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CANTO I - INFERNO

Dante si smarrisce nella selva – vv 1-30


La notte del 7 aprile dell’anno 1300 Dante, all’età di 35 anni, si smarrisce per una selva oscura e
intricata, così angosciosa da risultare per lui difficile da descrivere. Dante non sa come sia finito
all’interno di questa selva perché quando ci era finito era pieno di sonno. Tuttavia, sul far dell’alba,
arriva ai piedi di un colle, in cima al quale vede dei raggi di sole: la vista del sole e il tempo
primaverile fanno sorgere in lui la speranza di potersi salvare, così si volta e guarda la selva come un
naufrago guarda il mare da cui si è appena salvato.
 La selva oscura è allegoria del peccato: la selva è aspra / selvaggia / forte / spaventosa al solo
ricordo / poco meno amara della morte stessa; non giunge la luce divina e per questo è oscura.
La selva è un elemento molto comune nella cultura occidentale e cristiana, dove essa era
considerata un luogo misterioso, inquietante e intricato; in Dante assume un’ulteriore
connotazione negativa, coerentemente con la tradizione biblico-patristica. Ritroviamo
l’immagine della selva anche in un’altra opera di Dante, nel Convivio (capitolo 24 del IV
trattato).
 Oltre alla selva, vi sono altri elementi caricati di un significato allegorico: il colle e il sole. Il
colle è allegoria della via alla felicità terrena, la quale può essere raggiunta con la ragione che
permette di ottenere le virtù cardinali (fortezza, temperanza, giustizia e prudenza). dante,
vedendo dietro la vetta del colle il sole, cerca di scalarlo ma fallisce in quanto il sole
rappresenta la salvezza e la grazia divina, per raggiungere le quali servono la ragione e le
virtù teologali (fede, speranza e carità). Il sole è allegoria di Dio che si manifesta nella sua
infinita misericordia al peccatore e con la sua luce divina rischiara le cose, dando loro il vero
senso e facendo così riacquistare la speranza a chi l’aveva perduta.

Dante e le tre fiere – vv 31-60


Mentre sale il colle, una lonza dal pelo maculato, agile e snella, si para dinanzi a lui. Inizialmente,
Dante è spaventato; tuttavia, avendo visto i raggi del sole ed essendo in primavera, Dante sente dentro
di lui una speranza ed è convinto di oltrepassare la lonza. L’animale, però, lo spinge più volte indietro
e, come se non bastasse, di fronte a Dante compaiono un leone, così rabbioso da far tremare l’aria, e
una lupa famelica, così magra da sembrare carica di ogni bramosia. Dante perde dunque ogni speranza
di riuscire a raggiungere la cima del colle e comincia a indietreggiare verso la selva.
 le tre fiere sono allegoria delle tre principali disposizioni peccaminose. Secondo una
tradizione attestata dai commentatori medievali, la lonza sarebbe allegoria della lussuria, il
leone della superbia e la lupa dell’avarizia e della cupidigia. Tuttavia, esistono altre letture di
queste tre fiere: secondo un’altra interpretazione, le tre fiere sarebbero allegoria delle
disposizioni del male punite nell’alto e basso inferno (la lonza sarebbe allegoria
dell’incontinenza, il leone della violenza e la lupa della frode). Secondo un’altra lettura, le tre
fiere sarebbero allegoria di Firenze, Francia e Roma, le tre potenze guelfe che hanno causato
la corruzione della società.
La lonza può essere identificata come una lince o con un leopardo e, a sostegno di queste
identificazioni, vi sono rispettive teorie. L’identificazione della lonza con una lince è
legittimata da un ricordo personale di Dante: si suppone che Dante, nel 1885, avesse visto una
lince tenuta in gabbia nel palazzo del podestà a Firenze; nel I libro dell’Eneide, al verso 518,
si parla di Cervier maculato, in riferimento alla lince. L’identificazione della lonza con un
leopardo è giustificata da un passo biblico (triade biblica > leopardo, leone, lupo).
La lupa è considerata la più pericolosa tra le tre fiere, causa di tutti i mali e del disordine
politico e morale che attanaglia il mondo. La lupa è un ostacolo insormontabile e spinge
nuovamente Dante all’interno della selva.

