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MARIO LUNI (1944-2014)

T H E M ATA
17
EPIGRAMMATA 3
SAPER SCRIVERE NEL
MEDITERRANEO ANTICO.
ESITI DI SCRITTURA FRA VI E IV SEC. A.C.
in ricordo di Mario Luni

ATTI DEL CONVEGNO DI ROMA


Roma, 7-8 Novembre 2014

a cura di
ALESSANDRA INGLESE

Edizioni TORED - 2015


Comitato scientifico:
GIOVANNA BAGNASCO GIANNI, ALBIO CESARE CASSIO, FEDERICA CORDANO,
CATHERINE DOBIAS-LALOU, ALESSANDRA INGLESE, EUGENIO LANZILOTTA,
MARIO LOMBARDO

Responsabile editoriale:
EUGENIO LANZILLOTTA - ALESSANDRA INGLESE

Responsabile grafica e stampa:


MASSIMO PASCUCCI
Comitato di redazione:
ALESSANDRA INGLESE - ALESSANDRO CAMPUS

ISBN 978-88-88617-97-8
© Copyright 2015
Edizioni TORED s.r.l.
Vicolo Prassede, 29
00019 Tivoli (Roma)
www.edizionitored.com
e-mail: info@edizionitored.com
INTRODUZIONE

Ci addentriamo nella foresta, allontanandoci


dal mare di circa mezzo chilometro, quand’ecco
che vediamo una colonna di bronzo ricoperta
da un’iscrizione in caratteri greci, corrosa, però
e rovinata, che diceva “fin qui giunsero Eracle
e Dioniso”. (Luciano, Storia Vera 7)

Nel definire l’argomento di questo terzo convegno relativo al


progetto Epigrammata, incontri biennali di epigrafia greca, ci si è ricor-
dati di un suggerimento che risale al 1998, quando si svolse a Milano
un importante seminario, intitolato Scritture Mediterranee tra il IX e
VII sec. a.C.
Nell’Introduzione agli Atti Federica Cordano auspicava che “si
potesse tornare in altra occasione” ad ambiti cronologici diversi da
quello trattato in quel momento.
È così che in questo incontro si è deciso di continuare la discus-
sione sulla scrittura epigrafica nel Mediterraneo: si è scelto il periodo
fra VI e IV sec. a.C., i secoli, cioè, immediatamente successivi alla
formazione delle stesse scritture mediterranee, per continuità crono-
logica rispetto a quel primo segmento di analisi; la presenza, inoltre,
in questo Convegno delle curatrici degli Atti del seminario milanese
insieme a molti dei relatori di allora marca la continuità metodolo-
gica con quell’esperienza di studio.
VIII ALESSANDRA INGLESE

A loro si affiancano altre voci, ciascuna con il proprio ambito


di ricerca specialistico: mantenendo la navigazione lungo le coste del
Mediterraneo, infatti, a mo’ di periplo entro le Colonne d’Ercole,
oltre a toccare aree tradizionalmente note all’epigrafia quali l’Eubea,
la Beozia, la Cirenaica, la Sicilia, l’Etruria, la punica, è stato possibile
individuare altri scali in regioni spesso sacrificate negli stessi lavori
di epigrafia, come la Tracia o l’Iberia che negli ultimi anni hanno
fornito preziose informazioni anche in relazione all’oggetto della no-
stra ricerca, o di inserire altri popoli, come gli Italici che con i Greci
intrattennero significativi e continui rapporti. Queste nuove aree
hanno permesso di articolare l’analisi e di indagare la pluralità sia
delle esperienze scrittorie sia delle varie matrici culturali.
La scelta è caduta su questi secoli oltre che per la continuità di
cui si è detto, anche perché essi, com’è noto, sono i secoli in cui si
definirono tutti quei fenomeni che strutturarono il variegato sistema
storico-culturale greco e mediterraneo.
La scrittura epigrafica interseca queste esperienze storiche, ne
amplifica il portato culturale, ed è per noi straordinario strumento di
conoscenza. Si definiscono, dunque, gli ambiti dell’esperienza epi-
grafica mediterranea, i modi e i significati della prassi scrittoria – de-
clinata nei suoi diversi livelli, anche nel suo aspetto visivo –, si
rivelano gli attori che si impadronirono di questa ‘tecnologia dell’in-
telletto’ e che resero possibile lo sviluppo delle sue competenze. Si
definisce il saper scrivere.
In questo periodo, inoltre, si definisce anche il poter scrivere. In
una situazione di profonda dialettica tra diverse istanze – sociali, cul-
turali, economiche – il potente strumento della scrittura enfatizza lo
spazio ed il tempo della singola voce e della singola occasione e lo
spazio e il tempo della comunità, in quest’ultimo caso in una concreta
espressione di sintesi delle sue parti costitutive.
I secoli in questione ci forniscono esiti di scrittura, evidenze de-
scrivibili – e valutabili – in relazione per esempio ai processi di adat-
tamento locale degli alfabeti, alle specifiche condizioni dei suoi
contesti di utilizzo, alle articolazioni funzionali dell’evento scrittorio;
INTRODUZIONE IX

rispetto alle forme più arcaiche della comunicazione scritta, essi pro-
ducono risultanze per noi significative relativamente al progressivo
affinamento delle notazioni linguistiche, fonetiche e dialettologiche,
e delle soluzioni comunicative, agli espedienti usati per esprimere
negli alfabeti derivanti o diversi dal greco, vocaboli di lingue diffe-
renti, alla necessità sociale di mostrare sé e l’ambiente culturale di
provenienza, anche, e soprattutto, con lo scopo di mostrare un sé di-
verso dall’altro; in sostanza, mostrano la duttilità e l’efficacia della
scrittura epigrafica in tutto il contesto mediterraneo.

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LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI

Cominciando con l’aspetto definitorio, con la parola “tofet”1 si


intende un’area a cielo aperto, ubicata ai margini esterni della città,
dove si trovano urne contenenti ceneri di bambino, o ceneri di ani-
male, o di bambino ed animale insieme; talvolta il punto della de-
posizione del contenitore è segnato da una stele (fig. 1). Infine,
all’interno dell’area si possono trovare piccole costruzioni, come sa-
celli o altari2.

1
Oltre alle abbreviazioni solite, sono state usate anche le seguenti sigle: CIS
= Corpus Inscriptionum Semiticarum; DNWSI = J. HOFTIJZER - K. JONGELING, Dic-
tionary of North-West Semitic Inscriptions, Leiden 1995; EH = A. BERTHIER - R.
CHARLIER, Le sanctuaire punique d’el-Hofra à Constantine, Paris 1955; HNPI = K.
JONGELING, Handbook of Neo-Punic Inscriptions, Tübingen 2008; RIL = J.-B. CHA-
BOT, Recueil des inscriptions libyques, Paris 1940-1941.
2
Per gli aspetti più generali rimando a A. CAMPUS, Costruire memoria e tra-
dizione: il tofet, in Vicino Oriente, XVII, 2013, pp. 135-152 e A. CAMPUS, Il tofet tra
mito e rito, in «Rationes rerum» 2, luglio-dicembre 2013, pp. 167-194 (entrambi
con bibl. prec.); a questi lavori sono da aggiungere, tra i vari, anche i seguenti con-
tributi: M.G. AMADASI GUZZO - J.Á. ZAMORA LÓPEZ, The Epigraphy of the Tophet,
in «Studi epigrafici e linguistici sul Vicino Oriente Antico» 29-30, 2012-2013, pp.
159-192 (con una interessante storia degli studi), G. GARBATI, Tradizione, memoria
e rinnovamento. Tinnit nel tofet di Cartagine, in O. Loretz et al. (eds.), Ritual, Religion
152 ALESSANDRO CAMPUS

