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Il suo interesse fisico resta legato a Dio e all'anima perché sono problemi legati all'etica. Nel momento in cui
si parla di problemi cosmo-ontologici, più teoretici, è come se l'aspetto scettico avesse la meglio, perché
diventa più difficile raggiungere il probabilismo. Nonostante sia più difficile, vale la pena affrontare tali
problemi in quanto le cose celesti aiutano a comprendere come le cose terrestri siano piccole e meschine. Se
il fine di Cicerone è aiutare a vivere il momento storico in cui si trova, avere una percezione che la realtà
terrestre è solo una piccola parte, aiuta ad affrontarla.
TEOLOGIA
Non esprime dubbi rispetto all'esistenza di Dio, anche perché tutti i popoli sono concordi, così come rispetto
alla provvidenza, abbracciando la posizione finalistica e ripugnando la posizione meccanicistica epicurea.
La natura di Dio crea invece problemi, ai quali Cicerone da risposte più ambigue che oscillano tra
Il materialismo (stoico)
Lo spiritualismo: considera la natura di Dio come uno spirito indipendente e libero privo di
materia corruttibile. Deve essere un elemento che sente tutto e che muove tutto e che è in
eterno movimento.
PSICOLOGIA
Non dubita dell'immortalità dell'anima, in quanto è la stessa natura che pone in noi questa convinzione: se
ci poniamo il problema di che cosa ci sarà dopo la morte vuol dire che l'anima non muore.
Non dubita dell'esistenza dell'anima: che è il punto di tangenza tra l'uomo e Dio. Senza anima l'uomo non
potrebbe ricordare il passato (memoria), prevedere il futuro (intelligenza) e abbracciare il presente
(pensiero).
Sulla natura dell'anima ci sono le stesse difficoltà che ha avuto nel determinare la natura di Dio.
Il sapiente, secondo Cicerone, deve indagare senza accogliere opinioni avventatamente e ritenere che andrà
bene se in questioni di questo tipo troverà qualcosa di verosimile. La verosimiglianza ciceroniana, che è
frutto di un'impostazione platonica mediata dall'Accademia dello scetticismo positivo e dal pensiero stoico.
Cicerone sostiene che la verosimiglianza sia quanto accademici, peripatetici e stoici hanno presentato, ma
con parole diverse.
CONCLUSIONE
La sua posizione è un eclettismo prudente, perché non prende a caso aspetti delle altre filosofie, ma prende
ciò che è utile e coerente al suo pensiero ed il suo fine. Nasce da un metodico scetticismo, in senso
probabilistico che fa sì che la sua indagine possa essere positiva. L'idea di eclettismo negativo, come un
mero recupero delle filosofie precedenti, parte dall'800, questa posizione ha condizionato la storiografia
filosofica che però ha cambiato completamente posizione. Ancora adesso la filosofia di Cicerone è oggetto di
indagini che cercano di superare il pre-concetto secondo cui senza una perfetta teoresi non si è davanti ad
una novità filosofica. Questo non tiene conto che la speculazione filosofica non è solo astrazione, infatti, è
giunta fino a noi perché aveva molte novità interessanti per gli uomini del I secolo a.C. a Roma.
ETICA
Gli aspetti che riguardavano la gnoseologia, la fisica e la teologia che più interessavano Cicerone erano
quelli che potevano portare a dei risvolti dal punto di vista morale, in quanto riguardavano la vita del
cittadino.
Anche per quanto riguarda l'etica, Cicerone presenta le teorie delle scuole ellenistiche e post ellenistiche per
fare emergere una posizione che si avvicini al vero il più possibile. L'unica scuola a cui si avversa totalmente
è quella epicurea, si dichiara accademico ed ha un ammirazione per la filosofia stoica del suo tempo.
Per capire il punto di riferimento dell'etica ciceroniana bisogna riprendere due concetti:
La tradizione degli antichi: il cosiddetto mos maiorum, che trova la sua traduzione nel campo
del diritto pubblico e della dimensione privata e si fa parametro di riferimento nella
formazione del cittadino.
L'esperienza del passato
CONCETTI CARDINE
HONOS: dimensione politica (cursus honorum), morale e religiosa (honestum).
Questo concetto è la traduzione di timè greco, ovvero il riconoscimento dell'onore di qualcuno. Da
questo concetto deriva onesto, ossia, degno di onore.
Da questo riconoscimento esterno si passa ad indicare ciò che è moralmente buono, Cicerone traduce
il bello morale (in greco) con il termine latino onesto.
