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FILIPPO BRUNELLESCHI

Cupola di Santa Maria del Fiore


Filippo partecipò al concorso (bandito nel 1418 dalla
potente Arte della Lana) per la realizzazione della
cupola. In quegli anni, infatti, la cattedrale della città
toscana era ancora senza copertura nella zona del
coro. Brunelleschi propose di costruire una cupola
che noi oggi chiamiamo autoportante, cioè capace di
sostenersi (reggersi) da sé durante la costruzione,
senza richiedere l’aiuto di armature provvisorie di
legno. Nel 1420 inizia a costruire la “grande
macchina” (come la chiamò poi Michelangelo). Suo
compagno nell’impresa fu Lorenzo Ghiberti. Con
Brunelleschi, d’altra parte, nasce la nuova figura del
moderno architetto: un artefice geloso delle proprie
invenzioni e orgoglioso del proprio ruolo intellettuale,
tanto da richiedere per sé solo il controllo dell’intera
opera. La cupola si erge su un tamburo ottagonale
forato da otto grandi finestre circolari (òculi) che
danno luce all’interno. Vista dall’esterno essa appare
come una rossa collina percorsa da otto bianche nervature marmoree che convergono
verso un ripiano ottagonale in sommità . Su di esso si imposta una leggera lanterna
cuspidata stretta da otto contrafforti a volùte. La grande struttura è costituita da due calotte
distinte, una interna (di grande spessore) e l’altra esterna (più sottile). Tra l’una e l’altra calotta
esiste, quindi, un’intercapèdine, cioè uno spazio che rende possibile la presenza di scale e corridoi,
percorrendo i quali si giunge sino al piano su cui si imposta la lanterna. Le due calotte ogivali sono
collegate da otto grandi costoloni d’angolo, i soli che si vedono anche dall’esterno perché rivestiti
di creste di marmo bianco, e da sedici costole intermedie disposte lungo le facce delle vele. La
cupola fiorentina è costruita tirando su contemporaneamente e con omogeneità costruttiva tutte
le parti, strettamente connesse le une alle altre e tutte portanti. La possibilità di costruire
l’immensa mole di mattoni è dovuta a due fattori:
- all’impiego della muratura a spinapesce;
- all’aver costruito una cupola di rotazione e non una semplice volta a padiglione.
La spinapesce è una tecnica, dedotta dall’opus spicatum romano, che consiste nel disporre dei
ricorsi di mattoni verticalmente, di seguito ad altri collocati di piatto. In una cupola di rotazione i
mattoni non sono disposti su piani orizzontali, ma risultano inclinati verso i loro centri di curvatura
e giacciono su superfici coniche. È noto come una semisfera sia descritta dalla rotazione nello
spazio di un raggio (raggio di curvatura). Il raggio che ruota disegna la figura di un cono, il quale, a
sua volta, in una cupola reale, determina la giacitura dei mattoni (o dei conci di pietra). Le tante
possibili intersezioni tra i vari coni aventi lo stesso vertice e la semisfera – che è possibile
immaginare come una cupola senza spessore – sono sempre delle circonferenze. Nel caso di una
cupola di rotazione a pianta ottagonale – per di più a sesto acuto –, che implica l’esistenza di più
coni, tutti con il vertice sull’asse centrale della cupola, ciascuna intersezione, livello per livello, si
legge come un insieme di otto curve. Non c’è discontinuità nella muratura della cupola, come non
c’è interruzione nella rotazione del raggio di curvatura. La costruzione di questa cupola tenne
occupato Brunelleschi per tutta la vita. Ci vollero, infatti, ben sedici anni – dal 1420 al 1436 – per
poter concludere la struttura con l’anello di chiusura. Filippo dovette affrontare un nuovo
concorso che pure vinse: alla sua morte (1446), però, la lanterna era ancora in costruzione.
Basilica di San Lorenzo
Il progetto per la Basilica di San
Lorenzo risale a circa il 1418,
ma Filippo viene coinvolto nella
costruzione forse solo nel 1421. Il
Brunelleschi aveva progettato
un edificio a tre navate con
cappelle laterali, ma, a motivo
dei costi, fu costretto a
ripiegare su una soluzione che
escludeva le cappelle. I lavori,
iniziati nel 1425, furono ripresi,
dopo una lunga interruzione,
solo nel 1442 e poi conclusi da Antonio Manetti Ciàccheri (1405-1460) dopo la morte di
Brunelleschi. L’esterno dell’edificio mostra, con molta chiarezza, il compenetrarsi di solidi
geometrici puri. L’arco che introduce alle cappelle laterali, infatti, è inquadrato dall’ordine
costituito da paraste sulle quali corre una trabeazione. Questi archi, a loro volta, sono
tangenti alla trabeazione dell’ordine maggiore su pilastri (collocati alle estremità della
navata) che inquadrano il sistema delle arcate. Infine, al di sopra di questa seconda
trabeazione si collocano gli arconi che sostengono la cupola. In tal modo entrambe le
testate dei bracci del transetto si presentano con grandi arcate su due pilastri, affiancati da
paraste, definendo, con la trabeazione che corre sugli elementi verticali vicini, il primo
schema rinascimentale cosiddetto a «serliana». Dopo la scomparsa di Filippo il
proseguimento della costruzione si rese difficile.

