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D I S C O R S I D E L B U D D H A
La saggezza che libera
Copyright © 2013 Pierluigi Confalonieri
Oscar Piccoli Saggi – Arnoldo Mondadori Editore, Milano, giugno 1995
Artestampa Edizioni, Modena, dicembre 2013
Responsabile Coordinamento
Pierluigi Confalonieri
A cura di
Pierluigi Confalonieri
Revisione di
Maria Teresa Goggia
EDIZIONI
ARTESTAMPA
EDIZIONI ARTESTAMPA
Viale Ciro Menotti, 170 – 41121 Modena
Tel. 059.239530 - Fax 059.246358
edizioni@edizioniartestampa.com
www.edizioniartestampa.com
IX
La Saggezza Che Libera
X
La Saggezza Che Libera
XI
Sommario
Presentazione XXI
Prefazione XXIII
PARTE PRIMA
XIII
La Saggezza Che Libera
PARTE SECONDA
XIV
Sommario
L’esperienza 86
La nascita del desiderio 86
La via di uscita 88
Note 91
Commento 95
Che cosa accade di fronte alla morte 95
Il treno del divenire 95
I binari 96
La preparazione 96
I creatori dei binari 97
Il momento della morte 99
La scelta dei binari 100
L’ approccio alla mente 100
XV
La Saggezza Che Libera
XVI
Sommario
6. Il discorso sull’amore
universale
PREMESSA
L’origine del discorso 203
Testo del discorso 207
COMMENTO 209
La pratica della benevolenza
nella meditazione Vipassana 209
Schema sulla pratica della meditazione
di benevolenza 214
La filosofia della benevolenza 217
I tre aspetti 218
L’etica individuale 220
L’etica collettiva 222
La protezione 223
La pratica attiva
delle virtù complementari 223
Lo sguardo sul lato buono 224
I nemici 225
Gli esercizi meditativi 227
Il metodo dell’irradiazione verso specifici individui 227
La sequenza 229
L’attitudine mentale 231
Il metodo dell’irradiazione impersonale 232
Il metodo dell’universalizzazione 234
Irradiazione generalizzata 235
Irradiazione specifica 236
Irradiazione direzionale 236
Gli undici benefici della pratica 237
L’influenza sugli altri 239
XVII
La Saggezza Che Libera
10. Il Rifugio
Testo del discorso 311
PARTE TERZA
XVIII
Sommario
XIX
La Saggezza Che Libera
Appendice A
Vipassana in Italia e nel mondo 373
Il finanziamento dei corsi 373
L’universalità 374
Le applicazioni di Vipassana nella società 375
La meditazione Vipassana per i manager 376
Siti consigliati 378
Appendice B
L’elenco dei centri di meditazione Vipassana 381
Elenco delle nazioni in cui si tengono corsi
in sedi provvisorie 387
XX
Presentazione
XXI
Prefazione
XXIII
La Saggezza Che Libera
XXIV
Prefazione
XXV
La Saggezza Che Libera
Fonti
Il testo è stato revisionato e ampliato per questa
edizione; sono stati aggiunti commenti di Goenka
ai discorsi del Buddha, articoli a cura del Vipassana
Research Institute V.R.I.*, uno scritto di U Ba Khin,
note e commenti liberamente tratti dai seguenti testi:
XXVI
Prefazione
XXVII
La Saggezza Che Libera
Abbreviazioni
I discorsi e le citazioni sono tratti dal Sutta Piþaka,
uno dei tre “canestri” del Tipiþaka (o Canone pali).
Sutta Piþaka è la raccolta che contiene i discorsi, i
sermoni e i dialoghi del Buddha, e di alcuni dei suoi
principali discepoli.
Le parti da cui sono tratte le citazioni hanno le
seguenti abbreviazioni:
XXVIII
Prefazione
Il metodo
Per l’adattamento dei testi si è tenuto conto delle
esigenze della lingua scritta, che sono differenti da
quelle dell’insegnamento orale. La ripetizione vocale
produce un ritmo che facilita l’ascolto e la memo-
rizzazione, mentre il testo richiede l’alleggerimento
dalle ripetizioni, che sono state tenute quando con-
cernenti importanti concetti relativi alla pratica.
Ho ritenuto opportuno suddividere in paragrafi
sia il testo dei discorsi e alcuni altri documenti, con
l’intento di facilitarne la comprensione.
Mi assumo la responsabilità per il lavoro di adat-
tamento, svolto al fine di divulgare il messaggio del
Buddha, col tentativo di rendere attuale il lessico e
di facilitare l’approccio al suo insegnamento.
Scopo di questa pubblicazione è di stimolare
all’esperienza della meditazione Vipassana, la ”sag-
gezza che libera” dalle catene della sofferenza. Il
mio contributo è stato quello di raccogliere una
documentazione che avvicinasse alla comprensione
dell’essenza dell’insegnamento e ispirasse alla pratica
meditativa.
Questo libro non è un manuale per imparare a
meditare. Qualsiasi riferimento alla meditazione è
finalizzato esclusivamente a inquadrare l’insegna-
mento, pertanto sconsiglio di utilizzarlo per iniziare
a meditare da soli.
XXIX
La Saggezza Che Libera
Ringraziamenti
Sono molto grato al mio maestro Goenka, per
aver ispirato questa raccolta.
Ringrazio in particolare Maria Caterina Cravi-
gnani, per l’impegno profuso nella traduzione dei
discorsi del Buddha, nel renderli fluenti e compren-
sibili al lettore moderno, e per la revisione della
prima edizione; Amadeo Solé-Leris per la preziosa
collaborazione nella revisione delle citazioni, delle
parole in lingua pali, per l’interpretazione di signi-
ficativi passaggi dei discorsi e di importanti termini
pali, e soprattutto per avermi insegnato a leggere
le parole del Buddha con le necessarie precisione e
attenzione; Ravindra Panth, insegnante e ricercatore
di lingua pali presso il Vipassana Research Institute
e Rick Crutcher, assistente di Goenka nell’insegna-
mento, che mi hanno pazientemente aiutato nella
scelta dei discorsi.
A Maria Teresa Goggia va la mia profonda gra-
titudine per la paziente e accurata revisione della
presente edizione.
Un ringraziamento va a M. Laura Roberti e Va-
leria Roncarolo per la traduzione di alcuni opuscoli
utilizzati nel libro, e soprattutto a tutti i meditatori
etc. a tutti i meditatori che, negli ultimi venticinque
anni, hanno contribuito in differenti modi alla tra-
duzione degli articoli inseriti in questa edizione, ora
a disposizione per il beneficio di tutti.
Pierluigi Confalonieri
Kandy, Sri Lanka, novembre 2013
XXX
PARTE
PRIMA
Cenni sulla vita
e l’insegnamento
del Buddha
La ricerca
di Siddhatta Gotama*
a cura del Vipassana Research Institute
Le origini
5
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
La scelta
Tutto ciò lo indusse a riflessioni che cambiarono
radicalmente il suo atteggiamento mentale. Sua mo-
glie aveva dato alla luce un figlio che avrebbe potuto
legarlo alla vita regale, ma Siddhatta decise che era
tempo d’abbandonare quel mondo privilegiato.
Scelse di vivere da eremita, di cercare la verità e una
via per sfuggire alla sofferenza di malattia, vecchiaia
e morte. Ruppe ogni legame con la famiglia e il suo
ambiente, e fece la “grande rinuncia”: non sarebbe
ritornato se non quando avesse portato a compi-
mento la sua missione.
6
PARTE PRIMA
7
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
La compassione
Eliminando le impurità mentali di bramosia e avver-
sione, la sua mente divenne libera dagli attaccamenti
alla condizione umana. Dopo l’illuminazione, il Bud-
dha trascorse alcune settimane godendo dell’ineffabile
pace del nibbána.* Decise poi, con infinita compassio-
ne, di far conoscere questa sublime verità, la legge di
natura che lo aveva portato alla perfetta saggezza del
risveglio. Il suo primo insegnamento fu per i cinque
asceti che lo avevano accompagnato al tempo della
sua pratica ascetica estrema e che, quando egli l’aveva
interrotta, lo avevano lasciato.
Ispirati dalle sue parole e dalla meditazione inse-
gnatagli, fecero esperienza della verità dell’imperma-
nenza, dell’origine della sofferenza, dell’insostanzia-
8
PARTE PRIMA
9
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
Il grande dono
del Buddha all’umanità*
Attraverso molte nascite ho vagato in questo ciclo
infinito del divenire, cercando, ma non trovandolo,
il costruttore di questa casa (mente-corpo, n.d.r.).
Ho continuato a nascere e rinascere nella sofferenza.
O costruttore, ora ti ho visto. Non potrai più costruire
alcuna casa: la trave di sostegno e tutti i travicelli del
tetto sono stati demoliti. La mente è libera da tutti
i condizionamenti. Ho raggiunto lo stadio libero da
ogni desiderio. (Dhp. 153-154)
10
PARTE PRIMA
11
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
12
PARTE PRIMA
13
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
14
PARTE PRIMA
15
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
16
PARTE PRIMA
17
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
Al ristorante
Uno è quello del cliente al ristorante: legge il
menu, si convince che la cucina sia ottima e quin-
di sente l’acquolina in bocca; ordina al cameriere
e mentre aspetta si guarda attorno e osserva l’aria
soddisfatta dei clienti già serviti. Ne deduce che il
cibo deve essere di ottima qualità. E dopo che è stato
servito, comincia a gustarlo davvero.
