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CAP 3

LA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA: RAPPRESENTAZIONI E


PERCEZIONI DELLA “REALTÀ”

Nei capitoli 1 e 2 Ciccone ha discusso del modo in cui viene descritto e


percepito socialmente il cambiamento nelle relazioni tra i sessi e nei ruoli di
genere, perché il modo in cui il mutamento viene rappresentato risulta
fondamentale per l’esperienza che gli uomini ne fanno. Ha quindi un’influenza
importante in questo senso e anche per quanto riguarda le risposte maschili.

Ciccone vuole mettere in risalto una reciprocità esistente tra i cambiamenti


strutturali della realtà sociale e la rappresentazione e interpretazione che viene
fatta di quei cambiamenti. Le rappresentazioni influenzano l’esperienza che gli
individui fanno del cambiamento, quindi sono parte di esso in due sensi:

1. molte rappresentazioni sono reazioni al cambiamento, in senso o di


adattamento oppure di resistenza.
2. le rappresentazioni dominanti danno forma al cambiamento, trasformando
l’esperienza che possiamo farne.

A questo punto Ciccone cita alcuni sociologi e filosofi (Gadamer, Weber,


Durkheim ecc) che hanno riflettuto sull’impatto che hanno i significati che
attribuiamo all’esperienza della realtà, i significati che sono frutto
dell’interazione sociale. In modo particolare si sofferma su Berger e Luckmann,
i quali nell’introduzione di La realtà come costruzione sociale si chiedono:
“com’è possibile che i significati soggettivi diventino fattualità oggettive?”

Per comprendere la società dobbiamo considerare 2 cose:

1. la fattualità oggettiva
2. il significato soggettivo che le attribuisce chi le vive

Ciccone prende così spunto da queste riflessioni sociologiche per ragionare su


alcuni punti come ad esempio:

- su come le rappresentazioni sociali abbiano contribuito a dare forma


all’esperienza che gli uomini fanno del cambiamento in corso.

- e anche su quale sia il contesto e il quadro di significati disponibili per


esprimere e rappresentare l’esperienza maschile contemporanea.

e poi si chiede retoricamente se la rottura che è avvenuta nella trasmissione di


significati tra generazioni di uomini, quindi una rottura di continuità con quel
mondo in cui i destini degli uomini erano segnati, sia solo una perdita o possa
rivelare la possibilità di vivere lontano da stereotipi.

ELEMENTI CHE CONCORRONO A DETERMINARE L’ESPERIENZA CHE FACCIAMO


DELLA REALTÀ IN CUI SENTIAMO DI VIVERE:
- condizioni materiali di vita, l’immaginario, il linguaggio, le aspettative, le
percezioni, ideologia, pregiudizio, stereotipo.

Tutto questo vale soprattutto per una dimensione come l’identità sessuata:
BOURDIEU: la violenza simbolica risiede in disposizioni adattate alle strutture
di dominio
[Dagli appunti: Pagine 52-53: Poiché il fondamento della violenza simbolica risiede
non in coscienze mistificate che sarebbe sufficiente illuminare, bensì in disposizioni
adattate alle strutture di dominio di cui sono il prodotto, ci si può attendere una
rottura del rapporto di complicità che le vittime del dominio simbolico stabiliscono con
i dominanti solo da una trasformazione radicale delle condizioni sociali di produzione
delle disposizioni che portano i dominati ad assumere sui dominanti e su se stessi il
punto di vista dei dominanti. ->

Non c’è la possibilità di una presa di coscienza individuale, ma bisogna agire sulle
condizioni sociali di produzione delle disposizioni di quella che Bourdieu ha definito
l’economia dei beni simbolici. È un processo lungo che anche Heritier aveva
sottolineato, evidenziando come la gerarchizzazione dei sessi agisce in modo
profondo.

