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A cura di:

Annagrazia Faraca (CIDIS)


Valentina Chiocchi (CIDIS)
Elisa Marceddu (CERSAG)

Gruppo di progetto:
Alessandro Maria Vestrelli (Regione Umbria)
Eleonora Bigi (Regione Umbria)
Maria Teresa Terreri (CIDIS)
Laura Panella (CIDIS)
Marco Cristofori (CERSAG)
Giada Fioretti (CERSAG)
Sonia Bacci (CERSAG)

2
Ringraziamenti
Ringraziamo tutte le persone e i partner che a diverso titolo
hanno partecipato con grande entusiasmo a questa attività.
Un sentito grazie va dunque alla Regione Umbria, ai dirigenti
dell’ASL Umbria2 e del Centro di Salute Globale Regionale
(CERSAG) per aver promosso questo progetto di ricerca-
azione; agli operatori e alle operatrici socio-sanitari/e, alle
mediatrici culturali, alle operatrici del sistema di accoglienza
per richiedenti asilo e protezione internazionale, agli
studenti e alle studentesse del corso di laurea in
infermieristica presso l’Università degli Studi di Perugia
(sede di Terni) per la loro disponibilità a raccontarsi, per la
loro generosità a condividere le proprie esperienze e per le
ricche riflessioni condivise.

3
Indice

Prefazione 5

Introduzione 7

Le Mutilazioni Genitali Femminili: un fenomeno globale 9

Obiettivi della ricerca-azione 24

Nota metodologica 26

Il campione 31

I risultati della ricerca-azione: analisi quantitativa 32

I risultati della ricerca-azione: analisi qualitativa 50

Conclusioni 76

Appendice 78

Bibliografia 85

4
Prefazione
Le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) sono un fenomeno
globale che coinvolge almeno 200 milioni di ragazze e donne
in molti Paesi e costituiscono una violazione dei loro diritti
fondamentali. L’UNICEF, in un recente rapporto, stima che
altri 68 milioni di ragazze subiranno mutilazioni genitali da qui
al 2030 se non vi sarà una forte accelerazione nell'impegno
per porre fine a questa pratica nociva per la salute psico-fisica
di donne e bambine.
Per quanto in Italia queste pratiche siano vietate, il rischio per
bambine e donne migranti torna alto in caso di viaggi per
vacanze o festività nei loro Paesi di origine e, comunque, in
modo illegale viene ancora praticato anche nel nostro paese.
Una questione così complessa, che intreccia dimensioni
individuali e collettive, sanitarie, culturali e del diritto, non
può essere affrontata se non attraverso un lavoro di squadra,
una riflessione comune di tutti gli attori coinvolti.
La Regione Umbria, al fine di portare avanti un lavoro
progressivo per cercare di migliorare la capacità di tutto il
sistema di prevenzione, promozione della salute e cura, ha
attivato un progetto per poter rispondere alle esigenze delle
donne a rischio di MGF o che già ne stanno vivendo le
conseguenze, e comunque di aumentare le conoscenze del
fenomeno, e la cultura su questo gravissimo problema
globale.
Consapevoli che la strada è ancora lunga abbiamo cercato di
essere guidati dai dati e dalle stime a disposizione, dalle
evidenze e dalle buone pratiche sperimentate finora.

5
Il tutto attraverso una formazione capillare del personale
sanitario e sociale, sia delle AUSL che dei Comuni della nostra
regione, nonché dei mediatori culturali e di tutti coloro che
per vari motivi hanno o possono avere contatti con il
fenomeno.
Questo lavoro è frutto di una indagine epidemiologica
preliminare, di workshop mirati a cui hanno conseguito
Focus-Group e una approfondita analisi qualitativa.
È stato affrontato anche il tema della comunicazione e sono
stati prodotti materiali divulgativi, on line e cartacei, per tutti
i punti di interesse.
Un lavoro multisettoriale a 360 gradi che non copre
ovviamente tutte le esigenze necessarie per affrontare
questo problema ma sicuramente è una strada aperta ad
attività future con una consapevolezza aumentata e un
linguaggio comune.

Luca Coletto
Assessore alla Salute e Politiche Sociali
Regione Umbria

6
Introduzione

Le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) riguardano tutte le


procedure che comportano l’asportazione parziale o totale
dei genitali esterni femminili o altre lesioni dei genitali
femminili praticate a scopi non terapeutici. Si conoscono vari
tipi di mutilazioni genitali femminili con diversi livelli di
gravità, di cui la più radicale è comunemente chiamata
infibulazione.
Le MGF rappresentano una grave forma di violenza di genere,
una palese violazione dei diritti della donna e una forma
violenta di subordinazione di donne e bambine, in totale
contraddizione ai principi di uguaglianza di genere. Le
bambine e ragazze che le subiscono sono private della
capacità di decidere sulla propria salute.
Oltre che umilianti, le mutilazioni genitali sono estremamente
dolorose fisicamente e traumatiche a livello psicologico. Le
bambine che vi sono sottoposte possono morire per cause
che vanno dallo shock emorragico a quello neurogenico,
provocato dal dolore e dal trauma, all'infezione
generalizzata. Le MGF causano complicanze a breve, medio
e lungo termine legate soprattutto a patologie
infiammatorie, ostetriche, psico-sessuali e esiti cicatriziali che
condizionano la salute della donna e del neonato.
Le MGF si configurano, quindi, come tradizioni che segnano il
passaggio dall’infanzia all’età adulta, secondo un rito per cui
un’identità di genere, costruita socialmente, darebbe senso
ad un’identità biologica, attraverso la manipolazione fisica
del corpo.
La Regione Umbria spicca per una importante presenza di
cittadini stranieri, registrando un’incidenza a livello regionale
tra le più elevate d’Italia pari al 11,2% (ISTAT 2019) a cui si

7
aggiungono i flussi di richiedenti asilo registrati negli ultimi
anni. Tali evidenze rendono ormai necessario per le istituzioni
e i servizi presenti sul territorio umbro l’attivazione di servizi
capaci di rispondere alle istanze della nuova popolazione
residente e non. In particolare, il trend positivo del fenomeno
migratorio e, parallelamente, di quello proveniente da paesi
con elevata incidenza di MGF, ci indica chiaramente che il
fenomeno necessita, anche nella nostra regione, di una
costante osservazione e di una sempre maggiore attenzione,
soprattutto per quel che riguarda i rischi per le bambine figlie
di donne provenienti dai Paesi a tradizione escissoria.
È alla luce di questa consapevolezza che nasce il presente
progetto di ricerca, formazione e sensibilizzazione sulle
Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) promosso dalla Regione
Umbria in collaborazione con AUSL Umbria2, Centro di Salute
Globale (CERSAG) e CIDIS.

8
Le Mutilazioni Genitali Femminili: un fenomeno globale

Le Mutilazione Genitali Femminili: definizione

Le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) riguardano tutte le


procedure che comportano l’asportazione parziale o totale
dei genitali esterni femminili o altre lesioni dei genitali
femminili praticate a scopi non terapeutici. Si conoscono vari
tipi di mutilazioni genitali femminili con diversi livelli di
gravità, di cui la più radicale è comunemente chiamata
infibulazione.
Le MGF rappresentano una grave forma di violenza di genere,
una palese violazione dei diritti della donna e una forma
violenta di subordinazione di donne e bambine, in totale
contraddizione ai principi di uguaglianza di genere. Le
bambine e ragazze che le subiscono sono private della
capacità di decidere sulla propria salute.
Oltre che umilianti, le mutilazioni genitali sono estremamente
dolorose fisicamente e traumatiche a livello psicologico. Le
bambine che vi sono sottoposte possono morire per cause
che vanno dallo shock emorragico a quello neurogenico,
provocato dal dolore e dal trauma, all'infezione
generalizzata.
Le MGF causano complicanze a breve, medio e lungo termine
legate soprattutto a patologie infiammatorie, ostetriche,
psico-sessuali e esiti cicatriziali che condizionano la salute
della donna e del neonato.
Le MGF sono praticate sulle bambine per espressa volontà e
convinzione della madre, dei genitori e dell’intera comunità,
per una serie di motivazioni relative a:

9
1. Cultura e tradizioni: Le MGF sono considerate una forma
di controllo della sessualità della donna che, secondo la
tale cultura, potrà mantenersi vergine e casta in vista del
matrimonio, che in molte comunità comporta anche
accesso alla terra e quindi alla sopravvivenza. Esiste una
forte pressione sociale dell’intera comunità sulle giovani
generazioni e sulle loro famiglie soprattutto da parte
delle generazioni più anziane.
2. Onore della famiglia e rispettabilità della donna: In alcune
comunità si tende a sostenere la necessità di MGF per
prevenire una incontrollata attività sessuale delle giovani
donne, al fine di tutelare gli uomini e l’intera comunità da
una vita sessualmente dissoluta.
3. Igiene ed estetica: La rimozione, più o meno radicale,
delle parti esterne dei genitali femminili rende la donna
più bella da un punto di vista estetico e più pulita da un
punto di vista igienico, un concetto di bellezza cui è
associato un significato più profondo di purezza
spirituale.
4. False credenze di ordine sanitario: In alcune comunità si
crede inoltre che la mutilazione favorisca la fertilità della
donna e la sopravvivenza del bambino durante la
gravidanza, facilitando il parto e curando certe malattie e
disturbi.
5. Richieste della religione: Alcune comunità credono che le
MGF siano indispensabili per rendere le giovani donne
pure spiritualmente. In alcune realtà musulmane, inoltre,
si tende a credere che il Corano prescriva tali pratiche.
Non risultano, però, tali prescrizioni in alcun testo sacro.
6. Livello di istruzione materna: L’UNICEF (2016) rileva la
connessione tra il grado di istruzione materna e la

10
probabilità che una figlia possa subire MGF. Nei 28 Stati
di cui vengono presentati dati, circa 1 su 5 fra le figlie di
donne analfabete è stata sottoposta a MGF: la media
scende a 1 su 9 tra le figlie di donne che avevano
frequentato almeno la scuola secondaria inferiore.

Le MGF si configurano, quindi, come tradizioni che segnano il


passaggio dall’infanzia all’età adulta, secondo un rito per cui
un’identità di genere, costruita socialmente, darebbe senso
ad un’identità biologica, attraverso la manipolazione fisica
del corpo. Ad eseguire le mutilazioni sono essenzialmente
donne, generalmente anziane, il cui servizio viene
considerato di elevato valore e status sociale, da remunerare
lautamente.

Il contesto legislativo: Convenzioni internazionali e riferimenti


normativi
Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile adottati dalle Nazioni
Unite nel settembre 2015 contemplano, fra gli altri,
l'eliminazione entro il 2030 di pratiche intollerabili come le
MGF e i matrimoni precoci.
Secondo gli ultimi dati diffusi dall’UNICEF (2016), circa due
terzi degli uomini e delle donne, nei paesi in cui le MGF sono
comuni, affermano di volervi porre fine e si dicono contrari
alla reiterazione di questa pratica nelle loro comunità.
Oltre a ciò, ci sono anche esempi di un crescente slancio e
impegno per porre fine alle MGF in diversi Paesi che hanno
varato leggi che vietano le MGF e che hanno consentito
accesso a servizi di protezione, prevenzione e cura dalle MGF.

11
Dal 2014 al 2017 il numero di MGF praticate su adolescenti tra
i 15 e i 19 anni di età è diminuito in 10 dei 17 Stati che hanno
aderito al programma contro le MGF promossi da UNICEF e
United Nations Population Fund - UNFPA (UNICEF, 2016).
L’Italia è stato uno dei paesi sostenitori della risoluzione
dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite 67/146 di messa
al bando universale delle MGF adottata nel dicembre 2012.
L'Italia ha ratificato diverse convenzioni internazionali che
condannano le MGF, tra cui la Convenzione del Consiglio
d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei
confronti delle donne e la violenza domestica (nota anche
come Convenzione di Istanbul), il primo trattato regionale
che riconosce l’esistenza delle MGF in Europa e l’esigenza di
affrontare questa problematica in maniera sistematica,
aumentando ed implementando le misure preventive, di
protezione e sostegno alle donne e alle ragazze, rivolgendosi
alle comunità coinvolte, alla cittadinanza in generale e a
coloro che lavorano nei settori interessati. Viene inoltre reso
esplicito l’obbligo di protezione (AIDOS, 2018).
Dal 2006, la legge n. 7 del 9 gennaio stabilisce disposizioni
specifiche per affrontare il problema delle MGF. Viene
applicato il principio dell’extraterritorialità, criminalizzando la
pratica anche quando è commessa all’estero. A seguito di tale
normativa, sono state emanate nel 2007 dal Ministero della
Salute le Linee Guida destinate alle figure professionali
sanitarie nonché ad altre figure professionali che operano
con le comunità di immigrati provenienti da paesi dove sono
effettuate le pratiche di MGF per realizzare una attività di
prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle
bambine già sottoposte a tali pratiche.

12
La legge 119 del 2013 “Disposizioni urgenti in materia di
sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”,
stabilisce che il permesso di soggiorno potrà essere rilasciato
anche alle donne straniere che subiscono violenza, lesioni,
percosse, maltrattamenti in ambito domestico, incluse le
MGF. La legge prevede un Piano d’Azione Nazionale, il Piano
straordinario contro violenza sessuale e di genere, che è stato
adottato il 25 agosto 2015. Il Piano segue l’approccio della
Convenzione di Istanbul nel contrasto a tutte le forme di
violenza contro le donne, incluse le MGF e il matrimonio
precoce. Nel 2018 sono state pubblicate le Linee guida1
rivolte agli operatori dei Cpsa (Centri di primo soccorso e
accoglienza), dei Cda (Centri di accoglienza) e dei Cara (Centri
di accoglienza per richiedenti asilo), per il riconoscimento
precoce delle vittime di MGF o altre pratiche dannose, il cui
obiettivo è stato quello di fornire delle indicazioni agli
operatori impegnati nell’accoglienza dei richiedenti asilo su
come comportarsi di fronte a presunte vittime di MGF,
matrimoni forzati o altre pratiche dannose, e su come
promuovere il loro accesso a risorse adeguate e sicure e alla
protezione internazionale per ragioni legate alla violenza
subita.

