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ELEMENTI DI DIRITTO DELL’UE

Un ente di governo per gli Stati e individui


(N. Parisi- V. Petralia)
PARTE 1° → Nozioni preliminari e introduttive
Cap.1 L’unione europea nel diritto della Comunità internazionale
Un ordinamento giuridico è un insieme di norme e di istituzioni mediante le quali viene
regolato lo svolgimento della vita sociale. Infatti, ogni aggregazione umana, per poter
mantenere una pacifica convivenza, ha bisogno di regole che disciplinino le relazioni che si
verificano all’interno di essa e di un apparato che abbia il potere e il compito di emanarle e
di farle rispettare a tutti i consociati. Tale definizione comprende tutti quegli ordinamenti
giuridici all’interno dei quali vi è un apparato che gode di poteri di imperio sulla collettività e
che possiede una struttura gerarchica. Tipicamente sono gli ordinamenti giuridici nazionali a
presentare una struttura di tipo gerarchico.
principio di effettività
Entrambe devono essere osservate=

Gli elementi che costituiscono un ordinamento giuridico sono:


1. un insieme di regole di condotta che i consociati sono tenuti a rispettare;

2. un insieme di regole organizzative che disciplinano


a. l’attività degli organi ai quali è conferito il potere di dettare tali norme e le procedure che
devono essere osservate per l’adozione delle norme di condotta;
b. l’attività degli organi incaricati di fare osservare le regole di condotta, anche con l’uso
della forza o mediante una pena.
I destinatari delle norme sono tutti soggetti ai quali è riconosciuta la soggettività giuridica,
ovvero l’astratta capacità di un soggetto ad avere dei diritti (o posizioni giuridiche attive) e di
obblighi (o posizioni giuridiche passive). Ogni ordinamento regola le relazioni tra i soggetti
giuridici ma per fare ciò deve determinare a quali soggetti è attribuita la soggettività giuridica,
si parla in questo senso di soggettività giuridica nazionale.
Anche l’ordinamento giuridico internazionale è un insieme di norme mediante le quali
viene regolato lo svolgimento delle relazioni tra soggetti di diritto internazionale. A differenza
di un ordinamento giuridico nazionale, esso non ha una struttura gerarchica e non ha
nemmeno un apparato dotato di poteri di imperio sulla Comunità internazionale. Al contrario
presenta una struttura paritaria: le regole vengono determinate da dai destinatari stessi delle
norme. Inoltre manca un apparato forte e in grado di imporre tali regole. Anche le norme
internazionali determinano quali sono i soggetti ai quali è riconosciuta la soggettività
giuridica internazionale, ovvero la capacità di essere titolari di posizioni giuridiche
all’interno dell’ordinamento giuridico internazionale. I principali enti ai quali è riconosciuta la
soggettività giuridica internazionale sono gli stati e alcune organizzazioni internazionali
governative.
Classificazione dei soggetti di diritto internazionale:
1. Gli Stati;
2. Le organizzazioni internazionali;
3. I movimenti insurrezionali che controllano tutto o parte del territorio di uno Stato;
4. La Santa Sede.

La soggettività giuridica non è invece concessa a popoli che pur essendo titolari del diritto di
autodeterminazione e pur potendo aspirare alla costituzione, fino a quando non esercitano un
potere di controllo su un dato territorio, non sono considerati soggetti di diritto internazionale.
L’ente per eccellenza al quale viene riconosciuta la soggettività giuridica internazionale è lo
Stato. Esso è composto da tre elementi:
1. Il territorio (elemento spaziale);
2. Il popolo (elemento personale);
3. Un governo effettivo e indipendente= sovranità interna (elemento organizzativo).
Il concetto di Stato si può declinare in due diverse maniere:
1) stato-comunità, ovvero un insieme di individui che possiedono la cittadinanza e condividono
lo stesso territorio;
2) stato-apparato, ovvero dotato di un’organizzazione politica che esercita un potere di imperio
su tale comunità.

