Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La soggettività giuridica non è invece concessa a popoli che pur essendo titolari del diritto di
autodeterminazione e pur potendo aspirare alla costituzione, fino a quando non esercitano un
potere di controllo su un dato territorio, non sono considerati soggetti di diritto internazionale.
L’ente per eccellenza al quale viene riconosciuta la soggettività giuridica internazionale è lo
Stato. Esso è composto da tre elementi:
1. Il territorio (elemento spaziale);
2. Il popolo (elemento personale);
3. Un governo effettivo e indipendente= sovranità interna (elemento organizzativo).
Il concetto di Stato si può declinare in due diverse maniere:
1) stato-comunità, ovvero un insieme di individui che possiedono la cittadinanza e condividono
lo stesso territorio;
2) stato-apparato, ovvero dotato di un’organizzazione politica che esercita un potere di imperio
su tale comunità.
Il potere di imperio dello Stato non può esercitarsi al di fuori dei propri confini territoriali, ma
all’interno del proprio territorio lo stato è l’unico che può esercitare la competenza di domestic
jurisdiction o riservato dominio, ovvero esso è libero di autodeterminarsi senza alcuna
limitazione proveniente da qualsiasi altra entità esterna. EX→ un individuo si trova in Italia e
commette un reato, lo stato si attiva per perseguire penalmente quella persona, se l’individuo si
allontana dall’Italia lo Stato non lo può perseguire penalmente, perché il suo potere di imperio
funziona solo all’interno dello Stato. Lo Stato è comunque vincolato dalle norme
dell’ordinamento internazionale. Al principio del riservato dominio, corrisponde il principio di
non-ingerenza negli affari interni, ovvero tutti gli stati hanno l’obbligo di non immischiarsi negli
affari interni di un altro Stato.
Questa condizione si traduce nel concetto di sovranità esterna ed è strettamente legata
all’origine dello Stato→ risponde al principio di effettività, cioè uno Stato esiste non perché
qualcuno l’ha creato, ma perché in funzione di un fatto storico esiste una comunità che si è
stanziata su un determinato territorio, ha stabilito dei confini e all’interno di questi esercita un
potere di imperio.
Proprio perché uno Stato esiste per frutto di un fatto storico è un ente originario, ha la totalità
dei poteri e ciò implica l’indipendenza.
Lo Stato, dunque, opera in una duplice dimensione: quella interna ovvero l’ordinamento
nazionale all’interno del quale esso impone le norme giuridiche in maniera autoritativa alla
propria comunità ed entro i propri confini; e quella esterna ovvero quella dell’ordinamento
internazionale dove gli Stati in posizione di assoluta parità regolano le loro relazioni.
Le organizzazioni internazionali governative sono delle entità che esistono in virtù del fatto
che qualcuno le ha create, ovvero gli Stati. Essa nasce attraverso un accordo internazionale
stipulato tra gli Stati.
Dunque, mentre lo Stato è un ente originario, l’organizzazione è un ente derivato e in virtù di ciò
operano in funzione del principio di attribuzione delle competenze: i poteri che
un’organizzazione può esercitare sono quelli conferitegli dagli Stati; pertanto, può legiferare
solo su determinate materie.
Nel momento in cui uno Stato crea un’organizzazione, sa che sta cedendo esercizio di potere e
se non è uno Stato lungimirante cederà sempre il minimo che può cedere, questo è il motivo
per cui l’UE si sta bloccando; gli Stati vorrebbero recuperare l’esercizio dei poteri che hanno
ceduto.
Ad esempio, la Brexit è l’esempio più calzante: ci fa capire che lo Stato che ha ceduto
l’esercizio del potere può sempre riprenderselo.
L’organizzazione si fonda su trattati chiusi o aperti:
1. il trattato è aperto quando per esempio si dà la possibilità di far crescere o diminuire i
componenti;
2. il trattato è chiuso quando, se a creare un’organizzazione sono 10 Stati e uno Stato vuol
subentrare successivamente, esso può farlo soltanto se tutti gli Stati che hanno stipulato
l’accordo siano favorevoli, dunque vala la regola dell’unanimità.
Le organizzazioni internazionali possono essere distinte in funzione di due criteri:
1) sulla base dell’area geografica→
a) Planetarie: vi fanno parte Stati appartenenti a tutti i continenti del mondo;
b) Regionali: vi fanno parte solo Stati appartenenti ad una determinata regione geografica.
Attraverso questa modalità, gli Stati riuniti in seno al Consiglio condividono l’esercizio della
sovranità con il Parlamento europeo. Le decisioni in seno al Consiglio europeo seguono la
regola della maggioranza invece di quella dell’unanimità. La garanzia che sia preservato
l’equilibrio istituzionale interno delle procedure decisionali è approntata da un organo terzo e
imparziale che esercita il controllo giurisdizionale: la Corte di giustizia.
L’ordinamento internazionale si compone delle norme giuridiche internazionali, ovvero regole
di condotta il cui rispetto è da considerarsi obbligatorio.
Nell’ordinamento internazionale, la produzione delle norme giuridiche è affidata agli Stati stessi,
i principali destinatari delle norme. Ciò significa che il rispetto delle sue norme non può essere
imposto in maniera coattiva perché non esiste un organo a ciò preposto.
Il rispetto del diritto internazionale è affidato alla buona volontà degli Stati, ma per far valere il
rispetto delle norme si può ricorrere:
1. Dialogo diplomatico;
2. Forme di autotutela;
3. Atti che implicano l’uso della forza (come estrema ratio).
2. Principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili→ definibili come i principi universali in
quanto presenti nella maggior parte degli ordinamenti interni agli Stati più evoluti sul piano de,
rispetto de, diritto e dei diritti fondamentali della persona. Essi trovano applicazione quando un
certo aspetto della vita della Comunità internazionale non è regolato né da una norma
consuetudinaria generale, né da un accordo internazionale.
Non avendo forma scritta, sono soggette ad interpretazione dalle corti di giustizia.
L’inviolabilità delle norme pattizie è regolata dalla norma consuetudinaria: pacta sunt servanda
(i patti devono essere osservati). In virtù di questa, gli enti dotati di soggettività giuridica posso
stipulare tra loro accordi.
L’accordo internazionale (che può assumere la denominazione di patto, trattato, convenzione,
ecc.) vincola solo le parti che aderiscono all’accordo, dato che rappresenta l’incontro della
manifestazione di volontà tra due o più Stati che devono recarsi in una sede negoziale per dar
vita alle norme.
Bisogna ricordare che gli accordi internazionali si pongono in posizione sottordinata rispetto alle
norme di ius cogens.
I trattati possono essere classificati in varie categorie:
1. Trattati bilaterali (regolano i rapporti e gli interessi specifici intercorrenti fra due Stati) e
multilaterali (regolano materie di interesse più generale e che intercorrono tra più Stati).
2. Trattati aperti o chiusi→ rispetto alla possibilità di adesione che hanno gli Stati terzi.
3. Trattati permanenti o transitori → a seconda della durata degli effetti del trattato.
Il procedimento che porta alla formazione di un trattato segue 5 fasi:
1) NEGOZIAZZIONE→ gli Stati in una conferenza intergovernativa cercano di individuare le
condizioni dell’accordo al fine di giungere alla stesura di un progetto di comune accordo su cui
ciascuno di essi dovrà manifestare il proprio consenso.
2) FIRMA→ certifica l’accordo ed ha lo scopo di autenticare il testo, ma non vincola gli Stati
firmatari.
3) RATIFICA→ rappresenta la volontà degli Stati di impegnarsi a rispettare quanto prescritto nel
trattato. In alcuni ordinamenti potrebbe essere affiancata ad una previa consultazione popolare
tramite referendum.
4) DEPOSITO DELLE RATIFICHE→ momento in cui gli Stati avranno ratificato l’accordo,
dovranno depositare l’atto di ratifica. Se tutti i contraenti avranno ratificato l’accordo e
depositato la ratifica, l’accordo entrerà in vigore a partire dalla data prevista nello stesso
accordo.
5) ENTRATA IN VIGORE→ data a partire dalla quale un trattato esplica pienamente i suoi
effetti tra gli Stati contraenti. L’entrata in vigore implica l’osservanza solo per gli Stati contraenti.
Un’organizzazione esiste solo sulla base della concorde volontà di 2 o più Stati che decidono di
istituirla= ciò avviene tramite un atto istitutivo.
In questo senso essa, a differenza degli Stati che sono Enti originari, è un ente derivato= la
propria esistenza e i poteri gli vengono conferiti dagli Stati che la istituiscono.
L’atto istitutivo di un’organizzazione internazionale attribuisce a essa il potere di emanare atti
giuridici attraverso appositi procedimenti di produzione giuridica, si crea la terza fonte del diritto
internazionale= atti dell’organizzazione internazionale.
L’insieme delle istituzioni dell’organizzazione internazionale e delle norme contenute nell’atto
istitutivo e negli atti emanati dalla stessa costituiscono l’ordinamento giuridico
dell’organizzazione internazionale.
Lo stesso Trattato sull’UE impone l’obbligo di rispettare le identità nazionali degli Stati membri
(ART. 4.2 TUE), stabilendo a proprio fondamento i principi di LIBERTÁ, DEMOCRAZIA e
RISPETTO dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che sono assunti come principi
dell’Unione (ART. 2 TUE) → tutte queste identità vivono quindi su un piano di reciproca
complementarietà e inclusione.
•L’IDEA DI EUROPA iniziò ad essere espressa nel XX secolo tramite→ sollecitazioni
intellettuali indirizzate a suggerire ai governanti la fondazione in questo Continente di una
federazione, capace di allontanare il flagello della guerra fra Stati accumunati dai valori
sopracitati.
Idea che questo patrimonio di valori condiviso ideale possa dare vita fra gli Stati del Vecchio
Continente a un contesto di cooperazione stretta basata non solo sui vecchi metodi democratici.
•PROGETTUALITÀ POLITICA: Con la fine della seconda Guerra Mondiale l’idea di Europa è
passata ad essere adoperata ad una progettualità politica → in Europa sono state poste le
premesse per la nascita di Organizzazioni internazionali che di quel patrimonio di valori europei
si facessero depositarie, interpreti e promotrici.
- Il discorso di Churchill a Zurigo e la convocazione del Congresso dell’Aia hanno segnato le
tappe di un percorso che ha portato alla creazione del CONSIGLIO D’EUROPA →
un’Organizzazione internazionale a vocazione soltanto politica che ha avuto assegnato
l’obiettivo di realizzare un’unione più stretta tra i paesi europei incardinata su un patrimonio di
valori comuni che saranno sviluppati e salvaguardati. Ciò è avvenuto attraverso la creazione di
questa struttura istituzionale che funziona principalmente da foro di dibattito e di indirizzo
politico degli Stati membri.
Le origini dell’integrazione europea si devono a due tipi di ragioni:
1) Ragioni ECONOMICHE, che si dividono a loro volta in:
A) RAGIONI INTERNE→ -Ricostruzione economica degli Stati a seguito del secondo conflitto
bellico/-Proteggersi contro l’emergere dell’imperialismo sovietico.
B) RAGIONE ESTERNE→ -Creazione di nuovi mercati/ -Sovrapproduzione industriale degli
USA.
Le soluzioni a questo tipo di ragioni sono state: Piano Marshall (o European Recovery
Program)→ aiuti finanziari che gli Stati Uniti d’America avevano offerto ai Paesi europei per
ricostruire le economie disastrate dal conflitto bellico, il loro utilizzo doveva essere congiunto.
Aderirono 18 Stati Europei.
Per la gestione comune degli aiuti americani nel 1948 si creò un’Organizzazione internazionale
a finalità ECONOMICA: Organizzazione europea per la Cooperazione Economica (OECE), poi
trasformata in Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economici (OCSE).
2) Ragioni POLITICHE→ a) Creare una FASCIA DI STATI legati agli USA per
CONTRAPPOSIZIONE AL BLOCCO SOVIETICO;
b) Nel 1948 nasce l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO)→ ente non solo
europeo, ma occasionato dall’esigenza di costruire un patto difensivo a vantaggio della parte
occidentale dell’Europa;
c) Nel 1954 nasce l’Unione dell’Europa Occidentale (UEO) organizzazione utile a contribuire a
risolvere il problema del riarmo della Germania.
Le Comunità europee e l’approccio funzionalistico all’integrazione del Continente Europeo
Le nuove Organizzazioni internazionali sorte nel XX secolo non erano attrezzate per affrontare
il sentimento di Revanchismo (nazionalismo che aveva portato all’avvento del nazismo) della
popolazione tedesca, sconfitta per la seconda volta in trent’anni, non più soggetto detentore di
diritto internazionale, ma paese di grande ricchezza (carbone e acciaio).
La Francia attraverso la Dichiarazione di Schuman propose come soluzione di mettere in
comune le produzioni di queste due materie prime in un'Europa di 6 paesi (Belgio, Francia,
Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi).
In modo tale da mettere sotto il controllo di una comune Alta Autorità indipendente dagli Stati le
risorse carbo-siderurgiche della Ruhr e della Saar, risorse economiche funzionali all’industria
bellica di allora.
-Dal Piano Schuman nasce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio- estinta nel 2003-
(CECA) nel ’52
a) Nasce a Parigi con il Trattato di Parigi il 18 aprile 1951.
b) È durata 50 anni poiché ha raggiunto il suo termine finale che era stato stipulato per 50
anni.
c) Poteva adottare norme giuridicamente vincolanti per Stati e persone fisiche e giuridiche
operanti in territorio europeo nel settore carbosiderurgico.
d) Aveva come obiettivo quello di creare un mercato comune del carbone e dell’acciaio e quindi
di attuare una politica economica comune.
e) Aveva una struttura interna composta da vari organi.
f) Le decisioni venivano prese a maggioranza.