Diffusione delle MGF: il contesto internazionale


Si stima che in nel mondo il numero di donne che convivono
con una mutilazione genitale siano circa 125 milioni. Dati gli
attuali trend demografici, possiamo calcolare che ogni anno

1 A cura di Associazione Parsec Ricerca e Interventi Sociali, Coop. Soc.


Parsec, Università di Milano-Bicocca, A.O. San Camillo Forlanini, Nosotras
Onlus e Associazione Trama di Terre.
13
circa tre milioni di bambine sotto i 15 anni si aggiungano a
queste statistiche (UNICEF, 2016).
Le MGF sono diffuse prevalentemente in 29 paesi africani,
mentre una quota decisamente minore vive in paesi a
predominanza islamica dell'Asia.

Figura 1 Paesi in cui sono praticate MGF e livello di prevalenza

In alcuni Stati africani l'incidenza del fenomeno rimane


altissima, toccando il 90% della popolazione femminile
(Somalia 98%, Guinea 97% e Djibouti 93%). In molti altri, invece,
le mutilazioni riguardano una minoranza. La diffusione è
molto disomogenea a seconda delle etnie che vi abitano, del

14
livello di urbanizzazione, del livello di istruzione delle donne
stesse (UNICEF, 2019).

Figura 2 Percentuale di donne e bambine dai 15 ai 49 anni di età che hanno


subito MGF (Fonte UNICEF, 2019)

Si registrano casi di MGF anche in Europa, Australia, Canada e


negli Stati Uniti, soprattutto fra gli immigrati provenienti
dall'Africa e dall'Asia sud-occidentale: si tratta di episodi che
avvengono nella più totale illegalità, e che quindi sono difficili
da censire statisticamente (UNICEF, 2019).
Le MGF vengono praticate principalmente su bambine tra i 4
e i 14 anni di età. Tuttavia, in alcuni paesi vengono operate
bambine con meno di un anno di vita, come accade nel 44%
dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi nel Mali, o persino neonate
di pochi giorni in Yemen (ibidem).

Figura 3 Percentuale di bambine da 0 a 14 anni di età che hanno subito MGF


- dato riferito dalle madri (Fonte UNICEF, 2019)

15
Studi recenti hanno evidenziato un graduale abbassamento
dell’età delle bambine sottoposte a MGF, spiegabile sia dalla
maggiore facilità di occultare queste pratiche laddove sono
proibite, ma anche dalla maggiore facilità di vincere eventuali
resistenze da parte di bambine consapevoli (Ministero della
Salute, 2007). Si è diffusa anche la tendenza alla
medicalizzazione di questo rito e quindi alla pratica di MGF
all’interno di strutture sanitarie ad opera di operatori sanitari,
fattore di rischio questo molto importante in quanto ha reso
la pratica accettabile in alcuni casi, poiché viene percepita
come più igienica e meno dolorosa e pericolosa per la ragazza
(European Institute for Gender Equality, 2018).
A seguito della pandemia da Covid-19, secondo quanto
riportato dall’UNFPA (2020a), si potrebbero avere impatti di
vasta portata sugli sforzi per porre fine alle MGF, con una
ipotizzata riduzione di 1/3 dei progressi verso la fine della MGF
entro il 2030, come stabilito dagli Obiettivi di Sviluppo
Sostenibile dell’Agenda 2030. Pertanto, UNFPA afferma che
a causa delle interruzioni legate alla pandemia nei programmi
di prevenzione, nel prossimo decennio potrebbero verificarsi
2 milioni di casi di MGF che altrimenti sarebbero stati evitati.

Le stime in Italia
In Italia, al 1° gennaio 2019 (ISTAT), risultano residenti
5.255.503 stranieri, di cui 2.718.716 femmine. Il 7% delle donne
residenti, pari a 184.235 persone (172.722 al 1° gennaio 2018;
ISTAT, 2019a), proviene da Paesi a tradizione escissoria, in
particolare, maggiormente rappresentati, sono Nigeria,
Egitto, Senegal e Ghana. Il numero di donne provenienti da

16
questi paesi segue un trend in continuo aumento negli ultimi
anni (+6,6% dal 2018 al 2019).
Sul totale di 64.819 permessi di soggiorno per cittadini non
comunitari rilasciati al 1° gennaio 2019 per motivi di asilo,
richiesta asilo e motivi umanitari (ISTAT, 2019b), il 18% sono
per donne delle quali il 33% provengono dalla Nigeria, seguita,
per quel che riguarda i Paesi a tradizione escissoria, da Ghana,
Senegal ed Egitto. Il numero assoluto di ragazze a rischio
MGF è aumentato in quanto la popolazione totale di ragazze
migranti provenienti dai paesi in cui si praticano le MGF che
vivono in Italia è aumentata (Farina, Ortensi, Menonna, 2016).
L’ultima indagine condotta (Farina et al., 2020) stima in Italia
la presenza, al primo gennaio 2018, di 87.600 donne escisse,
di cui 7.600 minorenni, come riportato in Figura 4.

Figura 4 Stima delle residenti con MGF in Italia al 1 gennaio 2018


(Farina et al., 2020)

17
La proporzione di donne mutilate stimata supera l’80% fra le
maliane, le somale, le sudanesi e le burkinabé, come mostrato
d seguito; altre provenienze non superano invece il 30%.

Figura 5 Prevalenza MGF stimata tra donne maggiorenni e minorenni in


Italia, con indicazione di minorenni a rischio fra le provenienze indicate
(Fonte: Indagine mutilazioni femminili, Università Milano Bicocca e
Dipartimento pari opportunità 2019 – Farina et al., 2020)

In tutti i casi si osserva che il confronto fra maggiorenni e


minorenni mostra una sostanziale riduzione fra le seconde a
conferma di quanto si sta verificando anche nei paesi di
origine. Per quanto riguarda il rischio delle minorenni, si
osservano rischi molto differenziati. Fra le nazionalità ad alta
prevalenza solo le giovani somale corrono rischi elevati di
subire MGF mentre le maliane, sudanesi e burkinabé rischiano
meno delle bambine egiziane.
L’Italia è uno dei paesi che ospita il maggior numero di donne
escisse, in conseguenza di un consistente flusso migratorio
femminile proveniente da paesi ad alta prevalenza di MGF

18
come l’Egitto, la Nigeria, l’Etiopia e il Senegal. Si stima (Farina,
Ortensi, Menonna, 2016) che il numero di donne attualmente
presenti in Italia che sono state sottoposte, durante
l’infanzia, a una forma di mutilazione genitale sia
riconducibile ad un intervallo tra 60.000 e 81.000 persone. Il
gruppo maggiormente colpito è quello nigeriano che,
insieme a quello egiziano, costituisce oltre la metà del
collettivo stimato.
La presenza di un così elevato numero di donne mutilate, di
cui una cospicua parte nell’ambito di flussi di tipo umanitario,
segnala la necessità di implementare sia azioni di assistenza
che di prevenzione. Queste cifre non comprendono, infatti, le
bambine che rischiano di essere sottoposte a MGF che, in
Italia, si stima (European Institute for Gender Equality, 2018)
rappresentino il 15-24% delle ragazze di età compresa tra 0 e
18 anni provenienti da Paesi a tradizione escissoria.
Anche se è dimostrato che in emigrazione tale rischio si
riduce (Farina, Ortensi, 2014), è indubbio che un’azione di
prevenzione a tutela delle bambine e delle donne sia
necessaria e urgente. Secondo un’indagine italiana (ibidem),
infatti, un quarto delle donne immigrate ritiene che la pratica
dovrebbe continuare.

Le stime in Umbria
In Umbria, al 1 gennaio 2019 (ISTAT, 2019c), risultano residenti
97.541 stranieri, di cui il 55,5% femmine, denotando una
femminilizzazione della presenza immigrata che caratterizza
anche i due territori provinciali (Bigi, 2019). Anche se negli
ultimi cinque anni il numero di residenti stranieri in Umbria è
risultato in flessione, la loro incidenza rispetto alla

19
popolazione autoctona, caratterizzata da invecchiamento e
declino demografico, è aumentata e tornata ai livelli del 2013
(11,1%) (ibidem).
Il 4% delle donne residenti, pari a 2.351 persone (ISTAT, 2019c),
provengono da Paesi a tradizione escissoria, in particolare i
maggiormente rappresentati sono Nigeria, Costa d’Avorio,
Cameroon ed Egitto.

41,4

18,5 15,0
5,5 3,6 3,0 6,7
1,7 1,4 1,2 1,1 1,0

Figura 6 Percentuale donne provenienti da Paesi a tradizione escissoria


residenti in Umbria (Elaborazione dati ISTAT, 2019c)

Sul totale di 625 permessi di soggiorno per cittadini non


comunitari rilasciati al 1° gennaio 2019 per motivi di asilo,
richiesta di asilo e motivi umanitari (ISTAT, 2019b), il 23% sono
per donne e, di queste, il 45% provengono dalla Nigeria. Il 66%
delle donne provenienti da Paesi a tradizione escissoria,
risiede nel territorio della AUSL Umbria1.
Nel grafico che segue vengono presentati, per i territori delle
due Aziende Sanitarie, i dati percentuali relativi alle donne
residenti provenienti da Paesi a tradizione escissoria.

20
47
38

23
19
10 9
7 6 5 55
4 2 2 11 21 31 30
11 01 11

UslUmbria2 UslUmbria1

Figura 7 Percentuale di donne provenienti dal Paesi a tradizione escissoria


residenti nei territori della AUsl Umbria1 e AUsl Umbria2 (Elaborazione dati
ISTAT, 2019c)

Nella AUSL Umbria1 la popolazione femminile proveniente da


Paesi a tradizione escissoria è maggiormente presente nel
territorio del Distretto del Perugino, dell’Alto Chiascio e
dell’Assisano.

7,9

6,1

3,6
2,7
2,0

Distretto del Distretto Distretto Distretto Alto Distretto del


Perugino dell'Alto dell'Assisano Tevere Trasimeno
Chiascio

Figura 8 Percentuale di donne provenienti dal Paesi a tradizione escissoria


residenti nei territori dei Distretti della AUSL Umbria1 (Elaborazione dati
ISTAT, 2019c)

21
Nella AUSL Umbria2, invece, è maggiormente presente nel
territorio del Distretto di Narni-Amelia, di Terni e di Foligno.
6,4

4,2
3,6
2,4
0,9 0,5

Figura 9 Percentuale di donne provenienti dal Paesi a tradizione escissoria


residenti nei territori dei Distretti della AUSL Umbria2 (Elaborazione dati
ISTAT, 2019c)

In Umbria è stata condotta tra il 2011 e il 2013 un’indagine


(Bagaglia et al., 2014) che ha coinvolto sia le donne residenti
in Umbria provenienti da Paesi con alta diffusione di MGF, sia
gli operatori socio-sanitari che operano nella regione, con il
preciso obbiettivo di verificare la consistenza e il carattere del
fenomeno, la presenza di donne già sottoposte alla pratica
nel Paese d’origine, i livelli di informazione che risultano
averne gli operatori socio-sanitari. Incrociando i dati,
aggiornati al 2010, relativi alla consistenza numerica,
suddivisa per genere, degli stranieri presenti nei diversi
comuni delle Asl in cui era suddivisa la Regione Umbria fino al
2012, con i tassi di incidenza delle MGF nei vari paesi africani a
disposizione al momento dell’elaborazione, è stato stimato
che oltre 600 tra donne e bambine residenti in Umbria
avessero subito una qualche forma di MGF.

22
Dalla ricerca qualitativa prevista nell’indagine (ibidem), è
emerso che molte donne provenienti dai Paesi in cui le MGF
vengono tradizionalmente praticate, considerino tali pratiche
del tutto normali, ovvie e opportune per sé e per le proprie
figlie. Per sondare la percezione e l’entità del fenomeno delle
MGF nell’esperienza degli operatori sociosanitari umbri,
anche per rilevare eventuali casi di bambine e donne
interessate da queste pratiche, l’indagine (ibidem) ha
previsto anche la somministrazione di un questionario ad hoc
rivolto a medici di medicina generale, pediatri, ginecologi,
ostetriche, infermieri e assistenti sociali in servizio all’interno
delle Aziende sanitarie e ospedaliere dell’Umbria. La
maggioranza degli operatori (69%) denunciava la difficoltà a
riconoscere le MGF.
Sulla base delle questioni critiche e dei bisogni emersi dalla
ricerca, è stato realizzato un percorso biennale di formazione
(2014-2015) rivolto ad operatori socio-sanitari ed educativi
(100 ore di formazione, circa 200 operatori coinvolti) e sono
state svolte attività di sensibilizzazione con soggetti chiave:
insegnanti, studenti, operatori socio-sanitari, famiglie,
amministratori e decisori politici (AIDOS, 2018).

