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Riassunto Inferno

Canto 1
Versi 1-30:
La notte dei 7 aprile 1300 Dante all’età di 35 anni si smarrisce per una selva oscura e intricata, così
angosciosa da risultare per lui difficile da descrivere. Dante non sa come sia finito all’interno di questa selva,
poiché quando ci è finito era pieno di sonno. Sul far dell’alba arriva ai piedi di un colle e in cima vede dei
raggi di sole: la vista del sole e il tempo primaverile fanno sorgere in lui la speranza di salvarsi, così si volta
e guarda alla selva così come un naufrago guarda il mare da cui si è appena salvato. E inizia così la scalata
del colle con fatica ed incertezza.

Canto 2
Versi 1-9: Proemio della Cantica
Sta calando la notte e Dante sta seguendo Virgilio verso la Porta dell’Inferno mentre tutte le creature della
Terra stanno andando a dormire, Dante è l’unico che si sta preparando per affrontare un viaggio così difficile
e pericoloso. Dante così invoca le Muse, in modo tale da consentirgli di ricordare tutto ciò che ha visto.
Versi 10-42: Dubbi e timori di Dante
Mentre sta seguendo Virgilio Dante sta incominciando ad avere dei dubbi su quest’impresa ed esprime i suoi
dubbi e paure a Virgilio. Dante dice che già Enea ha fatto un viaggio nell’oltretomba simile a quello che sta
per fare lui, a differenza che lui era il fondatore di Roma, centro dell’impero romano e futura sede del
papato. Dante aggiunge che anche San Paolo ha fatto un viaggio nell’oltretomba per rafforzare la sua fede
nel cristianesimo, cristianesimo di cui San Paolo era un zelante apostolo. Ma Dante dice di non essere né
Enea né San Paolo e si chiede chi permetta tale viaggio. Dante così cambia idea e non vorrebbe fare più
questo viaggio.
Versi 43-74: Virgilio racconta l’incontro con Beatrice
Virgilio accusa Dante di viltà e lo paragona ad una bestia che ha paura della propria ombra. Poi per
convincere Dante a proseguire il viaggio gli racconta chi lo ha inviato da lui. Virgilio racconta che quando si
trovava nel limbo una donna bellissima dagli occhi lucenti e dalla voce soave è venuto a visitarlo. La donna
era così bella che Virgilio le ha chiesto di ordinargli qualsiasi cosa lei volesse. La donna si è rivolta a
Virgilio come il più grande dei poeti e gli ha chiesto di soccorrere Dante, ossia l’uomo amato da lei. Dante in
quel momento si trovava nella selva e aveva bisogno di aiuto in quanto aveva incontrato le tre fiere. Poi la
donna si è presentata come Beatrice, e ha detto di giungere dal Paradiso. Quando Virgilio ha sentito le parole
della donna le ha chiesto se non avesse paura di scendere nell’Inferno. Lei rispose di non avere nessuna
paura perché era una beata, e non niente da temere dalle anime dei dannati.
Versi 75-120: Il racconto di Beatrice
Poi Beatrice ha raccontato a Virgilio come lei sia venuta a cercare il suo aiuto. Dice che in cielo la Vergine
Maria si è commossa nel vedere Dante soffrire a causa delle tre fiere, e così la Vergine Maria si è rivolta a
Santa Lucia affinché aiutasse Dante, la quale si è rivolta a sua volta a Beatrice, la quale sedeva vicino allo
scanno di Rachele. Santa Lucia ha spiegato a Beatrice che l’uomo da lei amato in quel momento correva un
grande pericolo, e stava precipitando verso il peccato. Così Beatrice ha lasciato il Paradiso e si è precipitata
nel Limbo per chiedere l’aiuto di Virgilio. Virgilio poi dice a Dante che Beatrice ha concluso questo
racconto piangendo e che per questo motivo terminato il racconto di Beatrice, Virgilio si è precipitato nella
selva a salvare Dante.
Versi: 121-142: Virgilio esorta Dante
Terminato il racconto, Virgilio esorta Dante a non avere più dubbi e paura, perché ben tre donne benedette si
preoccupano per lui in cielo. Dante a queste parole si rinvigorisce come quei fiorellini che si chiudono con il
gelo notturno per poi riaprirsi con il sole mattutino. Dante ringrazia Virgilio per aver accolto prontamente la
proposta di Beatrice e dice di essere felice che Beatrice si preoccupi per la sua vicenda terrena. Così Dante
ritorna al suo proposito iniziale di intraprendere questo viaggio e prega Virgilio di fargli da guida. Così
Virgilio si muove e Dante lo segue, senza più dubbi e paure.

Canto 3
Versi 1-21: La porta dell’inferno
Dante e Virgilio giungono davanti alla porta che conduce all’inferno, e reca una scritta che mette in guardia
tutti coloro che si accingono ad entrare. La scritta prosegue dicendo che la porta è eterna e coloro che entrano
non possono più uscire. Dante non capisce subito queste parole e il significato gli appare oscuro. Virgilio
dice a Dante di non aver paura, e poi prende amorevolmente Dante per mano e lo conduce attraverso la porta.
Versi 22-69: gli ignavi e Celestino V
Varcata la soglia dell’inferno Dante si ritrova in un luogo buio e oscuro e sente un miscuglio di urla e di
lamenti di ira e di strane lingue e così scoppia a piangere. Dante chiede a Virgilio di chi fossero queste urla e
dice che appartengono agli ignavi, ossia alle anime di coloro che in vita non si schierarono né dalla parte del
bene e né del male. Queste anime si trovano nel vestibolo dell’inferno insieme agli angeli che non si
schierarono né con Dio né con Lucifero. Virgilio reputa che queste anime non siano degne di troppa
attenzione. Dante allora vede una schiera davanti a sé di anime che corrono dietro un’insegna senza
significato, che gira vorticosamente su sé stessa. Tra queste anime Dante vede Celestino V, il papa che per
viltà abbandono il pontificio. Le anime degli ignavi sono condannate a correre dietro un’insegna senza
significato e sono torturate da api e mosconi che ne fanno colare il sangue dal viso, assieme alle lacrime per
terra, dove viene raccolto da vermi ripugnanti.
Versi 70-105: il fiume Acheronte e Caronte
Poi Dante e Virgilio giungono nei pressi del fiume Acheronte. Dante vede sulle sponde del fiume numerose
anime accalcate e chiede spiegazione a Virgilio il quale gli risponde che avrà tutte le risposte quando
arriveranno al fiume. Così Dante prosegue in silenzio. Arrivati al fiume giunge una barca guidata da Caronte,
il traghettatore delle anime all’inferno. E’ un vecchio dalla barba bianca e dagli occhi infuocati. Mentre si
avvicina alla riva grida e minaccia le anime, dicendo di essere venuto per portarle all’inferno. Poi si rivolge a
Dante invitandolo ad andare via, in quanto vivo e non dovrebbe stare in quel luogo, e aggiunge che Dante
una volta morto si salverà ed andrà in Purgatorio. Virgilio zittisce Caronte e gli dice che quel viaggio è
voluto da Dio e lui non può opporsi al volere di Dio. A questo punto Caronte tace, mentre le anime tremano
di terrore e bestemmiano Dio, i loro genitori e il momento della loro nascita.
Versi 106-129: Caronte traghetta i dannati
Poi le anime cominciano a riversarsi sulla barca di Caronte, dove vengono stipate dal traghettatore e vengono
bastonate con il remo. Le anime si gettano sulla barca come le foglie d’autunno cadono dall’albero per terra.
Poi la barca parte per raggiungere l’altra riva del fiume. Prima che la barca raggiunga l’altra riva
dell’acheronte subito un’altra schiera di anime si è accalcata sulla riva in cui si trovano Dante e Virgilio. A
questo punto Virgilio spiega a Dante che tutte le anime si raccolgono in riva al fiume Acheronte dove la
giustizia divina le spinge ad avere il desiderio di attraversare il fiume. Per questo motivo Caronte si è
lamentato della presenza di Dante in quanto Dante è destinato a salvarsi.
Versi 130-136: Terremoto e svenimento di Dante
A questo punto il suolo infernale è scosso da un terribile terremoto, così forte che al solo ricordarsi
dell’evento Dante prova paura. Poi si vede una luce rossastra che fa perdere i sensi a Dante, il quale cade
svenuto a terra.

