La notte del 7 aprile dell’anno 1300 Dante, all’età di 35 anni, si smarrisce per una selva oscura e intricata, così angosciosa da risultare per lui difficile da descrivere. Dante non sa come sia finito all’interno di questa selva perché quando ci era finito era pieno di sonno. Tuttavia, sul far dell’alba, arriva ai piedi di un colle, in cima al quale vede dei raggi di sole: la vista del sole e il tempo primaverile fanno sorgere in lui la speranza di potersi salvare, così si volta e guarda la selva come un naufrago guarda il mare da cui si è appena salvato. La selva oscura è allegoria del peccato: la selva è aspra / selvaggia / forte / spaventosa al solo ricordo / poco meno amara della morte stessa; non giunge la luce divina e per questo è oscura. La selva è un elemento molto comune nella cultura occidentale e cristiana, dove essa era considerata un luogo misterioso, inquietante e intricato; in Dante assume un’ulteriore connotazione negativa, coerentemente con la tradizione biblico-patristica. Ritroviamo l’immagine della selva anche in un’altra opera di Dante, nel Convivio (capitolo 24 del IV trattato). Oltre alla selva, vi sono altri elementi caricati di un significato allegorico: il colle e il sole. Il colle è allegoria della via alla felicità terrena, la quale può essere raggiunta con la ragione che permette di ottenere le virtù cardinali (fortezza, temperanza, giustizia e prudenza). dante, vedendo dietro la vetta del colle il sole, cerca di scalarlo ma fallisce in quanto il sole rappresenta la salvezza e la grazia divina, per raggiungere le quali servono la ragione e le virtù teologali (fede, speranza e carità). Il sole è allegoria di Dio che si manifesta nella sua infinita misericordia al peccatore e con la sua luce divina rischiara le cose, dando loro il vero senso e facendo così riacquistare la speranza a chi l’aveva perduta.
Dante e le tre fiere – vv 31-60
Mentre sale il colle, una lonza dal pelo maculato, agile e snella, si para dinanzi a lui. Inizialmente, Dante è spaventato; tuttavia, avendo visto i raggi del sole ed essendo in primavera, Dante sente dentro di lui una speranza ed è convinto di oltrepassare la lonza. L’animale, però, lo spinge più volte indietro e, come se non bastasse, di fronte a Dante compaiono un leone, così rabbioso da far tremare l’aria, e una lupa famelica, così magra da sembrare carica di ogni bramosia. Dante perde dunque ogni speranza di riuscire a raggiungere la cima del colle e comincia a indietreggiare verso la selva. le tre fiere sono allegoria delle tre principali disposizioni peccaminose. Secondo una tradizione attestata dai commentatori medievali, la lonza sarebbe allegoria della lussuria, il leone della superbia e la lupa dell’avarizia e della cupidigia. Tuttavia, esistono altre letture di queste tre fiere: secondo un’altra interpretazione, le tre fiere sarebbero allegoria delle disposizioni del male punite nell’alto e basso inferno (la lonza sarebbe allegoria dell’incontinenza, il leone della violenza e la lupa della frode). Secondo un’altra lettura, le tre fiere sarebbero allegoria di Firenze, Francia e Roma, le tre potenze guelfe che hanno causato la corruzione della società. La lonza può essere identificata come una lince o con un leopardo e, a sostegno di queste identificazioni, vi sono rispettive teorie. L’identificazione della lonza con una lince è legittimata da un ricordo personale di Dante: si suppone che Dante, nel 1885, avesse visto una lince tenuta in gabbia nel palazzo del podestà a Firenze; nel I libro dell’Eneide, al verso 518, si parla di Cervier maculato, in riferimento alla lince. L’identificazione della lonza con un leopardo è giustificata da un passo biblico (triade biblica > leopardo, leone, lupo). La lupa è considerata la più pericolosa tra le tre fiere, causa di tutti i mali e del disordine politico e morale che attanaglia il mondo. La lupa è un ostacolo insormontabile e spinge nuovamente Dante all’interno della selva.