Indica la misura del corretto comportamento umano, la norma assoluta della sfera etico-morale, pur
conservando sullo sfondo quel senso di degno riconoscimento che riconduce il principio all'ambito.
DIGNUS: Duplice valenza: Stato e rango sociale indicava chi aveva uno stato sociale di un
certo tipo. Con Cicerone diventa una vera e propria virtù, come se combaciassero l'ambito
politico/civile e quello morale.
AMICITIA: Cicerone che la ritiene frutto della legge naturale. Solo i cittadini migliori sono
in grado di viverla nel pieno dei modi poiché fanno affidamento alle virtù quali la fiducia, la
saldezza morale, l'onestà e la nobiltà d'animo.
Per Cicerone l'amicizia non nasce dal bisogno ma è frutto dell'amore inteso come sentimento naturale,
se l'uomo segue la propria indole non può non vivere di questo sentimento di amicizia nei confronti
degli altri.
IMPEGNO SOCIALE
Questi tre concetti sono fondamentali per capire la dimensione politica di Cicerone, quindi del suo impegno
sociale. Sono due i capisaldi su cui si basa l'impegno sociale di Cicerone:
L'opposizione al non fare politica degli epicurei. La capacità di bastare a se stessi, che
determina il senso della vita epicurea, non va d'accordo con la concezione della vita politica e
sociale che garantisce la vita del singolo propria di Cicerone.
La concezione di Stato: la politica deve garantire lo sviluppo dell'individuo inteso come una
parte della comunità. La Repubblica, secondo Cicerone, è l'espressione del popolo inteso come
un gruppo di persone associate in accordo sull'osservanza del diritto e della comunanza di
interessi.
Dal punto di vista della forma governativa Cicerone fa propria la concezione di una costituzione
mista, già espressa da Platone, Aristotele e Polibio (che passa in esame le tre forme di governo nello
stesso modo di Cicerone che vuole giungere alla conclusione che la costituzione mista garantisce tutte
le esigenze). Cicerone ha chiaro in mente che ci sono degli apporti diversi che i cittadini possono dare.
Nella costituzione mista di Cicerone la concordia ordinum, ovvero l'armonia delle diverse fazioni è
conseguenza del consenso universale degli uomini, l'adesione di tutti i cittadini alle aspettative dei
cittadini migliori.
CICERONE E GLI STOICI
Il pensiero filosofico più in voga a Roma è il pensiero Stoico romano (l'adattamento dello stoicismo allo
spirito pratico romano), che ha una dimensione pratica. Cicerone però si definisce accademico e non stoico
perché quando Cicerone parla della filosofia stoica, si riferisce alla filosofia stoica antica in cui trova dei
limiti.
C'è un aspetto dello stoicismo romano che non va bene a Cicerone, per la dimensione pratica della filsoofia,
il saggio a Roma non è un ideale astratto e si identifica storicamente nella figura di Catone il Censore, che
decide di portare avanti una causa persa in partenza solo perché la ritiene giusta, come se il logos individuale
andasse contro quello cosmico.
Un altro motivo per cui Cicerone non si definisce stoico è quello che risale al concetto di probabilismo: le
tesi stoiche sono condivise da Cicerone ma le ritiene estremiste perché le azioni che condivide sono difficili
da realizzare e quindi non portano ad alcun beneficio.
Un altro principio stoico che non accetta è quello secondo cui solo il sapiente è buono e tutti gli altri viziosi,
va contro questa idea estremista degli stoici, Cicerone crede che bisogna concentrarsi nella vita comune e
non nelle pure aspirazioni.
DE OFFICIIS, Cicerone
Il De Officiis è l'ultimo degli scritti filosofici di Cicerone. Conserviamo le lettere che ha scritto ad ad Attico,
grazie alle quali sappiamo che la stesura è stata molto veloce, risale al 44 a.C. (un anno prima della sua
morte), nel periodo in cui lotta contro Antonio.
È uno scritto diverso dalle altre opere filosofiche di Cicerone:
è un trattato (mentre nelle altre opere sembra riprendere i dialoghi aristotelici).
È un trattato di etica pratica dal tono "precettistico", dedica lo scritto al figlio Marco
riprendendo una tradizione di ammonimenti e insegnamenti dal padre al figlio.
