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DEBORD/GODARD

Ripetizione e memoria

“Giacché non c‟è ripetizione senza un ripetitore,

nulla si può ripetere senza un‟anima che ripeta.”

Gilles Deleuze

“Se la ripetizione è possibile” dice Deleuze, “essa inerisce


al miracolo piuttosto che alla legge.” E poiché, aggiunge,
“essa è contro la legge”, se una ripetizione in natura può
essere trovata è solo “nel nome di una potenza che si afferma
contro la legge, che lavora sotto le leggi, forse superiore
alle leggi1.”

E‟ a questo genere di potenza della e nella ripetizione che


qui ci si vuole riferire, prendendo in esame il cinema di Guy
Debord e tentando in questo senso un confronto (possibile)
con il lavoro svolto da Jean-Luc Godard nelle sue Histoire
(s) du cinéma. Se infatti ripetere2 potrebbe aver voluto
significare in entrambi gli autori essenzialmente
“trasgredire”, come nel caso specifico del cinema di Debord
per il quale si è trattato letteralmente di un venir meno
come oscuramento- necessario- a fronte di un insostenibile
accecamento3, questo è avvenuto affinché fosse realmente
possibile esplorare delle traiettorie altre, in grado di
operare sotto, sopra, di fianco o sfacciatamente contro una
qualche Legge che si è voluta “del” cinema.

Si tratterebbe allora per questo di una negazione in qualche


modo “positivizzata4”, se un altro sviluppo nella ripetizione
c‟è, e quindi una forma, sia pure di quelle sempre mutanti di
una transizione continua e quindi programmaticamente
incompiute che solo certe “negatività” dimostrano di saper
produrre, per gemmazione quasi, attraverso degli st(r)ati di
materia potenzialmente alterativi.

Per dirla con le parole di Gil J Wolman non v‟è negazione che
non si affermi anche in un altrove, e pertanto questa
negatività non potrà che costituirsi allora se non
positivamente come “il termine di transizione verso un
periodo nuovo5”.

La negazione del concetto, intrinseco, immutabile, a


priori, proietta questo concetto al di fuori della
materia, lo rivela a posteriori con una reazione
estrinseca e lo rende mutevole per effetto di
altrettante reazioni.6
A questa dinamica eminentemente proiettiva e ricreativa
inneggiavano i primi situazionisti nei loro passaggi
attraverso un ri-pensamento costante dell‟ apparente
staticità di quelle forme esibite all‟epoca dalle moderne
architetture parigine solo capaci di dar riposo all‟occhio
per raffreddarlo, alle quali essi andavano ad opporre
piuttosto, da quello che era un loro stato di partenza
negativo interiorizzato, delle altre forme capaci di ri-
articolare ogni ordine spaziale e temporale, e di ri-modulare
gli elementi di una data realtà mediante la progettazione
continua di nuovi scenari mobili7.

Dalle ideali “cattedrali personali” ideate dai primi


situazionisti unicamente per far sognare e vissute come mezzo
di conoscenza e azione, concepite al solo scopo di essere
sostanzialmente modificabili, indefinitamente modulabili di
una “modulazione influenziale” in grado di assecondare i
movimenti avvolgenti di una curva, eterna come quella dei
desideri umani, alla pratica sperimentale del film fatto con
le mani8, al “gesto sociale” operato al tavolo di montaggio,
occorreva insomma passare per il cinema.

Perché il cinema solo-Seul le cinéma9-è in grado di


sprigionare una potenza tale da sostituire al nostro sguardo
un mondo. Un mondo accordato ai nostri desideri10. Ma è
necessario che questo potere che gli è proprio venga
trasformato in potenza. Se del cinema sarebbe infatti la
straordinaria potenza di prendere parte alla vita stessa (che
ne è poi anche la sua materia prima), del cinema sarebbe
anche la potenza inversa, la quale rischia di diventare un
atroce potere ogni qual volta il cinema tenterebbe di
guadagnarsi potere sulla vita andandole a sostituire uno
spettacolo che si farebbe passare per la vita stessa11. A quel
punto “ciò che lo spettacolo ha tolto alla realtà
dev‟essergli ripreso12”, questo in sostanza, l‟attacco
sferrato dal cinema di Debord al cuore dello spettacolo
stesso.