18
PARTE PRIMA
19
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
20
PARTE PRIMA
21
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
22
PARTE PRIMA
L’introspezione
È necessaria l’introspezione: dobbiamo esplorare
e sperimentare, perciò osserviamo il corpo e ciò che
accade in esso, coltivando piena attenzione e giusto
distacco; perciò impariamo a osservare il respiro che
entra e che esce dalle narici. L’osservazione del respi-
ro, con un allenamento diligente, conduce gradual-
mente alla consapevolezza delle sensazioni – intense
e sottili – in ogni parte del corpo. La sensazione fisica
è la manifestazione di un contenuto mentale. Osser-
viamo continuamente i tipi di mente che sorgono di
momento in momento, osserviamo continuamente
anche i diversi contenuti della mente. Diamo più
importanza all’osservazione del corpo perché le sen-
sazioni sono percepite dalla mente, ma sperimentate
nel corpo. Ogni impurità nella mente è intimamente
connessa con qualche sensazione nel corpo.
Vipassana è basata sulle sensazioni: per mezzo di
esse possiamo osservare la natura di mente-corpo e
arrivare a fare esperienza che il corpo è un insieme di
sottili particelle subatomiche che cambiano costan-
temente, sorgono e passano; che corpo e mente sono
privi di solidità e privi di essenza. Questo flusso sem-
pre mutevole del corpo e della mente può essere os-
servato solo con l’aiuto di una concentrazione acuta.
Possiamo sperimentare la realtà della sofferenza, e
anche l’assenza di un io. Cominciamo a comprendere
23
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
24
PARTE PRIMA
25
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
26
PARTE PRIMA
27
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
Una meditazione
concreta e attuale*
di S.N. Goenka
28
PARTE PRIMA
La soluzione
La soluzione del Buddha consente di affrontare
la negatività mentale, osservandola ogni volta che
sorge. Non appena la si osserva, essa inizia a perdere
la sua forza; lentamente s’indebolisce e così viene
eliminata. È una soluzione che evita i due estremi
di repressione e permissivismo. Se repressa nell’in-
conscio, la negatività non è sradicata; se espressa
nell’azione fisica o verbale, crea altri problemi. Ma
se la si osserva solamente, la negatività se ne va,
viene eliminata.
È una soluzione pratica: non si possono osservare
le negatività astratte, come paura, collera, passio-
ne; ma con esercizio e pratica adeguati, si possono
osservare il respiro e le sensazioni fisiche, entrambi
collegati direttamente con la negatività mentale. Si
apprende come osservare con equanimità qualsiasi
29
Cenni sulla vita e l’insegnamento del Buddha
La meditazione Vipassana
Questa esperienza diretta, questa tecnica di auto-
osservazione è la meditazione Vipassana, l’essenza
dell’insegnamento del Buddha. Vipassana significa
osservare le cose così come sono in realtà, non come
sembrano essere. Penetrare la realtà apparente fino a
raggiungere la realtà ultima della mente e del corpo.
Quando la si sperimenta, s’impara a non reagire, a
non creare più negatività e così, naturalmente, le
impurità accumulate sono eliminate. Ci si libera
dalla sofferenza e si sperimenta la vera felicità.
30
PARTE PRIMA
31
PARTE
SECONDA
L’insegnamento del
Buddha nei discorsi
Introduzione*
La lingua pali
38
PARTE SECONDA
39
L’insegnamento del Buddha nei discorsi
40
PARTE SECONDA
Criteri d’interpretazione
41
L’insegnamento del Buddha nei discorsi
42
1.
Il discorso sulla messa
in moto della ruota
del Dhamma
(Dhammacakkapavattana Sutta, S.LXI,11)
Testo del discorso*
45
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
46
PARTE SECONDA
Il processo di conoscenza
Il processo che dall’intuizione, attraverso la sag-
gezza e l’esperienza, mi ha aperto gli occhi, permet-
tendomi di scoprire concetti prima mai conosciuti,
si è svolto in tre fasi, per ognuna delle quattro nobili
verità.
–– Per la prima nobile verità, dapprima ho consta-
tato l’esistenza della sofferenza; quindi che que-
sta poteva essere diagnosticata e sperimentata;
poi che la diagnosi era stata fatta e la sofferenza
sperimentata.
–– Per la seconda nobile verità, dapprima ho capi-
to quale fosse la causa della sofferenza; poi che
la causa poteva essere estirpata, poi che essa era
stata estirpata.
–– Ho quindi intuito, compreso e verificato l’esi-
stenza della terza nobile verità: la fine della
sofferenza; poi ho capito che doveva essere spe-
rimentata; e in seguito che questa esperienza
era avvenuta.
–– Per la quarta nobile verità ho compreso quali
sono i mezzi per l’eliminazione della sofferenza;
47
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
48
PARTE SECONDA
49
Note
1. Queste tre parole sono sempre all’inizio dei
discorsi del Buddha, fin dal primo Concilio dei di-
scepoli, (v. nota a pag. 39) tenutosi tre mesi dopo la
morte dell’Illuminato. Il Venerabile Ananda ebbe il
compito di riportare tutti i discorsi. Poiché l’unico
modo a quei tempi era di memorizzarli e passarli
oralmente, prefisse a ogni discorso “Evaí me suttaí”
(Così io stesso ho udito) per testimoniarne perso-
nalmente l’autenticità.
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PARTE SECONDA
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1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
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PARTE SECONDA
53
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
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PARTE SECONDA
55
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
56
Commento*
di S.N. Goenka
58
PARTE SECONDA
59
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
I due estremi
Iniziò il suo primo discorso dicendo che chiun-
que intenda ottenere la liberazione, dovrebbe tenersi
lontano da due estremi: l’abbandonarsi ai piaceri dei
sensi e il torturare il proprio corpo.
Nel periodo che intercorre tra la presenza di un
Buddha e un altro, accade che il Dhamma gradual-
mente perda la sua purezza. Le persone continuano
a praticare la via di mezzo del puro Dhamma per un
certo tempo, poi si lasciano attirare dall’uno o dall’al-
tro estremo. Conoscono le parole del Buddha e ricor-
dano con chiarezza che lo scopo della vita è di uscire
dalla sofferenza del ciclo di morte e nascita; e che
questo avviene solo quando si è liberi da bramosia,
avversione e ignoranza. Tutto ciò rimane chiaro, ma si
dimentica il modo concreto di raggiungere lo scopo.
Qualcuno ricorda che, per raggiungerlo, occorre
abbandonare la vita laica, e compie questo passo. E
poi? Molti si lasciano attirare da uno degli estremi:
non si sono affrancati dal desiderio per il piacere
sensoriale, nonostante indossino la veste monasti-
ca. In certi monasteri vivono tutte le esperienze del
laico legate ai sensi. Veste monastica, riti e cerimonie
danno a qualcuno la convinzione di essere sulla stra-
da verso la liberazione; e questo è l’estremo in cui
cade chi, schiavo dei piaceri sensoriali, pensa di otte-
nere la liberazione grazie a manifestazioni esteriori.
All’estremo opposto, sono quei monaci che, per
ottenerla, ritengono necessario torturare il corpo,
considerandolo responsabile di tutti i condiziona-
menti negativi, nella convinzione che le impurità
siano eliminate con la penitenza. In entrambi i casi,
60
PARTE SECONDA
La via di mezzo
Poi, giunge un Illuminato, che insegna di nuovo
la via, quella del Dhamma puro, dove puro indica
che, se messo in pratica, si raggiunge lo scopo finale.
E le prime parole che pronuncia sono: “Dovete evita-
re i due estremi e prendere la via di mezzo”.
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1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
62
PARTE SECONDA
63
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
64
PARTE SECONDA
L’ insegnamento universale
Il Dhamma non è una questione di fede, ma tratta
della realtà che tutti possono sperimentare. La soffe-
renza è una verità che può essere toccata con mano;
anche la sofferenza al livello profondo delle sensa-
zioni più piacevoli, che scaturisce dall’attaccamento.
La sofferenza e la sua causa, la bramosia, non sono
limitate ai buddhisti, ma riguardano tutti, induisti,
cristiani, musulmani, agnostici e atei.
Il Buddha spiega questa verità in modo pragma-
tico. Indica la sofferenza, che è universale; la sua
causa che è universale; il modo in cui liberarsene
e raggiungere lo stato in cui non c’è più sofferenza,
anch’esso universale.
Il metodo insegnato ha come base la condotta mo-
rale (sila), che non è legata a una particolare tradizio-
ne, ma accomuna gli esseri umani. A essa, seguono
la concentrazione e la padronanza della mente mo-
mento dopo momento, per non generare impurità
(samádhi); e la saggezza sperimentale, che comporta
l’osservazione equanime delle impurità mentali,
accumulate in profondità, e il loro sradicamento
(paññá). Tutti gli strumenti di lavoro sono universali.
Un modo per verificare se una persona è piena-
mente illuminata o no, è quello di esaminare cosa
insegna: se l’insegnamento è settario o richiede
un’adesione irrazionale, contiene qualcosa di sba-
gliato. Le quattro verità espresse nel primo discorso
sono la prova che Siddhatta Gottama è un essere
pienamente illuminato: non hanno connotazioni
settarie, fideistiche, filosofiche o dogmatiche. Cor-
rispondono alle leggi naturali e alla realtà della vita.
65
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
66
PARTE SECONDA
67
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
La concretezza
Non è difficile aderire a verità evidenti come l’esi-
stenza della sofferenza. Moltissimi maestri hanno
affermato che il mondo ne è pervaso e molti maestri
ne hanno identificato la causa nella bramosia; altri
hanno insegnato che la sofferenza va sradicata con la
pratica di sìla, di samádhi e di paññá.
Qual è allora la peculiarità del Buddha? La con-
cretezza: il Buddha insegna come sperimentare, non
insegna una filosofia, un’ideologia o un principio.