DONATELLO
il banchetto di Erode
Tra il 1423 e il 1427 Donatello è chiamato a
collaborare alla realizzazione del fonte
battesimale del Battistero di Siena, Il banchetto
di Erode. In essa l’artista pone ogni cura sia
nella rappresentazione prospettica, sia
nell’organizzazione degli spazi, sia nella
disposizione dei personaggi. La scena mostra in
primo piano, a sinistra, un servo inginocchiato
che offre a Erode un vassoio recante la testa
mozzata del Battista. Il vecchio sovrano, che
pur ne aveva comandato la decapitazione per
compiacere la giovane Salomè (figlia dell’empia
moglie Erodiade e del fratello Erode Filippo, a
cui il re l’aveva sottratta), è rappresentato da
Donatello nell’atto di ritrarsi, con le palme delle
mani aperte, in un gesto quasi di orrore di fronte a quella terribile vista. Il racconto, così,
assume aspetti di drammatico realismo e l’allegro banchetto sfocia in turpe delitto. Anche
altri partecipanti al banchetto si ritraggono (uno coprendosi il volto con la mano destra)
agghiacciati dalla crudele esecuzione e solo Erodiade, a sinistra, si protende verso di lui,
indicandogli il macabro trofeo. In tal modo, viene a crearsi un vuoto proprio al centro della scena,
il quale crea un senso di profondità e di realismo mai visti prima in un bassorilievo. Il geometrico
succedersi degli archi dello sfondo contribuisce a dare ulteriore profondità all’intera scena. Al
centro un suonatore di viola allude alla danza dei sette veli che Salomè, raffigurata a destra,
davanti al tavolo, sta ancora compiendo. In fondo a sinistra, invece, oltre la seconda serie di archi,
ritorna la raffigurazione del servitore che, in un momento precedente, mostra la testa del Battista
anche a Erodiade (o Salomè) e a due ancelle. Mediante tale invenzione, Donatello definisce con la
lontananza nello spazio quello che è anche lontano nel tempo (cioè avvenuto prima) e, viceversa.
Questo nuovo modo di scandire la narrazione sostituisce il ciclo narrativo medievale.ù
david
L’esatta datazione del Dàvid in bronzo che Donatello
realizzò per Cosimo de’ Medici è potrebbe collocarsi
intorno al 1435/1440. La scultura, una fusione a cera persa di
dimensioni pressoché naturali, perfettamente tornita e
rifinita al cesello, Essa presenta alcuni tratti singolari,
come lo strano copricapo e i calzari. Partendo da uno
spunto decisamente classico, Donatello conferisce al suo
personaggio, chiunque esso rappresenti, un’espressione di
naturale pensosità. Tutto il peso del giovane corpo grava
sulla gamba destra, imponendo un corrispondente
abbassamento del bacino a sinistra. In opposizione a
questo la spalla sinistra è lievemente rialzata, mentre la
mano destra impugna una lunga spada e il piede sinistro
poggia, in segno di vittoria, sulla testa del nemico ucciso.
La luce è impiegata da Donatello come strumento di
modellazione delle masse e finisce poi per addensarsi ai
suoi piedi.
maddalena penitente
Maddalena penitente (ca 1453/1455), intagliata in tenero legno di pioppo bianco. Donatello
abolisce ogni riferimento alla statuaria classica e concentra le
proprie energie nella direzione di una profonda analisi
psicologica del personaggio. La Maddalena penitente appare
pertanto non solo sfigurata nel fisico «essendo consumata dai
digiuni e dall’astinenza», ma anche fortemente dilaniata
nell’animo. Il volto ossuto e sofferente, solcato da due
profonde orbite oculari, le mani dalle dita lunghe e nodose,
congiunte nella preghiera, il corpo mortificato da un’informe
cascata di capelli che la ricopre come un lungo saio (simbolo
di vita eremitica), i piedi scheletrici modellati sul terreno come
delle vecchie radici, esprimono tutta la grandezza interiore
della peccatrice convertita a una vita santificata dalla
penitenza. Anche la scelta di utilizzare il legno non appare
casuale. Si tratta, infatti, di un materiale umile e al tempo
stesso vivo, nel quale lo scalpello sembra scavare ombre e
luci, come drammatiche ferite di un corpo. I restauri hanno
inoltre evidenziato tracce – ora quasi del tutto scomparse – di policromia e, fra i capelli,
plasmati con abbondante aggiunta di stucco, anche qualche suggestivo filo di doratura. Il
testamento artistico di Donatello sta, dunque, proprio qui, nella rivoluzionaria volontà di
trasgredire ogni schema precostituito per arrivare a comprendere e a rappresentare,
attraverso la scultura, i valori più profondi della dignità umana.

