Sei sulla pagina 1di 27

Jorge Jimenez -Teoria dell'arte

Teoria dell’arte estetica Josè Jiménez

Capitolo 1 –L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte

Che cos’è quest’oggetto? Se volessimo dare una risposta dal punto di vista
culturalista diremmo “La Gioconda di Leonardo da Vinci”, invece da un punto
di vista minimo avremmo detto “un dipinto. L’immagine è una riproduzione
fotografica, non è l’opera, ma una sua riproduzione fedele all’originale, ma che
al tempo stesso altera le caratteristiche del supporto originale, ne distorce gli
elementi. L’opera era percepita come espressione di sguardo ipnotizzatore e
sorriso enigmatico (eterno femminèo). Ma come mai questa immagine ci
risulta tanto familiare? La risposta va cercata nel furto del quadro di Leonardo
dal Louvre di Parigi, nell’agosto 1911. Nel periodo della gestazione della Prima
Guerra Mondiale, tale furto provocò una vera e propria isteria nazionalista,
così le riviste che si occuparono della sparizione dell’opera la riprodussero
massicciamente, talmente tanto da renderla famosa e a far si che molte
cantanti furono fotografate nella stessa posa della Mona Lisa. Fu associata in
seguito alle cartoline postali come novità assoluta. A questo punto l’opera
perde il suo alone di rispettabilità: viene rappresentata con la gonna corta o in
tono meramente satirico. Nel 1914 l’opera fu finalmente recuperata, tolta dal
possesso di un meccanico italiano che voleva “restituirla al patrimonio
italiano”. In un paio di cartoline viene rappresentato Leonardo che porta il
quadro-donna, uno con lo sfondo di Parigi, l’altra con quello di Milano. Inizierà
a questo punto la circolazione massiccia dell’immagine, che inizia a farsi
globale. L’opera d’arte si introduceva dunque nella catena della
comunicazione di massa. Kasimir Malevic nel 1914 realizza un pezzo in cui
incolla un ritaglio di giornale raffigurante la Mona Lisa doppiamente barrata, e
su scrive “eclisse parziale”. L’autore alludeva per certo al tramonto della
tradizione. Marcel Duchamp realizzò, nel 1919, un intervento sulla Mona Lisa
(baffi e scritta L.H.O.O.Q). Il lavoro era improntato sull’humor e l’ironia. Si
potrebbe definire arte? Non è un’opera d’arte nel senso abituale del termine,
poiché manca il dato della realizzazione e della produzione in senso fisico. Si
parla dunque di ready-made (lavoro già svolto). Secondo Andrè Breton, i
ready-made sono manufatti promossi a dignità di oggetti d’arte grazie alla
scelta dell’artista. Tuttavia l’intenzione di Duchamp andava per il senso
opposto, non credendo alla “funzione creatrice” dell’artista. Per Duchamp la
sua opera era solo un assemblaggio di materiali già dati (la scritta L.H.O.O.Q.
caricava l’immagine di un forte erotismo). Grazie alla psicanalisi di Freud
trasforma un’immagine femminile in androgina, che alludeva all’omosessualità
di Leonardo. Nel 1910 Freud studiò un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci,
cercando di interpretare mediante il sistema psicoanalitico le sue opere, al fine
di confermare definitivamente l’omosessualità dell’autore. Ecco dunque che
facciamo una distinzione tra opera d’arte e ready-made: L’opera d’arte implica
un fare, viene annullata nella sua funzione utilitaristica; I ready-made sono
invece appropriazione di un’idea . Grazie ad Andy Warhol l’immagine si
sdoppia, si frammenta, si distorce. L’arte sperimenta un’osmosi totale con il
design, la pubblicità ed i mezzi di comunicazione. L’arte è sempre stata alla
portata dei più potenti, tuttavia la riproduzione ci mette a disposizione di tutti
l’immagine delle opere. L’arte va via via trasformandosi ed entra a far parte
della catena generalizzata di consumo, deve farsi notare, attirare attenzione.
Ad esempio Von Hagens, grande anatomista tedesco, propose un’esposizione
di corpi umani in Germania. Tali corpi erano stati sottoposti alla
“plastificazione”, nuovo metodo di trattamento mediante composti biologici.
Potrebbe definirsi arte? No, ma questa veniva estrapolata dal segreto
professionale per divenire fruibile a tutti. Inoltre il dottore sfrutta l’immagine di
un’artista per aumentare l’effetto mediatico. Dunque non solo
rappresentazione (studio anatomico del corpo) ma corpi vivi.

Nel 1997, tra settembre e dicembre, avvenne a Londra una mostra di artisti
britannici , sotto il nome di sensations. Tra gli artisti che vi parteciparono vi fu
Hirst, che presentò delle installazioni di corpi animali disseccati e trattati
chimicamente, infine sospesi nel formolo. E’ arte? Ciò che è stato inteso per
arte durante tutta la storia della nostra cultura è variabile. Ogni epoca, ogni
situazione specifica di una cultura, ha inteso come arte ambiti molto diversi tra
loro. L’opinione comune continua a considerare arte i generi e le discipline
classiche, ovvero pittura, scultura, architettura. Tuttavia la proliferazione di
procedimenti di produzione di immagini tipica del nostro secolo (fotografia,
disegno, pubblicità), ha trasformato profondamente questa situazione.
L’artista Piero Manzoni, artista concettuale, promuoverà la valorizzazione delle
opere d’arte in funzione del prezzo commerciale dato dalla firma dell’artista.
Come mai, tornando al discorso di prima, l’uomo si sente attratto dal corpo
animale, vivo o morto che sia? La risposta ce la da il grande filosofo
Nietzsche, quando parla dell’animale racchiuso in ognuno di noi. Praticamente
in tutte le culture le figure animali rappresentano simbolicamente emozioni,
sentimenti umani. Troviamo dunque la volontà di eliminare la differenza tra
realtà e rappresentazione. L’arte moderna nasce dalla “formazione” di un
“nuovo spettatore”, è caratterizzata dal fatto di non possedere un codice
unico, omogeneo. Questa presuppone una pluralità nella rappresentazione.
L’arte andrà via via acquisendo uno status di piena libertà espressiva. Il
grande filosofo Dino Formaggio affermerà che l’arte è tutto ciò che gli uomini
chiamano arte, aprendo la categoria “arte”.
Capitolo 2. “L’invenzione dell’arte”

Parte 1 - Il termine “Tèchne”

Ciò che noi chiamiamo “arte” fa la sua comparsa nell’antica Grecia, laddove il
nostro universo culturale ci conduce. Negli ultimi due secoli l’arte è stata
definita come manifestazioni estetiche di culture umane notevolmente diverse
tra loro. Tuttavia qui sorge un equivoco, l’idea d’arte come qualcosa di
universale, di eterno. Ciò che è universale è la dimensione estetica. L’arte è
una convenzione culturale che dipende dai cambiamenti degli ambienti
culturali in cui è iscritta. La parola “arte” deriva dal latino ars e dal greco
tèchne, che implica un’abilità empirica, tanto mentale quanto manuale,
tecniche o attività professionali o scientifiche. Nell’Ellade del VI secolo si
designava come tèchne l’acquisizione pratica di conoscenze. Secondo
Aristotele, la tèchne rappresentava la fusione di pensiero e produzione
(mentre gli animali vivono con immagini sensibili e con ricordi, il genere
umano dispone della tèchne e del ragionamento. Nel V secolo, culmine della
classicità, veniva distinto un gruppo speciale, tèchne mimetikè (da mimesis :
imitazione, rappresentazione. Dunque specializzati nella produzione di
immagini)

Parte 2 – La cultura greca e degli ideali omerici

Ettore che va incontro al suo destino, rappresenta la gloria. L’Illiade e


l’Odissea sono poemi portatori di ideali che costituiscono la radice più
profonda della cultura greca. L’aedo, poeta arcaico, fissa nella memoria le
gesta e le imprese degli uomini e degli dei utilizzando la parola poetica.
Secondo i valori del X e IX secolo, si rappresenta una società guerriera ed
eroica, dove l’eroe deve mostrare la sua potenza virile e la sua intelligenza
pratica (Achille ed Ettore possiedono l’aretè; Odisseo, uomo ricco d’astuzie,
possiede la metis). Aretè : virtù collettiva che apre un orizzonte morale, in cui
un insieme di individui differenti si sentono parte di una medesima unità. Nel
periodo miceneo, invece, rappresenta un sistema

incentrato sulla figura del “re divino” e sulla corte. Gli eroi erano sempre
figure aristocratiche (da “aristoi”, “i migliori”) Nel mondo greco antico, aretè
designava costruire relazioni collettive di uguaglianza, rispettando le
differenze. Nell’ambito della polis,l’aretè era vista come virtù pubblica. Per
quanto riguarda invece l’aretè del guerriero , corrisponde all’esistenza come
lotta continua, in cui il termine agòn è l’espressione suprema di un sistema di
valori in cui l’onore era la massima virtù. La perdita di tale onore comporta la
vergogna, sciagura più intollerabile per un uomo. Dunque ecco che troviamo
aretè ed agòn complementari, che danno vita alla paideìa, ovvero la
“formazione dell’individuo”, cammino sia fisico che morale per ricercare la
perfezione.

Parte 3 – Memoria, verità e poesia

A quei tempi la parola non ha raggiunto ancora una propria autonomia, una
sua specificità, e viene considerata come una potenza religiosa che agisce in
virtù di un’efficacia sua propria. La parola poetica è solidale con due figure
mitiche: la musa e la memoria, nel cui intreccio di corrispondenze trova spazio
l’Alètheia, ovvero la verità. L’aedo, antico poeta, è come l’indovino e il
sacerdote, un personaggio divino al quale la musa ha dato il dono della parola
poetica. Egli è portavoce di “ciò che sarà e ciò che fu”,venendosi a creare un
parallelismo tra poeta ed indovino (cecità fisica in cambio della veggenza.
“poeta veggente”).