Dopo il successo della CECA gli Stati membri originari hanno cercato nuove forme di
collaborazione che fallirono:
•Comunità europea di difesa (CED)→ creazione di un esercito europeo= fallimento causato
dalla mancanza di ratifica;
•Comunità politica europea (CEP)→ unificazione del potere politico in una struttura federale;
Perciò l’integrazione è rimasta solo a livello economico estendendo però questa collaborazione
a tutto il mercato e non solo a quello siderurgico. Si preferì quindi la strada del
FUNZIONALISMO ECONOMICO→ Graduale integrazione dei mercati attraverso:
1. La creazione di un MERCATO COMUNE;
2. La LIBERA CIRCOLAZIONE dei beni e dei fattori di produzione;
3. Il rispetto delle REGOLE DELLA CONCORRENZA;
4. Una POLITICA COMMERCIALE COMUNE anche nelle relazioni internazionali.
ZONA DOGANALE (eliminazione dei dazi doganali all’interno dei paesi membri)→ dove si
manteneva un confine esterno (frontiere esterne agli Stati membri rispetto a chi non è membro)
e si eliminava il confine interno creando un mercato interno.
Paul-Henri Spaak (ministro belga e padre fondatore dell’UE) ebbe una decisiva influenza
durante la Conferenza di Messina, nel giugno 1955, che produsse il MERCATO EUROPEO
COMUNE e l'EURATOM, le due organizzazioni ratificate poi nei Trattati di Roma il 25 marzo
1957; il suo particolare modo di negoziare divenne noto con il nome di Metodo Spaak→ da qui
si vennero a creare due nuove comunità europee Che si andarono a sommare a quella già
esistente, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA):
1) Comunità Economica Europea (CEE)
2) Comunità Europea dell’Energia Atomica/Euratom perfezionamento dato dai Trattati di
(CEEA) Roma del 1957
Ma perché 3 diverse comunità?
Inizialmente non si è pensato di estendere le caratteristiche della CECA agli altri settori, ma
hanno creato altre due nuove comunità perché si erano venuti a creare poteri molto invasivi
della Comunità nei confronti degli Stati. Quindi per mantenere differente il metodo d’azione si
preferì separare le nuove politiche in tre comunità.
CARATTERISTICHE CEEA CARATTERISTICHE CEE
Elaborazione di una politica comune in Realizzazione di un mercato comune per
materia di approvvigionamento, diffusione tutti i settori merceologici industriali e
delle conoscenze e sicurezza delle agricoli dei 6 Paesi membri= caratterizzato
installazioni nel quadro dell’utilizzo pacifico dalla libera circolazione dei beni e dei
dell’energia nucleare. fattori della produzione e da una politica
commerciale comune anche nelle relaz.
internaz.→costituzione di una zona di
libero scambio protetta da una cintura
doganale comune.
Tutti i fattori di produzione degli Stati membri potevano circolare liberamente senza problemi e
senza dazi doganali.
Le merci all’esterno potevano passare, ma essendoci una frontiera comune esterna da dove si
dovrebbero fare entrare quelle merci provenienti dall’esterno? In teoria dove si pagano meno
tasse/dazi doganali, ma così si verrebbe ad alterare la dinamica concorrenziale tra gli Stati. Si
doveva perciò adottare una TARIFFA DOGANALE COMUNE nei confronti di paesi terzi.
-Unione doganale
Si crea una FASCIA DOGANALE ESTERNA che non è più gestita da un solo Stato nel proprio
territorio, ma sarà uguale per tutti→ frontiere esterne gestite dalla CEE, in modo tale da creare
un’INTEGRAZIONE TOTALE TRA I MERCATI.
-Politica commerciale comune
I RAPPORTI ECONOMICI con l’esterno li gestisce in maniera centralizzata l’Organizzazione
internazionale.
•Il problema della coesistenza di tre Comunità europee: Ma come si coordinano queste tre
Comunità?
PRINCIPIO DI RESIDUALITÁ→ Complementarietà della CEE;
Competenza residuale: tutto quello che non è di competenza della CECA e della CEEA è di
competenza della CEE
Sistema farraginoso perché ciascuna comunità aveva un consiglio che si riuniva a titolo diverso
e doveva applicare norme non sempre uguali a causa delle diverse procedure.
DINAMISMO EVOLUTIVO→ nel 1965 (Trattato di Bruxelles sulla fusione degli esecutivi) gli
Stati membri vanno a stipulare un contratto che va a modificare quelli precedenti:
I. Unificano non le comunità, ma i suoi ORGANI, in modo tale da unire anche le
procedure→ un solo consiglio/commissione/corte per tre Organizzazioni internazionali,
per questo motivo il trattato prende il nome di TRATTATO SULLA FUSIONE DEGLI
ESECUTIVI;
II. C’è un ulteriore revisione dei trattati per istaurare per il CARATTERE APERTO dei trattati
e quindi per aumentare il numero degli stati membri all’interno dell’Organizzazione
internazionale→ MODIFICA SOGGETTIVA;
III. Inoltre vengono attribuite maggiori competenze all’Organizzazione internazionale e
quindi si modifica la sua “struttura” → MODIFICA OGGETTIVA.
Con il TRATTATO DI MAASTRICHT (1992) viene istituita una nuova Organizzazione
internazionale: l’Unione Europea. È un evidente segnale di voler estendere l’azione della
comunità anche ad altri campi, ma si fonda sulle Comunità europee, nonché sulle altre
politiche.
L’intera attività dell’Unione venne organizzata in 3 grosse aree di competenza
contraddistinta da diverse procedure:
1. Pilastro istituzionale= vennero inserite le 3 esistenti comunità europee;
2. Secondo pilastro= concertazione in materia di politica estera e di difesa comune
(PESC);
3. Terzo pilastro= questioni inerenti la
cooperazione giudiziaria e concentrazione in
materia di affari interni (GAI).
La revisione introdotta dal trattato di Lisbona, vede
l’esistenza della sola Unione Europea che viene
retta da due Trattati→TUE e TFUE.
Le istituzioni si sono poste un problema: quando uno Stato adotta un atto nei confronti di un
cittadino, lui ha gli strumenti per tutelarsi dall’esercizio dell’autorità dello Stato?
Nell’UE quando c’è l’esercizio della sovranità di uno Stato, manca l’esercizio di difesa contro
questa sovranità, infatti, tutti gli Stati usano il PRINCIPIO DI STATO DI DIRITTO (preminenza
della legge su tutti, anche sulla stessa autorità).
Bisognava perciò riconoscere e stilare un catalogo di diritti che i cittadini devono vedersi
riconoscere dall’UE→ PROCLAMAZIONE SOLENNE SUI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA
PERSONA NELL’UE.
Viene definita: un “pezzo di carta”, ma perché?
-Le comunità non avevano competenze nei confronti della materia dei diritti della persona e
quindi non potevano adottare atti in quell’ambito, essi hanno solo fatto un “MANIFESTO
PUBBLICITARIO” per dire agli Stati di risolvere la situazione→ ma gli Stati non l’hanno fatto.
Però, pur sapendo che non valeva nulla si sono auto impegnati ad agire conformemente a
quella carta, facendo finta che fosse vincolante nei loro confronti.
TRATTATO DI NIZZA (2001)= revisione dei trattati→ Ristrutturazione delle procedure
decisionali e giurisdizionali in funzione dell’allargamento dell’Unione europea.
Il trattato che istituisce una COSTITUZIONE per l’Europa (2004)→Anche se non è mai entrato
in vigore a causa di due REFERENDUM negativi che, in Francia e Paesi Bassi (che hanno
quindi negato la possibilità di ratificare il trattato a quei due Stati) hanno fatto venire meno
l’unanimità e perciò l’avvenuta realizzazione del Trattato.
-Era un trattato di modifica dei trattati istitutivi non dissimile dai precedenti. Era caratterizzato,
sul piano meramente formale, dall’utilizzo della parola “Costituzione”. L’appellativo NON
nascondeva una riforma in senso federale dell’UE, L’UE continuava ad essere, una
organizzazione internazionale.
-Eliminava il dualismo CE/UE.
-Incorporava la Carta di Nizza e racchiudeva tutte le norme in un unico testo.
Osservazioni:
1. L’UE non è l’Europa, ma una parte consistente dell’Europa;
2. La Costituzione è la legge base da cui parte la struttura di un ordinamento e il rapporto tra
libertà e autorità (Cittadini e Stato)→ ciò quindi implica dei diritti e dei doveri fondamentali dei
cittadini.
b) ART.5, n° 2 TUE
In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze
che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti.
Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.
Perché c’è questa ridondanza della norma?
Gli Stati cedono con parsimonia le competenze all’Organizzazione internazionale e hanno
quindi ribadito più volte questo concetto che è insito nella struttura dell’Organizzazione
internazionale in quanto ente derivato
Infatti essi hanno timore di perdere potere al di là delle loro intenzioni, dato che, nel corso del
tempo, le O.I hanno cercato di espandere le loro competenze, sempre però entro i limiti del
Principio di Attribuzione→ Gli Stati hanno sopportato questa voglia di espansione, ma hanno
fatto delle norme, dato che la DERIVAZIONE DELLE COMPETENZE DELL’UE DERIVA DA
UNA AUTOLIMTAZIONE DEGLI STATI.
ART.13, n° 2, TUE→ “Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono
conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni
attuano tra loro una leale cooperazione”.
Gli Stati quando attribuiscono l’esercizio di una competenza INDIVIDUANO DELLE
ISTITUZIONI SPECIFICHE che devono esercitare quella competenza→ il trattato si
preoccupa di stabilire chi fa cosa all’interno dell’UE.
Due DIMENSIONI della competenza:
1. VERIFICARE che LA COMPETENZA è dell’UE;
2. Se è di sua competenza, la può esercitare, se no la esercita lo Stato, ma bisogna capire
QUALE ISTITUZIONE se ne devono occupare e come (secondo i procedimenti previsti nei
trattati);
A volte però non è semplice delimitare il confine preciso delle competenze dell’UE (cosa sta
dentro e cosa sta fuori) e il trattato ha predisposto dei rimedi:
A) CLAUSOLA DELLA FLESSIBILITÁ [ART. 352, n°1, TFUE]→
-Strumento previsto dai trattati per fronteggiare situazioni in cui l’Unione, dovendo perseguire
degli obiettivi, dentro le sue politiche, non trova nei trattati la norma che individua il potere
dell’Unione di esercitare.
-Serve a far avviare una procedura che porta il Consiglio a decidere all’unanimità che l’Unione
possa esercitare un certo potere che nel trattato non è previsto (procedura complicata → la
risposta deve essere immediata, perché se non lo è non serve a nulla).
-Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per
realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati, senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di
azione richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate.
ESEMPIO: Visto il confine esterno dell’UE che deve essere uguale per tutti e quindi anche i
dazi doganali (mercato comune, parità di condizione a tutti gli operatori economici, deve
fissare in maniera uguale per tutti i dazi doganali), non può decidere uno Stato le tasse da far
pagare o il valore della merce (tasse=10% del valore della merce) perché altrimenti non
sarebbero comunque uguali. Quindi lo stabilisce l’UE.
I. Azione necessaria= determinare il valore della merce in maniera uguale per tutti §
II. Nel quadro delle politiche= mercato interno, politica dell’UE
III. Per realizzare uno degli obiettivi= mercato unico
IV. Senza che questi ultimi abbiano previsto nei trattati i poteri di azione richiesti= non è stato
scritto da nessuna parte che l’UE ha questo potere
V. Il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate
In caso come questi per superare lo Stato si fa una modifica dei trattati→ non situazioni
eccezionali, ma situazioni che possono accadere spesso e per fare un trattato non si possono
prevedere tutte le situazioni possibili. Ciò anche perché sono coinvolte tre istituzioni diverse,
anche se l’ultima parola ce l’ha il Consiglio che deve approvare all’unanimità una soluzione.
La Corte di Giustizia si è resa conto che questa sul piano teorico è una soluzione, sul piano
pratico invece non è una strada percorribile: è un modo per dire all’Unione che se è una cosa
non è stata prevista dagli Stati nei Trattati essa non può fare niente se prima non è stata
autorizzata dagli Stati che insieme al Consiglio prendono una decisione all’unanimità
(quest’ultima è già un problema perché è difficile).
-Si deve LIMITARE il ricorso alla clausola di flessibilità. La Corte di Giustizia ha dato una
spinta al sistema ed ha adottato una soluzione che si fonda sulla:
B) TEORIA DEI POTERI IMPLICITI→ consente all’UE di rispondere in maniera più rapida: la
Corte di Giustizia ha detto che quando un’istituzione deve perseguire un obiettivo, presente
nei trattati e si inserisce dentro la politica dell’Unione, che è fissata nei Trattati, attraverso dei
poteri che sono individuati nei trattati, ma se questi poteri sono insufficienti o diciamo che
l’Unione europea non li può esercitare o diciamo che sono IMPLICITI. Condizione necessaria
per l’esercizio di un potere che l’Unione ha, per il raggiungimento di un obiettivo nell’ambito
delle politiche dell’Unione→ senza quel potere non può fare niente.
•Differenza tra:
1. COMPETENZA→ individua il CAMPO D’INTERVENTO, LA MATERIA (immigrazione,
politica commerciale).
