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L'ISTRUZIONE IN CARCERE

Tiziana Albano

1. L’ istruzione obbligatoria per tutti nella Costituzione .


1°: La scuola è aperta a tutti.
2°: L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
3°: I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli
studi.
4°: La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre
provvidenze, che devono essere attribuite per concorso

La Carta costituzionale italiana, nel Titolo Secondo riguardante la tutela dei


“Rapporti etico – sociali” (artt. 33 e 34) e nel Titolo Terzo riguardante la tutela dei
“Rapporti economici” (art. 35, 2° comma), prevede un sistema educativo di istruzione e
formazione del cittadino italiano, consistente nel complesso di diritti, doveri e libertà
previsti nei confronti di vari soggetti, pubblici e privati.
L’art.34 Cost., in particolare, è dedicato precipuamente al tema dell'istruzione e
della formazione, in connessione con:
- l’art.3 Cost. e l’art. 26 della Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948;
- legge 59/1997 e relativo regolamento in materia di autonomia delle istituzioni
scolastiche (DPCM 25/02/1999) con la quale si è previsto il passaggio da un sistema di
<<scuola di Stato>> ad un sistema nazionale fondato sul principio di autonomia delle
scuole ;
- le riforme Moratti (2003) e Gelmini (2007) che hanno favorito un ammodernamento
amministrativo e didattico della vetusta macchina scolastica .
Il dettato dell'articolo 34 si apre con la generica affermazione della necessità di
aprire la scuola a tutti, non identificando i destinatari dei servizi scolastici. Alla base vi è
tutto un movimento di pensiero che parte dalle radici illuministiche e giunge
storicamente fino a ridosso del momento stesso della stesura della Carta Costituzionale,
ripensando, per esempio, a quelle che erano state le traversie – culturali e razziali –
sopportate non solo dagli oppositori alla dittatura fascista ma anche dagli Ebrei ed altri
gruppi etnico – religiosi minori a causa di una normativa che privilegiava razzismi e
particolarismi d’ogni sorta. Tale generalizzazione dà adito al riconoscimento del diritto
all’istruzione innanzitutto come un diritto riconosciuto a tutti, ponendo così fine alla sua
concezione oligarchica e passatista di privilegio per pochi. Essa è un impegno dello Stato
di offrire un "servizio pubblico" in grado di soddisfare qualunque esigenza relativa
all'istruzione, sottolineando il diritto individuale di ciascuno ad usufruirne e a goderne a
tutti i livelli.
Il secondo comma dell'art. 34 Cost., individua l’obbligo, a carico di ciascun
cittadino, di frequentare i corsi di scuola inferiore per almeno otto anni con l'obiettivo di
raggiungere un grado essenziale di cultura inteso come un dovere del cittadino stesso,
teso al soddisfo di un interesse pubblico. Con la riforma dei cicli scolastici obbligatori è
stato anticipato l'inizio dell'obbligo scolastico a cinque anni e protratto il termine finale a
quindici anni, dai quattordici previsti in precedenza. Ciascun individuo, cittadino italiano
o straniero con permesso di soggiorno, raggiungendo il livello d'istruzione indicato dalla
Costituzione contribuisce ad innalzare qualitativamente il livello culturale dell'intera
collettività, facilitandone la gestione. Possiamo quindi affermare che costituzionalmente
è stato riconosciuto il diritto individuale a ciascun soggetto di godere del servizio
pubblico scolastico e contemporaneamente è stato indicato l'obbligo, a carico dei
cittadini e degli stranieri in possesso di regolare permesso di soggiorno, di frequentare,
limitatamente ai corsi di scuola inferiore, i corsi d'istruzione obbligatoria, al fine di
raggiungere il livello di istruzione essenziale tale da soddisfare l'interesse pubblico di cui
sopra. Ancora, il medesimo comma prevede che i corsi d'istruzione obbligatori siano
gratuiti. Per diverso tempo le opinioni circa l'ampiezza di tale gratuità sono state
divergenti giungendo infine ad individuare che è obbligo dello Stato mettere a
disposizione gli ambienti scolastici, il corpo insegnante e quant'altro si ritenga necessario
per l'attivazione effettiva del servizio scolastico obbligatorio. Questa posizione,
supportata in particolare da Pototsching, concepisce la gratuità dei corsi scolastici
obbligatori come un incentivo per il cittadino all'adempimento dell'obbligo. Al comma
tre, si parla di estensione del diritto di fruire del servizio scolastico sino ai "gradi più alti
degli studi", riconoscendo tale diritto a ciascun individuo, capace e meritevole, anche se
privo di mezzi. Comparando il secondo e terzo comma dello stesso articolo, potrebbe
sembrare che l'istruzione inferiore obbligatoria rischi di essere offerta a condizioni
peggiori rispetto a quella superiore. Questo timore è alimentato dal contenuto del quarto
ed ultimo comma dell'art. 34 in cui lo Stato, al fine di rendere effettivo il diritto di
ciascun individuo di godere del servizio scolastico di grado più elevato, si è impegnato ad
eliminare tutto un insieme di situazioni economiche che possono impedire ad un
soggetto la prosecuzione degli studi. Questa esigenza si pone, a maggior ragione, in
merito ai corsi di scuola dell'obbligo, per i quali ricordiamo è prevista la gratuità del
servizio, indipendentemente dalla valutazione della capacità e del profitto dello studente.
Il quarto comma dell'articolo in questione si propone di rendere effettivo il diritto, di cui
al comma terzo dello stesso articolo, sancito nell'espressione "raggiungere i più alti gradi degli
studi", il diritto all'eliminazione delle disuguaglianze economiche che possono impedire,
di fatto, la fruibilità di tale servizio. A tal fine lo Stato provvede attribuendo, ai soggetti
capaci e meritevoli, borse di studio ed assegni familiari. Dall'analisi di questo articolo
emerge che:
- il diritto all'istruzione è certamente un diritto costituzionale che riconosce a ciascun
individuo di usufruire del servizio pubblico scolastico, di cui se ne presume il
funzionamento, in considerazione dell'impegno assunto dallo Stato al comma due dell'art.
33 del testo costituzionale;
- il diritto all'istruzione,limitatamente agli studi di scuola inferiore è prioritariamente un
obbligo di ciascun cittadino, indicato allo scopo di perseguire un interesse pubblico
prevalente. In conseguenza dell'imposizione di tale obbligo, lo Stato si impegna ad
offrire gratuitamente il servizio scolastico inferiore
- per rendere effettivo il diritto di usufruire del servizio scolastico sino ai gradi più elevati,
limitatamente ai soggetti "meritevoli e capaci", lo Stato si impegna a rimuovere gli
eventuali ostacoli economici che potrebbero inibire la fruizione di tale diritto.
2. L'Ordinamento penitenziario del 1975 e successive modificazioni
Il legislatore precedente al 1975 si era impegnato a riformare l'esecuzione penale
valorizzando lo scopo del trattamento che doveva rimanere costante nella sua natura .
Ciò che, di volta in volta, poteva e doveva mutare erano le modalità della sua attuazione.
La risocializzazione del detenuto non poteva essere perseguita seguendo un iter generale:
il percorso di rieducazione doveva essere deciso ad personam per ciascun individuo, in
considerazione delle caratteristiche personali dello stesso. I corsi scolastici, nonché la
maggior parte delle attività che si svolgevano negli istituti penitenziari, servivano a
ciascun detenuto, innanzi tutto, per riempire il tempo. Ogni attività rappresentava per il
detenuto e per l'internato un'occasione per rompere l'isolamento ed entrare in contatto
con altre persone: tutte le attività rappresentavano un mezzo per alimentare, in ciascun
soggetto recluso, gli interessi personali ed i contatti con l'esterno. Spesso alcune attività
trattamentali assumevano valore rieducativo proprio perché si svolgevano all'interno di
istituti penitenziari, potenziavano il ruolo del detenuto perché destinate ad individui
spogliati della loro autonomia, per i quali qualunque diversivo diventava apprezzabile.