Alla base della scelta di accompagnare l’urna con una stele c’è
una opzione ben precisa3, che aumenta il valore comunicativo del “si-
stema tofet”, inteso come portatore di significato e significato esso
stesso. Attraverso le stele si è strutturato un racconto organizzato tra-
mite varie strategie comunicative, in un continuum che va da stele
senza decorazione4 – né iconografica né scrittoria – a stele solamente
iscritte5. In questo continuum, la soluzione con figurazione e senza iscri-
zione aveva come obiettivo non la comunicazione della persona, ma
la comunicazione della cultura. Infatti, non pare che vi sia una “per-
sonalizzazione” delle stele che possa far distinguere i diversi dedicanti
in una identità personale; il dato che si può sicuramente rilevare è
che vi è una adesione, questa sì personale, alla cultura che ha prodotto

and Reason. Studies in the Ancient World in Honour of Paolo Xella, Münster 2013,
pp. 529-542, P. SMITH et al., Age Estimations Attest to Infant Sacrifice at the Carthage
Tophet, in «Antiquity» 87, 338, 2013, pp. 1191-1199, P. XELLA et al., Phoenician
Bones of Contention, in «Antiquity» 87, 338, 2013, pp. 1199-1207; B. D’ANDREA,
I tofet del Nord Africa dall’età arcaica all’età romana (VIII sec. a.C. - II sec. d.C.),
Roma 2014. Inoltre, il volume 29-30, n.s., 2012-2013 della rivista «Studi epigrafici
e linguistici sul Vicino Oriente antico», curato da P. Xella, è interamente dedicato
a The Tophet in the Phoenician Mediterranean.
3
H. Bénichou-Safar (Le tophet du Salammbô à Carthage. Essai de reconstitution,
Rome - Paris 2004, p. 188) calcola che dal tofet cartaginese provengono più di
10.000 stele.
4
Sono privi di decorazione ed iscrizione alcune stele provenienti da Carta-
gine (P. BARTOLONI, Le stele arcaiche del tofet di Cartagine, Roma 1976, cippi nn. 1-
10, 15-16, 18-27; stele nn. 170-184), da Sulcis (P. BARTOLONI, Le stele di Sulcis.
Catalogo, Roma 1986, cippi nn. 1-20; stele nn. 71, 84, 86-88), da Tharros (S. MO-
SCATI - M.L. UBERTI, Scavi al tofet di Tharros. I monumenti lapidei, Roma 1985, nn.
1-24), da Mozia (S. MOSCATI - M.L. UBERTI, Scavi a Mozia – Le stele, Roma 1981,
nn. 1-158). Per quanto riguarda la possibilità che alcune di tali stele fossero dipinte,
osservano S. Moscati e M.L. Uberti (Scavi a Mozia, cit., p. 23) che «se è vero che
la pittura può perdere i suoi contorni più facilmente identificabili, è altrettanto
vero che ben di rado scompare completamente».
5
Questo tipo di stele è stato studiato da M.L. UBERTI, Iconismo e scrittura, in
P. Donati Giacomini - M.L. Uberti (a cura di), Fra Cartagine e Roma, II. Secondo
Seminario di studi italo-tunisini, Faenza 2003, pp. 5-27.
LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI 153

l’iconografia rappresentata sulla stele. Le possibilità quindi sono


molte, nelle quali i fattori in gioco sono diversi e non tutti oggi per-
cepibili: dalle scelte estetiche dell’artigiano a quelle del dedicante,
dalla disponibilità economica dell’acquirente alle “mode” del periodo.
Anche le stele senza alcuna raffigurazione o iscrizione sono una
forma di comunicazione, poiché la presenza stessa del medium è il
messaggio: the medium is the message, scriveva nel 1964 M. McLuhan6.
Ma evidentemente si tratta di modi di comunicare e di destinatari
delle informazioni profondamente diversi.
In una economia comunicativa, le stele con raffigurazioni e/o
con iscrizioni assolvono (anche) alla funzione di negoziare, affermare
e confermare le identità sia di chi dedica sia di chi guarda7. La di-
chiarazione che una stele porta avanti è complementare a quella che
fa lo stesso tofet – inteso sia come luogo parte della città sia come
luogo all’interno del quale si compiono determinati riti. La perce-
zione di familiarità o, al contrario, di estraneità rispetto alle icono-
grafie presenti in tale area apre la strada alla identificazione di sé con
la cultura cui quei simboli fanno riferimento, o, nel caso di non fa-
miliarità, alla conseguente conferma della propria. Così, se inten-
diamo le identità come8

the meanings one has as a group member, as a role-holder, or as


a person

la stele in questi casi mostra il dedicante non solo – non tanto –

6
The medium is the message è il titolo del secondo capitolo di M. MCLUHAN,
Understanding Media. The Extensions of Man, London - New York 1964 (Cam-
bridge, Mass. 19942) (trad. it. Gli strumenti del comunicare, Milano 1967, 20082).
7
Per una visione sull’identità fenicio-punica v. A. CAMPUS, Punico – postpu-
nico. Per una archeologia dopo Cartagine, Tivoli 2012, in part. il capitolo V, Un pro-
blema di identità, pp. 279-398. Sui tre momenti di negoziazione, affermazione e
conferma v. CAMPUS Costruire…, cit.
8
J.E. STETS - P.J. BURKE, A Sociological Approach to Self and Identity, in M.
Leary - J. Tangney (eds.), Handbook of Self and Identity, New York 2003, p. 132.
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come individuo, ma anche – soprattutto – come membro della co-


munità.
È evidente la differenza di strategia comunicativa tra stele con
solo raffigurazioni e stele con solo testo. La dedica di una stele senza
testo tralascia la definizione della identità personale, la self identity,
che risponde alla domanda “chi sono io?”, per cercare la identità cul-
turale, la cultural identity, che risponde alla domanda “chi siamo noi?”;
poi, queste due domande sono riassunte in un terzo problema: “chi sei
tu?”. La soluzione racchiude ognuna delle tre diverse possibili identità:
individuale o personale, relazionale, collettiva9. Le domande sono formu-
late da persone diverse, da identificare in base alla posizione rispetto
al rito. Alla formazione e manifestazione della identità personale (“chi
sono io?”) contribuisce la esplicitazione del nome da parte dell’attore
del rito – che è anche il dedicante della stele – tramite il testo, così
come la identità relazionale è palesata dalla rete di rapporti che gli
stessi testi propongono (figlio o figlia di, moglie di, mestiere). L’iden-
tità culturale (“chi siamo noi?”) viene confermata nel momento in cui
si assiste al rito o si entra nel tofet, dove si è subito colpiti da immagini
e simboli che sono fortemente specifici della cultura fenicio-punica.

Nel concreto, vediamo diversi casi a confronto.


Il primo è quello di una stele cartaginese (fig. 2), datata al IV
sec. a.C.10, nella quale è raffigurato un personaggio che si muove da
destra verso sinistra e reca nel braccio sinistro un bambino, mentre
ha la mano destra, chiusa a pugno, sollevata. Si tratta di una delle
poche nelle quali è rappresentato in maniera esplicita il rito del tofet.
9
V.L. VIGNOLES - S.J. SCHWARTZ - K. LUYCKX, Introduction: Toward an Inte-
grative View of Identity, in V.L. Vignoles - S.J. Schwartz - K. Luyckx (eds.), Hand-
book of Identity Theory and Research, New York - Dordrecht - Heidelberg - London
2011, I, pp. 1-27.
10
C. PICARD, Les représentation de sacrifice molk sur les ex-voto de Carthage, in
«Karthago» 17, 1973-1974, pp. 125-126, pl. VIII, 10; C. PICARD, Les représentation
de sacrifice molk sur les ex-voto de Carthage, in «Karthago» 18, 1975-1976, p. 229.
È la stele Cb 229 in C. GILBERT PICARD, Catalogue du Musée Alaoui, nouvelle série
(Collections puniques), 1, Tunis s.d. (p. 101, pl. XXXV).
LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI 155