Ciccone a questo punto mostra un’analogia tra la definizione di Bourdieu con la


produzione di egemonia analizzata da GRAMSCI, ossia che l’assunzione da parte dei
soggetti subalterni del punto di vista dei dominanti è l’esito di un complesso di
relazioni sociali. Riprende anche Foucault per affrontare il concetto di “potere” e
mostrare che non esiste un potere che produce delle rappresentazioni ideologiche per
poi imporle ai soggetti, ma che il modo in cui essi costruiscono il sapere sul mondo e
su loro stessi è un effetto di relazioni di potere. Riconoscere che le rappresentazioni
degli individui siano connesse alle relazioni di potere permette di trasformarle. A
questo proposito chiama in causa anche la prospettiva marxista secondo cui la cultura,
le rappresentazioni sociali, le forme di conoscenza della realtà, non sono una mera
sovrastruttura prodotta deterministicamente dalla dimensione economica, e la cultura
egemone non è una semplice costruzione ideologica. Infatti CICCONE vede un punto
d’incontro tra le prospettive marxista e quelle critiche femministe e queer nella
critica alla naturalizzazione delle costruzioni sociali a giustificazione di rapporti di
potere. L’obiettivo di Ciccone è proprio quello di palesare la presunta naturalità delle
forze di relazione tra le persone e delle attitudini e funzioni attribuite ai due sessi.
Soprattutto vuole mettere in luce come l’assenza di nuovi riferimenti, nuove
rappresentazioni e nuove forme espressive di linguaggio impediscano una diversa
espressione maschile del cambiamento.

CAP 4:
LE POSTURE MASCHILI DI FRONTE AL CAMBIAMENTO
Ciccone parla degli incontri che ha fatto con i ragazzi e le ragazze nelle scuole
e racconta come in quelle occasioni si sia trovato di fronte ad atteggiamenti
maschili diversi rispetto al cambiamento delle relazioni tra i sessi e il modo in
cui queste relazioni vengono rappresentate. Atteggiamenti diversi che però
dimostrano la presenza di un problema nell’elaborazione maschile dei processi
di cambiamento. A suo avviso sarebbe un errore distinguere tra resistenze
misogine da una parte e aperture innovative dall’altra, perché molto spesso in
questo secondo caso si tratta della riproposizione di modelli tradizionali e in
ogni caso questi due diversi atteggiamenti hanno una continuità di fondo.
Infatti Ciccone rintraccia delle INVARIANZE e dei ritorni all’indietro CITO “che
rivelano come modelli e strutture profonde della mascolinità sopravvivano e si
ridefiniscano nei processi di cambiamento.”

Il dibattito femminista ha proposto di considerare “post patriarcali” e non


“tradizionali” i comportamenti regressivi come ad esempio la violenza maschile
sulle donne, perché questo tipo di violenza non è il frutto di retaggi arcaici che
dimostrano che non è avvenuto nessun cambiamento ma anzi sono sintomo
del fatto che il mutamento è avvenuto e questo ha causato una rottura
nell’ordine simbolico tradizionale. Ciò ha fatto sì che gli uomini non avessero
più un’ideale a cui guardare e l’assenza di categorie che forniscano nuovi
significati all’esperienza maschile rischia di attirare verso posizioni revansciste
chi desidera distinguersi da modelli tradizionali.
Il punto centrale è quindi la fragilità del cambiamento maschile e il suo essere
continuamente esposto a ritorni indietro.

L’ESTRANEITÀ: “VOI CE L’AVETE CON GLI UOMINI, IO NON SONO


COSÌ”

Ciccone parla di un’esperienza che ha fatto in una scuola media della provincia
di Roma con un ragazzino. Mentre Ciccone teneva un discorso riguardo i ruoli e
le discriminazioni di genere, il ragazzino interviene dicendo: “Io non sono così,
siete voi ad avercela coi maschi. Anche qui a scuola appena c’è un guaio – se si
rompe un vetro o scompare un quaderno – le insegnanti sono subito pronte a
incolpare noi. Sì, forse le donne nella storia hanno avuto meno diritti, ma qui
siamo noi a essere nel mirino”.

