtPCR.


Questa tecnica ci permette di seguire in tempo reale l'amplificazione del template proprio grazie
all'utilizzo di sonde fluorescenti, che legandosi allo stampo, ci danno indicazione di quando
questo viene amplificato.
SYBR green. Questo tipo di sonda è molto utilizzata in ricerca in quanto economica, ma non
viene usata in diagnostica perché troppo aspecifica: si lega al DNA a doppio filamento, a livello
del solco minore della doppia elica, qualsiasi sia la sequenza nucleotidica. Viene utilizzata come
segnale nella pcr in quanto non fluoresce se presente come molecola libera (la fluorescenza è
troppo debole), ma fluoresce quando si lega al dna, emettendo nel verde.
Utilizzando questa sonda quindi il problema principale è la specificità. Tale problema nella pcr
classica si risolveva semplicemente con la corsa elettroforetica, ci aspettavamo la comparsa di
un'unica banda legata all'amplificato ottenuto, mentre se ne vedevamo 2 a peso molecolare
diverso sapevamo che c'era stata amplificazione di un aspecifico. Nella rtPCR il software registra
la fluorescenza emessa dal pozzetto qualsiasi sia la sua provenienza, quindi dobbiamo utilizzare
un'altra tecnica per assicurarci che non ci siano stati aspecifici (ad esempio dimeri di primer),
ossia la curva di dissociazione. Questa si basa sul fatto che la T di denaturazione del DNA
dipende dalla lunghezza del frammento di DNA stesso e dal suo contenuto in GC. Per cui,
l'amplificato viene sottoposto ad un aumento stabile della temperatura, che da 60° si innalza
fino a 90/95° (T alla quale siamo sicuri che tutte le molecole al di là della loro lunghezza sono
state denaturate). Contemporaneamente a questa salita; il software registrerà la perdita di
fluorescenza che si verifica quando il DNA viene denaturato e ci fornisce il segnale sottoforma di
picchi di dissociazione nel grafico, laddove avremo sulle ascisse la T crescente e sulle ordinate le
unità di fluorescenza. Se stiamo amplificando una sola sequenza ma notiamo la presenza quindi
di 2 picchi shiftati nel grafico, allora è probabile che c'è stata l'amplificazione di un aspecifico, e
dalle T alle quali il picco si verifica possiamo capire qual è l'aspecifico. In molti casi l'aspecifico
deriva proprio dal bianco, infatti in ogni esperimento bisogna comunque aggiungere un
controllo/bianco, ossia una provetta che presenta la master mix di reazione + I primer, senza
però l'aggiunta delo stampo/dna da amplificare. Questo ci serve per assicurarci che non ci sia
stato un errore nel disegno dei prkmer e che essi stessi non diano un amplificato aspecifico.
TaqMan. La sonda TaqMan è quella più utilizzata in campo diagnostico, in quanto ha elevata
specificità di sequenza. Si tratta di una sonda di circa 20-30 nt complementare ad una regione
centrale del frammento da amplificare, che porta legati al 5’ un reporter e al 3’ un quencher. Il
reporter è un fluorocromo che emette fluorescenza ma l'emissione viene bloccata dalla vicinanza
del quencher. Quando la sonda si lega allo stampo denaturato, e la taq polimerasi inizia a
polimerizzare, questa arriva al livello della sonda e con la sua attività 5’->3’ esonucleasica
degrada la sonda liberando prima di tutto il fluorocromo che, lontano dall'azione del quencher,
può emettere luce, dando il segnale che la polimerizzazione è in corso.