23
Obiettivi della ricerca-azione
Il progetto, realizzato tra febbraio e dicembre 2020, ha inteso
approfondire il fenomeno delle Mutilazioni Genitali Femminili
(MGF) nel territorio regionale al fine di sensibilizzare e
informare il personale socio-sanitario coinvolto e favorire lo
sviluppo di attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione
per le donne e le bambine sottoposte e a rischio MGF.
Il progetto è strutturato come ricerca-azione, ossia ricerca
intervento e si è sviluppato in questa duplice direzione
secondo i seguenti obiettivi specifici: è stata realizzata
un’attività di ricerca condotta secondo le tecniche
quantitative e qualitative della ricerca sociale utilizzando
diversi strumenti di rilevazione (questionario e focus group)
con l’obiettivo di sondare la percezione e l’entità del
fenomeno a livello regionale e la distribuzione territoriale
dello stesso al fine di identificare, insieme ai portatori di
interesse, alcuni interventi di sensibilizzazione e contrasto al
fenomeno e diffondere le principali buone pratiche riferibili
alle MGF. Contemporaneamente il progetto ha realizzato
un’azione di formazione e sensibilizzazione per le diverse
professionalità coinvolte e operanti sul territorio regionale
attraverso un’attività seminariale (workshop) con la finalità
di aumentare la conoscenza del fenomeno delle Mutilazioni
Genitali Femminili secondo una prospettiva interdisciplinare
(socio-antropologica-culturale) e rafforzare le competenze
interculturali dei partecipanti.
La ricerca-azione ha coinvolto gli operatori socio-sanitari
operanti sul territorio regionale, in particolare hanno
partecipato gli operatori afferenti alla S.S.D. Sorveglianza e

24
Promozione della Salute della AUSL Umbria2 per il Centro
Regionale Salute Globale (CERSAG), gli operatori dei servizi
materno-infantili ospedalieri e territoriali (ostetriche e
ginecologi), psicologi, assistenti sociali, mediatori culturali e
linguistici delle Aziende Sanitarie e dell’Agenzia Regionale di
Mediazione Culturale e Linguistica di CIDIS e CSC-Società
Cooperativa, gli operatori sociali nei servizi di accoglienza dei
migranti (CAS, SAI – ex SIPROIMI).
A causa dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del
virus COVID-19, non è stato possibile coinvolgere nel percorso
proposto i pediatri e i medici di medicina generale, come
previsto in fase di pianificazione e programmazione. Sono
stati pertanto coinvolti gli studenti del corso di laurea in
infermieristica dell’Università di Perugia, con sede a Terni,
iscritti all’ultimo anno e che avevano già intrapreso l’attività
di tirocinio presso l’Ospedale di terni. Un risultato inatteso è
stato proprio il riconoscimento del percorso di ricerca-azione
come tirocinio formativo per gli studenti che vi hanno preso
parte. L’attività è stata realizzata nel corso di dodici
workshop di quattro ore ciascuno per un totale di
quarantotto ore di aula. I workshop si sono svolti secondo
una modalità a distanza sincrona attraverso la piattaforma
online GoToTraining fornita e gestita dall’AUSL Umbria2. Le
diverse edizioni dei workshop hanno coinvolto più target
specifici suddivisi per gruppi omogenei.
Il presente report illustra i risultati dell’attività di analisi e
ricerca-azione condotta da CIDIS adottando le metodologie
del questionario e del Focus Group, ossia dell’intervista di
gruppo, con la quale si è inteso approfondire le esperienze e

25
non esperienze riportate dai diversi territori regionali in
merito alla conoscenza e gestione delle MGF e sondare la
percezione del fenomeno a livello regionale. I risultati e gli
esiti raccolti nel presente report di ricerca sono stati
presentati a tutti i partecipanti alle diverse edizioni in un
incontro finale svoltosi sulla piattaforma online.

Nota metodologica
L’attività di ricerca-azione si è svolta tra settembre e
dicembre 2020 e ha coinvolto 61 soggetti con background
professionale diverso e operanti nel territorio regionale (v.
paragrafo sul Campione).
L’attività è stata rivolta a diversi target specifici identificati in
fase di pianificazione in quanto professionalità coinvolte nella
presa in carico di donne con o a rischio MGF o soggetti da
coinvolgere nelle reti di gestione delle MGF. L’adesione
all’attività di ricerca-azione è stata su base volontaria ed è
stata promossa dagli organizzatori attraverso il servizio di
formazione AUSL Umbria2. La ricerca-azione ha puntato a
raccogliere le esperienze e non esperienze lavorative
riportate dai diversi attori coinvolti a livello regionale in
merito alla conoscenza e gestione delle MGF attraverso
l’utilizzo di strumenti metodologici tipici della ricerca sociale.
A tal fine, il disegno di ricerca ha previsto l’uso di più tecniche
di raccolta delle informazioni, impiegate in modo
complementare tra loro, utilizzando per la conduzione della
ricerca un questionario a risposte chiuse e il Focus Group quali
strumenti di rilevazione e ricognizione. In particolare, il Focus

26
Group è una tecnica di rilevazione per la ricerca sociale basata
sulla discussione interattiva tra un piccolo gruppo di persone,
guidata da un moderatore, focalizzata su un argomento che
si vuole indagare in profondità (Corrao 2005).
I Focus Group sono stati condotti con un basso grado di
direttività, cioè il grado di libertà lasciato al moderatore di
decidere nel corso dell’incontro come condurre la
discussione, e con una bassa strutturazione della traccia al
fine di garantire la flessibilità nella realizzazione dei singoli
incontri. Tale metodologia ha consentito di esplorare in
profondità alcuni aspetti significativi ed esplicativi del
fenomeno delle Mutilazioni genitali femminili in Umbria
secondo quanto esperito (o meno) nella pratica lavorativa dai
singoli partecipanti ai focus (massimo 8-9 persone a
incontro), consentendo dunque di approcciare il fenomeno
oggetto di osservazione dal punto di vista delle persone che
lo hanno vissuto direttamente o indirettamente recuperando
quindi la dimensione soggettiva dell’osservato (Cipolla 2003).
Secondo tale approccio è stato possibile rilevare anche le
opinioni, le frustrazioni, le visioni e le proposte di possibili
modalità di intervento generando un processo virtuoso di
condivisione e comparazione tra i partecipanti. Sono stati
dunque realizzati dodici Focus Group per gruppi target
omogenei, ciascuno della durata di circa due ore, condotti
dalla ricercatrice in qualità di moderatrice della discussione e
con il supporto della co-moderatrice che ha svolto un’azione
di assistenza per la moderazione della discussione e di
osservazione del gruppo. Durante gli incontri la moderatrice
ha posto le sollecitazioni lasciando spazio alle

27
argomentazioni dei partecipanti e all’interazione di gruppo,
contemporaneamente ha orientato la narrazione secondo
l’impostazione teorica di riferimento basandosi sulla traccia
realizzata per i fini conoscitivi e adattata alle persone con cui
interagire, rilanciando e sostenendo la discussione,
riconducendola, nei casi di divagazione, agli argomenti
oggetto di indagine. Gli incontri, indirizzati alla discussione e
approfondimento qualitativo di alcuni aspetti del fenomeno
mutilatorio e delle relative esperienze professionali, sono
stati condotti seguendo una traccia di domande e spunti da
sottoporre ai partecipanti stilata a partire dai contenuti
presenti nel questionario online. Tale traccia di discussione è
stata uno strumento di riferimento dal quale partire per
facilitare il dialogo tra i partecipanti e sollecitare il gruppo ma
senza rigidità. Si tratta infatti di una traccia aperta che è stata
adattata di volta in volta alla dimensione sociale del gruppo
partecipante e ai temi emersi nel corso della discussione.
Tutti gli incontri sono stati registrati, successivamente le
registrazioni sono state trascritte verbatim, ossia
integralmente, e completate dalle annotazioni riportate dalle
due ricercatrici nel corso dei singoli incontri. Per
l’elaborazione e l’analisi dei dati emersi, condotte secondo
l’approccio dell’analisi qualitativa del contenuto (analisi
tematica), è stata predisposta una griglia di lettura
strutturata per macro-tematiche composta da contenuti
chiave esplicitati durante la fase di concettualizzazione della
ricerca e categorie analitiche emerse durante l’analisi dei
materiali. Attraverso questa procedura è stato possibile
realizzare una prima analisi longitudinale, ossia per singolo

28
incontro, dei materiali testuali raccolti e successivamente
un’analisi trasversale dei contenuti rispetto all’insieme del
corpus testuale al fine di identificare e codificare nelle diverse
categorie sia gli elementi ricorrenti, ripetuti con frequenza,
sia gli argomenti inattesi, inaspettati. Il testo è stato quindi
oggetto di un lavoro di scomposizione e ricomposizione
attraverso grandi raggruppamenti di senso analitico, tale
approccio ha consentito di ordinare tutte le informazioni
emerse nel corso degli incontri tenendo sempre presenti gli
scopi e le domande della ricerca. Infine, all’interno del report
di natura descrittivo, come documentazione di ciascuna
categoria analitica e per restituire la ricchezza semantica
espressa nel corpus testuale, sono riportate in vivo
affermazioni (termini, espressioni, frasi particolarmente
significative) pronunciate nel corso della discussione dai
partecipanti. Infatti, le parole dell’intervistato, intese come il
racconto della sua esperienza di vita sociale, sono il centro
dell’attenzione della ricercatrice che ha il compito di dare la
possibilità all’intervistato di esprimere il suo modo di vedere
il mondo, le sue percezioni, le sue valutazioni e dunque la sua
esperienza così come sente di averla vissuta (Bichi 2007). Per
la raccolta dei dati è stato predisposto un breve questionario
online a risposta multipla composto da 18 item (visionabile in
appendice). Questo strumento di ricerca ha consentito di
raccogliere alcuni dati in maniera sistematica ed è stato
somministrato ai partecipanti all’avvio degli incontri online.
Tale strategia ha consentito di introdurre il tema
dell’indagine, ha permesso ai rispondenti di prendersi del
tempo per calarsi nell’argomento e per iniziare a soffermarsi

29
sulle questioni poste dal questionario predisponendosi così
alla riflessione rispetto al fenomeno nella propria esperienza
lavorativa oggetto di indagine nel successivo svolgimento del
Focus Group.
La ricerca è stata strutturata secondo diversi passaggi
riportati di seguito:
 Rilevazione mediante questionario anonimo
somministrato all’avvio di ciascun incontro online per
raccogliere prime informazioni e opinioni riguardanti
le pratiche di MGF.
 Approfondimento qualitativo attraverso la
realizzazione di Focus Group nel corso dei quali è stato
dato ampio spazio al confronto e alla rilevazione delle
esperienze lavorative sul tema a partire dalle
domande poste nel questionario.
 Sistematizzazione dei dati quali-quantitativi raccolti
ed elaborazione analitica sugli aspetti emergenti dai
dati e dai Focus Group.
 Elaborazione delle conclusioni alla luce dei dati e delle
informazioni raccolte.

30
Il campione
L’attività di ricerca-azione si è svolta nel territorio regionale
umbro e ha coinvolto diverse professionalità socio-sanitarie
afferenti all’AUSL Umbria1 e AUSL Umbria2. In particolare,
sono stati coinvolti ostetriche, ginecologi, psicologi,
mediatori culturali e linguistici, operatori sociali, assistenti
sociali, operatori degli enti locali e privati dei servizi di
accoglienza per richiedenti asilo e protezione internazionale.
Il gruppo target iniziale prevedeva anche il coinvolgimento
dei pediatri di libera scelta e dei medici di famiglia (MMG). A
causa della recrudescenza della diffusione della pandemia
dovuta alla diffusione del virus SARS-COVID19 non è stato
possibile raccogliere una loro adesione alla proposta di
formazione e ricerca. In questo contesto mutato, rispetto alla
pianificazione iniziale del progetto, è stata attivata una nuova
programmazione in itinere attraverso cui è stato possibile
coinvolgere gli studenti e le studentesse iscritti all’ultimo
anno del corso di laurea in infermieristica dell’Università degli
Studi di Perugia - sede di Terni. Agli studenti universitari
partecipanti, grazie all’accordo stipulato con l’ufficio
formazione dell’Università degli Studi, è stato possibile
riconoscere il loro impegno come attività di tirocinio
formativo previsto dal percorso di studi. Questa
partecipazione si è rivelata un esito positivo e inatteso del
percorso. In totale 57 operatori hanno risposto al
questionario online e 62 operatori hanno partecipato ai
dodici Focus Group di approfondimento organizzati sempre
in modalità a distanza. La lieve discrepanza tra partecipanti e
rispondenti è dovuta all’utilizzo condiviso del dispositivo dal

31
quale i partecipanti si sono collegati. Nel complesso, la
partecipazione degli operatori è stata attenta, aperta al
dialogo e al confronto.
Il campione individuato non è numericamente significativo
bensì è qualitativamente rappresentativo, infatti non doveva
rispondere a criteri statistici in quanto l’obiettivo era quello di
ottenere dati descrittivi e in profondità. Di seguito si riporta
lo schema dei partecipanti suddivisi per genere, anni di
servizio, professione, territorio e tipologia del servizio in cui
si esercita la propria attività professionale.

I risultati della ricerca-azione: analisi quantitativa


L’obiettivo di questo lavoro è quello di gettare luce sul
fenomeno delle mutilazioni genitali femminili attraverso le
esperienze di operatori socio-sanitari che operano nella
regione Umbria. I dati sono raccolti grazie alla
somministrazione di un questionario anonimo che prevedeva
risposte aperte e risposte chiuse. Sono stati organizzati
dodici incontri che hanno visto coinvolti 62 operatori sanitari
dal 17 di settembre al 26 di novembre, alla fine dei quali sono
pervenuti 57 questionari dai quali si evince che ad aver
risposto sono cinquantaquattro donne mentre solo in tre
erano uomini.