Ugualmente importante in tal senso è un’altra stele, oggi con-


servata al Museo del Louvre11 (fig. 3), cronologicamente successiva
(si data al II sec. a.C.), sulla quale è raffigurato un personaggio rivolto
verso sinistra, con la mano destra alzata e la sinistra che regge un og-
getto; di fronte a lui, alla sinistra di chi guarda, una testa di bovino è
poggiata su un altare12. Solo altre due stele hanno scene simili e cro-
nologicamente vicine alla precedente: una (fig. 4) è al Louvre13 e
mostra un sacerdote rivolto a sinistra verso un altare dal quale sem-
brano alzarsi delle fiamme; l’altra (fig. 5), a Cracovia14, in più ha
un’iscrizione con la dedica solita (CIS I, 3347):
1. lrbt ltnt p
2. n b‘l wl’dn lb
3. ‘l hmn ’š ndr‘
4. ’BBL bt ’RŠ bt
5. ‘ZMLK
1. alla signora a Tanit vol-
2. to di (oppure di fronte a) Ba‘al e al signore a Ba-
3. ‘al H ammon (voto) che ha votato
4. ’BBL figlia di ’RŠ figlia di
5. ‘ZMLK

‘ZMLK
| bt
’RŠ
| bt
’BBL

11
Inv. AO 5081.
12
F. BERTRANDY, scheda n. 39: Votive Stele with a Priest, Sacrificial Altar, Bull
Head, in M. Seefried Brouillet (ed.), From Hannibal to Saint Augustine. Ancient Art of
North Africa from the Musée du Louvre (Catalogo della mostra), Atlanta 1994, p. 54.
13
Inv. AO 23980; PICARD, Les représentation…, 1, cit., pp. 83, 208, pl. VII, 3.
14
Dictionnaire de la civilisation phénicienne et punique, Turnhout 1992, p. 382,
fig. 278.
156 ALESSANDRO CAMPUS

L’iscrizione è stata aggiunta all’idea con la quale l’iconografia è


nata: sembra che sia stata incisa nello spazio lasciato libero dalle im-
magini, ma l’area è stata mal calcolato: la taw che conclude la quarta
riga tocca la veste del sacerdote, mentre la quinta riga, l’ultima, è
stretta tra la riga superiore ed il bordo inferiore.
In queste stele è evidente che si fa riferimento ad un mondo cul-
turale (anzi, a mondi culturali, vista la distanza cronologica) che ha
significati espliciti per chi a tali mondi partecipa, ma che invece
espliciti non sono per chi a tali mondi è estraneo, tant’è che in par-
ticolare per la seconda stele presentata non riusciamo ad andare oltre
la descrizione, non potendo arrivare alla interpretazione: sappiamo
leggere, ma non capiamo quello che leggiamo15.
Il modo di “leggere” una stele con solo l’iscrizione, senza un ap-
parato iconografico, è ovviamente diverso; riporto qui di seguito, a
mo’ di esempio, il testo della epigrafe cartaginese CIS I, 377 (foto 6):
1. lrbt ltnt pn [b‘l]
2. wl’dn lb‘l hmn ’[š n]
3. dr ’DNB‘L bn ‘B[D’]
4. ŠMN mqm ’lm bn
5. ‘ZRB‘L hrb mqm
6. ’lm
1. alla signora a Tanit volto di (oppure di fronte a) [Ba‘al]
2. e al signore a Ba‘al H ammon (voto) c[he ha vo-]
3. tato ’DNB‘L figlio di ‘B[D’-]
4. ŠMN “colui che fa resuscitare la divinità” figlio di
5. ‘ZRB‘L “capo di colui che fa resuscitare
6. la divinità”

15
Sulla rappresentazione dei riti nelle stele nordafricane, PICARD, Les repré-
sentation…, 1, cit. e PICARD, Les représentation…, 2, cit.; per le stele di età romana,
G. SCHÖRNER, New Images for Old Rituals: Stelae of Saturn and Personal Cult in
Roman North Africa, in B. Croxford - N. Ray - R. Roth - N. White (eds.), TRAC
2006: Proceedings of the Sixteenth Annual Theoretical Roman Archaeology Conference,
Oxford 2007, pp. 92-102.
LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI 157

‘ZRB‘L hrb mqm ’lm


|
‘B[D’]ŠMN mqm ’lm
|
’DNB‘L

È evidente che Adonba‘al, il dedicante, ha voluto comunicare


non qualcosa in più rispetto ai dedicanti delle stele precedenti, ma
qualcosa di diverso. Se, come visto prima, le tre stele con iconografia
sembrano rientrare all’interno della cultura figurativa punica dei ri-
spettivi periodi, cultura nella quale per i Cartaginesi dell’epoca non
doveva esser difficile riconoscersi, la iscrizione offre la particolarità
della funzione ricoperta dal padre e dal nonno del dedicante.
La indicazione della carica16, che non è molto comune17, rende
identificabile la persona nell’ambito della società cartaginese, in par-

16
Su questo sacerdozio, v. le osservazioni grammaticali in DNWSI, s.v. qwm1,
pp. 1002-1003 e s.v. mtrh, p. 710; per le interpretazioni, v. C. BONNET, Melqart.
Mythes et rites de l’Héraclès tyrien en Méditerranée, Leuven - Namur 1988, pp. 174-
179; M.S. SMITH, The Origins of Biblical Monotheism. Israel’s Polytheistic Background
and the Ugaritic Texts, Oxford - New York 2001, p. 114 (le relative note hanno la
bibl. prec.); M.G. AMADASI GUZZO, Il sacerdote, in J.Á. Zamora (ed.), El hombre
fenicio. Estudios y materiales, Roma 2003, pp. 48 e 53; S. RIBICHINI, Al servizio di
Astarte. Ierodulia e prostituzione sacra nei culti fenici e punici, in A. González - G.
Matilla - S. Egea (eds.), El mundo púnico. Religión, antropología y cultura material.
Actas II. Congreso internacional del mundo púnico (Cartagena 6-9 de abril de 2000),
Murcia 2004, p. 68, nota 71; J.Á. ZAMORA, El sacerdocio en el Levante próximo-
oriental (Siria, Fenicia y el mundo púnico): las relaciones entre el culto y el poder y la
continuidad en el cambio, in J.L. Escacena Carrasco - E. Ferrer Albelda (eds.), Entre
dios y los hombres: el sacerdocio en la Antigüedad, Sevilla 2006, p. 75.
17
È attestata, oltre che a Cartagine (v. le attestazioni raccolte in L.A. RUIZ
CABRERO, Dedicantes en los tofet: la sociedad fenicia en el Mediterráneo, in «Gerión»
26, 1, 2008, s.v. mqm ’lm, p. 105 e s.v. mqm ’lm mtrh ‘štrny, pp. 105-107), a Cipro
(Larnaka-tis-Lapithou III: A.M. HONEYMAN, Larnax-tes-Lapethou, A Third Phoeni-
cian Inscription, in «Muséon» 51, 1938, p. 285-298), Rodi (KAI 44) e Cherchell
(HNPI Cherchell N 2 = KAI 161), di età postpunica: myqm ’lm, con la -y- usata
come mater lectionis).
158 ALESSANDRO CAMPUS

ticolare in questo caso, dove sia il padre che il nonno del dedicante
hanno ricoperto questa funzione. Così egli ha voluto presentarsi non
solo come un partecipante alla cultura punica (cultural identity), ma
come quell’Adonba‘al figlio e nipote di quei sacerdoti ‘Abdešmun e
‘Azarba‘al (self identity).
Continuando su questo percorso, un’altra stele particolarmente
interessante è la CIS I, 376518 (fig. 7):
1. lrbt ltnt
2. pn b‘l wl’dn
3. lb‘l hmn
4. ’š ndr YKN
5. ŠLM bn ’WLT
1. alla signora a Tanit
2. volto di (oppure di fronte a) Ba‘al e al signore
3. a Ba‘al H ammon
4. (voto) che ha votato YKN-
5. ŠLM figlio di ’WLT

’WLT
|
YKNŠLM
Mentre nella precedente il dedicante è chiaramente identifica-
bile per la carica religiosa del padre e del nonno, in questa la parti-
colarità è di tipo onomastico. Infatti, il padre del dedicante ha con
ogni verosimiglianza un nome libico, forse accostabile a Nivalis Au-
latis, in una iscrizione funeraria da el-Ma el-Abiod, in Numidia19. Si
vedano forse anche al nome (femminile) ‘WL’, attestato solo una
volta in una iscrizione funeraria neopunica20 e il libico WLH21.

