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benjamin l'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica

L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCA DELLA SUA RIPRODUCIBILITA’ TECNICA TRE


VERSIONI (1936-39)

W. Benjamin

• Tre versioni tedesche e una francese (unica ad essere pubblicata durante la


vita dell’autore):manoscritto del 1935; la prima francese del 1936 appare sulla
“Zeitschrift fur Sozialforschung” diretta da Horkheimer sottoforma di
manoscritto in bella copia; la seconda versione tedesca (Zweite Fassung)
amplia la prima (’35-’36) più ricca dal punto di vista filosofico e della diagnosi
politico-culturale; 1939 terza versione con minore complessità
filosofico-concettuale rispetto alla seconda. Ci si deve riferire all’opera di
Benjamin come un multiplo, ovvero come pluralità di versioni.

VARIAZIONI: •..1 Hans Klaus Brill, segretario parigino della “Zeitschrift fur
Sozialforschung”,

infligge alla prima versione dei tagli significativi: primo capitolo tagliato
(presente però nella seconda e terza versione e nella versione manoscritta del
1935) sul rapporto tra sovrastruttura e sottostruttura marxista (obiettivo:
tenere lontano il giornale da polemiche di natura politica), Benjamin se ne
lamenta in quanto tolgono al saggio il suo orientamento e la connessione con
l’ultimo capitolo (nella terza versione diventano Premessa e Conclusione)

•..2 Il primo capitolo della seconda versione diventa nella terza la Premessa e
la citazione di Madame de Duras (“Il vero è ciò che può, il falso è ciò che
vuole”) viene sostituita da una di Valery (che parla del cambiamento nel tempo
delle tecniche e dei mezzi per fare arte, che mutano in sostanza anche il
concetto di arte in sé)

•..3 Nel V capitolo della terza versione scompaiono le riflessioni sull’arte


preistorica, prima e seconda tecnica e gioco e apparenza.

•..4 Il VII capitolo della seconda scompare nella terza (parla della fotografia e
della sopravvivenza dell’aura nel ritratto, di Atget che nel 1900 ha reso la
fotografia politica, della didascalia che sarà ancor più fondamentale nel film in
cui ogni immagine è imprescindibile dalla successione di tutte quelle
precedenti).

•..5 Il VIII capitolo della terza non compare nella seconda (parla
dell’apparecchiatura cinematografica che non mostra la scena nella sua
interezza, ma selezionando frammenti per l’occhio umano, il pubblico diventa
un perito che non interagisce con l’attore, diversamente da quanto avviene a
teatro)

•..6 il X capitolo della seconda non c’è nella terza (parla della differenza di
fotografare un dipinto, in cui il riprodotto è opera d’arte ma non il produttore, e
in uno studio cinematografico, in cui né prodotto né produttore sono arte;
della differenza tra esecuzione della performance a teatro che avviene dinanzi
ad una platea e quella cinematografica eseguita di fronte ad un gruppo di
specialisti che possono intervenire sulla scena, come un test di prestazione
meccanizzato)

•..7 Nella terza versione manca la nota sulla bella apparenza e la mimesis che
c’è nella seconda (la bella apparenza si fonda nella percezione auratica che
volge alla propria fine: Hegel considera la bellezza come manifestazione dello
spirito nella sua forma sensibile e l’arte come mezzo per spazzare via
menzogna e inganno dal contenuto vero dei fenomeni; la bella apparenza
come realtà auratica viene affrontata da Goethe: mimesis come fenomeno
originario di ogni attività artistica, un soggetto che imita giocando ad essere
qualcos’altro, le prime manifestazioni sono danza, gestualità corporea e
linguaggio; nella mimesis sono sopiti apparenza e gioco (due lati dell’arte), il
primo è lo schema di tutti i procedimenti magici della prima tecnica (della
società preistorica, che impiega il più possibile l’intervento dell’uomo), il
secondo è la riserva dei procedimenti sperimentali della seconda tecnica
(moderna,

che implica il meno possibile l’uomo); con il decadimento dell’aurea c’è un


guadagno dello spazio di gioco e nel film l’apparenza soccombe al gioco)

