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Capitolo primo

Energia: forme e fonti

1. Le forme dell’energia

Il termine energia non è certamente un neologismo: la parola ἐνέργεια


esiste già nella lingua greca antica con il significato di attività, derivando da
qui che nel linguaggio comune è usata come sinonimo di forza e vigore fisi-
co, e, ancora, di fermezza, carattere, risolutezza.
Nella letteratura scientifica il termine nasce nell’ambito della fisica mec-
canica intorno al Seicento, quando si giunge a definire l’energia cinetica (la
cosiddetta vis viva), cioè l’energia posseduta da un corpo in movimento, e
l’energia potenziale, cioè l’energia posseduta da un corpo in stato di quiete
in grado di compiere una trasformazione non appena lo stato cambia. Ma è
solo nel Settecento con Watt, che per primo converte1 l’energia termica in
meccanica, che la parola acquisisce un senso pratico.
Ma cos’è l’energia?
Se c’è chi afferma che una risposta definitiva a tale domanda non esiste
ancora [Coiante, 2007], è solo perché l’energia non è un qualcosa di visibile
e non svolge alcuna funzione in quanto tale, mentre è ben visibile la sua
funzione di input alla produzione di un servizio richiesto.
La definizione data dalla fisica è, quindi, ancora la più semplice e la più
comprensibile: l’energia è la capacità di un corpo o di un sistema di compie-
re un lavoro o, più in generale, di produrre effetti.

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In genere, si parla di conversione quando ci si riferisce ai processi che modificano la forma fisica
dell’energia; di trasformazione quando, rimanendo alterata la forma fisica, se ne modificano i parame-
tri che la caratterizzano.
2 Capitolo primo

Ogni lavoro svolto può essere considerato come una conversione energe-
tica. Ogni conversione energetica definisce una forma di energia.
Esistono, così, diverse forme di energia che vengono spesso classificate
in letteratura in modi diversi.
Ma, a prescindere dalle varie classificazioni, quello che sembra impor-
tante sottolineare è che non tutte sono forme di energia primaria, cioè forme
ottenute, direttamente o indirettamente, da fonti disponibili in natura; alcune
sono forme di energia secondaria perché ottenute solo attraverso la conver-
sione di altre forme di energia primaria.
Tra le forme secondarie, particolarmente importante è l’energia elettrica,
forma di energia nobile perché si trasforma direttamente in lavoro. Essa si
trova in natura solo in condizioni particolari non sfruttabili, come ad esem-
pio nei fulmini, ed è ottenuta dalla conversione di varie forme di energia
primaria, convertendosi facilmente, a sua volta, sul luogo di utilizzazione, in
tutte le forme volute.
L’energia elettrica è, pertanto, insieme all’energia termica, ad alta, me-
dia e bassa temperatura, la forma energetica più richiesta dagli utilizzatori
finali2.
Si ricorda che, nei continui passaggi da una forma di energia ad un’altra
a cui si assiste nelle diverse manifestazioni energetiche, la conversione av-
viene nel rispetto del principio di conservazione: in un sistema chiuso, tanto
si perde di una forma di energia quanto se ne acquista di un’altra (primo
principio della termodinamica). Ma ogni conversione energetica porta, ine-
vitabilmente, a una degradazione dell’energia inizialmente disponibile (se-
condo principio della termodinamica): via via che si trasforma, l’energia,
pur non distruggendosi, perde parzialmente la sua capacità di produrre lavo-
ro, aumentando l’entropia del sistema.

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L’altra forma di energia richiesta è l’energia meccanica, che è comunque ottenuta prevalentemente
impiegando motori elettrici.
Energia: fonti e forme 3

2. Le fonti energetiche

2.1 Generalità

Si definisce fonte energetica tutto ciò che la natura ci ha messo a dispo-


sizione per produrre energia.
Le fonti possono essere variamente classificate.
Si dicono fonti primarie quelle capaci di liberare energia direttamente
così come si trovano in natura; si dicono fonti secondarie quelle prodotte ar-
tificialmente mediante trasformazione delle prime.
Le fonti secondarie che si prestano ad essere trasportate fino ai luoghi di
utilizzazione sono dette vettori energetici. Anche l’energia elettrica è consi-
derata un vettore.
Un’altra distinzione è tra fonti non rinnovabili e fonti rinnovabili (FER) .
Le prime sono quelle che si sono originate in epoche lontanissime e han-
no tempi di rigenerazione così lunghi, se riferiti alla nostra scala temporale
che, una volta sfruttate, si considerano esaurite.
Le seconde sono quelle, invece, da considerarsi sempre disponibili.
Le fonti non rinnovabili sono innanzitutto costituite dai combustibili fos-
sili primari (liquidi, solidi e gassosi) e dai loro derivati.
Sono fonti non rinnovabili anche i combustibili nucleari3, cioè quelli uti-
lizzati nelle reazioni di fissione o fusione nucleare.
In base all’uso concreto che hanno avuto in passato sin dall’inizio della
cosiddetta era delle macchine, i combustibili fossili sono detti fonti tradi-
zionali o convenzionali, mentre i combustibili nucleari sono spesso detti
fonti alternative.
Tutte le fonti non strettamente fossili e nucleari, sono fonti rinnovabili.
Sono: il sole, il vento, l’aria, l’acqua4, il mare, il calore endogeno, la bio-
massa.

3
L’uso della parola combustibile è in realtà improprio, non avvenendo le reazioni nucleari con un
processo chimico di ossidazione.
4
Almeno in teoria, l’acqua a scopi energetici può essere riutilizzata infinite volte per lo stesso scopo.
4 Capitolo primo

Sono fonti, queste, non convenzionali, spesso chiamate alternative in


maniera non propriamente corretta, perché, almeno per ora, esse possono
dare contributi solo di carattere integrativo alla domanda di energia5.
All’interno della classe delle fonti rinnovabili si distingue spesso tra fon-
ti rinnovabili di prima generazione (acqua, calore endogeno e biomassa) e
fonti rinnovabili di seconda generazione, costituite da tutte le altre.
Alcune, al contrario di altre, hanno il pregio di essere fonti non aleatorie
e continue e, come tali, programmabili.

2.2 Le fonti non rinnovabili

2.2.1 I combustibili fossili

I combustibili fossili e i loro derivati, bruciando in presenza di aria o an-


che solo di ossigeno, rompono la loro energia di legame e, sviluppando ca-
lore, forniscono energia termica, che può essere utilizzata direttamente come
tale o convertita in energia meccanica e, infine, in energia elettrica.
I combustibili fossili sono il petrolio greggio, il carbone e il gas naturale.

Petrolio greggio

Il petrolio greggio, noto anche come crude oil, è una fonte fossile costi-
tuita da una miscela assai complessa di idrocarburi liquidi, solidi e gassosi,
con presenza, più o meno limitata, di sostanze organiche ossigenate, azotate
e solforate di varia natura.
La sua composizione media, diversa anche in relazione al luogo di pro-
venienza, è contenuta nei seguenti limiti: carbonio 80÷90%, idrogeno
10÷15%, azoto 0,02%, ossigeno 0,1÷7%, zolfo 0,01÷6% [Della Volpe,
2007].