32
Fig.1 Genere dei partecipanti al questionario

Le domande partivano da un’indagine socio-demografica dei


rispondenti, l’ente di appartenenza, la sede dove viene svolto
il loro lavoro. Poi si è indagato quanto gli operatori
conoscessero la pratica delle MGF, quali sono stati i canali
utilizzati per informarsi e formarsi sul tema, l’opinione da
parte dei professionisti sul fenomeno, si è voluto indagare se
gli operatori fosse a conoscenza della legge che concerne le
disposizioni per la prevenzione della pratica, poi si è
interrogato gli operatori sulla presa in carico dei pazienti e
quale sia il loro bisogno lavorativo principale per poter
lavorare in maniera più efficace ed efficiente. Una delle
domande fondamentali visto che si sta parlando di pazienti
che si trovano sul territorio italiano ma che molto spesso non
parlano la lingua ha riguardato l’utilizzo del mediatore
culturale nella presa in carico ed infine quale percezione
hanno i professionisti riguardo al fenomeno e la facilità di
riconoscere le MGF su di un corpo femminile. Osserviamo,
come da grafico (Fig. 2), che il 28% del totale dei rispondenti
appartiene alla fascia di età che va dal 1991 al 2000, questo è

33
principalmente dovuto al coinvolgimento nel percorso di
ricerca-azione degli studenti e studentesse iscritti all’ultimo
anno del corso di laurea in infermieristica dell’Università degli
Studi di Perugia con sede a Terni. A seguire quindici operatori
partecipanti appartengono alla fascia di età che va dal 1971 al
1980, in dodici sono coloro che sono nati dal 1961 al 1970,
undici dei partecipanti sono nati dal 1981 al 1990mentre tre
sono le persone corrispondenti alla fascia che va dal 1950 al
1960.

Fig. 2 Fasce di età dei partecipanti

In merito alle professioni che hanno partecipato alla


compilazione del questionario appare preponderante quella
delle ostetriche con ventotto rispondenti, seguite da dodici
studenti di infermieristica, sei psicologhe e quattro mediatrici
culturali. Si sottolinea la carenza tra i partecipanti di medici
specialisti in ginecologia-ostetricia, infatti sono stati solo tre.
Per il restante dei partecipanti c’è un solo rappresentante per
ogni figura professionale come la psicopedagogista,
l’educatrice, l’assistente sociale e l’infermiera.

34
Fig.3 Professione dei partecipanti

Per quanto riguarda l’istituzione di appartenenza,


confrontando i dati rilevati precedentemente, le ventotto
professioniste ostetriche prestano servizio presso l’USL
Umbria2. I dodici studenti universitari stanno svolgendo i loro
studi presso l’ateneo di Perugia.

Fig.4 Istituzione di appartenenza.

35
Quattro invece sono le professioniste che prestano il loro
servizio presso l’USL Umbria1, mentre hanno partecipato tre
operatori dell’Associazione San Martino, due mediatrici
svolgono il loro lavoro presso la società cooperativa
Eurostreet. Il restante 8% riguarda altri enti di appartenenza
come il centro clinico Atanor, altri enti pubblici diversi
dall’USL e dal Comune, o ancora come libero professionista.
Osservando la distribuzione degli operatori nel territorio
umbro, possiamo evincere che la maggior parte sono
impegnati a Terni, rappresentando il 45% dei rispondenti,
mentre il 23% svolge la propria professione nella zona di
Perugia, da qui si può notare una grande disparità tra i due
capoluogo di provincia. L’11% si trova nella zona di Narni-
Amelia mentre percentuali residuali provengono da Orvieto e
da Magione, per il 4% del totale, mentre il 3% proviene dal
Comune di Foligno. Altre zone riportano un valore pari al 2%
con riferimento alle aree di Cascia-Norcia, della Valnerina
mentre una persona svolge la propria professione nel
Comune di Fabro (provincia di Terni).

Fig. 5 Sede di lavoro

36
La mancanza di una conoscenza approfondita su questo
tema appare preoccupante, specie se si considera che gli
operatori intervistati prestano servizio in strutture dove la
presenza di stranieri provenienti da Paesi dove si praticano
MGF è elevata. Infatti come mostrato nel grafico sottostante
il 67% dei rispondenti, quindi trentotto persone su 57 dichiara
di avere qualche conoscenza del fenomeno delle MGF.
Quattordici professionisti non conoscono il fenomeno ma
chiedono di approfondire il tema, mentre il restante 9%,
quindi in cinque dichiarano di non conoscerlo affatto.

Fig. 6 Conoscenza del fenomeno delle MGF

37
Riguardo alle trentotto persone che dichiarano di possedere
qualche conoscenza riguardo al fenomeno, in dodici hanno
acquisito le loro conoscenze attraverso la partecipazione a
corsi di formazione, in undici si sono documentate attraverso
la lettura di testi scientifici e in dieci dichiarano di aver
partecipato a convegni e seminari che avevano come focus
quello delle MGF. In sette dichiarano di essersi imbattuti con
il fenomeno dopo l’incontro di pazienti/utenti che hanno
preso in carico o tramite mass media mentre ulteriori sette
rispondenti hanno acquisito alcune informazioni nel corso di
lezioni universitarie che hanno accennato alla questione. Due
persone si sono informate attraverso testi di letteratura non
scientifica ed infine una delle persone intervistate dichiara di
averne avuto esperienza diretta.

Fig. 7 Canali utilizzati per informarsi

38
Abbiamo chiesto agli intervistati se fossero a conoscenza di
qualche centro specializzato nella cura e nella prevenzione
contro le MGF. Ben l’88% dei rispondenti, quindi cinquanta
professionisti su cinquantasette, non ne sono a conoscenza e
solo il 12% conosce dei Centri specializzati. In cinque hanno
fatto specifica menzione dei Centri noti: in tre hanno risposto
che conoscono l’ospedale Careggi di Firenze, mentre una
persona ha indicato tre Centri dove è possibile avere
informazioni e assistenza: l’Osservatorio regionale Orim in
Lombardia, l’Istituto S. Gallicano a Roma e infine l’Ospedale
S. Camillo Folanini a Roma, sempre una persona ha risposto
di conoscere il lavoro che viene svolto presso l’ospedale
Santa Maria di Terni.

Fig. 8 Conoscenza Centri specializzati in Italia

Dalle risposte ottenute è possibile dedurre una scarsa


conoscenza del fenomeno da parte dei professionisti

39
intervistati. Abbiamo quindi inteso approfondire con gli
operatori che operano sul territorio umbro le loro opinioni e
visioni su questa pratica poco conosciuta. Il 53% dei
rispondenti, ossia trenta professionisti, hanno risposto che si
tratta di una forma di violenza e il 17% la ritiene una pratica
culturalmente inaccettabile. Mentre per il 21% è un fenomeno
da comprendere. Confrontando i dati ottenuti dal quesito
precedente possiamo supporre che siano le stesse persone
ad aver risposto di non conoscere il fenomeno ma che allo
stesso modo desiderano maggiori approfondimenti per
comprendere il fenomeno in questione. Infine, per il
rimanente 9%, la stessa percentuale che dichiara di non
conoscere il fenomeno, non sa esprimere un’opinione in
merito alla pratica escissoria.

Fig. 9 Opinioni sulle Mutilazioni Genitali Femminili

Si è indagato se gli operatori socio-sanitari conoscessero la


legge italiana che disciplina la prevenzione e il divieto delle

40
MGF sul territorio nazionale. Come mostrato dal grafico (Fig.
10), il livello di conoscenza della Legge italiana sul tema delle
MGF è decisamente basso, dalle risposte date emerge che il
61%, quindi più della metà dei professionisti intervistati, non
conosce la legge n.7 del 2006 “Disposizioni concernenti la
prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale
femminile”. La legge n. 7 del 9 gennaio emanata nel 2006
stabilisce disposizioni specifiche per affrontare il problema
delle MGF. Viene applicato il principio dell’extraterritorialità,
criminalizzando la pratica anche quando è commessa
all’estero. A seguito di tale normativa, sono state emanate
nel 2007 dal Ministero della Salute le Linee Guida destinate
alle figure professionali sanitarie nonché ad altre figure
professionali che operano con le comunità di immigrati
provenienti da paesi dove sono effettuate le pratiche di MGF
per realizzare un’attività di prevenzione, assistenza e
riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a
tali pratiche.

Fig.10 Conoscenza legislazione sulle MGF

41
Entrando nel merito della propria attività lavorativa, ai
professionisti è stato domandato se hanno mai incontrato
donne che portassero questi segni sul loro corpo.
Analizzando il grafico emerge, con forte preoccupazione, che
più del 60%, quindi trentasei professionisti su 57, non hanno
mai incontrato pazienti che hanno subito delle modificazioni
dei loro apparati genitali, il rimanente 37% ha invece risposto
affermativamente.

Fig.11 Casistica pazienti con MGF

Per comprendere in maniera più approfondita quanto il


fenomeno sia presente sul territorio umbro, abbiamo chiesto
agli operatori quante pazienti avessero incontrato durante la
loro carriera lavorativa, comprendendo sia le donne sia le
bambine che sopravvissute alla pratica. Confrontando i dati
con la domanda precedente, possiamo notare che anche al
presente quesito sono 36 i professionisti che hanno risposto
di non aver mai incontrato donne o bambine sottoposte alla
pratica. Invece dei ventuno professionisti che hanno risposto

42
in modo affermativo alla stessa domanda: sedici hanno
incontrato da 1 alle 5 pazienti; due rispondenti hanno avuto
contatti in un range compreso tra 6 e 10 pazienti; due
partecipanti hanno dichiarato di avere incontrato dalle 20 alle
30 pazienti con MGF, e solo un rispondente ha incontrato
dalle 10 alle 20 pazienti. Mentre nessun rispondente riporta
alcuna casistica oltre le 30 pazienti.

Fig.12 Casistica pazienti con MGF

Gli operatori sono complessivamente molto sensibili al


fenomeno, infatti al quesito relativo ai principali bisogni
percepiti nello svolgere il proprio operato il 63% ha risposto di
sentire il bisogno di avere una migliore preparazione
professionale, il 21% dei rispondenti vorrebbe confrontarsi
con un esperto della tematica mentre il 12% vorrebbe avere un
confronto e un supporto da parte dei colleghi e infine il 4%,

43
quindi due professionisti, non hanno sentito bisogni
particolari nell’affrontare la questione.

Fig.13 Quali sono i bisogni professionali

Abbiamo chiesto ai professionisti che hanno preso in carico la


paziente che presentava questo tipo di problematica come e
se questo è ricaduto sul loro agire e operare. Come si può
vedere dal grafico (Fig. 14) il 43%, quindi ventisei persone sulle
cinquantasette rispondenti, hanno prestato maggiore
attenzione alle informazioni in merito, il 35% ha pensato a
cosa fare per promuovere la prevenzione, l’11% ha sperato
che qualcuno intervenisse, il 7% si è attivato personalmente
per la presa in carico delle donne mentre il rimanente 4% non
se ne è occupato né interessato, notiamo che è la stessa
percentuale di chi ha dichiarato di non aver riscontrato

44
particolari bisogni quando si è trovato coinvolto
personalmente.

Fig.14 La presa in carico da parte degli operatori socio sanitari

Data la delicatezza del tema da trattare è indispensabile


comprendere, e specialmente far comprendere alla paziente,
tutte le informazioni per avere una presa in carico il più
possibile integrata. Tale obiettivo può essere raggiunto in
maniera efficace grazie all’intervento di un mediatore
culturale e linguistico che può supportare entrambi i soggetti
coinvolti e fare da ponte tra lingue e culture, quella di origine
della paziente e quella del professionista italiano. La
comunicazione tra immigrato e società d’accoglienza è
spesso disturbata da incomprensioni linguistiche e culturali,
in particolare nell’ambito sanitario se tutte le informazioni
non sono veicolate in modo chiaro e corretto, si creano dei
conflitti che vanno ad inficiare il rapporto di fiducia medico-
paziente. La mediazione è una strategia che mira alla
decodifica culturale, per far si che il paziente si senta accolto

45
e non discriminato. Come possiamo osservare dal grafico
(Fig. 15), il 33% dei professionisti ha dichiarato che il mediatore
non viene coinvolto, il 32% degli intervistati indica di aver
coinvolto la figura del mediatore solo in alcuni casi, mentre il
19% dichiara di aver richiesto la presenza del mediatore in tutti
i casi e il rimanente 16% dichiara di non sapere come fare per
poter attivare il servizio di mediazione.

Fig. 15 Coinvolgimento del mediatore interculturale

La presente ricerca ha lo scopo ultimo di comprendere


quanto il fenomeno delle Mutilazioni Genitali Femminili sia
percepito come significativo e presente in Umbria secondo il
punto di vista privilegiato degli operatori socio-sanitari che
lavorano sul territorio regionale.

46
Incrociando i dati è possibile notare come per la maggior
parte dei professionisti, in valore assoluto ventotto
rispondenti, il fenomeno delle MGF è abbastanza significativo
in Umbria, in aggiunta per sette persone il responso oscilla tra
molto significativo (n. 4) e moltissimo (n.3), mentre in
ventuno pensano che sia poco significativo, ed infine per una
sola persona il fenomeno non è per nulla significativo.

Fig. 16 Rilevanza del fenomeno in Umbria per gli operatori

Nell’ultimo quesito posto ai professionisti abbiamo chiesto


quanto, secondo la loro esperienza e conoscenza, sia facile o
meno riconoscere i segni delle MGF in un apparato genitale
femminile. Per 24 persone è abbastanza facile riconoscere la
presenza di una qualche forma di MGF sull’apparate genitale
femminile (Fig. 17), mentre in 4 dichiarano di avere molta
facilità e in 3 indicano di averne moltissima nel riconoscere i

47
segni delle mutilazioni genitali sul corpo delle loro pazienti. Al
contrario, per 18 rispondenti la difficoltà riscontrata è molta
e in 8 professionisti pensano non sia per niente facile
riconoscerle.