Con l'Ordinamento penitenziario del 1975, è stata raggiunta una maggiore
chiarezza in merito al principio di "rieducazione”. L'impostazione culturale che ha
ispirato il testo dell'Ordinamento Penitenziario, in conformità a quanto disposto dal
comma terzo dell'art. 27 della Costituzione , è quella di ritenere la detenzione non uno stato
definitivo bensì una fase transitoria da cui possono emergere, per il detenuto, crescita
personale e maggiore sensibilità sociale. Il fine rieducativo della pena implica un
collegamento tra carcere e società. A tale scopo è necessario che la società avverta la
necessità di farsi carico del problema "carcere", attraverso una presa di coscienza della
realtà e delle dimensioni di tale problema, ed il carcere prepari, informi e renda il più
possibile edotto il futuro ex-detenuto sui mutamenti e sulle dinamiche che coinvolgono
la società esterna.
La legge penitenziaria italiana n. 354, "Norme sull'ordinamento penitenziario e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", è stata approvata nel 1975
e l'anno dopo è stato emanato, con il D.P.R. n. 431/1976 il relativo regolamento di
esecuzione con il quale è stata completata la disciplina del sistema penitenziario.
L'Ordinamento del 1975 detta i principi e le regole generali cui è sottoposta la
popolazione detenuta in generale mentre il regolamento di esecuzione specifica ed indica
come tali precetti normativi devono essere attuati in pratica. Con la legge n. 354/1975 il
legislatore ha cercato di attuare una riforma penitenziaria conforme ai principi enunciati
al terzo coma dell'art. 27 della Costituzione. L'art. 1 dell'O.P., al comma quattro, indica
che "nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che
tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi". A sua
volta l'art. 1 del Regolamento di esecuzione penitenziaria – DPR 431/1976 - concepisce
il trattamento rieducativo come un programma "diretto a promuovere un processo di
modificazione degli atteggiamenti che sono di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale". Il testo
regolamentare accennava quindi all'esigenza di modificare quelle inclinazioni soggettive
del condannato che ne potevano impedire la reintegrazione sociale. Da queste
disposizioni emergeva una tendenziale identificazione del concetto di rieducazione con
quello di recupero sociale del condannato.
Nella legislazione precedente al 1975 il termine "trattamento" era stato anche utilizzato
ma l'Ordinamento penitenziario ha provveduto ad una formale esplicazione di tale
termine: l'espressione << trattamento penitenziario >> viene considerata:
- una serie articolata di interventi tesi a contrastare gli effetti negativi della detenzione e
dell'internamento. Questa serie di interventi deve essere attuata nel rigoroso rispetto dei
principi costituzionali quali i diritti inviolabili dell'uomo, l'uguaglianza dei cittadini,
l'umanità della pena e la presunzione di non colpevolezza di ciascun individuo.
- un programma teso a modificare quegli atteggiamenti del condannato e dell'internato
che sono stati la causa della sua mancata integrazione sociale.
La legge n. 354/75 sancisce la regola della individualizzazione del trattamento. Ogni
intervento trattamentale deve essere elaborato e programmato in considerazione delle
particolari necessità di ciascun individuo detenuto o internato. Inoltre dall'Ordinamento
penitenziario emerge la volontà di potenziare i classici mezzi del trattamento, creando
nuovi istituti giuridici e superando l'idea che istruzione, lavoro e religione costituissero gli
esclusivi strumenti attraverso i quali era esperibile l'attività trattamentale 35 con
l’introduzione o rivisitazione di alcuni istituti quali:
- art. 15 O. P.: attività culturali, ricreative e sportive; - art 18 O.P.: l'agevolazione di
"opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia" nella
corrispondenza telefonica e nei colloqui; - art 21 O. P. e art. 46 Reg Esec. 1976: lavoro
all'esterno; - artt. 30 e 30 ter dell'O. P. e degli artt. 61 e 61 bis del Reg Esec. 1976:
permessi; - artt. 17 e art. 78 O. P. : partecipazione di privati o enti all'azione educativa
intramuraria e nelle misure alternative alla detenzione.
Questa visione più ampia del trattamento, ha reso necessaria la previsione di nuove
figure di operatori citate agli artt. 17 e 78 O.P. quali educatori, assistenti sociali,
insegnanti, assistenti volontari psicologi, pedagogisti e psichiatri criminologi. Tali
operatori, sotto il controllo interno del direttore dell'istituto e quello esterno del
Magistrato di Sorveglianza, prestano la loro opera attraverso interventi singoli o di
gruppo, allo scopo di realizzare un percorso trattamentale atto a facilitare il
reinserimento sociale dei detenuti. In particolare, negli anni in cui l'Ordinamento
penitenziario è stato emanato, la limitata disponibilità finanziaria rendeva necessario un
coordinamento, da parte dell'istituto carcerario, di tutte le forze disponibili, istituzionali e
volontarie, al fine di garantire l'avviamento delle attività necessarie all'attuazione dei
percorsi trattamentali. Con la Circolare del Ministero di Grazia e Giustizia (Ufficio
Direzione Generale Istituti di Prevenzione di Pena) del 13/1/1977 n. 2387/4841 è stato
disposto un nuovo capitolo di bilancio. Detta circolare, in attuazione dell'art. 39 del Reg.
Esec del 1976, ha indicato che i fondi del nuovo capitolo siano destinati all'arredamento
delle aule, all'acquisto della cancelleria e quant'altro sia ritenuto necessario allo
svolgimento delle attività scolastiche, culturali, ricreative e sportive. Inoltre, nella
circolare in questione, è stata demandata alle Regioni, in coordinazione con gli uffici
direttivi degli istituti penitenziari e le autorità scolastiche, la fornitura gratuita dei libri e
della cancelleria per gli studenti detenuti che frequentano la scuola dell'obbligo.
3. Gli articoli dell’Ordinamento Penitenziario riguardanti il diritto allo
studio.
Uno sguardo al primo comma dell'art. 19 O.P. denota da parte del legislatore
l’opportunità di attivare in carcere corsi della scuola dell'obbligo che devono in tutto
adeguarsi ai programmi d'istruzione che si svolgono ordinariamente all'esterno, non
devono differenziarsi o avere carattere speciale rispetto a quelli delle scuole pubbliche.
Lo scopo di questa disposizione è quello di consentire agli studenti detenuti di
proseguire la loro formazione scolastica una volta che torneranno liberi. Non si può però
ignorare che, soprattutto in merito agli studi di scuola primaria di primo e secondo grado,
i programmi sono cronologicamente sperequati e non in grado di stimolare studenti
adulti. Tale problema è stato riscontrato anche in merito ai corsi di alfabetizzazione della
lingua italiana previsti per i detenuti stranieri. La questione è stata inizialmente superata
con la Circ. Min. n. 48462/11-6 del 14 luglio 1976 che, nel rispetto dell'art.19 O.P., ha
assimilato i corsi di alfabetizzazione nonché quelli a livello elementare e medio inferiori
attivati in carcere, ai corsi pubblici per adulti. Con la Circolare Ministeriale n. 253 del 6
agosto 1993 è stata emanata un'ulteriore disposizione, avente ad oggetto il numero
minimo che legittima l'attivazione di un corso di scuola dell'obbligo e prevede la
possibilità di sostenere gli esami di licenza elementare e media anche durante l'anno,
qualora lo studente abbia frequentato almeno duecentocinquanta ore di lezione.
Quest'ultima circolare ha introdotto novità anche sotto l'aspetto della flessibilità didattica,
dell'individualizzazione dei corsi di istruzione in base alle specifiche esigenze dei soggetti
ed attuando un'attività didattica capace di stimolare negli utenti interesse e partecipazione.