2. POTERE→ insieme delle AZIONI che l’UE può METTERE IN ATTO in ordine ad una certa
materia/competenza.
Si possono dare i dazi senza aver prima fissato il valore della merce?
No, quindi la determinazione del valore della merce è un potere IMPLICITO. Non è
espressamente previsto ma è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo e quindi è implicito.
Allora la Corte di Giustizia, rendendosi conto che la clausola di flessibilità rendeva tutto molto
cavilloso, si è limitata a dire: Quando un potere non è previsto o non c’è o è implicito.
Come si fa a stabilire l’uno o l’altro? Si guarda all’obiettivo:
•È un obiettivo che deve perseguire l’UE? Si
• Si inserisce nell’ambito delle politiche assegnate all’UE? Si
• Quel potere serve all’UE per portare avanti le sue mansioni? Si
E allora è implicito, non è previsto in maniera estesa, ma c’è. Se mancano queste condizioni
semplicemente non c’è.
RIEPILOGO= Quindi la Corte di giustizia, nel ricostruire questa teoria, ha cercato di limitare il
ricorso alla clausola di flessibilità, non per limitare i poteri dell’UE, ma ha detto all’UE e alle sue
istituzioni : di fronte ad un’azione necessaria per raggiungere i suoi obiettivi, nell’ambito delle
tue politiche, puoi apportare tutte le azioni che ti servono anche se i poteri non sono
espressamente previsti, senza dover attendere né l’approvazione del Consiglio e del
Parlamento, né quella degli stati, si deve solo andare avanti. Perché altrimenti sarà solo
bloccato.
Quando si parla di PRINCIPIO DI ATTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE, non ci si può
limitare a guardare le norme, ma dobbiamo guardare alla clausola di flessibilità, alla teoria dei
poteri impliciti e dobbiamo fare una distinzione tra:
1. Poteri attribuiti all’Unione; Questa bipartizione non da contezza di un quadro più
2. Poteri non attribuiti. complicato:
A. Poteri NON CONFERITI (NON competenza dello
Stato);
B. Poteri CONFERITI IN MANIERA ESPRESSA;
C. Poteri CONFERITI IN MANIERA IMPLICITA;
Nell'ambito della sua missione la Corte è, in particolare, competente a pronunciarsi sui ricorsi
di annullamento o per carenza presentati da uno Stato membro o da un'istituzione, sui ricorsi
per inadempimento diretti contro gli Stati membri, sui rinvii pregiudiziali e sulle impugnazioni
delle decisioni del Tribunale. Questi suoi poteri sono applicati in diverse forme:
1. col RICORSO PER INADEMPIMENTO (ex art. 258 TFUE) la Corte controlla il rispetto, da
parte degli Stati membri, degli obblighi sanciti dai trattati e dagli atti di diritto derivato. Il
ricorso alla Corte di giustizia è preceduto da un procedimento preliminare avviato dalla
Commissione, nel corso del quale lo Stato membro ha la possibilità di rispondere alle
accuse. Se tale procedimento non porta lo Stato membro a porre fine all'inadempimento,
viene presentato alla Corte di giustizia un ricorso per violazione del diritto dell'Unione
europea, proposto dalla Commissione oppure da un altro Stato membro. Se la Corte
accerta l'inadempimento, lo Stato è tenuto a porvi fine immediatamente. Qualora lo Stato
non ottemperi alla sentenza della Corte, la Commissione può avviare una nuova procedura
di infrazione che può portare a un nuovo deferimento dello Stato di fronte alla Corte di
giustizia, la quale, se accerta l'inadempimento (mancata esecuzione della sentenza
precedente), condanna lo Stato al pagamento di un'ammenda;
2. col RICORSO PER ANNULLAMENTO (ex art. 263 TFUE) il ricorrente chiede alla Corte
l'annullamento di un atto legislativo di un'istituzione dell'Unione. Il ricorso di annullamento
può essere proposto dagli Stati membri, dalle istituzioni dell'Unione o da un privato se l'atto
lo riguarda direttamente. In esso la Corte è chiamata a valutare la legittimità degli atti posti
in essere dalle istituzioni dell'Unione (Consiglio, Parlamento Europeo, Commissione, BCE)
e, in particolare, si pronuncia relativamente a: vizi di incompetenza, violazione di forme
sostanziali, violazione dei trattati e di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro
applicazione, sviamento di potere;
3. col RICORSO PER CARENZA (ex art. 265 TFUE) la Corte di giustizia e il Tribunale
vagliano la legittimità dell'inerzia delle istituzioni dell'Unione. Tale ricorso può essere
presentato solo dopo che l'istituzione è stata invitata ad agire: una volta accertata
l'illegittimità dell'omissione, spetta all'istituzione interessata porre fine alla carenza
mediante misure adeguate;
4. con il RICORSO PER RISARCIMENTO DANNI, la Corte e il Tribunale sono chiamati a
giudicare in materia di responsabilità extracontrattuale riguardante i danni causati dalle
istituzioni o dagli agenti dell'Unione nell'esercizio delle loro funzioni. A tale procedura
ricorre l'individuo che lamenti un pregiudizio subito e che voglia ottenere riparazione del
danno chiamando la CGUE a giudicare sul caso. La caratteristica di tale procedura
consiste nella totale autonomia e indipendenza dalle procedure di “ricorso per
annullamento” e “ricorso per carenza”;
5. con il RINVIO PREGIUDIZIALE (ex art. 267 TFUE) un giudice di un tribunale nazionale di
uno Stato membro dell'Unione può, o, nel caso in cui si tratti di decisione pendente davanti
a un organo giurisdizionale avverso la quale non è ammesso ricorso giurisdizionale nel
diritto interno, deve, chiedere alla Corte di precisare una questione relativa
all'interpretazione o alla validità di un atto di diritto europeo. La risposta della Corte, tramite
una sentenza giuridicamente vincolante, è l'interpretazione ufficiale della questione e come
tale vale per tutti gli Stati membri;
6. con la PROCEDURA DI IMPUGNAZIONE la Corte statuisce sui ricorsi contro le sentenze
del Tribunale di primo grado. Se l'impugnazione è fondata, la Corte annulla la sentenza del
Tribunale (con o senza rinvio degli atti al Tribunale stesso), altrimenti la conferma;
7. con il RIESAME la Corte, quando ricorra un grave rischio per l'unità o la coerenza del diritto
dell'Unione, può eccezionalmente decidere della legittimità delle decisioni con le quali il
Tribunale, giudicando in secondo grado, statuisce sui ricorsi contro le decisioni del
Tribunale della funzione pubblica.
Cosa succede se uno Stato deve comportarsi in un certo modo e invece non lo fa?
ESEMPIO= campo dell’immigrazione→ c’è uno Stato, come l’Italia, che trova ai propri confini
dei barconi di immigrati che cercano di entrare nel territorio. Cosa fa l’Italia? Può fare diverse
cose: di farli entrare o meno, se decide per la prima può decidere di non identificarli, lasciando
che si dirigano verso altri Stati. Le scelte fatte dall’Italia devono tener conto del fatto che ci
sono delle norme che prescrivano cosa fare in situazioni come questa. Quelle norme
prescrivono che uno Stato, di fronte ad un immigrato (semplice) può decidere se farlo entrare
o se rimandarlo a casa. Ma di fronte ad un immigrato che richiede asilo politico l’Italia non può
rimandarlo a casa, è obbligata, dall’Ordinamento dell’UE, ad esaminare quella domanda di
asilo, ma per farlo intanto l’immigrato deve entrare. L’Italia deve esaminare quella domanda di
asilo perché è quello lo Stato attraverso il quale l’immigrato è arrivato. Se per esempio l’Italia
(come ha fatto per un certo periodo) non raccoglie le impronte digitali degli immigrati e poi
questi fuggono verso altri paesi, le autorità hanno il diritto di chiedere da quale Stato sia
fuggito.
Le autorità venendo a conoscenza che essi arrivano dall’Italia ne deducono che essa sia lo
Stato che ha accolto gli immigrati.
L’Italia contesta il fatto di non aver raccolto le impronte digitali non perché non aveva il
sistema, ma semplicemente perché facendoli fuggire ne avrebbe esaminati in quantità minori.
Questa è una violazione delle norme tramite le quali se uno Stato del cui territorio ha accesso
un immigrato, se lo deve tenere: se ci sono i requisiti per l’asilo politico glielo deve dare, se
non ci sono i presupposti per l’asilo politico lo deve rimandare a casa, ma non lo può mandare,
perché quando arriva in un altro Stato sarà rispedito alle autorità dello Stato competente.
Quando lo Stato, in una situazione del genere, non rispetta le norme, allora a quel punto
qualcuno può fare accertare quella violazione.
[ART.258 TFUE→ La Commissione (che rappresenta gli interessi generali), quando reputi che
uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati,
emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le
sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato
dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea].
Che cosa si fa nel RICORSO D’INADEMPIMENTO attivato dalla Comm.EU?
1. Chiedi allo Stato delle informazioni (cosa si è fatto per garantire il rispetto di una norma, se
si sono adottate tutte le misure necessarie per una certa azione, se si sono creati dei sistemi
appositi per certe azioni);
2. Lo Stato, se collabora, risponderà;
3. In virtù di queste indagini si arriverà ad affermare che lo Stato non ha agito come avrebbe
dovuto e quindi gli manda una LETTERINA FORMALE (lettera di MESSA IN MORA) in cui
dice: “Caro Stato italiano, esiste una norma che tu dovresti conoscere, che ti dice di fare una
certa cosa, a me sembra che quella cosa non l’hai fatta bene”.
Cosa fa lo Stato?
4. Risponde a questa lettera dicendo “Cara Comm.EU rispetto a questa norma non mi sono
comportato in questo modo, ti stai sbagliando”.
a) Se la Comm.EU si convince finisce lì;
b) Lo Stato può ammettere di non essere riuscito a fare quello che poteva, ma ha in corso di
adozione una legge che consentirà di istituire un sistema idoneo per risolvere la questione in
futuro. La Comm.UE può essere tollerante e aspettare.
•In funzione quindi della risposta che darà lo Stato e in risposta di quello che riuscirà a
dimostrare, la Comm.EU sceglierà se fermare lì la procedura o andare avanti.
• Se la Comm.EU decide di andare avanti potrebbe anche dire allo Stato che se fa quello che
dice lei entro un certo periodo si potrebbe chiudere lì il processo. Se lo Stato non accetterà la
Comm.EU emanerà quello che la norma chiama un PARERE MOTIVATO→ dopo la prima
letterina, la Comm.EU, tenendo conto delle risposte che ha dato lo Stato, si sarà ancor meglio
chiarita le idee e manderà a questo Stato questo parere: “Caro Stato, tenendo conto di quello
che ti avevo scritto io, e di quello che mi hai risposto tu, sappi che secondo me ancora c’è
qualcosa che non va, che non sei perfettamente in linea con gli obblighi rispetto ai quali ti
avevo sollevato una contestazione”.
E gli dà ancora un termine, che di solito è di 2 MESI. Lo Stato rispetto a questo parere
motivato, ha un termine di due mesi, durante i quali potrebbe anche non fare nulla. A quel
punto se passati questi due mesi, ancora la Comm.EU non è soddisfatta di quello che lo Stato
ha fatto o detto, deve prendere una decisione.
Finora abbiamo visto che c’è uno Stato e c’è la Comm.EU, non c’è nessun giudice. → questa
è una fase che noi chiamiamo AMMINISTRATIVA o PRECONTENZIOSA, per dire che c’è uno
scambio, un dialogo tra la Comm.EU e lo Stato a cui viene rivolto l’addebito. Uno scambio che
avviene non davanti ad un giudice (per questo la chiamiamo amministrativa), ma tra i due
soggetti.
Quando finisce questo dialogo? -Quando è stato emesso il parere motivato e sono passati i
due mesi (anche se non è detto che arrivi ad emanare il parere, perché attiva una serie di
tappe, dove ad ognuna compie una scelta: o di andare avanti o di arrestarsi) e la Comm.EU
vuole andare ancora avanti, è la fase in cui la Comm.EU formula un RICORSO alla C.DG.
Quando la Comm.EU invia allo Stato la lettera di messa in mora gli contesta qualcosa. Dopo
che già fa questa contestazione potrebbe decidere di emettere il parere motivato, ma la
contestazione non può essere un’altra, è sempre quella. Perché lo Stato deve avere sempre la
possibilità di rispondere alla contestazione, quindi è sempre la stessa. Ma ciò vuol dire che:
ESEMPIO= se la Comm.EU per esempio contesta ad uno Stato di aver dato ad una grande
impresa, che non avrebbe diritto sulla base del diritto dell’UE, dei contributi per sostenere una
certa produzione e gli fa notare che non è conforme alle norme perché in questo modo si
altera la concorrenza nel mercato. Quindi o lo fai nelle situazioni in cui lo consente l’UE o non
lo puoi fare. Essa infatti consente aiuti alle imprese solo entro certi limiti, e solo se c’è un atto
dell’UE che prevede questi atti e questi limiti. Quindi la Comm.EU fa un’indagine e manda la
lettera allo Stato di farsi restituire questi finanziamenti. Dopo la letterina la Comm.EU emette
un parere motivato: “Guarda che tu hai dato ulteriori finanziamenti ad un’impresa, con tasso
d’interesse bassissimo”.