Fig. 17 Identificazione della problematica nelle pazienti

Infine, riportiamo i commenti e suggerimenti che alcuni


professionisti coinvolti nella ricerca hanno lasciato alla fine
del questionario:
1. Mi piacerebbe ascoltare l’esperienza diretta di ragazze
che attualmente vivono in Italia e che proprio sotto i
nostri occhi hanno subito mutilazioni.
2. Questo corso rappresenta una bella opportunità, non
solo professionale ma anche umana.
3. Divulgare la conoscenza del fenomeno fra gli operatori
dei Servizi che lavorano con le donne per poter

48
comprendere, aiutarle e lavorare sulla prevenzione del
fenomeno.
4. Tanti incontri e convegni devono essere organizzati per
la sensibilizzazione.
5. Ad una delle domande ho risposto di no! Perché
personalmente non ho incontrato casi di pazienti che
hanno subito questa pratica.
6. Sarebbe importante coinvolgere anche i servizi che si
occupano della salute mentale.

Alla luce di questi risultati, sembra opportuno introdurre una


serie di attività di formazione per gli operatori socio-sanitari,
comprese quelle finalizzate ad aumentare la conoscenza
delle problematiche connesse alle MGF e soprattutto delle
situazioni reali delle donne con Mutilazioni Genitali. Tali
attività dovrebbero essere studiate e organizzate per
differenti professionalità e differenti contesti di lavoro,
dovrebbero essere finalizzate alla costruzione di relazioni di
sostegno basate su principi di mediazione socio-culturale,
fondate sul rispetto dell’autonomia delle donne nelle scelte
di salute, in modo da consentire agli operatori sanitari di
intervenire in modo appropriato. Infine sarebbe opportuno
incrementare lo scambio di esperienze di buone pratiche in
Italia e in Europa nella presa in carico di queste donne.

49
I risultati della ricerca-azione: analisi qualitativa
Nella seguente sezione sono presentate le risultanze emerse
dalla conduzione di 12 focus group secondo nove categorie
analitiche, o temi, identificate durante la fase di
concettualizzazione della ricerca ed emerse nel corso
dell’analisi del materiale di ricerca. Per l’elaborazione e
l’analisi dei dati emersi, condotte secondo l’approccio
dell’analisi qualitativa del contenuto (analisi tematica), è
stata predisposta una griglia di lettura strutturata per macro-
tematiche composta da contenuti chiave esplicitati in fase di
pianificazione della ricerca. Attraverso questa procedura è
stato possibile realizzare una prima analisi longitudinale, per
singolo incontro, dei materiali testuali raccolti e
successivamente un’analisi trasversale dei contenuti rispetto
all’insieme del corpus al fine di identificare e codificare nelle
diverse categorie sia gli elementi ricorrenti, ripetuti con
frequenza, sia gli argomenti inattesi, inaspettati. Il testo è
stato quindi oggetto di un lavoro di scomposizione e
ricomposizione attraverso grandi raggruppamenti di senso
analitico, tale approccio ha consentito di ordinare tutte le
informazioni emerse nel corso degli incontri tenendo sempre
presenti gli scopi e le domande della ricerca.
Le categorie analitiche individuate sono le seguenti:
1. Le opinioni
2. La presa in carico
3. Le emozioni
4. Le esperienze e non esperienze
5. I bisogni professionali

50
6. La mediazione culturale e linguistica
7. La formazione
8. Il razzismo
9. Le raccomandazioni

1.LE OPINIONI
Cosa pensano le operatrici e gli operatori socio-sanitari
intervistati di queste pratiche di modificazione genitale? Il
focus group ha dato la possibilità di approfondire le risposte
date nel questionario online. Emergono con significativa
frequenza opinioni negative nei confronti delle MGF, così
come riportato nel questionario, che vengono definite come:
“è una cosa disumana”; “il fenomeno è destabilizzante e violento”

“è una pratica barbara”; “è un atto di violenza”

“per loro non è una mutilazione, e questo mi ha sconvolto!”


Ostetrica

Come è stato approfondito nel corso della formazione in aula


si tratta di pratiche consuetudinarie che appartengono a
tradizioni e credenze radicate nelle comunità e nei gruppi che
le perpetuano e che presentano rilevanti significati sul piano
sociale, culturale ed economico dalle quali non si può
prescindere per una presa in carico della salute della donna.
“è un fenomeno culturale. Per loro è normale e non lo reputano una
forma di violenza. Tutte le bambine passano questo step”.
(Ostetrica)

51
“molte di loro non vivono la cosa come un trauma (…) Non la
vivono come violenza, ma noi occidentali sì” (Ostetrica)

“per noi è una cosa anomala. Non siamo abituate a vederlo. Quindi
hai dubbi su quello che vedi. Ti chiedi se per loro è normale, se sei tu
che hai dei pregiudizi verso di loro. Mi sono chiesta se quello che
vedevo era vero o un film che mi facevo, non essendo abituata a
vederle”. (Ostetrica)

Tra i rispondenti c’è chi sottolinea la dimensione culturale e la


difficoltà di comprendere questo fenomeno da una
prospettiva etnocentrica. Si riconosce quanto il tema sia
complesso e delicato da richiedere il bisogno di “mediare
senza ferire la loro cultura” ma senza tralasciare come la
pratica sia una forma di violenza che lede i diritti umani delle
donne e delle bambine. Inevitabilmente si usano le categorie
“noi” e “loro” che mettono in evidenza le barriere culturali e
gli ostacoli conoscitivi/comunicativi rispetto alle pratiche
tradizionali come quelle delle MGF ma contemporaneamente
emerge una consapevolezza delle proprie cornici culturali e
di una visione etnocentrica rispetto a valori, norme e
rappresentazioni culturali che determinano le proprie
opinioni e punti di vista:
“è una violenza sulle bambine, ma è il nostro punto di vista
occidentale, per loro non è così, non se ne rendono conto. Se non è
visto come violenza dalle donne stesse, come possiamo cambiarlo?”
(Ostetrica)

“nella nostra società pensiamo sia sbagliata ma nel loro contesto


non è così. Dobbiamo ridimensionarci anche a questo. Noi pensiamo
che questa manovra sia sbagliata. Nella nostra realtà è sbagliato ma

52
non bisogna essere pregiudizievoli. Come faccio io a farti capire che
è sbagliata se nella tua condizione sicuramente non lo è?”
(Ostetrica)

“certo che dalla nostra ottica è una violenza, però credo che, parlo
sempre dall’ottica di noi operatori, la cosa più difficile è mettersi
accanto a queste donne, perché appunto si fa immediatamente
pregiudizio, con una supponenza e una piccola o grande
arroganza…come se la nostra cultura occidentale fosse la migliore,
quella che veramente c’ha la verità in mano!” (Psicologa)

“non è facile lavorare con culture completamente diverse…è una


sfida quotidiana che abbiamo. Bisogna far cambiare i
comportamenti così rischiosi, intervenire sullo scambio culturale.
Dobbiamo lavorare molto e non è facile” (Ginecologo)

“noi donne ci sentiamo vicine a queste donne, io do per scontato


empatia e pregiudizio. Ti domandi “come fai a vivere con questa
cosa?” (Ostetrica)

“è difficile far comprendere alla donna che è una violenza fisica. Ma


chi dovrà farlo questo processo?” (Ostetrica)

I professionisti si interrogano, come diventare agenti del


cambiamento, come rendere consapevoli le donne dei danni
causati dalle MGF subite in quanto pratiche lesive della salute
e dei diritti umani, come “portarle fuori da questo cerchio”
(Ostetrica).
Questi interrogativi ci pongono di fronte alla seconda
categoria analitica emersa: la presa in carico.

53
2. LA PRESA IN CARICO
Le donne straniere non si fidano dei servizi e delle persone
che vi operano, questo emerge dai FG, il rapporto di fiducia
medico/operatore sanitario-paziente è in difficoltà. Le
ostetriche lo hanno ben chiaro e lo hanno dichiarato a più voci
che è necessario “lavorare sulla fiducia e sulla relazione con la
donna in gravidanza, perché abbiamo 9 mesi. Abbiamo la possibilità
di costruire relazioni di fiducia. Possiamo spezzare l’ineluttabilità
della mancanza di fiducia verso i servizi” (Ostetrica).

Al tema della fiducia si interseca quello della paura. Emerge


infatti che molte donne straniere non si rivolgono ai servizi
per paura di essere giudicate, di essere derise e di non essere
comprese dal personale socio-sanitario:
“le donne pensano “non te ne parlo perché non capiresti”. È
importante trovare un approccio per parlare con la donna, per farla
aprire. Sono vissuti che nel travaglio vengono fuori, ma bisogna
trovare un modo di affrontare l’argomento” (Ostetrica)

“vorrei dirle: puoi aprirti, non sei giudicata. Io come ostetrica ne


sento maggiormente il bisogno. Ma la donna non parla perché si
sente derisa, non ha voglia di aprirsi” (Ostetrica)

“la donna non ha piacere di parlare di questa manovra e negano


l’evidenza” (Ostetrica)

A seguito della crescente mobilità globale e dei flussi


migratori transnazionali le società̀ odierne si caratterizzano
per una imponente eterogeneità̀, sono diventate luogo di
culture multiple e identità̀ ibride. L’approccio interculturale
può venirci in soccorso, (Intercultura intesa come

54
riconoscimento dell’”altro” e delle appartenenze culturali):
esprime uno spazio in divenire, dove i confini tra le realtà̀ non
sono fissi, bensì̀ dinamici, e dove è possibile agire uno
scambio, una negoziazione, un confronto attento tra culture
differenti, o meglio tra individui, in quanto “a incontrarsi o
scontrarsi non sono culture, ma persone” (Aime, 2004, p.1). É
necessario dunque spostare la questione dalla visione di
azioni barbare e incivili, come spesso sono state definite le
pratiche di MGF, che portano al radicamento di posizioni
contrapposte, allontanano l’incontro tra le persone e
precludono qualsiasi possibilità dialogica. Diviene dunque
necessario abbandonare una visione statica e omogenea
della cultura per sostituirla con una concezione dinamica,
sociale che coglie i processi di negoziazione e di ridefinizione
da cui le culture e le tradizioni vengono modellate. In questo
quadro delineato le culture si presentano come negoziazioni
ininterrotte degli immaginari confini tra “noi” e “l’altro”,
dove l’“altro” è anche sempre dentro e in mezzo a “noi” e
viceversa, parafrasando l’antropologo Clifford Geertz.

Emerge con forza e ripetutamente la necessità di adottare


un approccio culturalmente sensibile e non giudicante,
scevro da pregiudizi, improntato all’ascolto e all’empatia
nelle fasi di accoglienza e di incontro con le donne e bambine
(e loro famiglie) portatrici di questi segni sul corpo. Gli
operatori sanitari sono consapevoli che dovrebbero adottare
un atteggiamento più accogliente e comprensivo nei
confronti di queste pazienti, cercando di comunicare con
“tatto e pazienza” con loro (v. Mediazione) per comprendere
le ragioni di queste pratiche (“per slegarmi dal giudizio” -
psicologa) senza tralasciare gli aspetti legati alla salute

55
mentale e psicologici della donna che ha subito MGF.
Affermano che non dovrebbero avere atteggiamenti
pregiudizievoli verso le pazienti con MGF, ma che è difficile
non cadere nella rete del pregiudizio perché “il giudizio crea
pregiudizio” (Psicologa):
“il pregiudizio in noi operatori occidentali è a volte così forte che
non ce ne rendiamo conto, perché facciamo diagnosi...diciamo
questa donna è venuta dal mondo africano e quindi poverina non è
mai riuscita ad emergere. Questo (non essere pregiudizievoli, ndr)
è l’aspetto veramente più faticoso di fronte a questi fenomeni
perché sono tanto ma tanto lontani da noi” (Psicologa)

“Credo che questi atteggiamenti (di pregiudizio, ndr) vadano


proprio esacerbati, non è possibile ammettere questo tipo di
atteggiamenti di ignoranza da parte di operatori sanitari verso
persone che sono fragili e hanno avuto esperienze negative subendo
queste pratiche. Io penso che l’umanità vada preservata, nel senso
che vanno capite, vanno ascoltate e aiutate, perché questo è un
problema serio” (Ostetrica)

“è importante saper approcciarsi, interagire con queste donne


usando le parole giuste, il modo giusto e non offenderle.”
(Ostetrica)
Nella fase di presa in carico, e non solo, della donna con MGF
è dunque importante adottare un atteggiamento attento e
non giudicante prestando anche molta attenzione alle parole,
al linguaggio utilizzato (scegliere le parole giuste!) e alle
proprie reazioni (verbali e non verbali) perché potrebbero
essere fonte di incomprensioni (ad esempio l’utilizzo del
termine “mutilazione” potrebbe non essere compreso e non

56
descrivere la percezione che le donne hanno di se stesse né
di come vogliono essere percepite), di discriminazione
(potrebbero sentirsi giudicate) e di chiusura della paziente.
È bene evitare atteggiamenti paternalistici, di vittimizzazione
o di spettacolarizzazione della donna con MGF. Come è stato
riportato tali atteggiamenti potrebbero far sentire la
paziente giudicata e andare a inficiare, se non a precludere
del tutto, il rapporto di fiducia medico-paziente. Ricordiamo
pertanto che il Ministero della Salute nel 2007 ha pubblicato
le Linee guida per gli operatori socio-sanitari nella presa in
carico di donne con MGF con l’obiettivo di “ Offrire uno
strumento di lavoro agli operatori sanitari, ma anche agli
operatori socio-culturali, per accogliere e curare, con
attenzione e professionalità, le donne che hanno subito
mutilazioni genitali, senza manifestazioni di imbarazzo, di
sorpresa o di curiosità, come è stato a volte denunciato, perché
possa essere instaurato quel rapporto di fiducia medico-
paziente, che è il primo passo da parte delle donne per una
diversa presa di coscienza del proprio corpo e del proprio
benessere, ma anche per avviare un dialogo finalizzato a
prevenire che le figlie di queste stesse donne possano a loro
volta essere sottoposte a mutilazioni”.
Oltre alla necessità di costruire relazioni di fiducia e senza
paura nella presa in carico, il tema delle MGF emerge come:
“è un fenomeno così lontano da noi che non sappiamo trattare”
(Ostetrica) o ancora “è una cosa che ho sempre visto dal vetro.”
(Ostetrica)