Canto 4
Versi 1-24: Dante si risveglia
Un forte tuono risveglia Dante che si accorge di trovarsi dall’altra parte dell’Acheronte, precisamente nel
primo cerchio dei nove cerchi che compongono l’inferno, il cui fondo è così scuro da non poter essere visto.
Virgilio esorta Dante ad uscire << or discendiam qua giù nel cieco mondo>> <<io sarò primo, e tu sarai
secondo>>. Dante nota che Virgilio nel pronunciare queste parole è pallido e gli chiede il motivo. Virgilio
spiega a Dante che si trova in un luogo in cui le anime presenti sono ben conosciute da Virgilio il quale
relegato nel Limbo. Virgilio poi ricorda a Dante che la strada è lunga ed inizia a condurlo all’interno del
primo cerchio.
Versi 25-63: il Limbo
Appena entrato nel cerchio Dante incomincia a sentire dei sospiri provenire da ogni parte; questi sospiri
provengono da anime che non subiscono nessuna pena. Virgilio spiega a Dante che si tratta di anime che non
hanno commesso nessun peccato, ma che non hanno ricevuto il battesimo e dunque sono escluse dalla
salvezza e la loro pena consiste nel provare il desiderio inappagato di vedere Dio. Nel Limbo si trovano
quindi tutti quei pagani virtuosi che non hanno creduto nel Dio cristiano. Dante capisce così che in quel
luogo ci sono anime virtuose e di gran valore. Poi Dante chiede a Virgilio se qualcuna di queste anime sia
mai uscita dal Limbo e Virgilio risponde che poco tempo dopo il suo arrivo nel Limbo è giunto il Cristo
trionfante, ossia Cristo dopo la resurrezione, che ha portato fuori le anime dei patriarchi biblici per condurle
in Paradiso: Adamo, Abele, Noè, Mosè. Abramo, David, Giacobbe, Isacco, Rachele.
Versi 64-105: Dante incontra i poeti antichi
Mentre parlano i due poeti arrivano vicino ad un punto dove si vede una luce, così vivida da formare una
sorta di semicerchio. Dante capisce che in quel punto ci sono delle anime molto virtuose e Virgilio spiega
che lì sono radunate delle anime così virtuose ed eccezionali da meritare un grado di distinzione nell’aldilà.
Improvvisamente si sente una voce che invita a onorare Virgilio tornato nel Limbo. Dante vede così avanzare
quattro anime imponenti che non sono né tristi né liete. Virgilio le presenta a dante dicendo che quella con la
spada in mano è Omero, il più grande di tutti i poeti; mentre le altre tre sono Ovidio, Orazio, e Lucano. Le
anime salutano Virgilio e poi si rivolgono a Dante. E quando accade questo Virgilio sorride, perché
interpreta questo gesto del rivolgersi a Dante come il segno che le quattro anime che lo hanno accettato
all’interno del gruppo. Dante sente allora di essere diventato il sesto membro di questo gruppo saggio e
virtuoso.
Versi 106-151: Il castello degli “spiriti magni”
Il gruppo di sei poeti prosegue fino ad arrivare al punto luminoso, dove sorge un castello che è circondato da
7 mura ed è cinto da un fiume. Le sei anime passano sopra questo fiume come se fosse fatto di materia
solida, poi attraversate 7 porte arrivano in un verde prato. Qui sono riuniti gli spiriti magni, cioè le anime dei
personaggi virtuosi del mito e dell’antichità che sono esclusi dalla salvezza in quanto pagani e sono relegati
nel Limbo. A questo punto il gruppo di sei poeti si mette in disparte, in un punto più alto da dove è possibile
osservare le anime presenti nel luogo. Dante scorge così Ettore, Enea, Cesare, Camilla, Pentesilea, il re latino
dei Volsci, Lucrezia, Lucio Brutto, Lavinia, Marzia (moglie di catone l’uticense), e Saladino. Poi dante
scorge un gruppo di filosofi, Aristotele, Socrate, Platone, Democrito, Diogene, Empedocle, Anassagora,
Talete, Eraclito e Zenone. Vede anche dei poeti tra cui Orfeo e Lino, e degli scrittori come cicerone e
Seneca. Infine nota Euclide, Tolomeo, Ippocrate, Avicenna, Galeno e Averroè. Dante poi interrompe
l’elenco perché gli spiriti magni presenti in quel luogo sono tantissimi, e non è possibile nominarli tutti. A
questo punto Dante e Virgilio si congedano dagli altri poeti e scendono nel secondo cerchio, dove l’aria è
buia e tempestosa.

