Tiziana Albano
4.1. Le norme.
L’istruzione carceraria non è un fatto recente, ma ha una storia che comincia nell’Italia
post-unitaria della fine dell’Ottocento. Benché nello Statuto Albertino non fosse
contemplato il diritto all’istruzione, negli istituti penitenziari, tuttavia, essa venne
considerata un’attività obbligatoria, perché poteva contribuire alla rieducazione di quei
detenuti la cui condotta era ritenuta, secondo la cultura positivistica dell’epoca, un effetto
delle condizioni di degrado in cui erano cresciuti. Con il T.U. del 5.2.1928 n. 577 (art.
105) - il cui Regolamento generale di esecuzione viene approvato con Regio Decreto del
25.4.1928 n. 1297 sotto forma di Decreto Reale e su proposta dei Ministri della
Giustizia e dell’Istruzione, si parla per la prima volta di “istituzione” o “riordino” delle
scuole elementari nelle carceri e negli stabilimenti penitenziari. È, però, durante il
fascismo, che si prevede l’obbligatorietà di corsi d’istruzione elementare per i detenuti,
tenuti da un pot-purrì di figure soggette allo stretto controllo dei dirigenti penitenziari
costituito da insegnanti, personale sanitario, cappellano ed altri funzionari. L’istruzione,
insieme alla religione e al lavoro, viene considerata un mezzo per recuperare i reclusi ai
valori e alla cultura dello Stato.
Nel R.D. del 18.6.1931 n. 787 (art. 36-139-140 ) - provvedimento che costituisce una
fedele trasposizione delle istanze e dell’ideologia fasciste sul sistema penitenziario, che, di
fatto, rimarrà immutato fino alla riforma del 1975 - si assiste per la prima volta alla
istituzione di scuole elementari per adulti analfabeti, sale di studio e regolazione dell’uso
della biblioteca. I detenuti che non hanno superato i 40 anni di età devono frequentare le
scuole per almeno 2 ore: quelli che hanno superato tale età sono ammessi su loro
richiesta. Lavoro, istruzione civile e pratiche religiose continuavano a costituire i tre
pilastri irrinunciabili della detenzione, ogni altra attività era o severamente proibita o
portava a pesanti sanzioni disciplinari. Aspetti qualificanti del regolamento penitenziario
che portava il nome del ministro Rocco erano: la rigida separazione tra il mondo
carcerario e la realtà esterna, la forte limitazione delle attività consentite in carcere,
l’isolamento dei detenuti all'interno degli istituti carcerari e l’esclusione dal carcere di
qualsiasi persona estranea non inserita nella gerarchia e non sottoposta alla disciplina
penitenziaria, l’obbligo di chiamare i detenuti soltanto con il numero di matricola, la
forte repressione della personalità individuale del detenuto. Il regolamento carcerario
prevedeva punizioni e premi ed elencava dettagliatamente tutto ciò che era vietato.
Erano vietati e puniti il possesso di un mozzicone di matita, la lettura o il possesso di
testi o periodici di contenuto politico mentre i quotidiani e settimanali consentiti
venivano abbondantemente censurati tagliando gli articoli ritenuti non idonei. Era invece
consentito scrivere non più di due lettere alla settimana ai familiari stretti ma non alla
stessa persona .
La fine della dittatura fascista non porta con sé la riforma degli ordinamenti e delle
strutture penitenziarie ereditati dal regime, anzi si verifica una sostanziale impermeabilità
del sistema carcerario alle vicende e ai cambiamenti sociali, politici e culturali che il paese
stava conoscendo. L’istituzione carceraria, negli anni successivi alla seconda guerra
mondiale continuò ad essere diretta secondo il regolamento penitenziario del 1931. La
Costituzione repubblicana si configurò subito come punto di riferimento primario e
gerarchicamente superiore per la legislazione penalistica allora vigente mentre
l’ordinamento penitenziario fu obbligato a dover coesistere con testi normativi
caratterizzati da linguaggi giuridici diversi e contraddittori, concepiti in contesti storico-
politici antitetici.