È uno scritto molto discusso dalla critica perché, a differenza di altri scritti ciceroniani curati
fino allo strenuo, c'è un fraseggio non lineare e disordinato con delle ripetizioni. Alcuni
ritengono che quest'opera non abbia nemmeno avuto una revisione finale (per la fretta), altri
ritengono che i conti non tornano perché ci sono state delle interpolazioni dagli studiosi
successivi (uno degli scritti romani più studiati).
Un altro problema è la provenienza dello scritto: Cicerone ci dice che i primi due libri sono
stati presi da testi di Panezio, di cui non ne abbiamo traccia quindi non sappiamo quanto sia
dell'uno e quanto sia dell'altro. Sono tanti i testi di filosofi che conserviamo grazie alle
testimonianze di altri filosofi, in particolare Cicerone che ci ha permesso di conoscere altre
opere e filosofi grazie alle sue menzioni che spesso cita direttamente o in altri casi in maniera
indiretta. È certa l'originalità ciceroniana dell'opera in quanto ci sono chiari riferimenti alla
cultura ed alla situazione sociale romana.
Panezio e Posidonio sono prediletti poiché: calano la riflessione teorica alla situazione della
vita di tutti i giorni, questo affascina Cicerone; inoltre hanno tutti e tre come nemico
l'epicureismo; hanno il carattere di amore della tradizione.
L'esperienza personale di Cicerone trasuda dalle pagine del "De Officiis", egli ha arricchito di
esperienza personale e del proprio giudizio politico le prescrizioni che Panezio, in parte,
attingeva dalla letteratura filosofica.
CONTENUTO DEI TRE LIBRI
LIBRO PRIMO: incentrato sul concetto di dovere, secondo la filosofia stoica (Panezio), segue la
distinzione tra doveri assoluti e non assoluti. Lega questi concetti a quelli propri della cultura civile romana
come quello di giustizia, moralità, liberalità, coraggio e temperanza.
Specifica il concetto di natura, di quanto sia importante seguire la natura per conoscere le passioni da
controllare; se e come vadano seguite le convenzioni; se la saggezza è la prima delle virtù anche la giustizia
deve avere un ruolo fondamentale.
LIBRO SECONDO: riguarda ciò che è conveniente, rispetto a sé stessi (onorabilità e decoro) e rispetto alla
società di cui sono definite le caratteristiche e le modalità di comportamento e relazione.
Vengono definiti i ruoli di gloria e potere per difendere la giustizia.
Specifica come avere il potere politico implica dei benefici che sono ingiusti, quindi spiega cosa significhi
governare lo stato senza mirare a benefici personali.
LIBRO TERZO: il confronto tra ciò che si deve fare (primo libro) e ciò che conviene fare (secondo libro).
Rispetto alla convenienza emerge il concetto di utile, ma nasce il problema della distinzione dell'utilità. Utile
per il singolo o l'utile per lo Stato?
Il saggio è l'unico in cui dovere ed utile coincidono, l'uomo comune invece deve misurarsi con quanto
natura e legge propongono. La legge, dal punto di vista di Cicerone, rispecchia la natura: il diritto romano è
espressione della natura.
CONCLUSIONE: ritorna il tema dell'esempio del maiores (tema della tradizione stoica): alla fiducia e
osservanza dei giuramenti, fa un approfondimento sul piacere: si chiede se sia il piacere a dover guidare
l'uomo saggio nelle sue scelte e se l'averlo ottenuto costituisca un vantaggio o meno. Cicerone sostiene che il
piacere e la moralità non siano conciliabili.
LIBRO PRIMO: DISTINZIONE TRA VITA CONTEMPLATIVA E VITA
ATTIVA
Cicerone ha scritto la maggior parte dei testi filosofici durante la sua fase di vita contemplativa, cioè quando
non aveva impegni politici. La sua vita è come se fosse stata divisa tra momenti di vita attiva e momenti di
vita contemplativa, in cui egli ha sempre cercato di avere come spirito guida il fatto che la vita contemplativa
potesse essere di aiuto agli uomini, in particolare ai migliori, per capire come agire. Il termine "officium"
corrisponde al "compito", alla funzione che ognuno è portato a svolgere, quello che nell'etica aristotelica,
corrisponde alla funzione specifica di ognuno di noi.
Ogni ambito della vita deve fare i conti con quello che Cicerone ritiene essere il compito che l'uomo deve
portare a termine. Questo compito viene legato alla natura umana.
LA NATURA UMANA: La nozione di natura svolge un compito sia descrittivo sia prescrittivo, ossia
indica sia la vita dell'uomo sia le indicazioni.