Una sfida che proprio Godard sembra raccogliere anni dopo


nelle sue Histoire(s) du cinéma riaprendo il dibattito
attorno a quegli stessi temi, seppur presentandone invertiti
i termini: perché a questo punto se un derubato c‟è, questo è
ora il film stesso, ed è proprio la vita in questo caso a
dovergli restituire qualcosa13. La provocazione lanciata da
Godard attraverso questo capovolgimento tematico, non annulla
ma va piuttosto a supportare la precedente affermazione
debordiana, rafforzando il nodo di quello che mi sembra uno
stesso plesso problematico. Si tratterebbe per entrambi
infatti essenzialmente di una questione di “memoria14” nella
ripetizione. Quando Godard compie il gesto di scrivere in
sovrimpressione nella formula lettrista HIS TOI RE DU CI NE
MOI, è evidentemente a questo che vuole alludere, a una
rinnovata possibilità di un “passaggio di mano del vissuto
come memoria, della trasmissione della memoria come vissuto,
di cui il „ripetitore‟ si fa strumento e mediatore”15. Da qui
anche il valore conduttore del medium Voce16, essenziale per
entrambi anche se utilizzato in modi differenti, attraverso
quello che è uno stesso processo di
prolungamento/moltiplicazione del carattere ostensivo
dell‟immagine.
Progettando la sua ri-costruzione di una possibile storia del
cinema, Godard è infatti ben consapevole delle straordinarie
capacità proprie della meccanica proiettiva (una storia da
proiettar-si17 (proje-c-ter-) verso un potenziale in-finito)
oltre che ri-produttiva (“histoire avec un „s‟”) del mezzo
che sta impiegando. Consapevole almeno quanto il Debord della
didascalia finale de “In girum imus nocte et consumimur igni”
(1978) che invita a “riprendere dall‟inizio”, attraverso quel
procedimento palindromico di una struttura autoavvolgentesi
che è dello specifico di questo film ma che nel complesso
potrebbe valere di diritto per l‟intero percorso
cinematografico debordiano, tanto costitutivamente destinato
a tornare almeno quanto quelle Histoire(s) portate a
ripiegare più e più volte su loro stesse allo stesso modo
della pellicola cinematografica che, consunta nel fuoco dalla
e nella ripetizione, continua a riavvolgersi sul tavolo di
montaggio, bruciando, anche lei, su sé stessa-“ne vois tu que
je brule.18”

E se ciò che varrebbe di diritto nella ripetizione, come


spiega Deleuze, è „n‟ volte come potenza di una sola volta19,
è proprio a tale evoluzione del gesto come causa agente che
occorre fissare lo sguardo, a quella pratica rivoluzionaria
espressa da certo cinema attraverso un particolare uso del
montaggio, che chiede di essere trattenuta e registrata come
possibilità indefinitamente rilanciata in un incessante
mutare “di segno.” Sarebbero infatti queste relazioni più o
meno celate, tra un‟attualità del dato fenomenico e la sua
virtualità di una messa in scena “da compiersi”, a tenere in
vita l‟ organismo del film (vivo di una sua vita propria)
influenzandone costantemente lo sviluppo. Ed è proprio a
questa natura escatologica dell‟immagine che entrambi gli
autori sembrano voler far riferimento, mostrando di saper
rilevare, insieme a quello che dell‟immagine è un
inconfondibile indice storico, come una data incancellabile,
quello che è anche lo straordinario potere del gesto
(cinematografico) capace di rimandare a un altro tempo, più
attuale e forse anche più urgente di qualsiasi tempo
cronologico20. Sono allora proprio quelle condizioni
trascendentali che il cinema sarebbe in grado di attivare
attraverso il montaggio, nelle sue due dinamiche fondamentali
di arresto e ripetizione21, a dover essere esibite ora in
quanto tali per poter accedere a quello che è a tutti gli
effetti un altro ordine temporale. Solo in questo modo,
infatti, si renderebbe possibile sottrarre alla ripetizione
quel qualcosa di veramente nuovo, la differenza che stando a
Deleuze, costituirebbe la funzione stessa dell‟immaginazione
nei suoi stati multipli e frazionati, essendo la ripetizione
stessa nella sua essenza, immaginaria, e facendo esistere
pertanto ciò che contrae solo “come elementi o casi di
ripetizione”22. Ma ciò che verrebbe a costituirsi come “nuovo”
non è per l‟appunto il nuovo. Di fatto, prosegue Deleuze,
“ciò che è proprio del nuovo, in altri termini la differenza,
è di sollecitare nel pensiero forze che non sono quelle del
riconoscimento, né oggi né mai, ma potenze di un ben diverso
modello, in una terra incognita mai riconosciuta né
riconoscibile23”.

In questo senso allora la differenza, o il vero


cominciamento, avverrebbe a partire solo da quella che è una
lotta rigorosa contro l‟Immagine “anche a costo delle più
grandi distruzioni, delle maggiori demoralizzazioni” come se
il pensiero davvero “non potesse cominciare a pensare, e
sempre ricominciare, se non liberato dall‟Immagine e dai suoi
postulati”.24

Debord nelle Histoire(s) du cinéma

“Per me il montaggio è la resurrezione della vita.”