Il secondo comma dell'art. 19 O.P. rivolge particolare cura alla formazione
culturale dei detenuti, cosiddetti, "giovani-adulti", ovvero a quei ragazzi di età compresa
tra i diciotto ed i venticinque anni. Tali soggetti sono in una fase evolutiva che richiede
un particolare sostegno nella fase dell'apprendimento culturale nei confronti dei quali
l’attività didattica può costituire un formidabile deterrente attraverso il quale facilitare il
loro reinserimento sociale.
Il terzo comma dell'art. 19 O. P. indica che "con le procedure previste dagli ordinamenti
scolastici possono essere istituite scuole d'istruzione secondaria di secondo grado negli istituti di
penitenziari", argomento trattato anche dall'art. 41 del regolamento di esecuzione del 1976.
Per molto tempo si è previsto il trasferimento dei soggetti detenuti in istituti presso i
quali erano attivi corsi di scuola secondaria superiore che avessero manifestato
l'intenzione di proseguire gli studi e fossero stati in possesso del titolo scolastico a ciò
necessario. La soluzione del trasferimento non si può certo definire ottimale, in
considerazione delle notevoli ripercussioni che tale provvedimento aveva sul detenuto:
se un trasferimento comporta per chiunque, almeno inizialmente, una situazione di
disagio, per un soggetto detenuto tale disagio è aggravato da implicazioni che possono
risultare estremamente gravose per il normale svolgimento della propria vita nell'istituto
penitenziario. Il detenuto trasferito, oltre a subire le difficoltà inevitabili del mutamento
degli interlocutori quotidiani, siano essi i compagni di cella che il personale penitenziario,
spesso subisce, a seconda del luogo del trasferimento, anche la variazione del Tribunale
di Sorveglianza competente, organo da cui dipende il regime dell'esecuzione della
condanna che sta scontando. Dato l'esiguo numero dei corsi di scuola superiore attivati
al momento della redazione dell'Ordinamento penitenziario e del regolamento di
esecuzione del 1976, queste ultime ripercussioni sono state inevitabili per molti! Gli
studenti in possesso dei requisiti scolastici necessari per proseguire gli studi dovevano
valutare se e quanto era per loro conveniente perseguire una meta scolastica
addossandosi il peso di conseguenze tanto gravi. In quelle condizioni, la scelta di
proseguire gli studi non poteva essere libera come avrebbe dovuto e solo con la Circ.
Min. del 24 aprile 1989 – che ha previsto la presenza in ogni regione di almeno un
istituto penitenziario in cui fosse attivo un corso di scuola media superiore - l'aspirante
studente detenuto ha potuto continuare il proprio percorso scolastico trasferendosi in un
istituto non troppo distante da quello in cui si trovava, mantenendo i propri contatti
affettivi esterni e continuando a "dipendere" dallo stesso Tribunale di Sorveglianza.
Il penultimo comma dell'articolo 19 dell'Ordinamento penitenziario riguarda i corsi
universitari. L'utilizzazione del verbo "agevolare" potrebbe essere indice della minore
importanza a livello trattamentale attribuita dal legislatore ai corsi universitari rispetto a
quelli di istruzione primaria e secondaria superiore ma è necessario tenere conto del
momento storico in cui la legge 354/75 fu elaborata.
In base alla normativa penitenziaria l’unico modo che il condannato aveva per poter
uscire dal carcere era quello di ottenere un permesso ex art. 30 O.P.38, concessa solo per
l’"imminente pericolo di vita" di un familiare.
L'istituto del permesso premio,invece, introdotto dalla legge Gozzini n. 663 del
1986 ha ampliato gli strumenti premiali e di sostegno previsti dall'articolo 30 ter O. P.
poiché da un lato incentiva il condannato - attraverso il meccanismo della premialità - , a
tenere un atteggiamento di maggiore “favor” verso l'osservanza delle norme che regolano
la vita in carcere, dall'altro svolge una funzione special preventiva, contribuendo a
mantenere vivi gli interessi affettivi, culturali e lavorativi del condannato . Il medesimo
può essere concesso solo ai detenuti in regime di esecuzione della pena, vista la funzione
"pedagogico-propulsiva" riconosciutagli e può essere richiesto dal detenuto allo scopo di
coltivare i propri interessi culturali, consentendogli di poterne fruire anche per motivi di
studio universitario, al fine di sostenere l'esame preparato.
L'art. 19, ultimo comma impegna l'amministrazione penitenziaria a favorire
"l'accesso alle pubblicazioni nella biblioteca, con piena libertà di scelta delle letture",
impegno già previsto dagli articoli 12 e 18 comma 6 O. P. 40.
Come già accennato un problema che ha sempre ostacolato la formazione scolastica dei
detenuti è la loro frequente mobilità. La condizione di detenuto o internato sottopone
spesso il soggetto a trasferimenti da lui non richiesti. Il problema risente del concetto di
istruzione come contemplata nel testo dell'Ordinamento penitenziario del '75 come
esclusivo elemento del trattamento e non come diritto sancito a chiare lettere dalla
Costituzione e solo nel DPR 230/ 2000 vengono riservate le dovute attenzioni in merito
ai trasferimenti degli studenti sia sotto l'aspetto trattamentale che pratico. Tali
trasferimenti possono essere disposti per motivi diversi, che vanno da quelli disciplinari a
quelli per necessità amministrative o di sicurezza, come nel caso degli sfollamenti. In
passato tali spostamenti si attuavano senza attribuire la giusta considerazione al fatto che
un detenuto stesse frequentando un corso scolastico. In tale situazione poteva avvenire
che:
1. lo studente doveva interrompere il proprio anno scolastico proseguendolo nel nuovo
istituto;
2. più frequentemente, lo studente doveva interrompere definitivamente l'anno
scolastico iniziato.
La disposizione ex art. 42 Reg. esec. 1976 al secondo comma, indicava un ulteriore
requisito per l'ammissione di uno studente detenuto ai corsi di istruzione secondaria
superiore: il residuo pena dell'aspirante studente doveva essere almeno pari alla durata di
un anno scolastico. Se con questa disposizione è stato riconosciuto che i corsi scolastici
potevano essere realmente proficui sotto l'aspetto prettamente istruttivo solo nei
confronti di coloro che potevano completare almeno un anno scolastico, sembra
impossibile che non sia stata prevista per molto tempo alcuna garanzia per gli studenti
detenuti di terminare l'anno scolastico intrapreso nell'istituto in cui questi soggetti
potevano essere trasferiti!
L'Ordinamento penitenziario del '75 si proponeva di coinvolgere anche la
comunità esterna nelle attività culturali. Tale contributo poteva e può essere offerto sotto
forma di attività di volontariato oppure di attività istituzionalizzate. Gli istituti
penitenziari, al fine di promuovere le attività culturali devono dotarsi di idonee
attrezzature (art. 27 comma 1 O.P.) che sono gestite dai detenuti, attraverso i loro
rappresentanti (art. 27 comma 2 O. P.), con la cooperazione dei volontari.
L’'art. 15 O. P. primo comma pone però una distinzione tra “istruzione” e “attività
culturali”, prevedendo che il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi
principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive. La
conseguenza di tale distinzione sembra quindi escludere l'istruzione per coloro che non
sono stati condannati "definitivamente" ma lascia libertà di scelta se intraprendere o
meno altri tipi di attività. Con il D.P.R. n. 230/2000, il nuovo regolamento di esecuzione
si è posto il target di delineare una visione nuova del regime trattamentale: favorire la
convivenza del detenuto con il resto della comunità reclusa con cui vive coattivamente il
suo presente ma soprattutto prepararlo e mantenerlo in contatto con la comunità esterna,
annientando il più possibile la peculiarità di "separarlo dal mondo". A tal fine
prioritario – oltre che irrinunciabile - per l'obbiettivo di riuscire ad "aprire il carcere"
verso l’esterno è la presenza del volontariato e del terzo settore nelle attività carcerarie di
tipo ricreativo, culturale e formativo.
