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• CAPITOLO 14 : LA DOMANDA AGGREGATA E L’OFFERTA AGGREGATA

La curva di offerta aggregata esprime la relazione tra il livello generale dei prezzi e
la produzione aggregata delle imprese.

La curva di offerta aggregata di breve periodo ha pendenza positiva: a un più elevato


livello generale dei prezzi è associato un più elevato profitto per unità di prodotto e un più
elevato livello di produzione aggregata nel breve periodo. Le variazioni dei prezzi dei
fattori, dei salari nominali e della produttività modificano i profitti dei produttori e spostano
la curva di offerta aggregata di breve periodo.

Nel lungo periodo, tutti i prezzi, inclusi i salari nominali, sono flessibili e l’economia
produce il suo livello di produzione potenziale (livello di PIL reale che un sistema
economico sarebbe in grado di produrre se tutti i prezzi, inclusi i salari nominali, fossero
perfettamente flessibili). Se la produzione effettiva è superiore a quella potenziale, il basso
tasso di disoccupazione spinge al rialzo i salari nominali, facendo diminuire la produzione.
Se la produzione potenziale è superiore a quella effettiva, l’elevato tasso di
disoccupazione spinge al ribasso i salari nominali facendo aumentare la produzione. Di
conseguenza, la curva di offerta aggregata di lungo periodo è verticale in corrispondenza
della produzione potenziale.

La domanda aggregata.
La curva di domanda aggregata esprime la relazione tra il livello generale dei prezzi e la
quantità domandata di produzione aggregata. Ha pendenza negativa, per due ragioni. Il
primo è l’effetto ricchezza di una variazione del livello generale dei prezzi:
all’aumentare del livello generale dei prezzi il potere d’acquisto della ricchezza individuale
diminuisce, provocando una riduzione della spesa per consumi. Il secondo è l’effetto
tasso di interesse di una variazione del livello generale dei prezzi: all’aumentare del
livello generale dei prezzi il potere d’acquisto dei saldi monetari detenuti dagli individui e
dalle imprese diminuisce, provocando un aumento del tasso di interesse e una riduzione
della spesa per investimento e della spesa per consumi.

La curva di domanda aggregata può spostarsi a causa di un cambiamento di aspettative,


di una variazione della ricchezza non causata dalle variazioni del livello generale dei
prezzi e delle variazioni dello stock di capitale fisico. I responsabili della politica economica
possono usare gli strumenti della politica fiscale e monetaria per spostare la curva di
domanda aggregata.

Il moltiplicatore.
Una variazione autonoma della spesa aggregata da il via a una reazione a catena in cui la
variazione del PIL reale è pari al prodotto del moltiplicatore per la variazione iniziale della
spesa aggregata. Le dimensioni del moltiplicatore, 1/ (1-PMC) dipendono dalla
propensione marginale al consumo (aumento della spesa per consumi indotto da un
aumento unitario del reddito disponibile), PMC, la percentuale di un euro addizionale di
reddito disponibile per la spesa per consumi. Quanto più elevata è la PMC, tanto maggiore
è il moltiplicatore e tanto maggiore è la variazione del PIL reale a parità di variazione
autonoma della spesa aggregata. La propensione marginale al risparmio, PMR (aumento
del risparmio delle famiglie indotto da un aumento unitario del reddito disponibile) è pari a
1-PMC.
Il modello DA-OA.
Nel modello DA-OA il punto di intersezione della curva di offerta aggregata di breve
periodo e della curva di domanda aggregata è l’equilibrio macroeconomico di breve
periodo, che determina il livello generale dei prezzi di equilibrio di breve periodo e la
produzione aggregata di equilibrio di breve periodo.

Le fluttuazioni economiche sono causate da uno spostamento della curva di offerta


aggregata di breve periodo (shock dell’offerta) o da uno spostamento della curva di
domanda aggregata (shock della domanda). Uno shock dell’offerta fa variare il livello
generale dei prezzi e la produzione aggregata in direzioni opposte, al muoversi
dell’economia lungo la curva di domanda aggregata. Una congiuntura particolarmente
sgradevole è la stagflazione, una combinazione di inflazione e contrazione della
produzione aggregata, che è causata da uno shock dell’offerta negativo. Uno shock della
domanda fa variare il livello generale dei prezzi e la produzione aggregata nella stessa
direzione, al muoversi dell’economia lungo la curva di offerta aggregata di breve periodo.

Gli shock della domanda influiscono sulla produzione aggregata solo nel breve periodo,
perché nel lungo periodo l’economia tende ad essere auto correttiva. In un differenziale
recessivo (quando PA<PP),(produzione aggregata e produzione potenziale) una riduzione
dei salari nominali spinge l’economia verso l’equilibrio macroeconomico di lungo periodo in
cui la produzione aggregata è uguale alla produzione potenziale. In un differenziale
inflazionistico (quando PA>PP), l’equilibrio macroeconomico di lungo periodo è raggiunto
attraverso un aumento dei salari nominali.

La politica macroeconomica.
L’elevato costo di un differenziale recessivo (in termini di disoccupazione) e le future
conseguenze negative di un differenziale inflazionistico, spingono molti economisti a
sostenere una politica di stabilizzazione attiva: l’uso delle politiche monetarie e fiscali per
impedire shock della domanda.

La politica fiscale influisce direttamente sulla domanda aggregata, attraverso la spesa


pubblica, e, indirettamente, attraverso le imposte e i trasferimenti pubblici che modificano il
reddito disponibile.

La politica monetaria influisce indirettamente sulla domanda, attraverso le variazioni del


tasso di interesse che modificano la spesa per i consumi e la spesa per investimento.