J.-L.Godard

“La rivoluzione non consiste nel „mostrare‟

la vita alla gente, ma nel farla vivere.”

G. Debord
“La rivoluzione è la deterritorializzazione assoluta

Nel punto stesso in cui questa fa appello

alla nuova terra, al nuovo popolo.”

G. Deleuze

“Se io forzo il ricordo, capisco subito cosa mi succede.


Immagino. Non ricordo più. Immagino25.” Questa è una delle
citazioni contenute nel cap. 4B delle Histoire(s) du cinéma
intitolato “Les signes parmi nous” attraverso cui Godard ci
reintroduce a quello che viene indicato ancora una volta come
il miracolo di una “nascita”, o meglio di una ri-nascita al
Tempo dell‟ Immagine attraverso un montaggio capace di
associare delle cose che non sembrerebbero affatto disposte
ad esserlo.26 E sempre in questo capitolo si fa riferimento
proprio attraverso un fare montaggio alla portata storica del
cinema come arte del XIX secolo, senza la cui invenzione il
secolo successivo da solo, avrebbe potuto esistere poco27. E‟
in questo senso che, spiega Godard, il cinema si può dire non
abbia avuto mai nulla da temere, né dagli altri né da sé
stesso, e non perché fosse “al riparo” dal tempo ma per il
suo essere stato in qualche modo il riparo stesso del tempo.28
Attraverso il montaggio di un altro cinema di cui il capitolo
finale delle Histoire(s) torna ad occuparsi, va ad insinuarsi
in maniera sempre più decisa la volontà di reimpostare un
nuovo regime estetico istituendo un diverso rapporto tra
tempo e memoria, e questo nella misura in cui proprio la
ripetizione e il collage di frammenti eterogenei vengono
utilizzati in funzione di una creazione di sempre nuovi
legami di parentela possibili, producendo quel “nuovo” della
differenza di cui abbiamo detto.

Ma se la battaglia di Godard a favore di quest‟altro cinema,


per un secolo che avrebbe potuto essere diverso, è impostato
su un piano propriamente formale di costruzione/
decostruzione di quelle che ci appaiono come delle vere e
proprie immagini-monadi29, ognuna delle quali, sottratta a un
suo proprio discorso ufficiale è chiamata a rivelare poi
successivamente tutta un‟altra Storia, in un‟operazione che
come osserva giustamente Rancière, lo porta a fare dei film
che sono stati fatti degli altri film che non sono mai stati
fatti30, per Debord si tratterebbe invece di innescare una
rivolta contro quello che è l‟ ordine spettacolare stesso,
colpevole di aver annullato la vita autentica proprio nell‟
esibizione di falsi rapporti sociali costruiti su immagini,
alle quali pertanto nessuna concessione può esser fatta, se
non in prospettiva di un loro totale rovesciamento che le
porterebbe a rivoltarsi contro loro stesse, e quindi ad
annullarsi31. Il détournement situazionista lavora proprio in
questa direzione, per quello che è a tutti gli effetti ci
appare come il principio di una nuova dimostrazione, ancora
possibile, al solo servizio della rivoluzione. A questa prima
importante differenziazione rinvenibile alla base stessa dei
due diversi metodi compositivi, ne va aggiunta senz‟altro
un‟altra che riguarda proprio il valore assegnato a tali
“frammenti”. Laddove infatti in Godard il dettaglio
sembrerebbe obbedire quasi a una logica dell‟ eccesso, in cui
l‟elemento debordante starebbe a designare appunto
l‟eccedenza o forse una crepa insanabile in grado di
rimettere in discussione la totalità di un montaggio che
dimostra comunque di avvenire sulla base di un ossimorico
continuum-frammentato, in Debord (basti pensare anche al solo
caso di In girum) le parti detournées sulle quali viene
accompagnandosi la voce off dell‟ autore stesso, vanno a
marcare invece l‟ingresso a quello che è completamente un
altro ordine di discorso, il quale inizierebbe a deviare da
un regime di critica sociale verso propositi più
evidentemente autobiografici. E‟ qui la sua stessa vita che
ci viene offerta nei termini di una concreta possibilità di
sovversione. La sua giovinezza, la giovinezza di Guy Debord,
sta qui a rischiarare la storia di un‟altra luce possibile32.
E poco importano allora in questo senso i materiali impiegati
davanti a quella che è la vita vera, la sola in grado di
sottrarsi a ogni rappresentazione. In questo starebbe
l‟essenza stessa del détournement e precisamente in questa
trasformazione di un predicato/assunto alienato in una presa
di possesso soggettiva. Ed è qui che paradossalmente queste
due singolari soggettività, quella di Godard e quella di
Debord, sembrano ritrovarsi ancora una volta, in quella che
può essere definita come una loro volontà “personale” di
esprimersi come soggetti del discorso, continuamente
rilanciando-si attraverso il montaggio per “proiettare la
potenza e la possibilità verso ciò che è per definizione
impossibile, verso il passato33” e affidandosi in questo a uno
stesso mezzo, il cinema appunto. E pertanto:
Ora l‟eterno ritorno ha un bell‟essere altrettanto
catastrofico che l‟entropia, e il ciclo altrettanto
degradante in tutte le sue parti, ciò non toglie che
sprigionano una potenza spirituale di ripetizione
che pone in modo nuovo la questione di una salvezza
possibile34.

