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Francesco Zito

Tecla Tatti
25 ottobre 2021

Una Discriminazione Indiretta: il Caso Romer.

FATTO

Il caso prende origine dalla vicenda relativa al sig. Romer, impiegato amministrativo presso la Freie und
Hansestadt Hamburg, azienda sita nella città di Amburgo, il quale, nel 2001, a seguito della stipulazione di
un’unione civile registrata con il proprio compagno, aveva comunicato al proprio posto di lavoro, attraverso
una lettera apposita definita nella modalità legittimata ex lege, l’avvenuta iscrizione della propria unione
civile, con conseguente richiesta di modifica del trattamento pensionistico per la vecchiaia.

Egli, dunque, ricorreva al fine di richiedere la parificazione del trattamento alle coppie coniugate in
matrimonio e la conseguente modifica dell’importo pensionistico erogabile al partner sulla base di un
calcolo che avvenisse sulla tabella dello scaglione tributario III/0 (utilizzata di fatto per i coniugi uniti in
matrimonio) rispetto a quella che invece veniva applicata al loro caso, ovvero lo scaglione tributario I, che
veniva applicata a “tutti gli altri beneficiari”.

Il sig. Romer di fatto lamentava la diversificazione di trattamento tra le coppie legalmente unite da un
legame di coniugio matrimoniale rispetto a coloro che fossero uniti civilmente, nonostante ai tempi, il
trattamento dei due istituti fosse quasi totalmente complementare.

Queste disposizioni di diversità di trattamento pensionistico previste dall’art. 10, n. 6, della legge del Land
di Amburgo disciplinante le pensioni complementari di vecchiaia e di reversibilità dei dipendenti della Freie
und Hansestadt Hamburg, secondo il ricorrente, erano in contrapposizione con la direttiva del 2000/1978
(la quale come obiettivo specifico e principale era imporre una disciplina di repressione elle discriminazioni
fondate su “religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto
concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio
della parità di trattamento”) e in contrasto con la stessa Legge fondamentale della Repubblica generale di
Germania che stabiliva, nel suo sesto articolo, che «[i]l matrimonio e la famiglia sono posti sotto la
particolare tutela dello Stato».

In particolare, la norma di riferimento attraverso la quale la Corte accerterà la violazione è la legge 16


febbraio del 2001 (con conseguente riforma del 2004), nella quale, oltre all’introduzione dei presupposti
per la costituzione di un’unione civile, all’art. 5 disponeva l’applicazione per analogia degli artt. 1360a e
1360b del Codice civile, parificando dunque le condizioni di partner omosessuali a quelli eterosessuali.

La Corte di Giustizia Europea, a seguito di un’attenta analisi del caso di specie, vedendo ulteriormente il
passato giurisprudenziale di diversi ricorsi già proposti in precedenza, aveva dunque affermato la violazione
della direttiva 2000 del 1978 nella parte in cui si prevedesse, a parità di altre condizioni, un trattamento
differenziato e più sfavorevole nei confronti di un partner in un’unione civile registrata rispetto ad uno
coniugato in matrimonio per quanto riguardasse la materia sule versamento della pensione
complementare di vecchiaia.

DIRITTO

La Corte di Strasburgo, esaminando il caso, prende in considerazione normative ricomprese all’interno del
diritto comunitario e del diritto nazionale: la direttiva 2000/78; la Legge Fondamentale della Repubblica
federale di Germania; la legge del 6 febbraio 2001 sulle unioni civili (LPartG); la legge 15 dicembre 2004
(riforma della disciplina delle unioni civili); la legge del Land di Amburgo riguardante le pensioni
complementari di vecchiaia e di reversibilità dei dipendenti della Freie und Hansestadt Hamburg. 

In particolare, agli artt. 1, 2, 3 della direttiva 2000/78, dai quali possiamo trarre la lotta alle discriminazioni
fondate anche sulle “tendenze sessuali” al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della
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Tecla Tatti
25 ottobre 2021

«parità di trattamento», cosa si intenda per parità di trattamento e nei confronti di quali persone possa
essere applicata la presente direttiva – soggetti pubblici e privati.

All’art. 6, n. 1, la Legge fondamentale ci dice che “il matrimonio e la famiglia sono posti sotto la particolare
tutela dello Stato”.

Agli artt. 1, 2, 5, 11 della LPartG troviamo disposizioni relative alla forma, ai presupposti, alle modalità e alla
disciplina relative le unioni civili.

La riforma contenuta nella legge 15 dicembre 2004 ha ancora di più ravvicinato il regime dell’unione civile
registrata a quello del matrimonio e, in particolare, ha previsto il riparto compensativo dei diritti
pensionistici tra i partner in caso di scioglimento dell’unione civile. 