Il nuovo testo regolamentare del 2000 rivela l'intenzione di aumentare tempi e
spazi da dedicare all'ampliamento ed al miglioramento delle opportunità culturali. A tale
scopo è avvenuto un coordinamento tra il Ministero delle Giustizia, il Ministero della
Pubblica Istruzione e le Regioni teso a facilitare l'attivazione dei corsi di scuola
dell'obbligo in tutti gli istituti penitenziari, prevedendo l'attivazione di almeno un corso
di scuola secondaria superiore in ogni regione ed infine pensando concretamente al
modo di facilitare il compimento degli studi universitari in carcere.
In ossequio all’idea di non tralasciare nulla nella trattazione di siffatto argomento, la
disamina degli articoli riguardanti l’istruzione continua con il DPR 230/2000 a partire
dall’ art. 40 che prevede la possibilità di autorizzare il detenuto a tenere nella propria
cella gli strumenti quali "computer, lettori di nastri e cd portatili", a lui necessari per fini di
lavoro o studio, palesando ulteriormente la nuova concezione dell'istruzione seguita
nel Regolamento del 2000: un'istruzione libera, degna di essere facilitata in tutte le
possibili forme, compatibilmente alle esigenze di sicurezza imposte
dall'ambiente carcerario.
L'art. 41 del DPR 230/2000 è dedicato alla disciplina dell'istruzione a livello di
scuola dell'obbligo. In merito a tali corsi è stata confermata la necessità di opportune
intese tra il Ministero della Pubblica Istruzione ed il Ministero della Giustizia ed è stato
individuato, nel protocollo d'intesa, il provvedimento amministrativo con cui tali intese
devono essere concordate (art. 41 comma 1-2 reg. esec. 2000)42. Il medesimo, al comma
4, affronta anche lo spinoso problema dei trasferimenti prevedendo che, qualora la
direzione dell'istituto reputi opportuno proporre il trasferimento di un detenuto studente,
deve acquisire ed unire alla proposta di trasferimento il "parere degli operatori
dell'osservazione e trattamento e quello delle autorità scolastiche". Il trasferimento dovrà
effettuarsi, per quanto possibile, nel rispetto della "qualità di studente" del soggetto
trasferito, così da permettergli di continuare il corso di studi intrapreso, terminando
l'anno scolastico e perseguendo quella continuità didattica necessaria per completare il
ciclo di studi intrapreso. Qualora il trasferimento venga disposto, dovrà essere sempre
motivato. L'art. 83 del Regolamento d'esecuzione 2000, al comma nove, disciplina inoltre
l'ipotesi, del resto frequente nella prassi, in cui sia disposto un trasferimento collettivo.
Nel caso di trasferimenti collettivi per esigenze di sovraffollamento è stata prevista
l'esclusione dal provvedimento di trasferimento di quei detenuti o internati che stanno
frequentando attività trattamentali come il lavoro, l'istruzione e la formazione
professionale.
Nell’art. 42 del DPR 230/2000 si tratta dei corsi professionali. Già l’art.35 Cost.
al primo e secondo comma, fanno chiaramente riferimento alla formazione di base che il
cittadino – lavoratore deve acquisire per poter entrare nel mondo del lavoro. Con questa
ulteriore possibilità il legislatore vuole favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti
minori ed adulti per ridurne il rischio di rientro nel circuito dell’illegalità. Molte regioni
d’Italia disattendono purtroppo questa possibilità: in Campania,per esempio, il welfare è
diventato un lusso insieme al rispetto delle Istituzioni Statuali e dei cittadini, compresi quelli privati delle
libertà personali; diritti costituzionalmente riconosciuti e sostanzialmente negati.
L'art. 43 del DPR 230/2000 si occupa dei corsi di istruzione superiore. È ribadita
la dislocazione, all'interno degli istituti penitenziari, attraverso protocolli d'intesa, di
succursali di scuole del suddetto grado presenti all'esterno, garantendo l'attivazione di
almeno uno di questi corsi in ogni regione. Nel caso di una mancata attivazione a livello
istituzionale di detti corsi, è prevista la possibilità di colmare tale inefficienza con
l'intervento del personale volontario45. Gli insegnanti volontari sostengono e seguono
gli studenti detenuti durante la preparazione annuale degli esami, all'uopo previsti per tali
corsi di studio e che i detenuti sosterranno poi da privatisti. Il personale docente statale
può essere autorizzato ad accedere al carcere ex artt. 17 e 78 O.P.46, similiter alle
autorizzazioni in uso per i volontari, riaffermando in tal modo l'importanza dell'apporto
rieducativo da parte della comunità esterna all'azione di reinserimento dei detenuti, in
conseguenza del contributo fondamentale riconosciuto alla partecipazione. Il
coinvolgimento della comunità esterna deve essere coordinata con le attività di
reinserimento dalla direzione dell'istituto di concerto con i servizi sociali, che insieme ne
curano la partecipazione e le forme.
In merito agli studi universitari, la nuova regolamentazione ha introdotto rilevanti
modifiche dedicando l'articolo 44 del medesimo documento interamente a questa
materia. Tale articolo prevede che gli studenti universitari, per quanto possibile, siano
ubicati in luoghi adatti allo svolgimento dello studio e sia allestito un ambiente dove essi
possono incontrarsi tra loro e con i docenti universitari. Inoltre è prevista anche per gli
studenti universitari la possibilità di tenere nella propria cella e nei locali destinati allo
studio, libri e strumenti didattici necessari a tale attività.
All'art. 45 del DPR 230/2000 sono stati confermati i benefici economici per gli
studenti detenuti che frequentano i corsi di scuola superiore ed universitari, previsti già
nel DPR 431/1976. Agli studenti detenuti che frequentano i corsi di scuola superiore
viene elargito un "sussidio giornaliero nella misura determinata con decreto ministeriale per ciascuna
giornata di frequenza o di assenza non volontaria". Inoltre "nell'intervallo tra la chiusura dell'anno
scolastico e l'inizio del nuovo corso agli studenti è corrisposto un sussidio ridotto per i giorni feriali, nella
misura determinata con decreto ministeriale, purché abbiano superato con esito positivo il corso effettuato
nell'anno scolastico e non percepiscono mercede". È stato inoltre confermato anche il premio di
rendimento annuo per tutti gli studenti che abbiano concluso con profitto il corso
d'istruzione, individuale o collettivo, che hanno frequentato. Tale premio di rendimento
è previsto anche a favore degli studenti universitari che abbiano superato tutti gli esami
previsti per il loro anno. Infine è stato confermato il rimborso delle spese scolastiche
sostenute sia dagli studenti di scuola superiore che dagli studenti universitari, qualora
detti studenti abbiano concluso con profitto il rispettivo percorso scolastico annuo e
versino in disagiate condizioni economiche. La previsione dei benefici economici ricalca
fondamentalmente quella contenuta nell'art. 43 del regolamento di esecuzione del 1976.
È stata così confermata l'intenzione di agevolare la partecipazione degli studenti alle
attività scolastiche senza limitare le attività di lavoro, cercando di essere particolarmente
accorti nei riguardi di coloro che versano in disagiate condizioni economiche e che
hanno manifestato impegno nell'attività scolastica. È stata ribadita anche l'eventualità che
i corsi di formazione professionale e quelli della scuola dell'obbligo possano svolgersi
durante le ore dedicate al lavoro. Tale eventualità è consentita solo nel caso non sia
possibile gestire diversamente il tempo ed i locali (art. 45 comma 2 e comma 5). In tal
caso, i detenuti studenti che frequentano la scuola dell'obbligo, ricevono una mercede
proporzionata al numero delle ore di lavoro effettivamente svolto, sostanziando così il
beneficio economico previsto a loro favore nella doverosità di percepire un "compenso"
per il lavoro prestato e di conservare la possibilità di lavorare nonché quella di andare a
scuola.