•..8 Il rapporto tra inconscio pulsionale e ottico, presente nella seconda


versione, non compare nella terza (molte delle deformazioni, stereotipi o
catastrofi che possono avvenire nei film sono presenti nel mondo dell’ottica
sottoforma di psicosi, allucinazioni e sogni; nel film vengono create figure del
sogno collettivo come Mickey Mouse; i film grotteschi americani e i film
Disney portano all’esplosione dell’inconscio in cui comico e spaventoso sono
affiancati, come dimostrano le reazioni dei bambini; i film Disney portano alla
luce la tendenza a mettere in conto la bestialità e la sopraffazione come
fenomeni che accompagnano l’esistenza)

CAPITOLI DELLA SECONDA VERSIONE I. (mancante nella versione del 1936) I


capitolo nella seconda, Premessa nella terza.
Quando Marx intraprese l’analisi del sistema capitalistico questo era agli inizi,
egli riuscì ad individuare le conseguenze ultime di questo processo:
l’acutizzazione progressiva dello sfruttamento del proletariato e il prodursi di
condizioni che avrebbero portato alla soppressione del capitalismo stesso.

II. L’opera d’arte è sempre stata riproducibile (replica dei maestri, copia degli
allievi, falso dei terzi), ma la riproduzione tecnica si mostra come intermittente
e sempre più intensa: xilografia (diventa riproducibile l’arte grafica), stampa
(riproducibile scrittura), calcografia e acquaforte, litografia (arte grafica può
portare grandi quantità di prodotti sul mercato e con configurazioni nuove,
quindi accompagna quotidianità), fotografia (mano sgravata da incombenze
artistiche)

III. Anche nel caso della riproduzione perfetta manca il Qui e Ora (hic et nunc)
dell’opera d’arte (esistenza unica nel luogo in cui si trova) che costituisce il
concetto di autenticità. La riproduzione tecnica è più autonoma di quella
manuale (la fotografia può mettere in evidenza aspetti che sfuggono all’ottica
naturale) e può portare la riproduzione dell’originale in situazioni
irraggiungibili per l’originale stesso (foto di una cattedrale in uno studio
d’arte). Autenticità: tutto ciò che è fin dall’origine tramandabile di una cosa,
dalla sua durata materiale al carattere di testimonianza storica. La
riproduzione tecnica stacca il riprodotto dall’ambito della tradizione e mette, al
posto della sua presenza unica, la sua presenza massiva, scompare l’aura
(intreccio spazio-tempo). Film: liquida la tradizione soprattutto con i film
storici.

IV. Con il modo di esistere delle collettività si trasforma anche la modalità della
loro percezione, condizionata in senso storico. Decadimento dell’aura: le
masse crescono e vogliono possedere da vicino gli oggetti d’arte, ciò implica
il superamento del loro carattere unico per protendere verso la riproducibilità.
Unicità e durata differenziano un’opera d’arte originale da una riproducibile.

V. La singolarità dell’opera consiste nella possibilità di essere collocata nel


contesto della tradizione, la quale trova espressione nel culto. Le opere
antiche erano a servizio di un rituale dapprima magico poi religioso, poi il
culto profano della bellezza (nato nel Rinascimento) durerà per tre secoli. La
fotografia mette in crisi la teologia dell’art pour l’art, facendo scaturire una
teologia negativa, quella dell’arte pura, che rifiuta ogni funzione sociale e
determinazione attraverso un modello oggettivo. Per la prima volta la
riproducibilità tecnica emancipa l’arte dal ruolo parassitario del rituale. Nel
momento in cui nella produzione artistica viene meno l’autenticità, questa non
si fonda più sul rituale, ma sulla politica.
VI.Storia dell’arte come confronto tra valore cultuale e valore espositivo
dell’opera. L’opera religiosa non dev’essere necessariamente vista e spesso
viene occultata; con la riproducibilità tecnica il valore espositivo dell’opera è
invece in crescita. Nell’età preistorica l’arte era confinata alla magia, poi al
rituale e solo più tardi ne venne riconosciuto il valore estetico; oggi a causa
del suo valore espositivo rischia di essere ridotta ad una funzione accessoria.
La tecnica della società preistorica implica il più

possibile l’uomo, quella del film il meno possibile. La seconda tecnica nasce
quando l’uomo inizia a prendere le distanze dalla natura per liberarsi dalla
schiavitù del lavoro.

VII. Nella fotografia il valore cultuale soccombe a quello espositivo, riesce a


sopravvivere tuttavia nella forma del ritratto (culto del ricordo). Atget nel 1900
immortala le strade parigine deserte come scene del crimine, hanno un
nascosto significato politico: inquietano l’osservatore poiché l’uomo si ritira
dalla fotografia. Didascalia: diviene sempre più importante nei giornali illustrati
e imperativa nel film, in cui ogni immagine è imprescindibile dalla successione
delle precedenti.