Allora lo Stato dice: “Questo non me lo puoi contestare nel parere motivato perché tu nella
lettera di messa in mora mi hai contestato i 100mila euro, adesso non puoi aggiungere un’altra
cosa in una fase avanzata del procedimento. Vuoi contestarmela? Bene inizia un altro
procedimento, mandami un’altra lettera di messa in mora e mi contesti anche l’altra cosa”.
Quindi da quando inizia il procedimento e viene fatta la prima contestazione, la contestazione
non può mai mutare perché se così fosse la C.DG quando arriverebbe a conoscere il caso
chiederebbe di che cosa si sta parlando alla Comm.EU. Però è possibile l’inverso: la
Comm.EU contesta allo Stato di aver dato all’impresa 100mila euro e poi nel parere motivato
contesta allo Stato di aver dato 50mila euro, perché magari nel frattempo lo Stato l’altra metà
ha dimostrato che aveva promesso di darli, ma non li ha ancora dati oppure li aveva già
recuperati. In quel caso la contestazione non è cambiata (aver dato una somma), è cambiata
la somma, che è diventata più piccola non più grande. Quindi se tu mi contesti fin dall’inizio
che ho dato 100 mila, poi puoi contestarmi che ne ho dati 50, non puoi contestarmi 150.
RIEPILOGO: la contestazione può rimanere sempre la stessa, al massimo può restringersi
non espandersi. L’atto è sempre uguale, non può mai allargarsi perché se lo facesse lo Stato
non avrebbe avuto tutte quelle fasi per dimostrare o di non essere inadempiente o dimostrare
di aver in qualche modo ripagato alla violazione.
Cosa succede quando si arriva al parere motivato?
La Comm.EU deve decidere se andare avanti o meno, dato che può decidere di non andare
avanti anche se sa che lo Stato ha violato la norma.
ART.258: Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla
Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea.
Questa norma vuol dire che non c’è l’obbligo di farlo, anche se è inadempiente.
Significa che la C.DG anzitutto riconosce che uno Stato ha mancato ad uno dei suoi obblighi
→ mero accertamento dell’inadempimento di uno Stato. Lo Stato deve, quindi, prendere i
provvedimenti necessari per l’esecuzione della sentenza. Ma nella sentenza di un giudice
nazionale ci sarà scritto che: ”accertata la violazione, si condanna al tizio X di pagare al tizio Y
la somma tot a titolo di risarcimento del danno.”
ESEMPIO: L’inquilino che sta al piano sotto ha chiesto un risarcimento, avrebbe anche potuto
chiedere al posto dei soldi qualcosa altro, ad esempio di fare i lavori.
ESEMPIO: quando qualcuno tampona la macchina, l’assicurazione che deve pagare propone
o di risarcire il danno oppure di portare la macchina a riparare presso un’officina autorizzata.
→ Quindi rispetto ad un’infrazione ci sono più possibilità di rispondere. Se si opta per un
risarcimento in denaro non si è obbligati a far sistemare la macchina. Se si chiedono 3000 per
far sistemare la macchina, e l’assicurazione o il tizio da questi soldi, poi non si potrà chiedere
di far sistemare la macchina perché magari si è scoperto che il proprio carrozziere per
sistemarla ne vuole 3500. Quindi il giudice quando accerta i fatti, da cui trae origine il diritto al
risarcimento, risponde ad una richiesta precisa: se la richiesta è stata i soldi, il giudice vi
risponderà riconoscendo una somma che vi è dovuta. Se questo tizio i soldi non ve li da,
vengono attivate tutte quelle procedure che l’ordinamento mette a disposizione per avere quei
soldi e solo quelli, niente di diverso, non potreste mai chiedere di avere sistemata la macchina:
la sentenza è quella, la causa è finita, quello è stato chiesto e quello è stato dato.
Ma come facciamo a sapere qual è la misura che da esecuzione ad una sentenza?
Si deve guardare la sentenza, che dice qual è il comportamento, l’atto, l’azione che è dovuta e
rispetto a quello c’è poco margine: se la condanna è di dare dei soldi o li dai o la sentenza non
è eseguita. Se invece nella sentenza è stata richiesta la riparazione della macchina,
Quando la sentenza si dice eseguita? Quando mi hanno riparato la macchina? No,
quando mi hanno riparato quel danno della macchina che il giudice ha identificato. Se uno ci
tampona e già il nostro paraurti è rovinato, invece di farci sistemare il piccolo danno subito, ci
facciamo sistemare tutta la macchina. Ma ciò non può avvenire perché la corretta esecuzione
della sentenza dipende da quello che il giudice ha scritto nella sentenza, significa che se per
caso abbiamo lo sportello destro anteriore rovinato e il tizio tampona quello destro posteriore,
il giudice non dirà di sistemare la macchina, ma tu devi ripagare al tizio questo danno. Quindi è
chiaro capire in casi come questa quando la sentenza può dirsi correttamente eseguita:
abbiamo un’indicazione precisa da parte del giudice: il giudice non solo individua i fatti che
danno origine al risarcimento, ma individua la misura esatta che da sola può dare esecuzione
alla sentenza. Se mi devi dare 3000 non ti puoi liberare con 2500 e io non te ne posso
chiedere 3100. Se mi devi sistemare lo sportello destro posteriore della macchina, quello mi
devi sistemare. Se per esempio mi porta da un carrozziere e questo colora lo sportello rosso
mentre la macchina è blu, non si può dire correttamente eseguita la sentenza anche se lo
sportello è messo nuovo.
Ciò per fare capire che nell’ART.260 troviamo che la C.DG accerta l’inadempimento, ma non
troviamo da nessuna parte che la C.DG indica qual è il comportamento che lo Stato deve
adottare per eliminare l’inadempimento e quindi dare esecuzione alla sentenza. Non si trova
perché l’Ord.Int, da cui nasce l’UE, è un sistema in cui gli Stati non possono mai essere
costretti a fare una cosa contro la loro volontà, anche se hanno firmato un contratto e in
questo caso nessuno li sta costringendo. Immaginiamo che la C.DG dica allo Stato di adottare
una legge che dica una certa cosa, per allinearsi ai suoi obblighi, Come potrebbe la C.DG
garantire che lo Stato adotti una legge, che dica una certa cosa, per conformarsi ai suoi
obblighi? Non avrebbe alcun mezzo (1 ipotesi).
Ma se lo Stato non ha adottato le misure per adeguarsi ad una certa disciplina dell’UE (2
ipotesi). Quando lo Stato emana atti a livello interno, istituisce procedure, individua organi
responsabili di fare qualcosa, ha davanti sempre un obiettivo da raggiungere, ma come
quell’obiettivo debba essere raggiunto non glielo dice mai nessuno. Ogni Stato può scegliere
come raggiungere un certo obiettivo.
ESEMPIO: la disciplina dell’UE in materia ambientale si basa sul principio “chi inquina paga”,
cioè tanta spazzatura produci tanto devi pagare. È chiaro che una famiglia di 7 perone
produrrà più spazzatura rispetto ad una persona che vive da sola, quella pagherà di più e
quello da solo pagherà di meno. Come avviene il calcolo per i costi del servizio rifiuti cambia
da Stato a Stato, se non da città a città, perché per esempio c’è uno Stato che affida la
gestione dei rifiuti ad un ente privato, un altro ad uno pubblico. È possibile che uno Stato
faccia pagare più caro il servizio ad una persona che vive da solo rispetto ad una famiglia di
7?
No, perché il principio è uguale: chi sporca di meno, paga di meno. Si vede come, davanti ad
uno stesso principio, per arrivare a quel risultato ci possiamo arrivare in maniera diversa:
possiamo gestire il servizio in maniera privata, in maniera pubblica, prevedere la raccolta
differenziata o meno. Questo significa che ogni Stato per garantire la corretta gestione dei
rifiuti compie delle scelte, ma ciò significa dire anche che in 28 Stati ci saranno 28 sistemi
diversi, che devo però conformarsi al principio di base.
Ma se lo Stato è libero di raggiungere quegli obiettivi come vuole, come potrebbe una
sentenza della C.DG limitare questa sua libertà?
Ovvero: che lo Stato non abbia fatto una certa cosa prima significa che lo Stato è
inadempiente, significa che comunque lo Stato quella cosa la deve fare, significa che la C.DG
accerterà che quella cosa finora non l’ha fatta, ma che adesso la deve fare perché c’è una
sentenza, ma non dirà come dovrà gestire i rifiuti perché quel margine di discrezionalità di
scelta che lo Stato ha rimane, non lo perde perché è intervenuta una sentenza della C.DG.
Quindi di fronte ad una situazione del genere, la C.DG non può indicare in nessun modo allo
Stato quali sono le misure che lo Stato deve adottare per dare esecuzione alla sentenza. Lo
Stato è tenuto a prendere tutti i provvedimenti (che vuole) necessari per dare esecuzione alla
sentenza.
ESEMPIO: quindi lo Stato potrà decidere se chiedere il risarcimento o fare sistemare lo
sportello della macchina. Lo Stato può compiere questa scelta.
Cosa succede se lo Stato dopo che è stato raggiunto da una sentenza di mero
accertamento della C.DG, non fa nulla?
Di fronte ad una sentenza che individua qual è la misura che va presa per dare esecuzione
alla sentenza stessa è semplice dire se lo Stato ha fatto bene o ha fatto male. Ma quando in
una sentenza non sono indicate le misure non è così semplice dire se lo Stato ha adottato i
provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza: può succedere che lo Stato faccia
una serie di cose e che la Comm.EU le reputi insufficienti a dare esecuzione alla sentenza.
Con questo si vuole dire che di fronte ad uno che non paga una certa somma non serve un
giudice per accertarlo, tanto è vero che viene fatta una causa ad un tizio e deve pagare una
somma, se lui non la paga non è che gli si fa un’altra causa per fare accertare che non c’è il
pagamento.
Ma di fronte al fatto che qui le misure non ci sono, se lo Stato fa qualcosa per dare esecuzione
alla sentenza che la Comm.EU reputi essere insufficiente per darne la corretta esecuzione, ci
vuole un giudice che accerti se lo Stato ha dato esecuzione o no alla sentenza. Infatti
l’ART.260 dice “Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che
l'esecuzione della sentenza della Corte comporta‚ la Commissione, dopo aver posto tale Stato
in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte.”
Questa norma sta dicendo che abbiamo chiuso un deciso, lo Stato è responsabile di
inadempimento, doveva fare qualcosa per fare eseguire la sentenza che sceglieva lui. La
Comm.EU guarda quello che fa lo Stato: può essere che lo Stato non aveva fatto nulla, può
essere che aveva fatto qualcosa che per la Comm.EU non è sufficiente. In questi casi la
Comm.EU deve fare una seconda causa allo Stato davanti la C.DG, dopo aver fatto la lettera
di messa in mora dove dice che secondo lei lo Stato imputato non ha dato esecuzione alla
sentenza. Lo Stato risponderà e si salta il parere motivato, si va più spediti. La procedura che
si segue è sempre la stessa [ART.258], ma si salta il parere motivato. Quindi manda la
letterina, gli da un termine per prendere posizione, se alla Comm.EU non piace quello che
risponde lo Stato, piuttosto che emettere il parere motivato, va direttamente dalla C.DG.
Cosa chiederà in questo caso la Comm.EU alla C.DG?
La Comm. attiverà un procedimento, che è sempre un ricorso di inadempimento, e quindi
dobbiamo individuare qual è l’obbligo che non è stato adempiuto che in questo caso è la
mancata esecuzione della sentenza.→ MERO ACCERTAMENTO
Siccome gli Stati molto spesso non si sono comportati bene, nelle varie riforme dei trattati si è
pensato di rincarare la dose nei confronti degli Stati che in maniera reiterata si comportano
male: lo Stato inadempiente deve dare esecuzione alla sentenza, ma nel dare esecuzione alla
sentenza non sta facendo altro che conformarsi ad un obbligo che avrebbe dovuto fare fin
dall’inizio, non sta facendo niente di aggiuntivo, viene incitato con una sentenza a conformarsi
ad un obbligo già precedentemente posto. Quando lo Stato dopo una sentenza di questo tipo,
non da esecuzione alla sentenza, deve dare SEMPRE ESECUZIONE ALLA SENTENZA.
Però siccome non l’ha fatto quando è stata dettata la norma, né quando è stato raggiunto dalla
C.DG, adesso riceve un secondo procedimento per la stessa questione, per non aver eseguito
la sentenza.
[ART.260: Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte
dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze.] →Questa
norma sta dicendo che: fatto salvo che lo Stato deve sempre dare esecuzione alla sentenza,
siccome ancora persiste nel suo inadempimento, oltre a dare esecuzione alla sentenza, gli
diamo una SANZIONE, che non sostituisce le misure di esecuzione della sentenza, ma si
AGGIUNGE.
Sul piano dell’Ordinamento internazionale che cosa succede quando uno Stato, che ha
stipulato un accordo internazionale, non si conforma ai suoi obblighi?
Di fronte ad uno Stato che viola un obbligo la regola è l’AUTOTUTELA: lo Stato che ha
compiuto un accordo con un altro e che vede che l’altro non sta facendo quello che ha
promesso di fare nell’accordo può adottare delle contromisure che possono essere di
qualunque tipologia: nel caso più estremo è l’AGGRESSIONE (guerra), nell’ipotesi più
semplice può essere ad esempio l’interruzione delle relazioni commerciali. Quindi lo Stato che
vuole contestare ad un altro Stato un inadempimento non è detto che si rivolga ad un giudice,
per una serie di ragioni: Non è detto che un giudice riconosca che quella controversia esista →
abbiamo visto che il processo internazionale è un PROCESSO di natura ARBITRALE: se gli
Stati, che sono parti in una certa controversia, non danno l’assenso a portare quella
controversia alla C.DG, essa non la può conoscere. Quindi se non c’è il consenso degli Stati a
riferire la controversia ad un giudice non c’è nessun giudice che possa decidere.