5
Solo l’acqua può essere considerata alternativa per il grande sfruttamento ai fini energetici che ha
avuto nel tempo.
Energia: fonti e forme 5

Esistono vari tipi di greggio classificati in funzione del loro contenuto di


zolfo e della loro densità. Ci sono così petroli dolci o acidi e petroli leggeri
o pesanti6.
Un greggio è tanto più pregiato, da un punto di vista commerciale, quan-
to più bassa è la sua densità e quanto minore è il suo contenuto di zolfo. Il
migliore è il brent.
L’opinione preponderante tra i geologi è quella della genesi organica: il
petrolio si sarebbe formato da materia organica depositata sul fondo del ma-
re attraverso un processo di fermentazione protrattosi per alcuni milioni di
anni, con il concorso di batteri anaerobici e di catalizzatori inorganici. La
scoperta di nuovi giacimenti profondi ha rinverdito l’ipotesi che esso possa
avere tratto origine anche da precursori minerali, il che aprirebbe interessan-
ti prospettive sulla disponibilità delle riserve [SIF, 2008].
Le tecniche di esplorazione dei giacimenti si basano su prospezioni geo-
fisiche, condotte con metodi sismici.
Il petrolio può essere estratto on shore o off shore, in associazione o me-
no con il gas naturale.
L’estrazione avviene attraverso la trivellazione di pozzi, che possono
raggiungere anche profondità rilevanti.
Una volta estratto, il petrolio deve essere separato dall’acqua, dai sali e
dalla sabbia che sono eventualmente presenti in sospensione. Queste opera-
zioni, insieme alla separazione della frazione gassosa, vengono effettuate a
bocca di pozzo e successivamente ripetute, in maniera più approfondita,
presso i luoghi di lavorazione.
Solo di rado il greggio viene usato come combustibile senza alcuna lavo-
razione; quasi sempre va alla raffinazione per l’estrazione di numerosissimi
prodotti. Talvolta passa alla raffinazione in impianti costruiti localmente, ma
il più delle volte viene esportato lontano allo stato grezzo e successivamente
lavorato.
La raffinazione avviene, innanzitutto, attraverso il processo della distil-
lazione7 frazionata (topping), mediante il quale si ottengono diverse frazioni
(o tagli) di differente qualità.

6
Una distinzione tra oli leggeri, medi, pesanti ed extrapesanti è fatta secondo il valore dell’indice
API.
7
La distillazione è una tecnica di separazione che sfrutta le differenze dei punti di ebollizione delle
diverse sostanze presenti in una miscela.
6 Capitolo primo

La distillazione, a pressione atmosferica, è realizzata in apposite colon-


ne, o torri, dove il greggio arriva preriscaldato sui 400 °C [Della Volpe,
2007].
Alla sommità della colonna si prelevano i gas incondensabili, come
l’idrogeno, il metano e l’etano, usati come combustibile per gli usi di raffi-
neria (e pertanto chiamati anche gas di raffineria) e i gas di petrolio lique-
fatto (GPL).
Ad altezze decrescenti, si estraggono la virgin nafta leggera, che distilla
intorno ai 70 °C, la virgin nafta pesante, che distilla tra i 70 ÷ 180 °C, il ke-
rosene, che distilla tra i 180 ÷ 230 °C, e il gasolio atmosferico, che distilla
tra i 230 ÷ 370 °C.
Nella parte più bassa della colonna si estraggono i residui.
Il residuo topping contiene altri composti la cui temperatura di ebolli-
zione a pressione atmosferica è così elevata che la loro vaporizzazione li
porterebbe a rottura. Per ovviare a questo inconveniente, i residui si distilla-
no ad una pressione notevolmente inferiore. I prodotti della cosiddetta distil-
lazione vacuum sono gasolio da vuoto, asfalti, oli lubrificanti.
Alla distillazione (primaria e sottovuoto) segue poi un insieme di pro-
cessi di raffinazione tesi a migliorare non solo la qualità di alcuni prodotti,
ma anche a variarne le quantità: se si disponesse, infatti, soltanto della tec-
nica del topping, si otterrebbe una combinazione di prodotti base in propor-
zioni costanti che non corrisponderebbe ai fabbisogni del mercato.
Ad esempio, i gas di raffineria e il GPL possono essere sottoposti a pro-
cesso di reforming catalitico8 per ottenere gas aventi diversa composizione
chimica; la nafta leggera in genere subisce il trattamento di isomerizzazione9
per elevare il numero di ottano e per ottenere isobutano dal normalbutano; la
nafta pesante, eventualmente dopo il processo di hydrofining10, costituisce la

8
Il reforming è un importante processo secondario di raffineria che consiste nel trasformare la struttu-
ra molecolare degli idrocarburi allo scopo di migliorarne le caratteristiche qualitative. Il reforming
può essere realizzato mediante un processo con temperature elevate e pressioni elevate (reforming
termico), da considerare ormai superato, o mediante temperature elevate e pressioni minori, ma in
presenza di catalizzatori (reforming catalitico).
9
L’isomerizzazione è il processo che, in presenza di idrogeno e di un catalizzatore, consente di tra-
sformare idrocarburi a catena lineare nei rispettivi isomeri a catena ramificata.
10
L‘ hydrofining è costituito da processi di raffinazione che, in presenza di un catalizzatore, mettendo
la carica a stretto contatto con idrogeno, modificano (migliorandole) alcune caratteristiche qualitative
del prodotto. Il più significativo e diffuso processo di hydrofining è quello di idrodesolforazione, che
consente di ottenere prodotti a basso contenuto di zolfo.
Energia: fonti e forme 7

carica per il reforming catalitico, al fine di produrre benzina ad alto numero di


ottano; il kerosene costituisce la carica per l’hydrofining; i gasoli costituisco-
no la carica per l’hydrofining e successivamente la carica per il craking11.
Per quanto riguarda i residui, il gasolio ottenuto dalla distillazione sotto-
vuoto subisce il processo di craking catalitico per ottenere diesel e oli com-
bustibili; i residui petroliferi pesanti e oleosi, subendo un processo di con-
densazione per piroscissione12, si trasformano in un residuo di consistenza
diversa, spugnosa o compatta, detto coke di petrolio o pet coke, costituito
per il 90÷95% da carbonio; i residui pesanti di raffinazione possono essere
trasformati in gas sintetico per ossidazione parziale in difetto di ossigeno e
in presenza di vapore.

Oltre al petrolio convenzionale, esistono anche oli greggi cosiddetti non


convenzionali. Sono quelli estraibili dalle sabbie bituminose, meglio cono-
sciute con il termine di oil sand, o da argille bituminose o scisti, meglio co-
nosciute con il termine oil shale. Sono tutti oli pesanti o extrapesanti.
Questi tipi di petrolio, per la loro elevata viscosità, non possono essere
estratti con le tecniche classiche utilizzate per il petrolio convenzionale.
L’estrazione è tutt’altro che semplice. Una volta estratto, l’olio ottenuto ha
bisogno di essere trattato chimicamente per diventare utilizzabile al pari di
quello tradizionale.