Il potere di imperio dello Stato non può esercitarsi al di fuori dei propri confini territoriali, ma
all’interno del proprio territorio lo stato è l’unico che può esercitare la competenza di domestic
jurisdiction o riservato dominio, ovvero esso è libero di autodeterminarsi senza alcuna
limitazione proveniente da qualsiasi altra entità esterna. EX→ un individuo si trova in Italia e
commette un reato, lo stato si attiva per perseguire penalmente quella persona, se l’individuo si
allontana dall’Italia lo Stato non lo può perseguire penalmente, perché il suo potere di imperio
funziona solo all’interno dello Stato. Lo Stato è comunque vincolato dalle norme
dell’ordinamento internazionale. Al principio del riservato dominio, corrisponde il principio di
non-ingerenza negli affari interni, ovvero tutti gli stati hanno l’obbligo di non immischiarsi negli
affari interni di un altro Stato.
Questa condizione si traduce nel concetto di sovranità esterna ed è strettamente legata
all’origine dello Stato→ risponde al principio di effettività, cioè uno Stato esiste non perché
qualcuno l’ha creato, ma perché in funzione di un fatto storico esiste una comunità che si è
stanziata su un determinato territorio, ha stabilito dei confini e all’interno di questi esercita un
potere di imperio.

Proprio perché uno Stato esiste per frutto di un fatto storico è un ente originario, ha la totalità
dei poteri e ciò implica l’indipendenza.
Lo Stato, dunque, opera in una duplice dimensione: quella interna ovvero l’ordinamento
nazionale all’interno del quale esso impone le norme giuridiche in maniera autoritativa alla
propria comunità ed entro i propri confini; e quella esterna ovvero quella dell’ordinamento
internazionale dove gli Stati in posizione di assoluta parità regolano le loro relazioni.
Le organizzazioni internazionali governative sono delle entità che esistono in virtù del fatto
che qualcuno le ha create, ovvero gli Stati. Essa nasce attraverso un accordo internazionale
stipulato tra gli Stati.
Dunque, mentre lo Stato è un ente originario, l’organizzazione è un ente derivato e in virtù di ciò
operano in funzione del principio di attribuzione delle competenze: i poteri che
un’organizzazione può esercitare sono quelli conferitegli dagli Stati; pertanto, può legiferare
solo su determinate materie.
Nel momento in cui uno Stato crea un’organizzazione, sa che sta cedendo esercizio di potere e
se non è uno Stato lungimirante cederà sempre il minimo che può cedere, questo è il motivo
per cui l’UE si sta bloccando; gli Stati vorrebbero recuperare l’esercizio dei poteri che hanno
ceduto.
Ad esempio, la Brexit è l’esempio più calzante: ci fa capire che lo Stato che ha ceduto
l’esercizio del potere può sempre riprenderselo.
L’organizzazione si fonda su trattati chiusi o aperti:
1. il trattato è aperto quando per esempio si dà la possibilità di far crescere o diminuire i
componenti;
2. il trattato è chiuso quando, se a creare un’organizzazione sono 10 Stati e uno Stato vuol
subentrare successivamente, esso può farlo soltanto se tutti gli Stati che hanno stipulato
l’accordo siano favorevoli, dunque vala la regola dell’unanimità.
Le organizzazioni internazionali possono essere distinte in funzione di due criteri:
1) sulla base dell’area geografica→
a) Planetarie: vi fanno parte Stati appartenenti a tutti i continenti del mondo;
b) Regionali: vi fanno parte solo Stati appartenenti ad una determinata regione geografica.

2) sulla base dell’ambito di competenza→


c) Organizzazioni a vocazione universale (o competenza genarle): operano in tutti i settori, da
quello economico e sociale a quello militare;
d) Organizzazioni a vocazione settoriale (o a competenze specifiche): operano solo in
specifici campi di attività.
Diverso è il fenomeno delle Organizzazioni non governative che sono costituite, a livello
internazionale, da individui (ad esempio Amnesty International). Essendo lo scopo perseguito
da individui, per queste organizzazioni non ha alcun rilievo la connessione con il contesto
territoriale nazionale di appartenenza delle persone.

All’interno della categoria delle Organizzazioni internazionali abbiamo le Organizzazioni di