E come si risolve?→ Solo sul PIANO DIPLOMATICO, e ciò significa che lo Stato che vuole
indurre un altro Stato ad adempiere agli obblighi, adotterà le misure che servono a
convincerlo: CONTROMISURE= ATTI DI AUTOTUTELA, come per esempio l’interruzione di
relazioni commerciali.
Dentro l’UE quando uno Stato non adempie ai suoi doveri, gli altri Stati possono
adottare misure di autotutela/contromisure?
In linea generale dovremmo dire sì perché è consentito dall’ordinamento internazionale. In
linea speciale no perché c’è una norma nel TFUE: [ART.344: In fase di inadempimento gli
Stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa all'interpretazione o
all'applicazione dei trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dal trattato
stesso.]
Non possono decidere autonomamente di applicare contromisure, devono necessariamente
attivare gli strumenti previsti dei trattati e contro l’inadempimento dello Stato lo strumento è il
RICORSO D’INADEMPIMENTO.
Quindi quando si parla di NECESSARIETÁ della procedura si intende che non c’è un obbligo
di attivare quella procedura, ma se non ci si arriva non si può fare nulla.
Se si vuole contestare l’inadempimento ad uno Stato, se si vuole sollecitare uno Stato ad
eliminare quella situazione di inadempimento l’unica strada è attivare questo tipo di
procedimento. Non possono essere attivati all’interno dell’UE atti di autotutela, la strada da
percorrere è solo quella, non se ne possono percorrere altre.→ norma che porta gli Stati ad
attivare quando vogliono ARTT.258-259-260.
Abbiamo visto che il progetto del ricorso di inadempimento dello Stato ha in capo un
obbligo, questo obbligo da dove deriva?
Quando gli Stati stipulano un accordo, è chiaro che gli obblighi sono scritti nel Trattato, quindi
è ovvio che quando uno Stato non rispetta quello che c’è scritto nel Trattato sta commettendo
un’infrazione → uno Stato inadempiente. Ma quando all’interno del Trattato, gli Stati hanno
attribuito all’O.I la capacità di emanare atti vincolanti, l’obbligo può derivare anche da un ATTO
DI DIRITTO DERIVATO, ossia un atto adottato dall’Organizzazione Internazionale.
Per cui l’inadempimento dello Stato è sempre riconducibile ad un Trattato, sia in via diretta che
indiretta, in via diretta quando la norma villata è quella del Trattato, in via indiretta quando la
norma violata è contenuta in un atto dell’UE il quale può essere adottato grazie ad una norma
del trattato.→ base di partenza = trattato, + atti che l’UE può adottare perché il trattato glielo
consente.
Uno Stato che è chiamato ad osservare un atto che l’UE non doveva adottare e si rifiuta
di adattarsi agli obblighi amministrativi di quel Trattato, è legittimo questo
comportamento?
No, perché uno Stato che non rispetta un obbligo dell’UE può essere per esempio stato
costretto a compiere questa azione in virtù di quelle situazioni eccezionali, ossia di FORZA
MAGGIORE. Cioè che per esempio lo Stato si trova in una condizione per la quale non ha
deciso di commettere quella violazione, semplicemente è sul piano materiale impossibilitato a
fare quello che quella norma prevede.
ESEMPIO: Immaginiamo che lo Stato debba adottare una certa legge per conformarsi ad una
direttiva dell’UE entro un certo tempo. Succede un terremoto, crolla il Parlamento e tutti i
parlamentari muoiono. Nel frattempo scade il termine per eseguire la direttiva, lo Stato dirà:
non ho potuto adottare quella direttiva perché nel frattempo mi è venuta a mancare quella
istituzione nazionale che ha il potere di emanare le leggi → causa di forza maggiore, non
potevo fare altrimenti.
Ma quando invece lo Stato dice di non conformarsi ad un atto dell’UE perché l’atto è illegittimo,
cioè che l’UE non poteva adottarlo, la C.DG dirà che questa non è causa di motivazione
perché lo Stato ha il potere di rivolgersi alla C.DG per fare annullare un atto illegittimo. Ciò
significa due cose:
1. Non è lo Stato che dice se un atto dell’UE è illegittimo, ma la C.DG. Lo Stato può solo
chiedere alla Corte di verificare se un atto è legittimo oppure no. Quindi se il potere di
dichiarare un atto illegittimo è della Corte, uno Stato non può dire di non essersi conformato
all’atto perché illegittimo, lo può dire solo la C.DG.
2. La C.DG dirà: “Ma se pensavi che l’atto potesse essere illegittimo, perché non hai attivato
quel ricorso che ti consente di chiedere alla Corte di verificare se l’atto è illegittimo?”
Quindi lo Stato, di fronte ad un atto illegittimo, se non vuole conformarsi deve fare una cosa
soltanto: chiedere alla C.DG di verificare se sia illegittimo. Perché se la C.DG dovesse
accertare questo allora annullerà l’atto e a quel punto nessuno Stato sarà tenuto ad
osservarlo. In caso contrario se l’atto è legittimo lo Stato dovrà osservarlo in quanto è un
obbligo che gli deriva dalla norma.
Nell’ordinamento dell’UE non è legittimo: su 28 Stati se uno non adempie, uno degli altri non
può non adempiere per questo motivo.
Queste sono regole specifiche di un O.I che derogano a norme di D.I: se noi fossimo fuori
dall’UE non troveremmo situazioni come questa, non troveremmo , ma dentro l’UE ci sono
norme specifiche che impongono allo Stato di comportarsi secondo sistemi diversi da quelli del
D.I. Questo è possibile solo perché gli Stati hanno previsto all’unanimità che solo perché
abbiano derogato norme di D.I generale che potevano essere derogate. Gli Stati possono
prevedere una disciplina diversa dalle norme di D.I solo se la norma del D.I che derogano è
una norma derogabile, altrimenti no.
ESEMPIO: gli Stati non potrebbero decidere di uccidere tutti i cittadini italiani perché quella è
una norma inderogabile: divieto di genocidio.
Quando abbiamo parlato del PRINCIPIO DI ATTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE abbiamo
detto che: non solo ci dice se questa competenza è rimasta nella mani dello Stato o no, ma se
è passata nelle mani dell’UE questa norma ci dice anche qual è l’istituzione che può esercitare
un potere in quella materia.
Ci sono situazioni in cui la C.DG non può esercitare il suo controllo giuridico: l’UE deve
emanare atti, a cui gli Stati devono conformarsi, ma se gli Stati non si conformano a quegli atti,
e quegli atti rientrano in una materia rispetto alla quale la C.DG non ha competenza, il ricorso
di inadempimento non si può attivare. E le materie rispetto alle quali non può essere attivato il
ricorso di inadempimento sono:
1. PESC→ abbiamo detto che quando è venuta meno la struttura in pilastri dell’UE, è stato
conservato un metodo intergovernativo in una certa materia: quella della PESC. Una delle
caratteristiche del metodo intergovernativo classico è l’esclusione da un controllo di tipo
giurisdizionale, significa che in questa materia la C.DG non interviene mai. Significa in altri
termini che: se l’UE adotta un atto e gli Stati non osservano quell’atto, non ci si può fare
niente.
2. Uno Stato è tenuto ad osservare sempre dei CRITERI DI BILANCIO(criteri di sana gestione
finanziaria).
Quando uno Stato entra a far parte dell’UE deve conformarsi a quelli che sono i CRITERI DI
COPENAGHEN, tra questi criteri c’era quello ECONOMICO: lo Stato deve essere in grado di
inserirsi in un mercato concorrenziale, non deve avere un disavanzo eccessivo, il debito
pubblico dello Stato non deve superare una certa somma.
Cosa succede se nel momento in cui uno Stato entra a far parte dell’UE rispetta questa
condizione, ma poi nel tempo questa condizione è cambiata?
Possiamo trovare uno Stato come la Grecia che ha un disavanzo eccessivo, ha speso tutti i
soldi e rischia il fallimento. Di fronte ad uno Stato che non rispecchia i criteri di sana gestione
finanziaria, non può essere attivato il ricorso di inadempimento.
Chi ha ragione? Lo sapremo alla fine, perché è ciò che deciderà la C.DG. Dovremo aspettare
tre anni.
In questo periodo che succede? Questo significa che se per ipotesi la Comm.EU dovesse
avere ragione, lo Stato continuerà a fare quello che ha fatto finora e il suo comportamento
provocherà dei danni che quando sarà emessa la sentenza non saranno più eliminabili. Quindi
la C.DG dice: nel dubbio, laddove c’è il rischio che si causi un danno irreversibile, poiché
dobbiamo attendere l’esito del processo e che si emetta una sentenza, lo Stato non deve
produrre inquinamento, poi magari avrà ragione, ma intanto non deve produrlo. Quindi deve
adottare dei PROVVEDIMENTI CAUTELARI che riducono l’inquinamento. Perché non
avrebbe senso portare a compimento un processo se poi quella sentenza non potrebbe in
nessun modo essere posta in esecuzione perché il danno non è eliminabile.
Torniamo alle competenze della C.DG: abbiamo detto che la C.DG ha competenze
CONTENZIOSE E NON CONTENZIOSE.
1. Un primo procedimento di tipo contenzioso è il RICORSO D’INADEMPIMENTO: esso
consente alla C.DG se attivata51 di controllare l’inadempimento di uno Stato.
2. Un’altra ipotesi è IL RICORSO DI ANNULLAMENTO: quando la C.DG è chiamata a
dirimere una controversia: serve a verificare che le istituzioni dell’UE si conformino agli
obblighi. (ART.263) Quindi abbiamo visto che gli Stati devono comportarsi bene, ma devono
farlo anche le istituzioni.
Ma come fa la C.DG a valutare che esse si comportino bene?
Il controllo che effettua la C.DG ha come oggetto GLI ATTI O LE OMISSIONI: qualunque
comportamento dell’UE si traduce nella produzioni degli atti che sono la terza fonte
dell’ordinamento dell’UE.
Come funziona questo tipo di procedimento?
Considerazione generale: se noi diciamo che gli atti dell’UE sono la terza fonte, significa che
stiamo disegnando una scala gerarchica fatta di gradini, ma fare ciò significa anche stabilire
un rapporto di forza tra norme: se c’è una norma di rango superiore e una di rango inferiore
che non sono tra loro compatibili prevale quella di rango superiore perché abbiamo un
CRITERIO GERARCHICO. Questo significa che qualunque istituzione dell’UE che adotti atti in
contrasto con norme dei Trattati sull’UE, sono atti ILLEGITTIMI.
ESEMPIO: atto dell’UE che adotta atti in una materia che non è di sua competenza
→violazione del principio di attribuzione delle competenze = atto illegittimo: il principio
sopracitato è una norma che troviamo nei trattati, norma di rango superiore. L’atto adottato
dall’UE è un atto di norma inferiore. Prevale la norma di rango superiore e ciò significa che la
norma di rango inferiore non si applica, ma se essa non si applica che senso ha continuare a
consentirne l’esistenza, quella norma deve essere cancellata dall’ordinamento dell’UE.
Come può esser cancellata una norma dall’ordinamento dell’UE?
In linea di principio diremo che: solo l’AUTORE DELLA NORMA può modificare, nell’esercizio
del suo potere, norme o notificare o abrogare quella norma.
ESEMPIO: Se noi diciamo che il potere legislativo è del P.E e del Consiglio, significa che solo
loro possono adottare atti in quella materia, ma significa che quegli atti adottati possono
essere modificati o abrogati soltanto dal P.E o dal Consiglio.
L’unica eccezione a questa regola è il RICORSO DI ANNULLAMENTO: una macroscopica
interferenza del potere giudiziario su quello legislativo→ ha la forza di mettere nel nulla un atto
legislativo. Quando la C.DG annulla un atto, sta facendo la stessa cosa che farebbe un
P.E/Consiglio, laddove decidessero di abrogare quell’atto.
L’ABROGAZIONE di un atto che cos’è? L’esercizio del potere legislativo determinato da una
scelta politica.
L’ANNULLAMENTO di un atto che cos’è? Porta lo stesso risultato: eliminazione di una
norma che prima esisteva ed ora non esiste più. Però non la chiamiamo abrogazione, la
chiamiamo questa operazione ANNULLAMENTO perché non proviene dallo stesso organo
che lo ha emanato, ma proviene da un organo che esercita un altro potere che non è il potere
legislativo, ma GIURISDIZIONALE.
Che cos’è che consente ad un organo che non detiene potere legislativo di mettere nel
nulla un atto del potere legislativo?
Solo un principio: il PRINCIPIO DI LEGALITÁ → tutti siamo obbligati ad osservare le norme,
anche lo stesso organo che le fa. Se gli Stati hanno stabilito delle norme nei trattati e il P.E e il
Consiglio, esercitano il loro potere legislativo in contrasto con le norme dei trattati stanno
commettendo una violazione.
Il loro esercizio di questo potere non è effettuato in una situazione di legalità, quindi è
ESERCIZIO ILLEGITTIMO, quindi il frutto di quell’esercizio illegittimo del potere deve essere
eliminato e può farlo solo la C.DG utilizzando il ricorso di annullamento. → Stati e istituzioni
DEVONO RISPETTARE i Trattati.
