W. Benjamin
VARIAZIONI: •..1 Hans Klaus Brill, segretario parigino della “Zeitschrift fur
Sozialforschung”,
infligge alla prima versione dei tagli significativi: primo capitolo tagliato
(presente però nella seconda e terza versione e nella versione manoscritta del
1935) sul rapporto tra sovrastruttura e sottostruttura marxista (obiettivo:
tenere lontano il giornale da polemiche di natura politica), Benjamin se ne
lamenta in quanto tolgono al saggio il suo orientamento e la connessione con
l’ultimo capitolo (nella terza versione diventano Premessa e Conclusione)
•..2 Il primo capitolo della seconda versione diventa nella terza la Premessa e
la citazione di Madame de Duras (“Il vero è ciò che può, il falso è ciò che
vuole”) viene sostituita da una di Valery (che parla del cambiamento nel tempo
delle tecniche e dei mezzi per fare arte, che mutano in sostanza anche il
concetto di arte in sé)
•..4 Il VII capitolo della seconda scompare nella terza (parla della fotografia e
della sopravvivenza dell’aura nel ritratto, di Atget che nel 1900 ha reso la
fotografia politica, della didascalia che sarà ancor più fondamentale nel film in
cui ogni immagine è imprescindibile dalla successione di tutte quelle
precedenti).
•..5 Il VIII capitolo della terza non compare nella seconda (parla
dell’apparecchiatura cinematografica che non mostra la scena nella sua
interezza, ma selezionando frammenti per l’occhio umano, il pubblico diventa
un perito che non interagisce con l’attore, diversamente da quanto avviene a
teatro)
•..6 il X capitolo della seconda non c’è nella terza (parla della differenza di
fotografare un dipinto, in cui il riprodotto è opera d’arte ma non il produttore, e
in uno studio cinematografico, in cui né prodotto né produttore sono arte;
della differenza tra esecuzione della performance a teatro che avviene dinanzi
ad una platea e quella cinematografica eseguita di fronte ad un gruppo di
specialisti che possono intervenire sulla scena, come un test di prestazione
meccanizzato)
•..7 Nella terza versione manca la nota sulla bella apparenza e la mimesis che
c’è nella seconda (la bella apparenza si fonda nella percezione auratica che
volge alla propria fine: Hegel considera la bellezza come manifestazione dello
spirito nella sua forma sensibile e l’arte come mezzo per spazzare via
menzogna e inganno dal contenuto vero dei fenomeni; la bella apparenza
come realtà auratica viene affrontata da Goethe: mimesis come fenomeno
originario di ogni attività artistica, un soggetto che imita giocando ad essere
qualcos’altro, le prime manifestazioni sono danza, gestualità corporea e
linguaggio; nella mimesis sono sopiti apparenza e gioco (due lati dell’arte), il
primo è lo schema di tutti i procedimenti magici della prima tecnica (della
società preistorica, che impiega il più possibile l’intervento dell’uomo), il
secondo è la riserva dei procedimenti sperimentali della seconda tecnica
(moderna,
II. L’opera d’arte è sempre stata riproducibile (replica dei maestri, copia degli
allievi, falso dei terzi), ma la riproduzione tecnica si mostra come intermittente
e sempre più intensa: xilografia (diventa riproducibile l’arte grafica), stampa
(riproducibile scrittura), calcografia e acquaforte, litografia (arte grafica può
portare grandi quantità di prodotti sul mercato e con configurazioni nuove,
quindi accompagna quotidianità), fotografia (mano sgravata da incombenze
artistiche)
III. Anche nel caso della riproduzione perfetta manca il Qui e Ora (hic et nunc)
dell’opera d’arte (esistenza unica nel luogo in cui si trova) che costituisce il
concetto di autenticità. La riproduzione tecnica è più autonoma di quella
manuale (la fotografia può mettere in evidenza aspetti che sfuggono all’ottica
naturale) e può portare la riproduzione dell’originale in situazioni
irraggiungibili per l’originale stesso (foto di una cattedrale in uno studio
d’arte). Autenticità: tutto ciò che è fin dall’origine tramandabile di una cosa,
dalla sua durata materiale al carattere di testimonianza storica. La
riproduzione tecnica stacca il riprodotto dall’ambito della tradizione e mette, al
posto della sua presenza unica, la sua presenza massiva, scompare l’aura
(intreccio spazio-tempo). Film: liquida la tradizione soprattutto con i film
storici.