Ciccone riflette su quest’obiezione e dice che qui c’è più di quanto sembri,
perché in qualche modo il ragazzo riconosce che nella società ci sia un
privilegio maschile, però poi nel suo contesto scolastico vede un pregiudizio nei
confronti dei maschi, perché sono considerati per natura inaffidabili, più
aggressivi, naturalmente più esuberanti. Questo però implica che l’insegnante
li rimproveri più frequentemente rispetto alle ragazze che parallelamente sono
considerate più disciplinate. Il ragazzo però non si rende conto che questa loro
pseudo natura esuberante d’altra parte è proprio il fondamento del loro
privilegio. Ciccone dice che questo dipende dal modo in cui noi parliamo degli
stereotipi e delle discriminazioni di genere, perché corriamo dei rischi.

RISCHIO 1: Da un lato nel condannare un sistema rischiamo di rappresentarlo


staticamente, dicotomizzando le donne come vittime e gli uomini come
corrispondenti al conformismo maschilista.
RISCHIO 2: Spesso le critiche sulle disparità tra donne e uomini mettono in
discussione solo in modo apparente le rappresentazioni di genere, mentre in
realtà non fanno altro che proporre a loro volta delle rappresentazioni
stereotipate, come ad esempio insegnanti che decantano le tradizionali virtù
femminili dell’empatia, multitasking ecc.)

Questi rischi portano poi a confondere il femminismo con il FEMMINILISMO:


una valorizzazione della “femminilità” che enfatizza una malintesa “essenza”
femminile schiacciando i due generi nella loro rappresentazione stereotipata.

Tornando alla reazione del ragazzino Ciccone dice che in quella reazione
dobbiamo cogliere una rottura che è possibile valorizzare, perché contesta i
discorsi che sente fare a Ciccone ma nel farlo afferma: “non tutti i maschi sono
così”, quindi dimostra di percepire una distanza tra la propria realtà
esistenziale e relazionale e la rappresentazione del maschile che sente di
ricevere. È una reazione ambivalente, perché in questa reazione troviamo da
una parte una resistenza a misurarsi con le letture critiche dei modelli
tradizionali e dall’altra parte uno spostamento rispetto a quei modelli. Quindi,
quando quel ragazzo sente parlare di certi argomenti in un certo modo non
riesce a percepire queste critiche collocandosi all’interno del cambiamento
bensì come stereotipi, cioè ancora come frutto di un pregiudizio ostile verso gli
uomini.

Dunque, si sente COLPEVOLIZZATO per qualcosa di cui non si sente parte e di


cui non ha responsabilità. A questo proposito Ciccone parla dell’
OSTENTAZIONE DI VITTIMISMO MASCHILE che emerge quando si parla della
violenza degli uomini sulle donne. Nessuno si direbbe a favore della violenza,
perciò i maschi si sentono delle vittime dicendo “io non sono così”, “non è
colpa mia”, “se gli altri fanno così non devo ritenermi io responsabile”.

Ciò è etichettato come MANIPOLAZIONE CULTURALE a detta di Fabio Nestola,


un esponente della galassia revanscista maschile, in un suo libro che Ciccone
cita in questo paragrafo. Ciccone critica quanto scritto da Nestola, perché con
le sue parole tenta di minimizzare il fenomeno della violenza contro le donne
come una violenza qualsiasi che non ha cause sociali e culturali da dover
affrontare.

Nelle reazioni dei ragazzi che Ciccone ha osservato nelle scuole, questa
insofferenza nei confronti delle rappresentazioni del maschile considerate
semplificate (quindi che non tengono conto della complessità presente
all’interno e all’evoluzione) può rivelare in qualche modo un desiderio di
smarcarsi da una norma così rigida di riferimento. Questo però finisce talvolta
col tradursi in una difesa contro una denigrazione maschile o di insofferenza
nei confronti di quello che viene concepito come un pregiudizio femminista. Il
fatto che i ragazzi percepiscano una distanza tra sé e il modello tradizionale
maschile è positivo perché mostra che un mutamento è avvenuto e apre la
possibilità a un ulteriore miglioramento. Il problema sorge quando questo
mutamento si risolve in quell’ostentazione di estraneità e rimozione.
Abbiamo visto che spesso emerge quell’insofferenza maschile verso quella che
loro percepiscono come un’accusa immeritata, che non terrebbe conto di quel
percorso di cambiamento che sentono di aver fatto. Quindi si dicono estranei ai
modelli dominanti, perché non si riconoscono più in quei modelli e molti uomini
tendono a rimproverare alle donne di essere ancora legate a quel
corteggiamento e mascolinità stereotipati.