Canto 5
Versi 1-24: Incontro con Minosse
Usciti dal Limbo Dante e Virgilio entrano nel secondo cerchio, un cerchio meno ampio rispetto al precedente
ma contenente ancora più dolore. Sulla soglia del II cerchio incontrano Minosse. E’ un demone orribile,
dall’aspetto animalesco che ringhia e svolge la funzione di giudice infernale; ascolta le confessioni delle
anime e le invia nel cerchio dove sono destinate e lo fa indicando tale cerchio avvolgendosi intorno al corpo
la sua lunga coda, per un numero di volte pari il numero del cerchio in cui le anime sono condannate ad
andare. Minosse si rivolge minacciosamente a dante e lo ammonisce di non fidarsi di Virgilio, in quanto
nell’inferno è facile entrare ma impossibile uscire. Virgilio lo zittisce, dicendo che il viaggio di dante è
voluto da Dio.
Versi 25-72: I lussuriosi
Superato minosse, dante e Virgilio entrano in un luogo buio in cui soffia una bufera infernale. Questa bufera
trascina le anime dei dannati da una parte all’altra e quando tali anime giungono a una rovina, ossia a una
frana che si è formata da un terremoto scaturito dalla morte di Cristo, tali anime emettono lamenti, grida e
bestemmie. Dante capisce che si tratta delle anime dei lussuriosi, che volano in aria trascinate dalla bufera
infernale. Dante vede trascinata dal vento una larga schiera di anime che assomiglia a uno stormo di
stornelli; poi vede un’altra schiera di anime che forma una lunga linea e gli ricorda le gru in volo. Virgilio
indica a Dante il nome di alcuni dannati, tutti lussuriosi morti violentemente. Tra questi indica Semiramide,
Didone, Cleopatra, Elena moglie di Menelao, Achille, Paride e Tristano i quali volano assieme a più di mille
anime. Dante è molto turbato a sentire tutti questi nomi e per poco non si smarrisce.
Versi 73-114: Paolo e Francesca
Dante nota poi due anime che volano accoppiate ed esprime a Virgilio il desiderio di parlare con loro.
Virgilio acconsente e Dante le chiama in modo accorato. Le due anime volano verso Dante come i colombi
volano verso il nido. Sono un uomo ed una donna; la donna ringrazia Dante per la pietà dimostrata nei loro
confronti. Dice che è di Ravenna e di esser stata legata in vita da un amore indissolubile all’uomo che ha
accanto. Dunque entrambi gli amanti sono stati assassinati, il loro assassino è atteso nella caina, ossia in
quella zona del IX cerchio a cui sono destinati i traditori dei parenti. Dante è molto turbato a sentire queste
parole e resta in silenzio col capo chino. Virgilio allora chiede a Dante che cosa lo turbi; egli risponde di
esser turbato dal desiderio amoroso per il quale i due amanti sono stati condannati.
Versi 115-138: Il racconto di Francesca
Poi si rivolge a Francesca e le chiede di raccontare l’origine del loro amore. Francesca risponde che non c’è
cosa più dolorosa di ricordare i tempi felici nel momento in cui si è in miseria. Tuttavia, se Dante lo vuole,
lei racconterà l’origine del loro amore. Francesca racconta che un giorno insieme a Paolo stava leggendo per
divertimento un libro che parlava della storia d’amore tra Ginevra e Lancillotto. I due mentre leggono non
sospettano che cosa sta per succedere. Mentre leggono si ricercano continuamente con lo sguardo e
impallidiscono per l’emozione. Quando nella lettura giungono ad un passo in cui i due amanti si baciano,
allora anche loro si baciano, ponendo fine alla lettura del libro che aveva fatto da intermediario del loro
amore.
Versi 139-142: Dante sviene
Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio accanto a lei e tace; Dante nel sentire il racconto di Francesca
resta sopraffatto e sviene.
Canto 6
Versi 1-33: I golosi e Cerbero
Dante dopo esser svenuto alla fine del colloquio con Paolo e Francesca, si risveglia nel III cerchio, qui una
pioggia eterna, fredda e fastidiosa cade incessantemente, una pioggia mista ad acqua sporca e neve. Questa
pioggia cadendo a terra produce una disgustosa fanghiglia, da cui proviene un orribile puzzo; qui sdraiati nel
fango si trovano i golosi che vengono dilianati da Cerbero, un cane a tre teste dagli occhi rossi, il muso
sporco, il ventre largo e le zampe artigliate. Latra orribilmente assordando i dannati e li fa a brandelli con i
suoi artigli e le sue zanne. I dannati urlano come cani a causa della pioggia che li colpisce e si voltano da un
lato all’altro cercando di ripararsi. Non appena Cerbero vede Dante e Virgilio si scaglia contro di loro, e
Virgilio prende una manciata di terra e la lancia nelle tre bocche del Cerbero che si placa come quando ad un
cane affamato gli viene dato un boccone.
Versi 34-57: Incontro con Ciacco
Dante e Virgilio proseguono camminando sopra le anime dei golosi che non rappresentano alcun ostacolo in
quanto sono immateriali. Tutte le anime dei golosi sono sdraiate a terra, ma all’improvviso di leva a sedere,
chiamando l’attenzione a quella di Dante chiedendo se lo riconosce, in quanto lui è nato prima che tale anima
morisse. Dante guarda l’anima del dannato, ma non lo riconosce a causa del suo aspetto stravolto. Allora
l’anima dice di essere Ciacco il cittadino di Firenze, città piena di invidia e dice di esser condannato al III
cerchio a causa della sua golosità; cerchio che è pieno, appunto, delle anime dei golosi.
Versi 58-75: Dante interroga Ciacco su Firenze
Dante dice di esser pronto a piangere per l’angoscia che gli procura la penda di Ciacco. Poi dante rivolge a
Ciacco 3 domande su Firenze. Dante gli chiede l’esito delle lotte politiche, poi se a Firenze esistano dei
cittadini giusti, ed infine quali siano le cause delle lotte intestine. Ciacco risponde alla prima domanda con
un’oscura profezia e gli dice che i guelfi bianchi e i guelfi neri dopo una lunga contesa arriveranno allo
scontro fisico; i guelfi bianchi inizialmente avranno la meglio, ma prima della fine di tre anni, i guelfi neri
avranno la meglio, grazie ad un personaggio in bilico tra i due partiti. I guelfi neri avranno il potere a lungo,
causando gravi sofferenze ai guelfi bianchi, che subiranno condanne ed esili. Riguardo la seconda domanda
Ciacco risponde che i cittadini giusti a Firenze sono soltanto due, ma nessuno li ascolta. Alla fine risponde
alla terza domanda dicendo che le ragioni delle lotte intestine sono da ricercare nella superbia, nell’invia e
nell’avarizia.
Versi 76-93: Destino ultraterreno di alcuni fiorentini illustri
Dante a questo punto chiede a Ciacco se conosce il destino ultraterreno di alcuni fiorentini illustri, come
Farinata degli Uberti, Tegghiaio Aldobrandi, Jacopo Rusticucci, Arrigo, e Mosca dei Lamberti; Ciacco
risponde che queste sono tra le anime peggiori, e sono condannate nell’inferno più profondo, e Dante stesso
potrà vederle di persona quando scenderà laggiù. A questo punto Ciacco prega Dante di ricordarlo tra i vivi,
quando tornerà nella Terra. Poi Ciacco non dice più niente, strabuzza gli occhi, guarda per qualche istante
Dante e poi china la testa e sprofonda nel fango assieme agli altri dannati.
Versi 94-111: I dannati dopo il Giudizio Universale
Virgilio allora spiega a Dante che Ciacco non si solleverà più fino al giorno del giudizio universale, quando
suonerà la tromba angelica. Quel giorno tutti i dannati si riapproprieranno del loro corpo mortale e
ascolteranno la sentenza finale, che fisserà per sempre il loro destino ultraterreno. Mentre attraversano la
fanghiglia tra le anime. Dante chiede a Virgilio se i dannati dopo il giudizio universale, aumenteranno,
diminuiranno oppure resteranno uguali. Virgilio rispose a Dante invitandolo a ricordare la fisica di
Aristotele, secondo cui una cosa più è perfetta e più percepisce il dolore e il piacere. I dannati non sono
perfetti, ma dopo il giudizio universale raggiungeranno la loro pienezza, poiché riacquisteranno il corpo
mortale. Dunque Virgilio afferma implicitamente che le pene dei dannati aumenteranno dopo il giudizio
universale.
Versi 112-115: Pluto
Poi Dante e Virgilio girano intorno al III cerchio parlando di cose che Dante non riferisce; infine giunti nel
punto in cui si scende al IV cerchio, Dante e Virgilio incontrano Pluto, il gran nemico.

Canto 7
Versi 1-15: Pluto
All’ingresso del IV cerchio Dante e Virgilio incontrano Pluto, un demone dalle sembianze di lupo che funge
la funzione di custode del IV cerchio. Pluto si scaglia contro Dante e Virgilio pronunciando delle parole
incomprensibili, che sono probabilmente una bizzarra invocazione a Satana. Virgilio rassicura Dante e poi
zittisce il demone ricordandogli la sconfitta di Lucifero da parte dell’arcangelo Michele. Al sentire di queste
parole Pluto cade prostratto per terra, e Dante e Virgilio possono proseguire il loro cammino.
Versi 16-66: Gli avari e i prodighi
I due poeti entrano nel IV cerchio e si ritrovano davanti tantissime anime, le quali spingono con il petto degli
enormi macigni; queste anime sono divise in due schiere e si muovono lungo il cerchio in direzione opposta
e quando arrivano al punto in cui si scontrano, si urlano reciprocamente queste due frasi: “perché tieni stretto
il masso?” e “perché lo fai rotolare?”. Dopo di che si voltano e spingono il masso nell’altra direzione
scontrandosi nuovamente nell’altro lato e ripetendo nuovamente le stesse frasi. Dante di fronte a questa
scena prova una profonda angoscia e chiede a Virgilio chi siano queste anime, e avendo notato che
tantissime di queste anime hanno il capo tonso, Dante chiede se le anime con la tunsura siano tutti dei
chierici. Virgilio spiega che queste anime in vita hanno commesso il peccato di amministrare male il denaro
o peccando di avarizia o peccando di prodigalità. Poi Virgilio spiega che sì, tutte le anime con la tonsura
sono dei chierici, e tra di esse ci siano tantissimi papi e cardinali. Dante da questa notizia è stupito, in quanto
tra le anime non riconosce nessun papa e nessun cardinale. Virgilio gli spiega che il peccato commesso da
queste anime è così immondo da averle rese irriconoscibili. Poi Virgilio spiega che queste schiere di anime
continueranno a scontrarsi nei due punti del cerchio per l’eternità, fino al giorno del giudizio, quando gli
avari resusciteranno con il pugno chiuso e i prodighi coi capelli tagliati. Poi Virgilio conclude che i beni
materiali affidati alla Fortuna sono effimeri e che non basterebbe tutto l’oro del mondo per placare la
sofferenza di queste anime.
Versi 67-99: Teoria della Fortuna
A questo punto Dante chiede a Virgilio che cosa sia questa fortuna che pare detenere fra le sue mani tutti i
beni materiali del mondo. Virgilio biasima l’ignoranza del mondo. Poi Virgilio spiega che Dio ha disposto
varie Intelligenze angeliche a governare i Cieli e ha creato anche un’Intelligenza per amministrare i beni
materiali; la Fortuna, dunque, decide quando le ricchezze devono passare da un proprietario ad un altro
proprietario e decide chi debba diventare ricco e chi povero, secondo l’imperscrutabile Giudizio divino. I
mutamenti disposti dalla fortuna avvengono rapidamente, e l’uomo è impotente davanti ad essi. Gli sciocchi
maledicono la Fortuna, ma lei non se ne cura, in quanto gira la ruota ed opera serenamente insieme alle altre
Intelligenze angeliche. A questo punto Virgilio invita Dante a proseguire, poiché sono già trascorse 12 ore da
quando lui ha lasciato il Limbo su invito di Beatrice.
Versi 100-130: Il V Cerchio: gli iracondi e gli accidiosi
I due poeti attraversano il Cerchio fino all’estremità opposta e arrivano in un punto dove da una roccia
sgorga una vena d’acqua; l’acqua è di colore scuro e si getta in un fossato. Dante e Virgilio ne seguono il
corso verso il basso e arrivano in un punto dove il ruscello termina nella palude dello Stige. Qui Dante vede
tantissime anime dall’aspetto cruciato che si colpiscono reciprocamente fra loro con schiaffi, pugni e morsi,
arrivando addirittura a sbranarsi. Virgilio spiega che si tratta degli iracondi, ma che sotto la superficie della
palude vi sono sommerse tantissime altre anime. Queste anime che non si vedono sono quelle degli accidiosi,
ossia di quelle persone che in vita hanno avuto un atteggiamento malinconico e hanno covato al loro interno
un’ira repressa. Gli accidiosi stanno dunque sommersi sotto la superficie della palude dello Stige e sospirano
sott’acqua, facendo gorgogliare l’acqua in superficie; inoltre ripetono continuamente una frase che riassume
il senso del loro peccato. La frase dice che tali anime sono state tristi quando si trovavano nel sole covando al
loro interno un’ira inespressa, e adesso nell’inferno si rattristano nel fango nero. Gli accidiosi non possono
pronunciare questa frase con voce chiara, e dunque la pronunciano con parole gorgogliate in gola. Dante e
Virgilio costeggiano la palude camminando sull’argine roccioso, finché giungono ai piedi di una torre.