In Cicerone la distinzione tra corpo e anima è solo sul piano teoretico ma sul piano fisico non è possibile
dividerli perché entrambi fanno riferimento alla natura. Quando parla di natura intende un aspetto della realtà
non bucolico ma etico sociale e politico. Se i nostri modi sono coerenti con la natura possono essere
accettati, altrimenti no. La natura è un criterio che va seguito per decidere il comportamento.
La natura ci ha fornito di quattro tipi di maschere:
Una maschera comune, quella dell'essere razionale, conferita a tutti gli uomini in quanto
partecipano alla ragione.
L'atra maschera è attribuita ai singoli: come nel corpo vediamo caratteristiche diverse tra gli
uomini, allo stesso tempo, nell'anima ci sono caratteristiche diverse, entrambe sono state date
dalla natura
La terza è quella indicata dai tempi e dalle circostanze: il fatto che l'uomo viva in un
determinato momento storico è un attributo dato dalla natura.
La quarta maschera, infine, è la scelta volontaria: è quella che noi stessi scegliamo di
privilegiare, è quella su cui più influisce l'uomo che ha la possibilità, in potenza, di dirigere la
propria volontà che si trasforma, in atto, in una scelta.
Quando Cicerone parla di seguire le regole della natura sta parlando di queste quattro caratteristiche che
riguardano tutto il reale.
Al di là delle vicende instabili, che possono essere costituite dalla fortuna (intesa nella natura non nel "caso
stoico"), è la natura nella sua stabilità, che la fa dire "immortale", a fungere da criterio ultimo.
LA NATURALE SOCIEVOLEZZA DELL'UOMO:
La natura stessa, con la forza della ragione, porta l'uomo ad una forma di socialità comunicativa e sociale.
Assecondare la naturale socievolezza dell'uomo porta con sé la salvaguardia e la protezione degli interessi
dell'essere umano.
È un'esigenza dell'uomo quella di essere fatto per la socialità e di essere di giovamento gli uni agli altri. Se
l'essere umano è naturalmente socievole, la vita migliore è quella associata che coincide con la vita attiva.
A questo punto sembra che la vita attiva sia migliore di quella contemplativa , però mancano delle
considerazioni che fanno capire che Cicerone non risolve così sbrigatamente la soluzione.
CRITERIO ASSIOLOGICO: è la natura stessa ad aver dato all'uomo l'esigenza della capacità di indagare
ed investigare la verità. Cicerone sceglie l'Accademia Probabilistica-Positiva proprio perché è convinto della
possibilità di raggiungere un grado di verità.
Una persona non può dedicarsi sempre alla vita teoretica ma deve dedicarvisi quando non è occupato ai
compiti "necessari", ovvero quelli della vita politica.
CONCEZIONE DI DIO:
STOICISMO: da una parte rimane allineato al dogma panteistico di DIO = COSMO.
SENTIMENTO RELIGIOSO: DIO OPPOSTO ALLA MATERIA; va contro le
istanze materialistiche proprie della fase antica della stoa.
In questo campo, Seneca non riesce a fondare le sue aggiunte dal punto di vista teoretico, o
quantomeno ad esprimerle in modo tematico perché non ha gli strumenti per farlo.
Rimane così entro gli orizzonti del panteismo stoico
IL DIVINO:
Nell'analisi psicologica avanza una nuova teoria in cui Dio assume tratti spirituali e perfino
personali che sporgono al di fuori dell'ontologia stoica.
TRIPARTIZIONE DELL'ANIMA:
L'Anima è divisa in tre parti che sono subordinate all'azione dell'EGEMONICO, la parte dominante
della Psychè.
DUALISMO ANIMA-CORPO: l'anima è incatenata dal corpo; deve liberarsi per raggiungere la
purezza che è la realizzazione dell'uomo
SCOPERTA DELLA COSCIENZA E DELLA VOLONTÀ:
LA COSCIENZA: Mette in primo piano la forza spirituale e morale dell'uomo.
Oltre a Dio, il giudice più implacabile è la nostra coscienza dalla quale nessuno può fuggire.
LA VOLONTÀ: per la prima volta nella storia fa la sua comparsa questo termine, in
latino voluntas, che rompe nettamente con la visione intellettualistica propria della
filosofia ellenica. Anche i pensatori stoici antichi credevano che la moralità dell'azione
fosse determinata dalla conoscenza; Seneca, per primo, introduce una facoltà staccata
dalla conoscenza che determina il corretto agire.
