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La camera 11

Guy de Maupassant

- Come! Non sapete perché è stato trasferito il primo presidente Amandon?


- No, non ne so nulla

- Neppure lui, del resto, l’ha mai saputo. Ma è una storia tra la più strane.

- Raccontatemela.

- Ricordate certo Madame Amandon, quella graziosa brunetta magrolina, così fine e distinta, che
per tutto Perthuis le-Long chiamavano Madame Marguerite.

- Si, perfettamente.

Ascoltate allora. Ricordate anche com’era rispettata, considerata, amata più di chiunque in questa
città; sapeva ricevere, organizzare una festa o un’opera di beneficenza, trovare denaro per i poveri
e far divertire la gioventù in mille modi.

Era tuttavia molto elegante e molto civettuola, ma di una civetteria platonica e di una incantevole
eleganza di provincia, perché era una provinciale, quella donnina, una provinciale squisita.

I signori scrittori, parigini dal primo all’ultimo, ci cantano la parigina dal primo all’ultimo su tutti i
toni, perché non conoscono che lei, ma quanto a me, dichiaro che la provinciale, quando è di
qualità superiore, vale cento volte di più.

La provinciale fine ha un modo di fare tutto suo, più discreto di quello della parigina, più umile, che
non promette molto e, quando le togli i suoi orpelli, non dà niente.

La parigina è il trionfo sfrontato del falso. La provinciale è la modestia del vero.

Una provincialetta scaltra, con quella sua aria di borghese accorta, il candore ingannevole di una
collegiale, il sorriso che non dice niente, e le sue brave passioncelle, prudenti ma tenaci, deve far
uso di furberie, duttilità, inventiva femminile, assai più di tutte le parigine messe insieme, quando
voglia riuscire a soddisfare i propri gusti o i propri vizi senza destare nessun sospetto, nessun
pettegolezzo, nessuno scandalo nella piccola città che la spia con tutti i suoi occhi e da tutte le sue
finestre.

A questa specie rara, ma leggiadra, apparteneva Madame Amandon. Di lei, non aveva mai
sospettato nessuno, nessuno avrebbe mai pensato che la sua vita non fosse limpida come i suoi
occhi, due occhi marroni, trasparenti e caldi, ma così onesti – vattene a fidare!

Questa, dunque, aveva un suo mirabile trucco, genialmente trovato, di una ingegnosità
meravigliosa e d’incredibile semplicità.

Si sceglieva tutti gli amanti nell’esercito, e li conservava per tre anni, il tempo della loro
permanenza nella guarnigione. – Ecco tutto. – Non appagava il cuore, ma i sensi.
Appena a Perthuis le-Long arrivava un nuovo reggimento, si affrettava a prendere informazioni su
tutti gli ufficiali tra i trenta e i quarant’anni – perché prima dei trenta un uomo non sa essere
discreto, dopo i quaranta diventa spesso fiacco.

Oh! Conosceva i quadri meglio del colonnello. Sapeva tutto, tutto, le abitudini intime, l’istruzione,
l’educazione, le qualità fisiche, la resistenza alla fatica, il carattere paziente o violento, il
patrimonio, la tendenza al risparmio o alla prodigalità. Poi faceva la scelta. Sceglieva di preferenza
uomini dall’aspetto calmo, com’era lei, ma li voleva belli. Voleva pure che non avessero avuto
nessuna relazione nota, nessuna passione che avesse lasciato tracce o suscitato pettegolezzi.
Perché l’uomo di cui vengono citati gli amori non è mai un uomo discreto.

Individuato colui che l’avrebbe amata per i tre anni di permanenza regolamentare, non le restava
che farglielo capire.

Quante donne si sarebbero trovate in imbarazzo, avrebbero scelto i mezzi consueti, le vie seguite
da tutte, si sarebbero fatta fare la corte fermandosi a tutte le tappe della conquista e della
resistenza, lasciandosi un giorno baciare le dita, l’indomani il polso, il giorno seguente la guancia, e
poi la bocca, e poi il resto!

Madame Amandon aveva un sistema più pronto, più discreto e più sicuro. Dava un ballo.

L’ufficiale prescelto invitava a ballare la padrona di casa. Bene: trascinata dal movimento rapido
del valzer, stordita dall’ebbrezza della danza, si stringeva contro di lui come per darsi, gli premeva
la mano con una stretta nervosa e continua.

Se quello non capiva, era soltanto uno sciocco, e lei passava al seguente, al secondo classificato
nella lista dei suoi desideri.

Se capiva era cosa fatta, senza chiasso, senza galanterie compromettenti, senza visite numerose,

Cosa c’è di più semplice e di più pratico?

Tutte le donne dovrebbero usare un sistema simile per farci capire che ci preferiscono. Quante
difficoltà, esitazioni, parole, maneggi, inquietudini, turbamenti, malintesi, verrebbero così
risparmiati! Quanto spesso passiamo accanto ad una possibile felicità, senza immaginarcelo,
perché chi può indovinare i pensieri misteriosi, gli abbandoni segreti della volontà, i muti richiami
della carne, tutto l’ignoto dell’anima di una donna la cui bocca rimane silenziosa, l’occhio
impenetrabile e limpido?