Trasformare un mondo che è già stato filmato inimicandosi il


proprio tempo. Quando il discorso di Godard, verso la
conclusione del cap. 4b, inizia ad assumere una piega
palesemente autobiografica, ecco allora che insieme inizia a
scorrere anche una citazione dall‟aura decisamente debordiana
in merito proprio alla questione del tempo spettacolare, a
cui si fa riferimento come a una tirannia astratta e globale,
concentrata solo sull‟istante:

A questa (..) io cerco di oppormici. Perché cerco


nelle mie composizioni di mostrare un orecchio che
ascolta il tempo, e cerca anche di farlo sentire, e
quindi di spuntare nel futuro, essendo la morte già
compresa nel mio tempo, non posso che essere nemico
del nostro tempo, poiché il suo compito mira
all‟abolizione del tempo, nel quale non vedo in questo
stato, il fatto che una vita meriti di essere
vissuta35.
Foto di Debord ventenne. Schermo nero. C‟è qualcosa di
spettrale in questa apparizione nel senso di Agamben a
proposito di tutte quelle immagini che sembrano “fatte di
tempo e di memoria36”, e proprio in questo volte a incontrare
quella redenzione benjaminiana cui questo tipo di immagini
per loro natura sembrerebbero destinate, e questo a partire
proprio da un loro rovinare, dalla decadenza di un‟ aura che
è pero già allo stesso tempo riverbero dell‟aura stessa,
qualora si colga “nella compresenza di strati di tempo (..)
un rovesciamento dell‟aura nel suo svenimento, in tal modo
paradossalmente restituendo al mito il paesaggio, rendendolo
smottante, vulcanico, striato37.” La vera immagine del passato
passa di sfuggita dice Benjamin, per essere in questo caso di
nuovo assorbita da uno schermo nero, tempo intensivo solo
apparentemente immobile, in realtà solo gonfio del tremore
del moto vitale appena lanciato. Come afferma ancora Agamben:

(…) le immagini sembrano arrestarsi, esse si sono in


realtà caricate di tempo fino a scoppiare e proprio
questa saturazione cairologica imprime loro una sorta
di tremito, che costituisce la loro aura
particolare38.

Un montaggio di questo tipo, capace di affermare un tipo di


percezione per scatti, o forse sarebbe più corretto parlare
qui con Benjamin di veri e propri choc percettivi, permette
all‟urto, al conflitto, di spaccare il Tempo insinuandovi
delle alterazioni difficilmente riassorbibili nell'organico
tutto. E‟ il metodo del “tra” di Godard39 che qui sembra voler
rendere omaggio a certe masse di silenzio “vuoto” di una
partitura già “ascoltata40”, capace di rinviare a certi strati
deserti del nostro tempo che sembra più non avere orecchie
per poterla ascoltare. La parola si ritira per un attimo, qui
come in Hurlements , per farsi propriamente atto fondatore, e
così l‟immagine, da parte sua, si eclissa per fare “emergere
le fondamenta dello spazio, le „assise‟, queste potenze mute
di prima o di dopo la parola, di prima o di dopo gli uomini41”
diventando archeologica, stratigrafica, tettonica42.

Per Debord come per Godard si è trattato allora di rinvenire


all'interno di un corpus di immagini "egemonico" delle altre
immagini, minori, parassitarie, ma proprio per questo
potenzialmente in grado di colpire dall'interno l‟organismo,
debilitandolo, e arrivandone a minacciare l'integrità,
generando delle invisibili costellazioni.

Questo è proprio di un fare dialettico, sensibilmente portato


alla produzione di immagini-sogno, come lampi di un‟utopia
capace di sprigionarsi da relazioni solo di tipo immaginale,
nell'istantaneità di immagini divenute improvvisamente
sincrone nel loro illuminarsi a vicenda, in una
costellazione.

