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La maschera di Pulcinella a cavallo della

Vecchia del Carnevale


Un vecchio detto recita: «Pulicenella a ccavallo ‘a Vecchia ‘o Carnevale» ma dove deriva?

Le tracce storiche del Carnevale napoletano si concentrano tra il 1500 e la seconda metà del 1700,
una festa fortemente legata alle classe aristocratica, riservata esclusivamente alla Corte ed
espressione del Regno di Napoli, lustro e potere del re che caratterizzava la cerimonia con vigore e
fasto.
A detta di molti viaggiatori stranieri tra intellettuali ed artisti, spinti dal vento del Grand Tour, il
Carnevale napoletano, fu definito il più divertente d’Europa e che in nessuna altra città si stava
meglio a Napoli durante i festeggiamenti.

Il Carnevale della dominazione spagnola fu etichettato eccessivo, violento e volgare mentre


acquista una connotazione democratica, elegante e maestoso con i Borbone che spalancano i
festeggiamenti anche al popolo (anche se gli avvisi ufficiali non danno mai notizia del Carnevale
di strada) il quale, si appropria della festa per interpretarla in una forma più interessante e
personale, apprezzata sopratutto dai viaggiatori stranieri che restano impressionati dallo spettacolo
delle maschere, dai colori, dalla vitalità della gente e snobbano con gran piacere il Carnevale del
regno e di tutta la classe dirigente, ebbri di enfasi e di austerità.
Sarà proprio il Carnevale di strada, cioè quello del popolo che verrà tramandato ai posteri tramite
appunti e scritti (rari) dei turisti d’oltralpe .

Perché Pulcinella è a cavallo di una vecchia a Carnevale ?

La maschera per eccellenza della tradizione napoletana è Pulcinella, una maschera complessa
che nasconde molti significati, emblema del Teatro della commedia dell’Arte, personaggio
carnevalesco e soggetto pittorico prediletto tra la fine del Seicento e l’Ottocento, testimonianza di
«doppiezza» e contraddizione; eletto come il come il padre degli sciocchi, in realtà ha molto a che
fare con l’inconscio e il linguaggio umano.

A questo si ricollega il «Pulcinella a cavallo della Vecchia» una maschera di per sé doppia,
(alquanto dimenticata) all’epoca famosa a Napoli e in tutta la Campania, che appariva tutti i giovedì
di Carnevale e durante la Quaresima, e faceva la sua bella processione fra le vie storiche di Napoli
fra botteghe e bancarelle, attirando fiumi di persone e seguaci.
Il soggetto era interpretato da un uomo che incarnava entrambe le maschere: lo scanzonato
Pulcinella e la Vecchia del Carnevale. Tale travestimento richiedeva grande capacità di
coordinazione nei movimenti e , e l’attore in questo caso doveva possedere abilità mimiche, gestuali
e ritmiche davvero notevoli; mosse, gesti e movenze furono per anni il perno principale che
caratterizzavano questa particolare maschera.

Il Pulcinella, per metà vestito con il suo camicione bianco, sovrapponeva in contrasto, la gonna
lunga nera della vecchia; all’altezza dello stomaco dell’attore, veniva posizionata il fantoccio fatto
di paglia o stoppa che modellavano sia il volto rugoso che il mezzo busto della vecchia, dotata di
braccia. A queste venivano collocate le finte gambe di Pulcinella a cavallo della Vecchia, il ché
nell’insieme, dava l’impressione che davvero l’anziana reggesse il corpo giovane di Pulcinella.

Qual’era il significato allegorico di questa maschera?


L’interpretazione della maschera della Vecchia del Carnevale, sembravano cogliere questi
aspetti: la natura appassita, l’anno trascorso, il passato, la vecchiaia, la negatività, e la
rassegnazione, la fine di un ciclo, di un’era. Pulcinella invece sembrava suggerire: il presente, la
gioventù, il cambiamento, la vitalità, la positività, l’anno nuovo e le giovani speranze e la
spensieratezza.
Insieme, in simbiosi, esprimevano quel concetto che è una caratteristica di Napoli: la
contraddizione, i due volti della città, il bene e il male, il riso e il pianto, la parte oscura e quella in
luce tra bellezza e degrado.

Nei racconti popolari, Pulcinella è descritto con le braccia in alto intento a suonar le nacchere,
mentre con un colpo di bacino al suono di tarantella, incideva movimenti sensuali e mosse oscene
sulla vecchia (per mezzo di un asse di legno posizionato all’altezza delle gambe che spingeva il
fantoccio della donna in avanti) alternando un paio di schiaffi o pàccheri sulla maschera della
Vecchia e intonando formule scaramantiche dialettali per allontanare il malocchio. Questo
spettacolo burlesco, scatenava risate e mosse da parte del pubblico che assisteva alla scenetta.
La nascita e l’evoluzione della maschera del «Pulecenella a ccavallo ‘a Vecchia ‘o Carnevale» fu
considerata di buon auspicio, poiché durante la sua passeggiata allegorica in giro per la città,
infondeva fortuna e prosperità per l’avvenire, grazie alla burlesca «danza erotica» (rimando pagano
al culto di Priapo-Partenope) e alle formule augurali che esorcizzavano il male, in cambio di piccole
offerte o doni sia in cibo che in danaro.

Curiosità: Da dove nasce l’usanza spaventosa e brutale di lanciare le uova a Carnevale?

Tra i riti del Carnevale napoletano si rammentano dei tipici divertimenti popolari al limite della
violenza. Se a Carnevale (come recita il proverbio) ogni scherzo vale, dobbiamo menzionare
alcune licenze introdotte per le strade e per le piazze, per limitare il numero degli incidenti valide
solo per questa festa.
Nei rituali carnevaleschi era solito lanciarsi del cibo in eccesso (alimenti banditi durante la
Quaresima) come frutta, ortaggi, uova colorate ripiene di acqua fetida, fiori, farina, confetti di gesso
o di zucchero (anche al limite dell’eccesso) che traevano origine dai riti contadini, secondo cui: si
lanciava con violenza tutto ciò che si desiderava ricevere, come una specie di rituale propiziatorio,
in segno di amicizia, prosperità e fortuna.

Questi lanci in città invece sembravano dar libero sfogo alle frustrazioni personali, alle piccole
vendette con un piglio di violenza, e per controllarli fu istituito un regolamento che mutava di anno
in anno. Per un anno si vietarono il lancio delle uova ripiene di acqua, farina e altri liquidi che
rompevano le finestre, macchiavano i vestiti e schizzavano sui passanti; in altri anni si vietò il
lancio di acqua con i secchi che il più delle volte procurava risse in strada.
I disgraziati più colpiti furono le vedove e gli uomini vestiti di scuro; le prime in quanto vestite a
lutto, dovevano abbandonarsi alla gioia di vivere e scordare per un giorno la tristezza almeno
durante i festeggiamenti, e gli altri furono presi di mira (avvocati, medici, banchieri) perché sugli
abiti scuri i colori lanciati addosso risaltavano, come una tavolozza fetida e chiassosa.
I preferiti dai ceti di media borghesia furono i lanci dei confetti da zucchero che venivano lanciati
con forza sulle donne e sugli uomini di cui si era innamorati.
Un tempo, al posto dei Like e delle emoticon a cuore, per dire Mi Piaci si lanciavano i confetti!

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