Il prescelto, appena aveva compreso, le chiedeva un appuntamento. E lei lo faceva aspettare un


mese o sei settimane, per spiarlo, conoscerlo, e mettersi in guardia contro un eventuale difetto
pericoloso.

Intanto quello si stillava il cervello per sapere dove potersi incontrare senza rischio, immaginando
combinazioni difficili e poco sicure.

Poi, durante qualche festa ufficiale, lei gli diceva sottovoce:

- Martedì sera alle nove, andate all’albergo del Cheval d’Or, vicino ai bastioni, in route de Vouziers,
e domandate di Mademoiselle Clarisse. Sarò lì ad aspettarvi; soprattutto vestitevi in borghese.
Già da otto anni aveva infatti una camera mobiliata in quell’albergo sconosciuto e la pagava
annualmente. Era stata un’idea del suo primo amante e lei, trovandola pratica, partito l’uomo,
conservò il nido.

Oh! Un nido mediocre, quattro pareti tappezzate di carta grigio chiaro a fiori azzurri, un letto di
abete con cortine di cotonina, una poltrona acquistata per ordine di lei dall’albergatore, pochi
accessori necessari per la toilette. Che occorreva di più?

Appesi alle pareti, tre grandi fotografie. Tre colonnelli a cavallo, i colonnelli dei suoi amanti!
Perché? Non potendo conservarne la vera immagine, il ricordo diretto, aveva forse voluto
serbarne in tal modo il ricordo di rimbalzo?

Non era mai stata riconosciuta da nessuno, direte, in tutte le visite che faceva al Cheval d’Or?

Mai! Da nessuno!

Il sistema usato da lei era mirabile e semplice. Aveva immaginato e organizzato cicli di riunioni a
scopi benefici e religiosi a cui si recava spesso, pur assentandosi di tanto in tanto. Il marito, a
conoscenza di quelle opere pie, che gli costavano molto denaro, viveva senza sospetti.

Dunque, una volta fissato l’appuntamento, la signora diceva durante il pranzo, in presenza dei
domestici: - Questa sera vado all’Associazione delle panciere di flanella per vecchi paralitici.

E, uscita verso le otto, si recava all’Associazione, ne riusciva immediatamente, passava per diverse
vie e, appena si trovava sola in qualche vicolo, in un angolo oscuro e privo di lampade, si toglieva il
cappello, lo sostituiva con una cuffia da domestica portata sotto la mantellina, spiegava un
grembiule bianco nascosto allo stesso modo, se lo annodava attorno alla vita, e portando in un
tovagliolo il cappellino e il mantello che poc’anzi le copriva le spalle, trotterellava ardita, da brava
camerierina in giro per commissioni; anzi a volte correva come se avesse una gran fretta.

Chi avrebbe potuto riconoscere in quella servetta snella e vispa la moglie del primo presidente
Amandon?

Arrivata al Cheval d’Or, saliva nella sua camera di cui aveva la chiave; e il grosso padrone
dell’albergo, Monsieur Trouveau, vedendola passare davanti alla cassa, mormorava:

- Ecco qua Mademoiselle Clarisse che corre dal suo amore.

Aveva ben indovinato qualcosa, quel furbacchione, ma non cercava di saperne di più, e fu
certamente assai sorpreso quando venne a sapere che la sua cliente era Madame Amandon,
Madame Margeruite, come dicevano a Perthuis le-Long.

Ora ecco come avvenne l’orribile scoperta.

Mademoiselle Clarisse non si recava mai ai suoi appuntamenti due sere di seguito, essendo troppo
furba e prudente per farlo. Monsieur Trouveau lo sapeva benissimo perché, in otto anni, non
l’aveva mai veduta arrivare l’indomani di una visita. Anzi spesso, nei giorni di maggiore
affollamento, aveva disposto della camera per una notte.

Bene, durante l’estate scorsa, il primo presidente Amandon si assentò per una settimana. Era
luglio; la signora si sentiva più ardente che mai, e, non potendo temere alcuna sorpresa, un
martedì sera, nel salutare l’amante, il bel comandante Varangelles, gli chiese se voleva rivederla
l’indomani.
– E come no? – rispose il comandante.

Si accordarono per ritrovarsi il mercoledì alla solita ora. Gli disse a bassa voce:

- Tesoro, se arrivi prima di me, aspettami a letto.

Ancora un abbraccio e si separarono.

Ma l’indomani, verso le dieci di mattina, Trouveau, mentre leggeva le “Tablettes de Perthuis”,


organo repubblicano della città, gridò alla moglie che stava spennando un pollo in cortile:

- Ecco che torna il colera. Ieri ne è morto un uomo a Vauvigny.

Poi non ci pensò più: l’albergo era pieno di gente e gli affari andavano bene.