57
Dunque un fenomeno poco studiato e approfondito, di cui si
hanno poche informazioni, e che pertanto gli operatori si
dichiarano impreparati a gestire e ad affrontare la paziente
che presenta questa problematica. Queste opinioni, se da un
lato possono essere dovute all’assenza di esperienza diretta
nella presa in carico di donne con MGF, e sulla quale
torneremo, dall’altro è dovuto alla mancanza di informazioni
e soprattutto di formazione specifica e multidisciplinare in
merito al fenomeno, alle diverse tipologie classificate
dall’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), alle
conseguenze psico-fisiche, alle modalità di approccio
comunicativo (verbale/non verbale) e culturalmente sensibile
per relazionarsi in maniera ottimale con queste donne e le
loro famiglie. Infatti in molti hanno denunciato il bisogno di
sapere come approcciarsi alle donne con i genitali modificati.
“è un tema su cui tutti simo a digiuno (…) ci sentiamo poco
preparati”(Ostetrica)

“se mi dovessi trovare di fronte a questa situazione (di fronte a una


paziente con MGF, ndr.) non saprei come comportarmi”
(Ostetrica)
I partecipanti quindi lamentano una impreparazione dovuta a
una mancanza di formazione teorica e pratica sul fenomeno
atta ad acquisire competenze e capacità che li mettano in
grado di accogliere queste pazienti con le loro
problematicità, con il loro disagio psico-fisico, e di realizzare
una presa in carico attenta agli aspetti interculturali, accurata
e olistica. Queste esigenze espresse dal personale socio-
sanitario meritano risposte e considerazione, in parte date

58
attraverso il percorso formativo appena concluso entro il
quale è stata sviluppata la presente ricerca-zione, ma tali
bisogni potrebbero essere ulteriormente soddisfatti con
future formazioni in materia promosse e pianificate dai
soggetti istituzionali e del privato sociale già attenti e sensibili
a queste tematiche e qui coinvolti. Riprendendo le parole di
una partecipante è fondamentale dare visibilità al tema delle
Mutilazioni genitali femminili, riconoscere che il fenomeno è
presente anche nel contesto regionale umbro e si inserisce
nelle questioni di salute globale:
“Questo tema deve trovare finalmente un suo riconoscimento e
una sua visibilità. Se non se ne parla non esistono. Silenzio e omertà
sono i campi in cui si muovono questi fenomeni” (Psicologa)

3. LE EMOZIONI
Questo è un elemento inatteso rispetto al costrutto
concettuale della ricerca nella fase di pianificazione e che è
emerso nel corso degli incontri. Il tema delle mutilazioni
genitali femminili, e soprattutto l’incontro con le donne,
alimentano emozioni forti: i professionisti non rimangono
indifferenti, ma sono coinvolti empaticamente provando
emozioni forti e diverse, positive e negative. I seguenti stralci
riportano le riflessioni dei partecipanti rispetto alla
sollecitazione di raccontare come si sono sentiti, cosa hanno
provato quando hanno preso in carico la donna con questi
segni sul corpo:

59
“il primo impatto è molto soggettivo. Me la sono sentita addosso
questa cosa. Te la senti sulla pelle. Mi immedesimavo nella donna
che ha subito e ha continuato a subire (…) Io mi sento molto
impotente, è disarmante…una mutilazione è sempre una
mutilazione” (Operatrice sociale)

“all’inizio, quando l’ho viste per la prima volta, ero stato preso
impreparato...poi ogni volta che le vedevo ero stupito, atterrito. Mi
ha messo paura. Alcune erano proprio spaventose, non pensavo si
potesse arrivare a fare certe cose” (Ginecologo)

“quando mi sono trovata pazienti con questi segni sul corpo sono
rimasta senza parole, sbigottita”(Ostetrica)

“(è arrivata una donna in ospedale) doveva partorire, ma non ho


seguito tutto il travaglio. Ho notato i genitali diversi e mi sono
chiesta “è mutilata?”. Poi ci siamo confrontati con i colleghi, ci
siamo chiesti come si sentiva. Io durante il travaglio guardavo i suoi
occhi. Io mi sentivo in imbarazzo e forse per lei era tutto naturale.
Io invece non potevo capire quello che lei provava e se portava alla
luce problematiche psicologiche” (Ostetrica)

“lei sosteneva me quando le curavo la ferita che aveva, io mi sentivo


male e le chiedevo come faceva a non sentire dolore. “la situazione
più difficile è passata”, mi rispondeva. Come fai?” (Ostetrica)

“Mi sono sentita triste, per le donne che non hanno


consapevolezza, non conoscono i diritti sul loro corpo. Mi sono
sentita anche arrabbiata, con il sistema in generale, con la cultura
(…) Ho provato anche frustrazione in situazioni in cui le pazienti
non vedevano la cosa in maniera negativa tanto quanto la
vedevamo noi” (Ostetrica)

60
4. LE ESPERIENZE E NON ESPERIENZE
Al questionario somministrato online il 37% dei rispondenti
(n.21) ha dichiarato di aver incontrato almeno 1 donna
sottoposta a MGF nel corso della propria esperienza
lavorativa. In particolare, in 16 dichiarano di avere visitato da
1 a 5 pazienti con mutilazione genitale, due rispondenti hanno
avuto contatti in un range compreso tra 6 e 10 pazienti; due
partecipanti hanno dichiarato di avere incontrato dalle 20 alle
30 pazienti con MGF, e solo un rispondente ha incontrato
dalle 10 alle 20 pazienti. Mentre la maggioranza, il 63% dei
professionisti coinvolti, ha dichiarato di non avere incontrato
nessuna donna o bambina con i segni di una mutilazione
genitale nell’arco della propria carriera. Questi dati sono stati
approfonditi nel FG in cui è stata confermata questa
tendenza, ossia la maggior parte degli intervistati non ha mai
avuto esperienze dirette o indirette nella presa in carico e
nella relazione con pazienti che presentassero i genitali
modificati. Prendendo in considerazione le testimonianze di
presa in carico di donne con questi segni sul corpo, si ritiene
significativa l’esperienza di un medico ginecologo che nella
sua carriera ha incontrato molte donne con i genitali
modificati, riportiamo alcuni passaggi del suo racconto:
“ho un ricordo di una donna somala, che era infibulata, l’orifizio
vaginale era molto ristretto, veramente terribile. Era in gravidanza.
Abbiamo appreso accordi con l’ospedale di Terni, dove ho trovato
medici che hanno fatto un ottimo intervento chirurgico. Abbiamo
spiegato alla donna che da lì non si tornava più indietro. Una
chiusura (infibulazione, ndr.), abbiamo spiegato alla donna che le
avrebbe dato seri problemi infettivi nel futuro. Ne abbiamo parlato

61
insieme alle ostetriche, le ho fatto vedere perché ci devi fare
l’occhio, non tutte sono facile da capire. La donna ha potuto
partorire in modo naturale. Abbiamo avuto dei buoni risultati, più di
una ne abbiamo fatte operare: cinque o sei. Nella maggior parte
sono donne africane, in particolare somale, etiopi ma anche altri
paesi dell’Africa” (Ginecologo)

Osservando invece l’altra prospettiva, alcuni operatori, pur


non avendo mai avuto esperienze dirette con pazienti con
MGF, affermano che non dovrebbe essere difficile
riconoscere i segni di una mutilazione in quanto:
“non è una cosa che passa inosservata. Ora pur non avendone mai
potute visionare non credo che possa …si vede una paziente con
una mutilazione genitale, credo che si veda. È una zona che il
ginecologo, l’ostetrica la vede cioè a livello anatomico credo sia ben
evidente, non penso sia qualcosa che passi inosservata, per una
disattenzione” (Ostetrica)

Mentre una studentessa di infermieristica dichiara:


“purtroppo non ho nemmeno l’esperienza e quindi non saprei
quello che cercare, sono sincera.”

In generale emergono le difficoltà di sapere identificare e


classificare correttamente le modificazioni genitali, i segni
sul corpo, aspetto appunto non facile che richiede
competenze e che non si può dare per scontato “perché ci
devi fare l’occhio, non tutte sono facile da capire”
(ginecologo). La classificazione standard delle diverse
tipologie di MGF stilata dall’OMS e riconosciuta globalmente
è utile ai fini dell’identificazione delle diverse tipologie e delle
relative conseguenze per la salute della donna. Tuttavia, non
è sempre facile e immediato riconoscere e collocare le

62
diverse forme di modificazione genitale all’interno delle
tipologie e sotto-tipologie utilizzate dall’OMS. Infatti, dalla
classificazione dell’OMS appare evidente che le MGF
costituiscono un insieme assai eterogeneo. Benché́
accomunate per convenzione sotto la medesima sigla, sono
infatti pratiche molto diverse, sia per quanto riguarda le
conseguenze cliniche che determinano sia per i sistemi socio-
culturali a cui fanno riferimento. Di conseguenza, non solo
possono essere assai differenti le pratiche, ma altrettanto lo
sono le modalità di esecuzione, le motivazioni culturali e
antropologiche su cui si basano, le età in cui vengono svolte,
gli operatori che le effettuano e la partecipazione della
collettività.
Inoltre, nella maggior parte dei casi le donne con MGF non si
recano ai servizi socio-sanitari per motivi legati
esplicitamente alla pratica in sé ma per altre problematiche o
ragioni, ad esempio in occasione della visita ginecologa o del
parto, della consulenza psicologica, oppure, nel caso di
minori, della visita pediatrica. In tali situazioni può emergere
la presenza della MGF (anche in modo inatteso da parte del
personale sanitario) e che i disturbi presentati dalla paziente
siano connessi o dirette conseguenze dovute ai genitali
modificati. Alcuni partecipanti dichiarano di avere avuto
pazienti con MGF arrivate direttamente per il parto, mai
incontrate prima del travaglio e che non avevano effettuato
esami. Contemporaneamente si evidenzia la mancanza di
tempo per parlare con la donna, la bambina e la famiglia e per
comprendere il background socio-culturale e il vissuto.
Elementi questi fondamentali per aiutare il personale
sanitario a riconoscere e classificare anche quelle alterazioni
dei genitali meno invasive e meno note di MGF.

63
Certamente i numeri del fenomeno in Umbria non sono
elevati2, ma non sono nemmeno prossimi allo zero,
parafrasando la partecipante qualcosa sfugge oppure come
riporta un’altra partecipante è sottostimato (si fa riferimento
al caso avvenuto nel 2017 a Fossato di Vico in cui un padre di
famiglia è stato arrestato per avere fatto circoncidere la
figlia). Nel 2014 si stimavano circa 600 donne e bambine con
MGF presente sul territorio regionale. Bisogna infatti
registrare la presenza sempre più stabile e strutturata di
persone, gruppi, famiglie e comunità originarie da paesi a
tradizione escissoria come riportato dall’elaborazione dei
dati realizzata dal CERSAG nella presente ricerca-azione che

2
Si rammenta che la regione Umbria è stata segnalata nel 2007 dal
Ministero della Salute come territorio target per le attività di tutela e
prevenzione delle MGF in quanto annoverata nel gruppo delle tredici
regioni italiane in cui il fenomeno era stato registrato. Nel medesimo
documento si dichiarava che il fenomeno fosse “quasi del tutto assente”
in Umbria. Ciò nonostante, l’inclusione della regione in questa
ricognizione ministeriale ha portato alla costituzione del primo tavolo di
lavoro per le MGF a livello regionale a cui parteciparono i rappresentanti
dei servizi socio-sanitari. Cfr. Ministero della Salute, Dipartimento della
Prevenzione e della Comunicazione, Direzione Generale della
prevenzione sanitaria, Ufficio Salute della donna e dell’età̀ evolutiva,
Ricognizione sui servizi offerti a livello regionale a donne e bambine
sottoposte a pratiche di mutilazione genitale femminile (Mgf) anno 2007, 64
Roma, 29 maggio 2007. Le altre regioni segnalate dal Ministero sono: Valle
d’Aosta, Lombardia, P.A. Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia
Romagna, Marche, Lazio, Abruzzo, Puglia, Sardegna. A seguito di questo
primo documento il Ministero ha adottato le Linee Guida “destinate alle
figure professionali sanitarie nonché́ ad altre figure professionali che
operano con le comunità̀ di immigrati provenienti da paesi dove sono
effettuate le pratiche di mutilazione genitale femminile per realizzare una
attività̀ di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle
bambine già̀ sottoposte a tali pratiche”, art. 4 – Legge n. 7 del 2006.
stima in circa 2.000 donne presenti in Umbria e provenienti
dai territori interessati alle pratiche di mutilazione genitale.
Secondo alcune ostetriche, questa tipologia di pazienti non è
stata mai incontrata all’interno dei servizi socio-sanitari in cui
operano perché si rivolgono verso altre strutture (che
potrebbero essere lecite o meno) in cui operano medici che
provengono dai loro contesti d’origine o ancora non hanno
proprio accesso alle cure e questo può creare l’esposizione a
importanti rischi per la salute psico-fisica di queste donne
nonché un vuoto nella tutela della salute in quanto diritto
accessibile e fruibile (art. 32 della Costituzione italiana):

“io credo abbiano altri canali, qui da noi nei consultori nostri non
vengono…e mi sembra strano, io è dall’88 che sto qua e non
abbiamo avuto niente, non lo so…mi sono fatta un po’ un’idea,
ripeto hanno altri canali a noi sconosciuti per farsi controllare, per
questo dico c’è un’altra strada, un’altra via. Non lo so eh…è una mia
idea, probabilmente mi sbaglio. (…) Non è possibile che in
letteratura sono così tanti i casi e dopo a livello pratico sono pochi.
Dove sono queste pazienti? Ecco allora che c’è qualcosa che ci
sfugge” (Ostetrica)