Nel suo saggio intitolato "Sull‟utilità e il danno della


storia per la vita43" Nietzsche afferma che nel mondo moderno
"la costellazione di vita e storia si è alterata, perché una
stella potente ed ostile si è interposta tra di loro" e
prosegue,"questa costellazione è veramente cambiata
attraverso la scienza, con la richiesta che la storia debba
essere una scienza44." Per Nietzsche allora se un modo per
salvare la storia può essere dato è solo nella misura in cui
questa può estendersi a tal punto da servire le forze della
vita. Davanti al "puro spettacolo" della storia che fa
dell'uomo moderno forse poco più che un semplice spettatore
depredato del "suo" tempo, spazio vitale in cui solo può
crescere la fede nella possibilità di intervenire sulla
storia e cambiarla, risuona l‟eco delle parole di Debord
sulla fondazione del tempo storico a partire dall'abbandono
della storia. Nello stesso senso, seppur capovolto nella
prospettiva di partenza, si muove anche il Godard delle
Histoire(s), quando via Delluc come abbiamo visto, reclamava
dalla vita una sorta di maltolto del film, mentre invece era
proprio dallo spettacolo che Debord esigeva indietro qualcosa
di sottratto alla vita in precedenza. E abbiamo visto come in
realtà queste due richieste non solo non si opponessero tra
di loro ma come in qualche modo addirittura potessero
arrivare anche a coincidere, attorno a quello che ci è
sembrato essere uno stesso tentativo di ri-attivazione della
memoria storica a partire da un diverso uso del dispositivo
cinematografico, della cui meccanica essenzialmente
proiettiva, ripetitiva e riproduttiva, ci si poteva servire
ai fini di una ri-scrittura, di una ri-appropriazione, quindi
di una ri-enunciazione da parte del soggetto non più
spettatore ma costruttore di situazioni. E le situazioni
costruite nascono dal Tempo, o meglio dalla riappropriazione
da parte dei soggetti del tempo, della tecnologia, del
piacere del lavoro senza costrizioni, in pratica dunque dalla
riappropriazione dei propri spazi e tempi di vita, così da
rendere di nuovo quelle vite degne di essere vissute. Nella
sistematica distruzione dell'arte e delle culture museali e
accademiche tendenti alla "conservazione" di un sapere morto,
e nella lotta mossa contro i cosiddetti "specialisti dello
spettacolo" capaci solo di deprezzare la vita dei singoli per
farli tutti "felici e contenti" a solo vantaggio dei ruoli
spettacolari, l'abbattimento del dominio dell'immagine non è
solo indispensabile, ma necessario. E questo i situazionisti
hanno saputo concretamente dimostrarlo nelle loro quotidiane
pratiche di rifiuto del lavoro e della politica, sostenendo
in esclusiva un agire propriamente rivoluzionario, facendosi
direttamente portavoci di una teoria direttamente derivante
dalla prassi e viceversa di una prassi rigidamente applicata
alla teoria45. Se la società doveva essere sovvertita in
qualche modo, questa sovversione sarebbe dovuta partire dalle
vite stesse dei singoli soggetti partecipanti alla lotta.
Saper vivere innanzitutto, poi si sarebbe potuto parlare
anche di una rivoluzione dell‟arte. E‟ ancora Vaneigem a
esordire nel suo "Trattato del saper vivere.." proprio con
queste parole: "Tutto parte dalla soggettività e nulla vi si
arresta. Oggi meno che mai." E' dunque in questa inarginabile
deriva, in questo sconfinamento verso la vita realmente
vissuta, vita quotidiana di tutti i giorni vissuta
sperimentata e non solamente mostrata, l'incidenza più
evidentemente "politica" del cinema debordiano, e forse il
momento di più autentica separazione dal più formalistico
approccio godardiano già prima delle Histoire(s).

Citando l‟ articolo di un critico sul cinema di Godard,


Debord ne critica infatti l‟impostazione a partire da quella
che è una prospettiva rivoluzionaria della società, e per la
quale si giungerebbe alla conclusione che certe tendenze
dell‟espressione cinematografica sono preferibili ad altre,
nell‟ambito di un progetto rivoluzionario. Il film a cui la
critica si riferisce è Fino all‟ultimo respiro che proprio in
questo senso viene allora considerato da tale critica come un
“valido esempio” di possibile rappresentazione alla gente
della sua propria esistenza. E proprio qui interviene il
secco disappunto di Debord:

Non è in tali espressioni di superficie che si deve


cercare il legame di uno spettacolo con i problemi
della società, bensì a un livello più profondo, al
livello della sua funzione in quanto spettacolo46.