Parte 4 – Dal mito al lògos, dal rituale all’immagine

Nel VIII-VII secolo a.C inizierà un processo sociale e politico che presupporrà
un’autentica rivoluzione culturale: la nascita della polìs (città stato); lo
sviluppo dell’agricoltura; la crescita demografica; il progresso della
produzione artigianale; la magistratura, le leggi pubbliche fissate per iscritto.
Questo insieme di fenomeni viene a convergere in un periodo nel quale si
registra un processo di laicizzazione delle forme del pensiero. In questo
periodo la parola scritta viene diffusa a tutti grazie all’alfabeto mutato dai
Fenici nel corso del IX secolo, “non essendo più competenza di una classe di
scribi, ma l’elemento di una cultura comune”. Nel V secolo apparirà il termine
mìmesis, che nel significato principale rimanda alla rappresentazione
attraverso la danza. Il termine deriva principalmente da mimò, che designa sia
una recitazione, sia una rappresentazione drammatica. Secondo Platone e
Aristotele, l’universo delle mìmesis può limitatamente applicarsi all’universo
della poesia (nei suoi distinti generi, quali musica e danza) e delle arti visive.
Tale termine esprime l’idea di “rappresentazione”, cioè l’idea di produzione di
immagini. I Latini tradussero mìmesis con imitatio. Il termine “eidolon”, in
questo periodo, è collegato con la manifestazione e la rappresentazione
dell’invisibile, quindi associato anche all’idea di evocazione dei defunti. Il
dominio della parola, del linguaggio, aveva smesso di essere un dono degli dei
per convertirsi in una tèchne, abilità che si poteva imparare.

Parte 5 – L’autonomia della rappresentazione

In Platone ed in Aristotele si era già cristallizzato in forma teorica questo lungo


processo culturale, in cui la rappresentazione passò dall’inclusione in un
contesto eminentemente simbolico, all’acquisizione di un valore per se stessa
, cioè di un’autonomia formale. Emergono due condizioni: l’emancipazione del
simbolo dal rituale e la trasposizione dell’immagine ad un contesto civile,
laico. Verso il V secolo, con il fiorire dell’epoca classica, tutti i procedimenti
architettonici e scultorei puntavano prima di tutto ad un obiettivo mimetico. La
tèchne si mette al servizio del simulacro, dell’apparenza, dell’immagine: “la
scultura dei frontoni nei templi”.

La tragedia e la commedia sono due dei grandi generi poetici che


caratterizzano il periodo classico, che Aristotele fa risalire a pratiche rituali
specifiche a partire dalla mediazione della poesia arcaica, dell’epica, vera fonte
di entrambe. Come ci segnala lo stesso Aristotele, hanno entrambe origine
con i canti corali di carattere cerimoniale in onore di Dioniso. Venivano infatti
rappresentate durante le baccanidi e le dionisiache, feste religiose molto
sentite nel mondo greco. Da queste origini rituali e attraverso la mediazione
dell’epica arcaica, la tragedia e la commedia si convertono in generi poetici
autonomi, dunque in paideìa (formazione dell’individuo). La cosa più
importante è che, nel V secolo, il mondo greco entra definitivamente nel regno
dell’immagine, dell’apprezzamento e della valorizzazione pubblica, civile della
forma in quanto forma. La scelta della figura umana (antropomorfismo)pone in
risalto la rilevanza del corpo e dello spirito umano, dell’uomo come misura
delle cose. In secondo luogo, l’arte greca anche nelle sue proposte più
naturalistiche, cercherà sempre la tipicità, la rappresentazione di “tipi ideali”,
costruita selettivamente a partire dai materiali individuali che servono
all’artista come modello o riferimento: gli esseri umani in carne ed ossa, la
vita, la natura.

Parte 6 – L’universo dell’immagine

Il consolidarsi del valore culturale dell’immagine in quanto tale ebbe come


correlato l’affermazione di un nuovo modello sociale, quello degli specialisti
della mimesi, che comprendeva tutti color che possedevano una tèchne
mimetikè. Appare dunque rilevante come vi siano diversi generi di tèchne,
inseriti in contesti quali la pittura, la scultura, la musica, la danza, l’arte bellica,
il governare, etc. I Sofisti non solo collegarono la mimesis con il piacere, ma
anche con un tipo di piacere speciale, mettendo in rilievo il ruolo della vista e
dell’udito come “sensi nobili”. Tra il V ed il IV secolo, appaiono rilevanti le
formulazioni di Gorgia nell’ambito delle tèchne mimetikè, ma soprattutto mette
in rilievo la forza della parola: “La parola è un possente signore, che con corpo
piccolissimo e affatto invisibile compie azioni veramente divine: può infatti far
cessare il timore, togliere il dolore, produrre la gioia e accrescere la
compassione. Se la retorica e la poesia eccitano l’animo attraverso la parola,
la pittura e la scultura procurano un piacere alla vista grazie alla perfezione
formale. Ecco dunque che assistiamo all’invenzione dell’arte.

Capitolo 3 – Le trasformazioni storiche

Parte 1 – Ut pictura poesis

Esiste un legame tra l’invenzione dell’arte in Grecia antica e la nostra idea


moderna di “arte”. Tale legame è ricco di discontinuità e rotture. Ciò che noi
chiamiamo “arte” proviene, attraverso tutta una serie di trasformazioni, dal
concetto greco di tèchne, che i latini tradussero con ars. Tuttavia quella che
noi oggi chiamiamo “arte” è un prodotto specifico dei tempi moderni, dato che
si cristallizza, sia sul piano delle idee che su quello istituzionale, durante un
processo che va dal ‘400 italiano fino al XVIII secolo in tutta Europa. Dalla
distinzione tra utile e dilettevole si passa alla distinzione tra le tèchnai
“intellettuali” e quelle “artigiane e manuali”. I Latini usavano fare questa
distinzione adottando i termini “artes liberales” ed “artes vulgares” (che allude
all’avversione che i Greci nutrivano per il lavoro fisico, che affatica il corpo e
non viene classificato come “nobile”). Tutto ciò implica una gerarchia tra le
discipline della conoscenza e delle attività manuali. L’arte diviene in questo
periodo una merce e fece il suo ingresso nella piazza del mercato, grazie
anche alla comparsa di nuove figure: il mecenate privato ed il collezionista
(che venivano attratti dalle qualità che rendevano gli oggetti belli ed
interessanti).

L’Alto Medioevo ereditò dalla tarda Antichità la classificazione delle sette arti
liberali che servì non solo come classificazione generale del sapere umano,
ma anche come curriculum per le scuole monastiche delle cattedrali fino
all’inizio del XII secolo. Le sette arti liberali, nel loro ordine progressivo erano:
la grammatica, la retorica, la dialettica, l’aritmetica, la geometria, l’astronomia
e la musica. Il teologo e filosofo Ugo di San Vittore (1096-1141) fu
probabilmente il primo a formulare uno schema delle sette arti meccaniche,
corrispondenti alle sette arti liberali. Tale schema influenzerà moltissimo autori
importanti del periodo successivo. Tali arti meccaniche erano: lanificium (che
forniva agli uomini alloggi ed attrezzi), armatura (che comprendeva
l’architettura), navigatio, agricoltura, venatio (queste ultime due offrivano
sostentamento), medicina e theatrica (o arte dell’intrattenimento, strettamente
medioevale).

Parte 2 – Il sistema moderno delle arti

Il crescente sviluppo del commercio unitamente al progresso delle città


europee, favorirono una maggiore domanda sociale di opere di pittori e
scultori, facendo si che presto la pittura verrà integrata tra le arti liberali.Leon
Battista Alberti, nel suo trattato De Pictura (1435), elogia la pittura e pone in
rilievo le diverse conoscenze teoriche che richiede la sua pratica, ponendola
non solo tra le arti liberali, ma definendola “maestra delle arti”. Furono tre i
trattati scritti da Alberti: De Pictura; De Statua; De Re Aedificatoria. In questi
ultimi l’autore recupera una delle categorie estetiche centrali per l’Antichità: il
bello. Nel De Pictura (articolato in tre libri) i riferimenti alla bellezza sono
ancora vaghi, anche se appaiono alcune impostazioni degne di nota. Nel
secondo libro, parlando della composizione di superfici, Alberti segnala la
ricerca della grazia e della bellezza. Nel terzo libro infine si dice che la ricerca
della bellezza nella pittura deve essere guidata da un uso selettivo
dell’imitazione (la mimesis) della natura. Platone sosteneva che “le cose belle
sono difficili”, a sua volta Alberti riconosceva tale difficoltà nella bellezza, che
la rendeva inaccessibile agli ignoranti. Nel trattato sull’architettura, Alberti
precisa meglio la sua idea di bellezza, indicando il suo carattere obiettivo e
composto, ponendola in relazione con un’altra categoria ricavata anch’essa
dall’Antichità, ovvero la concinnitas. La bellezza dunque è vista come armonia
(cincinnitas) fra tutte le membra, fondata su una legge precisa, in modo tale da
non poterla cambiare se non in peggio. I Neoplatonici, ed in particolar modo
Marsilio Ficino nelle sue opere, finiranno con il dare all’emergente concezione
dell’arte la copertura metafisica necessaria per raggiungere lo sfondo
spiritualista per porre le varie discipline artistiche in un livello superiore alle
attività umane e, a lungo tempo, di pervenire ad un’unità tra dette discipline.
Con l’opera di Marsilio abbiamo oggi la concezione di associare all’arte l’idea
di creazione e di genio. Il processo indirizzato alla formazione del sistema
moderno delle arti, si svolge attraverso una comparazione e un accostamento
sempre più intensi fra la poesia e la pittura. Nel testo”ut pictura poiesis” di
Orazio si intuiva una comparazione occasionale tra pittura e poesia, per
segnalare che in entrambe a volte c’è vicinanza. Tale scritto si convertirà in
un’affermazione d’identità e di in distinzione tra le due. Nel Diciottesimo
secolo abbiamo il diffondersi delle scienze naturali, grazie a personaggi illustri
quali Cartesio e Galileo. Dunque troviamo lo sviluppo del razionalismo e della
sperimentazione, che ben presto porta la distinzione tra arte e scienza. Grazie
a Batteaux si ebbe una distinzione tra le arti utilitarie, la cui finalità è di
risolvere i problemi degli uomini, e le belle arti, il cui scopo è il piacere. Sono
dunque per l’autore “belle arti” per eccellenza: la musica, la poesia, la pittura,
la scrittura, la danza. Tra le arti utilitarie e le bella arti troviamo infine
l’architettura e l’eloquenza, poiché situate tra utilità e piacere. La pittura
utilizza mezzi o segni giustapposti: figure e colori distribuiti nello spazio; La
poesia utilizza mezzi e segni successivi: distribuzione nel tempo.
Ecco dunque che troviamo una differenza di mezzi ed un’unità nell’effetto, che
sarà estetico.