L'art. 46 del DPR 230/2000 disciplina l'eventuale esclusione dello studente
detenuto dal corso d'istruzione (o di formazione professionale) cui è stato in precedenza
ammesso. Il primo comma di detto articolo individua la causa che può indurre
l'esclusione dello studente nel caso in cui lo studente detenuto tenga un comportamento che
configuri sostanziale inadempimento dei suoi compiti è escluso dal corso. Il provvedimento di
esclusione dal corso scolastico è adottato dal direttore ma non senza i pareri
indispensabili del "gruppo di osservazione e trattamento e delle autorità scolastiche".
Tale provvedimento deve essere motivato e può essere revocato in qualunque momento,
qualora il comportamento del detenuto o dell'internato sia tale da consentirne la
riammissione al corso (art. 46 comma 2 reg. esec. 2000). I rapporti tra lo studente
detenuto ed i docenti, volontari e non, sono mantenuti senza interruzioni anche nel caso
in cui lo studente detenuto sia sottoposto alla sanzione disciplinare dell'isolamento.

4. La professionalizzazione dell’insegnamento in carcere.

4.1. Le norme.

L’istruzione carceraria non è un fatto recente, ma ha una storia che comincia nell’Italia
post-unitaria della fine dell’Ottocento. Benché nello Statuto Albertino non fosse
contemplato il diritto all’istruzione, negli istituti penitenziari, tuttavia, essa venne
considerata un’attività obbligatoria, perché poteva contribuire alla rieducazione di quei
detenuti la cui condotta era ritenuta, secondo la cultura positivistica dell’epoca, un effetto
delle condizioni di degrado in cui erano cresciuti. Con il T.U. del 5.2.1928 n. 577 (art.
105) - il cui Regolamento generale di esecuzione viene approvato con Regio Decreto del
25.4.1928 n. 1297 sotto forma di Decreto Reale e su proposta dei Ministri della
Giustizia e dell’Istruzione, si parla per la prima volta di “istituzione” o “riordino” delle
scuole elementari nelle carceri e negli stabilimenti penitenziari. È, però, durante il
fascismo, che si prevede l’obbligatorietà di corsi d’istruzione elementare per i detenuti,
tenuti da un pot-purrì di figure soggette allo stretto controllo dei dirigenti penitenziari
costituito da insegnanti, personale sanitario, cappellano ed altri funzionari. L’istruzione,
insieme alla religione e al lavoro, viene considerata un mezzo per recuperare i reclusi ai
valori e alla cultura dello Stato.
Nel R.D. del 18.6.1931 n. 787 (art. 36-139-140 ) - provvedimento che costituisce una
fedele trasposizione delle istanze e dell’ideologia fasciste sul sistema penitenziario, che, di
fatto, rimarrà immutato fino alla riforma del 1975 - si assiste per la prima volta alla
istituzione di scuole elementari per adulti analfabeti, sale di studio e regolazione dell’uso
della biblioteca. I detenuti che non hanno superato i 40 anni di età devono frequentare le
scuole per almeno 2 ore: quelli che hanno superato tale età sono ammessi su loro
richiesta. Lavoro, istruzione civile e pratiche religiose continuavano a costituire i tre
pilastri irrinunciabili della detenzione, ogni altra attività era o severamente proibita o
portava a pesanti sanzioni disciplinari. Aspetti qualificanti del regolamento penitenziario
che portava il nome del ministro Rocco erano: la rigida separazione tra il mondo
carcerario e la realtà esterna, la forte limitazione delle attività consentite in carcere,
l’isolamento dei detenuti all'interno degli istituti carcerari e l’esclusione dal carcere di
qualsiasi persona estranea non inserita nella gerarchia e non sottoposta alla disciplina
penitenziaria, l’obbligo di chiamare i detenuti soltanto con il numero di matricola, la
forte repressione della personalità individuale del detenuto. Il regolamento carcerario
prevedeva punizioni e premi ed elencava dettagliatamente tutto ciò che era vietato.
Erano vietati e puniti il possesso di un mozzicone di matita, la lettura o il possesso di
testi o periodici di contenuto politico mentre i quotidiani e settimanali consentiti
venivano abbondantemente censurati tagliando gli articoli ritenuti non idonei. Era invece
consentito scrivere non più di due lettere alla settimana ai familiari stretti ma non alla
stessa persona .
La fine della dittatura fascista non porta con sé la riforma degli ordinamenti e delle
strutture penitenziarie ereditati dal regime, anzi si verifica una sostanziale impermeabilità
del sistema carcerario alle vicende e ai cambiamenti sociali, politici e culturali che il paese
stava conoscendo. L’istituzione carceraria, negli anni successivi alla seconda guerra
mondiale continuò ad essere diretta secondo il regolamento penitenziario del 1931. La
Costituzione repubblicana si configurò subito come punto di riferimento primario e
gerarchicamente superiore per la legislazione penalistica allora vigente mentre
l’ordinamento penitenziario fu obbligato a dover coesistere con testi normativi
caratterizzati da linguaggi giuridici diversi e contraddittori, concepiti in contesti storico-
politici antitetici.
Il testo costituzionale nella redazione definitiva presenta un articolo, il 27 Cost., che
costituisce il punto di riferimento fondamentale per l’ordinamento penitenziario e che
sancisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato insieme ad un altro, il 34
Cost, che dichiara l’istruzione inferiore … obbligatoria e gratuita. Al legislatore si impone di
creare le condizioni effettive che configurino l’istruzione sia in senso generale - con un
chiaro riferimento anche all’insegnamento nell’art. 33 Cost.- e sia quella da impartire in
carcere, da non intendere più come una coercizione ma come un’opportunità per i
singoli detenuti. L’istanza rieducativa emerse dunque come uno degli aspetti
fondamentali del nuovo ordinamento, frutto di una nuova sensibilità politica e
istituzionale, la rieducazione del condannato si propose come il concetto che meglio
sintetizzava le diverse posizioni e visioni allora presenti: da un lato l’esigenza di
conservazione della giusta risposta al reato in sé, dall’altro lato il bisogno di integrazione
delle masse nel nuovo Stato democratico. A pochi mesi dall’entrata in vigore della
Costituzione Repubblicana, il nuovo Esecutivo con D. L.vo del 7.4.1948 n. 262 ( art. 7)
prevede l’istituzione dei ruoli speciali per insegnanti non di ruolo ma è solo dalla fine
degli anni Cinquanta che cominciarono ad affermarsi importanti spunti sull’idea di
rieducazione del condannato in una prospettiva che potremmo definire limitativa, intesa
cioè a recepire maggiori aperture purché queste non portassero a mutamenti strutturali
del sistema penitenziario. La funzione rieducativa fino a quel momento era stata relegata
ad una posizione del tutto subalterna all’espiazione della pena, in linea con l’operazione
politica che aveva visto la mancata attuazione di molti dei punti più innovativi della Carta
costituzionale. In tale contesto la funzione rieducativa subiva un analogo processo di
limitazione entro i limiti del sistema istituzionale esistente e fino a quel momento
rappresentava dunque una linea di tendenza che però non trovava reale applicazione55.
Con la Legge n. 503 del 1958 si istiuiscono per la prima volta dalla fine della guerra, le
Scuole carcerarie elementari con l’obiettivo di eliminare tra i detenuti l'analfabetismo e il semi-
analfabetismo, ma specialmente adempiono ad un altro compito di educazione e di redenzione sociale e
civile, perché costruiscono al recupero sociale e all'emendamento degli infelici internati negli istituti di
pena" ma anche di garantire la 'rieducazione'.