La sonda TaqMan può essere utilizzata anche per genotipizzare, ossia valutare determinate
regioni del genoma di un paziente alla ricerca di polimorfismi, in particolare SNP, in un saggio
chiamato di discriminazione allelica. Questa sonda infatti è talmente specifica che non si lega
allo stampo in presenza anche solo di 1 base in mismatch. Utilizziamo allora 2 sonde taqman con
2 fluorofori diversi rispettivamente(in modo che I segnali siano di colore diverso). Tali sonde
saranno uguali nella loro sequenza se non per la regione che anneala a livello del polimorfismo,
laddove vedremo il nt variabile (ad es. la prima sonda ha una A e la seconda una C). Facciamo
partire la polimerizzazione, alla fine della quale vedremo solo 1 segnale fluorescente relativo
all'amplificato. Il colore della fluorescenza ci dirà quale polimorfismo era presente.

Molecular Beacons. Queste sono delle sonde a forcina, formano questa struttura secondaria
grazie alla presenza alle estremità di regioni complementari. Il loop invece, è costituito da una
regione complementare ad una sequenza centrale del gene da amplificare. Si tratta di una
variazione della taqman in quanto anche queste sono altamente specifiche (sonde “di
ibridazione”), anche queste presentato ad un'estremità il reporter e all'altra il quencher.
L'apertura della forcina che si verifica quando il loop si lega al dna fa si che il reporter venga
liberato dall'azione del quencher e fluoresca.

Light Cycler / FRET. Le sonde FRET sono delle sonde ad ibridazione costituite da 2
frammenti di oligonucleotidi complementari ad una regione del dna stampo, alla quale si legano
in sequenza. Il loro funzionamento si basa sul FRET, ossia il trasferimento di energia distanza-
dipendente. Ciascuno dei 2 oligo è legato ad un fluorocromo, ma la fluorescenza che andiamo a
rilevare si verifica solo ed unicamente se entrambi si legano al dna contemporaneamente.
Questo dipende dal fatto che lo spettro di emissione di uno dei due fluorocromi si sovrappone
allo spettro di assorbimento dell'altro. Quindi, quando i due fluorocromi sono vicini, la
fluorescenza emessa dal primo (donatore) diventa luce assorbibile dal secondo (accettore), che
emette di conseguenza a sua volta la fluorescenza che viene rilevata dal software.
Le sonde FRET vengono utilizzate nell'analisi di specifiche sequenze polimorfiche (SNP). Si
sfrutta per fare ciò la curva di melting (melting curve analysis). La denaturazione del dna
stampo legato alla sonda avverrà a temperatura maggiore, se c'è perfetta complementarietà, e a
T minore se c'è un mismatch (in quanto l'interazione sarà meno stabile). Per cui utilizziamo la
sonda che anneala a livello della base polimorfica, con un dato nucleotide, dopodichè facciamo
questa melting curve analysis, innalzando la T, e la denaturazione ci sarà segnalata dal software
attraverso picchi di melting, a causa dell'improvviso calo di fluorescenza dovuto alla
denaturazione. Avremo quindi un grafico dove sulle ascisse è segnata la T e sulle ordinate le
unità di fluorescenza. In questa analisi serviranno dei controlli :
Positivo: campione derivante da un individuo eterozigote di riferimento (darà 2 picchi di
melting)
Negativo: assenza di sequenza target alla quale le sonde possono annealarsi. Non dovrebbe dare
picchi, altrimenti probabilmente c'è stato aspecifico dovuto a dimeri di primer.

Esempi diagnostici rtPCR


La melting curve analysis si usa nella diagnosi della trombofilia ereditaria, definibile come
una predisposizione ereditaria alla trombosi dovuta alla presenza di varianti geniche di
suscettibilità, che non causano primariamente la malattia in quanto si tratta comunque di una
malattia multifattoriale (ambiente, alimentazione). La diagnosi si fa in genere se c’è familiarietà
(pazienti malati in famiglia), in caso di precedenti episodi di trombosi, poliabortività. Si usa una
sonda light cycler che anneali nella regione del polimorfismo SNP. E la si utilizza per fare una
melting curve analysis. Avremo l'immagine sotto forma di picchi. 2 picchi: eterozigote; 1 picco a
49° circa: omozigote dom.; 1 picco a 59° circa: omozigote recess.