Capitolo 4 – Componenti

L’estetica è una nuova disciplina filosofica, il cui oggetto principale sarebbe lo


studio e l’analisi di tutto ciò che riguarda l’esperienza e la rappresentazione
sensibile che la cultura moderna istituzionalizza nel complesso delle arti. Ecco
nello schema sovrastante la configurazione del quadro delle componenti
istituzionali che definiscono le arti. Al centro troviamo l’opera d’arte; agli
estremi troviamo artista e pubblico; mediazione data dalla critica d’arte; al
margine infine troviamo l’artigianato.

Parte 1 – L’opera d’arte

Nell’Antichità classica non esiste un termine, di carattere generale, in grado di


esprimere i prodotti della mìmesis, quindi la nozione di opera (significati
analoghi si trovano nel termine greco èrgon ed in quello latino opus). Platone,
nel suo Timeo, afferma che il demiurgo (l’artefice) non “crea” dal nulla, come
fa Dio. Al demiurgo riesce tutto bello perché Dio ha creato la bellezza ideale,
eterna ed immutabile. La distinzione traopera naturale (opus naturale) ed
opera artificiale (opus artificiale) rimase fissata in maniera nitida nella cultura
medioevale. Secondo Riccardo di San Vittore (XII secolo) “l’opera artificiale è
considerata senza dubbio opera dell’attività aumana (opus industriae). Nello
stesso secolo Guillaume de Conches distingueva tre tipi di opera:opera del
Creatore; opera della natura; opera dell’artefice che imita la natura. La cultura
medioevale mantenne in modo nitido la differenza tra il “fare”(caratteristico
dell’attività umana) ed il “creare”(attributo specifico di Dio). La grande
mutazione che consoliderà la categoria di “opera d’arte” quale la intendiamo
oggi, consisterà precisamente nell’applicare il termine “creazione” alle attività
umane, fenomeno che avverrà ne XV secolo grazie agli scritti di Marsilio
Ficino. “L’opera riflette la mente dell’artefice” diceva anche Filone di
Alessandria (20 a.C.-50 d.C.), che a sua volta raccoglieva idee storiche ancora
più antiche. Dunque dall’opera stessa si percepisce la disposizione e quasi
un’immagine della sua stessa anima. Marsilio Ficino definisce inoltre il mondo
come una teofania, ovvero come una manifestazione di Dio. Se il mondo viene
considerato frutto dell’azione divina e tale azione può essere compresa
dall’uomo, allora l’uomo ha una dimensione divina, ovvero intelligenza ed
anima. Dunque, sempre secondo Ficino, nessuna opera può essere compresa
se non si possiede lo stesso grado d’intelligenza dell’artefice che la produce.
Nel Rinascimento, come avevamo prima accennato, avvenne una svolta grazie
alle idee di Ficino, svolta in cui all’opera d’arte viene accostato il concetto di
un “fare creativo”, dove la “creazione” è l’attività degli artisti come
un’emulazione del potere (spirituale) di infondere la vita, caratteristico di Dio.
Mentre dà consistenza alla categoria di opera d’arte, Ficino afferma che “fare
arte” implica un maggior grado di creatività rispetto alle altre attività umane.
Hegel, nelle Lezioni di Estetica, ci da tre definizioni: 1) L’opera d’arte non è un
prodotto naturale, bensì dell’attività umana; 2) essa è creata per l’uomo e tratta
dal sensibile; 3) l’opera d’arte possiede un fine in sé. Adorno: “La capacità di
andare oltre il tempo in cui furono prodotte, comporta di sintetizzare ciò che
l’essere umano vive e spera in un tempo determinato.

1) L’opera è un oggetto prodotto, persino ua cosa……6) strutture dinamiche,


sollecitate da una Tendenza generale all’emancipazione dell’immagine da
supporti sensibili specif. 2) espressione di un contenuto spirituale, il quale
favorisce la circolazione commerciale……7) opera laica. Proposte concettuali
ed estetiche di carattere mondano. 3) carattere definito, ha un inizio e una
fine……… 8) indeterminazione e caso nell’atto creativo. 4) struttura chiusa,
delineata………………………….9) struttura aperta, dinamica 5) unità costitutiva:
carattere unico ed irripetibile, valore dell’originale rispetto alla
copia…………………………………………..10) dinamica seriale, molteplice,
ripetibile grazie alla riproduzione di massa.

Affinché un’opera d’arte possa chiamarsi tale, è necessaria innanzitutto la sua


accettazione istituzionale, occorre dunque che si produca la sua inclusione e il
suo inquadramento nei canali istituzionali dell’arte. Occorre inoltre del tempo,
a volte molto tempo affinché l’opera venga inquadrata in tali canali. Affinché
una proposta sia riconosciuta come opera, è necessario che presenti un’
intenzionalità diretta in quel senso. L’ultima condizione, affinché si possa
parlare di opera d’arte, è che la proposta raggiunga per intero un’autonomia di
sensi, di significati.

Parte 2 –L’artista

Secondo “La leggenda dell’artista” di Erns Krès e Otto Kurz, alla figura
dell’artista vengono applicati una serie di stereotipi, ovvero verrà considerato
come un individuo speciale. Nel periodo ellenistico furono molti gli autori che
ricompiano tutta una serie di testimonianze e di documenti riguardo gli artisti
del periodo classico. Tra questi documenti emergono, per la loro rilevanza,
quelli scritti da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua Naturalis Historia.,
materiali principali per i trattati d’arte già nel Rinascimento. In epoca
rinascimentale l’artista acquisterà lo status di un dio. Mentre gli antichi
associavano Dio all’artista/artigiano, i moderni confrontano l’artista creativo
con Dio. Secondo Krès e Kurz sono due i tratti fondamentali dell’artista
nell’Antichità: eroe ( doti speciali che si manifestano sin dall’infanzia, che
permettono la scalata sociale dell’artista) e mago (forza di “incantamento” che
suscita il potere di produrre immagini). Questo potere suscita un conflitto con
gli dei. Marsilio Ficino descrive l’uomo come Dio in terra, creando un’analogia
tra Dio creatore e genio creatore umano. Accentua lo spiritualismo, si stabilirà
l’identità dell’ingegno umano con quella dell’artifex divino non solo nel caso
del pittore ma in ogni uomo che possieda la capacità creativa dell’artista:
“l’uomo deve essere definito come un’artista universale”. Inoltre colloca la
capacità creativa dell’uomo oltre le limitazioni del tempo e dello spazio.
Dunque l’artista sarà colui che farà miglior uso dell’intelligenza creativa, che è
qualcosa insita nei tratti costitutivi della personalità dell’artista. Per Ficino la
creazione consiste nell’illuminazione del principio razionale dell’anima. Tutto
dipende dal carattere di ciascun individuo che gli astri o i pianeti determinano
attraverso la loro influenza. L’influenza di Saturno (il più lontano dal Sole) nel
sistema astronomico dell’epoca, impedisce l’equilibrio e rende difficoltosa una
vita normale. Allo stesso tempo, Saturno è il pianeta dell’astrologia e del
sapere, dunque la sua influenza produce simultaneamente un effetto negativo
(lo squilibrio) ed uno positivo (la generazione di conoscenza). Lo squilibrio del
“temperamento saturnino”ha a che fare con il predominio nell’organismo di un
“umore” speciale, quello che all’epoca si chiamava “bile nera” o melanconia.
La melanconia rende possibile la creazione. Essa è la condizione necessaria
affinché il carattere superiore del genio emerga attraverso l’azione della
frenesia creativa, del furore divino. Il ripiegamento su se stessi che provoca la
melanconia, permette all’anima di liberarsi dal mondo

sensibile. L’entusiasmo è la possessione divina, che permette l’esaltazione


creativa, dell’illuminazione che l’artista plasmerà nell’opera. Nel corso del
tempo ci sono diverse caratterizzazioni dell’artista. Nel Romanticismol’artista
di genio si caratterizza come un campione della libertà. Durante il corso del
XIX secolo, a volte non lo si identifica più con Dio, ma più precisamente con
Cristo, e si sottolinea il suo carattere di martire. Esempio di ciò lo propone Van
Gogh, la cui vita tormentata è divenuta espressione compiuta del mito
sacrificale dell’artista moderno, ovvero dare la vita per l’opera. E’ inoltre
significativo lo sviluppo, nei paesi di lingua tedesca, del cosiddetto “romanzo
d’artista”, una variante specifica di un genere di grande importanza nella
tradizione letterale tedesca: il “romanzo di formazione” (Bildungsroman). Nel
romanzo d’artista la struttura narrativa ricostituisce il processo di formazione
di una personalità artistica, concepita come diversa ed in un percorso che
porta dalla vita alla morte. Anche in Thomas Mann si evincono personaggi
tormentati , ambivalenti. Oltre a questo, viene associata all’artista la figura del
bohèmien, ovvero colui che partendo dalla povertà aspira a raggiungere la
gloria dell’arte. Nel passaggio tra Ottocento e Novecento, appare la figura
dell’artista decadente. Secondo Arthur Rimbaud l’artista d’avanguardia si
identifica con un eroe civilizzatore che paragona il poeta ad un nuovo
Prometeo, usurpatore del fuoco e artista maledetto per eccellenza. Con lo
sviluppo della società di massa, gli artisti comprendono che ciò che
impersonano, il genio, rende più facile la penetrazione sociale della loro arte e
il conseguente ottenimento di notorietà pubblica, fama e ricchezza. Il primo
artista del nostro tempo a fare uso di questo meccanismo fu Pablo Picasso.
Dopo di lui, Salavador Dalì ed Andy Warhol incisero ancor di più
nell’elaborazione del personaggio facilmente riconoscibile e comunicabile dai
mass media, personaggio che arriva a dominare la ricezione dell’opera da
parte del grande pubblico, e che si appoggia sempre alla figura del genio
eccentrico. Le diverse figure che formano a vario titolo la leggenda dell’artista,
esprimono ideali di cultura che le comunità umane esigono da chi è
depositario deglio oneri del lavoro creativo, dell’attività artistica.