Nello stesso anno, la legge n. 535 prevedeva la nomina degli insegnanti di scuola
elementare in carcere, istituendo speciali ruoli transitori ai quali si poteva accedere
mediante pubblico concorso, previo corso di specializzazione con obbligo di
permanenza per 5 anni nella sede e solo allo scadere di questo termine si poteva chiedere
il trasferimento al ruolo normale. La durata dell’anno scolastico era fissata in dieci mesi e
non era legata al periodo di funzionamento dell’anno normale . L'amministrazione
penitenziaria, servendosi di personale docente di ruolo o precario, individuato dai
Provveditorati agli Studi, grazie a questo strumento è riuscito ad organizzare, nel corso
degli anni, una serie di strutture scolastiche come scuole elementari, corsi popolari 57,
centri di lettura, corsi di orientamento musicale, scuole medie, un istituto tecnico per
geometri (ad Alessandria) e un istituto di scienze sociali a carattere universitario (presso
le carceri giudiziarie di Trento).
Il ruolo di insegnante era ricoperto, come prevedeva la legge n. 535 del '58, in modo
"speciale e transitorio" da coloro che si trovavano in una condizione lavorativa precaria,
nell’attesa di impiego stabile nella scuola pubblica. Erano spesso esasperati sia dal
contesto in cui lavoravano che dalla scarsa abitudine allo studio, propria della maggior
parte degli studenti detenuti, aggravata dalle difficili condizioni in cui tali soggetti erano
costretti a studiare (celle sovraffollate e scarsi nonché poco accessibili strumenti di
studio).
Con gli anni Sessanta si fece più pressante l’idea pedagogica nella visione del sistema
penale che tendeva così a diventare più preventivo che repressivo. Un ruolo
fondamentale ebbero in tal senso da un lato l’accresciuto benessere materiale del Paese
che rendeva oramai stridenti le contraddizioni con le condizioni di vita disumane
presenti nelle carceri italiane, dall’altro la maggiore influenza della cultura penitenziaria
europea. Le tesi di rieducazione e risocializzazione del detenuto attraverso un processo
di “umanizzazione” del diritto penale, uniti allo studio scientifico della personalità del
delinquente, trovarono nella cultura europea un sostrato fertile e un’accoglienza cui la
cultura penale italiana non poteva rimanere estranea. A ciò si aggiunga il successo delle
tesi della “Nouvelle défense sociale” di Marc Ancel e Filippo Gramatica che ebbe un
ruolo fondamentale in un contesto orientato a farsi carico dei problemi della marginalità
sociale.
I ruoli transitori furono soppressi con legge 3.2.1963 n. 72 con l’istituzione di nuovo
ruolo detto “Ruolo speciale per l’insegnamento nelle scuole elementari presso le carceri e
gli stabilimenti penitenziari”. Questa innovazione ha contribuito a rendere maggiormente
efficace l'attività di istruzione negli istituti penitenziari contribuendo a gratificare gli
insegnanti nel loro impegno didattico all'interno delle carceri.
Nella C.M. del 7.8.1972 n. 237 viene chiarito che le scuole elementari che funzionano
presso le carceri e gli stabilimenti penitenziari debbono accogliere esclusivamente adulti
(superiori anni 18 ) a cui saranno assegnati insegnanti di ruolo o non muniti del
prescritto titolo di specializzazione; anche negli istituti costituenti i centri di rieducazione
per minorenni ai sensi dell’art. 1 L. 25 luglio 1956, n. 888 - 60 debbono funzionare classi
differenziali di scuole elementari affidate ad insegnanti appartenenti al ruolo normale, di
ruolo o non, in possesso dei seguenti titoli: diploma di fisiopatologia e diploma
conseguito al termine del corso di specializzazione per gli aspiranti all’insegnamento
negli istituti di rieducazione per minorenni.
La novità della legge del 26.7.1975 n. 354 -ma ancor più del relativo regolamento di
esecuzione - è che fu emanata di concerto con il M.P.I. . In modo particolare è proprio
nell’art. 39 del D.P.R. n. 431 del 29.4.1976
che il M. P. I. d’intesa con il Ministero della giustizia impartisce direttive agli organi
periferici della pubblica istruzione per l’organizzazione di corsi a livello della scuola
dell’obbligo. Colpisce anche come strettamente connessa con la normativa penitenziaria
riformata sia la successiva produzione amministrativa dell’anno 1977. Gli anni Settanta
lasciano un’ eredità normativa di un livello che difficilmente era stato raggiunto anche in
altri campi, segno di un Paese che - pur tra le mille difficoltà di quegli anni - si muoveva
ancora nella direzione indicata dai Padri Costituenti e che cercava di potenziare
l’istruzione dei propri cittadini ad ogni livello, offrendo delle opportunità al singolo
individuo temporaneamente detenuto, nella prospettiva del suo reinserimento nella
società.
I corsi scolastici istituiti negli istituti penitenziari non dovevano più avere carattere
speciale rispetto a quelli delle scuole pubbliche, ai cui programmi d’istruzione dovevano
adeguarsi. Due Circolari ministeriali assimilano i corsi d’istruzione elementare e media e
quelli di alfabetizzazione attivati in carcere ai corsi per adulti che si tengono nella scuola
pubblica e prevedono le condizioni per sostenere gli esami.
Altro periodo particolarmente proficuo per l’istruzione e la formazione riguardante la
scuola in carcere sono gli anni ’80 del XX secolo, sull’onda lunga di quella che era stata la
rivoluzione della legge 354/75. Nel cespite normativo di quegli anni troviamo non solo
l’attenzione verso la qualità professionale del docente ma anche al valore pensionistico
del servizio prestato in carcere, ai luoghi in cui svolgere le lezioni, alle sedi presso cui
svolgere l’attività d’esame. Cominciano a funzionare le scuole elementari presso gli
istituti penitenziari per adulti. Si ritrova “in nuce” il concetto di “lavoro in rete” quando
si parla di “riunione dei docenti con gli operatori carcerari e delle modalità di acquisto di materiali e di
sussidi didattici”. Iniziative per qualificare il servizio scolastico si susseguono fino alle
soglie degli anni ’90 del XX secolo con il precipuo intento di formare ed aggiornare
costantemente i maestri degli istituti penali. Vengono istituiti i primi corsi di
alfabetizzazione nell’a. s. 1980/1981 insieme ai corsi statali sperimentali di scuola media
per lavoratori. Nell’ambito dell’istruzione penitenziaria, il medesimo anno scolastico
vede l’istituzione di corsi di scuola media presso istituti penali e minorili; si stabilisce la
formula organizzativa dei corsi che consentono di accedere ai lavori esterni,che devono
accogliere non più di 12 alunni.
In concomitanza con la ripresa dell’interesse verso i minori nel periodo a cavallo tra la
prima e la seconda parte degli anni ’80, l’emanazione di importanti provvedimenti in
ambito di diritto minorile quali il D.P.R. 22/09/1988 N.448 e D.Lgs 28/07/1989 n.272
fu preceduta in ambito scolastico dall’emanazione di un congruo numero di atti
concernenti soprattutto il potenziamento della presenza scolastica negli istituti penali
minorili .
Il legislatore degli anni novanta si è ulteriormente impegnato a riformare l'esecuzione
penale valorizzando il principio rieducativo della pena sotto una duplice dimensione: da
un lato potenziando la "non desocializzazione" del condannato, dall'altro
promuovendone la socializzazione positiva.
Tra il 1993 ed il 1997 si potenzia il concetto di EDA – educazione degli adulti e di
LLL – Life long learning (Educazione continua durante tutta la vita) – non solo con
l’utilizzo del tradizionale corso di scuola elementare e media ma introducendo in modo
nuovo ed innovativo corsi di addestramento e formazione professionale e corsi post –
qualifica (questi ultimi una vera novità nel panorama dell’istruzione penitenziaria) di un
certo livello, talvolta cofinanziati anche dall’Unione Europea, in taluni casi, corsi di
istruzione secondaria ed un implemento per lo studio universitario.