Dante incontra Virgilio – vv 61-90


Mentre sta indietreggiando verso la selva, Dante vede in penombra la figura di un uomo, al quale
chiede aiuto e se si tratti di un uomo vivo o l’anima di un defunto. La figura risponde di non essere
più un uomo, di aver avuto genitori lombardi e di essere originario di Mantova, si presenta poi come
Virgilio, il poeta latino vissuto ai tempi di Cesare Augusto durante il paganesimo e autore dell’Eneide.
Virgilio rimprovera Dante in quanto sta tornando indietro nella selva, mentre Dante dovrebbe
proseguire verso la cima del colle, principio di ogni salvezza. Dante guarda con ammirazione Virgilio
e gli dice di considerarlo il poeta più grande mai vissuto e che per lui è un maestro e modello di stile
poetico. Dante si giustifica con Virgilio, spiegandogli che è stato impossibile scalare il colle perché ha
incontrato una lupa e gli chiede aiuto affinché possa superare questo ostacolo.

La profezia del veltro – vv 91-111


Virgilio gli risponde che per salvarsi la vita dovrà fare un altro viaggio e che non è possibile superare
la lupa, la quale è un animale che uccide chiunque incontri. Tuttavia, un giorno arriverà un veltro, un
cane da caccia che, causando molto dolore e sofferenza alla lupa, la ricaccerà dentro l’Inferno da cui
proviene. Il veltro non avrà alcun interesse per i beni materiali e sarà interessato esclusivamente a
quelli spirituali; come patria, non avrà nessuna città in particolare. Il veltro salverà la patria nello
stesso modo in cui l’hanno salvata gli altri eroi che si sono sacrificati per essi.
 Il veltro si nutre di sapienza, carità e amore: non è interessato ai beni materiali ma solo a
quelli spirituali. Il veltro diviene allegoria di un misterioso personaggio in grado di realizzare
un profondo rinnovamento politico e sociale dell'Italia; sull'identità di questo personaggio gli
studiosi hanno fatto varie ipotesi (Papa Arrigo VII di Lussemburgo // Cangrande della scala).

Il viaggio di Dante nell’Oltretomba – vv 112-136


Virgilio invita Dante a seguirlo e gli spiega che dovrà tenere un viaggio per i tre regni dell’oltretomba;
vedrà così le anime dei dannati nell’Inferno, gli animi dei penitenti nel Purgatorio e quelle dei beati
nel Paradiso. Nel Paradiso, però, Virgilio non sarà più la sua guida e verrà sostituito da Beatrice
poiché il poeta, essendo stato pagano, non ha il permesso di entrare nel regno dei cieli. A queste
parole, Dante prega Virgilio di fargli da guida perché ansioso di vedere le pene dei dannati e la porta
di San Pietro.

Funzione del primo canto dell’Inferno


Il primo canto funge da prologo all’intero poema dantesco. Questo è confermato dal fatto che la
cantica del paradiso ha 33 canti, quella del purgatorio 33, mentre quella dell’inferno ne ha 34 in
quanto 33 canti appartengono all’inferno, mentre il primo canto è da considerare come canto
introduttivo dell’intero poema. In questo canto troviamo tre informazioni essenziali:
 viene presentata la situazione iniziale: Dante racconta di aver smarrito la dritta via e di essersi
perso in una selva oscura, per poi cominciare, sotto la guida di Virgilio, il cammino spirituale.
 Vengono spiegate le ragioni di questo viaggio allegorico: l’obiettivo di Dante è quello di
compiere un cammino di redenzione e purificazione della sua anima in modo tale da divenire
un modello per l’intera umanità
 Conosciamo la struttura dell’intero poema attraverso le parole di Virgilio, che dice a Dante
che dovrà affrontare un viaggio per i tre regni ultraterreni (inferno, purgatorio e paradiso)

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