Parte 3 –La critica d’arte

La critica ha una datazione specificamente moderna. Le prime esposizioni


artistiche regolari furono organizzate in Francia dall’Accademia. A partire dal
1673, quest’ultime assunsero il nome di , “Salons”. Nel XVIII secolo apparirà,
grazie all’incidenza pubblica dei Salons e alla loro apertura al pubblico, la
critica d’arte: attività intellettuale rivolta alle arti plastiche e come giudizio
sulle opere antiche e moderne. Il termine deriva dal greco krìnein, che significa
“giudicare”. Il termine Kritikòs come “giudice di letteratura” ricorre sin dalla
fine del quarto secolo prima di Cristo, attribuito a Filita, venuto come tutore al
futuro sovrano di Alessandria Tolomeo II. Nel latino classico, il raro termine si
riscontra in Cicerone: criticus era un termine , osserva Wellek, più importante
di grammaticus, poiché il criticus si interessava anche di interpretazioni di
testi e di parole. Durante il corso del Medioevo sembra invece che tale parola
venisse utilizzata in campo medico, nel senso di “crisi” e di “malattia critica”.
La penetrazione del termine neolatino, con le sue varianti e derivazioni nei
circuiti culturali e nelle lingue europee ebbe luogo in forma lentissima,
cosicché fu soltanto nel XVII secolo che si produsse l’espansione del termine.
E’ in questo contesto culturale che nacquero gli interventi critici di Denis
Diderot riguardo ai Salons di Parigi; un contesto in cui la parola critica venne
applicata in tutta Europa, intesa fondamentalmente come formulazione di un
giudizio di valore applicato alle opere letterarie, artistiche o musicali,
sostenuto da argomenti intellettuali, dunque elemento chiave nella
classificazione e nell’ordinamento gerarchico delle opere, così come nella
formazione del gusto del pubblico. Gli scritti di Diderot mettono inoltre in
risalto due elementi fondamentali, ovvero un uso generale dell’idea di critica
applicata al complesso delle arti e una fondazione filosofica della stessa.
Possiamo dunque dire che al momento stesso della sua apparizione, la critica
d’arte si
configura come riflessione estetica applicata , con un tentativo di
individuazione dei principi filosofici ed estetici generali mediante la
valorizzazione e la gerarchizzazione delle singole opere artistiche. Allo stesso
tempo, Diderot stabilisce esplicitamente la necessità dell’educazione artistica,
di coltivare il talento perché si formi propriamente il “gusto” Ed è così che si
individua l’obiettivo e la funzione sociale della critica: il giudizio del critico
orienta e gerarchizza, ed in tal modo contribuisce alla formazione del gusto,
tanto degli stessi artisti come del pubblico acculturato in generale. Un ultimo
aspetto della teoria della critica di Diderot viene ora messa in rilievo, grazie al
quale viene a costituirsi un elemento decisivo come l’equiparazione del critico
all’artista, all’uomo di genio. Per Diderot, tanto l’artista (colui che fa) quanto il
critico (colui che giudica), necessitano delle stesse condizioni: il gusto, che si
forma a partire dall’esperienza e dallo studio, e la sensibilità. Tuttavia entrambi
gli aspetti possono darsi in maniera dissociata, proprio per questo è
necessario l’intervento della ragione. Nel Settecento compare una altro dei
grandi monumenti della riflessione estetica, il Laocoonte di Lessing, che,
parlando delle relazioni tra arti visive e letteratura, distingue tre “tipi”: amatore
d’arte (chi paragona pittura e poesia), il filosofo (che cerca di penetrare
nell’intimo di questo piacere, scoprendo che esso in entrambe le arti
scaturisce da una medesima fonte ovvero la bellezza, il cui concetto ha regole
generali ed è applicabile ad ambiti diversi quali azione, pensieri, ecc…), il
critico ( che meditando sul valore e sulla distribuzione di tali regole generali,
osserva che alcune vigono maggiormente in pittura, altre in poesia: così per
alcune la poesia poteva esser d’aiuto alla pittura, per alte era l’inverso).
Lessing presenta la figura del critico quale mediatore tra la pratica dell’artista
ed i principi della teoria, che può coadiuvare grazie alle sue comparazioni. Nel
XVIII secolo, grazie anche alle opere del grande filosofo Kant (critica della
ragion pratica, della ragion pura, del giudizio), la critica propone al pubblico
norme e modelli di lettura delle opere, che ebbe due conseguenze: 1)
formazione di un pubblico con una mentalità critica; 2) il critico assume una
posizione d’autorità esercitata progressivamente dai mezzi di comunicazione.
Il filosofo dell’Enciclopedia, Baudelaire, considera l’attività del critico come un
esercizio di portata filosofica. Avviene una contrapposizione tra la critica
“dilettosa e poetica” e quella “fredda ed algebrica”. L’utilizzo della prima
persona, nel suo testo sui Salons del 1846, stabilisce immediatamente una
volontà di comunicazione soggettiva (da un io ad un altro io) con il lettore. Per
Baudelaire la ragione viene supportata sempre dalla passione. Inoltre,
secondo la sua concezione, il bello è sempre di una composizione
duplice:esso è fatto di un elemento eterno, invariabile, e di un elemento
relativo, occasionale, che sarà volta a volta contemporaneamente, l’epoca, la
moda, la morale, la passione. Secondo Oscar Wilde la critica stessa è un’arte,
non essendo l’artista il miglior giudice dell’arte. La critica è quindi un’attività
“pura”, poiché utilizza materiali già purificati dalle arti. Pluralismo critico è il
processo critico d’interpretazione e valorizzazione, che si è arricchito, ed è
positivo in quanto ci mette in guardia contro le pretese di un giudizio critico
unico e definitivo. Viene a formarsi una cultura di massa, data dalla
proliferazione di prodotti e da esigenze di distinzione e valorizzazione.
Fondamento concettuale del giudizio critico è l’occasionalismo, un pensiero
particolaristico che evita di dar conto del perché delle proprie scelte con la
scusante di dover passare ad un godimento diretto, immediato, delle opere, e
che rifiuta ogni mediazione concettuale in quanto impoverimento
dell’elemento specificamente estetico dell’arte. Al giorno d’oggi le funzioni
tradizionali della critica d’arte (ordinamento gerarchico delle opere,
mediazione e orientamento del pubblico) sono esercitate in maniera diretta dai
diversi filtri dei mezzi di comunicazione sociale. Molte volte non sono neppure
questi ultimi, ma la pubblicità o il design, a far sedimentare e selezionare una
serie di elementi valutativi che inquadrano, creano gerarchie ed orientano il
gusto del pubblico. Si vengono dunque a creare quelli che sono chiamati
meccanismi occulti, ovvero che all’insaputa del grande pubblico stabiliscono
parametri di giudizio , arrivando ad agire come norme autoritarie.

Secondo Adorno, il compito della critica è quello di separare “il contenuto di


verità” dalle opere “dai momenti di falsità”. Quindi il critico d’arte dovrebbe
essere in grado di stabilire criteri e linee di demarcazione tra ciò che è
meramente accessorio e gli aspetti di coerenza poetica e di autenticità, che
costituiscono l’asse portante del valore estetico delle opere. Si cominciò a
dedurre il riconoscimento del ruolo della critica d’arte quale
accompagnamento delle opere, nucleo ultimo del suo compito di mediazione
sociale. La critica è dunque mediazione, mediazione tra le opere, gli artisti ed i
tipi di pubblico. Nel suo operare è necessario articolare due elementi o
obiettivi centrali, intrecciare un saper vedere con un saper dire. Proprio in
questo contesto si trova la dimensione di oggettività, che bisogna sempre
esigere dalla critica d’arte (un’oggettività costruita come coerenza).