COMMENTO

La Corte di Giustizia Europea ha confermato la propria linea giurisprudenziale già affermata con la
precedente sentenza Maruko, giungendo alle conclusioni che, come nel caso precedente, si fosse verificata
una violazione della direttiva n. 2000/1978 verificandosi una diretta discriminazione fondata sulle tendenze
sessuali del ricorrente in quanto il medesimo trattamento pensionistico (che nel caso Maruko trattava di
fatti la pensione di reversibilità concessa al coniuge superstite) che veniva erogato al coniuge del sig.
Romer, oltre ad essere diversificato per disciplina tributaria, era altresì discriminatorio poiché determinava
uno svantaggio non indifferente nella ricezione del trattamento a livello Monetario.

Altro punto comune con la sentenza precedente del 2008 era la rimessione della legislazione in materia di
stato civile delle persone alla competenza degli Stati membri. Tuttavia, l’obbiettivo della direttiva era di
fatto l’eliminazione di qualunque tipologia di discriminazione, sia diretta che non, garantendo così
l’applicazione in toto, sia verso ogni cittadino che verso qualunque istituto giuridico, del principio di non
discriminazione.

Per la Corte di Giustizia europea, il trattamento deteriore subito dal Sig. Romer nel percepire una pensione
di vecchiaia inferiore rispetto a quella di cui godrebbe se fosse unito in matrimonio e non in un'unione civile
registrata, costituisce una discriminazione diretta, a maggior ragione considerando l’avvicinamento
progressivo che stava avvenendo in quegli anni tra il regime previsto dal diritto tedesco in materia
matrimoniale e quello delle unioni civili, quasi parificati.

La situazione della parificazione doveva dunque estendersi anche alla disciplina di carattere pensionistico
considerando dunque che si verificherebbe un’effettiva contrapposizione tra il combinato disposto dagli
artt. 1, 2 e 3, n. 1, lett. C), e dell’art. 10, n. 6, del primo RGG, con una norma nazionale qualora vi fosse una
discriminazione diretta fondata meramente sull’orientamento sessuale del soggetto laddove la disciplina
matrimoniale e quella delle unioni, nel concreto, fosse di fatto parificata.

Pur trovandoci d’accordo con la decisione della Corte di Strasburgo, non possiamo fare a meno di notare
come il principio di “parità di trattamento dell’Unione Europea” possa far sorgere qualche dubbio in
relazione alla sua effettività all’interno degli Stati membri. 

Come disposto dalla direttiva 2000/78, il principio della parità di trattamento – definito come “assenza di
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta” basata sui motivi ex art. 1 della direttiva stessa – è la finalità
alla base della lotta alle discriminazioni. All’interno, come evidenziato precedentemente, rientrano le c.d.
“tendenze sessuali”. 

Nel caso specifico, abbiamo potuto vedere come sia stata la Germania a rendere non uguali, bensì
parificabili, le discipline del matrimonio e dell’unione civile registrata. Cosa accadrebbe se la maggioranza
degli Stati membri non dovessero provvedere a rendere questi due istituti parificabili? O, ancor peggio,
cosa succederebbe se la maggioranza degli Stati membri non dovesse nemmeno prevedere, nella propria
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25 ottobre 2021

legislazione, una disciplina relativa alle unioni tra persone dello stesso sesso? Come potrebbe agire la
Corte?

Questa critica nasce, oltretutto, perché la Corte si trova in una posizione in cui la garanzia del rispetto del
principio della parità di trattamento dovrebbe rientrare all’interno delle competenze della Corte, ma, nel
caso specifico, si ritrova ad avere una totale mancanza di competenza in materia di legislazione di status
civile, che rientra all’interno del margine di apprezzamento degli Stati. 

Inoltre, le decisioni della Corte di Strasburgo tengono sempre conto delle disposizioni nazionali, condivise
dalla maggioranza degli Stati membri (principio di consenso europeo). Ne consegue che una non
condivisione della disciplina sulle unioni civili, porterebbe la Corte stessa in una situazione difficile, nella
quale il principio di parità di trattamento potrebbe venir meno.

La situazione difficile a cui deve dunque trovare soluzione la Corte riguarda la mancata definizione della
propria competenza all’interno dei singoli stati membri in modo da poter definire una tutela integrata delle
coppie omosessuali che fosse comune in ambito europeo, a fronte invece di una concreta discriminazione
indiretta, che viene effettuata così dalla medesima, la quale, involontariamente, “legittima” una disparità di
trattamento delle coppie unite in unione civile in base al proprio paese di provenienza.

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