Dante incontra Virgilio – vv 61-90
Mentre sta indietreggiando verso la selva, Dante vede in penombra la figura di un uomo, al quale chiede aiuto e se si tratti di un uomo vivo o l’anima di un defunto. La figura risponde di non essere più un uomo, di aver avuto genitori lombardi e di essere originario di Mantova, si presenta poi come Virgilio, il poeta latino vissuto ai tempi di Cesare Augusto durante il paganesimo e autore dell’Eneide. Virgilio rimprovera Dante in quanto sta tornando indietro nella selva, mentre Dante dovrebbe proseguire verso la cima del colle, principio di ogni salvezza. Dante guarda con ammirazione Virgilio e gli dice di considerarlo il poeta più grande mai vissuto e che per lui è un maestro e modello di stile poetico. Dante si giustifica con Virgilio, spiegandogli che è stato impossibile scalare il colle perché ha incontrato una lupa e gli chiede aiuto affinché possa superare questo ostacolo.
La profezia del veltro – vv 91-111
Virgilio gli risponde che per salvarsi la vita dovrà fare un altro viaggio e che non è possibile superare la lupa, la quale è un animale che uccide chiunque incontri. Tuttavia, un giorno arriverà un veltro, un cane da caccia che, causando molto dolore e sofferenza alla lupa, la ricaccerà dentro l’Inferno da cui proviene. Il veltro non avrà alcun interesse per i beni materiali e sarà interessato esclusivamente a quelli spirituali; come patria, non avrà nessuna città in particolare. Il veltro salverà la patria nello stesso modo in cui l’hanno salvata gli altri eroi che si sono sacrificati per essi. Il veltro si nutre di sapienza, carità e amore: non è interessato ai beni materiali ma solo a quelli spirituali. Il veltro diviene allegoria di un misterioso personaggio in grado di realizzare un profondo rinnovamento politico e sociale dell'Italia; sull'identità di questo personaggio gli studiosi hanno fatto varie ipotesi (Papa Arrigo VII di Lussemburgo // Cangrande della scala).
Il viaggio di Dante nell’Oltretomba – vv 112-136
Virgilio invita Dante a seguirlo e gli spiega che dovrà tenere un viaggio per i tre regni dell’oltretomba; vedrà così le anime dei dannati nell’Inferno, gli animi dei penitenti nel Purgatorio e quelle dei beati nel Paradiso. Nel Paradiso, però, Virgilio non sarà più la sua guida e verrà sostituito da Beatrice poiché il poeta, essendo stato pagano, non ha il permesso di entrare nel regno dei cieli. A queste parole, Dante prega Virgilio di fargli da guida perché ansioso di vedere le pene dei dannati e la porta di San Pietro.
Funzione del primo canto dell’Inferno
Il primo canto funge da prologo all’intero poema dantesco. Questo è confermato dal fatto che la cantica del paradiso ha 33 canti, quella del purgatorio 33, mentre quella dell’inferno ne ha 34 in quanto 33 canti appartengono all’inferno, mentre il primo canto è da considerare come canto introduttivo dell’intero poema. In questo canto troviamo tre informazioni essenziali: viene presentata la situazione iniziale: Dante racconta di aver smarrito la dritta via e di essersi perso in una selva oscura, per poi cominciare, sotto la guida di Virgilio, il cammino spirituale. Vengono spiegate le ragioni di questo viaggio allegorico: l’obiettivo di Dante è quello di compiere un cammino di redenzione e purificazione della sua anima in modo tale da divenire un modello per l’intera umanità Conosciamo la struttura dell’intero poema attraverso le parole di Virgilio, che dice a Dante che dovrà affrontare un viaggio per i tre regni ultraterreni (inferno, purgatorio e paradiso)