“secondo me non vengono proprio ad essere controllate, non si


controllano. Probabilmente anche perché pensano che non ne
hanno bisogno.” (Ostetrica)

In relazione all’esperienza, presente o meno, e alla presa in


carico di donne con MGF emerge il tema della prevenzione.
Questa è un’azione fondamentale che dovrebbe essere posta
tra gli obiettivi da raggiungere in ogni situazione e intervento.
Gli operatori che hanno avuto esperienze di prese in carico
con donne mutilate raccontano dell’impegno profuso

65
nell’attività di prevenzione e di sensibilizzazione per la messa
in discussione delle attitudini delle pazienti e delle famiglie
(aspetto fondamentale in questo tipo di azioni è proprio il
coinvolgimento dei membri della famiglia) al fine di favorire
l’abbandono di queste pratiche nocive per la salute delle
donne e delle bambine. Si nota come per un’azione di
prevenzione più efficace è importante il coinvolgimento di
altre professionalità al fine di attivare una presa in carico
olistica attraverso il lavoro in équipe. Purtroppo però
mancano i riscontri di questo tipo di interventi, così come
dichiarato dai rispondenti:
“abbiamo cercato di fare un lavoro di prevenzione sul cambiamento
dei comportamenti. Volevamo far capire che non dovevano imporre
la mutilazione alle loro figlie. Non abbiamo riscontri. Non abbiamo
avuto un ritorno, non sono tornate con le figlie. Spero di aver
sortito qualche effetto, me lo auguro. Una donna etiope non capiva,
diceva che doveva essere fatto necessariamente. Noi dicevamo
assolutamente non doveva essere fatto per evitare i rischi del
futuro, esagerando anche, cercavamo di mettere paura. Abbiamo
lottato parecchio contro la resistenza. Nei colloqui con l’assistente
sociale e lo psicologo, se c’era, abbiamo incontrato resistenza non
solo delle mogli ma anche dei mariti” (Ginecologo)

“Cerchiamo di dare indicazioni (ai genitori di bambine, ndr), ma


come va non lo so perché non ho il potere di controllare (si riferisce
al controllo medico, ndr). Ecco perché è importante che il pediatra
sia dalla nostra parte” (Operatrice sociale)

66
5. I BISOGNI PROFESSIONALI
Tra i principali bisogni dal punto di vista lavorativo e pratico
che i professionisti sentono pressanti si riportano i seguenti:

 Lavorare sulla costruzione di relazioni di fiducia


medico-paziente, in particolar modo con la donna in
gravidanza al fine di spezzare la mancanza di fiducia
nei confronti dei servizi. “credo ci sia molta difficoltà
da parte di queste donna a chiedere aiuto” (Psicologa).

 Avere maggiore tempo a disposizione per il


counselling e le visite ambulatoriali con le pazienti, è
indispensabile per poter costruire relazioni di fiducia
con la donna, dare il tempo di aprirsi e di ascoltare, di
entrare in relazione.

 Offerta formativa professionale, specifica e


multidisciplinare che tenga conto degli aspetti sociali,
culturali, legali, psicologici, sanitari.

 Incentivare una maggiore comunicazione tra rete


territoriale e rete ospedaliera e favorire la messa in
rete dei servizi socio-sanitari territoriali per una presa
in carico efficace ed integrata che coinvolga anche le
realtà del privato sociale e del terzo settore. “Come
tutte le cose se non se ne parla, non esistono. Quindi
credo che questo lavoro di rete ha un grande valore. I
tempi sono maturi” (Assistente Sociale).

67
 Sviluppare un approccio maggiormente centrato sulla
persona e non soltanto sugli aspetti organici del
paziente e del suo disturbo. In particolare con
riferimento alle donne con MGF l’approccio deve
mettere la donna al centro condividendo con lei le
possibilità terapeutiche e la definizione del percorso
di cura, perché “spesso si parla tra colleghi ma non
coinvolgendo la donna” (Ostetrica); “Sbagliamo di
nuovo l’approccio, decidiamo noi per quel corpo. Le
abbiamo tolto di nuovo non chiedendo alla donna.
Qualcuno ha deciso per te prima e ora di nuovo”
(Ostetrica).

6. LA MEDIAZIONE CULTURALE E LINGUISTICA


Il dispositivo della Mediazione culturale e linguistica e la
figura del mediatore e della mediatrice trovano ampio spazio
all’interno dei focus group. Infatti la mediazione è
considerata come uno strumento indispensabile di cui c’è
assoluto bisogno per poter comunicare in maniera efficace
con le pazienti e per poter essere supportati nell’adozione di
un approccio culturalmente sensibile e non giudicante.
Eppure, nonostante queste premesse, molto spesso la figura
del mediatore/trice non è presente sia per ragioni di
tempistiche, spesso si lavora in urgenza e non vi è la
possibilità di attivare il servizio, sia per ragioni di mancanza di
una prassi consolidata nell’utilizzo di questa figura all’interno
dei servizi.

68
“essendo impreparata, il mediatore culturale e linguistico è
importante ma è una figura non sempre presente” (Ostetrica)

LA MEDIAZIONE CULTURALE-LINGUISTICA
La mediazione culturale-linguistica è un dispositivo utilizzabile
dalle istituzioni pubbliche finalizzato a favorire le pari
opportunità, la tutela dei diritti riconosciuti dallo Stato e
l’accesso e fruizione ai servizi pubblici. La scelta di utilizzare il
dispositivo di mediazione nasce dalla necessità di favorire una
corretta comunicazione tra due soggetti (in particolare tra
l'operatore della pubblica amministrazione e l'utente straniero)
con lingua e cultura diversa laddove incomprensioni linguistiche
e mancanza di conoscenza dei riferimenti culturali (valoriali e
simbolici) di ognuno, possono condurre a fraintendimenti ed
ambiguità nella comunicazione e di conseguenza nella relazione
tra le parti. La mediazione culturale consente ai cittadini di
comunicare e dialogare in uno “spazio condiviso” che garantisca
giustizia sociale, tuteli la diversità, rafforzi la democrazia. Lo
consente grazie ad una metodologia di lavoro che punta
all’ascolto, alla conoscenza, all’orientamento, all’advocacy e
all’empowerment di tutti i soggetti coinvolti, che consente cioè
di conoscere ed intercettare i bisogni espressi dalla popolazione
immigrata, ma anche di orientare e supportare gli operatori dei
Servizi pubblici nella risposta a tali bisogni, nonché di tenere nel
dovuto conto le necessità della società civile nel suo insieme, per
permettere a tutte le parti in causa di gestire consapevolmente i
rapporti reciproci.
“L’integrazione è un processo dinamico, non statico, a due direzioni, di
reciproco adattamento, che richiede la partecipazione non soltanto
degli immigrati ma anche dei residenti degli Stati membri (…) e la
chiara compenetrazione dei loro reciproci diritti e responsabilità.”
(Consiglio Europeo, Common Basic Principles, CBP. 1)

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7. LA FORMAZIONE
Il tema della formazione specifica sul complesso e poliedrico
fenomeno delle MGF è emerso con frequenza in tutte gli
incontri realizzati e quindi con tutti i profili professionali
coinvolti. In molti dichiarano la mancanza o la scarsità di
proposte formative professionalizzanti sul tema, alcuni
hanno approfondito il tema in modo autonomo altri
dichiarano di avere una conoscenza superficiale o di essere
completamente inesperti. Nel complesso tutti i partecipanti
si sono dichiarati molto interessati a conoscere e ad
approfondire la tematica e a ritenere necessaria questo tipo
di formazione anche per i professionisti nel settore della
salute mentale. Infatti, come già riportato nella sezione 2
relativa alla presa in carico, in molti si dichiarano impreparati
esplicitando difficoltà nella individuazione, classificazione e
gestione di donne (inteso come approccio verso le donne)
con problematicità legate alla presenza di mutilazioni genitali
e riconoscendo l’importanza di approfondire le conoscenze
anche da una prospettiva socio-culturale-antropologica utile
al fine di comprendere le motivazioni e le consuetudini che
sostengono la persistenza di queste pratiche anche in
contesti diasporici come quello italiano:
“Lo reputo un argomento molto interessante, attuale, sembra
lontano da noi ma può capitare in qualsiasi momento (di avere una
paziente con MGF, ndr.) (Ostetrica)

“è un tema su cui siamo tutti a digiuno e ci sentiamo poco


preparati” (Ostetrica)

70
“La formazione la facciamo sul campo, perché sono presenti pochi
corsi che parlano di questo e che danno informazioni. C’è necessità
di formazione. A noi manca la diffusione delle informazioni,
dobbiamo conoscere meglio il problema. Se n’è parlato ma in modo
superficiale. Bisogna conoscere meglio e sapere dove trovare aiuti.
Lavoriamo senza una preparazione, una base culturale”
(Ginecologo)

È stato riportato da alcuni partecipanti che nel corso di laurea


di ostetricia è stato inserito un modulo sul tema delle MGF e
anche nel percorso di studi in infermieristica vi sono alcune
ore dedicate all’approfondimento del fenomeno.
Certamente la decisione di aprire il presente percorso di
ricerca-azione agli studenti e alle studentesse iscritti
all’ultimo anno di infermieristica presso l’Università degli
Studi di Perugia è stata un’importante opportunità di studio
e confronto, merito della felice intuizione dei responsabili
della formazione per il tirocinio universitario e dell’ASL
Umbria2.
“C’è da fare molto con noi operatori e credo che soprattutto su
queste tematiche così delicate, così primordiali che hanno a che fare
con la nascita del mondo, mi viene da dire. C’è da lavorare e da non
lasciare in pace neanche gli operatori che snobbano un po’ o che
comunque si reputano al di sopra di queste necessità. (…) Io credo
che è importante cominciare a parlarne nei servizi, perché c’è
un’ignoranza totale su questo tema. Ritengo che i nostri infermieri,
le nostre assistenti sociali… anche nel settore delle dipendenze,
della salute mentale debbano essere sensibilizzati a queste
tematiche” (Psicologa)

71
8. RAZZISMO
Nel corso degli incontri è emerso inaspettatamente il tema
del razzismo all’interno dei servizi socio-sanitari agito dal
personale sanitario nei confronti di pazienti straniere. Diversi
professionisti hanno rilevato un atteggiamento razzista da
parte di colleghi e colleghe nei confronti di donne straniere
che vengono considerate “(pazienti) di serie B” nei confronti
delle quali c’è un approccio diverso, un’accoglienza
distaccata e infastidita in quanto “non vedono più la persona
ma solo l‘oggetto della professione” (Ostetrica). Vengono
denunciati quindi atteggiamenti discriminatori, in alcuni casi
espliciti e in altri meno espliciti, dovuti a pregiudizi e
stereotipi verso determinate culture. Concepire le culture
come tradizioni chiuse, fisse, immutabili, e quindi adottare
una visione reificata della cultura in cui le differenze culturali
sono naturalizzate, può̀ portare a nuove forme di razzismo in
cui la cultura viene concepita come un marcatore di identità
e ne diventa un suo sinonimo. Le culture invece sono sistemi
permeabili, sono spazi di scambio non sono realtà fisse e
statiche. Pertanto, atteggiamenti giudicanti e discriminatori
possono anche sfociare in forme di razzismo, come ha
suggerito Marco Aime “utilizzando la cultura come paravento,
siamo diventati razzisti senza nemmeno più bisogno della
razza” (Aime, 2009, p.70).

Ma secondo alcune non è solo una “questione di colore della


pelle o etnica” ma proprio una “questione di lontananza a
livello culturale, a livello linguistico” che porta a discriminare
la paziente che è pertanto percepita e trattata come un

72
“problema” in quanto il personale sanitario ha grandi
difficoltà a comunicare e a relazionarsi. Il dibattito su questo
tema è sempre stato molto vivace e partecipato in tutti gli
incontri realizzati. I razzismi in Italia ci sono ed è una
questione culturale e di sensibilità secondo quanto riferito da
molti partecipanti. Per quanto riguarda i processi
discriminatori di cui le donne migranti sono vittime, gli
studiosi dei Gender Studies hanno individuato una tripla
discriminazione: le donne migranti sono discriminate in
quanto donne, in quanto migranti e in base alla classe sociale.
Formano così quella che è stata definita una “trimurti di
caratteri” che definiscono il ruolo delle donne immigrate
nelle società̀ d’arrivo.

9.RACCOMANDAZIONI

 Costruire e consolidare un’équipe professionale


multidisciplinare specializzata sul tema (anche se i casi
non sono enormi e quindi il tema non è visto come
principale dalla dirigenza) in cui fanno parte diverse
figure professionali in ambito socio-sanitario:
psicologo, ostetrica, ginecologa, pediatra,
mediatore/trice culturale, MMG, antropologi,
assistenti sociali. Questo tipo di équipe potrebbe agire
come Front Unit ed essere non fissa ma flessibile, cioè
composta da diverse figure professionali specializzate
che all’occorrenza vengono attivate dalle strutture
territoriali in qualità di esperti per la gestione dei casi,
la presa in carico e l’attività di consulenza. È una
modalità d’intervento che potrebbe essere sviluppata

73
nel più ampio ambito della presa in carico delle donne
vittime di violenza di genere.

 Attivare interventi di micro-counselling e di


counselling breve che ha caratteristiche specifiche
come pratica di lavoro e che potrebbe essere
appropriata ed efficace come modalità d’intervento
per la presa in carico di famiglie in cui le MGF sono
presenti e per attivare azioni di prevenzione e
sensibilizzazione per l’abbandono delle pratiche.

