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I promessi Sposi

-Tonio: Ci viene presentato come un personaggio umile con una famiglia e dei figli. Anche a casa di
Tonio c’è sofferenza dovuto al senso di disagio creato dalla carestia. In questa casa ci sono visi di gente
affamata,atteggiamenti famelici non ancora aggressivi,ma pronti a scattare verso la soddisfazione,se
una delle bocche lascia il suo compito e si trasferisce altrove..

Gli accenni alla carestia non sono solo nei campi e nei paesi ,ma anche dentro le pareti domestiche e
la cena in casa di Tonio è pur nella breve apparizione in profonda antitesi con la cena in casa di Don
Rodrigo,quei visi attenti ,quegli occhi fissi al paiolo ,sono un rimprovero ai visi rubicondi dei convitati
al palazzotto di Don Rodrigo,dove la carestia entra come un disturbatore fastidioso con il volto dei
fornai che bisognerebbe impiccare.

La famiglia di Tonio rappresenta anche un primo nucleo familiare ,di fronte alla miseria e alle difficoltà
la famiglia rimane unita. Attorno al tavolo e al focolare,vediamo proprio tutti ,anche l’anziana nonna
ed il fratello di Tonio,Gervaso,un ragazzo disabile. La solidarietà che nasce all’interno del nucleo
familiare ,si apre poi verso l’esterno nella generosità verso gli ospiti. La famiglia di Tonio diventa così
il modello di tutte le famiglie contadine, nelle quali la povertà è sempre talmente dignitosa da non far
mai dimenticare l’innato senso di ospitalità e di condivisione.

Tonio si dirige all’osteria insieme a Renzo e dai suoi racconti emerge, inoltre ancor di più il carattere
di Don Abbondio il quale, al posto di rassicurare Tonio per il suo debito con il lui, ogni volta che lo
incontra glielo ricorda mettendolo anche in imbarazzo. E’ una persona per bene che aiuta Renzo nel
suo piano.

-Gervaso:

-il vecchio servitore: Compare nei capp. V, VI e VII ed ha un ruolo decisivo nello svelare il progettato
rapimento di Lucia: è descritto come un uomo non più giovane, già membro della servitù del defunto
padre di don Rodrigo (un uomo di indole ben diversa dal figlio) ed il solo rimasto a palazzo quando la
vecchia servitù è stata licenziata, poiché il vecchio ha una grande considerazione per il casato ed è
esperto del cerimoniale, benché non rinunci talvolta a criticare con gli altri domestici la condotta del
padrone che non approva. Accoglie con stupore padre Cristoforo al suo arrivo a palazzo (V) e
afferma amaramente che "Sarà per far del bene. Del bene... se ne può far per tutto", per poi
accompagnare il frate alla sala dove don Rodrigo è a pranzo con i suoi commensali. Dopo il colloquio
tra padre Cristoforo e il padrone di casa (VI) avvicina in segreto il frate e gli rivela che il padrone sta
macchinando qualche oscuro progetto di cui lui non ha ancora informazioni precise, dicendosi
tuttavia disposto a venire al convento di Pescarenico per riferire più ampi dettagli al frate. Il vecchio
riceve la benedizione del padre prima che esca dal palazzo, quindi si reca il giorno dopo al convento
(VII) per informare il cappuccino del rapimento di Lucia, che ha appreso carpendo brandelli di
conversazione tra Rodrigo e i suoi bravi. Si salva da una probabile rappresaglia del padrone, in
quanto il fallimento dell'impresa viene attribuito al "matrimonio a sorpesa".