18
GILBERT PICARD, Catalogue…, cit., Cb 447, pp. 148-149, pl. LIX.
19
CIL VIII, 19925 (= IlAlg II, 3413).
20
HNPI Ksour Abd el-Melek N 1 (Uzappa); v. HNPI, p. 365 s.v. ‘wl’.
21
RIL 748.
LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI 159

Riassumendo, possiamo notare quale è la differenza tra i due testi


su riportati; nel primo caso, nella rete di relazioni intessute il dedi-
cante ha messo l’accento sul ruolo sociale della propria famiglia al-
l’interno del sistema religioso cartaginese (cultural identity), mentre
nel secondo caso l’identificabilità del dedicante è dato dalla sua com-
posizione familiare (self identity). Così, tornando alle domande ipo-
tizzate prima, alla domanda “chi sei tu?” la stele di Adonba‘al dà una
risposta sociale, la stele di Yakunšillem dà una risposta personale.

Al di là delle variazioni delle formule, che ovviamente cambiano


nel corso del tempo, pur mantenendo una struttura pressoché co-
stante, occorre chiedersi, in una prospettiva narratologica, chi siano
gli attori dei racconti presentati da queste iscrizioni. Dividendo i
ruoli, in prima battuta siamo di fronte ad un narratore che sviluppa
il racconto: il dedicante, che parla di sé in terza persona, proponendo
una immagine del proprio vissuto; un racconto autobiografico, ma
raccontato come se il narratore fosse un altro, da un punto di vista
(apparentemente) oggettivo.
Così, l’affermazione del sé narrante passa (anche) attraverso la
immagine che egli vuol trasmettere per mezzo del testo redatto, inteso
sia come forma della scrittura sia come contenuto. Ma essendo la
stele parte del rito che ha portato alla deposizione dell’urna, è proprio
per mezzo del bambino incinerato che una parte della società punica
presenta sé stessa. Tra l’altro, come abbiamo visto prima molte iscri-
zioni sono strutturate in modo tale che il dedicante sia riconoscibile
attraverso l’indicazione del patronimico e/o del mestiere. Scrive la
cartaginese Matanba‘al, che dedica l’iscrizione CIS I, 188522 (fig. 8):
1. lrbt ltnt pn b‘l wl’
2. [dn] lb‘l hmn ’š ndr
3. ’ [M]TNB‘L ’št ‘BDM
4. LQRT bn B‘LH N’ bn
5. BD‘ŠTRT kšm’ ql’
6. ybrk’
22
Alla l. 5, šm’ per šm‘.
160 ALESSANDRO CAMPUS

1. alla signora a Tanit volto di (oppure di fronte a) Ba‘al e


2. al signore a Ba‘al H ammon (voto) che ha vota-
3. to [M]TNB‘L moglie di ‘BDM
4. LQRT figlio di B‘LH N’ figlio di
5. BD‘ŠTRT poiché ha ascoltato la sua voce
6. lo benedica

BD‘ŠTRT
|
B‘LH N’
|
[M]TNB‘L –––––––– ‘BDMLQRT

È ugualmente ben individuabile la famiglia del dedicante di CIS


I, 208 (fig. 9), famiglia nella quale ha ricoperto la carica di sufeta il
dedicante ed il nonno, ma non il padre23:
1. lrbt ltnt pn
2. b‘l wl’dn lb‘l h
3. mn ’š ndr MGN hšp
4. t  bn H N’ bn BDML
5. MLQRT hšpt 
1. alla signora a Tanit volto di (oppure di fronte a)
2. Ba‘al e al signore a Ba‘al H am-
3. mon (voto) che ha votato MGN il sufe-
4. ta figlio di H N’ figlio di BDML-
5. QRT il sufeta

23
Anche altre iscrizioni presentano l’intera famiglia formata da sufeti, ma vi
sono iscrizioni che mostrano come il titolo può non essere costantemente presente
nella famiglia (ad es., in CIS I, 210 il dedicante non è sufeta, mentre lo sono i tre
antenati, oppure in CIS I, 4801 sono indicati come sufeti il padre ed il bisnonno
del dedicante, non il dedicante stesso ed il nonno); i dati completi sono in RUIZ
CABRERO, Dedicantes…, cit., pp. 91-92 e L.A. RUIZ CABRERO, Sociedad, jerarquía y
clases sociales de Cartago, in B. Costa - J.H. Fernández (eds.), Instituciones, demos y
ejército en Cartago XXIII jornadas de arqueología fenicio-púnica (Eivissa, 2008), Eivissa
2009, pp. 11-12.
LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI 161

BDMLQRT hšpt 
|
H N’
|
MGN hšpt 

Ancora, sembra una dedica di un padre con il figlio la CIS I,


24
384 (fig. 10):
1. lrbt ltnt pn
2. b‘l wl’dn lb‘l
3. hmn ’š ndr ŠMRB
4. ‘L b[n] ‘M’ w‘M’
5. bn ŠMRB‘L
1. alla signora a Tanit volto di (oppure di fronte a)
2. Ba‘al e al signore a Ba‘al
3. H ammon (voto) che ha votato ŠMRB-
4. ‘L fi[glio] di ‘M’ e ‘M’
5. figlio di ŠMRB‘L
La situazione genealogica è la seguente:

‘M’
|
ŠMRB‘L ŠMRB‘L
|
‘M’

Tutti questi casi, che ovviamente potrebbero esser moltiplicati,


fanno vedere come spesso vi sia la volontà – direi la necessità – di
mostrare sé stessi all’interno di una rete di relazioni nella quale
ognuno prende il proprio posto. Riprendendo il caso della dedica di

24
Esclude invece che si tratti di padre e figlio, pur riconoscendo la presenza
della papponimia, F. GUARNERI, Le iscrizioni dei tofet: indagine sul numero dei dedi-
canti, in «Studi epigrafici e linguistici sul Vicino Oriente Antico» 2, 2004, p. 116.
162 ALESSANDRO CAMPUS

Matanba‘al (o Mutunba‘al)25 in una prospettiva ippocratica, siamo


di fronte al flusso temporale costituito da anamnesi, diagnosi e pro-
gnosi – passato, presente e futuro:
passato: la genealogia del marito ‘Abdmelqart
presente: Matanba‘al e il marito ‘Abdmelqart
futuro: ybrk’, “la esaudisca”
Appare chiaro che i bambini deposti, che apparentemente sono
– dovrebbero essere – i protagonisti del rito, non lo sono nei racconti
che si dipanano nelle stele, anzi rimangono assolutamente in secondo
piano. Non sono mai nominati, ma talvolta è dichiarato il nome tec-
nico del rito che si è svolto26. Sembrerebbe quasi di notare che ai pic-
coli defunti sia stata riservata una dimensione di “cultura materiale”,
mentre a coloro i quali appaiono come gli autentici protagonisti, gli
offerenti, sia delegata la funzione di raccontare. La materialità rap-
presentata in primo luogo dalla deposizione, cui si aggiunge talvolta
la stele, pare sufficiente a sistemare l’orizzonte culturale del bambino;
in una prospettiva di definizione e affermazione della identità del de-
dicante, invece, si può rendere necessario utilizzare segnali che ren-
dano evidente la partecipazione al culto.
Pertanto, nel tentativo di oggettivizzare la propria vicenda per-
sonale e sociale la presenza della stele è significativa: la “quantità”
di informazioni di cui la stele senza iscrizione è medium è al tempo
stesso piccola e grande. Piccola perché non dà alcuna informazione
sulla identità personale del dedicante, grande perché attraverso il rito
– e la deposizione dell’urna e l’erezione della stele – gli attori e gli
spettatori attribuiscono a sé stessi una identità culturalmente iden-
tificabile.