Carbone

Il combustibile solido per eccellenza è il carbone fossile.


Proviene da giacimenti naturali formatisi in epoche remote in seguito a
complessi procedimenti di decomposizione e trasformazione di sostanze ve-
getali. È costituito prevalentemente da carbonio, in percentuale variabile in
relazione alla qualità, e da altre sostanze quali idrogeno, ossigeno, azoto,

11
Il cracking è costituito da processi di raffineria che hanno lo scopo di spezzare le grosse molecole
di idrocarburi costituenti le frazioni medio-pesanti e pesanti, ricavate dal frazionamento primario del
greggio, per realizzare la conversione in frazioni più leggere. Anche il cracking può essere termico o
catalitico.
12
La piroscissione è un processo di decomposizione, a mezzo del calore, di molecole di idrocarburi
con formazione di composti a peso molecolare più basso.
8 Capitolo primo

zolfo e piccole quantità di sostanze minerali (silice, allumina, ossido di fer-


ro, etc.) che costituiscono il residuo solido della combustione (ceneri).
In base all’epoca della formazione, i carboni si distinguono in antracite
(relativa alle epoche più remote), litantrace (il carbone per antonomasia),
lignite e torba.
La percentuale di carbonio, il costituente principale, decresce perciò dai
valori più alti nell’antracite (oltre il 90%, poiché in essa il processo di car-
bonizzazione è quasi completo) ai più bassi nelle torbe (50% ÷ 60%) [Della
Volpe, 2007].
E’ chiaro che i combustibili a più alto tenore di carbonio sono in grado
di sviluppare le maggiori quantità di calore, e risultano in genere a più alto
valore commerciale.
In pratica vi sono numerose classificazioni dei carboni. Esse si basano
sulle quantità di idrocarburi bituminosi presenti (dai quali dipende il potere
agglomerante e la loro distinzione in magri, grassi e semigrassi) e sulla per-
centuale di idrocarburi volatili presenti (da cui dipende la loro distinzione in
carboni a fiamma13 lunga o corta), oltre che sull’epoca di formazione e sulla
località di provenienza.
In genere, i prodotti primari sono distinti in:
 antracite e carboni magri;
 carbone da coke, ossia il carbone bituminoso costituito da litantrace
grasso a fiamma corta, adatto alla produzione di coke;
 carbone da vapore, ossia carbone semibituminoso costituito da litan-
trace semigrasso a fiamma corta, il più adatto per l’alimentazione
delle caldaie;
 lignite, distinta in lignite picea (con tenore di umidità compreso tra
20 e 25 % e tenore in ceneri da 9 a 13%) e in lignite xiloide (con te-
nore di umidità da 40 a 70 % e tenore in cenere da 2 a 6 %);
 torba.

Le tecniche di esplorazione, più facili e meno costose di quelle degli i-


drocarburi, si basano sul carotaggio del terreno a varie profondità.

13
Essendo la fiamma dovuta ai prodotti volatili presenti, i grassi hanno una fiamma generalmente più
lunga.
Energia: fonti e forme 9

L’estrazione, più costosa rispetto a quella degli idrocarburi, può essere


eseguita in miniere a cielo aperto mediante grandi escavatrici, se il filone
carbonifero si trova a pochi metri di profondità nel sottosuolo; oppure in
miniere sotterranee, operando con particolari trivelle, se il giacimento è si-
tuato a profondità maggiori.
Una volta estratto, il carbone subisce trattamenti di macinazione e va-
gliatura per ottenere le pezzature richieste dal mercato ed, eventualmente,
un trattamento di lavaggio, se reso necessario dalla presenza di un’eccessiva
percentuale di cenere e/o zolfo.
Il carbone dà luogo a vari prodotti derivati, secondo differenti processi di
trasformazione.
Alcuni derivati solidi sono14:
 gli agglomerati di carbone fossile;
 il coke da cokeria (coke metallurgico) e altri tipi di coke;
 le mattonelle di lignite.

Gli agglomerati sono elementi di dimensioni determinate, ottenuti in ge-


nere per compressione a caldo di carbone e di antracite con l’aggiunta di so-
stanze leganti (normalmente pece).
Il coke da cokeria è un prodotto ottenuto per distillazione secca15 ad alta
temperatura del carbone da coke. È utilizzato come carica negli altoforni
che sono, come è noto, impianti per la produzione della ghisa.
Altri tipi di coke sono: il semi-coke, ottenuto per distillazione a bassa
temperatura; il coke da gas, sottoprodotto utilizzato per la produzione di gas
di città nelle officine di produzione del gas; i pani di coke, fabbricati a parti-
re da agglomerati di carbon fossile. Esiste ancora il coke da fonderia, otte-
nuto come residuo della distillazione (a 1000 °C) del litantrace a fiamma
corta ed, ancora, il coke da lignite, ottenuto come residuo della distillazione
secca (900÷1000 °C) della lignite fuori dal contatto dell’aria, dopo che essa
ha subito trattamenti di frantumazione, essiccazione ed eventualmente di
agglomerazione.
Le mattonelle di lignite, infine, sono ottenute da ligniti agglomerate ad
alta pressione senza l’aggiunta di agglomeranti.

14
Si veda il Regolamento 1099/2008/CE, Allegato B .
15
La distillazione secca, o pirolisi, è quella che si effettua su sostanze solide per mezzo del riscalda-
mento, al fine di separare da esse componenti sotto forma di gas o di vapori.
10 Capitolo primo

Alcuni derivati gassosi del carbone sono16:


 il gas di cokeria;
 il gas di altoforno;
 il gas da acciaieria a ossigeno.

Il gas di cokeria è un sottoprodotto della fabbricazione del coke da coke-


ria.
Il gas di altoforno è il gas prodotto nel corso della combustione del coke
negli altoforni dell’industria siderurgica. È recuperato ed utilizzato come
combustibile, in parte all’interno dell’impianto e in parte in altri processi
dell’industria dell’acciaio o in centrali elettriche predisposte per la sua uti-
lizzazione.
Infine, il gas da acciaieria a ossigeno è il sottoprodotto della produzione
di acciaio in un convertitore a ossigeno recuperato all’uscita del forno; è de-
nominato anche gas BOS (Basic Oxygen Steelmaking) o LD (Lind Dona-
witz).
Il carbone può essere convertito anche in combustibile liquido (Coal To
Liquids – CTL), attraverso due modalità:
 la liquefazione diretta, mediante un processo di cracking o piroscis-
sione idrogenante;
 la liquefazione indiretta, che avviene, prima, attraverso la gassifica-
zione17 del carbone con produzione di gas di sintesi (syngas18) e, poi,
attraverso successiva produzione del liquido tramite la reazione di
Fischer-Tropsch19.

Entrambe queste tecnologie sono state sviluppate e applicate su scala in-


dustriale [SIF, 2008].