Secondo Debord insomma in nessun caso un vero progetto


rivoluzionario potrà farsi promotore di una qualche estetica,
essendo già “di per sé stesso e nel suo insieme al di là del
campo dell‟estetica47”, per cui in realtà l‟unica cosa da fare
è “una critica rivoluzionaria di tutta l‟arte e non una
critica d‟arte rivoluzionaria48”, e in questo arriva ad
accostare per equivalenza il rapporto tra autore e spettatore
a quello di dirigente ed esecutore, in quanto “portatore
irriducibile dell‟ordine capitalista49.” Per cui anche
ammettendo che Godard nei suoi film riesca a trasmettere alle
persone un‟immagine di loro stessi in cui potersi
riconoscere, in maniera incontrovertibile questo avverrà in
una maniera comunque falsata come l‟immagine che ne deriverà.

“Solo un altro prete” recitavano le vignette detournée dei


Situazionisti sulla testa di Godard, e questo proprio per via
del suo pericoloso cinema “pseudo-rivoluzionario”, lasciando
passare invece il messaggio che l‟unico cinema “sicuro” fosse
proprio quello Situazionista. Occorreva pertanto “punire”
Godard per il fatto di essere ancora debitore di una cultura
ufficiale e inoltre di parlare di rivoluzioni proprio
attraverso quello stesso linguaggio sanzionato dai ministri
della cultura50.

In realtà il debito di Godard nei confronti di Debord è


senz‟altro evidente a partire forse proprio dal polemico caso
de “La gaia scienza51” (Le gai savoir, 1968) per cui venne
accusato di plagio dagli stessi Situazionisti, ma in
particolare guardando alla sua produzione più tarda, e quindi
a tutti quegli elementi che vanno dalla predominanza delle
strutture paratattiche, alle costruzioni non-narrative, al
rifiuto del sonoro sincronizzato, fino a tutti quei motivi di
intertestualità sviluppati soprattutto negli ultimi anni.

Tuttavia, come afferma Levin nell‟ultima parte del suo


saggio52 dedicata proprio a un possibile confronto tra i due
cineasti, non si tratta tanto di stabilire dove sta
l‟originalità e dove i vettori di influenza, quanto appurare
il fatto che sicuramente ben prima di Godard il cinema
epistemologico di Debord aveva già risolto la dicotomia di
due avanguardie rappresentandone una terza in grado di
sintetizzare un modernismo formale (una politica del
significante) e una riflessività semiotica e ideologica
(politica del significato), evitando tutti i tranelli
dell‟essenzialismo formalista, della miopia esteticista, del
feticismo politicamente ingenuo tipici di certe pratiche di
avanguardia culturale.

In questo senso il cinema di Debord non ha mai manifestato le


caratteristiche problematiche del “modernismo
epistemologico53”. Non è infatti al rapporto tra specifici
mezzi di rappresentazione estetica e realtà sociale concepita
come distinta da questi mezzi che mira il cinema di Debord,
con un interesse esclusivo per i mezzi di rappresentazione; i
suoi film al contrario non articolano il problema di
innovazione formale esclusivamente in termini di
architettonica interna del “testo filmico” quanto piuttosto
nell‟inserimento di quel testo dentro un particolare
apparato, una particolare società e un determinato periodo
storico. E‟ quindi piuttosto nell‟analisi storico-sociale
della separazione che struttura lo spettacolo, la possibilità
concreta di un‟esperienza impegnata e soprattutto non-
separata come quella deriva.

Come la deterritorializzazione, stando a Deleuze, non esclude


una riterritorializzazione che però a quel punto potrà esser
posta solo nei termini di una “creazione di una nuova terra a
venire54”, allo stesso modo il concetto stesso di deriva non
sarà mai allora semplicemente di natura proiettiva, ma
connettiva; non gerarchica, ma vicinale. L‟evento stesso ha
bisogno del divenire come elemento non-storico, e proprio in
questo, spiega Nietzsche:
assomiglia a un‟atmosfera avvolgente, la sola dove la
vita può generarsi,per sparire di nuovo con la
distruzione di quest‟atmosfera55.

Patrizia Fantozzi

1G. Deleuze, Différence et répétition, Presses Universitaires de


France, Paris, 1968, tr. it di G. Guglielmi, Differenza e
ripetizione, Cortina, Milano, 1997, p. 9

2 “Ripetere è comportarsi”, dice Deleuze. Pertanto la ripetizione non


è che una “condotta esterna” in grado però di riecheggiare per
proprio conto “una vibrazione più segreta, una ripetizione interiore
e più profonda nel singolare che la anima (…) Sotto tale rapporto
della potenza, la ripetizione si rovescia interiorizzandosi”. Ivi, p.
8