Con il Nuovo Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario del 2000 -
D.P.R. del 30.6.2000 n. 230 - viene confermata la considerazione dell’istruzione come di
un diritto riconosciuto, al pari di quello al lavoro e ad altre attività, al detenuto in quanto
cittadino che temporaneamente si trova in stato di detenzione. L’esercizio di tale diritto
viene inserito nel "trattamento" rieducativo al fine del reinserimento nella società. I corsi
di istruzione a livello di scuola dell’obbligo sono curati dai competenti organi
dell’amministrazione scolastica per l’organizzazione didattica e lo svolgimento dei corsi:
- il Ministero della pubblica Istruzione, previe intese con il Ministero della Giustizia,
impartisce direttive agli organi periferici della pubblica istruzione per l’organizzazione di
corsi a livello della scuola d’obbligo;
- il dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale, sulla base di richieste delle direzioni degli
Istituti Penitenziari e dei dirigenti scolastici, concerta con il provveditore regionale
dell’amministrazione penitenziarie, la dislocazione ed il tipo dei vari corsi a livello della
scuola d’obbligo da istituire nell’ambito del provveditorato, secondo le esigenze della
popolazione penitenziaria;
- le direzioni degli istituti, oltre a fornire i locali, curano che venga data adeguata
informazione ai detenuti e ne favoriscono l’ampia partecipazione;per lo svolgimento dei
corsi e delle attività integrative dei relativi curricoli può essere utilizzato il contributo
volontario di persone qualificate, le quali operano sotto la responsabilità didattica del
personale scolastico; in ciascun istituto penitenziario è costituita una commissione
didattica, con compiti consultivi e propositivi e formula un progetto annuale o
pluriennale di istruzione.
Infine, la Direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione, n. 22 del 6 febbraio
2001, ribadisce la necessità di realizzare percorsi individuali di alfabetizzazione in quanto
strumenti di promozione sociale destinati ai soggetti deboli, tra i quali i detenuti. Da
allora nessun passo ulteriore in avanti è stato più fatto nella considerazione del diritto
allo studio come diritto eguale per tutti e da tutti esigibile, indipendentemente dal
trattamento rieducativo intrapreso dal singolo ristretto. Un diritto che non dovrebbe
essere sottoposto alla discrezionalità dell’amministrazione carceraria, ma fruibile,
indipendentemente da qualunque carattere premiale, da tutti coloro che ne fanno
richiesta!
4.2 L’habitus del docente nella scuola dell’istituto penitenziario.

Per i docenti l'esperienza 'dentro' è soggettivamente arricchente, sia nell'aspetto


professionale, sia in quello delle relazioni umane.
L’insegnante che entra in carcere acquisisce col tempo il valore intrinseco del suo
operare, che non è esclusivamente una trasmissione di conoscenze, ma la difficile,
quotidiana ricerca di come poter sviluppare le potenzialità nascoste, soppresse, spesso
mai coltivate, nei suoi studenti reclusi. Spesso si trova di fronte a un ambiente
multietnico, difficile, sia per il livello culturale degli studenti, sia per la condizione
psicologica indotta dalla restrizione, nel quale molto deve inventare e creare per suscitare
interesse e partecipazione, per rimuovere abitudini consolidate e per sviluppare fiducia in
se stessi. Quando riesce in tutto questo, trova sempre, nelle sue classi, persone che
inizieranno nuovi percorsi di vita, attraverso le esperienze proposte a scuola e vissute
come occasioni di stimolo. In questa prospettiva la scuola diventa una fonte di crescita
anche per la figura dell’insegnante, che, meno delimitato da rigide programmazioni, può
riuscire, valorizzando gli studenti secondo le sue competenze, a rivalorizzare anche se
stesso.
Le variabili che determinano il successo della scuola in ambito penitenziario sono anche
altre: gli input della Direzione – penitenziaria ma soprattutto scolastica -, la ‘cura’ e la
passione del dirigente scolastico, il supporto degli educatori penitenziari74, la
collaborazione degli agenti di polizia penitenziaria che devono poter costituire un gruppo
stabile e sensibilizzato, anche a seguito di una formazione congiunta con personale di
area pedagogica.
La scuola è la prima fonte di emancipazione e volano di riscatto, soprattutto nei
confronti dei troppi che, privi di diploma di scuola primaria di secondo grado nel loro
vissuto non hanno più intercettato opportunità educative.
L'insegnamento in carcere è quindi peculiare come la diade educativa che si viene a
costituire: docente (adulto) / studente (adulto) ma limitato nella libertà: studente
in primis perchè la detenzione è uno stato transitorio! Ne consegue l'obbligo della
costante formazione del corpo docente, l’obbligo di una deontologia professionale che
accanto alla conoscenza di quelli che possiamo chiamare ‘i ferri del mestiere’ possegga
una salda competenza pedagogica che si avvale non solo della intenzionalità personale
ma anche di importanti attitudini quali saper apprendere, essere aperto, essere persona
creativa, sapersi assumere i rischi presenti in questa relazione, tollerare le frustrazioni,
disponibili al cambiamento, avere la capacità di interpretare i bisogni formativi, saper
indagare impostando una buona ‘pedagogia della domanda’ ed una precisa ricerca –
azione, saper osservare ma anche impostare una relazione auto osservante che lo
coinvolga insieme all’osservato utilizzando giusti strumenti e tecniche, sappia lavorare in
gruppo, sappia far capire quanto la vita intersechi in ogni momento la strada
dell’istruzione e della formazione, fondamentali per farci assumere quelle competenze e
quelle capacità che servono ‘oltre le sbarre’, per la vita .
I docenti potrebbero anche scegliere questo inedito percorso e non essere catapultati ex
abrupto in una realtà sconosciuta ai più o percepita come unicum stereotipato e potrebbero
fare molto di più se:
1. la scuola non fosse intesa dall'istituzione penitenziaria come interferenza ovvero annullamento
di azioni positive dovute alla presenza di forze della medesima carica - anche se
finalizzate al miglioramento della situazione corrente - ma come inferenza di positività
dsll’esterno ;
2. se riuscisse davvero ad intercettare la potenzialità rappresentata dalla massa delle
persone detenute proponendo un'offerta formativa accattivante più che stimolante;
3. se incidesse maggiormente nell'organizzazione complessiva dello spazio-tempo recluso
interloquendo con tutti i soggetti coinvolti, per legge, nella definizione delle attività
culturali e formative.
Fabio Geda, attualmente docente di ruolo in carcere a Torino, racconta la sua
esperienza didattica quotidiana:
“Da un punto di vista didattico, la nostra la chiamano didattica breve.
Io direi una didattica fulminea. Quasi istantanea. Devi cogliere l’attimo.
Negli anni ho messo da parte un sacco di schede, soprattutto di lingua. Se li trovo in una giornata buona,
i ragazzi, corro a fare qualche fotocopia e via una scheda via un’altra. Oggi ci sono – domani? Oggi
sono nervosi – domani? Oggi è arrivato un rinnovo di pena, domani, forse, una scarcerazione.Un
maestro, in carcere, non ha certezze. Allontana la speranza della continuità e la sostituisce
con un’osservazione costante, con la fantasia, la duttilità. Un maestro in carcere deve affinare
l’arte dell’ascolto.
Un maestro in carcere dev’essere in grado di raggiungere tutti i ragazzi, ma proprio tutti, anche quello
più indifferente e sdrucciolevole, quello più spavaldo e arrogante e persino provocatore, che sfida, che
disturba; e senza ricorrere ad agenti di custodia, ovvio, ma con la fermezza, autorevolezza, empatia.