VIII. I Greci conoscevano solo due metodi di riproducibilità tecnica: fusione e


conio (bronzi, terrecotte e monete), per il resto dovevano creare valori di
eternità dal livello della loro tecnica. Il cinema, rispetto all’opera greca, è però
perfettibile in quanto frutto di montaggio di scene selezionate; ad esso i Greci
contrapponevano la scultura, le cui creazioni sono tutte d’un pezzo.

IX.Molti hanno dibattuto a lungo per sancire se la fotografia fosse o meno arte,
senza pensare che il suo avvento ha mutato il concetto dia arte stessa. Nello
sforzo di trasformare il cinema in arte gli studiosi tentano di vedere in esso
elementi cultuali.

X. La riproduzione fotografica di un dipinto (in cui il riprodotto, ma non la sua


produzione, è opera d’arte) si differenzia da quella che avviene in uno studio
cinematografico (in cui né il riprodotto né la produzione sono arte), definibile
al massimo come una prestazione artistica (paragone con direttore
d’orchestra). La prestazione dell’attore cinematografico non si svolge dinanzi
ad una platea, bensì ad una commissione di esperti, che possono intervenire
nella sua prestazione artistica; molte scene sono girate in più varianti. Il test di
prestazione dell’attore del cinema è meccanizzato, la pena è l’esclusione
dall’ambito lavorativo: il massimo risultato è recitare alla luce dei riflettori e
soddisfare le condizioni del microfono mantenendo la propria umanità di
fronte all’apparecchiatura.
XI.Pirandello, in Si gira, sostiene che gli attori cinematografici si sentano in
esilio da se stessi, avvertono un senso di vuoto poiché il loro corpo è privato
della sua realtà: per la prima volta l’uomo si trova ad agire con tutta la propria
persona, ma rinunciando alla propria aura (che cade per via
dell’apparecchiatura). Nella recitazione cinematografica gli effetti migliori si
ottengono recitando il meno possibile. L’attore di scena si cala in ruolo: di ciò
viene privato l’interprete cinematografico, la cui prestazione non è unitaria ma
frammentata.

XII. Lo sconcerto dell’interprete dinanzi all’apparecchiatura è lo stesso di un


uomo che si riflette in uno specchio, solo che l’immagine viene trasportata di
fronte alla massa (anche se l’attore sa che avrà a che fare con una massa che
lo controlla). Il culto della star promosso dal cinema favorisce l’indole corrotta
della massa, che il fascismo tenta di sostituire alla coscienza di classe
(appartiene al proletariato, che appare come una massa solo dal punto di vista
dei suoi sopraffattori, quando intraprende la sua lotta per la liberazione, la
massa si scioglie e passa all’azione, questo scioglimento è opera della
società; viceversa la borghesia non è una classe, ma solo massa tanto più
compatta quanto maggiore è la pressione delle due classi rivali)

XIII. Il cinegiornale dimostra che ogni uomo ha il diritto di essere filmato. Nella
letteratura ad un numero esiguo di scrittori corrispondeva un’elevata presenza
di lettori, verso la fine del secolo scorso, con l’espansione della stampa,
sempre più lettori divennero scrittori (complice anche la stampa quotidiana
con la sua “cassetta delle lettere”), per cui viene meno la distinzione tra autore
e pubblico. Nel film, nel giro di un decennio, si compiono le trasformazioni che
nella letteratura hanno impiegato secoli. Nel film russo una parte degli attori è
formata da persone che interpretano se stesse nell’ambito lavorativo.

XIV. Il mago che cura il malato conserva la distanza tra sé e colui che viene
curato attraverso la sua autorevolezza, il chirurgo invece diminuisce di molto
questa distanza penetrando all’interno del suo corpo. Il mago e il chirurgo si
comportano come il pittore e il cameraman: il primo osserva una distanza dal
dato e produce un’immagine totale, il secondo penetra nel tessuto della datità
producendo un’immagine frammentata le cui parti si uniscono mediante una
legge.