Egli si è reso conto che, se non sperimentata, anche
la migliore o la più esatta delle teorie, non porta alla
liberazione. È inutile sostenere “Questa è la verità
che un Illuminato ha realizzato e trasmesso con
l’insegnamento, è ragionevole e pragmatica e quindi
l’accetto”.
L’eccellenza di un Illuminato è costituita dalla sua
concretezza. Non si diventa Buddha teorizzando: le
teorie possono essere buone, ma da sole non produ-
cono quei risultati che si ottengono soltanto con la
pratica meditativa. Il Buddha ha raggiunto la meta
praticando, e tutti possono seguire il suo esempio. Ai
tempi del Buddha in molti credevano che, torturan-
do il proprio corpo, avrebbero estirpato le impurità
e avanzato verso la liberazione. Per questa ragione lo
stesso Buddha, prima dell’illuminazione, pur avendo
sperimentato alti stadi di concentrazione, utilizzò il
metodo delle penitenze corporali. E continuò fino a
che, grazie alla concentrazione, scorse dentro di sé il
permanere delle impurità mentali, e si rese conto che
quel metodo non aveva per lui senso e lo lasciò. In
seguito giunse alla scoperta della “via di mezzo”.
68
PARTE SECONDA
69
1. Il discorso sulla messa in moto della ruota del Dhamma
L’impegno personale
Ognuno deve impegnarsi per la propria libera-
zione. Chi ha sviluppato buone qualità e ha meno
impurità mentali, ascoltando le parole del Buddha e
sperimentando la verità dentro di sé, può raggiunge-
re lo stato del nibbána.
È raro che qualcuno diventi un Buddha, perché
ci vogliono eoni per sviluppare quelle qualità che
permettono di aiutare gli altri a liberarsi. L’evento
del raggiungere la liberazione e del mettere in moto
la ruota del Dhamma è eccezionale. E questo even-
to straordinario genera vibrazioni di una potenza
straordinaria, che si estendono nell’universo intero.
Perciò tutti gli esseri, visibili e invisibili, che possie-
dono semi del Dhamma o che hanno praticato con
il Buddha, captando quelle vibrazioni, si rallegrano
indicibilmente di quanto è avvenuto.
Con esultanza essi annunciano che a Varanasi,
Isipattana, Mideldai, un Buddha, unico a poterlo
fare, ha messo in moto la ruota del Dhamma. Tale è
l’annuncio degli esseri invisibili della terra; poi la vi-
brazione sale e si estende e raggiunge gli esseri di altri
mondi celesti. E mentre egli insegnava, qualcuno
70
PARTE SECONDA
71
2.
Il discorso
sulla fine della causa
della sofferenza
(Mahátaóhasankhayasutta, M. 38)
Premessa*
76
Testo del discorso*
77
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
78
PARTE SECONDA
79
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
80
PARTE SECONDA
81
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
82
PARTE SECONDA
83
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
84
PARTE SECONDA
Le domande inutili
– Monaci, avendo sperimentato tutto ciò, e ca-
pito come avviene, vi metterete forse a rimuginare
sul passato: - Prima di questa vita, noi esistevamo o
no? Cos’eravamo nel passato? Che cosa facevamo?
Com’era la nostra vita precedente, e di quale altra
vita passata porta le conseguenze?
– No, Signore.
– Oppure, vedendo e conoscendo come funziona
questa legge, vi lascerete andare a fantasticare sul fu-
turo: - Rinasceremo oppure no? Chi saremo in un’al-
tra vita, sotto che forma rinasceremo? In conseguenza
delle nostre vite passate, quale sarà il nostro futuro?
– No, Signore.
– O forse, dopo aver compreso per esperienza le
cose come stanno realmente, avrete dubbi su voi
stessi e sulla vostra vita attuale, pensando: - Ma io ci
sono o non ci sono? Che cosa sono, come sono, da
dove viene la mia esistenza, e dove andrà?
– No, Signore.
– O forse, dopo aver sperimentato il mio insegna-
mento, penserete: il Buddha è il nostro maestro e,
85
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
L’esperienza
– Monaci, non parlate forse unicamente di ciò che
voi stessi, personalmente, avete visto e sperimentato
con la vostra saggezza?
– Sì, Signore.
Molto bene, o monaci. Vi ho rivelato questa legge,
universale e immutabile, che ciascuno è chiamato a
sperimentare, a verificare di persona, che il saggio
deve comprendere da solo, e che porta alla completa
liberazione. Ecco: tutto ciò che ho detto, che ho in-
segnato, è basato su questa legge.
86
PARTE SECONDA
87
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
La via di uscita
Ma quando nel mondo appare un Tathágata (12),
un essere perfetto e illuminato, ognuno può capire
il valore dell’insegnamento e acquistare fiducia. Con
questa fiducia, segue scrupolosamente la condotta
morale (sìla), base di tutta la pratica, e si dedica
agli esercizi di concentrazione mentale (samádhi) e
osservazione equanime (sati) del corpo, finché riesce
a liberarsi dai cinque ostacoli che confondono la
mente (13) e indeboliscono la saggezza intuitiva e la
comprensione profonda.
Allora, distaccato dai piaceri sensoriali e dagli stati
mentali nocivi, entra e permane nel primo stadio di
88
PARTE SECONDA
89
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
90
Note
1. Il nutrimento è qui inteso come causa che de-
termina un effetto; e la coscienza sorge perché, nella
catena dell’origine interdipendente, è stimolata a
essere dalla spinta al divenire.
91
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
92
PARTE SECONDA
93
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
94
Commento
95
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
I binari
Questo treno del divenire, alimentato dall’elettri-
cità delle reazioni compiute, continua a correre da
una stazione a quella seguente, su di un binario o l’al-
tro. Il cambiamento di binario – il passaggio da una
vita all’altra – avviene in accordo alle leggi di natura;
le stesse leggi naturali secondo cui il ghiaccio si scio-
glie e si forma. L’incrocio della morte, dove avviene
il cambio di binari, è di grande importanza: la vita
viene abbandonata, in pali cuti (scomparsa o morte).
Avviene l’abbandono del corpo e, immediatamente,
inizia la vita successiva: questo processo – paþisandhi
– è il concepimento o inizio della vita. Esso è il ri-
sultato del momento della morte, cioè il momento
della morte determina il momento del concepimen-
to. Poiché ogni momento di morte crea il momento
seguente di nascita, la morte è anche nascita.
La preparazione
All’incrocio, la vita si trasforma in morte e la
morte in nascita. Perciò ogni vita è una preparazione
per la morte. Se si è saggi, si userà questa vita nel
modo migliore per prepararsi a una buona morte.
96
PARTE SECONDA
97
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
98
PARTE SECONDA
99
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
100
PARTE SECONDA
101
2. Il discorso sulla fine della causa della sofferenza
102
3.
Discorsi sulle
sensazioni fisiche*
(Vedaná Saíyuttaí, S.36)
La corretta visione
(Daþþhabbena sutta, S.36.5)
Un colpo di freccia
(Sallena sutta, S.36.6)
Il discorso dell’infermeria
(Pathamagelanna sutta, S.36.8)
L’impermanenza
(Anicca sutta, S.36.9)
L’importanza della
sensazione fisica*
a cura del Vipassana Research Institute
105
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
106
PARTE SECONDA
107
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
108
PARTE SECONDA
109
L’impermanenza*
a cura del Vipassana Research Institute
110
PARTE SECONDA
111
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
112
PARTE SECONDA
113
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
114
PARTE SECONDA
115
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
116
Testi dei discorsi
La corretta visione
(Datthabbena sutta, S. 36.5)
117
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
Un colpo di freccia
(Sallena Sutta, S. 36.6)
118
PARTE SECONDA
119
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
Il discorso dell’infermeria
(Pathamagelanna sutta, S. 36.8)
Corpo e mente
Lasciando da parte ogni bramosia e avversione
verso tutti i fenomeni materiali e mentali, il me-
ditatore deve praticare, con fervore, la costante e
completa comprensione dell’impermanenza mentre
osserva il suo corpo; poi mentre osserva le sensazio-
ni. Inoltre, anche quando osserva la sua mente, e
osserva i contenuti mentali, deve sempre lasciar da
parte bramosia e avversione nei confronti di tutti
i fenomeni materiali e mentali, e praticare, con
fervore, la massima consapevolezza e la costante e
completa comprensione dell’impermanenza di tutti
i fenomeni mentali e fisici.
120
PARTE SECONDA
121
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
Il processo di eliminazione
(...) Vediamo ora che cosa avviene quando il me-
ditatore zelante e consapevole dell’impermanenza
sente una sensazione piacevole: immediatamente si
rende conto che è sorta, che deve avere un fonda-
mento, e che questo fondamento è il suo corpo. Egli
sa che il corpo è effimero, composto, e originato da
cause. E sa che, se la sensazione è frutto del corpo
impermanente, come può essere permanente? E al-
lora, osserva la sensazione corporea, come s’indebo-
lisce, come svanisce poco a poco, fino a scomparire.
Così, in conseguenza del fatto che egli si rende
conto della natura effimera del corpo e delle sue
sensazioni, osservandone il loro sorgere e passare,
il profondo condizionamento di bramosia, che si
era formato in lui nei confronti del corpo e delle
sensazioni piacevoli, comincia a essere eliminato.
Lo stesso processo avviene quando il meditatore
sperimenta sensazioni sgradevoli. Il fatto di osser-
varne la transitorietà, insieme alla consapevolezza
che il corpo, in cui le sensazioni si manifestano, è
esso stesso effimero e destinato a passare, estirpa dal
profondo della sua mente l’abitudine di reagire con
avversione a ogni sensazione spiacevole. Quando il
meditatore procede allo stesso modo riguardo alle
sensazioni neutre, il condizionamento d’ignoranza
nei confronti delle sensazioni neutre è eliminato.