Il testo costituzionale nella redazione definitiva presenta un articolo, il 27 Cost., che
costituisce il punto di riferimento fondamentale per l’ordinamento penitenziario e che
sancisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato insieme ad un altro, il 34
Cost, che dichiara l’istruzione inferiore … obbligatoria e gratuita. Al legislatore si impone di
creare le condizioni effettive che configurino l’istruzione sia in senso generale - con un
chiaro riferimento anche all’insegnamento nell’art. 33 Cost.- e sia quella da impartire in
carcere, da non intendere più come una coercizione ma come un’opportunità per i
singoli detenuti. L’istanza rieducativa emerse dunque come uno degli aspetti
fondamentali del nuovo ordinamento, frutto di una nuova sensibilità politica e
istituzionale, la rieducazione del condannato si propose come il concetto che meglio
sintetizzava le diverse posizioni e visioni allora presenti: da un lato l’esigenza di
conservazione della giusta risposta al reato in sé, dall’altro lato il bisogno di integrazione
delle masse nel nuovo Stato democratico. A pochi mesi dall’entrata in vigore della
Costituzione Repubblicana, il nuovo Esecutivo con D. L.vo del 7.4.1948 n. 262 ( art. 7)
prevede l’istituzione dei ruoli speciali per insegnanti non di ruolo ma è solo dalla fine
degli anni Cinquanta che cominciarono ad affermarsi importanti spunti sull’idea di
rieducazione del condannato in una prospettiva che potremmo definire limitativa, intesa
cioè a recepire maggiori aperture purché queste non portassero a mutamenti strutturali
del sistema penitenziario. La funzione rieducativa fino a quel momento era stata relegata
ad una posizione del tutto subalterna all’espiazione della pena, in linea con l’operazione
politica che aveva visto la mancata attuazione di molti dei punti più innovativi della Carta
costituzionale. In tale contesto la funzione rieducativa subiva un analogo processo di
limitazione entro i limiti del sistema istituzionale esistente e fino a quel momento
rappresentava dunque una linea di tendenza che però non trovava reale applicazione55.
Con la Legge n. 503 del 1958 si istiuiscono per la prima volta dalla fine della guerra, le
Scuole carcerarie elementari con l’obiettivo di eliminare tra i detenuti l'analfabetismo e il semi-
analfabetismo, ma specialmente adempiono ad un altro compito di educazione e di redenzione sociale e
civile, perché costruiscono al recupero sociale e all'emendamento degli infelici internati negli istituti di
pena" ma anche di garantire la 'rieducazione'.
Nello stesso anno, la legge n. 535 prevedeva la nomina degli insegnanti di scuola
elementare in carcere, istituendo speciali ruoli transitori ai quali si poteva accedere
mediante pubblico concorso, previo corso di specializzazione con obbligo di
permanenza per 5 anni nella sede e solo allo scadere di questo termine si poteva chiedere
il trasferimento al ruolo normale. La durata dell’anno scolastico era fissata in dieci mesi e
non era legata al periodo di funzionamento dell’anno normale . L'amministrazione
penitenziaria, servendosi di personale docente di ruolo o precario, individuato dai
Provveditorati agli Studi, grazie a questo strumento è riuscito ad organizzare, nel corso
degli anni, una serie di strutture scolastiche come scuole elementari, corsi popolari 57,
centri di lettura, corsi di orientamento musicale, scuole medie, un istituto tecnico per
geometri (ad Alessandria) e un istituto di scienze sociali a carattere universitario (presso
le carceri giudiziarie di Trento).
Il ruolo di insegnante era ricoperto, come prevedeva la legge n. 535 del '58, in modo
"speciale e transitorio" da coloro che si trovavano in una condizione lavorativa precaria,
nell’attesa di impiego stabile nella scuola pubblica. Erano spesso esasperati sia dal
contesto in cui lavoravano che dalla scarsa abitudine allo studio, propria della maggior
parte degli studenti detenuti, aggravata dalle difficili condizioni in cui tali soggetti erano
costretti a studiare (celle sovraffollate e scarsi nonché poco accessibili strumenti di
studio).