Verso mezzogiorno, si presentò a piedi un viaggiatore, una specie di turista, che si fece servire una
buona colazione, dopo di aver preso due assenzi. E, siccome faceva un gran caldo, bevve un litro di
vino e almeno due litri d’acqua.

Prese poi il suo caffè e il relativo bicchierino, o forse tre bicchierini. Poi, sentendosi un po’ greve,
chiese una camera per dormire un’ora o due. Ne rimaneva libera una sola e il padrone, consultata
la moglie, gli diede quella di Mademoiselle Clarisse.

L’uomo vi entrò; poi verso le cinque, non vedendolo ancora uscire, il padrone andò a svegliarlo.

Con suo grande stupore, lo trovò morto!

L’albergatore scese dalla moglie: - Di’ un po’, il turista che avevo messo nella camera undici, credo
proprio sia morto.

La donna alzò le braccia.

– Impossibile! Signore Iddio. Sarà colera?

Trouveau scosse la testa:

- Direi piuttosto confusione cerebrale, visto che è nero come la feccia del vino.

Ma la moglie sgomenta ripeteva:

- Non starlo a dire, non starlo a dire, crederebbero tutti al colera. Va a fare le dichiarazioni che devi
fare e non dire altro. Lo faremo portar via di notte per non essere visti. Occhio non vede, cuore
non duole.

L’uomo mormorò:

- Mademoiselle Clarisse è venuta ieri, stasera la camera è libera. E andò a chiamare il medico che
constatò la morte dovuta a congestione dopo un pasto copioso. Poi si mise d’accordo col
commissario di polizia per trasportare il cadavere verso mezzanotte, in modo che nell’albergo
nessuno sospettasse di niente.

Erano appena le nove, quando Madame Amandon penetrò furtivamente nella scala del Cheval
d’Or, questa volta senza essere vista da nessuno. Raggiunse la sua camera, aprì la porta, entrò. Sul
caminetto ardeva una candela. Si volse verso il letto. Il comandante era coricato, pensò; ma aveva
chiuso le cortine.
Gridò:

- Un minuto, amore, sono pronta.

E si spogliò con furia febbrile, gettando gli stivaletti per terra e il busto sulla poltrona. Poi,
lasciando cadere a cerchio intorno a sé il vestito nero e le sottane slacciate, ne emerse in camicia
di seta rossa, come un fiore sbocciato in quel momento.

Poiché il comandante non le aveva ancora detto una parola, gli domandò:

- Stai dormendo, bello mio?

Non ebbe risposta, e si mise a ridere mormorando:

- Guarda un po’; dorme! E’ troppo buffo!

Si era lasciate le calze, calze di seta nera traforate, e , saltata sul letto, vi s’infilò in tutta fretta,
afferrando, afferrando tra le braccia e baciando con foga, per destarlo all’improvviso, … il cadavere
gelido del viaggiatore!

Per un secondo, rimase immobile, troppo sgomenta per comprendere qualsiasi cosa. Ma il freddo
di quella carne inerte fece penetrare nella sua carne uno spavento atroce e indipendente dalla
ragione, prima che la sua mente avesse potuto cominciare a riflettere.

Fremendo dalla testa ai piedi, balzò fuori dal letto; poi, afferrata dal caminetto la candela, tornò e
osò guardare! Vide una faccia spaventosa che non conosceva, nera, gonfia, con gli occhi chiusi, la
mascella contratta da un’orribile smorfia.

Lanciò un grido, uno di quei gridi acuti e interminabili che sfuggono alle donne quando
impazziscono dal terrore, e, lasciando cadere la candela, aprì la porta, fuggì, nuda, continuando a
urlare in modo spaventoso.

Un commesso viaggiatore che occupava la camera numero quattro, uscì a precipizio, in calzini, e
l’accolse tra le braccia.

Domandò spaventato.

– Che succede, bella bambina?

Balbettò smarrita:

- Hanno … hanno … ammazzato qualcuno … nella mia camera …

Altri viaggiatori uscirono dalle stanze, accorse anche il padrone.

E d’un tratto, in fondo al corridoio, comparve l’alta figura del comandante.

Non appena lo scorse, la donna gli si gettò tra le braccia gridando:

- Salvami Gontran, salvami … Hanno ammazzato qualcuno nella nostra camera.

Fu difficile spiegare l’accaduto. Tuttavia Monsieur Trouveau raccontò la verità, chiedendo che
fosse immediatamente rilasciata Mademoiselle Clarisse, di cui rispondeva sulla propria testa. Ma il
commesso viaggiatore in calzini, esaminando il cadavere, decise che si trattava di un delitto, e
convinse gli altri viaggiatori a impedire che fossero lasciati uscire Mademoiselle Clarisse e il suo
amante.

Dovettero aspettare l’arrivo del commissario di polizia, che li rimise in libertà, ma che non fu
discreto.

Un mese dopo il primo presidente Amandon ricevette una promozione con una nuova sede.
9 dicembre 1884

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