Questi tre condizionamenti vengono meno quan-
do il meditatore non solo osserva il sorgere, il gra-
duale svanire e finire dei tre tipi di sensazioni, ma
vede anche come egli riesca a liberarsi del suo attac-
camento verso di esse. Qualsiasi sensazione sorga nel
122
PARTE SECONDA
123
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
L’impermanenza
(Aniccasutta, S.36.9)
124
Commento*
di S.N. Goenka
La reale natura
delle sensazioni
125
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
126
PARTE SECONDA
127
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
128
PARTE SECONDA
129
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
130
PARTE SECONDA
131
3. Discorsi sulle sensazioni fisiche
132
PARTE SECONDA
133
4.
Il discorso
sull’inesistenza dell’io
(Anatta lakkhaóa sutta, S. XXII,59)
Premessa*
137
4. Il discorso sull’inesistenza dell’io
L’esplorazione dell’io
L’esplorazione della verità nel proprio corpo e
nella propria mente è l’auto-realizzazione indicata
dal Buddha. Egli non intende la realizzazione di un
immaginario io ideale, ma un’esplorazione continua,
meticolosa, dal grossolano al sottile, sempre più in
profondità, che inizia dal corpo: si osservano le sen-
sazioni e ci si accorge che non si ha alcun controllo
su di esse. Poi, si osserva l’aggregato mentale – saññá
– che identifichiamo come io, che osserva come per-
cepiamo le cose e la classificazione che ne diamo.
Ogni classificazione e ogni percezione è legata a
condizionamenti che ciascuno porta in sé, perciò si
ha sempre una visione parziale e distorta della realtà.
E questa discriminazione provoca sofferenza. Così
accade anche con l’aggregato mentale della coscien-
za, viññáóa: c’è l’illusione che quest’aggregato sia l’io,
io conosco, o io vedo, oppure io sento.
Altri aspetti del corpo e della mente appaiono
più chiaramente impermanenti: ci accorgiamo che
le sensazioni cambiano, che i giudizi cambiano, le
reazioni cambiano. Ma viññáóa, la coscienza, questo
conoscere legato ai sei sensi (vista, udito, odorato,
gusto, tatto e mente) è vittima dell’illusione che c’è
un io, che c’è un io che agisce. È un’illusione dif-
ficile da smascherare. Ma, se si prosegue in questo
cammino di comprensione della verità sulla propria
struttura fisica e mentale, si verificherà che ci sono
sei coscienze, una per ogni senso.
L’occhio viene in contatto con qualcosa e sorge
un’attività mentale, (che è l’accorgersi del contatto
avvenuto a livello dell’occhio). Essa è la coscienza
138
PARTE SECONDA
139
Testo del discorso
140
PARTE SECONDA
141
4. Il discorso sull’inesistenza dell’io
142
PARTE SECONDA
143
Commento*
di S.N. Goenka
144
PARTE SECONDA
145
4. Il discorso sull’inesistenza dell’io
Il corpo è impermanente
Avendo trovato il momento giusto per pronun-
ciarlo, il Buddha si rivolge ai monaci:
Monaci, tutto è impermanente, compreso il no-
stro corpo. Se fosse in nostro controllo, dovremmo
possederlo, dovremmo padroneggiarlo. Dovremmo
poter dire: Tu, corpo, devi rimanere sempre così -
oppure - non devi rimanere così. Ma sul corpo non
abbiamo controllo. Se così fosse, non avremmo mai
sofferto a causa sua. Infatti, lo avremmo tenuto come
vorremmo fosse, sanissimo e fortissimo. Invece, può
diventare e diventerà debole e malato, e noi non pos-
siamo farci nulla. Questo dimostra che non abbiamo
nessun possesso del corpo, che non c’è un io riferi-
bile a esso, nessun mio, nessuna anima. Tutto ciò a
cui attribuiamo il nome di io, mio, la mia anima, va
esaminato.
Il renderci conto della realtà di noi stessi, l’auto-
realizzazione, significa che dobbiamo giungere alla
conoscenza, cioè fare esperienza della realtà del
corpo. Perché la prima cosa che incontriamo è la
realtà del corpo fisico, che chiamiamo io e mio e con
cui ci identifichiamo.
146
PARTE SECONDA
Le reazioni mentali
sono impermanenti
Questo vale anche per la percezione, saññá, un
componente mentale che identifichiamo con l’io;
ma neppure la percezione è me, è mia, è la mia
anima. E saókhára, la reazione mentale, cos’è? È forse
me, mia, la mia anima? No, non lo è. Saókhára ha
un significato esteso, spiegarlo con una sola parola
è impossibile: significa qualche cosa che si compie,
che si compone, che avviene.*
147
4. Il discorso sull’inesistenza dell’io
148
PARTE SECONDA
Tutto è senza un io
Tutto ciò che viene creato è animato o inanimato;
quel che è animato è una combinazione di mente
e materia: vibrazioni prodotte da reazioni. Così ci
sono innumerevoli e differenti esseri, che per con-
venzione è necessario definire, ma che in realtà
sono una massa di vibrazioni. Il meditatore inizia
a comprendere che si tratta di fenomeni transitori,
che non c’è un io, un’entità, un’anima che dura in
eterno, senza mutare. Ecco perché tutto è anattá,
senza un io, e tutti i saókhára, le varie combinazioni
di reazioni e vibrazioni, sono senza un io.
La coscienza
Anche per il principiante è chiaro che il corpo non
è il suo io, non è suo; così per la sensazione – vedaná, la
percezione – saññá, e la reazione – saókhára. Ma quan-
do si tratta della coscienza – viññáóa, il conoscere, ci si
chiederà: “Chi è che conosce?” e la risposta sarà: ”Io
conosco, senza dubbio. Io vedo, io odo, io odoro, io
gusto, io tocco, io penso”.
La coscienza o l’atto del conoscere, è realmente
l’io, la mia anima?
Procedendo nella meditazione si giungerà allo
stadio in cui si comprenderà come la coscienza si
compone di sei parti. La coscienza che sorge quando
un oggetto viene in contatto con gli occhi; quella
che sorge quando un suono viene in contatto con
l’orecchio, etc. La coscienza della vista non può
compiere il lavoro di quella dell’udito, dell’odorato,
149
4. Il discorso sull’inesistenza dell’io
Le particelle subatomiche
– “Cosa ne pensate? Questa struttura fisica formata
da kalápas, particelle subatomiche in continuo mu-
tamento, è permanente o impermanente? E ciò che è
impermanente è fonte di felicità? C’è forse un io in
questo continuo sorgere e passare”?
Poiché i monaci continuavano a meditare mentre
il Buddha spiegava, realizzavano ciò che veniva loro
insegnato, ne facevano esperienza. Il Buddha conti-
nuò a descrivere la realtà delle kalápas, o particelle
subatomiche che compongono la materia, di come
ognuna di esse e ogni suo raggruppamento vada
sperimentato sino in fondo, in ogni parte del corpo,
e osservato continuamente momento dopo momen-
to. E di come in questo modo ci si renda conto che
anche i quattro elementi della mente (coscienza, per-
cezione, sensazione, reazione) sorgano e passino con-
tinuamente. Con l’esperienza dell’impermanenza, i
monaci cominciarono a sviluppare distacco, equani-
mità, che, gradualmente approfondendosi, li portò
a sperimentare il primo stadio di liberazione, poi il
secondo e il terzo fino alla completa liberazione.
E si resero conto che sì, ciò che doveva essere fatto
era stato fatto, e compresero che si erano liberati da
ogni vincolo e raggiunto il risveglio. E così cinque
liberati apparvero nel mondo, mentre il Buddha
spiegava. Come Koóðañña durante il primo in-
150
PARTE SECONDA
151
5.
Il discorso
sui fondamenti
della consapevolezza
(Saþipaþþhána sutta, M.10)
Premessa
155
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
La consapevolezza
delle sensazioni*
a cura del Vipassana Research Institute
156
PARTE SECONDA
157
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
La sensazione
Che cos’è esattamente la sensazione? Il Buddha ne
descrisse due differenti aspetti, e la annoverò fra le
quattro attività mentali. Dopo averlo sperimentato, af-
fermò che la sensazione si manifesta in forma sia fisica
che mentale. Non possiamo, infatti, percepire il corpo
senza la mente. É la mente che sente, ma ciò che sente è
inscindibile dall’elemento fisico. L’elemento fisico della
sensazione è d’importanza fondamentale nella pratica
della meditazione insegnata dal Buddha.
Secondo l’insegnamento dell’origine interdipen-
dente, a ogni contatto fisico e mentale, si produce
una sensazione nel corpo. Nello stesso istante, ha
luogo, nella mente, una reazione inconscia di pia-
cere o antipatia nei confronti della sensazione. Se
questa reazione si ripete, e gradualmente s’intensifi-
ca, si trasforma in bramosia o avversione, e acquista
una forza tale da sopraffare la nostra mente conscia.
La scintilla della sensazione ha così modo di ac-
cendere un grande fuoco e crearci difficoltà. Per
impedire che il processo reattivo inizi, dobbiamo
permettere a ogni scintilla di esaurirsi, senza che in-
neschi un incendio. Per fare questo, è indispensabile
accorgerci subito della sensazione sorta, rimanere
equanimi, e osservare oggettivamente che la sensa-
zione così com’è sorta, se ne va.