Con gli anni Sessanta si fece più pressante l’idea pedagogica nella visione del sistema
penale che tendeva così a diventare più preventivo che repressivo. Un ruolo
fondamentale ebbero in tal senso da un lato l’accresciuto benessere materiale del Paese
che rendeva oramai stridenti le contraddizioni con le condizioni di vita disumane
presenti nelle carceri italiane, dall’altro la maggiore influenza della cultura penitenziaria
europea. Le tesi di rieducazione e risocializzazione del detenuto attraverso un processo
di “umanizzazione” del diritto penale, uniti allo studio scientifico della personalità del
delinquente, trovarono nella cultura europea un sostrato fertile e un’accoglienza cui la
cultura penale italiana non poteva rimanere estranea. A ciò si aggiunga il successo delle
tesi della “Nouvelle défense sociale” di Marc Ancel e Filippo Gramatica che ebbe un
ruolo fondamentale in un contesto orientato a farsi carico dei problemi della marginalità
sociale.
I ruoli transitori furono soppressi con legge 3.2.1963 n. 72 con l’istituzione di nuovo
ruolo detto “Ruolo speciale per l’insegnamento nelle scuole elementari presso le carceri e
gli stabilimenti penitenziari”. Questa innovazione ha contribuito a rendere maggiormente
efficace l'attività di istruzione negli istituti penitenziari contribuendo a gratificare gli
insegnanti nel loro impegno didattico all'interno delle carceri.
Nella C.M. del 7.8.1972 n. 237 viene chiarito che le scuole elementari che funzionano
presso le carceri e gli stabilimenti penitenziari debbono accogliere esclusivamente adulti
(superiori anni 18 ) a cui saranno assegnati insegnanti di ruolo o non muniti del
prescritto titolo di specializzazione; anche negli istituti costituenti i centri di rieducazione
per minorenni ai sensi dell’art. 1 L. 25 luglio 1956, n. 888 - 60 debbono funzionare classi
differenziali di scuole elementari affidate ad insegnanti appartenenti al ruolo normale, di
ruolo o non, in possesso dei seguenti titoli: diploma di fisiopatologia e diploma
conseguito al termine del corso di specializzazione per gli aspiranti all’insegnamento
negli istituti di rieducazione per minorenni.
La novità della legge del 26.7.1975 n. 354 -ma ancor più del relativo regolamento di
esecuzione - è che fu emanata di concerto con il M.P.I. . In modo particolare è proprio
nell’art. 39 del D.P.R. n. 431 del 29.4.1976
che il M. P. I. d’intesa con il Ministero della giustizia impartisce direttive agli organi
periferici della pubblica istruzione per l’organizzazione di corsi a livello della scuola
dell’obbligo. Colpisce anche come strettamente connessa con la normativa penitenziaria
riformata sia la successiva produzione amministrativa dell’anno 1977. Gli anni Settanta
lasciano un’ eredità normativa di un livello che difficilmente era stato raggiunto anche in
altri campi, segno di un Paese che - pur tra le mille difficoltà di quegli anni - si muoveva
ancora nella direzione indicata dai Padri Costituenti e che cercava di potenziare
l’istruzione dei propri cittadini ad ogni livello, offrendo delle opportunità al singolo
individuo temporaneamente detenuto, nella prospettiva del suo reinserimento nella
società.
I corsi scolastici istituiti negli istituti penitenziari non dovevano più avere carattere
speciale rispetto a quelli delle scuole pubbliche, ai cui programmi d’istruzione dovevano
adeguarsi. Due Circolari ministeriali assimilano i corsi d’istruzione elementare e media e
quelli di alfabetizzazione attivati in carcere ai corsi per adulti che si tengono nella scuola
pubblica e prevedono le condizioni per sostenere gli esami.
Altro periodo particolarmente proficuo per l’istruzione e la formazione riguardante la
scuola in carcere sono gli anni ’80 del XX secolo, sull’onda lunga di quella che era stata la
rivoluzione della legge 354/75. Nel cespite normativo di quegli anni troviamo non solo
l’attenzione verso la qualità professionale del docente ma anche al valore pensionistico
del servizio prestato in carcere, ai luoghi in cui svolgere le lezioni, alle sedi presso cui
svolgere l’attività d’esame. Cominciano a funzionare le scuole elementari presso gli
istituti penitenziari per adulti. Si ritrova “in nuce” il concetto di “lavoro in rete” quando
si parla di “riunione dei docenti con gli operatori carcerari e delle modalità di acquisto di materiali e di
sussidi didattici”. Iniziative per qualificare il servizio scolastico si susseguono fino alle
soglie degli anni ’90 del XX secolo con il precipuo intento di formare ed aggiornare
costantemente i maestri degli istituti penali. Vengono istituiti i primi corsi di
alfabetizzazione nell’a. s. 1980/1981 insieme ai corsi statali sperimentali di scuola media
per lavoratori. Nell’ambito dell’istruzione penitenziaria, il medesimo anno scolastico
vede l’istituzione di corsi di scuola media presso istituti penali e minorili; si stabilisce la
formula organizzativa dei corsi che consentono di accedere ai lavori esterni,che devono
accogliere non più di 12 alunni.