16
Si veda la nota 14.
17
Per gassificazione si intende l’ossidazione incompleta di una sostanza in ambiente ad elevata tem-
peratura (800÷900 °C).
18
Il syngas è una miscela di gas, quali il monossido di carbonio (CO) e l’idrogeno (H2), con la pre-
senza, in quantità variabili, anche di metano (CH4) e anidride carbonica (CO2).
19
La reazione di Fischer-Tropsch è un processo per produrre idrocarburi o derivati ossigenati parten-
do da miscele di monossido di carbonio e idrogeno, lavorando a 200 °C con catalizzatori a base di
cobalto (idrogenazione catalitica di CO).
Energia: fonti e forme 11

La liquefazione diretta conduce a prodotti che, per la presenza di azoto,


zolfo e fosforo, non risultano adatti per essere direttamente utilizzati come
carburanti, ma devono essere preventivamente sottoposti a trattamenti idro-
genanti. La liquefazione indiretta offre, invece, il vantaggio di produrre car-
buranti di eccellente qualità.

Gas naturale

Tra i combustibili gassosi, quello di uso più frequente è il gas naturale.


Il gas naturale, prodotto dalla decomposizione anaerobica di materiale
organico, è costituito in massima parte da metano (CH4), la più piccola e
leggera tra le molecole degli idrocarburi. Può contenere anche idrocarburi
gassosi più pesanti, come etano, propano, butano, e altri gas in piccole quan-
tità.
Il gas naturale si trova in giacimenti sotterranei o sottomarini, spesso as-
sociato al petrolio.
Le tecniche di esplorazione e di estrazione sono simili a quelle adottate
per il petrolio.
Prima di essere commercializzato, il gas subisce trattamenti per rimuo-
vere i componenti indesiderati, in particolare i gas acidi e gli inerti.
Tuttavia questo processo di rimozione può non eliminare tutte le impuri-
tà, anche se queste sono normalmente modeste.
I derivati del gas, contrariamente a quelli del petrolio e del carbone, so-
no, almeno ad oggi, relativamente pochi.
Si ricordano, comunque, il processo di lavorazione della frazione umida
che consente di ottenere GPL e il processo di trasformazione del gas natura-
le in syngas attraverso steam reforming20 e successiva conversione in liqui-
do (Gas To Liquid - GTL) attraverso la reazione di Fischer-Tropsch, che
consente di produrre carburanti di qualità, tra cui il metanolo e il dimetilete-
re [Marchionna, 2007].

Da molti anni è nota una disponibilità potenziale di gas non convenzio-


nale estremamente rilevante. Si tratta di gas ottenuti da scisti argillosi (shale

20
Lo steam reforming del gas naturale è un processo che avviene ad alte temperature (700-1000 ° C),
facendo reagire acqua con metano.
12 Capitolo primo

gas), da formazioni sabbiose a bassa permeabilità (tight gas), da giacimenti


di carbone (coal bed methane) e da giacimenti molto profondi (deep gas).
Enorme, inoltre, è la disponibilità di idrati di metano, composti solidi forma-
ti da acqua e gas, simili all’apparenza a ghiaccio secco, diffusi in vaste aree
del pianeta.

2.2.1 I combustibili nucleari

L’energia di legame dei nuclei atomici è liberata in natura spontanea-


mente da elementi, generalmente di grande massa atomica, detti radioisoto-
pi, ma può essere liberata, non spontaneamente, attraverso reazioni di fis-
sione o di fusione, dando luogo, così, alla cosiddetta energia nucleare.
Nelle reazioni di fissione, nuclei di atomi con un alto numero atomico
(pesanti), bombardati per mezzo di neutroni, si spezzano, producendo nuclei
con numero atomico minore: diminuendo così la propria massa, liberano un
grande quantità di energia termica.
Nelle reazioni di fusione, nuclei di atomi con basso numero atomico
(leggeri) si fondono, dando origine a nuclei più pesanti e rilasciando una no-
tevole quantità di energia (molto superiore a quella rilasciata nella fissione,
a parità di numero di reazioni coinvolte).
I combustibili nucleari che qui si considerano sono quelli utilizzati nelle
reazioni di fissione21.
Tutti gli elementi di elevato peso atomico possono subire il processo di
fissione purché vengano bombardati con neutroni di energia sufficientemen-
te elevata, ma soltanto pochi elementi sono fissili, possono cioè subire fis-
sione con neutroni di tutte le energie fino a valori relativamente modesti.
I neutroni a bassa energia (≤ 0,625 eV)22 vengono detti termici o lenti, in
contrapposizione ai neutroni veloci, che hanno energia superiore.
Gli unici elementi fissili sono gli isotopi radioattivi di uranio, U235 e
U233, e di plutonio, Pu239.

21
Nel seguito si parlerà solo di produzione di energia nucleare da fissione, perché finora, malgrado
decenni di sforzi da parte di ricercatori di tutto il mondo, non è stato ancora possibile realizzare, in
modo stabile, reazioni di fusione controllata.
22
L’ eV (elettronvolt) è la misura dell’energia di un elettrone che si muove in un campo elettrico pari
ad 1 Volt.
Energia: fonti e forme 13

Di questi solo l’U235 esiste in natura, mentre gli altri due sono prodotti
artificialmente.
L’isotopo U233 si può ottenere dal torio (Th) mediante bombardamento
con neutroni; il Pu239 si ottiene da U238 a seguito di cattura di un neutrone in
una reazione nucleare.
Per questo Th e U238 vengono chiamati materiali fertili.
L’uranio è un elemento molto diffuso in natura: è presente in molti tipi
di rocce sotto forma di minerali di vario tipo23, così come in molti fiumi e
nell’acqua di mare. È composto prevalentemente da U238 (99,28%) e da U235
(0,72%), con qualche traccia di U234.
La prospezione geologica e la coltivazione dei giacimenti utilizzano me-
todi non sostanzialmente diversi da quelli classici dell’industria mineraria.
L’estrazione, effettuata prevalentemente per gravità, può avvenire in mi-
niera o a cielo aperto24.
Il minerale estratto subisce un processo di concentrazione direttamente
sul posto, fino ad un tenore di circa il 50%, con l’impiego di mezzi fisici,
quali la frantumazione, la vagliatura, il lavaggio, la flottazione. L’uranio
viene estratto dal minerale generalmente mediante attacco con acido solfori-
co (o comunque una soluzione fortemente acida) [WNA, 2009]; in questo
modo si riesce a separarlo dagli altri elementi non desiderati, come il radio
sempre presente nelle miniere di uranio. Si ottiene così una polvere gialla di
ossidi, contenente fino all’85% di uranio in peso, che va sotto il nome di
yellow cake. Questa raggiunge l’impianto di purificazione dove, attraverso
procedimenti di estrazione con solventi, viene trasformata in UF6.
Poiché la maggior parte delle centrali nucleari utilizza come combustibi-
le uranio arricchito fino al 3÷5% di U235, l’esafluoruro viene trasportato in
appositi impianti di arricchimento25.
Attualmente l’arricchimento è ottenuto con i metodi della diffusione
gassosa e della centrifugazione, che sfruttano un processo fisico nel quale è

23
I migliori minerali sono la pechblenda (varietà di uraninite) e la carnotite.
24
Un’ altra tecnica di estrazione, oggi molto diffusa, alternativa alle tradizionali, è quella dell’ISL, che
ha il pregio di evitare il ricorso alle miniere: essa sfrutta le falde acquifere per iniettare, nel sottosuo-
lo, una soluzione acquosa, ottenuta con un agente complessante e uno ossidante, in modo che l’ossido
di uranio si sciolga in questa soluzione che viene, poi, pompata in superficie [WNA,2009].
25
Per ottenere una tonnellata di uranio arricchito al 4÷5%, occorrono 8 tonnellate di uranio naturale.
14 Capitolo primo

possibile separare due nuclei aventi diversa massa. Altre tecniche, come
quella della fotoionizzazione, non sono ancora allo stato commerciale.
L’esafluoruro arricchito può essere quindi convertito in polvere di bios-
sido di uranio (UO2) , sinterizzata poi in piccoli cilindri che, opportunamen-
te incamiciati, vanno a costituire le barrette di combustibile.
L’energia nucleare è utilizzata essenzialmente a scopi elettrici, previa
conversione dell’energia termica in energia meccanica.