Ciò che deve fare, un maestro in carcere, è sostituire la routine con altri percorsi che sappiano catturare
l’attenzione, che facciano sentire i ragazzi in grado di apprendere, e crescere, e mutare. Un maestro,
in carcere, deve scovare quelle risorse nascoste che anche i ragazzi più corazzati nascondono
nel profondo. Un maestro, in carcere, deve sapere attivare quelle risorse. Un maestro, in
carcere, deve aiutare il ragazzo a capire che quelle risorse sono il capitale suo più prezioso,
un capitale che nessuno potrà mai sottrargli. Un maestro, in carcere, deve
accogliere rabbia, disagio, dolore. Un maestro, in carcere, deve credere
comunque nella bellezza, nella bellezza, nonostante tutto. E deve cercarla, anche lì,
anche lì tra quelle mura. La bellezza, in carcere, è la solidarietà. È l’ultima sigaretta rimasta in fondo
al pacchetto e passata tra tutti, un tiro ciascuno, e non saltare nessuno. È il saluto dei ragazzi, la
mattina. È l’effetto che ha su di loro entrare in classe, uscendo dall’area di sicurezza, perché così come
l’area di sicurezza li chiude così la classe li libera, svincola i pensieri. La bellezza, in carcere, è un
carotaggio dell’anima; reciproco. (…)
4.3: “Se non speri l’insperato non lo troverai” : lo studente detenuto.
Esistono esempi letterari e mediatici di studenti ristretti, modelli del controllo sociale
esercitato dallo stato del tempo in cui l’opera viene prodotta 80 . Il celeberrimo “Cuore”
di Edmondo D’Amicis, presenta ben due esempi di scolarizzazione di tipo carcerario: il
primo è Franti, il cattivo del libro Cuore, espulso dalla scuola, che finisce invece in galera
per non aver rispettato la bandiera e proprio lì finisce per soggiacere a quelle regole
inumane così ben descritte da Foucault. Nel racconto “Il prigioniero”, viene descritta
dalla viva voce dell’ex detenuto il modo in cui, nel Carcere Delle Nuove di Torino,
venivano impartire lezioni e messe secondo il sistema cellulare -diffuso in diverse carceri
- che permetteva alle persone detenute, di seguire collettivamente le lezioni, senza
infrangere il divieto di incontro.
In periodo fascista con il R.D. del 4.4.1939 n. 721 , si introducono all’ art. 1 le cosiddette
<< case di rieducazione per minorenni>>, destinate ai minori che per abitudini
contratte, o in dipendenza dello stato di abbandono in cui si trovano danno manifeste
prove di traviamento ed appaiono bisognevoli di correzione morale. All’ art. 5 del
medesimo atto si aggiunge che “al sistema di rieducazione partecipa anche la scuola ma in che
modo non è dato sapere.
Dobbiamo aspettare l’avvento della televisione per vedere com’è una “scuola in carcere”,
grazie alle trasmissioni in bianco e nero di Telescuola che,in diretta,erano trasmesse dalla
sede Rai di Roma anche fra le mura del carcere di Rebibbia82 durante le famose
“settimane Incom”.
Non pochi detenuti all'inizio del percorso scolastico vivono la scuola con approccio
strumentale e opportunistico (nella speranza di accedere più facilmente ai permessi premio,
alle misure alternative, in sostanza di avere nel fascicolo personale la certificazione di un
impegno formale). Per fare solo un piccolo esempio,si prenda come riferimento la
statistica dell'anno scolastico 2010-2011: diciottomila detenuti-studenti. Tra questi quasi
3mila hanno frequentato corsi di alfabetizzazione, di solito riservati agli stranieri, 3.800 la
scuola elementare, 5mila le scuole medie e oltre 4mila il liceo. Più esiguo il numero degli
iscritti ai corsi universitari (370 nel 2011), 51 dei quali di origine straniera. L'accesso dei
detenuti alle lezioni è ridotto. I numeri spesso risicati pongono le classi a rischio di
chiusura e anche in penitenziari affollati con un grande bacino di potenziali studenti,
quelli che frequentano sono una minoranza Per lo studente ristretto frequentare
assiduamente la scuola può voler dire rinunciare alla doccia calda, al campo sportivo, a
brevi corsi professionali retribuiti o a lavori interni: infatti,in molti casi, se un detenuto
studia, non può ottenere un lavoro; quando un detenuto, viene obbligato a scegliere è
naturale che scelga il lavoro, una chance rarissima e che non si presenta due volte, in
galera.
C’è chi però non rinuncia alla possibilità di studiare – anche se si tratta di restare nello
spazio angusto di una cella divisa con altri detenuti. A breve i piccoli sacrifici vengono
ripagati con la presa di coscienza che la scuola costituisce uno strumento di emancipazione
e un volano di opportunità. Certo, ogni istituto penitenziario è pianeta unico di una
costellazione non sufficientemente consolidata dall'unicità della normativa, unico per
storia, collocazione territoriale, quantità e qualità di risorse umane e materiali, dialettica e
'rapporti di forza' interni: determinante è il clima che si instaura fra le differenti
componenti.
È notizia recente che addirittura alcuni detenuti hanno conseguito risultati eccellenti agli
esami di idoneità di fine anno del Liceo Linguistico Europeo di Verona per l’anno
scolastico 2011-2012, un esempio di quanto sia importante che gli insegnanti si
connettano con “le reti”: grazie all’impegno degli insegnanti unito alla disponibilità della
Direzione del carcere, si è consentito di rendere il periodo della detenzione un tempo
utile per apprendere, sperimentando la sorpresa di scoprirsi migliori85.
Una testimonianza viva e vibrante sugli studenti detenuti viene da Antonella Cristofaro,
scrittrice ed insegnante di lettere a Rebibbia per scelta, per ritrovare nella scuola in carcere
l’aspetto formativo – a suo dire - quando fuori la scuola è ormai un parcheggio per gli studenti. Chi
segue la scuola in carcere lo fa per scelta, i detenuti vengono da livelli vari di tipo sociale ed istruttivo –
dall’analfabeta al laureato. Nella letteratura e nella metafora dei testi spesso ritrovano se stessi e la loro
esperienza e ne parlano volontariamente, senza ritrosia,. Amano molto leggere Dante – dalla cui opera
sono stati tratti degli spettacoli – ma anche leggere i Promessi Sposi è risultato rivoluzionario.
Ci sono differenze enormi tra lo studente detenuto di sesso maschile e femminile:
nel braccio femminile la docente insegna a donne condannate per reati comuni e
l’ambiente stesso dà maggiore libertà nell’utilizzo dei più svariati supporti didattici
rispetto al braccio maschile- il più duro - anche perché non sembra di stare in carcere. Le donne
vanno a scuola truccate –sottolineando comunque l’ aspetto creativo e la cura esteriore per se stesse, un
modo di reagire diverso rispetto all’uomo che sembra quasi imbarbarirsi.
Di scuola in carcere si parla troppo poco.
Lo studente detenuto la considera una porzione di giornata normale,sta a contatto con
persone che vengono da fuori e considera la letteratura una piccola evasione. C’è uno
scambio continuo di parole che portano non solo all’incontro culturale ma anche alla
realizzazione di una vera e propria “economia della lingua”, con il conio non solo di
nuovi termini ma anche di “parole – concetto” che formano vocabolari veri e propri che
servono non solo per comunicare anche ad umanizzare il posto in cui si vive: per
esempio, le detenute di Rebibbia chiamano il carcere “casanza” , termine che contiene la radice della
parola “casa”, le compagne di cella sono le “coincelline”, chi si occupa di fare la spesa si chiama
“spesina”, ecc … . Si inventano nuove ricette che possono essere cotte semplicemente con le padelle in
mancanza del forno usando tutta una serie di espedienti. Le nomadi sono quelle che sanno di più ed in
carcere hanno una possibilità di riscatto perché sono quelle che sanno vivere in condizioni estreme.

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