 Istituire un Registro regionale in cui raccogliere la


casistica delle MGF rilevate all’interno dei servizi socio-
sanitari territoriali.

 Creazione di un Protocollo regionale per la presa in


carico e i relativi step da seguire in base alle diverse
casistiche/situazioni che possono presentarsi in
merito a questa tipologia di pazienti con MGF.

 Inserire il riscontro delle MGF in base alle tipologie


classificate dall’OMS all’interno della Cartella clinica
della paziente.

 Inserire un codice per l’esenzione di cure legate alle


conseguenze dovute alla presenza di MGF.

 Promozione e presentazione dei servizi socio-sanitari


a cui si può accedere per i diversi gruppi target

74
interessati alla pratica al fine di aumentare l’accesso ai
servizi e ridurre sacche di marginalità ed esclusione
dall’assistenza sanitaria universale e gratuita.

 Promuovere l’impiego strutturato e pianificato del


dispositivo della Mediazione culturale e linguistica
all’interno dei servizi come strumento in supporto sia
agli operatori sanitari sia ai pazienti al fine di
migliorare la comunicazione verbale, non verbale e
interculturale, e anche come mezzo per rendere i
servizi più accessibili, efficaci ed efficienti.

 Promuovere azioni di prevenzione delle MGF nei


confronti delle bambine.

 Realizzare una ricerca su scala regionale per


monitorare e valutare gli esiti degli interventi di
prevenzione e sensibilizzazione realizzati con le
famiglie interessate alle pratiche di MGF attivati dai
servizi territoriali.

75
Conclusioni
Il lungo percorso di ricerca-azione realizzato con e per i servizi
socio-sanitari presenti nella Regione Umbria ha rilevato
grande interesse per la tematica affrontata e forti sensibilità
da parte del personale coinvolto. Non sono mancati i
confronti di opinioni divergenti così come l’emersione di
esperienze e di buone pratiche presenti sul territorio. I
momenti di gruppo sono stati foriera di scambio, di
riflessione condivisa in cui è stata segnalata la mancanza di
tempi e spazi di condivisione tra colleghi e la necessità di
adottare un approccio culturalmente più sensibile, scevro da
stereotipi ed esotismo, nella presa in carico della donna
migrante.
In relazione a ciò, diviene sempre più indispensabile
promuovere una formazione specialistica e mirata su tali
tematiche, e più in generale sui determinanti di genere
rispetto alla salute delle donne migranti, che adotti un
approccio olistico, multidimensionale e interculturale,
elemento emerso anche dagli operatori stessi. Come
sottolinea l'Organizzazione Mondiale della Sanità
“l'approccio di genere alla salute è ineludibile per un efficace
contrasto delle disuguaglianze nello stato di salute della
popolazione” (OMS 2007) al quale aggiungere la necessità di
riconoscere una particolare attenzione e maggiore fruizione
del dispositivo della mediazione culturale linguistica, proprio
legata alla salute delle donne straniere.
I servizi socio-sanitari costituiscono una risorsa
particolarmente efficace per affrontare la problematica delle
Mutilazioni Genitali Femminili potendo esprimere non solo

76
competenze terapeutiche e preventive ma anche di
promozione del cambiamento culturale in senso di tutela
della salute e di affermazione globale dei diritti umani
(CACCIALUPI, SIMONELLI 2014).

77
Appendice

Schema Partecipanti
Genere Professione Anni Località Tipologia servizio
servizio servizio
F Coordinatrice 40 anni AO Perugia Ospedale
Ostetriche –
Docente
F Ostetrica Non Terni Consultorio
specificato
(N.S.)
F Ostetrica – corso 5 anni AO Perugia Ospedale;
laurea ostetricia Coordinatrice
laurea ostetricia
F Ostetrica N.S. N.S. Consultorio
F Ostetrica 40 anni Orvieto Consultorio
F Ostetrica N.S. Orvieto Consultorio
F Ostetrica 23 anni Norcia-Cascia Consultorio
F Ostetrica 4 anni AO Perugia Ospedale
F Ostetrica 14 anni AO Perugia Ospedale
F Ostetrica 2 anni Terni Consultorio
F Ostetrica 20 anni Amelia Consultorio
F Ostetrica 20 anni Foligno- Consultorio
Trevi-
Sant’Eraclio
F Ostetrica 32 anni Orvieto Ospedale
F Ostetrica 20 anni Foligno Ospedale
F Ostetrica 5 anni AO Perugia Ospedale
F Ostetrica 2 anni AO Perugia Ospedale
F Ostetrica 33 anni Città Consultorio
Giardino

78
F Ostetrica 11 anni Narni-Amelia Consultorio
F Ostetrica N.S. Terni Consultorio
F Ostetrica 21 anni Norcia-Cascia Consultorio
F Ostetrica N.S. AO Perugia Ospedale
F Ostetrica 16 anni AO Perugia Ospedale
F Ostetrica 27 anni Cascia - Consultorio
Norcia
F Ostetrica 23 anni N.S. Ospedale
F Ostetrica 20 anni Terni Consultorio
F Ostetrica 22 anni Narni-Amelia Consultorio
F Ostetrica 5 anni AO Perugia Ospedale
F Ostetrica 5 anni AO Perugia Ospedale
F Ostetrica 11 anni Orvieto Consultorio
M Ginecologo 8 anni Orvieto Consultorio
M Ginecologo N.S. Narni-Amelia Consultorio
F Operatrice 12 anni Terni Caritas-San
sociale Martino
F Operatrice 15 anni Terni Comunità San
sociale Martino
F Mediatrice N.S. Perugia Agenzia
Culturale mediazione
CIDIS/CSC
F Operatrice N.S. Terni Comunità San
sociale Martino
F Mediatrice 8 anni Terni Agenzia
Culturale mediazione
CIDIS/CSC
F Mediatrice 7 anni Terni Agenzia
Culturale mediazione
CIDIS/CSC
F Psicologa N.S. Orvieto Cooperativa
Quadrifoglio

79
F Infermiera 33 anni Perugia Responsabile
Formazione
UniPG
F Assistente 17 anni Amelia Consultorio
sociale
F Psicologa 30 anni Orvieto Consultorio
F Psicologa, 42 anni Orvieto Poliambulatorio
psicoterapeuta
F Psicoanalista 38 anni Terni Consultorio
F Psicologa Pochi mesi Terni Consultorio
F Psicologa Pochi mesi Fabro Scuola di
specializzazione
F Ostetrica 6 anni Magione Consultorio
F Ostetrica 15 anni Magione Consultorio
F Ostetrica 32 anni Magione Consultorio
F Ostetrica 7 anni Magione Consultorio
F Ginecologa 8 anni Foligno Ospedale
F
F
F
F Iscritti al III ANNO del corso di Laurea in Infermieristica presso
F l’Università degli Studi di Perugia- sede di Terni. I partecipanti
F stavano svolgendo l’ultimo periodo di tirocinio in previsione della
M conclusione del percorso di studi.
F
F
F
F
F

80
Mutilazioni Genitali Femminili: Questionario di rilevazione

Genere:
Anno di nascita:
Professione:
Istituzione di appartenenza:
Sede di lavoro:

Che conoscenza ha del fenomeno delle MGF:


 Conosco bene il fenomeno
 Ho qualche conoscenza
 Non conosco il fenomeno ma vorrei approfondirlo
 Non conosco il fenomeno e non mi interessa

Con quali canali ha acquisito/acquisisce informazioni sul


tema?
 Letteratura scientifica
 Letteratura non scientifica
 Corsi di formazione
 Convegni/seminari
 Esperienza diretta
 Mass Media
 Tramite i pazienti/utenti
 Nessuno di questi (non mi informo)
 Altro:_______________________________________

81
E' a conoscenza della presenza di centri clinici in Italia
specializzati nella cura e prevenzione delle MGF?
 Si
 No
In caso di risposta affermativa, potrebbe indicare quali?
_______________________________________________

Qual è la sua opinione sulle MGF?


 E' una forma di violenza
 E' una pratica culturalmente inaccettabile
 E' un fenomeno da comprendere
 Non so esprimere un giudizio

E' a conoscenza della legislazione nazionale concernente la


prevenzione e il divieto delle MGF?
 Sì
 No

Nell'attività lavorativa ha incontrato pazienti con MGF?


 Sì
 No

Nella sua esperienza lavorativa quante donne/bambine


sottoposte a MGF ha incontrato?
 Nessuna
 da 1 a 5
 da 6 a 10

82
 da 10 a 20
 da 20 a 30
 da 30 a 40
 da 40 a 50
 oltre 50
Quando si è trovato coinvolto nella problematica delle MGF
ha sentito il bisogno di:
 Una migliore preparazione professionale
 Parlarne con i colleghi per averne confronto e
supporto
 Nessuna in particolare
 Confrontarmi con un esperto della tematica

Da quando si è trovato coinvolto nella problematica delle


MGF:
 Ho pensato spesso a come promuovere la
prevenzione
 Ho sperato che qualcuno prima o poi intervenisse
 Ho prestato attenzione particolare alle informazioni
in merito
 Non me ne sono preoccupato/interessato
 Mi sono attivato personalmente per promuovere la
presa in carico di donne con MGF e la prevenzione

Al momento della presa in carico della donna sottoposta a


MGF ha coinvolto la figura del Mediatore Interculturale?
 Sì, in tutti i casi
 Sì, solo in alcuni casi
 No
 Vorrei farlo ma non so come attivare il servizio

83
Quanto ritiene sia significativo e presente il fenomeno in
Umbria:
 Per nulla
 Poco
 Abbastanza
 Molto
 Moltissimo

E' facile riconoscere la presenza della problematica nelle


pazienti?
 Per nulla
 Poco
 Abbastanza
 Molto
 Moltissimo

Commenti o suggerimenti aggiuntivi


___________________________________________________

84
Bibliografia
AIDOS, 2018. MGF: La situazione in Italia.
https://www.aidos.it/wpcontent/uploads/2017/02/COUNTRY-
INFO-PAGES_ITALY_ITALIAN-FINAL.pdf
AIME M., 2004. Eccessi di culture, Einaudi, Torino.
AIME M., 2009. La macchia umana, Ponte alle Grazie, Milano.
BAGAGLIA C., FLAMINI S., PELLICCIARI M., POLCRI C., 2014.
Mutilazioni genitali e salute riproduttiva della donna immigrata
in Umbria. Centro Stampa Giunta Regionale Umbria, Perugia.
BICHI R., 2007. La conduzione delle interviste nella ricerca
sociale, Carocci Roma.

BIGI E., 2019. Umbria. Rapporto immigrazione 2019. In IDOS e


Centro Studi Confronti (a cura di), Dossier statistico
immigrazione 2019.
CACCIALUPI M. G., SIMONELLI I., 2014. Mutilazioni genitali
Femminili. Rappresentazioni sociali e approcci sociosanitari, i
Quid n.11, Milano.
CIPOLLA C., 2003. Il ciclo metodologico della ricerca sociale,
Franco Angeli Milano.
CORRAO S., 2005. Il focus group, Franco Angeli Milano.
European Institute for Gender Equality - EIGE, 2018. REPORT.
Estimation of girls at risk of female genital mutilation in the
European Union Belgium, Greece, France, Italy, Cyprus and
Malta. https://aidos.it/wp-content/uploads/2017/07/EIGE-Girls-at-
risk-2018.pdf.pdf

85
Faraca A., 2016. Female Genital Mutilation/Cutting in the
context of migration: Stories from the lives of Nigerian exiles,
in One Way Trip. Essays on Mediterranean Migration, Ed by V.
De Cesaris, pp. 143-172, Stranieri University Press, Perugia.
Farina P., Ortensi L.E., 2014. The mother to daughter
transmission of Female Genital Cutting in emigration as
evidenced by Italian survey data. GENUS - Journal of
Population Sciences. 70 (2): 111-137.
Farina P., Ortensi E., Menonna A., 2016. Estimating the
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mutilation/cutting in Italy. The European Journal of Public
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Farina P., Ortensi E., Pettinato T., 2020. Le mutilazioni genitali
femminili in Italia: un aggiornamento.
https://www.neodemos.info/2020/07/03/le-mutilazioni-
genitali-femminili-in-italia-un-aggiornamento/

ISTAT (2019). Stranieri residenti al 1° gennaio 2019 -


Cittadinanza.
ISTAT (2019a). Stranieri residenti al 1° gennaio 2018 -
Cittadinanza.
ISTAT (2019b). Stranieri e immigrati. Permessi di soggiorno
dei cittadini non comunitari: Cittadinanza e motivo del
permesso al 1 gennaio 2019.
ISTAT (2019c). Stranieri residenti al 1° gennaio 2019 –
Cittadinanza: Umbria.

86
Ministero della Salute, 2007. Linee guida destinate alle figure
professionali sanitarie nonché ad altre figure professionali che
operano con le comunità di immigrati provenienti da paesi
dove sono effettuate le pratiche di mutilazione genitale
femminile per realizzare una attività di prevenzione, assistenza
e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali
pratiche. Ministero della Salute, Roma.
UNFPA, 2020. State of World Population. Report 2020: Against
My Will. Defying the practices that harm women and girls and
undermine equality. https://www.unfpa.org/swop

UNFPA, 2020a. Impact of the COVID-19 Pandemic on Family


Planning and Ending Gender-based Violence, Female Genital
Mutilation and Child Marriage. Pandemic threatens
achievement of the Transformative Results committed to by
UNFPA. https://www.unfpa.org/resources/impact-covid-19-
pandemic-family-planning-and-ending-gender-based-
violence-female-genital

UNICEF, 2019. DHS, MICS, Health Issues Survey, Population and


Health Survey and RISKESDAS, 2004-2018.
https://data.unicef.org › Somalia › FGM_SOM .
UNICEF, 2016. Female Genital Mutilation/Cutting: A global
concern. UNICEF, New York.

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