Canto 8
Versi 1-30: Flegiàs
Dante prima di giungere ai piedi della torre, ha notato partire da essa un segnale luminoso a cui ha risposto
un altro segnale luminoso da un’altra torre più lontana. Dante è allarmato da questa situazione e chiede
spiegazioni a Virgilio, il quale lo invita a guardare tra i vapori della palude dello Stige, dove vedrà arrivare
colui che stanno aspettando. Dante guarda così in mezzo ai vapori della palude e nota una piccola
imbarcazione che si muove verso la loro direzione più velocemente di una freccia scoccata da un arco. Al
bordo dell’imbarcazione vi è un solo traghettatore, Flegiàs, il quale si rivolge a Dante come se fosse un
dannato. Virgilio lo zittisce immediatamente, dicendogli che dovrà solamente traghettarli attraverso la
palude. Flegiàs reagisce con stizza, e Dante e Virgilio salgono a bordo dell’imbarcazione, la quale affonda
leggermente quando sale Dante.
Versi 31-63: Filippo Argenti
Poi la barca parte, e mentre attraversa la palude, un dannato si avvicina all’imbarcazione e chiede a Dante chi
sia per essere nell’inferno nonostante sia ancora vivo. Dante risponde che se ne andrà presto dall’inferno e
poi Dante chiede al dannato il suo nome, ma il dannato non risponde, limitandosi a dire che lui è
semplicemente un’anima che piange e soffre. Dante però lo riconosce, si tratta di Filippo de’ Cavicciuoli
degli Adimari, conosciuto col nome di Filippo Argenti. Dante allora gli rivolge parole di disprezzo e
condanna. A quelle parole Filippo Argenti, in preda all’ira, si scaglia contro Dante e cerca di afferrarlo ma
Virgilio lo respinge prontamente elogiando Dante e ammonendo tutti i dannati, dicendo che le persone altere
sulla Terra si credono dei grandi re, ma poi all’inferno finiscono come porci nel fango. Dopodiché Dante
esprime il desiderio di vedere Filippo Argenti azzuffarsi con gli altri dannati. Virgilio gli risponde che presto
questo suo desiderio sarà esaudito, e infatti poco dopo tutti gli altri iracondi si avventano contro Filippo
Argenti. Dunque tutti i dannati fanno a brandelli Filippo Argenti, il quale rabbiosamente morde sé stesso, e
Dante gode di questo spettacolo.
Versi 64-81: La città di Dite
Mentre la barca si allontana dagli iracondi, Dante sente un coro di voci dolorose, che lo riempiono di
angoscia. Virgilio spiega allora che sono giunti nei pressi della città di Dite, al cui interno vive un esercito di
diavoli. Dante vide in lontananza le torri della città, che assomigliano alle torri delle moschee. Tali torri sono
rosse, come se fossero roventi, e Virgilio spiega a Dante che il fuoco eterno della città arroventa le mura
dando loro un colore rossastro. La barca si avvicina ai profondi fossati della città, le cui mura sembrano fatte
di ferro. Poi dopo un ampio giro, approda ad un argine. Qui Flegiàas dice imperiosamente ai due poeti di
scendere, perché sono arrivati all’accesso della città.
Versi 82-130: I diavoli negano l’accesso
Sceso dalla barca Dante nota sugli spalti della città numerosi diavoli, i quali lo guardano minacciosamente e
si chiedono fra loro chi sia Dante per esser giunto all’inferno da vivo. Virgilio rassicura Dante e fa un cenno
ai diavoli chiedendo loro di parlare in disparte. I diavoli acconsentono, e dicono che Virgilio dovrà restare
all’interno della città e Dante dovrà tornare indietro da solo e dovrà trovare la strada da solo. Dante è pieno
di angoscia, ma Virgilio lo riassicura e si avvicina alle mura per parlare con i diavoli. Rimasto solo, Dante è
pieno di paure, timori, dubbi e non riesce nemmeno a sentire che cosa Virgilio stia dicendo ai diavoli. Dopo
poco tempo i diavoli corrono dentro la città, chiudendo le porte della città in faccia a Virgilio, il quale,
sconsolato, torna da Dante con gli occhi bassi e il volto pieno di vergogna. Virgilio però rassicura Dante
dicendogli che vincerà la prova; infatti l’alterigia dei diavoli non è nuova ed è stata vinta già una volta,
quando Cristo, dopo la resurrezione, è entrato nell’inferno sfondandone la porta. Virgilio dice poi a Dante
che già in quel momento un Messo celeste è in viaggio nella loro direzione, per prestar loro soccorso e
permettergli di proseguire il viaggio.

Canto 9
Versi 1-33: Spiegazioni di Virgilio
Virgilio nasconde le sue preoccupazioni a Dante per non spaventarlo, e tende l’orecchio nell’attesa del Messi
celeste. Poi esprime qualche parola di dubbio ma subito si corregge, sempre per non spaventare Dante. Dante
chiede allora a Virgilio se sia mai successo che un’anima del Limbo scendesse nell’inferno. Virgilio spiega
che si tratta di un evento raro ma che è già successo. Infatti poco dopo la sua morte la maga Eritonia aveva
evocato Virgilio per trarre fuori dalla giudecca l’anima di un traditore. Dunque Virgilio rassicura Dante di
conoscere bene il cammino e spiega inoltre che la palude dello Stige circonda completamente la città di Dite.
Dunque per proseguire il viaggio è indispensabile proseguire il viaggio.
Versi 34-66: Le tre Furie infernali
Virgilio continua a parlare, ma Dante non lo ascolta più; infatti lo sguardo di Dante era ormai rivolto sulla
cima delle mura delle città, dove sono comparse tre furie. Queste tre furie hanno sembianze femminili, sono
completamente sporche di sangue, hanno i capelli serpentini e le loro tempie sono cinte da serpentelli e
ceraste. Virgilio le riconosce ed indica il loro nome a Dante: quella a sinistra è Megera, quella al centro
Tesifone e quella a destra Aletto. Le Furie si squarciano il petto con le unghie, si colpiscono con i palmi
aperti e gridano così forte da terrorizzare Dante, che si stringe a Virgilio. Poi invocano Medusa affinché
venga a pietrificare Dante. Virgilio ordina a Dante di voltarsi e di coprirsi gli occhi con le mani e poi
aggiunge le sue mani su quelle di Dante, per proteggerlo ulteriormente.