XV. La riproducibilità tecnica trasforma il rapporto delle masse con l’arte:


quanto più diminuisce il significato sociale dell’arte, tanto più nel pubblico si
separano l’atteggiamento critico dall’ atteggiamento di godimento (divisi in
pittura, uniti nel film). Ciò che è convenzionale viene goduto acriticamente, ciò
che è nuovo lo si critica con avversione. Il dipinto storicamente era
osservabile da una schiera ristretta di persone e l’osservazione simultanea,
che si palesa nel XIX secolo, premette la crisi della pittura (non la fotografia).
Mentre nel cinema le reazioni del singolo, la cui somma costituisce la reazione
massiva del pubblico, sono condizionate dalla loro trasformazione in
fenomeno di massa e nel manifestarsi si controllano; nella pittura, per quanto
ci si adoperasse per portarla alle masse nelle gallerie, non si dava un modo in
cui le masse potessero organizzarsi e controllarsi nella sua ricezione.

XVI. La funzione sociale del film è l’equilibrio tra uomo e apparecchiatura. Con
il primo piano si dilata lo spazio, con il rallentatore il movimento e vengono
alla luce delle formazioni strutturali della materia del tutto nuove: la natura
della cinepresa differisce da quella dell’occhio. Attraverso il cinema l’uomo fa
esperienza dell’inconscio ottico, come grazie alla psicanalisi, dell’inconscio
pulsionale. Molte deformazioni e stereotipi del film appartengono al mondo
dell’ottica nella forma di psicosi, allucinazioni, sogni (non tanto per
rappresentazioni del mondo onirico, quanto per le figure del sogno collettivo
come Mickey Mouse): i film grotteschi americani e la Disney provocano
l’esplosione dell’inconscio, infatti comico e spaventoso sono strettamente
affiancati (come dimostrano i bambini); la Disney mette in conto la bestialità e
la sopraffazione come fenomeni che accompagnano tranquillamente
l’esistenza.

XVII. Da sempre l’arte si rivolge al futuro, creando una richiesta per la cui
completa soddisfazione non è giunta ancora l’ora. Il dadaismo ha provato a
generare quegli effetti che oggi il pubblico cerca nel cinema sacrificando i
valori di mercato a favore dell’impossibilità di contemplare i loro oggetti,
ottenuta grazie alla degradazione del loro materiale (annientamento dell’aura)
e alla loro riproducibilità. Il raccoglimento (il cui archetipo teologico è la
coscienza di essere soli con il proprio Dio) viene sostituito dalla diversione
come comportamento sociale (grazie al quale si rafforzerà, nelle grandi epoche
della borghesia, la libertà di sbarazzarsi della tutela della Chiesa). L’opera
d’arte deve provocare uno scandalo, diventa un proiettile e favorisce la
richiesta del film.

XVIII. Colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte sprofonda in essa, la


massa distratta fa in modo che l’opera sprofondi in lei: l’architettura è l’opera
d’arte in cui la ricezione avviene in modo distratto e per opera della collettività.
È l’arte più antica e può essere fruita in modo tattile (abitudine) o ottico
(percezione occasionale). Attraverso la distrazione, offerta dall’arte, viene
controllato a nostra insaputa fino a che punto sono assolvibili i nuovi compiti
dell’appercezione. La ricezione nella distrazione giunge a compimento nel film.

XIX.(Conclusione nella terza versione) la proletarizzazione e la crescente


formazione delle masse sono due lati di un unico processo. Il fascismo tenta
di organizzare le masse recentemente proletarizzate senza intaccare i rapporti
di proprietà, alla cui eliminazione esse spingono. Permette alle masse di
esprimersi ma non di avere i propri diritti (nel cinegiornale, usato come mezzo
propagandistico, la massa guarda se stessa e i loro movimenti sono fruibili
maggiormente attraverso l’apparecchiatura che non con lo sguardo). Il
fascismo mira ad un’estetizzazione della politica, il cui

culmine è la guerra, la quale rende possibile dare espressione ai movimenti di


massa su larga scala salvaguardando i rapporti di proprietà tradizionali
(Marinetti, nel manifesto sulla guerra in Etiopia dice “la guerra è bella”). Con le
sue distruzioni testimonia che la società non era abbastanza matura di fare
della tecnica il proprio organo e che la tecnica non era sviluppata abbastanza
per padroneggiare le forze elementari della società. L’umanità, che ai tempi di
Omero era uno spettacolo per gli dei, adesso è spettacolo per se stessa: la sua
auto-estraiazione è tale da rendere il proprio annientamento come piacere
estetico. All’estetizzazione della politica fascista, il comunismo risponderà con
la politicizzazione dell’arte.

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