IL SENSO DEL PECCATO:
Questo punto è in netta antitesi con l'ideale del saggio della prima filosofia del portico che credeva
potesse esistere una persona che non si macchiasse del minimo errore sia per quanto riguarda lo
spirito sia il corpo.
Seneca crede invece che sia insito nella struttura dell'uomo il PECCATO, che macchia per sempre
la sua condizione, rendendo irraggiungibile un ideale come quello del saggio. TUTTI GLI UOMINI
SARANNO SEMPRE DEI PECCATORI
UGUAGLIANZA TRA GLI UOMINI:
Il pensatore che più si è avversato alla schiavitù ed alle distinzione sociali è Seneca. La vera nobiltà
non è data dalle proprie origini quanto dalla VIRTÙ.
NOBILTÀ D'ANIMO > NOBILTÀ SOCIALE
La virtù si accontenta dell'UOMO NUDO, non guarda le discendenze di nessuno in quanto queste
sono conseguenza della fortune, inoltre, tutti possiamo vantare antenati nobili o schiavi, cambia solo
la distanza nel tempo.
"COMPORATI CON IL TUO PROSSIMO COME VORRESTI CHE LUI SI COMPORTASSE
CON TE"
" RENDI IL BENE ANCHE A CHI TI FA DEL MALE"
DE PROVVIDENTIA
Testo breve ma molto particolare di Seneca: Il titolo “De Provvidentia” è l’abbreviazione di un
titolo più ampio che, sotto forma di domanda, ci mostra il tema che verrà trattato nell’opera:
“perché capitano le disgrazie a uomini buoni, dal momento che esiste la provvidenza?”.
Questo quesito è caratteristico dell’uomo e presente in tutte le opere di Seneca (passaggio della
“Fedra” in cui lo scandalo per la ragione dell’uomo è rendersi conto dell’ingiustizia secondo cui i
buoni soffrono e i malvagi stanno bene). Il chiedersi se esiste un’entità che si cura dell’uomo, di
fronte alle disgrazie, è una domanda che si ripresenta molto spesso nella letteratura e nella filosofia
in quanto è caratteristica del modo di pensare dell’uomo.
Questo trattato è dedicato a Lucillio, compagno di Seneca anche durante gli ultimi anni della sua
vita.
2. Sospetto di incompiutezza:
Le ultime battute del dialogo possono essere viste come troncate, in realtà la
domanda, riguardo l’uscire dalla vita, ha un valore letterario di provocazione.
- Lattanzio cita il “De Provvidentia” con un passo che a noi non è pervenuto il che fa
pensare a delle mancanze dovute alla tradizione manoscritta.
Contro questa opinione ci sono delle argomentazioni:
- La brevità del trattato, costituito da 6 capitoli.
- In risposta a questa obiezione, Seneca già nel proemio afferma di volersi occupare
solo di una parte del tema. Si presenta come avvocato degli dei che difende da
un’accusa.
- Alla domanda perché accadono disgrazie agli uomini buoni, Seneca risponde che la
sua intenzione è quella di privilegiare una parte del discorso.
- Riguardo al finale tronco, gli studiosi di Seneca hanno dimostrato che questo non è
l’unico dialogo che finisce in questo modo. È un metodo scelto da Seneca per
evidenziare una questione che gli sta a cuore.
La struttura del testo deve quindi tenere conto del fatto che Seneca ha intenzione di concentrarsi
solo su una parte del macro-tema affrontato, ovvero il motivo delle disgrazie agli uomini buoni.
Nel passaggio 3, 1 Seneca elenca i temi di cui vuole parlare , organizzati in maniera non organica.
Quindi, si introducono delle ipotesi ulteriori quando non si hanno spiegazioni intrinseche o dai dati
che abbiamo.
“Dimostrerò come non siano mali quelli che sembrano”: tema di matrice stoica, teoria secondo cui i
beni e i mali sono da considerare solo quelli che riguardano la ragione, tutto il resto (disgrazia,
sofferenza e morte) risulta essere indifferente.
Quello che Lucillio, come tutti, pensa essere una disgrazia, sono in realtà:
I. Un vantaggio per quelli a cui capitano (paradosso)
II. Succede a tutti gli uomini
III. Gli uomini danno il consenso al volere del destino
IV. Il corso degli eventi è predestinato
V. Non bisogna compatire un uomo sventurato e buono perché queste non sono causa di
infelicità in quanto non sono mali ma indifferenti.