Parte 4 –Dal pubblico al nuovo spettatore

Il quadro delle componenti dell’arte presenta, infine, quanto al pubblico, una


trasformazione. L’idea di pubblico va formandosi nell’Europa del XVIII secolo,
nel contesto dell’ascesa sociale della borghesia. E’ in questo momento storico
che la formazione del gusto e la configurazione di un pubblico colto, capace di
accedere alla fruizione e alla conoscenza delle opere d’arte, diventano
questioni cruciali. Si tratta di un fenomeno inseparabile dall’espansione di
nuovi canali di trasmissione dell’arte. Per quanto riguarda la letteratura, va
menzionato l’aumento della pubblicazione di libri come risultato come risultato
conseguente all’invenzione della stampa che produrrà lo sviluppo e la
massima fioritura del romanzo. L’apparizione di teatri pubblici in tutta Europa
permetterà anche una nuova consistenza e l’apogeo dell’arte drammatica. Per
quanto concerne il campo musicale, sarà con la transizione dal XVII al XVIII
secolo che si cominceranno a diffondere i concerti pubblici e si produrrà
parimenti una svolta nella composizione e nella pratica musicale. Tutto questo
processo si vede legittimato da un nuovo clima ideologico che presuppone il
declino del dogmatismo a vantaggio di un giudizio libero e la crescita di un
ideale sociale: il cittadino colto, di buon gusto. In questo momento iniziale, il
pensiero di Lessing conferisce un ruolo così importante al pubblico, al piacere
dello spettatore, da farlo diventare un elemento chiave nell’emancipazione
dell’arte e nella rottura con i condizionamenti esterni. Nel contesto del secolo
dei Lumi, il pubblico conserva un carattere omogeneo: è integrato dai nuovi
strati sociali, fondamentalmente borghesi che, stimolati dal nuovo dinamismo
e dalla mobilità sociale, vedono nel raffinamento dei costumi e nella
formazione del gusto un elemento chiave per ottenere una migliore posizione
sociale nella comunità. In questo modo, per la prima volta nella storia, un
ideale culturale, lo sviluppo dell’istruzione, delle scienze e delle arti, è
associato ad un ideale di cambiamento sociale e di progresso. Al giorno
d’oggi il pubblico ha perso quel carattere omogeneo, per mostrare attualmente
un registro assai plurale ed eterogeneo. Proprio per questo non si parla oggi
di “pubblico”, bensì di “pubblici”: i pubblici dell’arte. Secondo Kant, a
differenza del sentimento del sublime che comporta un movimento dell’animo
legato al giudizio sull’oggetto il gusto del bello presuppone l’animo in calma
contemplazione. Il giudizio di gusto è semplicemente contemplativo, cioè un
giudizio che, indifferente all’esistenza di un oggetto, congiunge solo la sua
qualità con il sentimento del piacere e del dispiacere. Un altro importante
critico e teorico delle arti, il grande Bernard Berenson, che è stato testimone
della transizione del gusto e della sensibilità ottocentesca fino a quella del
Novecento, caratterizza il momento estetico con formulazioni derivanti dal
pensiero kantiano. Egli infatti afferma: nell’arte visiva il momento estetico è
quel fugace istante, così breve da esser quasi senza tempo, in cui lo spettatore
è una sola cosa con l’opera d’arte che egli guarda. Dunque il momento
estetico è un momento di visione mistica. Sullo sfondo del pensiero kantiano,
anche uno dei grandi nomi dell’ermeneutica filosofica contemporanea, Luigi
Pareyson, caratterizza la contemplazione come un secondo momento e come

culmine dell’interpretazione dell’opera. Secondo Pareyson, l’interpretazione è,


da un lato un movimento diretto a cogliere il vero senso delle cose, ma per
altro verso è anche quiete e stasi.. Sono componenti fondamentali della
contemplazione estetica:Intimismo, idealità, spiritualismo, misticismo,
passività, estaticità. Il problema è che la nostra cultura, seguendo un processo
che deriva dall’espansione della tecnica moderna, è sempre più lontana dal
produrre una cornice per l’esperienza estetica nei termini che la categoria
“contemplazione” dava per scontati. Il collezionista di oggi vede il proprio
sguardo e la propria sensibilità configurati secondo il filtro collettivo del
pubblico, da un sistema istituzionale di inquadramento e valutazione delle
opere d’arte che va molto più in là del suo gusto privato.Come accade in altri
ambiti della cultura odierna, l’istituzione arte non fa altro che incorporare al
suo interno la tendenza generale verso la dissoluzione del privato nel
pubblico, indissociabile dal nostro stile di vita. Il carattere ristretto
dell’accesso ai beni artistici, è andato trasformandosi grazie ad un processo di
democratizzazione fino a convertirsi oggi nella possibilità di un accesso di
massa. Il contatto con l’opera d’arte ha così luogo, mediante il turismo di
massa, in termini che rendono davvero impossibile qualsiasi pretesa di quieta
contemplazione. Un punto veramente essenziale della tradizione estetica
dell’Occidente che appare nelle opere dei grandi pensatori e, in particolar
modo, in Platone e soprattutto in Kant, è l’idea di un itinerario estetico che
equivale ad un processo di arricchimento antropologico, migliorativo
dell’essere umano. Questo processo non può mai essere di massa. Ha le sue
radici in un complesso sociale, culturale, in una parola comunitario, ma esige
la capacità di discernimento, di giudizio e valutazione, di una mente
individuale indipendente. Nel Novecento si parla di nuovo spettatore, di un
pubblico nuovo sempre più esigente e partecipativo, che agisce come
elemento centrale nei cambiamenti e nelle trasformazioni dell’arte e della
cultura e che, allo stesso tempo ed in maniera reciproca, vede trasformate la
sua coscienza e la sua sensibilità dalle nuove vie di trasmissione dei processi
artistici.

Parte 5 – Il sovvertimento del quadro tradizionale

Come sintesi finale del percorso fatto, conviene mostrare fino a che punto sia
cambiato il sistema tradizionale delle componenti dell’arte, con la sua
suddivisione di funzioni. Invece dell’artista che “crea” l’opera che il “critico”
valuta e “ordina gerarchicamente”, orientando la formazione del gusto del
“pubblico acculturato” che la riceve mediante un approccio “contemplativo”,
le funzioni ed i ruoli si mischiano tra loro. Eppure tali componenti non sono
più le uniche. Le opere d’arte condividono con gli altri prodotti un’alta
potenzialità estetica che circola nei canali artistici: il design, la pubblicità, i
mezzi di comunicazione di massa. Il nostro piccolo schema iniziale si complica
ora a causa della moltiplicazione degli elementi e, soprattutto, a causa della
circolarità e del dinamismo di tutte le funzioni e componenti ch vi compaiono.
Le istituzioni che presentano e trasmettono al pubblico le opere e i prodotti
degli artisti, musei, grandi esposizioni, galerie, fiere, ecc…., e ogni sorta di
eventi di massa, fanno parte di

un’architettura globale che si configura attraverso le strutture comunicative e


commerciali della cultura di massa. Le gallerie, le riviste, le pubblicazioni
specializzate e le fiere costituiscono la rete dove si produce la
contestualizzazione comunicativa e mercantile delle opere che, in un’ultima
istanza, sarà definitivamente legittimata dalle grandi esposizioni e dai musei.
La dimensione pubblicistica si converte così in qualcosa di essenziale nel
determinare ciò che è e ciò che non è l’arte. Come ha fatto notare l’artista
americano Dan Graham, affinché una proposta sia valutata come arte è
necessario che sia esibita in una galleria, e poi che si scriva su di essa e
venga riprodotta fotograficamente in una rivista d’arte. Il museo d’arte è oggi
una fabbrica di cultura, un meccanismo che oramai non solo ordina
gerarchicamente come in passato, ma agisce ed interviene tanto sulla scena
artistica, come nella ricerca e nella configurazione di una sua propria
audience.

Capitolo 5 – L’impronta estetica del mondo moderno

In diverse occasioni si rileva che lo sviluppo della modernità presenta uno


straordinario incremento dell’elemento estetico in tutti i suoi aspetti e fattori a
tal punto che si potrebbe correttamente parlare di “modernità come estetica”.
Tale processo, a partire dalla fine del XVIII secolo fino ai nostri giorni andrà
modificando incessantemente il carattere e le funzioni dell’arte nella nostra
cultura. L’arte cessa di possedere la priorità e l’esclusività della funzione di
produttrice d’immagini di cui si era fatta carico dal XV al XVIII secolo, periodo i
cui emergeva ciò che oggi possiamo considerare come la nostra idea classica
di arte.

Parte 1 –La crisi dell’accademismo artistico

Se le diverse accademie artistiche e letterarie per quasi tre secoli promossero


un nuovo ruolo sociale per le arti e per gli artisti collocati, col tempo finirono
col limitare la libertà creativa degli artisti, imponendo loro sempre più forme
convenzionali di espressione. Questo accade in Francia, nel XVIII secolo,
epoca nella quale il sistema delle accademie si applica anche alle lettere ed
alle scienze, nel momento in cui esse sono sotto la protezione del re. La crisi
di questo fenomeno, che potremo chiamare “accademismo”, nel XIX secolo
segnerà l’inizio dell’arte nei nostri tempi. In seno alle accademie nascerà
un’altra forma di mediazione istituzionale dell’arte che si prolungherà fino al
presente: organizzazioni di esposizioni pubbliche di opere d’arte. (l’artista
espone le sue opere ad un pubblico anonimo). Scompare, in questo modo, la
relazione personale che prima si teneva con il cliente e nel tempo questo
fenomeno finirà col produrre una trasformazione importante della specificità
sociale della produzione artistica. Adesso quindi, a differenza del passato,
l’artista produce le sue opere senza attenersi a specificazioni predeterminate e
solo in seguito cerca per esse un pubblico. Ma naturalmente questo non
significa che l’artista si senta completamente libero dai criteri di gusto
socialmente vigenti. Le restrizioni nell’accesso ai canali della considerazione
pubblica delle opere comportano, ugualmente, un criterio di esclusione per
quelle manifestazioni artistiche che non si adeguano a modelli commerciali ed
estetici socialmente vigenti. I criteri di esclusione, sin dalla nascita delle
esposizioni dell’arte, erano stabiliti dalle accademie mentre, al giorno d’oggi,
sono stabiliti dalle imposizioni mercantili delle grandi gallerie multinazionali,
dagli interessi delle catene editoriali, dai mass-media In seguito alla
rivoluzione francese del 1789 l’impulso borghese di democratizzazione
dell’arte passò in primo piano. Nel 1791 il Salon fu aperto a tutti gli artisti (non
più solamente ai membri dell’accademia), mentre un anno dopo si decise la
creazione del primo museo d’arte nel palazzo del Louvre. In questo clima di
aspirazione alla libertà e di rivendicazioni della democrazia, le arti lotteranno
per emanciparsi da ogni coesione o imposizione di norme esterne alla
produzione dell’opera stessa,