In concomitanza con la ripresa dell’interesse verso i minori nel periodo a cavallo tra la
prima e la seconda parte degli anni ’80, l’emanazione di importanti provvedimenti in
ambito di diritto minorile quali il D.P.R. 22/09/1988 N.448 e D.Lgs 28/07/1989 n.272
fu preceduta in ambito scolastico dall’emanazione di un congruo numero di atti
concernenti soprattutto il potenziamento della presenza scolastica negli istituti penali
minorili .
Il legislatore degli anni novanta si è ulteriormente impegnato a riformare l'esecuzione
penale valorizzando il principio rieducativo della pena sotto una duplice dimensione: da
un lato potenziando la "non desocializzazione" del condannato, dall'altro
promuovendone la socializzazione positiva.
Tra il 1993 ed il 1997 si potenzia il concetto di EDA – educazione degli adulti e di
LLL – Life long learning (Educazione continua durante tutta la vita) – non solo con
l’utilizzo del tradizionale corso di scuola elementare e media ma introducendo in modo
nuovo ed innovativo corsi di addestramento e formazione professionale e corsi post –
qualifica (questi ultimi una vera novità nel panorama dell’istruzione penitenziaria) di un
certo livello, talvolta cofinanziati anche dall’Unione Europea, in taluni casi, corsi di
istruzione secondaria ed un implemento per lo studio universitario.
Con il Nuovo Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario del 2000 -
D.P.R. del 30.6.2000 n. 230 - viene confermata la considerazione dell’istruzione come di
un diritto riconosciuto, al pari di quello al lavoro e ad altre attività, al detenuto in quanto
cittadino che temporaneamente si trova in stato di detenzione. L’esercizio di tale diritto
viene inserito nel "trattamento" rieducativo al fine del reinserimento nella società. I corsi
di istruzione a livello di scuola dell’obbligo sono curati dai competenti organi
dell’amministrazione scolastica per l’organizzazione didattica e lo svolgimento dei corsi:
- il Ministero della pubblica Istruzione, previe intese con il Ministero della Giustizia,
impartisce direttive agli organi periferici della pubblica istruzione per l’organizzazione di
corsi a livello della scuola d’obbligo;
- il dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale, sulla base di richieste delle direzioni degli
Istituti Penitenziari e dei dirigenti scolastici, concerta con il provveditore regionale
dell’amministrazione penitenziarie, la dislocazione ed il tipo dei vari corsi a livello della
scuola d’obbligo da istituire nell’ambito del provveditorato, secondo le esigenze della
popolazione penitenziaria;
- le direzioni degli istituti, oltre a fornire i locali, curano che venga data adeguata
informazione ai detenuti e ne favoriscono l’ampia partecipazione;per lo svolgimento dei
corsi e delle attività integrative dei relativi curricoli può essere utilizzato il contributo
volontario di persone qualificate, le quali operano sotto la responsabilità didattica del
personale scolastico; in ciascun istituto penitenziario è costituita una commissione
didattica, con compiti consultivi e propositivi e formula un progetto annuale o
pluriennale di istruzione.
Infine, la Direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione, n. 22 del 6 febbraio
2001, ribadisce la necessità di realizzare percorsi individuali di alfabetizzazione in quanto
strumenti di promozione sociale destinati ai soggetti deboli, tra i quali i detenuti. Da
allora nessun passo ulteriore in avanti è stato più fatto nella considerazione del diritto
allo studio come diritto eguale per tutti e da tutti esigibile, indipendentemente dal
trattamento rieducativo intrapreso dal singolo ristretto. Un diritto che non dovrebbe
essere sottoposto alla discrezionalità dell’amministrazione carceraria, ma fruibile,
indipendentemente da qualunque carattere premiale, da tutti coloro che ne fanno
richiesta!
4.2 L’habitus del docente nella scuola dell’istituto penitenziario.