Versi 67-105: Il Messo celeste


Dante ammonisce i lettori, invitandoli ad interpretare bene l’allegoria che si cela sotto i suoi versi strani. Poi
si sente un grande frastuono provenire dalla palude, il frastuono è simile a quello di un vento tempestoso che
abbatte le foreste e le due sponde della palude cominciano a tremare. Virgilio permette allora a Dante di
aprire gli occhi e vede avanzare davanti alla palude senza toccare l’acqua un Messo celeste. Il Messo celeste
agita la propria mano davanti al volto per scacciare i fumi della palude e appare pieno di sdegno verso quel
luogo. Al suo passaggio gli iracondi si dileguano. All’arrivo del Messo celeste Virgilio fa inchinare Dante. Il
Messo celeste si avvicina alla porta della città di Dite e la apre con un bastoncino. Poi rimprovera aspramente
i diavoli e ricorda loro che Cerbero per essersi opposto ad Ercole porta ancora il mento ed il gozzo spellati.
Dopodiché il Messo celeste va via e torna da dove è venuto, senza rivolgere nemmeno uno sguardo e
nemmeno una parola a Dante e Virgilio.
Versi 106-133: Ingresso nella città di Dite
I due poeti a questo punto si avvicinano alla porta della città di Dite senza ostacoli ed entrano nella città
senza alcun problema. Una volta dentro Dante vede tantissime tombe simili a quelle che si trovano nei
cimiteri di Arles e Pola, e le tombe sono infuocate e hanno i coperchi sollevati e dal loro interno giungono
dei lamenti miserevoli. Dante chiede spiegazioni e Virgilio gli spiega che all’interno delle tombe sono punite
le anime degli eresiarchi e quelle dei loro seguaci di ogni setta. Queste anime bruciano in misura maggiore o
minore a seconda della gravità dell’eresia seguita in vita. Poi Virgilio segue a destra e Dante lo segue,
camminando tra le tombe e gli spalti della città di Dite.

Canto 10
Versi 1-21: La tomba degli epicurei
Virgilio guida Dante tra le tombe della città di Dite, costeggiando il lato interno delle mura. Mentre
camminano, Dante esprime il desiderio di vedere le anime che si trovano delle tombe, dal momento che i
coperchi sono sollevati e non si trova nessun diavolo da fare da guardia. Virgilio spiega che le tombe saranno
sigillate il giorno del Giudizio Universale, quando i dannati si riapproprieranno del loro corpo mortale. Poi
Virgilio dice che in quel punto del cimitero sono punite le anime degli epicurei e, infine, dice a Dante che il
suo desiderio sarà presto soddisfatto e che sarà presto soddisfatto anche l’altro desiderio che non ha espresso,
ossia quello di vedere se in quelle tombe si trova anche l’anima di Farinata degli Uberti. Dante risponde di
non aver espresso questo desiderio perché non voleva parlare a sproposito, come Virgilio stesso lo ha
abituato.
Versi 22-51: Incontro con Farinata
Ad un certo punto una voce chiama Dante, identificandolo come toscano e proveniente dalla città di Firenze
a causa del suo accento; la voce invita Dante a trattenersi con lui. Dante dalla paura si stringe a Virgilio, ma
egli lo invita a guardare Farinata degli Uberti, che sporge dalla tomba sollevato dalla cintola in su. Farinata si
erge con la fronte e petto alti, come se disprezzasse tutto l’inferno attorno a lui. Virgilio spinge Dante verso
la tomba di Farinata e gli raccomanda di parlare dignitosamente. Dante giunge ai piedi del sepolcro e
Farinata gli chiede chi siano i suoi avi; Dante rivela così la sua discendenza e Farinata dice che i suoi
antenati furono aspri nemici non solo di lui, ma anche dei suoi antenati e della sua fazione politica, ovvero i
ghibellini. Tuttavia gli antenati di Farinata scacciarono gli antenati di Dante da Firenze. Dante risponde
allora prontamente che se è vero che i suoi antenati furono scacciati è anche vero che seppero rientrare a
Firenze, mentre non si può dire lo stesso degli antenati di Farinata.

Versi 52-72: Apparizione di Cavalcante


All’improvviso emerge accanto a Farinata un altro dannato che sporge fino al mento, come se fosse
inginocchiato. Il dannato si guarda attorno con ansia, come se cercasse qualcuno, e poi piangendo chiede a
Dante dove sia suo figlio, dicendo che non capisce il motivo per cui suo figlio non si trova insieme a Dante,
dal momento che Dante è giunto in visita all’inferno per i suoi meriti intellettuali. Dante capisce allora che
questo dannato è Cavalcante dei Cavalcanti, padre del suo amico Guido Cavalcanti. Dante risponde che lui
non si trova lì solo per meriti intellettuali e indica Virgilio come colui che lo guiderà verso qualcuno che
forse suo figlio Guido ebbe a disprezzo. A sentire parlare di suoi figlio al passato, l’anima si alza allarmata e
chiede a Dante se davvero suo figlio fosse morto. Dante tarda a rispondere, e il dannato precipita
nuovamente dentro la tomba, per non uscire più fuori.
Versi 73-93: La profezia di Farinata
Farinata è rimasto indifferente a tutta la scena e, quando Cavalcante dei Cavalcanti scompare, riprende il
discorso esattamente dal punto in cui si era interrotto, e dice che se i suoi antenati non sono stati in grado di
rientrare a Firenze questo gli causa un dolore maggiore di quello che gli provocano le pene dell’inferno. Poi
dice che anche Dante, entro 4 anni, conoscerà il dolore dell’esilio dalla sua città. Poi Farinata chiede perché
ogni legge del comune di Firenze si accanisca in questo modo contro i suoi parenti e Dante spiega che ciò
avviene a causa della battaglia di Montaperti che riempì di sangue il fiume Arbia. Farinata ribatte che non fu
l’unico a partecipare a quella battaglia, ma che fu l’unico ad opporsi alla distruzione di Firenze quando
vinsero i ghibellini.
Versi 94-123: La chiaroveggenza dei dannati
A questo punto Dante chiede a Farinata di chiarirgli alcuni dubbi sulla capacità dei dannati di prevedere il
futuro, perché ha avuto l’impressione che i dannati non abbiano una chiara idea del presente. Farinata spiega
che i dannati sono in grado di vedere gli eventi futuri lontano nel tempo, ma degli eventi vicini non sono in
grado di vedere nulla e gli eventi vicini risultano come invisibili per loro. Ed infatti, alla fine dei tempi, dopo
il Giudizio Universale, la conoscenza degli eventi futuri dei dannati sarà annullata definitivamente. Dante
prega allora Farinata di informare Cavalcante che suo figlio è vivo e se non ha risposto prontamente è perché
non riusciva a capire per quale motivo Cavalcante ignorasse il presente. A questo punto Virgilio richiama
Dante, e Dante chiede velocemente a Farinata chi siano i suoi compagni di pena. Farinata risponde che
dentro la tomba giace con più di mille anime, tra cui quella dell’imperatore Federico II di Svevia e quella del
cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Poi Farinata rientra nel sepolcro e Dante segue Virgilio, ripensando
tristemente alla profezia dell’esilio.
Versi 124-136: Virgilio conforta Dante
Virgilio allora chiede a Dante il motivo del suo smarrimento e Dante rivela di essere preoccupato per la
profezia dell’esilio. Virgilio raccomanda Dante di ricordarsi ogni cosa che è stata detta contro di lui, perché
una volta arrivato in Paradiso, Beatrice gli spiegherà ogni cosa sulla vita futura. Poi Virgilio volge a sinistra,
allontanandosi dalle mura e percorre un sentiero che conduce nella parte esterna del cerchio. Qui Dante vede
in basso una valle, da dove si leva un puzzo orribilmente sgradevole.