MASACCIO
il tributo
Nell’affresco del Tributo, il
secondo in alto della parete di
sinistra, Masaccio illustra un
episodio del Vangelo di
Matteo nel quale è descritto
l’ingresso di Cristo e dei suoi
Apostoli nella città di
Cafàrnao. Come di
consuetudine il gabelliere
pretende da loro un tributo per il
Tempio di Gerusalemme. Gesù, pur ironizzando su quanto sia singolare che il Figlio
debba pagare un tributo al Padre, non vuole trasgredire le leggi e, a tal fine, incarica Pietro
di pescare un pesce nella cui bocca troverà una moneta d’argento per pagare la tassa
dovuta. L’artista concentra nello stesso dipinto quattro momenti temporalmente diversi. Il
primo, al centro, corrisponde a quando il gabelliere, rappresentato di spalle, esige il tributo.
In questa scena vi è già il preannuncio della successiva, posta in secondo piano. Cristo,
infatti, comanda a Pietro di recarsi a pescare e questi indica a sua volta il Lago di
Tiberìade. Sulla riva, a sinistra, è quindi raffigurato Pietro da solo, intento alla pesca
prodigiosa. A destra, infine, nuovamente in primo piano, Pietro ricompare nel momento in
cui, con un gesto estremamente deciso, consegna il denaro all’esattore. Tutti i personaggi
hanno un rilievo quasi scultoreo. Masaccio definisce con il chiaroscuro i loro possenti
volumi e i realistici panneggi. La prospettiva adottata da Masaccio è sempre la stessa. Il
paesaggio appare brullo e desolato, con le montagne sono disposte in successione
cromatica: verdi quelle più vicine e grigio-azzurrognole quelle in lontananza, con le vette
imbiancate di neve all’orizzonte. Anche le architetture sulla destra contribuiscono a una
chiara determinazione spaziale della scena. Poiché le ombre proiettate dai vari personaggi
hanno tutte una stessa direzione, la fonte luminosa che Masaccio utilizza è evidentemente
unica e puntiforme (il sole).
la trinità
jscsd

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