2.2 Le fonti rinnovabili

Il sole

La radiazione solare è l’energia elettromagnetica (detta anche energia


radiante) emessa dal Sole in seguito alle reazioni di fusione nucleare che in
esso avvengono.
La radiazione solare che si propaga nello spazio portata dalle onde elet-
tromagnetiche appartenenti allo spettro di frequenza della luce visibile (in-
frarosso), caratterizzata da un altissimo contenuto termico, prende il nome
di energia luminosa.
Si definisce costante solare la densità della potenza luminosa quando
viene intercettata dalla Terra su un piano perpendicolare ai raggi solari. Il
suo valore, misurato sulla fascia esterna dell’atmosfera e mediato rispetto
alle oscillazioni stagionali della distanza Sole-Terra, è di (0,135 ± 0,02)
W/cm2 [Coiante, 2007].
Così, l’energia assorbita annualmente dal pianeta, al netto della parte di
energia emessa che è riflessa nello spazio senza penetrare nell’atmosfera
(detta albedo), è di 1018 kWht26/anno, una quantità, questa, che è circa 9000
volte superiore al fabbisogno energetico dell’umanità.
Tenendo conto dell’effetto di assorbimento selettivo dovuto alla presen-
za in atmosfera del vapore acqueo, dell’ossido di carbonio, dell’anidride
carbonica, dell’ozono, del metano, dei composti del cloro e del fluoro, di al-
tri composti volatili e di numerosi particolati, l’energia media effettivamente

26
Nel seguito, il kWh elettrico sarà semplicemente indicato con il simbolo kWh.
Energia: fonti e forme 15

disponibile al suolo è di 1,35·1017 kWht/anno, quantità comunque enorme-


mente più grande del fabbisogno mondiale attuale [Coiante, 2007].
Tale energia si ridistribuisce sulla Terra in modo dipendente dalla latitu-
dine; si possono così distinguere una zona desertica equatoriale con
2.200 ÷ 2.400 kWht/m2 all’anno, una zona torrida con media di oltre 1.900
kWht /m2 all’anno, zone temperate con 1.200 ÷ 1.900 kWht /m2 all’anno,
zone glaciali con meno di 1.200 kWht /m2 all’anno27 [Mangoni, 2005].
L’energia luminosa può essere convertita direttamente in energia elettri-
ca sfruttando l’effetto fotovoltaico nei materiali superconduttori oppure in
energia termica sfruttando l’effetto fototermico. Quest’ultima può essere uti-
lizzata direttamente come tale o convertita in energia elettrica.
È a tale energia luminosa che si dà comunemente il nome di energia solare.

Il vento

Il vento nasce dal movimento di masse d’aria che si spostano da zone ad


alta pressione atmosferica verso zone adiacenti a bassa pressione.
Gli squilibri di pressione sono originati dalla radiazione solare che, in
una determinata zona, provoca un notevole riscaldamento del terreno e, di
conseguenza, dell’aria sovrastante. Quest’ultima, dilatandosi, diminuisce di
densità e tende a salire verso l’alto creando una depressione al suolo che sa-
rà colmata da aria avente una temperatura più bassa proveniente da zone ad
alta pressione.
I venti che si formano saranno deboli, se la differenza di pressione tra
aree di bassa e alta pressione è relativamente piccola; saranno molto forti,
fino a poter provocare disastrosi uragani, se invece la differenza è consisten-
te e improvvisa.
In assenza di perturbazioni, la direzione del vento dovrebbe essere dal
punto di massima a quello di minima pressione, perpendicolare alle isoba-
re. In realtà, alcuni fattori tendono a deviarla: si tratta principalmente

27
Per quanto riguarda l’Italia, in particolare l’Italia Meridionale e le isole maggiori, è sufficientemen-
te estesa la superficie di zone interessate da energia incidenti dell’ordine di 1.800 kWh/ m2 all’anno.
In termini di potenza specifica media annua, si hanno variazioni da valori di circa 190 W/m2 a Marsa-
la fino ai 130 W/m2 di Milano.
16 Capitolo primo

dell’attrito interno e al suolo, della configurazione di questo e della forza


deviante dovuta al moto di rotazione della Terra.
Secondo l’andamento nel tempo, i venti possono essere costanti (quando
spingono sempre nella stessa direzione), periodici (quando la invertono re-
golarmente), variabili (quando soffiano occasionalmente).
Alla luce di quanto detto, il vento deve essere visto come il prodotto fi-
nale della trasformazione di una parte della radiazione solare nell’energia
cinetica delle molecole d’aria che lo compongono.
È a tale energia cinetica che si dà il nome di energia eolica.
Essa può essere convertita in energia meccanica e, quindi, in energia e-
lettrica.

L’aria

Può essere utilizzata a scopi energetici anche l’energia immagazzinata


nell’aria sotto forma di calore. A tale energia si dà il nome di energia aero-
termica.

L’acqua

L’acqua è un composto enormemente diffuso in natura nei suoi diversi


stati di aggregazione: gassoso, liquido e solido.
Ricopre la superficie terrestre nella proporzione di circa il 61÷71% per
l’emisfero nord e di circa l’ 81% nell’emisfero sud.
Essa subisce un ciclo chiuso, di continuo movimento e passaggio di stato
sotto l’influenza del riscaldamento solare28. Infatti, per effetto di questo, eva-
pora e si raccoglie nell’atmosfera ove si ricondensa e ricade sulla terra in for-
ma liquida. L’acqua così ricaduta in parte si incanala in fosse, torrenti e fiumi,
e in parte penetra nelle spaccature e nelle porosità del terreno, per poi tornare
in superficie: a distanza, se scorre in profondità, o nello stesso luogo ove è
penetrata, per il fenomeno di capillarità. Una volta tornata in superficie, sotto
l’influenza del calore solare, evapora nuovamente seguendo il suo ciclo.