Epatite C. L'epatite C è una malattia inizialmente diffusasi intorno agli anni ’80, ancora oggi
abbastanza rilevante soprattutto nel Sud Italia, che si diffonde attraverso il sangue (trasfusioni,
ad esempio). L'agente patogeno è il virus HCV, un virus a RNA. La diagnosi e cura di questa
malattia ha dato non pochi problemi soprattutto inizialmente, in quanto I virus e soprattutto
quelli ad rna hanno un'elevata frequenza di accumulo di mutazioni a causa della mancanza di un
sistema di correzione delle bozze. Questo fa si che nel tempo si sono accumulate tantissime
varianti dello stesso virus, le cosiddette quasispecie, che si sono allontanate dal virus originale
dando dei genotipi diversi . Un'altra difficoltà è data dalla capacità del genoma virale di
rimanere latente all'interno dell'organismo, per cui anche la presenza di pochissime molecole di
genoma virale possono far riemergere la malattia dopo la cura. Per molto tempo infatti le cure
sono state intense e provanti per il paziente, e grossi problemi sono emersi quando ci si è resi
conto che alcune varianti del virus non rispondevano allo stesso modo alla stessa terapia ma ne
erano resistenti. Ad oggi sappiamo inoltre che non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo
ad una terapia; alcuni polimorfismi come quelli del gene dell'interleuchina 28 potevano rendere
il paziente non responsivo nei confronti della terapia per questo virus. Appare quindi
fondamentale essere in grado di (I) prevedere il genotipo virale specifico; (II) quantizzare il
genoma virale nel paziente sia durante la diagnosi, che durante la cura. Infatti, bisogna
distinguere tra una low viral dose ed una high viral dose (> di 800mila unità di rna per ml di
sangue), ossia pazienti con “dosi di malattia" diverse avranno risposte diverse alla terapia, più o
meno lunghe, una risposta rapida o una risposta più lunga.
Generalmente la prima cosa che si fa per diagnosticare la malattia è un'indagine immunologica
diretta; come un saggio ELISA. Questo ci permette di rilevare la presenza o assenza di anticorpi
nei confronti degli epitopi del virus, ed in base al tipo di anticorpo possiamo risalire inoltre allo
stadio della malattia (recente oppure anticorpi di memoria). Tuttavia, la genotipizzazione del
virus, la quantizzazione del genoma virale, o ancora la diagnosi in pazienti immunocompromessi
(che non per forza avranno sviluppato gli anticorpi in presenza della malattia) non può essere
esaurita da questo tipo di test. Utilizziamo infatti la rtPCR. L'isolamento virale (In generale di
tutti I vrus) infatti non è per nulla semplice e non è consigliato in quanto pericoloso per gli
operatori. Ci serve quindi una tecnica che ci dia non solo informazioni qualitative
(presenza/assenza degli anticorpi) ma informazioni quantitative per poter quantizzare l'rna
virale prima dell’inizio del trattamento ed assicurarsi la completa guarigione dopo il
trattamento. La rtPCR quindi non solo ci permette di fare un'indagine quantitativa ma è anche
una tecnica estremamente sensibile, che riconosce anche pochissime quantità di rna virale nel
sangue del paziente, quantità che non verrebbero assolutamente rilevate dalla pcr classica, con
una soglia di rilevazione estremamente efficace. Per la diagnosi si utilizza una sonda taqman che
riconosca in particolare una regione che ci permetta di fare genotipizzazione, che anneali su una
regione particolarmente conservata in quel determinato ceppo virale; in genere amplificando
rna ribosomiale che è quello maggiormente espresso dal virus. In questo modo possiamo
diagnosticare, genotipizzare, verificare I livelli di dose virale, pianificare un trattamento
specifico e seguire il paziente durante la cura con rilevazioni periodiche della viremia.