158
PARTE SECONDA
L’anello mancante
Le cause della sofferenza sono la bramosia e l’av-
versione. Quando un oggetto entra in contatto con
i cinque sensi e con la mente, siamo abituati a pen-
sare che le nostre reazioni (di bramosia e avversione)
siano rivolte verso l’oggetto. Ma il Buddha scoprì
159
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
160
PARTE SECONDA
161
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
Il percorso dell’osservazione
e della comprensione
Il discorso inizia trattando dell’osservazione del
corpo, perché esso è la manifestazione più concreta
dell’essere umano, e quindi la base idonea da cui
iniziare l’auto-osservazione. In seguito, sono illu-
strati i differenti metodi per osservare il corpo. Il più
comune, quello che il Buddha stesso usò, è la con-
sapevolezza del respiro. Altri sono la consapevolezza
dei movimenti del corpo, delle posizioni ecc, ecc. In
qualsiasi modo iniziamo l’esplorazione, per arrivare
alla meta finale dobbiamo passare per stadi ben defi-
niti e individuati dall’Illuminato, che li descrisse nel
seguente fondamentale paragrafo:
162
PARTE SECONDA
163
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
164
PARTE SECONDA
165
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
Il fine ultimo
Finché resteremo nell’ambito della mente e della
materia, persisteranno sensazioni e sofferenza. Esse
avranno fine solo quando ne andremo al di là, speri-
mentando la realtà ultima del nibbána.
Il Buddha disse:
166
Testo del discorso*
167
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
L’abile tornitore
Paragoniamo questa pratica all’attività di un abile
tornitore, che, girando il tornio, sa perfettamente se
la rotazione che gli sta imprimendo è lunga o breve.
168
PARTE SECONDA
Come osservare
Il meditatore, quindi, osserva il proprio corpo sia
all’interno sia in superficie e poi sia all’interno sia in
superficie, contemporaneamente. E lo osserva, prima
notando il fenomeno del sorgere delle sensazioni, e
poi il fenomeno dello svanire delle sensazioni, per
poi arrivare a osservare come queste sensazioni, non
appena sorgono, immediatamente passano. Allora
il meditatore, con questa continua consapevolezza
e completa comprensione dell’impermanenza, si
rende conto: ecco il corpo. (5)
E svilupperà questa consapevolezza del sorgere e
svanire delle sensazioni, fino al punto che rimarrà
solo la pura consapevolezza di questi fenomeni in-
sieme alla comprensione della loro impermanenza.
E così, perfettamente equanime, non proverà bra-
mosia e avversione per ciò che esiste nel mondo
fisico e nel mondo mentale.
Ecco, come i meditatori devono praticare l’osser-
vazione del corpo nel corpo. (6)
169
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
170
PARTE SECONDA
171
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
172
PARTE SECONDA
173
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
174
PARTE SECONDA
175
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
a) I cinque ostacoli.
176
PARTE SECONDA
177
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
178
PARTE SECONDA
179
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
180
PARTE SECONDA
181
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
182
Note
1. La parola bhikkhu significa monaco, ma vi sono
numerosi discorsi che il Buddha tenne alla presen-
za di laici, meditatori e no, alcuni dei quali a loro
specificamente diretti. Di conseguenza, chiunque,
monaco o laico, sia incamminato sul cammino di
Dhamma, può trarne vantaggio. Ecco perché abbia-
mo scelto frequentemente la parola meditatore, al
posto del termine monaco.
183
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
184
PARTE SECONDA
185
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
186
PARTE SECONDA
187
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
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PARTE SECONDA
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5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
190
PARTE SECONDA
191
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
192
PARTE SECONDA
193
Commento
La sensazione, chiave
del Saþipaþþhána*
di S.N. Goenka
La realtà fisica:
kayánupassaná e vedanánupassaná
194
PARTE SECONDA
195
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
196
PARTE SECONDA
La realtà mentale:
cittánupassaná e dhammánupassaná
197
5. Il discorso sui fondamenti della consapevolezza
198
PARTE SECONDA
199
6.
Il discorso sull’amore
universale
(Karanìya metta sutta, Sn 1.8)
PREMESSA
203
6. Il discorso sull’amore universale
204
PARTE SECONDA
205
6. Il discorso sull’amore universale
206
Testo del discorso
207
6. Il discorso sull’amore universale
208
COMMENTO
209
6. Il discorso sull’amore universale
210
PARTE SECONDA
211
6. Il discorso sull’amore universale
212
PARTE SECONDA
213
Schema sulla pratica
della meditazione di
benevolenza: Mettá*
di Bikkhu Bodhi
214
PARTE SECONDA
215
6. Il discorso sull’amore universale
L’intensificazione:
“Come una madre, con tutta se stessa, protegge
la vita del suo figlio unico, a rischio della sua, così
si dovrebbe sviluppare benevolenza smisurata verso
tutti gli esseri.”
L’espansione:
“Sviluppare una benevolenza smisurata verso
tutto il mondo; in alto, in basso, dappertutto, senza
confini, senza inimicizia e senza ostilità.”
216
PARTE SECONDA
217
6. Il discorso sull’amore universale
I tre aspetti
Il discorso è diviso in tre parti. La prima riguarda
la sistematica applicazione della gentilezza amore-
vole nella condotta quotidiana. La seconda parte,
la gentilezza amorevole come autonoma tecnica di
meditazione che conduce alla concentrazione. La
terza parte sottolinea la dedizione totale alla filosofia
dell’amore universale, con le sue implicazioni per-
218
PARTE SECONDA
219
6. Il discorso sull’amore universale
L’etica individuale
Nell’insegnamento del Buddha, l’etica corrisponde
alla condotta morale di retta parola, retta azione e
retto mezzo di sostentamento. Come beneficio im-
mediato dà benessere: essa porta felicità e pace della
mente, non dà luogo a rimorso, preoccupazione e
irrequietezza, ma favorisce assenza di paura e presen-
za di sicurezza. La condotta morale conduce anche
a una rinascita felice, che consente di progredire sul
sentiero della liberazione spirituale, oltre a costituire
la base per progredire nel Dhamma qui e ora.
Quest’etica è duplice: la realizzazione sia di virtù
(caritta), sia di precetti d’astinenza (varitta). Nel
caritta è presentata come segue (qui la traduzione è
diversa da quella proposta dal curatore, ma l’essenza
del significato è la stessa, n.d.r.):
220
PARTE SECONDA
221
6. Il discorso sull’amore universale
L’etica collettiva
Non è sufficiente l’essere buoni, ma, in conside-
razione anche del benessere altrui, ci si deve anche
mostrare buoni; perché una vita esemplare va vissuta
per il bene di tutti, per il benessere della società.
Nel nostro mondo competitivo, dove vige la ri-
cerca di piacere e possesso, vivere una vita semplice
significa ri-orientare mentalità e comportamento.
Mettá promuove il benessere di tutti e si regge sulla
sobrietà; e richiede la scelta, (ponderata e basata sul
loro significato e senso), delle attività che conduca-
no al benessere di tutti coloro che ne sono coinvolti,
ad ampio raggio.
Il parametro per giudicare la salute mentale di
una società è la diminuzione dei bisogni, cioè, la
capacità di appagamento. Una vita materialista ed
egocentrica caratterizzata dal loro aumento, è anche
connotata dall’irrequietezza, che si manifesta, per
esempio, nell’essere sempre indaffarati e attivi e/o
privi di moderazione e autocontrollo.
222
PARTE SECONDA
La protezione
Mettá è anche definita paritta, termine che designa
una formula spirituale capace di salvaguardare il
proprio benessere, proteggere dai pericoli e soccor-
rere nelle disavventure e sfortune.
Questa protezione purifica e rafforza la mente,
risveglia i potenziali latenti, portando la trasforma-
zione della personalità. Così cambiata, la mente non
è più preda dell’avversione (avidità, odio, concupi-
scenza, gelosia e da altri fattori che la inquinano).
La pratica attiva
delle virtù complementari
Mettá implica il “superamento” dei tratti negati-
vi con la pratica attiva delle virtù complementari.
Per esempio, la pratica attiva di amabilità, rispetto,
considerazione verso tutti gli esseri, può far superare
la tendenza opposta alla molestia. E questo vale per
tutte le qualità. Insieme a questa scelta di condotta,
si coltiva la mente con la meditazione mettá-bhávaná,
che genera pensieri potenti e amore spirituale illi-
mitato, rendendo la coscienza infinita e universale.
Il superamento di un tratto negativo con la coltiva-
zione del suo opposto, implica un approccio matu-
ro alla vita: una condotta amorevole in un mondo
dove l’interazione inconsapevole è fonte di tensioni
e sofferenze. Poiché si concepisce nella mente questa
qualità di amore, essa è priva di pensieri malevoli.
Per questa ragione nasce la definizione “amore uni-
223
6. Il discorso sull’amore universale
224
PARTE SECONDA
I nemici
I cinque aspetti contrari a mettá sono:
–– la molestia, la tendenza a opprimere o danneg-
giare;
–– l’aggressività, intesa come tendenza a far male
o ferire;
–– la tortura, la tendenza a tormentare, imponen-
do dolore e infelicità;
–– la distruttività, la tendenza a eliminare e al porre
fine, il tratto dell’estremista e dell’iconoclasta;
–– la vessazione, la tendenza a colpevolizzare, tur-
bare o causare preoccupazione e tensione. Sono
radicate in antipatia e malevolenza, nel com-
portamento, nello stato psicologico e nell’at-
teggiamento mentale.
Nel praticare mettá, vanno conosciute le emozioni
che la vanificano, sia a lei simili (nemici vicini, nella
definizione del Visuddhimagga), sia a lei dissimili,
(nemici lontani).