28
Circa il 23% della radiazione solare viene impiegato nei processi che caratterizzano il ciclo idrologico.
Energia: fonti e forme 17

La pioggia, dunque, può essere pensata come il prodotto finale della tra-
sformazione della radiazione solare nell’energia potenziale gravitazionale
delle molecole d’acqua che la costituiscono. L’energia potenziale dei flussi
d’acqua opportunamente raccolti si trasforma, poi, in energia cinetica dei
flussi in caduta.
Tale energia cinetica è detta energia idraulica, che può essere convertita
in energia meccanica e, quindi, in energia elettrica.
Può essere utilizzata a scopi energetici anche l’energia immagazzinata
nelle acque sotto forma di calore. In tal caso si parla di energia idrotermica.

Il mare

Molti fenomeni naturali che avvengono nel mare, riconducibili al moto


delle masse d’acqua o ai gradienti termici tra zone differenti, sono sfruttabili
per produrre energia.
La marea è il ritmico alzarsi (flusso) ed abbassarsi (riflusso) del livello del
mare provocato dall'azione gravitazionale Terra-Luna29. Si tratta di un feno-
meno a carattere universale, persistente e periodico, le cui cause sono preva-
lentemente astronomiche. La massima elevazione dell'acqua e lo stato di e-
stremo abbassamento sono detti alta marea e bassa marea, rispettivamente. Il
dislivello tra un'alta e una bassa marea è l'ampiezza o escursione della marea.
Nell'arco di un giorno avvengono due cicli di alta e bassa marea.
L’energia potenziale dei flussi d’acqua, opportunamente raccolta durante
i periodi di alta marea, si trasforma, nei periodi di bassa marea, in energia
cinetica dei flussi in caduta.
È a tale energia cinetica che si dà il nome di energia maremotrice.
Essa può essere convertita in energia meccanica e, quindi, in energia e-
lettrica.
Energia può essere ricavata anche dalle onde, che si formano per
l’azione del vento sulla superficie marina: il vento cede parte della sua ener-
gia cinetica, spingendo lo strato d’acqua superficiale che assume una veloci-
tà superiore rispetto allo strato d’acqua sottostante.

29
In realtà, alla base del fenomeno, oltre al sistema gravitazionale Terra-Luna, c’è anche il sistema
gravitazionale Terra-Sole, ma è il primo che incide maggiormente a causa della ridotta distanza tra la
Terra e il suo satellite.
18 Capitolo primo

L’energia cinetica delle onde, che dipende essenzialmente dalla velocità


del vento e dalla sua durata, dalla profondità dell’acqua e dalle condizioni
del fondo marino, è detta energia del moto ondoso.
Essa può essere convertita in energia meccanica e, quindi, in energia e-
lettrica.
Energia cinetica sfruttabile può essere ricavata anche dalle correnti ma-
rine, dovute alla differenza di temperatura e di salinità delle masse d’acqua.
È possibile anche utilizzare, per produrre energia meccanica, convertita
poi in energia elettrica, la differenza di temperatura, di 20÷25 °C , che si
stabilisce tra gli strati superficiali delle acque marine, riscaldati dal sole, e
gli strati freddi a qualche centinaio di metri di profondità.

Il calore endogeno

La Terra è un immenso serbatoio di calore, che nelle zone più profonde


può raggiungere temperature di 4.000°C.
Esso trae origine dal residuo calore originatosi durante la formazione del
pianeta e dal decadimento di isotopi radioattivi presenti all’interno della Terra.
Il flusso di energia geotermica medio è pari a circa 0,06 W/m2, di modo
che la potenzialità geotermica della terra è pari a 32.000 GW. Se si conside-
rano unicamente le terre emerse (circa il 30% del totale della superficie) tale
potenzialità si riduce a 9.000 GW. In realtà tale limite può essere superato in
quanto è possibile pensare ad installazioni off shore localizzate in siti di for-
te anomalia, in siti cioè caratterizzati da un eccesso di flusso energetico ri-
spetto al valore basale medio [SIF, 2008].
Si calcola che l’energia termica contenuta entro i primi cinque chilometri
di crosta terrestre sia enormemente superiore agli attuali fabbisogni mondiali.
Le aree geotermicamente attive sono quelle ove il valore del gradiente
geotermico si discosta sensibilmente da quello medio. Esempi di aree geo-
termicamente attive sono quelle vulcaniche e quelle con sorgenti termali,
soffioni e gyser.
Il calore viene fatto fluire all’esterno con l’ausilio di vettori termici, co-
me acqua e vapore.
L’acqua, penetrata naturalmente o iniettata artificialmente nel sottosuo-
lo, per effetto del calore trasmesso alle rocce dalla massa magmatica, si
Energia: fonti e forme 19

scalda fino a raggiungere temperature di alcune centinaia di gradi; il fluido


(acqua e/o vapore), in queste condizioni, risale lungo faglie o fratture dando
luogo alle manifestazioni geotermiche. La risalita può anche essere indotta
artificialmente tramite trivellazione di pozzi, previa esplorazione del sotto-
suolo con apposite prospezioni idrogeologiche (pozzo geotermico).
All’energia termica prodotta si dà il nome di energia geotermica.
Essa, a seconda della temperatura e delle caratteristiche del vettore ter-
mico, può essere utilizzata come tale o convertita in energia elettrica.

Le biomasse

Si intende per biomassa ogni sostanza organica (vegetale o animale) de-


rivata, direttamente o indirettamente, dalla fotosintesi clorofilliana30.
L’assimilazione della biomassa a fonte rinnovabile è limitata alla sola par-
te biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura,
dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché alla parte biodegradabile
dei rifiuti industriali e urbani.
La biomassa è utilizzata per la produzione di energia termica ed elettrica,
e per la produzione di biocarburanti liquidi.

Per produrre calore ed elettricità, la prima strada è quella della combu-


stione diretta di biomasse secche31, opportunamente pretrattate attraverso
processi di essiccazione naturale e/o artificiale, e poi sminuzzate in diverse
forme: pellet, cippato, tronchetti32.

30
La fotosintesi è un processo biochimico mediante il quale le piante convertono l’energia luminosa
solare in energia chimica di legame, utilizzando acqua e anidride carbonica per sintetizzare sostanze
organiche (soprattutto carboidrati) e liberando ossigeno nell’atmosfera.
31
Si considerano secche le biomasse per cui il rapporto tra il contenuto di carbonio e il contenuto di
azoto ha valore superiore a 30 e il contenuto di umidità non supera il 30%. Sono: la legna con tutti i
suoi scarti di lavorazione (segatura, trucioli, etc.) e i sottoprodotti agricoli di tipo ligno-cellulosico
(paglia di cereali, residui di potatura della vite e dei fruttiferi, etc.) con taluni suoi scarti di produzione
(lolla, pula, gusci, noccioli, etc.).
32
Il pellet è formato da cilindretti prodotti con polvere di legno (generalmente segatura), la quale vie-
ne essiccata e pressata a caldo da apposite macchine in varie forme. Il cippato è costituito da pezzetti-
ni di legno sminuzzato, ottenuti da materiale non trattato, come i residui di segherie, potature, scarti
boschivi, etc. I tronchetti sono costituiti da legno tagliato in pezzi e utilizzati dopo due anni di stagio-
natura all’aria.
20 Capitolo primo