Ci sono altri strumenti che consentono alla C.DG di effettuare un controllo sulla legittimitá degli
atti:
1. RINVIO PREGIUDIZIALE DI VALIDITÁ;
2. ECCEZIONE DI ILLEGITTIMITÁ;
3. RICORSO DI ANNULLAMENTO.
•Primo strumento preposto al controllo sulla legittimità degli atti dell’UE → RICORSO DI
ANNULLAMENTO disciplinato dall’ ART. 263 e seguenti del TFUE.
È lo strumento con cui la C.DG elimina gli atti dall’ordinamento dell’UE.
Quali atti possono essere impugnati? Bisogna stabilire prima alcuni elementi base:
1. In un processo contenzioso c’è una parte che agisce chiamata parte ATTRICE o
SOGGETTO LEGITTIMATO ATTIVO53 . Un processo deve essere aperto da qualcuno, la
C.DG è solo un giudice, non può aprire un processo→ non si pronuncerà mai sulla richiesta di
risarcimento di un danno se non c’è qualcuno che lo richiede.
2. Dall’altro lato c’è anche un SOGGETTO LEGITTIMATO, ma è PASSIVO54 chiamato anche
PARTE CONVENUTA IN GIUDIZIO.
Chi è il soggetto legittimato passivo in un processo di questo tipo? Se io contesto la legittimità
degli atti dell’Unione la contesto nei confronti di chi?
Di chi ha adottato l’atto che potrebbe essere Parlamento, Consiglio o qualunque altra
istituzione.
Che cosa sto contestando? Devo individuare un atto, può essere contestato qualunque atto?
No, l’ART.263 ci dice quali sono gli atti che possono essere contestati.
Quale logica ha sostenuto la scelta di questi atti da parte degli Stati? Perché gli Stati hanno
individuato nei Trattati quali atti possono essere impugnati escludendone altri.
Il trattato ci dice che possono essere impugnati:
a) Gli ATTI LEGISLATIVI→ se sono ADOTTATI dagli ORGANI LEGISLATIVI (Consiglio e
Parlamento) e SECONDO la PROCEDURA LEGISLATIVA.
ESEMPIO: Il P.E adotta il proprio regolamento interno, che è quello che gestisce la vita pratica
dell’istituzione legislativa, ma non viene adottato con procedura legislativa, quindi non rientra
in questa categoria.
Questa categoria ha delle caratteristiche:
1) Ha dei DESTINATARI;
2) Impone NORME DI CONDOTTA;
3) È un ATTO OBBLIGATORIO.
b) Gli ATTI del CONSIGLIO, COMMISSIONE e BANCA CENTRALE EUROPEA→ sono atti,
che queste tre istituzioni, adottano, nell’ordinamento dell’UE, in quanto esercitano FUNZIONI
ESECUTIVE: ➢ CONSIGLIO →organo BICEFALO ha sia competenze legislative che
esecutive, quindi può adottare atti legislativi ed esecutivi; ➢ Comm.EU → è un organo che
esercita funzioni esecutive quindi può adottare atti esecutivi.
ESEMPIO: l’UE ha stabilito, attraverso le proprie istituzioni, nel bilancio annuale, i fondi che
deve garantire per l’avvio di progetti come l’Erasmus.
Chi fa il bando per garantire ad uno studente di studiare fuori?
La Comm.EU, che stabilisce come quei fondi devono essere impiegati, li attribuisce agli Stati e
dice come li devono distribuire. Lo Stato, sul piano pratico si conformerà a tutte le descrizioni
che riceve dalla Comm.EU= funzione esecutiva. Quindi la Comm.EU adotterà atti che sono
per lo Stato vincolanti. Lo Stato nel distribuire i finanziamenti Erasmus deve attenersi alle
norme derivanti dalla Comm.EU.
c) ATTI del PARLAMENTO E DEL CONSIGLIO EUROPEO→ sono atti destinati a
PRODURRE EFFETTI GIURIDICI nei confronti di TERZI e gli ATTI DEGLI ORGANI o
ORGANISMI DESTINATI a PRODURRE EFFETTI GIURIDICI su TERZI.
Abbiamo visto che il P.E può adottare atti che non sono legislativi (se lo fossero sapremo per
certo che sono atti impugnabili).
Ma se non sono legislativi, sono impugnabili?
Dipende dall’atto, ovvero se riusciamo a farlo inserire in questa terza categoria. Questa
categoria ci individua atti di P.E e C.E, ma anche di altri organismi dell’UE destinati a produrre
effetti giuridici su terzi.
Che significa destinati a produrre effetti giuridici su terzi?
Quando una istituzione adotta un atto, questo atto ha dei DESTINATARI, oppure può essere
un atto di mera REGOLAMENTAZIONE INTERNA: significa che un P.E può adottare un atto
che si rivolge a sé stesso o ad altri soggetti.
Quindi il problema a cui possiamo rispondere immaginando queste tre categorie di atti è
sostanzialmente questo: un atto per poter essere impugnato deve essere capace:
1. Innanzitutto di PRODURRE EFFETTI→ per esempio ci sono atti che si chiamano
raccomandazioni o pareri che sono atti che non hanno un contenuto obbligatorio.
ESEMPIO: immaginiamo che la Comm.EU adotti una legge di bilancio, lo può fare? No,
perché il potere di adozione del bilancio dell’UE compete al P.E e al Consiglio. Quindi in una
situazione del genere non si può dire che l’UE non aveva la competenza, potremmo dire che
la Comm.EU non aveva la competenza. Quindi in questo caso si tratta di incompetenza
relativa, ovvero che la competenza è dell’UE, ma non è stata esercitata dentro l’UE
dall’istituzione che poteva esercitarla, quindi è relativa.
ESEMPIO: quando abbiamo parlato dei pilastri dell’UE e abbiamo fatto la distinzione tra
metodo comunitario e intergovernativo abbiamo visto che persiste tutt’oggi una materia (la
PESC) nell’ambito della quale il P.E non esercita il suo potere legislativo. Se immaginiamo che
per esempio il P.E adotti un atto in quella materia siamo di fronte ad un’incompetenza relativa,
perché la materia è di competenza dell’UE, ma non può essere esercitata dal P.E.
L’incompetenza può essere di tre tipologie: a) In ragione della MATERIA (Ratione
materiae)→ l’esempio precedente. Può adottare l’atto in quella specifica materia solo
l’istituzione specifica prevista. b) In ragione del TEMPO (Ratione temporis)→ ESERCIZIO
DELLA COMPETENZA, in una certa materia dell’istituzione, deve venire ENTRO un certo
TERMINE.
ESEMPIO: A volte gli organi legislativi delegano la Comm.EU a fare qualcosa. Il P.E e il
Consiglio adottano il bilancio dell’UE. In questo bilancio prevedono di stanziare dei
finanziamenti a favore di ragioni economicamente arretrate. Delegano alla Comm.EU di
adottare degli atti che vadano a specificare quali sono le condizioni per avere accesso a questi
finanziamenti. (vanno ad integrare atti dell’UE).
Quindi quest’ultima è delegata, ma delegata in che senso? Che non ha potere su quella
materia, ma esercita un potere che gli hanno delegato. Ma quando le istituzioni legislative
delegano un potere alla Comm.EU, non glielo delegano senza termine, ma con una
SCADENZA.
ESEMPIO: la COMM.EU dovrà esercitare questo potere entro la fine del 2018. se la comm.eu
adotta atti, in virtù di quel potere conferitogli, dopo la scadenza, a quella data ha già perso
quella competenza che gli era stata concessa quindi non può più esercitarla. Se la esercita c’è
un’incompetenza relativa in ragione del tempo.
ESEMPIO: C’è una disciplina dell’UE la quale prevede che se una persona si va a fare una
vacanza in un paese diverso rispetto a quello dove normalmente risiede: immaginiamo un
italiano che potrebbe risiedere anche in Belgio, si va a fare una vacanza a Parigi. A Parigi
subisce un reato, qualcuno per togliergli il portafogli lo prende a bastonate e lo deruba.
Cosa può succedere? È chiaro che lo Stato francese deve attivare le procedure previste in
questo caso, ma la disciplina dell’UE prevede qualcosa di più: prevede la possibilità che il tizio
che ha subito il reato, possa chiedere un risarcimento non all’autore del reato (situazione
normale) , ma allo Stato dove è stato commesso il reato, laddove per esempio l’autore del
reato è fuggito e non si è riuscito ad identificarlo o è un tizio nullatenente. Quindi si garantisce
alla vittima transfrontaliera (quindi al francese che vive in Francia non gli viene garantita
questa tutela, ma all’italiano che vive in Belgio e che va a farsi la vacanza a in Francia sì ) che
gli venga riconosciuto un risarcimento, rispetto al suo danno subito, dallo Stato, laddove non
riesca ad ottenerlo dal suo autore.
ESEMPIO: Immaginiamo che il P.E e il Consiglio, che hanno adottato l’atto legislativo,
deleghino la Comm.EU alla preparazione di un modulo per chiedere il risarcimento, che dovrà
essere messo a disposizione di tutti dagli Stati, e che debba prepararlo entro 6 mesi. Se entro
6 mesi la Comm.EU esercita quel potere, che di solito non avrebbe ma ce l’ha perché
gliel’hanno dato, lo esercita legittimamente. Altrimenti, se è scaduto il termine e quindi anche il
suo potere di esercizio, e lo esercita, saremmo di fronte ad una INCOMPETENZA IN
FUNZIONE DEL TEMPO.
c) In ragione del LUOGO (Ratione loci)
ESEMPIO: le istituzioni legislative dell’UE, approvano un bilancio in cui destinano agli Stati,
che sono entrati negli ultimi dieci anni nell’UE ,dei finanziamenti per sostenere delle attività
che li aiutino a raggiungere gli obiettivi dell’UE. Alla Comm.EU viene dato il compito di gestire
e distribuire questi fondi, ma nell’esecuzione di questo stanziamento, attribuisce finanziamenti
all’Italia che è entrata nell’UE fin dall’inizio, e quindi più di dieci anni→ INCOMPETENZA IN
RAGIONE DEL LUOGO: questi soldi sono arrivati in un luogo dove non servivano. Ha
esercitato una competenza al di fuori dei confini territoriali entro cui poteva esercitarla.
2. VIOLAZIONE DELLE FORME SOSTANZIALI→ questo vizio è particolare perché serve a
garantire due cose:
A. Garantire il REGOLARE SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI ADOZIONE dell’atto→
quando abbiamo studiato la Comm.EU abbiamo detto che una delle sue funzioni è il potere di
iniziativa legislative (un atto del P.E e del Consiglio può essere adottato solo se c’è stata una
proposta da parte della Comm.EU).
ESEMPIO: immaginiamo che un atto venga adottato dal P.E e dal Consiglio senza che ci sia
stata una proposta dalla Comm.E: l’atto NON POTREBBE ESSERE ADOTTATO, perché il
procedimento di cui parliamo IMPONE che vi sia una PROPOSTA DELLA Comm.EU.
ESEMPIO: immaginiamo di aver stipulato un contratto d’affitto per una casa a Catania con il
nostro locatore e desidera accordo su tutte le clausole. Ci siamo dimenticati di firmare
l’accordo. Quell’accordo non è valido. Al di là dei casi in cui è prevista la forma scritta per
stipulare un certo tipo di contratto, il punto è che potremmo vivere dieci anni osservando
perfettamente quell’accordo senza che sia stato mai firmato. Quindi nella vita fenomenica
quell’accordo esiste per vari motivi, il problema è: se per caso il locatore si vuole liberare di noi
perché c’è uno che gli offre di più ci caccia via. Diremo che c’è un contratto d’affitto, ma non è
firmato, quindi non vale niente.
La firma tecnicamente diciamo che serve a dare la PATERNITÁ DELL’ATTO, ma dire ciò
significa che è quell’atto in cui l’autore dell’atto si assume la RESPONSABILITÁ.
Ora il P.E e il Consiglio quando adottano un atto, quest’ultimo viene firmato dai rispettivi
presidenti perché si assumono la responsabilità di tutto quello che consegue da quell’atto, ma
se per esempio con quell’atto il P.E e il Consiglio vanno a creare danni a qualcuno, possono
essere chiamati a risponderne.
3. SVIAMENTO DI POTERE→ categoria ostica: si verifica quando l’istituzione esercita un
potere che gli appartiene, in una competenza che gli appartiene, ma quel potere viene
esercitato per raggiungere dei fini che non sono quelli che l’istituzione dovrebbe perseguire.
ESEMPIO: la Comm.EU gestisce il bilancio dell’UE e ciò vuol dire che se per esempio il P.E e
il Consiglio hanno destinato una certa cifra per l’Erasmus, quella certa cifra deve essere
destinata per l’Erasmus. Se hanno destinato una certa cifra per aiutare le economie e le
imprese in difficoltà, quella cifra deve essere utilizzata in quel modo. Immaginiamo che la
Comm.EU faccia un bando Erasmus per garantire la mobilità degli studenti che sia ristretto a
studenti che abbiano un livello di reddito al di sotto di una certa somma. La Comm.EU sta
facendo un bando che dovrebbe essere diretto a garantire la mobilità, quindi prescinde dalle
condizioni di reddito, ma lo sta indirizzano solo a studenti che hanno un reddito basso. Sta
esercitando un potere che ha, ma per un fine diverso da quello per il quale il potere dovrebbe
essere esercitato.
ESEMPIO: Immaginiamo che la Comm.EU faccia un bando per assumere nuovi dipendenti.