L’equivoco è creato dalla confusione tra “natura maschile” e “cultura


patriarcale” e Ciccone riassume quello che accade: “io non sono un violento
oppressivo, ma un pregiudizio contro gli uomini porta a denigrarli
descrivendoci tutti come violenti, quindi più che contrastarne le espressioni
violente devo difenderne “il buon nome”.”

In conclusione a questo paragrafo Ciccone dice: Ammettiamo che io uomo


considero la rappresentazione del maschile una caricatura, perché non mi ci
riconosco e mi infastidisce che le donne mi accusino di cose di cui non ho colpa
e credo anche che gli uomini per natura non siano superficiali e oppressivi. A
questo punto se penso tutto questo perché non provo a dirlo e a comportarmi
in modo diverso e dimostro che tutti questi sono stereotipi che non valgono
più? Si risponde dicendo probabilmente non lo faccio, perché appena provo a
discostarmi da quel modello mi accorgo di non avere altre rappresentazioni a
disposizione e soprattutto mi accorgo che ogni espressione che differisce da
quella tradizionalmente data viene stigmatizzata, considerata ridicola,
buonista, effeminata e ipocrita. Si tratta, scrive Ciccone, “di svelare le regole
invisibili, non scritte ma ferree, che disciplinano i nostri comportamenti, le
nostre relazioni ma anche i nostri desideri.”

LA SOTTRAZIONE

Ciccone parla delle difficoltà con cui gli uomini cercano di esprimere il loro
spostamento rispetto alle generazioni precedenti e ai modelli dominanti di
mascolinità. Una di queste difficoltà è rintracciabile nell’assenza di un nuovo
linguaggio e di un diverso modo di rappresentare se stessi e i propri desideri.
Questa difficoltà, dice Ciccone, porta solitamente a non agire nei confronti del
cambiamento ma a sottrarsi e la riscontra (fa due esempi principalmente):

1. nei ragazzi delle scuole, perché chiedono come fare a non essere violenti,
cercando un modello nuovo da sostituire a quello vecchio.

3. Nelle associazioni antisessiste e nei gruppi di condivisione maschile: anche


qui c’è il timore di ripetere quegli atteggiamenti maschili da cui ci si vuole
allontanare (es. ricerca narcisistica della visibilità) che porta a sottrarsi
dalle dinamiche competitive maschili.

La sottrazione maschile appare un “fenomeno” controverso che riguarda:

1. Forme vecchie e stereotipate (la sottrazione dalle relazioni,


“l’inaffidabilità” degli uomini, la costruzione di spazi separati di
omosocialità). Questo perché il volersi sottrarre a un ruolo sociale in cui
non ci si riconosce può essere interpretato come una sottrazione alle
proprie responsabilità; quindi questo gesto di resistenza rischia poi di
riprodurre quel luogo comune della fuga dalle proprie responsabilità da
parte degli uomini. A questo proposito cita Simone Perotti “dove sono gli
uomini?” in cui parla della sottrazione e inadeguatezza maschile. Dice che
se le quarantenni di oggi sono il frutto di rivoluzioni attuate negli anni ’70
dalle loro madri, i quarantenni di oggi invece non si possono compiacere
coi loro padri perché non hanno contribuito a una rivoluzione di genere ma
anzi hanno messo al mondo (e CITO): una genia di uomini disorientati,
incapaci di stare al passo con le loro madri e soprattutto con le donne che
avevano come sorelle, amiche e amanti. Sono quelli che sono rimasti
indietro in questa lunga storia. Sempre Perotti poi dice che il tempo per
una rivoluzione maschile è arrivato e che per essere fatta gli uomini devo
ammettere la loro condizione di spaesamento e quindi il loro bisogno di
riscrivere un’identità che ormai è troppo debole.