tanto che il termine “accademismo” si andrà caricando di un significato


negativo, cosa impensabile prima del XIX secolo. In tale processo svolgerà un
ruolo fondamentale, agli inizi del XIX secolo, la crisi del classicismo e la
diffusione in tutta Europa dello spirito romantico. L’artista romantico chiede di
poter realizzare la sua opera senza sottostare ad alcun precetto esterno che,
invece di essere inteso come norma di riferimento, diventa un ostacolo alla
creazione. Di conseguenza l’artista, per la prima volta nella nostra storia
culturale, crea per se stesso e per l’umanità. Questo tipo di argomentazioni si
applica in forma immediata alla letteratura che vive così il fiorire di una nuova
epoca. Poco più tardi esse ispireranno anche tutto un nuovo orizzonte estetico
della musica. Al principio del XX secolo, Claude Debussy espresse con
chiarezza l’ideale della piena libertà dell’artista in campo musicale: “l’artista
deve essere indipendente dalle regole; le regole sono stabilite per, e non dalle,
opere d’arte. L’artista deve cercare disciplina nella libertà”. In ogni caso, lo
scandalo pubblico che provocò la presentazione di Olympia (1863) di Manet
nel Salon parigino del 1865, può considerarsi il segno della rottura definitiva
dell’accademismo nelle arti plastiche. Sebbene il nudo femminile fosse
approvato dal gusto accademico, ciò che causò l’indignazione di molti
contemporanei fu soprattutto l’utilizzo come modella di una prostituta
chiaramente riconoscibile come tale. Contemporaneamente, dalla seconda
metà del XIX secolo, si produce un cambiamento profondissimo delle
condizioni di vita alla cui base sta la diffusione della tecnica ed il massimo
sviluppo dell’industria.

Parte 2 –Le avanguardie e l’arte nuova

Se si dovesse fissare una data emblematica per la nascita della nuova


sensibilità, questa dovrebbe essere probabilmente il 1848, momento in cui una
successione di ondate rivoluzionarie scuote l’Europa. Così, in poco tempo,
attorno al decennio del 1870, un termine di provenienza militare,
“avanguardia”, che originariamente indicava i corpi più avanzati degli eserciti,
si trasferirà nell’arte per esprimere non solo il nuovo spirito di un’arte più
avanzata, anti-accademica e non conformista ma, ancor di più, che quest’arte
si collocava in prima linea nella lotta per il progresso di tutta l’umanità. Sarà in
un altro grande poeta, Arthur Rimbaud, che si ritrova la migliore formulazione
iniziale di un’applicazione del medesimo salto verso il futuro che vuole fare
dell’arte lo stimolo principale al cambiamento della vita ed alla trasformazione
dell’umanità. Nella famosa lettera all’amico Paul Demeny del 15 maggio 1871, il
poeta (e per estensione ogni artista) è rappresentato sotto le spoglie di un
nuovo Prometeo “responsabile dell’umanità” e “moltiplicatore del progresso”.
Ci sono due elementi introdotti da Rimbaud che metteranno in relazione
esplicitamente le anticipazioni del poeta (dell’artista) con i fini e gli obiettivi
dell’avanguardia: da un lato l’idea di scontro (l’azione del poeta comporta una
lotta), dall’altro l’idea del nuovo (bisogna arrivare fino ai limiti dell’ignoto per
soprire il nuovo). Dire “avanguardia” significa entrare direttamente nel
territorio dell’utopia, nella visione estetica di un mondo migliore, alternativo. E
ancora, significa situare l’arte alle dipendenze di una responsabilità morale
diretta. Nella grande pluralità delle avanguardie emerge sempre questa
costante: tutte formulano progetti artistici attraverso cui si vuole cambiare la
vita. Il che da un lato è in senso antropologico elemento fertilissimo, ma
dall’altro la comprensione dell’arte in quanto possibile formulazione di un
progetto umano comporta di pretendere che l’impulso artistico possa da solo
condurre al miglioramento della condizione umana. Si da qui il grado più alto
d’identificazione tra l’arte ed un’idea astratta e meramente consolatoria di
Progresso. Nel clima del dopoguerra, le posizioni avanguardistiche andranno
a poco a poco languendo: dopo un trauma collettivo tanto profondo, l’arte
aveva la necessità di avvicinare il suo linguaggio alla necessità e ai bisogni
della gente. Nella tradizione degli anni Cinquanta agli anni Sessanta e, al
contempo, con la nascita delle prime società consumistiche nel mondo
anglosassone, l’affermazione dell’arte pop segnerà l’atto di morte definitivo
dell’avanguardia. Si entrerà in una situazione
completamente diversa: nessuno più crederà che sia possibile cambiare la vita
direttamente dall’arte. In ogni caso durante questo decennio e quello
seguente, s’impone in generale, nell’insieme delle arti, una diversa atmosfera
che favorisce l’incrocio, la contaminazione di generi e procedimenti, e che
stabilisce come pietra di paragone dell’attività artistica il suo ruolo nella
cultura di massa e la sua relazione con i potenti meccanismi di comunicazione
e di rappresentazione sensibile da quella generati. Sono necessarie,
nonostante ciò, ancora alcune considerazioni sul fenomeno dell’avanguardia
artistica. Malgrado la gente comune continui a vedere questo insieme di
pratiche e proposte artistiche con sfiducia, le avanguardie non rappresentano
più per noi una rottura o un’innovazione. Al contrario, sono accademia,
museo, sisono convertite nella nostra tradizione, la tradizione artistica della
contemporaneità. Questo significa, prima di tutto, che esse non possono
essere ignorate, poiché sono un elemento centralmente costitutivo della
nostra idea di arte. Inoltre questo significa che le grandi opere ed i grandi
maestri che segnano tale processo, sono ancora vivi e vigenti nel nostro
mondo. Sussistono dunque ancora oggi degli aspetti dell’avanguardia che
continuano oggi ad aver vigenza, tra cui anche l’idea dell’impegno dell’arte
con il divenire dell’umanità, la concezione dell’attività artistica come progetto
antropologico. Dopo l’avanguardia, l’arte continua a plasmare esteticamente
immagini dell’umano, ma solo nella misura in cui tali immagini si articolano
secondo progetti. L’artista che vincola la sua pratica ad un’idea di progetto
vuole che le sue proposte non siano mere affabulazioni, ma spazi di
realizzazione estetica. Da questo elemento principale, ne deriveranno altri che
prolungano ulteriormente lo spirito avanguardista nel pensiero
contemporaneo: il rifiuto dell’accademismo come affermazione della
legittimità, della diversità e della proliferazione di proposte estetiche; la
tensione tra ciò che c’è e ciò che potrebbe essere si profila come
non-conformismo; l’amore per l’esperimento; la comprensione dell’esperienza
artistica come frammento; il processo verso l’autocoscienza artistica come
linea di fusione tra i diversi piani antropologici presenti in tutta l’esperienza
estetica (es ragione e sentimento).

Parte 3 –L’inesistente arte primitiva

Non esiste il termine “primitivo” associato ad un’arte prodotta da popoli


ancora oggi primitivi e a ni contemporanei. Il termine è associato alla nascita
dell’antropologia scientifica. La si considerava come una categoria che
comprendesse tutto quello che riguardasse i popoli non occidentali, che il
colonialismo del XIX secolo portò a conoscere. Morgan, uno tra i fondatori
dell’antropologia contemporanea, diceva che la cultura umana presentava
un’evoluzione uniforme suddivisa sia in fasi o in stadi: lo stato selvaggio, la
barbarie e la fase di civilizzazione. William Rubin ci fa osservare come per gli
artisti del principio del secolo, “arte primitiva” significava “arte africana e
oceanica, ma anche quella degli eschimesi. L’arte africana e quella oceanica
diventano uno dei supporti fondamentali della grande esposizione delle
avanguardie, come alternativa ai criteri di rappresentazione plastica,
predominanti nella tradizione artistica occidentale. Un esempio di opera
ispirata dall’arte primitiva fu “Les Demoiselles d’Avignon” di Picasso, opera
che rompe il predominio della rappresentazione tradizionale. Il suo quadro
venne infatti completato dopo la visita dell’autore ad un museo di Parigi, che
stava esponendo una collezione di arte primitiva. Da quel momento in poi, si
destò anche l’interesse della critica artistica, il cui pioniere fu il tedesco Carl
Einstein . Nel suo saggio “Scultura africana” afferma che la tradizione africana
era l’unica che aveva risolto il problema della rappresentazione
tridimensionale mentre, la cultura europea, era rimasta legata al
bidimensionalismo pittorico. L’arte primitiva è composta maggiormente da
statue e maschere, arrivando in seguito ad ampliare l’orizzonte, abbracciando
anche manifestazioni della cultura orale, gestuale e musicale.