Canto 11
Versi 1-12: La sosta di Dante e Virgilio
Dante e Virgilio si sono lasciati alle spalle la città di Dite e sono giunti in un punto del VI cerchio in cui si
può scendere nel VII cerchio. In questo punto c’è un enorme ammasso di rocce, causato da un crollo. I due
poeti però non possono scendere poiché dal VII cerchio proviene un puzzo terribile, sgradevole e orribile,
che li costringe ad arretrare fino alla tomba di Anastasio II, il cui nome è scritto su un coperchio. Qui
Virgilio propone a Dante di aspettare fino a che il loro olfatto si sia abituato alla terribile puzza, affinché
possano proseguire la discesa senza problemi.
Versi 13-66: La topografia morale del basso Inferno
Dante è d’accordo, ma chiede a Virgilio di impiegare in maniera utile il tempo che dovranno aspettare.
Allora Virgilio inizia a spiegare la topografia morale del basso Inferno. Sotto la città di Dite si trovano 3
cerchi, dove sono puniti i peccati di malizia, i tre cerchi sono rispettivamente il VII, VIII e IX. La malizia ha
come fine l’ingiuria, ottenuta o con la violenza o con la frode, la quale è la più sgradita a Dio e per questo è
punita nei cerchi più bassi dell’Inferno. Poi Virgilio prosegue dicendo che nel primo dei 3 cerchi posti sotto
la città di Dite, ovvero il VII cerchio, sono puniti i violenti ed è diviso in 3 gironi in base al bersaglio della
violenza: il prossimo, sé stessi, Dio. Nel primo girone del VII cerchio sono puniti i violenti contro il
prossimo, ossia coloro che hanno commesso omicidi, ferimenti, incendi o rapine. Nel secondo girone sono
puniti i violenti contro sé stessi o contro i propri beni, ossia rispettivamente i suicidi e gli scialacquatori. Nel
terzo girone sono puniti i violenti contro Dio, suddivisi in tre categorie: i violenti con la persona divina, ossia
i bestemmiatori, i violenti contro la natura, ossia i sodomiti, e i violenti contro la bontade, l’operosità umana,
ossia gli usurai. Virgilio prosegue dicendo che la frode può essere rivolta verso chi non si fida e verso chi si
fida. La frode verso chi non si fida è meno grave, perché viola solamente il vincolo naturale che lega gli
uomini. Dunque nel secondo cerchio sotto la città di Dite, ovvero l’VIII cerchio, sono puniti ipocriti,
adulatori, indovini, falsari, ladri, simoniaci, ruffiani e barattieri. La frode verso chi si fida è invece molto più
grave rispetto a quella verso chi non si fida, perché la frode verso chi si fida viola oltre al vincolo naturale
che lega gli uomini, anche il vincolo speciale che si lega tra le persone, come quello della parentela o quello
della patria. Dunque essa equivale al tradimento ed è punita nel IX cerchio.
Versi 67-90: i peccati di incontinenza
A questo punto Dante è soddisfatto della spiegazione di Virgilio, ma ha un dubbio e chiede come mai gli altri
dannati che ha incontrato nei cerchi precedenti, ossia i lussuriosi, i golosi, gli avari e prodighi, gli iracondi e
gli accidiosi, non siano puntiti all’interno della città di Dite. Virgilio rimprovera Dante, accusandolo di non
riflettere a sufficienza e lo invita a pensare all’etica di Aristotele, dove sono citate le tre disposizioni che il
Cielo non vuole: ossia incontinenza, malizia e matta bestialità. Ed è appunto l’incontinenza, cioè il peccato di
accesso, che viene punito nei cerchi precedenti alla città di Dite. L’incontinenza, cioè l’eccesso, è un peccato
meno grave rispetto agli altri due, ed è questa colpa che i dannati incontrati prima della città di Dite
scontano. Ed è perfettamente logico che i peccatori di incontinenza siano puniti in modo diverso rispetto ai
violenti e ai fraudolenti.
Versi 91-115: Il peccato degli usurai
Dante è soddisfatto dalla spiegazione, e loda Virgilio per la sua capacità di chiarire ogni dubbio. Tuttavia
Dante ha ancora un dubbio, ossia non capisce perché l’usura offenda Dio. Allora Virgilio risponde facendo
riferimento alla filosofia aristotelica, secondo cui la natura prende corso dall’intelletto divino e dal suo modo
di operare. In base alla fisica di Aristotele l’operosità umana cerca di imitare l’operosità di Dio, come fa il
discepolo con il suo maestro. Inoltre secondo il libro della Genesi, l’operosità e il lavoro devono fornire i
mezzi di sostentamento all’uomo. Dunque l’usuraio disprezza l’operosità, poiché ripone in altro la sua
speranza di guadagno. L’operosità è come figlia della natura e dunque disprezzare l’operosità, come fa
l’usuraio, equivale a disprezzare la natura e dunque equivale a disprezzare Dio. Terminata la spiegazione,
Virgilio invita Dante a riprendere il cammino, perché per scendere nel VII cerchio c’è ancora un tratto di
strada da percorrere e sono già le 4 del mattino. Infatti la costellazione dei pesci è apparsa all’orizzonte,
mentre la costellazione dell’Orsa maggiore si trova a nord-ovest, nella zona del coro, ossia il maestrale.

Canto 12
Versi 1-30: il Minotauro
Dante e Virgilio arrivano in un punto del VI cerchio da cui è possibile scendere nel VII cerchio. In questo
punto comincia una frana, simile alla frana che ha colpito il letto dell’Adige. La discesa è impervia, e mentre
i due poeti scendono, il Minotauro che si trova sull’estremità della rovina, li vede e comincia a mordersi
dalla rabbia. Virgilio immediatamente gli grida che nessuno dei due è Teseo, e che Dante non si trova
all’inferno su indicazione di Arianna, bensì per vedere le pene dei dannati. A questo punto il Minotauro se ne
va via saltellando, simile ad un toro che è stato colpito a morte. Dante e Virgilio così continuano a scendere
per un tratto di terreno scosceso e ripido.
Versi 31-48: Spiegazione sull’origine della frana
Virgilio nota che Dante si sta interrogando sull’origine della rovina, così spiega che la prima volta in cui è
passato da lì, poco dopo la sua morte, e prima della nascita di Cristo, la rovina non c’era. Poi poco tempo
prima che Cristo entrasse nell’inferno per tirare fuori dal Limbo le anime dei patriarchi, la valle infernale è
stata scossa da un terremoto fortissimo, che ha creato quella rovina. A questo punto Virgilio invita Dante a
guardare davanti a sé, dove si trova un fiume di sangue in cui sono immersi i dannati.
Versi 49-75: il Flegetonte e i centauri
Dante vede così un’ampia fossa a semicerchio, in cui scorre un fiume di sangue bollente, il fiume Flegetonte.
Tra la parete del cerchio e il fiume corrono i centauri, armati di arco e frecce. Quando i centauri vedono
Dante e Virgilio si fermano, e tre di essi si staccano dalla schiera; uno di questi tre centauri, minacciando da
lontano con un arco i due poeti chiede loro quale sia il loro peccato. Virgilio risponde che spiegherà tutto al
loro capo, il centauro Chirone. Poi Virgilio spiega a Dante che quello che ha parlato è il centauro Nesso,
morto a causa di Deianira, quello al centro è Chirone che allevò Achille, mentre l’altro è Folo, uno dei
centauri più violenti. Attorno al fiume si trovano migliaia di centauri che hanno il compito di tirare le frecce
contro quei dannati che fuoriescono troppo dal sangue bollente.
Versi 76-99: il centauro Chirone
I due poeti si avvicinano ai centauri e Chirone li minaccia con una freccia indicando i compagni che Dante è
vivo. Virgilio spiega allora che si trova lì per mostrare a Dante l’inferno, perché questa è la volontà di Dio.
Poi aggiunge che Dante non è un ladrone, e che lui, Virgilio, non è un malfattore. A questo punto Virgilio
chiede a Chirone di incaricare uno dei centauri di portare Dante sulla groppa, per attraversare il fiume
Flegetonte, dal momento che Dante possiede un corpo fisico. Chirone si volta alla sua destra e incarica del
compito Nesso, il quale dovrà accompagnare i due poeti fino al guado del fiume e dovrà trasportare Dante
sulla sua groppa dall’altra parte del Flegetonte.
Versi 100-139: il centauro Nesso
Nesso accompagna Dante e Virgilio lungo il Flegetonte e i dannati immersi nel fiume di sangue bollente
levano alte grida. Dante vede dei dannati che sono immersi fino alle ciglia e Nesso spiega che si tratta dei
tiranni, tra i quali si trovano un certo Alessandro, Dioniso di Siracusa, Ezzelino da Romano, Obizzo d’Este.
Poi Dante vede dei dannati che sono immersi fino alla gola, e Nesso gli indica fra questi Guido di Monfort,
che uccise a Viterbo Enrico, cugino del re d’Inghilterra. Proseguendo Dante vede altri dannati che emergono
fino al petto e ne riconosce parecchi. Ed infine vede altri dannati che sono immersi sino ai piedi. A questo
punto Nesso fa salire sulla propria groppa Dante e comincia a guadare? Il fiume Flegetonte. Mentre
attraversano il fiume Nesso spiega che il livello del Flegetonte si abbassa progressivamente, fino a
ricongiungersi nel punto opposto, dove il livello è più profondo e dove sono puniti i tiranni. Nel punto di di
maggior profondità si trovano Attila, Pirro, Sesto Pompeo, Rinieri da Corneto, Rinieri dei Pazzi. Poi Nesso
attraversato il fiume e portato Dante sull’altra sponda svolta e torna da dove è venuto.