4. Nuove espressioni o ostilità al cambiamento (la chiusura rancorosa e


vittimistica verso le donne) -> Ciccone riporta la testimonianza di un uomo
appartenente a un gruppo di condivisione maschile: Vengo rimproverato di
essere egoista, inconcludente e inaffidabile, ma io mi sono stancato di
dover essere quello che risolve tutto . Sempre grazie ai contatti che Ciccone
ha coi gruppi di condivisione, riporta un'altra testimonianza in cui emerge
che lo spostamento che riguarda l’assunzione di responsabilità, riguarda
anche le dinamiche di corteggiamento e con questo esempio posso
riallacciarmi al terzo punto:
5. Rottura con i modelli dominanti (il rifiuto a ripercorrere ruoli e modelli
conosciuti, la perdita di credibilità di linguaggi e modalità stereotipati). Un
uomo lamenta il disagio di dover interpretare “maschera dell’uomo” ,
riferendosi a quel corteggiamento obsoleto e lamenta anche il fatto di non
saper inventare un modo diverso da quello senza risultare pesante.
ACCUSA le DONNE: E anche le donne... quando si tratta di quella fase del
corteggiamento... sembra che cerchino quel modello di uomo di cui si
lamentano quando la relazione c’è...: a loro piace il bel tenebroso, il
galante, lo sbruffone, quello che la sa lunga... tutte caricature.

Il disagio nei confronti di un comportamento obsoleto è la conseguenza di una


dissonanza che l’uomo percepisce con la propria soggettività. Il modo di auto-
percepirsi cozza con queste modalità di corteggiamento e da qui deriva il senso
di INADEGUATEZZA.

Ciccone mostra come questa sottrazione possa portare a un nodo


problematico: il rifiuto di questo modello tradizionale di essere uomini e mariti
inteso come capo famiglia porta con se anche il rifiuto di essere padri che ha
come conseguenza il restare figli. Questa sottrazione maschile può
incoraggiare una sorta di controllo da parte del femminile - e quindi anche un
non affidamento della cura dei figli. La rinegoziazione dei ruoli incontra così,
ancora, molte difficoltà per una reciproca difficoltà a riconoscere il
cambiamento dell’altra/o e a ridefinire la propria identità sociale e relazionale.

Apro a questo punto una parentesi per informarvi brevemente su alcuni dati
che Ciccone ci comunica a proposito della sottrazione femminile nelle relazioni.
Riporta i dati raccolti dal sito di dating parship.com secondo cui meno di un
terzo dei single sogna la convivenza o il matrimonio. Per quanto riguarda le
giovani single il 18% vuole sì essere fidanzata, ma non desidera condividere la
casa, mentre solo l’8% degli uomini vuole mantenere la propria indipendenza
domestica. Il fatto che oggi sia la donna a tirarsi indietro deriverebbe da una
delusione per un maschile che resta indietro.

Però nelle righe successive ci da anche una buona notizia quando dice che non
sempre questo disagio porta necessariamente tutti gli uomini a una sottrazione
di responsabilità. Fa l’esempio di insegnanti ed educatori uomini che ha
incontrato nelle scuole, che pur consapevoli del fatto che il proprio universo
maschile di riferimento sia per molti versi non riproponibile, privato di
autorevolezza e credibilità questi uomini decidono di mettere in gioco una
responsabilità pedagogica, cercando di inventare nuove strategie comunicative
e relazionali nuove.

“Il senso di inadeguatezza può essere vissuto come limite personale, che
porterà a un esito paralizzante o a ricercare nuove sicurezze in luoghi o culture
identitarie maschili, oppure essere vissuto come rivelazione dell’obsolescenza
dei modelli dominanti che può aprire una nuova domanda sul proprio stare al
mondo.”

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