25
V. HNPI s.v. mtnb‘l, p. 357 per l’interpretazione delle diverse vocalizzazioni
offerte dalle fonti letterarie ed epigrafiche romane e greche.
26
G. GARBINI, Note di lessicografia ebraica, Brescia 1998, s.v. molek, olocausto
molk, pp. 73-78; M.G. AMADASI GUZZO, Il tofet: osservazioni di un’epigrafista, in
«ScAnt» 14, 1, 2007-2008, pp. 347-362.
LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI 163

Tra l’altro, se si intende il rito anche come rappresentazione27, per-


formance, è l’atto stesso ad essere fondante per la società, per cui sia gli
attori che gli spettatori si trovano ad essere una comunità culturale28,
intesa come gruppo che condivide i medesimi valori. Ma essendo il
rito, per propria natura, un atto effimero, che in una prospettiva topo-
grafica e cronologica si esaurisce nello spazio e nel tempo in cui esso si
svolge, il grado zero della comunicazione in senso diacronico è dato
dalla assenza di stele, visto che si nega ogni tipo di informazione, oltre
a quella minima determinata dalla presenza dell’urna; il grado massimo
della comunicazione, anche qui intesa diacronicamente, è dato dalle
stele con iconografia e iscrizione, poiché di tale comunicazione si può
fruire in tempi teoricamente anche molto lontani dal momento in cui
l’immagine ed il testo sono stati elaborati. In mezzo ci sono le stele con
solo raffigurazioni e quelle con solo iscrizioni.

27
G. BROWN, Theorizing Ritual as Performance: Explorations of Ritual Indeter-
minacy, in «Journal of Ritual Studies» 17, 1, 2003, pp. 3-18; v. anche A. DE JONG,
Liturgical Action from a Language Perspective: about Performance and Performatives
in Liturgy, in H. Schilderman (ed.), Discourse in Ritual Studies, Leiden - Boston
2007, pp. 111-145. Un approccio “archeologico” al problema del rito come perfor-
mance è in K.L. HULL, Ritual as Performance in Small-Scale Societies, in «WorldArch»
46, 2, 2014, pp. 164-177; v. comunque tutto il fascicolo 46, 2, 2014 della rivista
World Archaeology, interamente dedicato proprio alla Archaeology of Performance.
Per un orientamento sugli studi su performativity, v., oltre al fondamentale
V.W. TURNER, The Anthropology of Performance, New York 1986, J.L. JEFFREY, s.v.
Performance, Ritual of, in E.A. Salamone (ed.), Encyclopedia of Religious Rites, Rit-
uals, and Festivals, New York - London 2004, pp. 321-324 e R.L. GRIMES, Perfor-
mance, in J. Kreinath - J. Snoek - M. Stausberg (eds.), Theorizing Rituals: Issues,
Topics, Approaches, Concepts, Leiden - Boston 2006, pp. 379-394. Molto interes-
santi sono le considerazioni presentate da K.B. STRATTON, Identity, in B.S. Spaeth,
The Cambridge Companion to Ancient Mediterranean Religions, New York 2013, in
part. alle pp. 231-244, che considera la creazione dell’identità anche per mezzo
della performance, anzi «how religious identity was performed in the ancient
Mediterranean» (p. 231).
28
U. RAO, Ritual in Society, in Kreinath - Snoek - Stausberg (eds.), Theorizing
Rituals..., cit., p. 143: «Rituals serve important functions for the organization and
reorganization of social contexts».
164 ALESSANDRO CAMPUS

Eclatante il caso della stele CIS I, 568929 (fig. 11): la stele stessa,
configurata a forma di cd. segno di Tanit, è iconografia; l’aggiunta
della raffigurazione del cd. idolo a bottiglia nella parte superiore, in
corrispondenza della “testa”, e dell’iscrizione incisa sul “corpo” ren-
dono l’oggetto è un capolavoro comunicativo30:
1. lrbt ltnt pn b‘l
2. wl’dn lb‘l hmn ’š n
3. š’ ‘BD’ŠMN hspr bn
4. ‘BDMLK hspr ’yt
5. ’ršt šry
1. alla signora a Tanit volto di (oppure di fronte a) Ba‘al
2. e al signore a Ba‘al H ammon (voto) che ha offer-
3. to ‘BD’ŠMN lo scriba figlio di
4. ‘BDMLK lo scriba la (parte)
5. scelta/richiesta della sua carne

BDMLQRT hspr
|
MGN hspr

‘Abdešmun, scriba, raggiunge il grado massimo della comunica-


zione, mostrando in modo evidente, esplicito e comprensibile le pro-
prie identità.

29
È la stele Cb 552 in GILBERT PICARD, Catalogue…, cit. (p. 168, pl. LXVII)
30
Seguo la traduzione dell’espressione finale data da M.G. AMADASI GUZZO,
Le iscrizioni del tofet: osservazioni sulle espressioni di offerta, in O. Eissfeldt, Molk als
Opferbegriff im Punischen und Hebräischen und das Ende des Gottes Moloch. Molk
como concepto del sacrificio púnico y hebreo y el final del Dios Moloch, C. González
Wagner - L.A. Ruiz Cabrero (eds.), Madrid 2002, pp. 103-104; RUIZ CABRERO,
Dedicantes…, cit., p. 131, legge alle ll. 4-5 hspr ’yt ’ršt s ry, «en una construcción
que emplea la partícula de acusativo que introduce un antropónimo (...) o teónimo
(…) seguido de la palabra que designa la ciudad de Tiro con final yod que designa
a un habitante de la misma». Sulla formula finale, v. AMADASI GUZZO - ZAMORA
LÓPEZ, The Epigraphy…, cit., pp. 174-175.
LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI 165

Ancora più significativo è forse il caso dell’iscrizione CIS I, 420


(fig. 12), ugualmente da Cartagine; il testo ha la classica dedica a
Tanit e a Ba‘al H ammon, ma si interrompe dopo la formula ’š ndr.
1. lrbt ltnt pn b‘l w
2. l’dn lb‘l hmn ’š nd
3. r
1. alla signora a Tanit volto di (o che sta di fronte a) Ba‘al e
2. e al signore a Ba‘al H ammon (voto) che ha vota-
3. to
Nello specchio epigrafico c’è ancora spazio per inserire gli altri
elementi soliti. Data per scontata la volontà di comunicazione, sem-
bra che il dedicante non avesse bisogno / necessità di affermare sé
facendo incidere il proprio nome. Si tratta di una comunicazione sbi-
lanciata, che si muove in un solo senso, dal vovente – che rimane
anonimo – verso chi guarda / legge questa stele, verso la società car-
taginese del tempo, ma indubbiamente senza un ritorno: si è deciso
di non presentare l’identità personale né l’identità relazionale, a fa-
vore di una identità culturale che rimane astratta, non concretizzan-
dosi in una persona.
Un caso limite è quello presentato dall’iscrizione CIS I, 424 (fig.
13). Il testo si sovrappone per intero ad un grande segno di Tanit:
1. ’š ndr H N’ b
2. n ’RŠ bn BDM
3. LQRT bn MGN
1. (voto) che ha votato H N’ fi-
2. glio di ’RŠ figlio di BDM-
3. LQRT figlio di MGN

MGN
|
BDMLQRT
|
’RŠ
|
H N’
166 ALESSANDRO CAMPUS

Nella tessitura della rete di rapporti – familiari, professionali, re-


ligiosi, culturali – che sarebbe stato possibile mostrare con la dedica
di questa stele, Annone ha scelto di darsi un unico orizzonte, quello
familiare, a scapito di tutto il resto, omettendo addirittura la men-
zione delle divinità che sono destinatarie del rito. Anche la scelta di
coprire il cosiddetto segno di Tanit con l’epigrafe fa sì che il simbolo
non sia immediatamente percepibile, rendendo così preminente la
scelta testuale.
Ancora più radicale la scelta del dedicante di CIS I, 425 (fig.
14), il quale al di sotto di un cosiddetto segno di Tanit fa scrivere:
1. ’š ndr ’
2. RŠ
1. che ha votato ’-
2. RŠ
Qui l’unico aspetto che interessa è quello personale, vista la
menzione del solo nome senza genealogia; ma neanche il nome aiuta
nella definizione della identità personale, vista la altissima frequenza
del nome, trovandosi così nella impossibilità di riconoscere il vo-
vente.
Sino ad arrivare a due iscrizioni, CIS I, 432 e 434 (fig. 15), le
quali riportano solamente il nome, la prima al di sotto (B‘L‘ZR), la
seconda all’interno di un segno di Tanit (H NB/‘L).
Il massimo dell’astrazione, infine, è in CIS I, 43631 (fig. 16): ai
lati di un segno di Tanit sormontato da un crescente lunare rivolto
verso il basso, solo due lettere, beth e taw.