3 Si tratterebbe per questo di film “paralleli alla storia del


cinema” e che in un certo modo ne costituiscono l‟inverso, il
“negativo.” O. Assayas, “L‟opera nascosta” in Guy debord (contro) il
cinema, a cura di Enrico Ghezzi e Roberto Turigliatto , Il Castoro-
La Biennale di Venezia, Milano 2001, p. 123

4“L‟esperienza della propria possibilità più autentica coincide con


l‟esperienza della più estrema negatività.” G.Agamben, Il linguaggio
e la morte, Einaudi, Torino, 2008, p.8
5 G.J.Wolman, “L‟anticoncetto. Argomento cinematocrono per una fase
fisica delle arti.” in Guy debord (contro) il cinema, a cura di
Enrico Ghezzi e Roberto Turigliatto , Il Castoro- La Biennale di
Venezia, Milano 2001, p. 139

6 Ibid.

7 G. Ivain “Formulario per un nuovo urbanismo”, ivi, p. 20

8 Per un‟idea di “storia pragmatica” vedi saggio di M. Dall‟Asta, “La


storia (im)possibile: ancora su Histoire(s) du cinéma”, cit.p.

9 Histoire(s) du cinéma, cap. 2aSeul le cinéma(1997)

10 “Le cinéma substitue à notre regard un monde qui s‟accorde à nos


desirs”, Histoire(s) du cinéma cap.

11 “Quand le cinéma exploite ses possibilités pour duper, tromper


tricher, il est „assassin et voleur‟”. C. Scémama, Histoire(s) du
cinéma de Jean- Luc Godard. La force faible d‟un art, L‟Harmattan,
Paris, 2006, p.

12 “Ce que le spectacle a pris à la realité, il faut le lui


reprendre.” G. Debord La société du spectacle, Editions Gérard
Lebovici, Paris, 1971, trad.it. di P. Salvatori, La società dello
spettacolo,
13 “E se la morte di Puig e del Negus/ la morte del Capitano de
Boieldieu/ la morte del coniglietto/sono rimaste inascoltate/ è
perché la vita non ha mai/ restituito ai film quel che gli aveva
preso.” A proposito dell‟enigmaticità di questa citazione attraverso
la quale Godard sembra davvero tentare di costruire un dialogo con
Debord cfr il saggio di M. Dall‟Asta , “La storia (im)possibile:
ancora su Histoire(s) du cinéma” p. 116-117

14 “Ma in che consisterebbe il maltolto, il grisbi che gli spettatori


avrebbero rubato al cinema? Tutti gli indizi portano a pensare che
esso non sia se non la memoria, il carattere di registrazione o di
revenant di ciò che gli schermi instancabilmente ri-presentano agli
occhi amnesici delle moltitudini.” Ibid.

15 M. Dall‟Asta “Visibilità e memoria”,p.

16 “La voix- cette voix tour à tour sentencieuse et chuchotante- me


dérange d‟abord, m‟agace fugitivement.” M. Augé “L‟écran mémoire” in
Guide pour Histoire (s) du cinéma, Art Press, Paris, 1998, p. 83

17“Pour moi la grande histoire c‟est l‟histoire du cinéma, elle est


plus grande que les autres parce qu‟elle se projette.” . J.-L.
Godard, Histoire (s) du cinéma. Cap. 2 a “Seul le cinéma”.

18 J.-L. Godard, Histoire(s) du cinéma, cap. 1a.

19 G. Deleuze, Différence et répétition, cit. p. 8- 10


20 G. Agamben, Il giorno del Giudizio, Nottetempo, Roma, 2004, p. 10

21 G. Agamben , “Il cinema di Guy Debord”, in Guy Debord (contro) il


cinema, p. 104

22 G. Deleuze, Différence et répétition, cit. p.102

23 Ivi, p. 172

24 Ivi, p. 173

25 Histoire(s) du cinéma, cap. 4b, Les Signes parmi nous (1998)

26 Godard cita Bresson.

27 “Quando un secolo si dissolve nel successivo, qualche individuo


trasforma gli antichi mezzi di sopravvivenza in nuovi mezzi, sono
questi ultimi che chiamiamo „arte‟. L‟unica cosa che sopravvive tale
e quale a un‟epoca, è la forma d‟arte che questo ha creato.”
Histoire(s) du cinéma cap. 4b

28 Cit. cap. 4B
29 “Leibniz concevait une ontologie constituée d'une infinité de
monde possibles (monades) qui s'excluaient l'un l'autre. Mais selon
Deleuze, Godard et Debord, les differentes monades ne composent pas
des mondes incompossibles, car les images hégémoniques contiennen en
leur sein des images minoritaires, des parasites qui les menacent de
l'interieur". Alexandre Trudel "Le cinéma de Godard et de Debord:
mémoires du siécle et expérience de la discontinuité du temps", p.