IV. Con il modo di esistere delle collettività si trasforma anche la modalità della
loro percezione, condizionata in senso storico. Decadimento dell’aura: le
masse crescono e vogliono possedere da vicino gli oggetti d’arte, ciò implica
il superamento del loro carattere unico per protendere verso la riproducibilità.
Unicità e durata differenziano un’opera d’arte originale da una riproducibile.
possibile l’uomo, quella del film il meno possibile. La seconda tecnica nasce
quando l’uomo inizia a prendere le distanze dalla natura per liberarsi dalla
schiavitù del lavoro.
IX.Molti hanno dibattuto a lungo per sancire se la fotografia fosse o meno arte,
senza pensare che il suo avvento ha mutato il concetto dia arte stessa. Nello
sforzo di trasformare il cinema in arte gli studiosi tentano di vedere in esso
elementi cultuali.
XIII. Il cinegiornale dimostra che ogni uomo ha il diritto di essere filmato. Nella
letteratura ad un numero esiguo di scrittori corrispondeva un’elevata presenza
di lettori, verso la fine del secolo scorso, con l’espansione della stampa,
sempre più lettori divennero scrittori (complice anche la stampa quotidiana
con la sua “cassetta delle lettere”), per cui viene meno la distinzione tra autore
e pubblico. Nel film, nel giro di un decennio, si compiono le trasformazioni che
nella letteratura hanno impiegato secoli. Nel film russo una parte degli attori è
formata da persone che interpretano se stesse nell’ambito lavorativo.
XIV. Il mago che cura il malato conserva la distanza tra sé e colui che viene
curato attraverso la sua autorevolezza, il chirurgo invece diminuisce di molto
questa distanza penetrando all’interno del suo corpo. Il mago e il chirurgo si
comportano come il pittore e il cameraman: il primo osserva una distanza dal
dato e produce un’immagine totale, il secondo penetra nel tessuto della datità
producendo un’immagine frammentata le cui parti si uniscono mediante una
legge.
XVI. La funzione sociale del film è l’equilibrio tra uomo e apparecchiatura. Con
il primo piano si dilata lo spazio, con il rallentatore il movimento e vengono
alla luce delle formazioni strutturali della materia del tutto nuove: la natura
della cinepresa differisce da quella dell’occhio. Attraverso il cinema l’uomo fa
esperienza dell’inconscio ottico, come grazie alla psicanalisi, dell’inconscio
pulsionale. Molte deformazioni e stereotipi del film appartengono al mondo
dell’ottica nella forma di psicosi, allucinazioni, sogni (non tanto per
rappresentazioni del mondo onirico, quanto per le figure del sogno collettivo
come Mickey Mouse): i film grotteschi americani e la Disney provocano
l’esplosione dell’inconscio, infatti comico e spaventoso sono strettamente
affiancati (come dimostrano i bambini); la Disney mette in conto la bestialità e
la sopraffazione come fenomeni che accompagnano tranquillamente
l’esistenza.
XVII. Da sempre l’arte si rivolge al futuro, creando una richiesta per la cui
completa soddisfazione non è giunta ancora l’ora. Il dadaismo ha provato a
generare quegli effetti che oggi il pubblico cerca nel cinema sacrificando i
valori di mercato a favore dell’impossibilità di contemplare i loro oggetti,
ottenuta grazie alla degradazione del loro materiale (annientamento dell’aura)
e alla loro riproducibilità. Il raccoglimento (il cui archetipo teologico è la
coscienza di essere soli con il proprio Dio) viene sostituito dalla diversione
come comportamento sociale (grazie al quale si rafforzerà, nelle grandi epoche
della borghesia, la libertà di sbarazzarsi della tutela della Chiesa). L’opera
d’arte deve provocare uno scandalo, diventa un proiettile e favorisce la
richiesta del film.