I tre momenti di ricordo, memoria e tradizione nella cultura por-


tano ad una sempre successiva concettualizzazione della propria iden-
tità, costruita a partire da una struttura personale, familiare, culturale.
Il raccontare sé stessi – nel caso fenicio-punico qui in esame attra-
verso le stele del tofet – consente di inserirsi all’interno di un pro-
cesso culturale che esula (o, meglio, che si vuole che esuli) dalla
31
È la stele Cb 606 in GILBERT PICARD, Catalogue…, cit. (pp. 178-179, pl.
LXXIII).
LE ISCRIZIONI DEL TOFET COME NARRAZIONI 167

contingenza del momento, per riuscire ad affrontare la propria iden-


tità sociale, riuscendo a superare la anxiety così come la ha mostrata
G. Woolf: il mettere per iscritto sé stesso ha (anche) lo scopo di an-
corarsi alla realtà; tessere la trama dei propri nessi sociali e familiari
contribuisce a definire una prospettiva personale e culturale che va
resa altro da sé mostrandola.
In una riflessione metaculturale, dal ricordo, inteso come fram-
mento di un passato personale, si passa alla memoria, organizzando
tale ricordo insieme con altri ricordi all’interno di una armatura con-
cettuale che rende tali ricordi coerenti; l’ulteriore passo sta nell’in-
tegrare la memoria, che è ancora in una situazione ristretta, nella
struttura della cultura, rendendola parte della tradizione. Come è stato
più volte mostrato, né i ricordi né la strutturazione dei ricordi, la me-
moria, sono fatti oggettivi, ma una narrazione32.
La storia è quindi ciò che il discorso narrativo riporta, rappre-
senta o significa. Le iscrizioni sin qui viste – ma si tratta di uno spi-
cilegio – sembrano integrare questa visione, raccontando storie,
storie di vite private che diventano pubbliche: i racconti – perché di
questo si tratta, di veri e propri racconti – forniscono alla società pu-
nica al medesimo tempo una costruzione della rete di rapporti e re-
lazioni all’interno della quale ci si può ritrovare ed una chiave di
lettura di sé stessa, tramite la esposizione di una storia.
In conclusione, le iscrizioni puniche portano, al pari delle altre
produzioni della cultura, la autorappresentazione della civiltà, ma
con qualcosa in più: la rappresentazione dell’individuo.

32
J. GOTTSCHALL, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Torino
2014 (ed. or. The Storytelling Animal. How Stories Make Us Human, New York
2012), p. 174.
ALESSANDRO CAMPUS 333

Fig. 1 – Tofet di Sulci

Fig. 2 – Stele da Cartagine Cb 229


334 ALESSANDRO CAMPUS

Fig. 3 – Stele punica al Louvre AO 5081

Fig. 4 – Stele Louvre Inv. AO 23980


ALESSANDRO CAMPUS 335

Fig. 5 – CIS I, 3347


Fig. 6 – CIS I, 377

Fig. 7 – CIS I, 3765


336 ALESSANDRO CAMPUS

Fig. 8 – CIS I, 1885

Fig. 9 – CIS I, 208


ALESSANDRO CAMPUS 337

Fig. 10 – CIS I, 384

Fig. 11 – CIS I, 5689


338 ALESSANDRO CAMPUS

Fig. 12 – CIS I, 420

Fig. 13 – CIS I, 424


ALESSANDRO CAMPUS 339

Fig. 14 – CIS I, 425 1


340 ALESSANDRO CAMPUS

Fig. 15 – CIS I, 432, 434


ALESSANDRO CAMPUS 341

Fig. 16 – CIS I, 436


MARIO LOMBARDO

CONCLUSIONI

La formula con la quale sono stati concepiti e organizzati i Con-


vegni della serie Epigrammata, promossi con cadenza biennale dal-
l’Università di Roma “Tor Vergata”, e che sono giunti a questa terza
edizione, dedicata, come ci ha ricordato Eugenio Lanzillotta, alla me-
moria del compianto collega e amico Mario Luni, si è rivelata parti-
colarmente interessante e indovinata, anche in ragione del fatto,
scontato ma non trascurabile, che, nel loro stesso statuto documen-
tario in quanto fonti di conoscenza sul mondo greco, le iscrizioni, gli
epigrammata sui quali è imperniata tale formula, sollecitano, e direi
richiedono, quel tipo di approccio ampiamente interdisciplinare e
multidisciplinare che abbiamo visto all’opera in tutte e tre le edizioni,
curate da par suo da Alessandra Inglese, e che è garanzia di vivo in-
teresse, vivace dibattito e reale avanzamento delle conoscenze:
quanto di meglio si può chiedere ad un incontro scientifico.
Nessuno di noi, in effetti, ha dimenticato l’abc della lezione fon-
damentale trasmessaci dai Maestri, come Louis Robert o Margherita
Guarducci, e che molti tra di noi, credo, si sentono in dovere di tra-
smettere ai loro studenti nell’introdurli alla disciplina ‘Epigrafia
greca’, quella che vede la specificità del documento epigrafico, non
solo nel suo essere testimonianza diretta delle molteplici e variegate
pratiche espressive e comunicative degli antichi Greci che trovavano
realizzazione attraverso l’impiego della scrittura su materiali durevoli,
300 MARIO LOMBARDO

ma anche, proprio in ragione di ciò, nel suo costituire un nesso in-


scindibile di espressione testuale e supporto materiale; il che ne ri-
chiede una lettura e interpretazione fondate sull’attenta
considerazione ‘filologica’ di entrambi tali aspetti, visti, laddove noto,
entro il contesto di rinvenimento, nel senso più ampio di tale no-
zione, dal contesto archeologico e stratigrafico a quello topografico
e funzionale, da quello geografico-territoriale a quello cronologico e
storico-culturale.
Ovvero, come ci ricordano i lavori di antropologi e semiologi,
da Jack Goody a Giorgio Raimondo Cardona, da Eric Havelock a
Umberto Eco, che il documento epigrafico, in quanto risultato di una
‘intenzione comunicativa’ che non poteva realizzarsi e presentare il
suo significato se non entro i canoni e i codici di espressione e co-
municazione condivisi entro quel determinato orizzonte culturale,
non può essere compreso e interpretato correttamente se non consi-
derandone, insieme, il supporto (materiale, forma e dimensioni), la
forma testuale (nelle sue varie ‘dimensioni’, scrittoria, linguistica, ti-
pologica e stilistica) e il contesto storico-culturale, di produzione e
fruizione (o se si preferisce di funzionalità), ma anche, nei casi più
fortunati e interessanti, di rinvenimento.
In ragione di tutto ciò, nell’approccio allo studio degli epigram-
mata vi è materia per archeologi e per filologi, per studiosi della lin-
gua come della scrittura, per storici della società e dell’economia
come della letteratura e della religione: è quanto è emerso con ampia
evidenza nella bella presentazione, da parte di Ugo Fantasia, del vo-
lume degli Atti di Epigrammata 2, la cui tematica era centrata sulle
iscrizioni viste nelle loro multiformi connessioni con lo ‘spazio’,
quello sacro, in primo luogo, ma anche quelli funerario, architetto-
nico e giuridico. Lo stesso vale per il primo convegno della serie, de-
dicato al rapporto, altrettanto ricco e sfaccettato, tra iscrizioni greche
e comunicazione letteraria.
Ed altrettanto possiamo dire di quanto abbiamo ascoltato e di-
scusso in queste giornate, dedicate a una tematica, quella del “saper
scrivere nel Mediterraneo antico”, che, consapevolmente e direi pro-
CONCLUSIONI 301