Tuttavia questi interventi possono causare degli inconvenienti: causando un aumento del
deficit di bilancio, possono provocare un rallentamento della crescita economica di lungo
periodo. Eventuali errori di previsione, inoltre, possono aggravare l’instabilità economica.

Gli shock dell’offerta negativi pongono un dilemma di politica economica: una manovra
che contrasti la caduta della produzione aggregata stimolando la domanda è causa di
inflazione, mentre una manovra che contrasti l’inflazione riducendo la domanda aggregata
finisce per aggravare la recessione
Cap 15: LA POLITICA FISCALE.
Fondamenti della politica fiscale.
Lo stato svolge un ruolo molto importante nell’economia: raccoglie una percentuale
elevata del PIL reale in tasse e spende una percentuale altrettanto elevata per acquistare
beni e servizi ed operare trasferimenti, soprattutto a scopo di assicurazione sociale
(programmi di spesa pubblica finalizzata a sostenere e proteggere individui e famiglie in
difficoltà.)
La politica fiscale è l’uso delle tasse, dei trasferimenti e della spesa pubblica per l’acquisto
di beni e servizi per spostare la curva di domanda aggregata. Molti economisti, però,
mettono in guardia da una politica fiscale troppo attiva che potrebbe rendere l’economia
più instabile a causa dei ritardi temporali nella formulazione e nell’attuazione.
La spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi influisce direttamente sulla domanda
aggregata; le imposte e i trasferimenti, invece, influiscono sulla domanda aggregata
indirettamente, modificando il reddito disponibile degli individui e dei nuclei familiari.
Le politiche fiscali espansive spostano la curva di domanda aggregata verso destra, le
politiche fiscali restrittive la spostano verso sinistra.

Politica fiscale e moltiplicatore


La politica fiscale agisce sull’economia attraverso l’effetto del moltiplicatore. Una politica
fiscale espansiva fa aumentare il PIL reale in misura maggiore dell’aumento iniziale di
spesa aggregata indotto dal provvedimento di politica fiscale. Viceversa, una politica
fiscale restrittiva tende a far diminuire il PIL reale in una misura maggiore della riduzione
iniziale di spesa aggregata indotta dal provvedimento di politica fiscale.
L’entità dello spostamento della curva di domanda aggregata dipende dal tipo di
provvedimento. Il moltiplicatore per le variazioni della spesa pubblica, per l’acquisto di beni
e servizi, 1/(1-PMC)(propensione marginale al consumo), è maggiore del moltiplicatore per
le variazioni delle imposte ad ammontare fisso (tributo che non varia al variare del PIL
reale) e dei trasferimenti, PMC / (1-PMC), perché una parte della variazione delle tasse o
dei trasferimenti è assorbita dai risparmi della prima tornata di spesa. Di conseguenza, le
variazioni della spesa pubblica hanno un effetto più potente sull’economia di una
variazione equivalente delle imposte o dei trasferimenti.
Le imposte proporzionali (che variano al variare del PIL reale) e alcuni tipi di trasferimenti
operano come stabilizzatori automatici (meccanismi tributari che si traducono in politica
fiscale restrittiva se l’economia è in espansione ed in politica fiscale espansiva se
l’economia è in recessione) riducendo il valore del moltiplicatore e dunque
automaticamente l’ampiezza delle fluttuazioni nel ciclo economico.
La politica fiscale discrezionale, invece, scaturisce dalle azioni deliberate dei responsabili
della politica economica, anziché dal ciclo economico.

Il saldo di bilancio.
Alcune fluttuazioni del saldo di bilancio (differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica)
sono dovute agli effetti del ciclo economico. Un aumento del PIL reale fa aumentare le
tasse e diminuire i trasferimenti riducendo il deficit di bilancio (differenza tra entrate fiscali
e spesa pubblica nel caso in cui la spesa sia maggiore delle entrate) ed incrementando il
surplus del bilancio ( differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica nel caso in cui le
entrate siano maggiori della spesa pubblica). Al fine di separare gli effetti del ciclo
economico da quelli della politica fiscale discrezionale, i governi stimano il saldo di bilancio
corretto per il ciclo economico, una stima del valore che il saldo di bilancio assumerebbe
se l’economia si trovasse al livello di produzione potenziale.

Le implicazioni della politica fiscale nel lungo periodo.


I conti pubblici degli Stati Uniti prendono come riferimento l’anno fiscale (periodo di
riferimento per la redazione dei conti pubblici; in Italia corrisponde all’anno solare). I deficit
di bilancio persistenti hanno conseguenze di lungo periodo in quanto provocano un
aumento del debito pubblico ( debito dello Stato detenuto da individui e istituzioni diverse
dal governo). Ciò può essere un problema, per due ordini di ragioni: il debito pubblico può
spiazzare la spesa per investimento riducendo la crescita di lungo periodo; in casi estremi,
poi, un debito troppo elevato può causare disordini economici e finanziari.
Per misurare la solidità fiscale di uno Stato, si ricorre spesso al rapporto debito-PIL. A
fronte di moderati deficit, questo indicatore può rimanere stabile o anche diminuire se il PIL
reale cresce nel tempo. Tuttavia un rapporto debito-PIL stabile può dare un’impressione
errata di solidità, in quanto spesso i governi moderni hanno passività implicite (impegni di
spesa presi dal governo che costituiscono effettivamente un debito anche se non sono
inclusi nelle statistiche sul debito). Le maggiori passività implicite del governo USA
provengono dai programmi sociali di Social Security, Medicare e Medicaid, i cui costi
vanno aumentando a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento dei costi
sanitari.

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