Canto 13
Versi 1-21: La selva dei suicidi
Mentre il centauro Nesso sta tornando dall’altra parte del Flegetonte, Dante e Virgilio cominciano ad
inoltrarsi in un’orribile selva, dal fogliame oscuro, i rami contorti con delle spine al posto dei frutti.
Nemmeno in luoghi più selvaggi della Maremma presentano una boscaglia così aspra. Tra gli alberi
nidificano le Arpie: queste hanno viso umano, grandi ali, zampe artigliate e un grande ventre piumato, e da
sopra gli strani alberi emettono dei lamenti. Virgilio spiega a Dante che si trovano nel secondo girone del
settimo cerchio, dove l’orribile selva si estende fino al sabbione infuocato del girone seguente. Poi Virgilio
invita Dante a guardare attentamente con i suoi occhi quanto vede davanti, poiché vedrà cose a cui non
crederebbe se Virgilio si limitasse a dirlo.
Versi 22-54: Pier delle Vigne
Dante sente provenire da ogni parte dei lamenti ma non vede nessuno, così si ferma confuso e pensa che tra
gli alberi si nascondano degli spiriti. Virgilio intuisce l’errore di Dante e lo invita a spezzare un ramo di una
delle piante. Dante si avvicina ad una pianta e ne spezza il ramo; a questo punto la pianta comincia a
lamentarsi, accusando Dante di essere pietoso e chiedendogli perché gli faccia del male, mentre dal fusto
comincia a fuoriuscire del sangue nero. Queste parole fuoriescono dalla pianta come un soffio, insieme al
sangue, e Dante lascia cadere a terra il rame spezzato e resta fermo pieno di timore. Virgilio spiega all’anima
del dannato che è stato costretto a spingere Dante a spezzare uno dei rami perché era l’unico modo per fargli
credere quanto lui aveva già cantato nell’Eneide. Poi Virgilio invita il dannato a presentarsi e a raccontare la
sua storia, cosicché Dante, una volta tornato sulla terra, possa rimediare al danno subito e restaurare la
propria fama.
Versi 55-78: Il racconto di Pier delle Vigne
Il dannato dice che l’offerta è troppo allettante per essere rifiutata e così comincia a parlare. Il dannato, che è
Pier della Vigna, dice di esser stato intimo collaboratore di Federico II di Svevia, che ha servito con lealtà e
fedeltà, a tal punto da divenirne depositario di tutti i segreti; tuttavia, il legame speciale che si è creato tra lui
e il sovrano ha suscitato l’invidia dei cortigiani, i quali hanno convinto il sovrano che Pier delle Vigne fosse
un traditore. Quest’ultimo per evitare lo sdegno di Federico ha preferito togliersi la vita, passando però così
dalla ragione al torto. Pier delle Vigne giura sulle radici della pianta in cui è rinchiuso di essere innocente e
prega Dante se torna sulla Terra di riabilitare la sua memoria.
Versi 79-108: La metamorfosi dei suicidi in piante
Virgilio resta un attimo in silenzio, poi invita Dante a far delle domande a Pier delle Vigne, ma Dante è
troppo turbato per continuare a parlare con il dannato. Allora è Virgilio stesso a porre delle domande, e
chiede a Pier delle Vigne come l’anima si trasformi in una pianta una volta giunta all’inferno e se delle
anime siano mai fuoriuscite dalla selva dei suicidi. Pier delle Vigne spiega che l’anima una volta che si è
separata dal corpo del suicida si presenta davanti a Minosse, la quale la manda nel settimo cerchio: qui
l’anima cade in un punto qualsiasi della selva, dove germoglia e si trasforma in pianta selvatica e poi le
Arpie si nutrono delle sue foglie, causandole ulteriore sofferenza. Il giorno del giudizio universale tutte le
anime dei suicidi avranno il proprio corpo, ma non lo rivestiranno, bensì lo appenderanno a uno dei rami
della pianta in cui sono imprigionate. Questo perché non è giusto riavere ciò che ci si è tolti violentemente.

Versi 109-129: Gli scialacquatori


Dante e Virgilio si trovano vicino alla pianta di Pier della Vigna, quando all’improvviso si sentono dei
rumori provenire dall’interno della selva, simili allo stormire del fogliame quando in un bosco c’è una battuta
di caccia al cinghiale. Subito dopo si vedono due dannati che corrono tra la boscaglia: sono tutti nudi,
graffiati, e mentre corrono rompono rami e frasche. Quello davanti è Lano da Siena e corre più veloce.
Quello indietro, Jacopo da Sant’Andrea, è più lento e si nasconde in un basso cespuglio. Quei dannati sono
inseguiti da tante cagne nere, che corrono affamate come i cani da caccia. Le cagne si scagliano contro il
dannato che si è nascosto vicino al cespuglio, lo azzannano con i loro denti, lo fanno a brandelli e poi si
portano via i pezzi di carne maciullati.
Versi 130-151: Un fiorentino suicida
Virgilio prende per mano Dante e lo conduce vicino al cespuglio in cui si era nascosto il dannato. Tra i rami
del cespuglio fuoriesce sangue e il cespuglio con la sua voce rimprovera il dannato per essersi nascosto
vicino a lui e avergli causato così tanto dolore. Infatti le cagne nel momento in cui hanno azzannato lo
scialacquatore hanno anche rotto i rami del cespuglio. Virgilio chiede al suicida di presentarsi e il suicida
chiede di raccogliere i rami spezzati ai piedi dell’arbusto, e dice di essere originario di Firenze, città che è
vittima di continue guerre, da quando ha cambiato il suo protettore da Marte a san Giovanni Battista. E solo
un frammento della statua di Marte sull’Arno preserva la città dalla distruzione totale. Poi il dannato di
essersi impiccato nella propria casa.