30 “Il montaggio che sta alla base di Histoire(s) du cinéma si


promette di mostrare (..) storie che i film del secolo portavano in
sé, e di cui 9 cineasti hanno disperso la potenza sottomettendo la
“vita” delle immagini a quella “morte” che è immanente al testo.” J.
Rancière, La fable cinématographique, tr. it a cura di B. Besana, La
favola cinematografica, Cineforum, Edizioni ETS, Pisa, 2006, p. 227

31 Secondo le due leggi fondamentali del détournement: la perdita


d‟importanza di ogni elemento autonomo detourné, e allo stesso tempo
“l‟organizzazione di un altro insieme signifacnte, che conferisce
ogni elemento la sua nuova portata.” Le détournement comme négation
et comme prélude, in “International Situationniste”, n. 3 dicembre
1959; tr. It Internazionale Situazionista, cit. in Guy Debord (contro
il cinema), cit. p. 51

32 Ci si sta riferendo qui alla giustapposizione di immagini


fotografiche particolarmente “care” a Debord, come quelle di Firenze
(dove visse un periodo d‟esilio), altre abitazioni in cui visse vari
momenti della sua esitenza; e ancora foto di Alice Becker-Ho e foto
sue dall‟età di diciannove anni ai quarantacinque.

33 G. Deleuze,Cinéma 1. L‟image-mouvement, Les Editions de Minuit,


Paris, 1983, tr.it. J. P. Manganaro, L‟immagine- movimento, Ubulibri,
Milano, 2002, p. 157

34 Ivi.
35 Histoire(s) du cinéma, cap. 4B

36 G. Agamben, Nymphae, in “aut aut”, n. 321-322, maggio- agosto


2004, p.53

37 B. Roberti, “Immagini in fuga” in Benjamin ,il cinema e i media,


Pellegrini, Cosenza, 2007, p. 156

38 G. Agamben, Nymphae, cit. p. 53

39 In G. Deleuze, Cinéma 2. L‟image- temps, Les Editions de Minuit,


Paris 1985, tr. it. di L. Rampello, L‟immagine- tempo, Cinema 2,
Ubulibri, Milano, 2002, p. 203

40 “As an exemple of tactical practice, Debord unpacks the logic


behind his self-imposed „strategy‟ of obscurity.” Thomas Y.Levin,
Dismanting the Spectacle: The cinema of Guy Debord, op. cit. p. 104.

41 G. Deleuze, Cinéma 2. L‟image-temps, Les Editions de Minuit, Paris


1985, tr. it. di L. Rampello, L‟immagine-tempo, Cinema 2, Ubulibri,
Milano, 2002, p. 269

42 Ibid.
43 In questo saggio Nietzsche sostiene che il senso della storia è
spesso nemico della vita in quanto capace di renderci schiavi del
passato; ne consegue allora, per il soggetto, una sostanziale
sfiducia nella propria abilità creativa che ne annullerebbe la
personalità. In altre parole Nietzsche non nega la storia ma la vuole
in qualche modo sempre subordinata alla vita: è la storia che deve
essere posta al servizio della vita e non viceversa. Proprio perché
la storia è memoria, essa dovrà entrare a far parte della vita solo
nella misura in sarà capace di incrementare e favorire la vita
stessa, poiché al di là di questa essa non potrà generare altro un
blocco e un‟atrofizzazione della vita.

44Ivi.

45 “Noi ci situiamo nel conflitto generalizzato che va dalla lite


domestica alla guerra rivoluzionaria, e abbiamo puntato sulla volontà
di vivere." R. Vaneigem, Trattato del saper vivere ad uso delle
giovani generazioni, Castelvecchi, Roma, 2006

46 G. Debord “ Pour un jujement révolutionnaire de l‟art” in Notes


critiques, bulletin de recherches et d‟orientation révolutionnaire,
n. 3, II trimester, 1962, Bordeaux, tr.it. “ Per un giudizio
rivoluzionario sull‟arte” in Guy Debord (contro) il cinema, cit. p.
58

47 Ibid.

48 Ibid.

49 Ibid.
50 Vedi saggio B. Price “Plagiarizing the Plagiarist: Godard meets
the Situazionists”, in Film comment, novembre 1997, da p. 66

51

52 Thomas Y.Levin, Dismanting the Spectacle, cit. p. 108-109

53 Ivi.

54 G. Deleuze, F. Guattari, Qu‟est-ce que la philosophie?, Les


éditions de Minuit, Paris, Che cos‟è la filosofia?, Einaudi, Torino
2002, p. 89

55 F. Nietzsche, La nascita della tragedia- Considerazioni inattuali,


I-III, III edizione, a cura di G. Colli, M. Montinari, Adelphi,
Milano, 1972

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