Avidità, lussuria, affetto mondano e sensualità
sono simili e quindi nemici vicini. Di essi, si do-
vrebbe diffidare perché creano autoinganno, la cosa
225
6. Il discorso sull’amore universale
226
PARTE SECONDA
Il metodo dell’irradiazione***
verso specifici individui
Questo metodo ha il fine d’aumentare il giusto
distacco da se stessi.
227
6. Il discorso sull’amore universale
228
PARTE SECONDA
La sequenza
Dopo aver irradiato pensieri di mettá nella sequen-
za elencata – verso se stessi, verso l’insegnante di
*
229
6. Il discorso sull’amore universale
230
PARTE SECONDA
L’attitudine mentale
È significativa la spiegazione di queste righe nei
commentari:
“Libero da ostilità” indica assenza di ostilità, sia
suscitata da sé sia da altri. L’ostilità verso se stessi
può prendere la forma di auto-compatimento, ri-
morso o di un paralizzante senso di colpa. E può
essere condizionata dall’interazione con gli altri:
l’ostilità unisce rabbia e inimicizia.
“Libero da afflizione” significa assenza di dolore o
sofferenza fisica.
“Libero da angoscia” significa assenza di soffe-
renza mentale, angoscia o ansia, che spesso segue
l’ostilità o la sofferenza fisica. Tutti questi termini
sono interconnessi: solo quando si è liberi da ostili-
tà, sofferenza e angoscia si “vive felicemente”, cioè ci
si sente felici e a proprio agio.
Buddhaghosa fornisce un’analogia adatta per la
rottura delle barriere: “Un meditatore siede con
una persona che rispetta, con un suo caro, con una
persona neutra e una persona ostile o malvagia.
Supponete che arrivino dei banditi e gli domandino:
‘Amico, vogliamo uno di voi per compiere un sacri-
231
6. Il discorso sull’amore universale
Il metodo dell’irradiazione
impersonale
Questo metodo ha il fine di rendere la mente
onnicomprensiva, come suggerisce il termine pali
mettá-cetovimutti, “la liberazione della mente attraver-
so l’amore universale.”
Dopo aver completato l’irradiazione verso indivi-
dui specifici (metodo precedente), quando la mente
rompe le barriere esistenti tra se stessi e chi è rispet-
tato, amato, neutro e ostile, il meditatore intrapren-
de il viaggio attraverso il vasto, incommensurabile
oceano dell’ “irradiazione impersonale”, come la
nave transoceanica viaggia nel vasto, incommensu-
rabile oceano, mantenendo rotta e meta. La mente
non liberata è prigioniera entro le mura di egocen-
trismo, avidità, odio, illusione, gelosia e meschinità:
nella morsa di questi fattori inquinanti e limitanti,
rimane isolata e impastoiata. Mettá rompe questi
legami e libera la mente, e la mente liberata diventa
232
PARTE SECONDA
233
6. Il discorso sull’amore universale
Il metodo dell’universalizzazione
Secondo la cosmologia del buddhismo, ci sono
innumerevoli sistemi di mondi abitati da categorie
infinitamente varie di esseri, in fasi evolutive diverse.
La Terra è un granellino nel nostro sistema mondo,
che, a sua volta, è un minuscolo punto nell’univer-
so, con i suoi innumerevoli sistemi di mondi. Verso
tutti gli esseri e ovunque, dovremmo irradiare pen-
sieri di amore sconfinato. Questo metodo si mette
in pratica in tre modi: irradiazione generalizzata,
irradiazione specifica, irradiazione direzionale.
(…) In ciascuno di essi, si può usare come pensie-
ro da irradiare, una delle quattro frasi della formula
base “Che essi possano essere liberi dall’ostilità, libe-
ri dalla sofferenza, liberi dall’angoscia; possano essi
vivere felicemente”.
234
PARTE SECONDA
Irradiazione generalizzata
(…) L’irradiazione è una sorta di “fluire all’ester-
no” d’amore, verso l’oggetto mentale pensato (tutti
gli esseri, tutte le creature ecc.). Le cinque categorie
di irradiazione generalizzata si riferiscono alla tota-
lità dell’esistenza (animata, senziente, organica) che
appartiene alle tre sfere mondane:
–– la sfera dell’esistenza sensoriale dove il deside-
rio è la motivazione primaria;
–– la sfera delle divinità, con forme sottili;
–– la sfera degli esseri senza forma, dotati di vita
puramente mentale.
235
6. Il discorso sull’amore universale
Irradiazione specifica
Vi sono sette modi:
“Che tutte le femmine siano libere da ostilità, soffe-
renza e angoscia; che possano vivere felicemente.”
La stessa frase con le altre sei categorie ... che tutti
i maschi; ... che tutti coloro che sono nobili; ... che tutti
coloro che sono mondani; ... che tutti gli dei ... tutti gli
esseri umani; ... che tutti coloro che sono in uno stato
di sofferenza.
Ognuna delle sette categorie di irradiazione speci-
fica comprende una parte della gamma dell’esisten-
za, e in combinazione con le altre esprime l’intero
mondo dell’esistenza senziente.
Irradiazione direzionale
Essa consiste nell’invio di pensieri di mettá a tutti
gli esseri nelle dieci direzioni dello spazio. (…)
236
PARTE SECONDA
237
6. Il discorso sull’amore universale
238
PARTE SECONDA
239
6. Il discorso sull’amore universale
240
PARTE SECONDA
241
6. Il discorso sull’amore universale
242
7.
Il discorso sulla felicità
più grande
(Mahá Maògala Sutta, Sn. 258)
Premessa*
di S.N. Goenka
245
7. Il discorso sulla felicità più grande
246
PARTE SECONDA
Per i laici
Un’opinione diffusa è che il Buddha abbia inse-
gnato come liberarsi dal ciclo delle esistenze, ma
ignorato la vita quotidiana dell’individuo e della
famiglia, indifferente anche ai problemi politici e
sociali. Dallo studio dei suoi insegnamenti, si evince
che egli conosceva ed era molto sensibile ai proble-
mi del mondo. Se è vero che rivolse la maggior parte
dei suoi discorsi ai monaci, avendo come fulcro il
raggiungimento dell’ultima verità, è anche vero che
ne pronunciò numerosi ai seguaci laici, concernenti
argomenti familiari e sociali. Il Buddha era molto
popolare tra le genti del suo tempo; i discepoli laici
di ogni professione e casta erano ispirati dai suoi
insegnamenti e traevano giovamento dalla pratica;
ed erano molto più numerosi di monaci e monache.
Egli trattò tutti gli aspetti della vita laica. Diede
istruzioni che riguardavano la relazione tra genitori
e figli, mogli e mariti, padroni e servi, insegnanti
e studenti, re e sudditi. Sono esortazioni vive, vali-
de e utili tuttora. Un esempio sono le istruzioni al
popolo dei Licchavi, per la conservazione della loro
repubblica, ancora oggi modello per ogni governo.
(Mahá-parinibbána Sutta, D.16)
Ispirato dai suoi insegnamenti, l’imperatore Dham-
maraja Asoka, nel III sec. a.C., instaurò un’ammini-
strazione esemplare, unica e ineguagliata nella storia.
247
7. Il discorso sulla felicità più grande
248
Testo del discorso
249
7. Il discorso sulla felicità più grande
250
PARTE SECONDA
251
7. Il discorso sulla felicità più grande
252
Commento
Il Maògala Sutta*
di S.N. Goenka
253
7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 1
254
PARTE SECONDA
Nota 2
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7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 3
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PARTE SECONDA
Nota 4
Nota 5
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7. Il discorso sulla felicità più grande
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PARTE SECONDA
Nota 6
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7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 7
Nota 8
260
PARTE SECONDA
Nota 9
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7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 10
Nota 11
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PARTE SECONDA
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PARTE SECONDA
Nota 12
Nota 13
265
7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 14
266
PARTE SECONDA
Nota 15
267
7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 16
268
PARTE SECONDA
Nota 17
Nota 18
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7. Il discorso sulla felicità più grande
270
PARTE SECONDA
Nota 19
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7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 20
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PARTE SECONDA
Nota 21
Nota 22
273
7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 23
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PARTE SECONDA
275
7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 24
276
PARTE SECONDA
Nota 25
Nota 26
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7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 27
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PARTE SECONDA
Nota 28
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7. Il discorso sulla felicità più grande
Nota 29
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PARTE SECONDA
Nota 30
281
7. Il discorso sulla felicità più grande
282
PARTE SECONDA
Nota 31
283
7. Il discorso sulla felicità più grande
284
PARTE SECONDA
Le 38 benedizioni,
ognuna il massimo*
di R.L. Soni
285
7. Il discorso sulla felicità più grande
286
PARTE SECONDA
La sintesi
delle 38 benedizioni*
di R.L. Soni
287
7. Il discorso sulla felicità più grande
288
25) Gratitudine
26) Ascolto al momento opportuno di discorsi
spirituali
Un condensato
delle virtù morali*
di P.A. Bigandet**
Le parole di un vescovo cattolico
290
PARTE SECONDA
291
7. Il discorso sulla felicità più grande
292
PARTE SECONDA
293
7. Il discorso sulla felicità più grande
294
8.
Il discorso
sulla libera ricerca
(Káláma Sutta, A.3,65)
Premessa
di S.N. Goenka
297
Testo del discorso
298
PARTE SECONDA
299
8. Il discorso sulla libera ricerca
300
PARTE SECONDA
301
8. Il discorso sulla libera ricerca
302
PARTE SECONDA
Le quattro consolazioni
Il discepolo di cui vi parlo, Kalama, la cui mente è
libera da odio e da cattiveria, e quindi incontamina-
ta e purificata, gode perciò di quattro consolazioni.
–– Supponiamo che ci sia un’altra vita dopo la
morte e che le azioni ricevano il giusto premio
303
8. Il discorso sulla libera ricerca
304
9.