Canto 14
Versi 1-42: Il sabbione infuocato
Dante raccoglie i rami spezzati e li pone alle radici della pianta. Poi segui Virgilio fino al confine tra il
secondo e il terzo girone del settimo cerchio. Il terzo girone si presenta come una landa desolata priva di
vegetazione e la selva dei suicidi circonda il terzo girone con una dolorosa corona. Il girone è composto da
una sabbia spessa, simile a quella del deserto libico attraversata da Catone l’uticense. Le anime dei dannati
giacciono sulla sabbia in maniera differente: i bestemmiatori sono sdraiati, gli usurai siedono raccolti e
quelle dei sodomiti camminano senza mai fermarsi. Quelle dei bestemmiatori sono le anime che si lamentano
di più, mentre quelle dei sodomiti sono le più numerose. Il girone è colpito da una pioggia infuocata e le
fiammelle assomigliano ai fiocchi di neve che cadono quando non c’è vento, oppure ricordano la pioggia di
fuoco che Alessandro Magno ha visto cadere in India. Il fuoco cade sulla sabbia surriscaldandola e
rendendola rovente. Le anime dei dannati sono così tormentate dalla sabbia rovente, e continuamente tentano
di scacciare da sé il fuoco agitando le mani.
Versi 43-75: Capaneo
Dante nota un dannato dall’aspetto imponente sdraiato sul sabbione: il dannato ha lo sguardo sprezzante ed
incurante delle fiammelle, e sembra non provare dolore per la pioggia di fuoco. Dante così preso dalla
curiosità chiede il nome a Virgilio ma il dannato lo sente e risponde a Dante: “e quel medesmo, che sì fu
accorto ch’io domandava il mio duca di lui gridò << qual fui vivo tal son morto>>. Poi il dannato prosegue
dicendo che se anche Giove scagliasse contro di lui tutte le folgori fabbricate da Vulcano e dai Ciclopi
nell’Etna non potrebbe avere la sua vendetta. A questo punto Virgilio risponde adirato come Dante non lo
aveva mai sentito prima. Virgilio chiama il dannato per nome, Capaneo, e gli dice con tono adirato che sarà
maggiormente punito per la sua superbia. Poi Virgilio con voce pacata si rivolge a Dante e gli spiega che il
dannato è uno dei 7 re che assediarono Tebe e che sembra disprezzare Dio e disconoscerne la potenza, ma in
realtà la sua alterigia è degno ornamento al suo petto. Poi Virgilio invita Dante a proseguire facendo
attenzione a dove mette i piedi.
Versi 75-93: il Flegetonte
I due poeti proseguono in silenzio, camminando vicino alla selva e giungono in un punto vicino alla selva
dove sgorga un fiumiciattolo di sangue, il Flegetonte, il quale è caldo come quella fonte di acqua sulfurea,
detta bulicame, usata come lavacro dalle prostitute. Il fiume scorre su un fondale tra due argini rocciosi, e
Dante capisce che quello è il punto in cui si passa al cerchio successivo. Virgilio spiega che quel fiume che
spegne la pioggia di fuoco è la cosa più interessante che abbiano visto fino a quel momento. Dante, a queste
parole, è preso da curiosità, e prega il maestro di proseguire nella spiegazione.
Versi 94-120: Il vecchio di Creta e i fiumi infernali
Virgilio spiega allora che in mezzo al Mediterraneo si trova l’isola di Creta, ora distrutta, ma un tempo
governata dal re Saturno, sotto il quale tutto il mondo era innocente. Su quest’isola si trova una montagna, il
monte Ida, ora abbandonata, ma un tempo scelta dal re come nascondiglio per suo figlio Giove. All’interno
di questa montagna si trova la grande statua di un vecchio che volge le spalle ad amietta (oriente) e guarda
dritto verso Roma. Questa statua ha testa d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre di rame, le gambe e il
piede sinistro di ferro e il piede destro di terracotta. Tutto il corpo della statua, ad eccezione della testa, è
pieno di fessure, le quali sgorgano lacrime. Queste lacrime si raccolgono ai piedi della statua dove forano il
terreno e formano un corso d’acqua che arriva fino all’inferno; qui il corso d’acqua va a formare i vari fiumi
infernali: l’Acheronte, lo Stige e il Flegetonte. Infine giunto nel fondo della voragine infernale, questo corso
d’acqua forma il lago di Cocito.
Versi 121-142: Stupore di Dante
Dopo questa spiegazione Dante è stupito perché ha visto sgorgare il Flegetonte nel VII cerchio, mentre
adesso apprende che esso nasce sulla Terra. Virgilio allora gli spiega che la voragine infernale è rotonda, e
che Dante è sempre sceso proseguendo verso sinistra, e che non ha mai compiuto un giro completo, dunque è
normale che Dante scopra adesso delle cose che non ha potuto vedere prima. Dante allora chiede dove siano
il Flegetonte e il Lette e dice Virgilio che sono domande inutili, in quanto il Flegetonte lo ha appena visto,
mentre il Lete lo vedrà fuori dall’inferno, nell’Eden, essendo il fiume in cui si bagnano le anime purificate
per dimenticare i peccati. Poi Virgilio invita Dante a seguirlo, e i due poeti si allontanano dalla selva
proseguendo lungo uno dei due argini rocciosi entro cui scorre il Flegetonte. I due poeti sopra gli argini
rocciosi sono al sicuro dalla pioggia infernale, poiché questa non cade sopra gli argini ed ogni vapore igneo
si spegne sopra di loro.
Canto 15
Versi 1-21: La schiera di sodomiti
Dante e Virgilio camminano stando sopra gli argini del fiume Flegetonte, che attraversa il sabbione
infuocato. I due poeti sono al sicuro dalla pioggia di fuoco, in quanto il fumo del fiume spegne la pioggia.
Gli argini rocciosi sono alti e spesi, e ricordano le dighe costruite dai fiamminghi per ripararsi dai flussi
marini. Gli argini assomigliano anche alle dighe costruite dai padovani per riparare case e castelli dalle piene
del Brenta. Dante e Virgilio si sono allontanate molto dalla selva, la quale infatti non è più visibile. E a
questo punto vedono una schiera di anime di sodomiti che si avvicinano a loro. La schiera di anime si
avvicina all’argine roccioso e guarda i due poeti come si guarda qualcuno di notte durante il novilunio, ossia
stringendo gli occhi come fanno i vecchi sarti quando vogliono infilare il filo nella cruna dell’ago.
Versi 22-54: Brunetto Latini
Uno di queste anime si stacca dalla schiera e afferra Dante per la veste, gridando dalla meraviglia. Dante si
volta, guarda l’anima e la riconosce: è Brunetto Latini, il suo maestro. Brunetto Latini chiede a Dante di
poter parlare con lui. Dante è disponibilissimo e dice che è pronto a fermarsi a stare con lui a patto che
Virgilio sia d’accordo. Ma Brunetto dice che, se anche per un solo istante, un’anima sodomita si ferma e
smette di camminare, sarà costretta a restare ferma per 100 anni senza potersi riparare dalla pioggia di fuoco.
Così Brunetto invita Dante a camminare, dicendo che lo seguirà, per poi raggiungere in un secondo momento
la schiera di anime sodomite a cui appartiene. Dante non scende dall’argine roccioso, perché si brucerebbe,
ma cammina tenendo il capo inchinato e lo fa sia per sentire meglio le parole di Brunetto sia come segno di
deferenza nei confronti del suo maestro. Brunetto Latini chiede a Dante i motivi del suo viaggio nell’inferno
e Dante racconta di essersi smarrito nella selva e del suo incontro con Virgilio.
Versi 55-99: La profezia sull’esilio di Dante
A questo punto Brunetto Latini dice che Dante non fallirà nella sua missione letteraria e politica, a patto che
segua la sua stella, se lui ha ben visto quando era ancora in vita. Poi aggiunge che aiuterebbe ben volentieri
Dante personalmente se fosse ancora vivo, poiché il cielo si è dimostrato così benevolo nei confronti di
Dante. Brunetto Latini definisce i fiorentini un popolo ingrato, che discende da Fiesole e che conserva ancora
la durezza della sua origine. I fiorentini sono nemici di Dante, poiché quest’ultimo compie delle buone azioni
ed è normale poiché un frutto buono non sta assieme a quelli cattivi. Brunetto definisce i fiorentini avari,
superbi ed invidiosi e Dante dunque deve starne lontano. Dante ha un atteggiamento così onorevole che
entrambe le fazioni politiche di Firenze, i bianchi e i neri, odiano Dante e vorrebbero fargli del male; tuttavia
è impossibile e i fiorentini rivolgeranno il proprio odio contro sé stessi. Infatti non possono fare nel male a
quei cittadini che hanno nelle vene il sangue dei Romani, fondatori di questa città. E Dante, appunto, è uno di
questi cittadini. Alle parole di Brunetto, Dante risponde dicendo che in lui è ben vivo il ricordo del maestro
che gli insegnò come ottenere fama eterna e che finché sarà in vita le sue parole per il maestro saranno solo
parole affettuose. Poi Dante aggiunge di prenderà atto della profezia, che si farà spiegare meglio quando
arriverà in cielo da Beatrice. E dice di non esser spaventato dai colpi della Fortuna, in quanto ha già sentito
una simile profezia. Virgilio a questo punto si rivolge a Dante, dicendo che un buon ascoltatore è colui che
prende nota di ciò che gli viene detto.
Versi 100-124: Brunetto Latini si allontana
Dante continua a camminare e chiede a Brunetto chi siano i suoi compagni ed egli risponde che sarebbe
troppo lungo nominarli tutti e che citerà solo i più noti; poi spiega che i sodomiti della sua schiera sono tutti
chierici o letterati di gran fama, tra questi: Prisciano, Francesco da Corso, e colui che papa Bonifacio VIII
trasferì da Firenze a Vicenza, ossia il vescovo Andrea dei Mozzi. A questo punto Brunetto dice che
resterebbe volentieri ancora con Dante, ma deve andare poiché vede avvicinarsi il fumo sollevato dall’altra
schiera di sodomiti, una schiera alla quale lui non può appartenere. Così Brunetto Latini si congeda da Dante
e gli raccomanda il suo Tresòr, che gli ha dato fama eterna. Poi Brunetto si allontana di corsa, simile ad un
corridore vincitore del palio di Verona.

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