La combustione della biomassa può avvenire in due modi: completa o


parziale, a seconda che venga fornita una quantità di ossigeno abbondante o
scarsa. I prodotti di scarto della combustione sono gli stessi in entrambi i ca-
si: anidride carbonica e acqua. Tuttavia nella combustione in scarsità di os-
sigeno si forma un combustibile intermedio di natura gassosa, costituito da
idrogeno e diversi composti del carbonio, detto gas povero, che può essere
successivamente utilizzato in sede separata per alimentare differenti proces-
si energetici [Coiante, 2007].
La trasformazione delle biomasse solide in combustibile può sfruttare
anche il processo della carbonizzazione33. Il carbone da legna, o carbone
vegetale, è preparato nelle carbonaie, ove cumuli di legna vengono fatti bru-
ciare ricoperti da terra. Si distinguono carbonaie all’aperto, realizzate diret-
tamente nei boschi, che come prodotto finale forniscono solo il carbone, e
carbonaie al chiuso, ubicate al di fuori dei boschi e realizzate in modo da
consentire anche il recupero di altri prodotti, come l’alcool metilico,
l’acetone, l’acido acetico, il catrame, etc. .
La trasformazione della biomassa in energia termica ed elettrica può av-
venire anche utilizzando biomasse umide34. E ciò, in due modi diversi.
Con il primo la biomassa subisce il processo di gassificazione, attraverso il
quale viene trasformata in syngas. La gassificazione è preceduta da una prima
reazione di pirolisi attraverso la quale sono liberati i composti volatili35. Tutta-
via, la tecnologia è ancora lontana dallo stadio di applicazione commerciale.
Con il secondo, la biomassa subisce il processo di digestione anaerobi-
ca36, trasformandosi in biogas.

33
La carbonizzazione è il processo attraverso il quale il materiale vegetale subisce un’alterazione ter-
mochimica che trasforma in carbone le molecole strutturate dei prodotti legnosi e cellulosici, median-
te somministrazione di calore in presenza di poco ossigeno e la conseguente eliminazione dell’acqua
e delle sostanze volatili.
34
Si considerano umide le biomasse per cui il rapporto tra contenuto di carbonio e contenuto di azoto
è inferiore a 30 e il contenuto di umidità è superiore al 30%. Sono: le colture acquatiche, alcuni sotto-
prodotti colturali (foglie e steli da barbabietole, patate, etc.), i reflui zootecnici e alcuni scarti di lavo-
razione, nonché alcune tipologie di reflui urbani ed industriali.
35
La reazione di pirolisi è necessaria in quanto la biomassa ha un alto contenuto di componenti vola-
tili (70-76% su base secca) .
36
La digestione anaerobica è il trattamento biologico di liquami organici molto concentrati, effettuato
in recipienti chiusi (digestori), ad opera di batteri anaerobici. In assenza di ossigeno, tali batteri prov-
vedono alla riduzione biologica delle sostanze organiche presenti, con produzione di anidride carbo-
nica, metano e prodotti solforati.
Energia: fonti e forme 21

Il materiale organico di partenza è costituito da rifiuti vegetali e liquami


di origine animale, oltre che dalla parte umida dei rifiuti solidi urbani
(RSU). Una distinzione spesso adottata è quella che considera: biogas da
RSU smaltiti in discarica, biogas da deiezioni animali, biogas da rifiuti non
RSU, biogas da fanghi di depurazione, biogas da residui di attività agricole
e forestali37.
Il gas, costituito prevalentemente da metano e anidride carbonica, può
essere utilizzato anche come carburante; inoltre, subendo un processo di raf-
finazione, può arrivare ad una concentrazione di metano del 95% (biometa-
no) integrando o sostituendo lo stesso metano nelle sue varie utilizzazioni.

Tra gli impieghi energetici delle biomasse, sta assumendo sempre mag-
giore rilievo la produzione di biocarburanti. Tra questi, il bioetanolo e il
biodiesel, detti biocarburanti di prima generazione.
Il processo produttivo del bioetanolo differisce a seconda della biomassa
di partenza.
Nel caso di colture zuccherine (quali la canna da zucchero utilizzata in
Brasile, oppure la barbabietola da zucchero utilizzata in Europa), il processo
parte da una fase di pretrattamento volta a ricavare una corrente liquida ric-
ca in zuccheri; prosegue con una fase di fermentazione alcolica38 che tra-
sforma gli zuccheri in alcool etilico; termina con una fase di distillazione
[SIF, 2008].
Nel caso la biomassa di partenza sia costituita da colture amidacee (co-
me il mais che si utilizza negli USA), il processo è complicato dal fatto che,
prima di procedere alla fermentazione, è necessario trasformare in zuccheri
l’amido contenuto nella biomassa attraverso una fase di saccarificazione39
[SIF, 2008].
Dal bioetanolo, per reazione con isobutilene, può derivarsi anche il bio-
ETBE, additivo utilizzato per incrementare il numero di ottano e contenuto
di ossigeno delle benzine.

37
Si veda nota 15.
38
La fermentazione alcolica è un processo di tipo micro-aerofilo che opera la trasformazione dei glu-
cidi contenuti nelle produzioni vegetali in etanolo.
39
La saccarificazione è il procedimento chimico mediante il quale i carboidrati vengono trasformati
in zuccheri semplici per effetto di enzimi o di acidi minerali.
22 Capitolo primo

Il processo produttivo del biodiesel parte dall’utilizzazione di semi oleo-


si (palma da olio, palma da cocco, arachide, cotone, soia, colza, girasole, li-
no, canapa, mais, etc.) e di oli e grassi di scarto.
Tramite un processo di estrazione, caratterizzato da riscaldamento,
spremitura e distillazione, è possibile ottenere olio vegetale, che si trasforma
in biodiesel, se sottoposto a processo di transesterificazione40. L’olio, puro
o idrotrattato, può essere usato anche per la combustione diretta.
Tutto quanto detto è riportato in forma sintetica nella figura 1.1.

FIG. 1.1 Rappresentazione sintetica dei processi di trasformazione


delle biomasse

40
La transferificazione è una reazione chimica che, attraverso l’utilizzo di metanolo e di un opportu-
no catalizzatore (il più comune è la soda caustica), permette la rottura della molecola complessa dei
grassi (trigliceridi) in molecole più piccole e meno viscose di esteri e glicerolo (comunemente detta
glicerina, sostanza utilizzata nell’industria farmaceutica e cosmetica).
Energia: fonti e forme 23