Parte 4 –La diversità estetica e culturale

L’arte primitiva penetra nelle istituzioni artistiche contemporanee. La prima


esposizione di arte primitiva nella storia avvenne a New York nel 1909. Nel
corso del primo decennio degli anni Sessanta avvenne la decolonizzazione, e
molti paesi africani accedono all’indipendenza politica. Da questo momento
tutto ciò che era stato definito come “primitivo” diveniva invece qualcosa di
non europeo, non occidentale e quindi diverso. Le manifestazioni estetiche di
altre culture sono venute a far parte del nostro mondo . Se denaro e
commercio condizionano l’universo artistico, anche questo tipo di
manifestazioni saranno ugualmente influenzate. Nel 1910 Lucien Levy-Bruhl
pubblicherà un libro, “La mentalità primitiva”, in cui definiva lo spirito
primitivo come animista, pre-razionale e pre-logico. La mentalità primitiva si
identificava in questo modo con “l’età infantile dell’umanità”, tanto che veniva
considerato come un bambino incapace di condurre la sua vita, diversamente
dall’uomo occidentale. Nel 1911 Franz Boas pubblicò il libro “La mente
dell’uomo primitivo”, che contro il pensiero di Levy-Bruhl affermava che la
presunta semplicità del primitivo era un errore. La cultura primitiva tende ad
una complessità, ma essendo differente potevano non essere compresi dagli
occidentali. Per quale motivo dunque continuiamo ad utilizzare il termine
“primitivo”? In realtà questo è inaccettabile per due ragioni: 1) perché ha la
presunzione di unificare fenomeni profondamente diversi tra loro; 2) perché
tutte le forme di vita e pensiero dell’uomo si caratterizzano per la loro
complessità, indipendentemente dalla loro struttura economica, sociale,
tecnologica. Sotto questa considerazione possiamo dunque considerare l’arte
greca classica come più primitiva di quella moderna? No, poiché è
semplicemente diversa , appartiene ad una cultura e ad una storia diversa
dalla nostra. Il termine “arte” non esiste universalmente: “gli antropologi
hanno accertato che una parola corrispondente non esiste nella maggior parte
delle lingue delle società senza scrittura che erano soliti studiare. Al contrario,
si è potuta dimostrare una differenza tra termini equivalenti quali “bello” e
“buono”, alla differenza che noi occidentali ci diamo sui concetti di “estetica”
ed “etica”

Parte 5 –Le radici dell’arte

Il punto di partenza nell’origine dell’arte va riconosciuto nel fatto che tutti i


gruppi umani producono forme, articolazioni sensibili e concettuali, che
trascendono il piano immediato dell’esperienza. Prima che esita l’arte, queste
forme venivano utilizzate nell’ambito di ciò che gli antropologi chiamano il
rituale, ovvero cerimonie e feste. L’arte ha dunque origine dal rituale. C’è un
legame tra teatro e rituale. Risulta dunque importante il ruolo che Aristotele
assegna alla catarsi, quella purificazione delle passioni che scaturisce dalla
pietà o dalla paura sperimentata dallo spettatore della tragedia. Uno degli
effetti principale di un gran numero di rituali è simile a questa trasformazione
dello spirito che la catarsi tragica implica. Molti rituali presuppongono il
passaggio da uno stadio (individuale o sociale, spirituale o materiale) ad un
altro: in essi l’esperienza catartica è un elemento costitutivo.

Parte 6 –L’arte del nostro tempo e l’estetica diffusa

Il processo della modernità ci consente di apprezzare il contrasto tra un


universo estetico sempre più ampio e l’arte. Non tutto ciò che perviene
all’estetico è arte, invece le proposte artistiche sono sempre manifestazioni
estetiche. Come già avevamo accennato, è grazie all’opera “Les Demoiselles
d’Avignon” di Picasso che avviene la rottura dell’omogeneità dell’immagine
per condurci alla pluralità simultanea della rappresentazione. Riguardo al
principio mimetico, l’imitazione della natura cessava di essere il centro di
gravità della nuova arte plastica. Vengono ora in risalto nuovi punti di
riferimento: le categorie della creazione, dell’invenzione e della costruzione. La
nascita delle nuove forme implicherà dunque un’ esplosione della libertà,
accompagnata dal riconoscimento della pluralità della visione.

Picasso precorre e sovverte tutti gli stili, introducendo nel suo itinerario
creativo il principio della variazione. La pluralità della visione sarà l’asse
portante della nuova arte. Quest’ultima aveva perso la sua posizione
dominante nella configurazione della sensibilità occidentale. Si individuano tre
nuove vie dell’esperienza estetica tra loro concorrenti: 1) Disegno industriale:
importanza alle cosiddette “arti applicate” nell’ultimo trentennio del XIX secolo
(moda, arredamento, decorazione di interni); 2) Pubblicità: a fine secolo
compare a Parigi, facendo irruzione e dando un nuovo volto alle vie e ai locali
commerciali; 3) Mezzi di comunicazione di massa. Tutte e tre le “vie” portano
al tratto caratteristico del mondo occidentale contemporaneo: l’espansione
della tecnica. La perdita dell’autonomia dell’arte (secondo Water Benjamin) è
basata sulla perdita del suo fondamento culturale (spirituale, rituale, ecc…)
nell’epoca della riproducibilità tecnica. Con il design il prototipo si oppone
all’opera d’arte: la pubblicità provoca eccitazione contro la serenità, i
mass-media generano distorsione invece di stabilità.

Parte 7 –La fotografia, il cinema e lo spettacolo

La fotografia è l’invenzione tecnica che segnerà per sempre il destino


dell’immagine. Essa esige maestria ed abilità, qualità da sempre attribuite alle
arti. La tèchne è però filtrata dallo strumento, dalla macchina fotografica, e
vengono messi in discussione i principi riguardanti l’artista-genio e l’abilità
manuale. Il processo fotografico conosce presto una rapida ed ampia
espansione, grazie ai processi tecnici dell’ottica unito all’uso di prodotti
chimici. Tuttavia, a causa anche di precedenti sfiducie artistiche, solo nel
Novecento la fotografia vede riconosciuto il suo status artistico. La fotografia
era inoltre rilevante nel campo poliziesco e giudiziario, ma anche nel campo
dei mezzi di comunicazione. In seguito verrà generata un’idea di confusione
tra rappresentazione e realtà, e confusione tra realtà (ciò che è stato) e la
verità. La fotografia presuppone sempre una manipolazione di ciò che si fissa
con la macchina fotografica. Dunque la fotografia non ci dà mai verità, ci dice
soltanto che qualcosa è successo. La fotografia quindi non corrisponde ad un
duplicato, bensì ad un’astrazione della realtà (risultato di un processo di
trasfigurazione). Per “astrazione” si intende la recisione del flusso vitale ed
inoltre riproduce all’infinito, cosa che non può accadere nella realtà. Il taglio
temporale è inoltre direttamente associato alla morte. Il cinema viene
riconosciuto come arte precedentemente alla fotografia, poiché in esso si
introduce il movimento, che toglie l’alone funereo della fotografia, producendo
quindi un illusione di vita. Agli inizi il cinema nasce come mezzo di
intrattenimento di massa, dove il pubblico si dilettava nel cercare di scoprire il
mistero delle “immagini in movimento”. Successivamente, il cinema assumerà
le sembianze di un’industria, grazie all’aumento della domanda di produzioni
cinematografiche. Con lo sviluppo delle televisioni via cavo e satellitari
avverrà una vera e propria degradazione estetica del mezzo. Alfred Hitchcook
fu uno dei pochi registi in grado di conciliare il suo intento estetico con le
esigenze del sistema cinematografico. Si deve tuttavia puntualizzare che il
cinema risulta più vicino alla moda che al’arte, poiché sono massicce le
produzioni di film d’intrattenimento che riescono molte volte ad influenzare il
pubblico spettatore. CI sarà sempre la ricerca del nuovo, per attrarre nuovi
potenziali consumatori. Il cinema ormai è diventato per noi una tradizione, ma
ha perso il nuovo. Com’è possibile innovare il cinema? Negli anni Sessanta
Pier Paolo Pisolini introduce nel cinema le restrizioni stilistiche che fanno
della poesia un prodotto “per alcuni”, che significa “per pochi”. Il punto di
partenza sarà dunque una solida sceneggiatura. L’aspetto più insidioso del
cinema è l’introduzione dello star-system, professioni con un alone di diversità
(favola del genio artistico), ma entra in relazione con il glamour. Invece l’arte
prima mette in discussione gli stereotipi ed interroga l’esperienza. Avverrà
infine la generalizzazione dello spettacolo, ostacolo alla formazione del gusto
e dell’esercizio del giudizio critico.

Capitolo 6 – L’era dell’immagine globale

Parte 1 –Il grande esperimento

Gli anni ’30 sono un momento di grande tensione tra la Prima Guerra Mondiale
e l’inizio, nel 1939, della seconda. Fu il periodo delle dittature, periodo
complesso ed eterogeneo. Oltre all’arte sperimentale e avanguardista, le
dittature dell’epoca eressero un’arte ufficiale al diretto servizio del potere, che
si lasciava utilizzare a fine di propaganda e contribuendo all’estetizzazione
della partecipazione politica delle masse, chiamato nella nostraprospettiva “il
grande esperimento” . Essa convertirà i supporti estetici nello strumento
principale dell’universalizzazione del consumo, la vita pubblica. Storicamente,
in questo periodo, troviamo la contrapposizione tra fascismo e comunismo e
l’arte viene subordinata totalmente alla politica. I cambiamenti delle arti in quel
periodo risultano essere decisivi per il concetto di arte che arriverà fino ad
oggi. Si avrà quindi un superamento dei generi artistici tradizionali:
architettura, cinema, sfilate, manifestazioni si uniscono alla letteratura, alla
pittura, alla scultura, secondo una vocazione di opera d’arte totale. L’idea
moderna di propaganda comportava un uso persuasivo dei mezzi di
comunicazione, al fine di suscitare un adesione emotiva. L’elemento
iconografico centrale è senza dubbio la figura del dittatore: Mussolini, Hitler,
Stalin (glorificati come “superuomini”)

Parte 2 –L’arte pop e la cultura di massa

I supporti ed i materiali dell’arte pop presuppongono un cambiamento rispetto


a quelli che utilizzavano nella tradizione artistica, in relazione ad un
cambiamento espessivo e tematico, ovvero occuparsi delle immagini e delle
figure onnipresenti nei luoghi della cultura di massa (ad es. colori elettronici
invece di colori ad olio; vengono utilizzati anche plastica e legno). Non si parla
più di artista ribelle, come nel romanticismo, bensì di semplice operatore
culturale, esperto dell’immagine di massa. Il termine “pop” è un abbreviazione
di “popolare” ed allude a fenomeni quotidiani della cultura di massa. L’arte
dunque si avvicina alla vita (estetizzazione della vita). Se l’Europa era uscita
distrutta dalle due guerre, gli Stati Uniti permisero una crescita spettacolare
dei mercati, si svilupperà il consumo di massa, la vendita a rate: tutto è
oggetto di vendita e di consumo. Il mondo verrà presto americanizzato e si
tende verso l’universalizzazione del consumo, venendosi a creare inoltre una
forte tendenza all’uniformità, all’omogeneità. L’arte pop presuppone la presa di
coscienza della posizione gerarchica della tecnica rispetto all’arte,
comportando un capovolgimento del modello tradizionale. Questo provocherà
lo piazzamento dell’arte e la perdita dell’autonomia creativa. Il fine dell’arte
non sono dunque i canali di informazione e la comunicazione di massa. Gli
artisti pop produssero l’indistinguibilità tra gli oggetti di massa ed i prodotti
artistici. Secondo Duchamp vi era invece differenza tra opere d’arte e
ready-made. La vita domina ed invade l’arte. Immagine globale = registrazione
nei canali artistici di un processo di smateriallizzazione dell’arte e di
estetizzazione della vita.