Prima di emanare un bando va a fare un’indagine statistica per vedere quali sono le
competenze, i titoli di studio, posseduti da tutti i figli dei suoi funzionari. Quindi se questi tizi
avranno tutti dei figli che parlano non solo l’inglese, ma anche il tedesco, farò un bando in cui
è richiesta la conoscenza del tedesco. Che cosa sta facendo la Comm.EU? Sta facendo un
bando (che potrebbe fare), per assumere nuovi dipendenti (rientra nell’esercizio della
competenza).
Ma il fine del bando qual è? Assumere i figli dei suoi dipendenti. Ma questo motivo non è
certo il fine per il quale i trattati hanno stabilito la competenza per emanare bandi. La
Comm.EU fa bandi perché un organo pubblico e dal bando potrebbero venir fuori quei soggetti
che hanno le migliori competenze per quel ruolo, ma se io il bando lo vado a redigere in
maniera tale da agevolare un gruppo di persone rispetto ad altre perché il mio obiettivo è
garantire il posto di lavoro ai figli dei miei dipendenti è chiaro che:
I. Sto esercitando un potere che ho;
II. Secondo la procedura che ho;
III. Ma lo sto esercitando per un fine diverso da quello che dovrei perseguire, che non è
selezionare il migliore, ma selezionare il figlio del mio amico.
4. CATEGORIA RESIDUALE che è quella della violazione dei trattati e delle regole/norme
giuridiche relative alla sua applicazione (vizio onnicomprensivo).
Ci sono altre ipotesi in cui vengono individuati VIZI SPECIFICI, però comunque è una
situazione in cui si manifesta la contrarietà con una norma del Trattato, una norma contenuta
in un atto dell’UE.
5. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ e di PROPORZIONALITÁ [ART.8
protocollo n.2 ]→ anche se non ci fosse stata questa specificazione, comunque la violazione
della sussidiarietà sarebbe stata un vizio. il fatto che sia stato previsto in un’ipotesi specifica
deriva soltanto dal contesto politico in cui la previsione è stata adottata.
Il Protocollo regola i POTERI DI CONTROLLO che hanno i PARLAMENTI NAZIONALI rispetto
al PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ. Questo principio è quella norma che ci dice che l’UE può
intervenire, in casi necessari, in una materia di competenza non-esclusiva, solo se gli Stati
NON sono IN GRADO di RAGGIUNGERE UN CERTO OBIETTIVO. Quindi la regola è che
quella materia è nelle mani degli Stati, che la dovrebbero esercitare e che soltanto in via
d’eccezione interviene l’UE, se lo Stato, da solo, non riesce a raggiungere l’obiettivo. Perché
se interviene l’UE, a quel punto lo Stato non può più intervenire, significa che la competenza
CONCORRENTE, che deve essere prima esercitata dallo Stato, ma che viene esercitata
dall’Unione viene persa dallo Stato. Gli Stati sono “gelosi” delle loro competenze, tanto che
dicono “stiamo attenti a come viene applicato il P.S, deve essere applicato in maniera
rigorosa, perché ogni volta che viene applicato significa che una competenza che ancora è
nelle mani degli Stati è passata nelle mani dell’Unione.”
Il Protocollo n.2 ci dice che quando la Comm.EU propone un atto, significa che sta
proponendo una PROPOSTA DI ATTO alle istituzioni legislative. E quell’atto sta disciplinando
una materia che è di competenza concorrente, che sta quindi attivando l’intervento
dell’Unione, cioè che venga perseguito l’obiettivo in virtù del Principio di sussidiarietà, ossia
che non possa più essere perseguito dagli Stati che non riescono da soli a raggiungerlo.
Come interviene l’UE? Attraverso le sue istituzioni. Nel momento in cui la Comm.EU fa una
proposta di atto, questo già costituisce l’intervento dell’UE, ma se quella proposta di atto ha
per oggetto una materia di competenza concorrente significa che la Comm.EU sta attivando il
PROCEDIMENTO DI ADOZIONE DEGLI ATTI sul presupposto che lo Stato non è in grado di
raggiungere l’obiettivo.
Se l’atto verrà definitivamente adottato dall’Unione, lo Stato non potrà più intervenire ed avrà
perso il suo potere. Quindi per far sì che questo passaggio dell’esercizio della competenza
dagli Stati all’Unione avvenga nel pieno rispetto delle regole, il Protocollo n.2, sul rispetto del
Principio di sussidiarietà, stabilisce una serie di GARANZIE:
1) La Comm.EU deve MOTIVARE SPECIFICAMENTE la necessità che l’atto sia ADOTTATO
DALL’UE e che non possa essere adottato invece dagli Stati (ossia rispettati i Principi di
sussidiarietà e proporzionalità);
2) La proposta di atto deve essere COMUNICATA AI PARLAMENTI NAZIONALI. Questo
perché i P.N sono curiosi di verificare che i P.S e P.P siano stati esattamente rispettati. • Cosa
possono fare i P.N?
3) Possono presentare alla Comm.EU dei PARERI, ma questi pareri vengono comunicati
anche al P.E e al Consiglio, quindi si apre un DIALOGO POLITICO, in cu se i P.N adottano un
parere è perché vogliono censurare qualche aspetto di quella proposta (“contiene una norma
che non dovrebbe contenere”. “Non giustifica adeguatamente la necessità dell’intervento
dell’UE”. “Il principio di S. e P. non è stato rispettato”) La Comm.EU è chiaro che va a
guardare tutti i pareri che le vengono rivolti, ma è sempre libera di andare avanti così:
potrebbe convincersi che qualche P.N abbia sollevato qualche motivazione infondata, come
potrebbe non fare nulla ed andare avanti.
Questa è una forma di CONTROLLO PREVENTIVO (l’atto ancora non è stato adottato) che
serve:
Alla Comm.EU per VALUTARE se ci sono CONTESTAZIONI e se sono siano FONDATE.
Alle ISTITUZIONI perché, se la Comm.EU dovesse decidere di andare avanti, comunque i
pareri vengono comunicati al P.E e al Consiglio. Quindi comunque loro saprebbero che c’è
qualche P.N che non è d’accordo.
Però i P.N esercitano questo controllo POLITICO che potrebbe persuadere le istituzioni
dell’UE oppure potrebbe non avere nessun seguito. A quel punto non succede nulla. L’atto
potrebbe anche essere adottato così com’è.
Ma se l’atto viene adottato così com’era e poi i P.N, che non hanno il potere di bloccare il
processo di adozione dell’atto, dovesse spingere su un governo nazionale per far valere la
violazione di quell’atto. Allora lo Stato potrebbe impugnare quell’atto, censurando la violazione
del P.S e P.P.
Quindi, i P.N possono dare solo un PARERE PREVENTIVO, non possono bloccare l’adozione
di quell’atto, l’atto va avanti. Ma se poi dovesse essere adottato, il vizio della violazione del
principio di P.S e P.P può essere fatto valere dallo Stato, dal governo dello Stato.
6. Un altro vizio specifico è la VIOLAZIONE→ è un vizio di INCOMPETENZA PARTICOLARE:
[L'attuazione della politica estera e di sicurezza comune lascia impregiudicata l'applicazione
delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per
l'esercizio delle competenze dell'Unione di cui agli articoli da 3 a 6 del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea. L'attuazione delle politiche previste in tali articoli lascia
parimenti impregiudicata l'applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni
delle istituzioni previste dai trattati per l'esercizio delle competenze dell'Unione a titolo del
presente capo.]
ESEMPIO: gli articoli da 3 a 6 sono quelli che delimitano le competenze dell’UE (ESCLUSIVE,
CONCORRENTI, COMPLETAMENTO, FUNZIONAMENTO e SOSTEGNO). Fra le
competenze dell’UE, poco importa se siano esclusive o concorrenti, quello che importa è che
siano competenze rispetto alle quali si esercita il METODO COMUNITARIO. Immaginiamo
una competenza in cui si esercita il metodo comunitario, per esempio stipulare accordi
commerciali per lo scambio di merci con uno Stato terzo, per fare arrivare il legname dal
Brasile.
È possibile?
Competenza COMUNITARIA (in cui si esercita il metodo comunitario) dell’UE. Dove invece si
esercita il METODO INTERGOVERNATIVO è la PESC. È chiaro che i metodi sono diversi, e
quindi le istituzioni quando attuano atti devono innanzitutto capire se stanno esercitando una
competenza comunitaria o in materia di PESC. Se non fanno questa preliminare distinzione
non riescono ad individuare quale è la forma dell’atto, l’istituzione competente, la procedura da
seguire ecc… Immaginiamo perciò un accordo commerciale in cui l’UE stipula con uno Stato
terzo lo scambio di armi. Le armi sono merci, però la gestione delle armi è qualcosa che ha a
che fare con la sicurezza degli Stati, in materia di competenza dell’UE che possiamo situare
all’interno della PESC. Un conto è che stiamo vendendo/acquistando legname, un conto è
fornire armi.
Se io sto vendendo all’Iraq una serie di mitragliatrici, è chiaro che potrebbe dirsi un accordo
commerciale, ma si nota anche come esso abbia dei riflessi importanti sulla sicurezza
internazionale.
Quindi è accordo commerciale o materia di PESC? Potrebbe essere entrambe le cose:
l’ART.40 serve proprio a risolvere questo problema perché dice: l’UE, nell’esercizio delle
competenze COMUNITARIE, non deve mai entrare nel terreno della PESC, perché deve
adottare altrimenti il metodo INTERGOVERNATIVO.
Ma ci dice anche il contrario: le istituzioni non possono esercitare una competenza, che non è
in PESC, come se lo fosse. Perché se noi prendiamo una materia e la spostiamo da un
sistema ad un altro cambiamo tutto il metodo istituzionale.
Quindi il rispetto dell’ART.40 ci serve a dire che le istituzioni, quando esercitano i loro poteri,
devono STARE ATTENTI AD INDIVIDUARE LA MATERIA, perché se sconfinano da un
sistema (metodo comunitario), all’altro (metodo intergovernativo) questo sconfinamento può
essere sottoposto a controllo della C.DG, sotto forma di IMPUGNAZIONE DELL’ATTO per
VIOLAZIONE DELL’ART.40.
In termini pratici: un atto dell’UE, che è stato adottato sotto il titolo della PESC, potrebbe
essere impugnato dicendo che quell’atto ha violato l’art.40 nella misura in cui non doveva
essere adottato con metodo intergovernativo, sotto il titolo relativo alla PESC, ma doveva
essere ricondotto entro il metodo comunitario.
Ora, le persone fisiche e giuridiche possono avere davanti un atto che ritengono viziato e
vogliono contestarlo. La prima cosa da guardare è se l’atto porta il NOME SPECIFICO della
persona che vuole impugnarlo. Se sì, ha una portata diretta nei suoi confronti e quindi può
essere impugnato, se no è un atto a portata generale e non si può impugnare. Ma non perché
non c’è il vizio, può anche esserci, ma non può essere la persona fisica o giuridica ad
impugnarlo.
2. SOGGETTI LEGITTIMATI PASSIVI: sono gli AUTORI dell’atto.
Chi impugna l’atto fa valere il vizio, ma chi è poi che può difendere la legittimità
dell’atto?
L’/le istituzione/i che l’hanno ADOTTATA. Quindi se un atto è stato adottato dal Parlamento
europeo e Consiglio, i soggetti legittimati passivi saranno queste ultime.
C’è però un TERMINE per l’impugnazione dell’atto, che è di 2 MESI: ma a partire da quando?
Dalla CONOSCENZA LEGALE dell’atto ➢ Dal momento in cui l’atto viene PUBBLICATO sulla
Gazzetta Ufficiale, si pretende che tutti lo conosciamo, anche se è solo una presunzione. →
per gli atti a portata GENERALE.
Si sceglie una via diversa: la conoscenza legale dell’atto è quanto più vicina alla conoscenza
EFFETTIVA dell’atto. Dal momento in cui l’atto viene NOTIFICATO → per gli atti a portata
INDIVIDUALE.
ESEMPIO: se il Parlamento manda una raccomandata ad un tizio, che però non ha aperto la
busta, ma l’ha buttata, non c’è la conoscenza effettiva dell’atto, per sua scelta. A livello legale
però c’è perché l’atto è arrivato a destinazione.
Solo in casi eccezionali si parte dalla CONOSCENZA EFFETTIVA dell’atto e c’è solo un caso
in cui vale.
ESEMPIO: ad un tizio viene notificato un atto, ma questo tizio in realtà non lo riceve mai per
un problema di omonimia. Chi ha notificato l’atto ritiene che l’atto sia stato consegnato. Ma il
vero destinatario dell’atto, all’occorrenza, potrà dimostrare che quella non è la sua firma, e che
c’è stato un errore di omonimia, per cui l’atto in realtà è stato inviato alla persona sbagliata.
Solo in casi di questo tipo si può dimostrare che la conoscenza legale dell’atto non è
perfezionata perché c’è stato qualche errore, nella procedura di comunicazione di quell’atto,
per cui il vero destinatario di quell’atto in realtà non lo ha mai ricevuto.
Ma se per caso lui ha ricevuto l’atto, ma ha deciso di non ritirarlo, allora lì è colpa sua.
Sapere quando, sul piano legale, l’atto è effettivamente conosciuto ci serve per capire da
quale termine l’atto decorre l’impugnazione, perché esso è di 2 mesi, dal momento in cui viene
notificato. Se questo termine è scauto, l’atto non può più essere impugnato, quindi anche se
l’atto presenta un vizio e non è stato impugnato da nessuno di quei soggetti legittimati ad
impugnarlo, l’atto diventa irreversibilmente definitivo, non può più essere annullato.