grammaticamente, è venuta ad aggiungere un’ulteriore dimensione


alla vocazione interdisciplinare di questi incontri, focalizzando l’at-
tenzione su una prospettiva di indagine da un lato assai ‘specifica’ in
rapporto alla natura dei documenti epigrafici, quella, per l’appunto,
della scrittura come ‘tecnologia dell’intelletto’ – per riprendere la
formula richiamata da Alessandra Inglese nella sua Introduzione –,
che come tale implica competenze tecniche, ma anche socio-cultu-
rali, sulle quale tali documenti costituiscono le fonti di informazioni
primarie. Ma anche, dall’altro, una prospettiva assai ampia e com-
plessa, che investe i più diversi contesti socio-culturali e funzionali
nei quali ha trovato espressione e affermazione il “saper scrivere” epi-
grafico, e che lo fa guardando – ed è questo forse il principale aspetto
di novità di questo terzo Epigrammata – non solo al pur ampio e va-
riegato orizzonte delle esperienze elleniche, ma anche a quelle di altre
popolazioni e culture del bacino mediterraneo, dalla Caria al mondo
punico, dall’Iberia al Bruzio al mondo etrusco-tirrenico.
In effetti, siamo partiti da Tebe e dalle iscrizioni tebane tra VI e
V secolo, con le riflessioni di Alessandra Inglese, che hanno tratto
spunto dalle questioni di ordine ‘alfabetico’ da esse sollevate, da un
lato per richiamare l’attenzione sulle problematiche riguardanti gli
alfabeti arcaici, dall’altro per metterne in luce, attraverso la valoriz-
zazione delle varianti grafiche, il potenziale valore indiziario anche
come ‘rivelatori’ di peculiari esperienze socio-culturali, per poi pas-
sare in Eubea, a Styra e alle sue lamelle plumbee iscritte, con le mi-
nuziose analisi ‘grafiche’ condotte su di esse da Francesca Dell’Oro.
Quindi da Sparta, anzi dalla periecia laconica, con le interessanti, e
direi intriganti, iscrizioni votive presentate e discusse da Francesca
Berlinzani, in cui sembra lecito cogliere anche l’eco di vicende e per-
sonaggi ‘storici’, siamo giunti alla Cirenaica, con l’ampia presenta-
zione e discussione, da parte di Catherine Dobias-Lalou, delle fasi
iniziali dell’impiego della scrittura in questo particolare orizzonte ‘co-
loniale’, nei suoi aspetti funzionali entro il dominio religioso-cultuale
e nella sfera pubblica, ma anche, e innanzitutto, negli aspetti alfabe-
tici, a proposito dei quali la relatrice è giunta alla conclusione se-
302 MARIO LOMBARDO

condo cui occorre rinunciare all’idea di un alfabeto giunto dalla me-


tropoli terea e pensare piuttosto ad apporti diversi, che trovano
espressione anche in significative varianti, persistenti fino alla stan-
dardizzazione di fine V sec. a.C. Conclusione, questa, del tutto con-
vincente, anche in considerazione di quei consistenti contingenti di
epoikoi di varia provenienza che figurano nel racconto erodoteo quali
protagonisti, nel corso del VI sec. a.C., di una vera e propria ‘ricolo-
nizzazione’ di Cirene, seguita dalla ridefinizione del corpo civico ad
opera di Demonatte di Mantinea (Hdt., IV, 159-161).
Da Atene, poi, con il denso contributo di Giovanni Marginesu
sui documenti epigrafici di età classica che permettono di mettere a
fuoco il rapporto tra scrittura e architettura, nei vari aspetti e ‘mo-
menti’ del lavoro di progettazione degli architetti, ma soprattutto
nelle loro relazioni con la città e le sue complesse procedure di veri-
fica amministrativa e contabile, siamo passati nella Caria degli Eca-
tomnidi con la relazione di Teresa Alfieri su alcune importanti
iscrizioni greche, degli Ecatomnidi stessi, ma anche di Milasa e Kau-
nos, che documentano interessanti fenomeni acculturativi. Abbiamo
potuto quindi ampliare lo sguardo a un orizzonte davvero pan-medi-
terraneo, dall’area pontica (Olbia ed Ermonassa) ad Atene, al-
l’estremo Occidente della Celtica (Marsiglia, Lattes, Pech-Maho) e
dell’Iberia (Ampurias), con la ricca e approfondita relazione di Ma-
dalina Dana sulle lettere greche conservate su lamine plumbee e
frammenti ceramici, una classe epigrafica che documenta prassi scrit-
torie e socio-culturali molto interessanti, già oggetto di importanti
contributi della stessa relatrice e di recente discusse in una prospet-
tiva estremamente ampia da Paola Ceccarelli nel suo libro Ancient
Greek Letter Writing. A Cultural History (600 BC – 150 BC), Oxford
2013.
Se nel mondo punico del Mediterraneo occidentale ci hanno
condotto le due relazioni seguenti, quella, assai analitica e acuminata,
di Giulia Amadasi sugli errori e le sviste riconoscibili nelle iscrizioni
puniche, e quella, anch’essa ricca di aspetti interessanti e originali,
di Alessandro Campus, sulle iscrizioni del tophet come forme di ‘nar-
CONCLUSIONI 303

razione’, ancora nell’estremo Occidente ci ha guidati la dettagliata e


convincente analisi condotta da Giovanni Boffa, anche sulla scorta
di importanti lavori di Javier De Hoz, sulle testimonianze epigrafiche
riguardanti la presenza dell’alfabeto greco, tra VI e IV sec. a.C., nel-
l’area iberica; un’area caratterizzata in forma peculiare da significative
forme di interazione, sul terreno delle pratiche mercantili, tra diversi
soggetti (Iberici, Fenici, Greci, Etruschi), che hanno lasciato inte-
ressanti testimonianze epigrafiche; ma caratterizzata anche, e più spe-
cificamente, sul terreno scrittorio, dalla compresenza di diverse
esperienze alfabetiche, a partire dalla più antica, quella fenicia, che
nella Contestania in particolare portarono all’utilizzazione di tre di-
verse scritture per la stessa lingua, quella iberico-levantina, quella
cd. sud-orientale ed infine quella greco-iberica.
La rotta propostaci dagli organizzatori di questo incontro ci ha
portati quindi in Sicilia, con la puntuale relazione di Fabio Copani
e Federica Cordano sulle variegate esperienze scrittorie attestate nella
parte sud-orientale dell’isola, e quindi in Italia meridionale e in primo
luogo a Locri Epizefiri, con la densa analisi filologico-epigrafica di
Albio Cassio sui testi delle cd. ‘consacrazioni’ di Collyra, su cui egli,
da par suo, ha aperto nuove prospettive di lettura e interpretazione.
Quindi, riprendendo il filo del percorso ‘multietnico’ del Con-
vegno, le due intriganti relazioni di Alessandra Gobbi e di Giovanna
Bagnasco Gianni ci hanno portato a interrogarci su quei veri e propri
rompicapo proposti, rispettivamente, dai sigla e segni alfabetiformi
riconoscibili sui materiali di corredo di una necropoli del centro etru-
sco di Pontecagnano, oggi studiati dalla Gobbi nell’ambito dell’In-
ternational Etruscan Sigla Project (IESP), e dall’ampio corpus delle
‘iscrizioni senza senso’ sulle anfore tirreniche, sulla cui ampia e com-
plessa problematica ermeneutica la Bagnasco ci ha offerto una pre-
sentazione davvero a 360 gradi, dalle questioni della produzione e
della committenza a quelle più squisitamente epigrafiche.
E infine, a completamento ideale di tale percorso, la magistrale
relazione di Paolo Poccetti ci ha condotti ad esplorare, con grande
rigore metodologico e grande dovizia di case studies, i variegati rap-
304 MARIO LOMBARDO