Quest'ultima indagine è fondamentale perché la terapia in genere è mirata contro le proteine
virali quindi impedisce la formazione di nuove particelle ma non attacca l'rna virale. Se esso è
presente anche in minima quantità dopo la terapia in forma latente, sospendendo la terapia
precocemente allora si potrebbe riverificare l'infezione; il virus potrebbe riprendere a
moltiplicare. Quindi si fanno rilevazioni della viremia periodiche, anche addirittura fino a 5 anni
dopo la prima diagnosi.
Covid-19. Il covid19 è una patologia che ha come agente patogeno un retrovirus della famiglia
dei coronaviridae, comuni virus responsabili di sintomi respiratori in genere non troppo severi,
ma in alcuni casi più gravi come è già successo nel caso della MERS e della SARS, ed è anche ik
caso della pandemia attuale definita anche SARS-COVID-2 (per la somiglianza con la sars).
Sono virus con genoma ad rna, come tutti I virus particolarmente sensibili all'insorgenza di
mutazioni, infettano mammiferi ed infatti la pandemia attuale è una zoonosi, ossia il virus
originario in altre specie animali ha effettuato un salto di specie, adattandosi nel tempo
all'infezione nell'organismo umano. Per quanto riguarda la diagnosi, 2 sono le strategie
principali. La prima riguarda test sierologici per la ricerca di anticorpi contro la proteina spike
(epitopo superficiale del capside) , che ci permette di verificare la presenza della risposta
immunitaria nei confronti del virus e di datare l'infezuone tramite il tipo di Ig rilevate. Questa
diagnosi tuttavia ha grossi limiti, non ci permette di fare una vera e propria viremia (verificare la
quantità di genoma virale), diagnosticare pazienti immunocompromessi, o genotipizzare le
varianti del virus. Si tratta inoltre di un metodo più lungo, che può essere utilizzato come
screening. La tecnica più adatta è sicuramente la pcr, I risultati si ottengono nel giro di 20
minuti, permette di quantificare e di identificare le varianti quasispecie per tenere sotto
controllo l'evoluzione della pandemia. Serve però un personale specializzato in diagnostica
biomolecolare e laboratori adatti.
Esistono dei kit di diagnosi rtPCR in modo che la procedura sia il più veloce possibile. Si preleva
un tampone orofaringeo,che viene inserito all'interno di un buffer di lisi per la lisi cellulare. A
questo punto si isola l'rna dall'estratto, I campioni vengono eventualmente frazionati e
conservati a -70°. Bisogna chiaramente utilizzare materiale sterilizzato e reagenti rnase-free. I
kit diagnostici presenteranno quindi la master mix di reazione per la pcr ; con I primer adatti e
le sonde da utilizzare, queste saranno sonde taqman, più utilizzate in diagnostica in quanto sono
altamente specifiche. Sono sonde di ibridazione. Per la rtpcr servono anche sono 4 microLitri di
rna di partenza. Quindi si inserisce il campione + master mix in provetta, si setta il macchinario:
impostiamo la sonda che stiamo utilizzando e le T di reazione. Avremo una fase di
denaturazione ed una di polimerizzazione, precedute da una breve fase di attivazione della
polimerasi. Infatti la rtpcr è talmente veloce che non serve impostare una fase di annealing. Il
software quindi ci darà I risultati sottoforma di un grafico (unità di fluorescenza in funzione
della quantità di dna), dove potremo distinguere le curve relative ai vari campioni, con la linea di
base e la linea soglia. Avremo anche una tabella che ci segnala I riisultati in termini di ciclo
soglia Ct dei vari campioni. I campioni da analizzare sono amplificati insieme ad un campione
positivo e ad uno negativo. Il campione negativo è costituito dalla master mix di reazione con
sonde e primer ma senza rna stampo (per verificare che non ci sia aspecifico dovuto alla
complementarietà dei primer), mentre il controllo positivo è un campione di rna positivo
all’infezione il cui Ct esce a 25. I campioni da analizzare quindi saranno positivi se il loro ct è
inferiore a 25 e negativi al covid se il ct è maggiore di 25.

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