Parte 3 –L’affermazione della differenza

Protagonismo dei maschi ed emarginazione delle donne. La donna nell’arte è


sempre stata vista come un oggetto, quindi si riscontrava un’assenza della
donna come soggetto. Il motivo è da ricercare nell’aspetto duale della donna,
che secondo la concezione antica la vede introdotta in un sistema patriarcale,
dove la sua figura ispira diffidenza e timore anche se allo stesso tempo
produce fascinazione. Ed ecco dunque che viene ritenuto necessario di
sottometterla ad un controllo, di

confinarla in uno spazio istituzionale. Senza tale controllo, la donna diventa la


causa di tutti i mali: Eva, Pandora. Assoggettata, invece, alle leggi patriarcali di
dominio, in quanto sposa e madre, favorisce la stabilità e la riproduzione
dell’ordine sociale. In questo caso, la controfigura di Pandora ed Eva è Maria.
La donna che si vede introdotta nel campo dell’arte risulta un fenomeno
strettamente moderno, quando nasceranno i primi movimenti di
emancipazione femminile. Parallelamente, nel Novecento, si arriverà a
riconoscere l’importanza delle donne in tutti i piani della vita pubblica. Per
quanto riguarda la presenza artistica creativa delle donne , la si riscontra
nell’espressionismo tedesco e nella Russia pre e post rivoluzionaria. La nuova
presenza della donna ha introdotto il “pensiero della differenza” nell’ambito
artistico. A partire dalla differenza uomo\donna, con tutti i suoi riflessi
qualitativi, si aprì la strada all’affermazione di altre differenze: quella sessuale,
quella etnica, gli omosessuali, ecc… Dagli anni Settanta i temi che hanno
segnato e segnano l’arte prodotta dalle donne, gravitano attorno al corpo, al
genere, alla sessualità, ma anche attorno alle dimensioni economiche e
politiche, che configurano lo spazio della donna nelle nostre società. E’
dunque palese il carattere binario, oppositivo dell’arte fatta dalle donne.
L’enfasi posta sulla differenza conduce alla contrapposizione come forma di
differenziazione.

Parte 4 –La rivoluzione dell’arte elettronica

Gli ultimi progressi della tecnica e l’emergere di una modernità digitale, ci


portano ad una nuova soglia. Nel XIX secolo e dopo la Seconda Rivoluzione
Industriale ci troviamo dinnanzi ad una popolazione di macchine. Nel corso del
Novecento, ed esattamente negli anni Settanta, il mondo intero conosce un
nuovo orizzonte tecnologico, una vera e propria rivoluzione elettronica. La
tecnologia elettronica introdusse la possibilità di accumulare e trasmettere
informazione , e con essa emerge la figura-limite della macchina pesante,
introdotta da Touring nel 1950. Touring introdusse una nuova disciplina,
ovvero la cibernetica. Tale disciplina vede il potere assoggettato a chi governa
ed un mondo dominato dalle macchine pesanti. I supporti più importanti
dell’arte elettronica sono: laser, olografia, telecomunicazioni e computer. Le
nuove tecniche operano con la luce e l’informazione, ovvero implicano una
tendenza alla smantellazione dell’oggetto, quindi abbiamo il manifestarsi di
nuove forme di materialità. Dalla bidimensionalità (fotografia, pittura) alla
tridimensionalità (olografia e sculture di luce) Non mancherà molto al
manifestarsi di una vera e propria rivoluzione: lo sviluppo dell’informatica e
della cibernetica quando si tengono in considerazione le nuove strade aperte
dalle telecomunicazioni. Compare l’arte per la rete (Net Art), proposte
artistiche pensate unicamente per il circuito di internet (arte digitale). Le forme
prodotte sono “sculture fantasma”, ovvero immateriali. Si arriverà poi a
definire, invece, che esse sono nuove forme di materialità (entità numeriche,
materiali). La tecnologia promuove l’estensione dei sensi e non la loro
negazione (prospettiva integrazionista), giungendo alla multidimensionalità
dell’immagine (fusione di modalità espressiva e supporti sensibili). Il rapporto
tra produttore (artista) e fruitore (pubblico) conosce un cambiamento,
venendosi a creare un interazione: la proposta artistica cessa di essere un
prodotto finale, divenendo punto di partenza aperto allo stimolo reciproco, di
interventi di vari soggetti. Riguardo la tecnologia digitale, bisogna fare una
distinzione tra “realtà effettiva” e “realtà simulata”. La tecnologia implica
risvolti positivi e risvolti negativi: bisogna aver controllo e gestire le finalità
dell’utilizzo delle nuove tecniche. Altra importante distinzione va fatta a
riguardo la memoria digitale e la memoria umana:La memoria digitale
corrisponde alla capacità di stoccaggio delle informazioni; nella memoria
umana invece le informazioni vengono memorizzate in virtù di un intreccio di
affetti ed emozioni.

Parte 4 –Verso uno spettatore critico e creativo

Il nuovo pubblico ha un’esperienza collettiva delle proposte artistiche, non si


trova più di fronte a pezzi unici, originali. Non si può più dunque assumere un
atteggiamento di contemplazione davanti a proposte artistiche al limite della
desacralizzazione dell’arte, davanti ai ready-made rimane solo
l’interpretazione, una relazione paritaria tra artista e pubblico. Il pubblico
inoltre è un esaminatore distratto . Sono due i fattori che convergono
nell’atteggiamento del pubblico di massa di fronte all’arte: 1) distrazione (visite
turistiche, mancanza di concentrazione); 2) approvazione di qualsiasi proposta
artistica. Si parla di esteticità globale e sono tre le grandi vie di trasmissione
estetica: design, pubblicità e mezzi di comunicazione. Il pubblico interviene
nelle varie proposte artistiche, riducendo di fatto la distanza tradizionale tra
artista e pubblico.

Parte 6 –Morte o futuro dell’arte?

Ha un futuro l’arte? Si, ma non nelle forme e manifestazioni che ormai non
esistono più. Sono segni positivi per il futuro dell’arte: lo sviluppo della
tecnica, la promessa di riconciliazione tra le arti e la tecnica. Il futuro dell’arte
è contenuto nell’orizzonte multimediale. La tecnica è il segno dominante nello
sviluppo della modernità. Essa possiede una doppia valenza: una componente
positiva (che rende possibile un benessere materiale) ed una componente
negativa (distruttiva, in vari ambiti: militare, industriale ed informativa). Arte e
tecnica condividono lo stesso spazio ontologico, quello del simulacro e
dell’apparenza. L’arte produce un mondo proprio, un mondo diverso da quello
dell’esperienza. La tecnica genera invece identificazione tra esperienza e
simulacro (riproduttività). Non vi sono specialisti, bensì viene approvata
socialmente la dimensione inventiva della tecnica. Per quanto riguarda il
consumo dell’arte, ci troviamo dinnanzi ad un consumo sia pubblico che
privato: la relazione individuale tra produttore e consumatore è svanita per far
posto ad una relazione astratta. Il nuovo consumo di oggetti estetici è sia
pubblico che privato. Il collezionista acquista un’opera “originale”ed i
numerosi comprano “riproduzioni”. E’ dunque requisito fondamentale la loro
produttività. I musei svolgono il ruolo di fissare i criteri di relazione tra le arti
ed i vari tipi di pubblico. Grazie ai dipartimenti educativi, i musei possono
conseguire la formazione, l’ampliamento di un pubblico proprio. Il museo
presenta il segno della permanenza, ovvero l’accumulazione di oggetti in una
dimensione pseudoreligiosa. Il cattivo gusto non deriva da un vuoto di valori,
bensì dall’uniformarsi del consumo estetico e dall’integrarsi dell’arte nella
sfera dello spettacolo di massa (accentuazione del narcisismo).

Capitolo 7 –L’arte che verrà

Si sta realizzando una perdita di peso, di materialità dell’opera d’arte. Il termine


“estetico” deriva dal termine greco estesis, che significa fissazione o
rappresentazione sensibile dell’esperienza. La nostra cultura ha una
configurazione iperestetica, poiché tutto è stilizzato, sottomesso ad una
manipolazione artificiale, al fine di mutarlo in un modello di riferimento
sensibile. Questa sovradeterminazione estetica deriva dall’effetto
moltiplicatore della tecnica.

Come abbiamo detto anche prima, design, mezzi di comunicazione e


pubblicità, sono le tre grandi vie per la comunicazione estetica. L’arte di oggi è
caratterizzata da un’esperienza di segno duplice. Da un lato l’arte ha perso in
maniera irreversibile la sua posizione dominante nell’universo della
rappresentazione sensibile, dall’altro il suo passo attuale è quello
dell’intercomunicazione circolare dell’appropriazione e distinzione, rispetto
all’immediatezza estetica. Stiamo avanzando sempre più verso la fine
irreversibile della funzione artistica, concepita in termini di maestria in
connessione con l’artigianato. L’esperienza estetica è dunque un incrocio
continuo di livelli favoriti dall’immagine. E’ il piacere vissuto come esaltazione
del corpo come potenza quando il corporeo si proietta nell’immagine. L’arte è
il cammino migliore per la scoperta della singolarità e dell’individualità. L’arte,
nei suoi momenti di massima presenza, ci conduce alla conoscenza del filo
che separa la vita dalla morte.

Potrebbero piacerti anche