Il discorso
sulle leggi universali
(Dhamma-niyáma sutta, A. III, 134)
Testo del discorso
307
10.
Il Rifugio
Da Il Discorso sul giratore
della ruota
(Cakkavatti sìhanáda suttanta, D.26)
Testo del discorso
(Estratto)
311
PARTE
TERZA
La pratica
della meditazione
Udána: il canto di
esultanza del Buddha*
di S.N. Goenka
317
La pratica della meditazione
La meditazione Vipassana
La parola Vipassana significa vedere le cose come
sono, e non come esse sembrano e appaiono. È uno
stato di osservazione, senza immaginazione, precon-
cetto, pregiudizio, auto-inganno e illusione. Proprio
perché l’intelletto non è in grado di disperdere l’il-
lusione, il Buddha, con compassione, perfezionò
la tecnica di Vipassana, suddividendola in quattro
parti consequenziali:
–– l’introspezione equanime dell’intero corpo,
káyánupassaná;
–– l’osservazione di tutte le sensazioni alla super-
ficie ed all’interno del corpo, vedanánupassaná;
–– l’osservazione dell’intera gamma degli stati
mentali, cittánupassaná;
–– l’osservazione dell’intero campo dei contenuti
mentali, dhammánupassaná.
318
PARTE TERZA
319
La pratica della meditazione
320
PARTE TERZA
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La pratica della meditazione
322
PARTE TERZA
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La pratica della meditazione
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PARTE TERZA
325
La pratica della meditazione
326
PARTE TERZA
I principi basilari
dell’insegnamento del Buddha
nella pratica meditativa*
di Sayagyi Thray Sithu U Ba Khin
327
La pratica della meditazione
I condizionamenti accumulati
Ogni azione, proveniente da fatti, parole o pen-
sieri, lascia dietro di sé una forza attiva o saòkhára
che va a carico o a merito di chi l’ha compiuta, a se-
conda che l’azione sia stata cattiva o buona. Quindi
ognuno accumula una riserva di saòkhára (reazioni,
formazioni o condizionamenti mentali) che funge
da serbatoio e sorgente di energia per sostenere il
flusso vitale, inevitabilmente seguito da sofferenza e
morte. È attraverso lo sviluppo della comprensione
di anicca, dukkha e anattá, che si è in grado di eli-
328
PARTE TERZA
L’esperienza dell’impermanenza
Per chi ha intrapreso la meditazione Vipassana,
basterebbe sperimentare l’impermanenza tanto da
poter raggiungere il primo stadio di áriya (persona
nobile), cioè divenire sotápanna. L’esperienza dell’im-
permanenza apre la porta all’esperienza della soffe-
renza, dell’assenza di un io e poi all’eliminazione della
sofferenza, ed è possibile soltanto alla presenza di un
Buddha o seguendo il suo insegnamento, il Nobile
Ottuplice Sentiero. Per progredire uno studente deve
continuare a coltivare l’esperienza di anicca, il più a
lungo possibile. Il suggerimento del Buddha è di cer-
care di mantenere la consapevolezza di anicca, dukkha
e anattá in tutte le posizioni, sia seduti, che in piedi,
sia camminando sia sdraiati. Il segreto del successo
sta nel mantenere ininterrotta questa consapevolezza.
Le ultime parole del Buddha sono state:
329
La pratica della meditazione
330
PARTE TERZA
331
La pratica della meditazione
332
PARTE TERZA
333
I livelli di conoscenza
In Vipassana vi sono dieci livelli di conoscenza:
L’esperienza di anicca
nella vita quotidiana
Vorrei ora parlare della meditazione Vipassana
dal punto di vista del laico nella vita quotidiana, e
spiegare i benefici che si possono ottenere, qui e ora,
durante questa stessa vita. Il primo obiettivo di Vi-
passana è di attivare l’esperienza di anicca in se stessi e
raggiungere quindi uno stato di equilibrio e di calma
esteriore e interiore. Questo è raggiunto quando si è
completamente assorbiti nell’osservazione a livello di
esperienza dell’impermanenza in se stessi.
L’umanità sta affrontando gravi problemi che la
minacciano. È il momento giusto per tutti di co-
minciare la meditazione Vipassana e imparare ora a
scoprire una profonda oasi di quiete nella confusio-
ne. Anicca (la realtà dell’impermanenza) è all’interno
di ognuno. È alla portata di ognuno. Sarà sufficiente
uno sguardo in se stessi ed ecco, la si sperimenterà.
Quando si riesce a sperimentarla e ci s’immerge in
essa, allora ci si può, con un atto di volontà, staccarsi
dal mondo, o meglio dalle interpretazioni mentali
sul mondo. Anicca è per il laico una gemma prezio-
335
La pratica della meditazione
336
PARTE TERZA
L’attivazione di anicca
La tecnica per attivare anicca richiede semplice-
mente la mente equilibrata e concentrata, e l’osser-
vazione continuativa sull’oggetto di meditazione: le
sensazioni fisiche del corpo, con la consapevolezza
della loro impermanenza.
È necessario iniziare l’osservazione in un’area in
cui l’attenzione possa fermarsi facilmente, per poi
spostare l’attenzione, dalla testa ai piedi e dai piedi
alla testa, e poi di tanto in tanto dirigerla all’interno.
Non si deve tener conto dell’anatomia, ma ci si deve
accorgere delle sensazioni fisiche e del loro continuo
cambiamento. Se si osservano queste istruzioni vi
sarà senz’altro progresso; esso dipende anche dalle
qualità sviluppate e dall’impegno nell’esercizio
meditativo. Più il livello di conoscenza è alto, più
aumenterà la capacità di sperimentare anicca, dukkha
e anattá, avvicinandosi sempre di più al traguardo
finale di un ariya, persona nobile. Questo è il tra-
guardo su cui ogni laico dovrebbe essere focalizzato.
337
La pratica della meditazione
338
PARTE TERZA
di A.Solé-Leris
Il Buddha disse:
339
La pratica della meditazione
340
PARTE TERZA
Il programma quotidiano
La giornata inizia alle quattro del mattino e ter-
mina alle nove e trenta, dieci di sera. Comprende,
quindi, undici ore circa tra meditazione e momenti
di riposo. Le ore di meditazione individuale sono
alternate a ore di meditazione di gruppo, durante le
341
La pratica della meditazione
342
PARTE TERZA
Il quarto giorno
Lo studente è pronto a imparare Vipassana. Spo-
stando l’attenzione in tutto il corpo, osserva le sen-
sazioni e cerca di sviluppare un’attitudine equanime
(cioè di accettazione e non reazione) verso di esse,
per quanto piacevoli o spiacevoli.
La mente non è altro che vibrazioni. L’intero uni-
verso non è altro che vibrazione, oscillazione. Se la
mente è concentrata, può percepire il corpo come
343
La pratica della meditazione
Dal 5° al 9° giorno
Perseverando nell’osservazione ed esplorando
minuziosamente ogni parte del corpo, lo studente
continua a migliorare la sua capacità di percepire
344
PARTE TERZA
Il decimo giorno
Dopo giorni d’impegno nell’imparare a padro-
neggiare e a purificare la mente, si apprende la parte
finale della tecnica: la meditazione della benevo-
lenza, mettá. Il meditatore, la cui mente è purificata
dalla meditazione, è invitato a condividere con tutti
la calma e l’equilibrio raggiunti (grazie agli esercizi
della consapevolezza e dell’equanimità). Poi, sono
date istruzioni su come mantenere la continuità della
meditazione e su come applicare la tecnica, nella vita
quotidiana.
345
La pratica della meditazione
346
PARTE TERZA
347
La pratica della meditazione
348
PARTE TERZA
Domande e risposte
Domanda: Perché viene data più importanza all’os-
servazione delle sensazioni del corpo che all’osservazio-
ne dei fenomeni della mente?
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La pratica della meditazione
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PARTE TERZA
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La pratica della meditazione
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PARTE TERZA
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La pratica della meditazione
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PARTE TERZA
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La pratica della meditazione
356
PARTE TERZA
357
La pratica della meditazione
Tre episodi
dal Canone pali
sull’apprendimento
Narrati da S.N. Goenka
Il panno imbrattato
(Dhp, II.3)
358
PARTE TERZA
359
La pratica della meditazione
360
PARTE TERZA
Il pungolo dell’elefante
(Theragátá, 48-50)
361
La pratica della meditazione
362
Glossario
dei termini pali
Sono elencate le parole riguardanti l’insegnamen-
to della meditazione Vipassana. Per gli altri termini
pali presenti, ci sono note nel testo o a piè di pagina.
363
La Saggezza Che Libera
364
Glossario dei termini pali
365
La Saggezza Che Libera
366
Glossario dei termini pali
367
La Saggezza Che Libera
sentiero.
Taóhá: letteralmente, sete. Comprende sia la
bramosia sia il suo contrario, l’avversione.
Nel Discorso sulla messa in moto della ruota
di Dhamma, il Buddha identificò in taóhá
la causa della sofferenza. Nella sequenza
dell’origine interdipendente, spiegò che taóhá
ha origine dalla reazione alla sensazione.
Upekkhá: equanimità; una condizione della
mente libera dalla bramosia, dall’avversione,
dall’ignoranza.
Vedaná: sensazione. Uno dei quattro aggregati o
processi mentali, insieme a viññáóa, saññá, e
saòkhára.
Vedanánupassaná: osservazione delle sensazioni cor-
poree. Secondo l’insegnamento del Buddha,
essa è il mezzo con cui esaminare la totalità del
corpo e della mente, perché ha componenti
sia fisiche sia mentali. Nell’origine interdipen-
dente, taóhá, “sete o bramosia,” ha origine dalla
reazione alla sensazione. Imparando a osserva-
re oggettivamente le sensazioni, si può quin-
di evitare la reazione, e sperimentare la realtà
dell’impermanenza. Questa esperienza è essen-
ziale per lo sviluppo della condizione di giusto
distacco, che conduce alla liberazione.