porti tra alfabeto greco e lingue anelleniche (dal digrafismo all’allot-


tografia, dai problemi legati al bilinguismo a quelli posti dal ruolo di
volta in volta differente giocato dal ‘modello’ alfabetico ellenico),
nei diversi orizzonti ‘indigeni’ dell’Italia Meridionale toccati in qual-
che modo dalle esperienze coloniali greche, da quello messapico a
quelli brettio, lucano e campano.
Va dunque riconosciuto pieno merito a chi ha concepito e orga-
nizzato questo terzo incontro di averci dato modo di portare lo
sguardo sulle esperienze scrittorie mediterranee in una prospettiva
comparativa davvero assai ampia e articolata. E non solo in un’ottica
per così dire etnico-geografica, che peraltro ci ha consentito di veri-
ficare la presenza di significativi aspetti di analogia, ‘trasmissione’ e
imbricazione, ma anche di diversità e décalage, nelle esperienze alfa-
betiche e scrittorie sviluppatesi entro contesti culturali così diversi
tra loro come quelli greci, etruschi, fenicio-punici e iberici.
Ma anche in un’ottica centrata sugli impieghi della scrittura epi-
grafica, consentendoci di coglierne i connotati specifici sia in termini
di diffusione diastratica delle competenze scrittorie, testimoniata da
defixiones, graffiti e ‘dipinti’ vascolari,‘lettere commerciali’, sia anche
in riferimento alla varietà tipologica dei supporti materiali di volta
in volta utilizzati (dalla ceramica alla pietra, dal piombo al bronzo),
nonché ai diversi contesti ‘professionali’ e funzionali in cui trovarono
realizzazione le differenti prassi scrittorie: da quello dei ceramisti e
vasai a quello degli architetti a quello degli emporoi; dai santuari alle
necropoli ai monumenti pubblici.
Quanto alla scelta di circoscrivere al periodo tra VI e IV sec.
a.C. l’orizzonte di riferimento delle relazioni e delle discussioni, essa
trova concrete e cogenti motivazioni, non solo, come sottolinea
Alessandra Inglese nell’Introduzione, in una sorta di ideale continuità
rispetto alla tematica affrontata nel seminario milanese del 1998 sulle
Scritture mediterranee tra il IX e il VII sec. a.C. , ma anche, in primo
luogo, nello stato della documentazione disponibile, che solo per tale
periodo risulta offrire, per quantità e qualità, materia sufficiente per
poterci far cogliere in termini relativamente articolati, e in riferi-
CONCLUSIONI 305

mento al più ampio contesto del Mediterraneo, quegli ‘esiti’ delle


esperienze scrittorie a cui fa riferimento il sottotitolo del Convegno.
Essa, inoltre, ha il merito di farci centrare l’attenzione su quel periodo
cruciale che, nel giudizio di diversi antropologi della scrittura tra cui
l’Eric Havelock di Preface to Plato, avrebbe segnato, almeno nel
mondo greco, proprio a seguito della diffusione diastratica e diatopica
delle competenze e delle pratiche scrittorie, il passaggio dalla “cultura
orale” alla “civiltà della scrittura”. Come ben sottolinea e argomenta
Alessandra Inglese, quelli dal VI al IV sono, in effetti, “i secoli in cui
si definirono tutti quei fenomeni che strutturarono il variegato si-
stema storico-culturale greco e mediterraneo”; fenomeni che “la scrit-
tura epigrafica interseca… e ne amplifica il portato culturale”; i
secoli, inoltre, in cui si definisce, nelle sue modalità, finalità e con-
seguenze, “il saper scrivere”, ma anche, e insieme, “il poter scrivere”.
E tuttavia, proprio in virtù del rapporto sequenziale, e direi con-
sequenziale, che non si può non postulare tra gli esiti di tale processo
di definizione e ‘diffusione’ e le sue fasi più antiche, quelle che ave-
vano visto l’introduzione e le prime forme di utilizzazione della scrit-
tura alfabetica tra VIII e VII sec. a.C., non sarebbe stato forse
inappropriato prevedere anche qui una relazione su tali fasi, pur se
documentate in maniera certo assai più povera e frammentaria. Non
foss’altro al fine di richiamarne alcune significative peculiarità, ad
esempio nel rapporto tra impieghi della scrittura in ambito ‘privato’
e ‘pubblico’, o per sollecitare la riflessione sulle ‘radici’ del complesso
fenomeno del definirsi e affermarsi degli ‘alfabeti locali arcaici’, coi
suoi possibili significati, su cui hanno recentemente richiamato l’at-
tenzione Nino Luraghi (The Local Scripts from Nature to Culture,in
Classical Antiquity 29, 2010) e Alan Johnston (The life and death of
Greek local scripts; not so long durée?, in MEFRA 124,2, 2012).
Al di là di questa chiosa marginale, credo di poter dire che dai
lavori di questo incontro è emerso un quadro estremamente ricco e
variegato del pervasivo diffondersi, seppur con tempi, modi e forme
talora differenziati, dell’impiego e della funzionalità della scrittura
epigrafica nel tessuto sociale e culturale delle civiltà mediterranee,
306 MARIO LOMBARDO

nel periodo cruciale che vide, a seguito dei grandi movimenti di mi-
grazione e insediamento realizzati tra il IX e il VII sec. a .C. da Fenici,
Greci ed Etruschi, cominciare ad emergere e definirsi proprio tra VI
e IV sec. a.C., una ‘civiltà mediterranea’ dai forti aspetti di condivi-
sione, sia sul piano della ‘cultura materiale’ – ad es. nelle forme di
produzione e circolazione della ceramica –, che delle esperienze
socio-economiche –si pensi ad es. alla moneta – e socio-politiche:
basta pensare al riferimento a Cartagine nella discussione sulla ‘città
ideale’ nella Politica di Aristotele. Una civiltà comune, anche se per
molti aspetti ancora ‘plurale’ e variegata, che spetterà poi ai processi,
politici ma anche socio-economici e culturali, sviluppatisi nell’età
ellenistica, condurre alla sostanziale, ancorché bifronte, unità del
Mediterraneo greco-romano.
INDICE

Introduzione ................................................................................. pag. VII


EUGENIO LANZILLOTTA, Ricordo di Mario Luni ............................ » XI
OSCAR MEI, Ricordo di Mario Luni .............................................. » XV
OSCAR MEI, Bibliografia di Mario Luni ......................................... » XXIII
ALESSANDRA INGLESE, La scrittura a Tebe tra VI e V secolo a.C..
Qualche riflessione ................................................................... » 1
FRANCESCA DELL’ORO, Sul lambda “ionico” e il presunto chi “blu”
dell’alfabeto delle lamelle di Styra .............................................. » 17
FRANCESCA BERLINZANI, Due iscrizioni votive dalla Periecia Laco-
nica. Competenze di scrittura in Laconia in età arcaica e classica » 25
CATHERINE DOBIAS-LALOU, Les débuts de l'écriture en Cyrénaïque » 59
GIOVANNI MARGINESU, L’architetto nella Grecia arcaica e classica.
Note sugli aspetti scrittori ......................................................... » 81
TERESA ALFIERI TONINI, Iscrizioni greche nella Caria degli Ecatom-
nidi .......................................................................................... » 95
MADALINA DANA, Les lettres grecques sur plomb et sur tesson: pra-
tiques épigraphiques et savoirs de l'écriture ................................ » 111
MARIA GIULIA AMADASI GUZZO, Errori e sviste in iscrizioni fenicie
e puniche ................................................................................. » 135
ALESSANDRO CAMPUS, Le iscrizioni del Tofet come narrazioni ...... » 151
364 INDICE

GIOVANNI BOFFA, L’alfabeto greco in area iberica fra VI e IV sec. a.C. pag. 169
FABIO COPANI - FEDERICA CORDANO, Esempi di scrittura dalla Si-
cilia sud-orientale ..................................................................... » 195
ALBIO CESARE CASSIO, Le ‘consacrazioni’ di Kollyra (Iscr. Gr. Italia,
Locri, no. 89 = IG XIV 644) .................................................. » 205
ALESSANDRA GOBBI, Sigla astratti e segni alfabetiformi nella Cam-
pania di età arcaica: il caso di Pontecagnano ............................. » 213
GIOVANNA BAGNASCO GIANNI, Iscrizioni senza senso su ‘anfore
tirreniche’ ................................................................................ » 247
PAOLO POCCETTI, Variazioni e instabilità nella prassi di scrittura
delle lingue a contatto con la colonizzazione greca in Italia ......... » 267
MARIO LOMBARDO, Conclusioni ................................................. » 299
Illustrazioni ................................................................................... » 307
Edizioni TORED s.r.l. – 2015

Stampato nel mese di Dicembre 2015 da Casa Editrice Lombardi s.r.l.


00010 Villa Adriana, Tivoli (RM) Via Paterno, 29f

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