A meno che il soggetto che aveva tale potere dimostra che per un motivo, indipendente dalla
sua volontà, non è stato messo nelle condizioni di venire a conoscenza di quell’atto.
In questo caso l’atto può essere RIMESSO IN TERMINI, è riconosciuta perciò al soggetto la
possibilità di RICORRERE CONTRO L’ATTO OLTRE LO SPIRARE DEL TERMINE. Il nuovo
termine di 2 mesi ricorrerà dal momento in cui lui dimostra di aver avuto la possibilità a
conoscere l’atto. Lui però dovrà dimostrare qual è il momento in cui lui poteva essere
informato dell’atto, quindi per esempio per altre vie è venuto a conoscenza dell’atto, e quindi
da questa conoscenza effettiva dell’atto decorrerà il termine di 2 mesi.
Lo scadere del termine di 2 mesi in alcune situazioni può essere superato: Quando l’atto viene
impugnato significa che l’atto è definitivo e quindi produce effetti giuridici nei confronti di terzi,
ed è entrato in vigore. Quando l’atto viene impugnato il fatto che sia stato sottoposto ad un
controllo della C. DG non significa che l’atto SMETTA DI PRODURRE I SUOI EFFETTI: l’atto
vive e continua a produrre i suoi effetti anche se c’è un vizio destinato a verificare la sua
legittimità.
Dunque, l’impugnazione dell’atto NON SOSPENDE GLI EFFETTI dell’atto. A meno che non
sia la C. DG a disporre la sua sospensione: ciò significa che quando l’atto viene impugnato, il
soggetto che l’ha impugnato potrebbe chiedere alla C. DG di mettere l’atto in “stand-by”, quindi
di sospendere l’esecuzione dell’atto. La si può chiedere e viene concessa solo quando
potrebbe produrre degli EFFETTI IRREVERSIBILI.
Cosa succede a tutti gli effetti prodotti da esso prima del suo annullamento? Gli effetti
persistono ugualmente. L’annullamento dell’atto determina una situazione per cui tutto quello
che si è fatto sulla base di quell’atto deve essere eliminato, tutti i suoi effetti. Perché se noi non
eliminassimo tutti i suoi effetti sarebbe come sostenere che l’atto è illegittimo, ma tuttavia
continua a produrre effetti. Ma se è illegittimo, non può e non deve produrre effetti. Se gli effetti
sono REVERSIBILI, si va a CANCELLARE tutto quello che l’atto ha fatto.
Se gli effetti sono IRREVERSIBILI, significa che gli effetti dell’atto non potranno essere
eliminati. Allora solo in quel caso la C.DG, se ritiene ad una prima valutazione sommaria, che
chi impugna l’atto ha ragione, e che l’atto potrebbe produrre effetti irreversibili, allora la C.DG
sospende l’esecuzione dell’atto.
Cosa si fa quando un atto dell’UE è viziato? Si impugna con il RdA, che va attivato:
I.Entro 2 mesi dalla CONOSCENZA LEGALE dell’atto;
II. A seguito dell’IDENTIFICAZIONE DI VIZI ben precisi;
III. Se il SOGGETTO è LEGITTIMATO ad attivarlo (ricorrenti privilegiati, semi-privilegiati,
non-privilegiati).
Immaginiamo che c’è un atto che non è mai stato impugnato da nessuno, sono passati 2
mesi e non può più essere impugnato.
ESEMPIO: c’è un individuo che potrebbe impugnare quell’atto (non privilegiato, quindi lo
riguarda direttamente ed individualmente), ma non lo impugna. Allora si inventa una causa
davanti ad un G.N e chiede a lui di sollevare un Rinvio pregiudiziale di validità per indurre
la C.DG ad accertare che l’atto è viziato.
Lo può fare?
-Sul piano astratto sì. Il RPV serve anche a porre alla C.DG questioni di validità o di
illegittimità. Tutto quello di cui abbiamo parlato riguardo ai vizi degli atti e al RdA, lo
possiamo richiamare in questa occasione.
Qual è la differenza?
- È che lì siamo andati direttamente davanti la C.DG, qui invece davanti al G.N, che deve
risolvere una causa e in quella causa deve applicare un atto. Il G.N ritiene che quell’atto sia
viziato.
Quali sono i vizi?
- Incompetenza, violazione forme sostanziali, sviamento di potere, violazione P.S e P.P,
violazione ART.40.
La C.DG verifica le varie condizioni, se ci sono queste tre condizioni decide, ma cosa
decide?
- NON PUÒ ANNULLARE L’ATTO, perché essa può farlo solo se esercita una
COMPETENZA CONTENZIOSA. Con il Rinvio pregiudiziale di validità non può annullare
l’atto, ma la sentenza che da è sempre una sentenza NON CONTENZIOSA.
PIANO ESTERNO→ FUNZIONE CONSULTIVA: l’UE NON può VINCOLARE con propri
atti uno STATO TERZO: può solo indurlo a stipulare un ACCORDO INTERNAZIONALE
con il quale si formalizza una specifica ASSUNZIONE DI OBBLIGHI da parte di entrambi
le parti che decidono di auto-vincolarsi. - Un vincolo NON può essere
UNILATERALMENTE MODIFICATO o ESTINTO: se le istituzioni europee si vincolassero
ad un A.I79 con uno Stato terzo e poi questo fosse incompatibile con i Trattati, non
potrebbero modificarlo o sciogliersi dallo stesso senza il consenso dell’altra parte
contraente. → alla C.DG è preclusa la possibilità di mettere nel nullaosta un Accordo
internazionale.
L’unico modo per evitare un’ipotesi di contrasto di un accordo internazionale rispetto ai
Trattati è quello di impedire, in via preventiva, che questo acquisti efficacia e diventi
vincolante per l’UE → per tale obiettivo, la C.DG può essere chiamata ad esprimere un
PARERE circa la compatibilità di un progetto d’accordo con i Trattati.
Tale procedimento può essere attivato dagli:
1. Stati membri;
2. Parlamento europeo;
3. Consiglio;
4. Commissione EU.
Esso si conclude con l’emissione di un parere con il quale la C.DG verifica se il progetto
d’accordo è compatibile o meno. Nonostante il fatto che il parere non ha portata
vincolante, e quindi non ha efficacia decisoria, esso ha comunque EFFETTO OSTATIVO:
se la C.DG emette un parere POSITIVO, l’accordo POTRÁ essere STIPULATO e quindi
entrerà IN VIGORE (rimanendo salva la facoltà delle istituzioni a cui compete la stipula
dell’atto di non farlo). Se dovesse esprimere un parere NEGATIVO, questo IMPEDISCE al
progetto d’accordo di entrare IN VIGORE. L’unico modo per permettere al progetto di
accordo dichiarato incompatibile di entrare in vigore è quello di ELIMINARE LA CAUSA
dell’incompatibilità tra lo stesso e i trattati.
a) Modificando la disposizione o le disposizioni dell’accodo incompatibile;
b) Modificando le norme dei Trattati che ostano all’entrata in vigore del progetto
d’accordo attraverso un procedimento di revisione.
Cap 9. L’Unione, ente internazionale di Stati al quale partecipano anche gli individui: la
dimensione interindividuale.
Una significativa caratteristica dell’Unione consiste nel fatto che l’atto fondativo
dell’Organizzazione non crea solo diritti e obblighi fra le parti contraenti, ma si propone di
dar vita a un tessuto sociale sostenuto da un’originale forma di integrazione fra
ordinamenti distinti e al tempo stesso coordinati.
L'attenzione alla dimensione interindividuale è dovuta anche al carattere democratico
dell'apparato, al quale gli Stati hanno conferito penetranti poteri anche nei confronti della
comunità sociale da essi governata: ciò è confermato da una norma che dichiara di voler
considerare l'Unione fondata “sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia e dell'uguaglianza, ecc.”, dando vita a “una società caratterizzata dal
pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, ecc”.
L’obiettivo dell'Unione è quello di dare all’organizzazione un'impronta costituzionale: di
considerare la persona al centro dell'attività del governo europeo. Inoltre, i valori sono
comuni agli Stati membri, quindi è venuto a determinarsi un intreccio normativo fra tutti gli
ordinamenti coinvolti nel processo di integrazione europea che concorre ad arricchire la
legittimazione democratica di questa organizzazione.
L'aspetto più critico dell'Unione è quello del deficit democratico di cui sarebbe afflitta per la
sua forte componente intergovernativa e della quale essa non può privarsi. Si tratta di un
deficit che riguarda innanzitutto il processo di adozione degli atti normativi che si
indirizzano all'individuo, che sarebbe in grado di pregiudicare l'idoneità dell'Unione di
rispettare quel principio dello Stato di diritto comune a sé e ai propri Paesi membri, che
prende il nome di principio di legalità: afferma che tutti gli organi sono tenuti ad agire
secondo la legge. Tale principio ammette che il potere venga esercitato in modo
discrezionale, ma non in modo arbitrario. Con il Trattato di Lisbona il principio di legalità è
stabilito anche negli art. 2 TUE e 49 della Carta dei diritti fondamentali.
La legalità della norma di portata legislativa che ha origine nell'ordinamento dell'Unione e
che viene applicata entro gli ordinamenti nazionali è garantita dalla compenetrazione di
livelli di governo: quello dell'Unione e quello degli Stati membri.
Quando l'atto normativo dell'Unione è direttamente applicabile la garanzia della sua
legalità formale dipende da 2 condizioni:
• l'atto deve essere fondato sopra una fonte nazionale di rango almeno legislativo che ha
autorizzato la ratifica del Trattato e che ha dato esecuzione anche alla norma in esso
contenuta.
• l'atto legislativo dell'Unione deve essere frutto di un procedimento di adozione che
associa il PE al Consiglio dell'Unione.
La democraticità formale è garantita anche dal passaggio di ogni proposta, di atto
legislativo dell'Unione, di fronte ai parlamenti nazionali; nonché dagli istituti di democrazia
partecipativa accolti nell'ordinamento dell'Unione.
Quindi la garanzia formale della legalità della normativa che origina nell'ordinamento
dell'Unione è data dalla compenetrazione di livelli di governo diversi quello dell'Unione e
quello dei singoli Stati membri.
Per quanto riguarda le caratteristiche intrinseche della produzione normativa europea,
occorre fare riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,
secondo la quale il principio di legalità si concreta nel rispetto dei principi di
determinatezza e di tassatività. Si tratta di principi che implicano in concreto la
prevedibilità delle conseguenze che discendono dalla norma stessa, dunque la certezza
del diritto. Tale certezza sarà conseguita dalla norma legislativa europea se le
caratteristiche di determinatezza e tassatività siano osservate dalla stessa norma
dell'Unione quando dotata di efficacia diretta.
Nell'Europa occidentale i diritti umani sono avvertiti come un valore fondante dell'ordine
politico di ciascun ordinamento statuale.
Per questo motivo, gli sviluppi in materia di protezione dei diritti fondamentali della
persona sono percepiti come il primo fondamentale tassello in un processo di
costituzionalizzazione delle forme giuridiche della cooperazione fra gli Stati membri
all'interno della stessa, che resta pur sempre cooperazione intessuta sul piano del diritto
internazionale.
Oggi, la comunità politica organizzata entro l’Unione ha già una propria costituzione
sostanziale, la quale emerge dalla idoneità dei Trattati istitutivi dell'Unione a porsi quale
regola suprema alla luce della quale misurare la conformità di ogni comportamento dei
soggetti del loro ordinamento: regola che indica gli obiettivi, i fini dell’Ente e i suoi valori
fondanti.
I fenomeni che hanno segnalato il processo di costituzionalizzazione dell'Unione
Europea
La cittadinanza europea: è «cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno
Stato membro», di conseguenza è straniero chiunque non gode di quest'ultima. La
cittadinanza Europea si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce.
I cittadini europei godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei Trattati. Essi
hanno: il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, il
diritto di elettorato attivo e passivo per l'elezione del PE, il diritto di tutela diplomatica, il
diritto di presentare petizioni al PE, ecc.
Nell'ordinamento dell'UE convivono i 2 principali criteri per riconoscere lo status giuridico
della persona, essi sono:
• quello che assicura alla persona, tramite la cittadinanza nazionale, la continuità del
proprio status giuridico: la persona è apprezzata sul piano giuridico in funzione dei diritti e
obblighi che il singolo ordinamento giuridico nazionale le attribuisce.
• il criterio che privilegia la situazione fattuale: dal diritto comunitario è apprezzato il
collegamento della persona con il contesto fisico in cui essa viene a collocarsi.
Si hanno quindi 2 prospettive: viene valorizzata l'identità nazionale, che resta
indifferenziata nonostante gli spostamenti della persona nello spazio europeo; ma si
accorda rilievo anche al valore dell'inclusione nella comunità territoriale di arrivo.
Quindi con la cittadinanza europea si rafforza una categoria di «stranieri privilegiati»:
cittadini di uno Stato membro, non nazionali dello stato di residenza, ma titolari del diritto
di «trattamento nazionale», sulla base del principio di non discriminazione fondante il
processo di integrazione europea.
Il contributo del diritto internazionale dei diritti dell'uomo.
A partire dal principio di non discriminazione intrecciata al principio di dignità, l’Unione e gli
Stati membri sono vincolati al rispetto di un pacchetto di diritti fondamentali dello straniero
entro l'Unione, nonché entro il proprio ordinamento nell'attuazione del diritto comunitario,
nella stessa misura in cui tali diritti fondamentali sono garantiti al cittadino.