Si mette in evidenza che, al di là dei costi, il problema più grande per i


biocarburanti è rappresentato dai volumi producibili con le tecnologie oggi
commercializzate in confronto ai consumi attuali e futuri: le coltivazioni e-
nergetiche utilizzate implicano, infatti, l’utilizzo di vaste aree coltivabili e
contrastano con il mercato alimentare, con le conseguenze economiche e so-
ciali che ciò comporta.
Per aumentare i volumi, è essenziale allora lo sviluppo di nuovi processi
in grado di ricavare prodotto utile da biomasse non destinate all’alimen-
tazione e disponibili in quantità ben maggiori. Una classe di queste biomasse
è rappresentata dalle biomasse di tipo ligno-cellulosico, del genere di quelle
utilizzate nella combustione diretta, dalle quali è possibile produrre biocarbu-
ranti attraverso processi biochimici o attraverso processi termochimici. Sono i
cosiddetti biocombustibili di seconda generazione.
La prima via comporta la necessità di ottenere zuccheri che possano poi
alimentare processi fermentativi simili a quelli già oggi utilizzati. La ridu-
zione delle biomasse a zuccheri fermentabili, attraverso un’idrolisi enzima-
tica41, risulta, però, particolarmente difficoltosa e costosa, in quanto sono
richiesti enzimi specifici, diversi da quelli che si impiegano per la conver-
sione a zuccheri degli amidi [SIF, 2008].
Dei processi termochimici fanno parte la gassificazione e la pirolisi42.
E’ possibile trasformare la biomassa in syngas da cui, tramite la reazione
di Fischer-Tropsch, si possono sinterizzare prodotti idrocarburici liquidi di
natura molto diversa, quali componenti per diesel, dimetiletere (DME),
biometanolo e idrogeno, con schemi che vengono in generale definiti Bio-
mass To Liquid -BTL [Marchionna, 2007].
E’ possibile, altresì, con la pirolisi, convertire biomasse in un liquido idro-
carburico grezzo che, presentando problemi di stabilità, deve essere a sua vol-
ta processato seguendo schemi simili a quelli tipici della raffinazione.
In alternativa all’utilizzazione delle biomasse di tipo ligno-cellulosico,
sono oggi allo studio processi produttivi di biocarburanti basati su colture di

41 L’idrolisi è un insieme di reazioni chimiche in cui una molecola viene scissa in due o più parti per
inserimento di una molecola di acqua. Nel caso dell’idrolisi enzimatica ciò avviene con il supporto di
alcuni enzimi che fungono da catalizzatori.
42 Per le biomasse al fine di massimizzare la resa in liquidi (olio), si utilizza la fast/flash pirolisi, cioè
si riscalda la biomassa ad alta temperatura per un tempo breve (ad es. a 500 °C per qualche secondo).
24 Capitolo primo

tipo algale: i lipidi e gli zuccheri contenuti nella biomassa algale possono,
infatti, essere impiegati sia nella produzione di bioetanolo che di biodiesel.
I prodotti che ne derivano sono i cosiddetti biocombustibili di terza ge-
nerazione.

3. Un derivato multifonte: l’idrogeno.

L’idrogeno è l’elemento più leggero e abbondante dell’Universo. E’ tut-


tavia assai raro sulla Terra allo stato libero, a causa della sua estrema volati-
lità. Per poterne disporre in quantità industrialmente utili, occorre pertanto
produrlo a partire dai composti che lo contengono.
Può essere derivato da combustibili fossili e da loro derivati attraverso la
produzione di syngas sottoposto alla reazione di shift che ne incrementa il te-
nore di H2 mediante una reazione esotermica catalitica. In funzione
dell’utilizzo finale, può essere necessario purificare la miscela ottenuta trami-
te processi come l’assorbimento chimico o PSA43 [Chiaramonti et al., 2005].
La produzione su larga scala avviene solitamente mediante steam refor-
ming del gas naturale. Il prodotto finale è una miscela gassosa composta per
il 77% da H2.
La produzione di syngas può derivare anche dall’utilizzo del carbone, in
particolare dal coke da gas, sfruttando il processo di gassificazione e può de-
rivare dall’utilizzo di idrocarburi o sfruttando un processo di ossidazione
parziale (POX)44 o un processo di reforming autotermico45, applicato so-
prattutto su benzine e metanolo.
L’idrogeno può essere derivato anche da fonti rinnovabili quali la bio-
massa e l’acqua.

43
Il metodo PSA (Pressure Swing Absorption) viene utilizzato nell’industria per separare una miscela
di gas nei suoi vari componenti. Il cuore di questo processo è costituito da un materiale a base di zeo-
lite, un minerale caratterizzato da una struttura cristallina con un’ampia superficie che trattiene selet-
tivamente le molecole di gas.
44
L’ossidazione parziale è una reazione esotermica che, quindi non richiede calore dall’esterno; av-
venendo ad elevate temperature, non richiede neanche l’uso di catalizzatori.
45
Il reforming autotermico è un processo che incorpora i vantaggi dello steam reforming e del POX:
gli idrocarburi vengono fatti reagire sia con vapore che con aria per produrre un gas con un alto con-
tenuto di idrogeno.
Energia: fonti e forme 25

La produzione da biomassa segue il percorso dei combustibili fossili:


produzione di syngas seguita dalla reazione di shift. La produzione di
syngas avviene mediante il processo di gassificazione.
La produzione dall’acqua avviene attraverso i processi dell’elettrolisi46 e
dello split termochimico.
Le soluzioni acquose usate per l’elettrolisi sono varie.
Ovviamente, solo nel caso in cui l’elettricità sia generata da fonti rinnova-
bili, tutto il processo di produzione dell’idrogeno è un processo rinnovabile.
Lo split termochimico consiste nella scissione termica della molecola di ac-
qua. Questa avviene spontaneamente alla temperatura di 2.300 °C, temperatura
che è difficilmente raggiungibile e che solo pochi materiali possono sopportare
mantenendo integre le loro proprietà meccaniche. La temperatura richiesta può
essere ridotta fino agli 800 ÷1.000 °C utilizzando opportuni catalizzatori.
I reattori nucleari di IV generazione47, che dovrebbero operare a tempe-
rature intorno a 1.000 °C, e i concentratori solari parabolici47 potrebbero es-
sere i più adatti a produrre idrogeno abbinati al processo.
Ai processi di produzione dell’idrogeno già citati se ne aggiungono di-
versi altri in fase di ricerca più o meno avanzata.
Il reforming catalitico del bioetanolo è il settore ad oggi più promettente;
in minore misura anche bio-oli ed oli di pirolisi sono stati testati su vari ca-
talizzatori allo scopo di produrre idrogeno.
Un altro processo ancora ai primissimi stadi della ricerca è basato sui
metodi di conversione enzimatica del glucosio e di altri zuccheri.
Non va dimenticata, poi, la ricerca sui processi fotoelettrochimici e su
quelli fotobiologici. I primi consistono nell’utilizzo di sistemi catalizzatori o
semiconduttori che, associati all’azione della luce solare, sembrano in grado
di sciogliere le molecole dell’acqua; i secondi consistono nell’utilizzo di e-
nergia solare abbinata a sistemi biologici come alghe, microrganismi inge-
gnerizzati, rifiuti organici.
L’idrogeno è un vettore che può essere utilizzato sia per la produzione
centralizzata o distribuita di energia elettrica, sia come combustibile.

46
L’elettrolisi è un processo per cui, in una soluzione acquosa, nella quale sia stato sciolto un elettro-
lita (acido, base, o sale ad elevato prodotto ionico di dissociazione), il passaggio di una corrente elet-
trica libera idrogeno al catodo ed ossigeno all’anodo (a spese, quindi, esclusivamente delle molecole
di acqua).
47
Di tali reattori e dei concentratori solari si parlerà nel capitolo terzo.

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