-Fra Galdino: È un cercatore laico dei cappuccini, che vive al convento di Pescarenico dove risiede
anche il padre Cristoforo: uomo semplice e dotato di fede candida e ingenua, è un personaggio
secondario che compare in due importanti episodi del romanzo, in entrambi i quali protagonista è
Agnese. Nel primo (cap. III) il frate bussa alla porta della casa di Agnese e Lucia, chiedendo
l'elemosina delle noci, al che la donna ordina alla figlia di portarle a Galdino: nell'attesa l'uomo
racconta il "miracolo delle noci", intermezzo narrativo e apologo edificante sul valore della carità che
contiene involontari riferimenti al personaggio di don Rodrigo. Al suo ritorno Lucia consegna al frate
una quantità ingente di noci (attirando la collera di Agnese in quanto l'annata è scarsa), per poi
chiedere a Galdino di pregare il padre Cristoforo di venire da loro prima possibile. In seguito la
giovane spiega alla madre che, se il cercatore avesse dovuto proseguire la questua anziché tornare
subito in convento, avrebbe perso tempo e si sarebbe probabilmente dimenticato di avvertire
Cristoforo, per cui Agnese approva (seppur a malincuore) la sua scelta. Nel secondo episodio (XVIII),
Agnese si reca al convento di Pescarenico per conferire col padre Cristoforo dopo aver appreso a
Monza che Renzo è rimasto coinvolto nei tumulti di Milano ed è fuggito a Bergamo, ma alla porta
trova fra Galdino che la informa che Cristoforo è partito per Rimini, su ordine del padre provinciale
dei cappuccini: la donna è costernata e Galdino, con la sua schietta semplicità, si compiace del fatto
che il padre sia stato inviato come predicatore in una città lontana, poiché i frati cappuccini sono
famosi in tutto il mondo per le loro abilità oratorie. Le propone di rivolgersi ad altri padri del
convento per un parere, nessuno dei quali naturalmente può soddisfare Agnese che ha fiducia solo
in Cristoforo, per cui la donna è costretta a tornarsene sconsolata al paese. Curioso è il fatto che fra
Galdino citi la Romagna in entrambi gli episodi in cui compare: lì sorgeva il convento di padre
Macario, protagonista del "miracolo delle noci", e sempre in quella regione (cioè a Rimini) viene
trasferito padre Cristoforo su ordine del padre provinciale.
Altra curiosità sta nel fatto che nel Fermo e Lucia il personaggio veniva chiamato fra Canziano (III, 3),
mentre il nome di padre Galdino era inizialmente attribuito al personaggio di padre Cristoforo.

Il podestà: Il podestà è il magistrato che amministra la giustizia a Lecco. È un uomo corrotto, che non
assolve ai compiti che gli spettano in qualità di magistrato, perché non rispetta la giustizia. Egli
infatti è un amico del signorotto Don Rodrigo e frequentatore della sua casa, per cui si può
immaginare che il giudice, se proprio non é complice delle sue malefatte, è tuttavia disposto a
chiudere un occhio su di esse è a farsene compiacente. È un personaggio secondario e appare
direttamente per l’unica volta nel quinto capitolo, quando padre Cristoforo si reca al palazzotto di
Don Rodrigo per parlare con lui e lo trova seduto a tavola con i suoi convitati, tra cui appunto il
podestà che è impegnato in una frivola disputa cavalleresca col conte Attilio: questo dimostra anche
quanto sia menefreghista nei confronti del popolo, che vive una situazione di miseria e povertà a
causa della grave condizione economica e politica causata dalla dominazione spagnola.

I CAPPONI: I capponi all’interno del romanzo compaiono nel cap. III, quando Renzo si reca da Azzecca
Garbugli. E’ una delle scene di cui Manzoni si è servito per esprimere la sua morale. I capponi che
Renzo nel suo agitato gesticolare sbatacchia senza requie,continuano a beccarsi tra loro anzicchè
coalizzarsi contro il comune avversario,spendendo così le loro energie.In loro l’autore identifica il
genere umano e la sua insipienza .Nel proporre il paragone,Manzoni probabilmente pensava ai tanti
gruppetti di esuli italiani del suo tempo che non trovavano un accordo per la liberazione del paese.

I capponi erano stati preparati per il banchetto delle nozze,a far ricca la festa degli sposi,ma non sono
serviti a questo.Dovevano allora tornare utili a risolvere ,grazie all’ avvocato , l’imbroglio nuovo:ma
non sono serviti neppure a questo.Sono dunque personaggi inutili,ma hanno un’importante funzione
narrativa :segnano la fine di un tempo felice per i personaggi.