STRUTTURA DELL’OPERA:
Seneca non è sistematico come Cicerone e procede, non secondo una logica lineare, ma a spirale,
ritornando sullo stesso tema in modo ciclico, illuminandone nuovi aspetti. I vari passaggi da un
tema all’altro sono infatti difficili da scandire.
Nonostante il procedere ciclico, c’è una struttura e architettura del testo che mostra una regia
presente che sceglie la ripetitività per rendere più evidenti certi passaggi, il che crea squilibri in
quanto in certe parti ci saranno delle mancanze nelle spiegazioni.
In risposta alle domande sull’incompiutezza sembra proprio che tutti i punti programmati da Seneca
vengono svolti, seppure in maniera inusuale. C’è unità anche tra elementi trasversali per il ripetersi
di alcuni punti:
- viene ripresa 7 volte la domanda inziale;
- insistenza sulla distinzione tra ciò che riguarda la ragione e ciò che non la riguarda;
- ripresa più volte del tema del suicidio.
Seneca si concepisce come un predicatore di filosofia con la funzione di liberare l’uomo, il che
spiega il suo modo di procedere da una parte inorganico e dall’altro ripetitivo come se stesse
formulando delle massime che devono imprimersi nella memoria (come Epitteto).
Anche in questo caso Seneca sceglie di svolgere qualche argomento e poi di presentare dei punti
che devono essere trattenuti.
Gli interpreti hanno notato che questa idea di “filosofia in pillole” come una raccolta di pensieri
significativi per la condotta di vita è una concezione coerente con quello che Seneca ha affermato.
Un’apertura a tutto, che comporta il pericolo dell’eclettismo, è la strada per percorrere un sentiero
originale avendo delle guide che non sono modelli costringenti. Pur avendo una concezione di
questo tipo, in Seneca si vede che c’è la preferenza delle massime che sono legate ad una volontà di
procedere con la tutela della filosofia. La sapienza, ormai, ha la funzione di terapia di mali, bisogna
servirsene nonostante la vita sia dominata dal destino, o che sia governata dal caso.
Seneca farà l’avvocato degli dei procedendo in modo binario, con l’accusa e la difesa. La natura
retorico-giuridica del trattato viene confermata dalla terminologia tecnica e dalle partes orationis.
IL SUICIDIO:
Siamo in epoca neroniana, un mondo in cui chi non viene condannato a morte viene condannato al
suicidio, il valore della vita è sceso tantissimo. Seneca riprende la tradizione presente nel pensiero
antico, soprattutto nello stoicismo, secondo cui l’uomo è padrone di se stesso e quindi può
uccidersi. Per Seneca il suicidio è una “porta aperta”, per cui se si arriva ad un livello di fatiche
troppo gravi l’uomo può risolvere il problema togliendosi la vita.
La morte per gli stoici rientra fra gli indifferenti, dato che riguarda il corpo. A questa concezione
collega il fatto che l’universo è caratterizzato da dei cicli, ci sarà la conflagrazione universale in cui
tutto finisce, dopo questa tutto tornerà a ricostituirsi nello stesso modo di prima.
Seneca, dal lato della prospettiva esistenziale, presenta delle annotazioni importanti circa il tempo e
il senso della vita però emergono anche altre tematiche che permettono di dire altre cose, in
contraddizione con le prime. In particolare tramite teorie medio-platoniche che emergono senza
riferimenti espliciti in quanto rimaniamo entro gli orizzonti dello stoicismo, scuola che nega la
seconda navigazione e quindi ogni tipo di trascendenza.
Se si accetta il destino si deve dare consenso a tutto ciò che vuole il destino e quindi alla morte
voluta dal destino.
Nelle “Lettere a Lucillio” emerge la considerazione di Seneca circa il senso della vita: “La vita è
una commedia: non importa quanto sia lunga, ma se venga rappresentata bene, non importa dive
finirai di vivere. Finisci dove vuoi, soltanto cerca di finire bene” L’uomo è preda di questa realtà e
paragona la vita ad una commedia in cui la cosa importante è fare ciò che vuole la regia (la
provvidenza) in cui il soggetto deve seguire la parte assegnatagli.
L’idea del suicidio, in Seneca, è vista come una scelta di libertà (“uscire quando si vuole”). Nello
stoicismo l’idea di affrontare le prove va contro l’autoconservazione, una realizzazione da tutti i
punti di vista (anche quella del corpo).
RIFERIMENTO ALLA CITTÀ DI DIO: Agostino vede una contraddizione in questa concezione
stoica tra il negare che le cose corporee siano male e poi ammettere il suicidio.