Viññána: coscienza, cognizione. Uno dei quattro
aggregati o processi mentali, insieme a saññá,
vedaná e saòkhára.
Vipassaná: introspezione, osservazione e compren-
sione profonda della realtà che purifica la
mente; comprensione profonda della natura
impermanente della mente e del corpo, attra-
368
Glossario dei termini pali
369
Appendice A
Vipassana in Italia
e nel mondo
373
La Saggezza Che Libera
L’universalità
Il metodo è accessibile a tutti e da tutti può essere
accettato, indipendentemente dalla razza, naziona-
lità, religione, filosofia e opinione politica. Possono
beneficiarne uomini e donne provenienti da ogni
tradizione e condizione, giovani e anziani, devoti e
atei, colti e illetterati, persone di successo e disereda-
ti, carcerati e uomini di governo.
I corsi di dieci giorni sono aperti a tutti coloro
che siano sinceramente interessati ad apprendere la
tecnica.
374
Appendice A
Le applicazioni di Vipassana
nella società
Vipassana è stata introdotta, attraverso corsi speci-
fici, in differenti ambiti educativi, sociali e lavorativi:
scuole e università, aziende (con corsi per dirigenti e
quadri), carceri (con corsi sia per i detenuti che per
il personale di sorveglianza), centri di riabilitazione
per alcolisti e tossicodipendenti (www.startagain.
ch), ed enti socio-sanitari per portatori di handicap,
ad esempio non vedenti e malati di lebbra. Vi sono
associazioni di volontari, che insegnano gli esercizi
di consapevolezza del respiro ai ragazzi di strada di
Mumbai. Inoltre, in India, molte istituzioni, pub-
bliche e private, promuovono la partecipazione ai
corsi di Vipassana, per i loro dirigenti e impiegati.
375
La Saggezza Che Libera
La meditazione Vipassana
per i dirigenti
Dal 2002 sono organizzati corsi specifici, riservati
a dirigenti pubblici e privati, in India, Stati Uniti
Australia ed Europa. Vi hanno partecipato centinaia
di persone con potere decisionale negli ambiti indu-
striale, sociale e politico.
376
Appendice A
Informazioni: www.executive.dhamma.org
377
La Saggezza Che Libera
Siti consigliati
Corsi:
nel mondo: www.dhamma.org
in Italia: www.atala.dhamma.org
bambini: www.atala.dhamma.org
dirigenti: www.executive.dhamma.org
detenuti: www.prison.dhamma.org
Podcast in:
www.executive.dhamma.org www.pariyatti.org
www.vri.dhamma.org
378
Appendice B
L’elenco dei centri
di meditazione Vipassana
Vi sono circa 170 centri operanti nel mondo.
Nelle nazioni dove non è disponibile una struttura
permanente, i corsi si svolgono in sedi provvisorie
(vedi elenco pag. 389).
I corsi sono tenuti nella lingua della nazione che li
ospita e in lingua inglese.
Per l’elenco completo dei centri, il calendario dei
corsi e altre informazioni, consultare i siti:
www.dhamma.org e www.vri.dhamma.org
ITALIA
381
La Saggezza Che Libera
EUROPA
Belgio
Dhamma Pajjota
Driepaal 3, B 3650 Dilsen-Stokkem,
Tel: 0032-(0)89-518230 Fax: 518239
Email: info@pajjota.dhamma.org
www.pajjota.dhamma.org
Francia
Dhamma Mahī
Le Bois Planté, Louesme 89350 Champignelles,
Tel: 0033-386-457514 Fax: 457620
Email: info@mahi.dhamma.org
www.mahi.dhamma.org
Germania
Dhamma Dvāra
Alte Strasse 6, 08606 Triebel,
Tel: 0049-(0)37434-79770 Fax: 79771
Email: info@dvara.dhamma.org
www.dvara.dhamma.org
Gran Bretagna
Dhamma Dīpa
Harewood End, Hereford HR2 8JS,
Tel: 0044-(0)1989-730234 Registrazioni: 731023
Email: info@dipa.dhamma.org
www.dipa.dhamma.org
Spagna
Dhamma Neru Els Bruguers, Apartado Po-
stal 29, Barcelona.Tel: (34) 93 848 26 95
Email:info@es.dhamma.org
www.es.dhamma.org
382
Appendice B
Svezia
Dhamma Sobhana
Lyckebygården, 599 93 Ödeshög,
Tel: 0046-143-21136
Email: registration@sobhana.dhamma.org
www.sobhana.dhamma.org
Svizzera
Dhamma Sumeru
No. 140, Ch-2610 Mont-Soleil,
Tel: 0041-32-9411670 Fax: 9411650
Email: info@sumeru.dhamma.org
www.sumeru.dhamma.org
Per i corsi in lingua italiana: Gruppo Vipassana Ticino
(vedi Italia)
MEDIO ORIENTE
Iran
Dhamma Īran www.iran.dhamma.org
Israele
Dhamma Pamoda www.il.dhamma.org
AFRICA
Etiopia
Informazioni: Douglas Ravenstein www.et.dhamma.org
383
La Saggezza Che Libera
AMERICA meridionale
Argentina
Vi sono tre centri. Per informazioni, programmi dei
corsi e indirizzi contattare il sito www.dhamma.org o
il centro principale:
Dhamma Sukhadā www.sukhada.dhamma.org
Brasile
Dhamma Santi www.santi.dhamma.org
Messico
Dhamma Makaranda www.makaranda.dhamma.org
Venezuela
Dhamma Veṇuvana www.venuvana.dhamma.org
AMERICA SETTENTRIONALE
Canada
Vi sono quattro centri. Per informazioni,
programmi dei corsi e indirizzi contattare il sito
www.dhamma.org o il centro principale:
Dhamma Surabhi www.surabhi.dhamma.org
384
Appendice B
ASIA
Cambogia
Dhamma Laþþhiká www.latthika.dhamma.org
Giappone
Dhamma Bhānu www.bhanu.dhamma.org
Dhammādicca www.adicca.dhamma.org
Hong Kong
Dhamma Muttā www.hk.dhamma.org/mutta.html
INDIA
385
La Saggezza Che Libera
Nepal
Vi sono cinque centri. Per informazioni, programmi
dei corsi e indirizzi contattare il sito www.dhamma.org
o il centro principale:
Dharmashringa Nepal www.shringa.dhamma.org
Sri Lanka
Vi sono tre centri. Per informazioni, programmi
dei corsi e indirizzi contattare il sito
www.dhamma.org o il centro principale:
Dhamma Kūta www.kuta.dhamma.org
Tailandia
386
Appendice B
EUROPA
Austria, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Grecia, Kir-
ghizistan, Lettonia, Lituania, Macedonia, Norvegia,
Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Ro-
mania, Russia, Serbia, Turchia, Ucraina, Ungheria,
Uzbekistan.
MEDIO ORIENTE
Barein, Egitto, Emirati arabi, Libano, Oman.
AFRICA
Angola, Benin, Burkhina Faso, Ghana, Kenya,
Liberia, Marocco, Mauritius, Nigeria, Sudan, Swa-
ziland, Tanzania, Uganda, Zimbabwe.
AMERICA MERIDIONALE
Bolivia, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador,
El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Panama, Para-
guay, Perù, Puerto Rico, Santo Domingo, Uruguay.
ASIA
Corea del sud, Fiji, Filippine, Polinesia francese,
Singapore.
387
B I B L I OT E C A • V I PA S S A N A
PUBBLICATI
1.
W. Hart
La meditazione Vipassana
come insegnata da S.N. Goenka - Un’arte di vivere
L’esposizione dettagliata della tecnica, integrata da racconti,
aneddoti e consigli di S.N. Goenka
Artestampa ed., 2011
2.
S.N. Goenka
Vipassana è Per Tutti
Scritti, discorsi e interviste di un maestro di meditazione
A cura di P. Confalonieri
Artestampa ed., 2013
3.
La Saggezza Che Libera
La meditazione nei discorsi del Buddha
Con il commento di S.N. Goenka
A cura di P. Confalonieri
Artestampa ed., 2013
Edizione ampliata e revisionata
CD Audio MP3
1.
L’importanza della meditazione
Due discorsi di Goenka:
Cos’è la meditazione Vipassana?
I benefici di Vipassana per gli operatori sociali
2.
I discorsi di Goenka nel corso di dieci giorni
3.
Consigli ai meditatori
Tre discorsi di Goenka
e un contributo di Paul Fleischmann
B I B L I OT E C A • V I PA S S A N A
In programma
A. Solé-Leris
Quiete e visione profonda
L’insegnamento del Buddha
Le caratteristiche essenziali della meditazione
nelle sue due linee fondamentali:
“samadhi–concentrazione” e “vipassana–visione profonda”.
Edizione revisionata
di La meditazione Buddista ed. Mondadori
W. Rahula
L’insegnamento del Buddha
Versione revisionata dell’edizione Paramita
Bhikkhu Analayo
Escursioni nel buddhismo antico:
1) Dalla brama alla liberazione
2) Dall’attaccamento al vuoto
Versione unificata e revisionata dei due volumi
dell’edizione Lulu
Questa parte di albero è divenuta libro sotto
i torchi di Edizioni Artestampa di Modena
nel mese di Dicembre 2013
Possa un giorno, dopo aver ceduto agli uomini
il suo carico di conoscenza, ritornare alla terra
e diventare un nuovo albero.