I contadini: Fanno la loro comparsa nel romanzo quando Fra Cristoforo esce dal convento e si dirige a
casa di Lucia . Ci vengono presentati attraverso gli occhi del frate cappuccino, la sua carità e la sua
partecipazione alle sofferenze gli consentono di mettere a fuoco i particolari più dolorosi,i segni della
carestia .Lo sguardo del frate si sofferma sulle figure che popolano il paesaggio,sui mendicanti
laceri,sui lavoratori dei campi che gettano “con risparmio” la loro semente,sulla fanciulla scarna che
ruba “qualche erba” alla “vaccherella”.Sono le prime immagini di uno dei flagelli che occupano il
romanzo.
Ritroviamo per la seconda volta i contadini quando Fra Cristoforo si dirige da Don Rodrigo e vengono
definiti dal narratore “mezzi contadini e mezzi banditi” a sottolineare il servilismo di tali individui al
padrone.Ancora una volta il paesaggio viene descritto attraverso gli occhi del frate al quale non sfugge
che nel palazzotto sono mescolati alla rinfusa gli oggetti del lavoro e quellii del
delitto”schioppi,zappe,rastelli,fiaschetti di polvere”spie di un sistema violento di vita che si riflette
nelle presenze umane del luogo.

AZZECCA – GARBUGLI: Il Dottor Azzecca-Garbugli , chiamato anche Dottor Pettola o Dottor Duplica,
fa il suo ingresso nel capitolo III quando Renzo si reca da lui per una consulenza. E’ un avvocato di
Lecco denominato così per la sua abilità nel risolvere questioni molto spinose e ci viene descritto da
Agnese come un uomo di media età, alto, asciutto, pelato, col naso rosso e una voglia di lampone
sul viso e dal punto di vista psicologico si rivelerà un uomo servile, ipocrita e corrotto. Questo suo
soprannome gli è stato attribuito dalla popolazione poichè spesso in passato ha aiutato molte
persone a risolvere i loro problemi ed ha affrontato cause di una certa importanza nel tribunale di
Milano. Con l’avvento della dominazione spagnola il suo ruolo è stato messo da parte assieme alla
vera giustizia vuol perdere la protezione:perciò è Infatti Manzoni lo definisce “ eroe della parola
decaduta ” poichè la legge ormai era dettata dal più forte. Ultimamente la legge gli interessa ,ma
solo perchè gli suggerisce le trappole più efficaci ,gli imbrogli ,i cavilli più astuti ,con i quali sottrarre i
delinquenti alla giustizia. Analogamente a Don Abbondio anche lui è dominato dalla paura ,dal
timore di scontrarsi con i potenti,dei quali è l’umilissimo servitore e di cui non servile con chi conta
,ma arrogante con chi non può difendersi;proprio per questo sentendo pronunciare il nome di don
Rodrigo ,abbandona Renzo al proprio destino,senza scrupoli.senza ripensamenti..Manzoni non
condanna apertamente il personaggio,ma ancora una volta ricorre al’ironia per ridicolizzarlo.
Azzecca-garbugli prende un granchio,intende alla “rovescia” il caso del proprio cliente ,non
comprende la vera natura di Renzo,non riesce a distinguere che Renzo è vittima e non oppressore.
Azecca-garbugli non esita ad usare la sua cultura per ingannare i deboli e gli ignoranti ,proprio come
fa don Abbondio.La parola viene usata dai due uomini di cultura come uno strumento di
inganno,utile per confondere le idee a quei “poverelli” che ripongono grande fiducia in chi “sa”.
L’avvocato sa leggere e scrivere,possiede libri ed ha l’ abitudine di colmare la scrivania con scartoffie
e libri di vario genere per impressionare qualsiasi visitatore anche se è da molto tempo che non
consultava più uno di quei libri come dimostra la coltre di polvere depositatasi su di essi.Per la sua
rinuncia a lottare per la giustizia e per la sua tendenza a schierarsi dalla parte dei potenti il dottor
Azzecca-Garbugli incarna per Manzoni il degrado rovinoso della giustizia del seicento.

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