integrazione che nel coordinare la cooperazione fra gli Stati, si propongono anche di integrare
gli ordinamenti di questi negli ambiti affidati alla loro competenza. Nell’emanazione degli atti non
si vincolano soltanto gli Stati, ma anche tutti i soggetti dell’ordinamento interno ai quali si
rivolgono.
Nelle organizzazioni di integrazione si richiede che l’organizzazione internazionale sia
legittimata anche democraticamente, ovvero si tratta della presenza di istituzioni che siano
democraticamente elette e che rappresentino tale dimensione. Essa comporta maggiore
complessità decisionale. L’insieme di questi elementi si traduce nel cosiddetto metodo
istituzionale (o comunitario), su cui si informa anche l’UE nella quale convivono una dimensione
governativa e una “comunitaria”.
La cooperazione intergovernativa si fonda su un metodo decisionale nel quale trovano
rappresentazione solo gli interessi individuali degli Stati e quelli dell’organizzazione. I primi
assumono un ruolo preponderante dato che le decisioni vengono prese all’unanimità.
Il controllo di legittimità viene escluso in quanto gli Stati si riservano il potere di risolvere
eventuali situazioni di crisi per via diplomatica, rifiutando di sottoporsi al controllo di un organo
giurisdizionale capace di emettere decisioni vincolanti nei loro confronti. Tali elementi
caratterizzano il famoso metodo intergovernativo.
Il metodo intergovernativo, piuttosto che privilegiare l'interazione delle tre istituzioni autonome
dell'Unione, favorisce e privilegia il potere degli Stati membri nelle procedure decisionali,
accentuando il carattere internazionale dell'organizzazione a discapito di quello sovranazionale.
L’integrazione europea ai avvantaggia del cosiddetto metodo comunitario, il quale si fonda
sull’interazione tra 3 istituzioni autonome: la Commissione europea (organo di individui e non
rappresentanti degli Stati, che ha il monopolio dell'iniziativa legislativa), il Parlamento europeo
(che svolge una funzione di controllo ed è l'unica istituzione europea a essere eletta
direttamente dai suoi cittadini) e il Consiglio (che rappresenta gli stati membri e adotta le
decisioni a maggioranza qualificata, invece che all'unanimità)→ “triangolo istituzionale”.
È essenziale inoltre il ruolo della Corte di Giustizia, che garantisce l'applicazione e l'uniforme
interpretazione del diritto comunitario nei diversi stati membri.

Attraverso questa modalità, gli Stati riuniti in seno al Consiglio condividono l’esercizio della
sovranità con il Parlamento europeo. Le decisioni in seno al Consiglio europeo seguono la
regola della maggioranza invece di quella dell’unanimità. La garanzia che sia preservato
l’equilibrio istituzionale interno delle procedure decisionali è approntata da un organo terzo e
imparziale che esercita il controllo giurisdizionale: la Corte di giustizia.
L’ordinamento internazionale si compone delle norme giuridiche internazionali, ovvero regole
di condotta il cui rispetto è da considerarsi obbligatorio.
Nell’ordinamento internazionale, la produzione delle norme giuridiche è affidata agli Stati stessi,
i principali destinatari delle norme. Ciò significa che il rispetto delle sue norme non può essere
imposto in maniera coattiva perché non esiste un organo a ciò preposto.

Il rispetto del diritto internazionale è affidato alla buona volontà degli Stati, ma per far valere il
rispetto delle norme si può ricorrere:
1. Dialogo diplomatico;
2. Forme di autotutela;
3. Atti che implicano l’uso della forza (come estrema ratio).

La produzione delle norme avviene mediante consuetudine, accordo e procedure previste


dall’accordo. Queste 3 modalità individuano 3 diverse fonti normative di produzione delle norme
internazionali:
1. Fonti di produzione normativa→ atti o fatti capaci di far sorgere una norma giuridica, ovvero i
processi di produzione delle norme e gli organi da cui promanano;
2. Fonti di cognizione normativa→ documenti, fatti e forme che attestano l’esistenza di una
norma giuridica. Sono le norme di diritto internazionale generale, accordo internazionale e gli
atti delle organizzazioni internazionali.
Le norme di diritto internazionale generale vincolano tutti i soggetti della Comunità
internazionale e si distinguono in:
1. Norme consuetudinarie internazionali generali→ sono non scritte e vengono a esistenza
mediante consuetudine, al ricorrere di 2 condizioni:
a) elemento oggettivo che consiste nella ripetizione costante e uniforme nel tempo di un
comportamento da parte della generalità degli Stati;
b) elemento soggettivo, cioè l’opinio iuris sive necessitatis= il convincimento che il
comportamento costante e uniforme sia obbligatorio.
Questa categoria di norme di applica a tutti gli Stati, anche a quelli che hanno manifestato
dissenso.
Inoltre, le norme consuetudinarie si dividono in:
I. norme di ius cogens (norma imperativa), le quali costituiscono fonti primarie
dell’ordinamento internazionale. Queste norme stanno ad indicare l’insieme di norme
internazionali che NON possono essere in alcun modo derogate dagli Stati.
II. norme dispositive, sono derogabili e ciò determina la possibilità che un’altra norma possa
dettare una disciplina diversa rispetto a quella contenuta in quella consuetudinaria e applicarsi
al posto di quest’ultima. La norma dispositiva si contrappone a quella imperativa che trova
sempre applicazione e non può essere derogata dalla diversa volontà delle parti.

2. Principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili→ definibili come i principi universali in
quanto presenti nella maggior parte degli ordinamenti interni agli Stati più evoluti sul piano de,
rispetto de, diritto e dei diritti fondamentali della persona. Essi trovano applicazione quando un
certo aspetto della vita della Comunità internazionale non è regolato né da una norma
consuetudinaria generale, né da un accordo internazionale.
Non avendo forma scritta, sono soggette ad interpretazione dalle corti di giustizia.
L’inviolabilità delle norme pattizie è regolata dalla norma consuetudinaria: pacta sunt servanda
(i patti devono essere osservati). In virtù di questa, gli enti dotati di soggettività giuridica posso
stipulare tra loro accordi.
L’accordo internazionale (che può assumere la denominazione di patto, trattato, convenzione,
ecc.) vincola solo le parti che aderiscono all’accordo, dato che rappresenta l’incontro della
manifestazione di volontà tra due o più Stati che devono recarsi in una sede negoziale per dar
vita alle norme.
Bisogna ricordare che gli accordi internazionali si pongono in posizione sottordinata rispetto alle
norme di ius cogens.
I trattati possono essere classificati in varie categorie:
1. Trattati bilaterali (regolano i rapporti e gli interessi specifici intercorrenti fra due Stati) e
multilaterali (regolano materie di interesse più generale e che intercorrono tra più Stati).
2. Trattati aperti o chiusi→ rispetto alla possibilità di adesione che hanno gli Stati terzi.
3. Trattati permanenti o transitori → a seconda della durata degli effetti del trattato.
Il procedimento che porta alla formazione di un trattato segue 5 fasi:
1) NEGOZIAZZIONE→ gli Stati in una conferenza intergovernativa cercano di individuare le
condizioni dell’accordo al fine di giungere alla stesura di un progetto di comune accordo su cui
ciascuno di essi dovrà manifestare il proprio consenso.
2) FIRMA→ certifica l’accordo ed ha lo scopo di autenticare il testo, ma non vincola gli Stati
firmatari.
3) RATIFICA→ rappresenta la volontà degli Stati di impegnarsi a rispettare quanto prescritto nel
trattato. In alcuni ordinamenti potrebbe essere affiancata ad una previa consultazione popolare
tramite referendum.
4) DEPOSITO DELLE RATIFICHE→ momento in cui gli Stati avranno ratificato l’accordo,
dovranno depositare l’atto di ratifica. Se tutti i contraenti avranno ratificato l’accordo e
depositato la ratifica, l’accordo entrerà in vigore a partire dalla data prevista nello stesso
accordo.
5) ENTRATA IN VIGORE→ data a partire dalla quale un trattato esplica pienamente i suoi
effetti tra gli Stati contraenti. L’entrata in vigore implica l’osservanza solo per gli Stati contraenti.
Un’organizzazione esiste solo sulla base della concorde volontà di 2 o più Stati che decidono di
istituirla= ciò avviene tramite un atto istitutivo.
In questo senso essa, a differenza degli Stati che sono Enti originari, è un ente derivato= la
propria esistenza e i poteri gli vengono conferiti dagli Stati che la istituiscono.
L’atto istitutivo di un’organizzazione internazionale attribuisce a essa il potere di emanare atti
giuridici attraverso appositi procedimenti di produzione giuridica, si crea la terza fonte del diritto
internazionale= atti dell’organizzazione internazionale.
L’insieme delle istituzioni dell’organizzazione internazionale e delle norme contenute nell’atto
istitutivo e negli atti emanati dalla stessa costituiscono l’ordinamento giuridico
dell’organizzazione internazionale.

1. Norme internazionali generali imperative (jus Comprende le norme che esprimono i


cogens) valori fondamentali della comunità
internazionale ed in quanto tali non
possono essere derogate, modificate o
abrogate da altre norme, se non da
norme egualmente di carattere
imperativo.
Le norme imperative presentano
dunque carattere rigido, poiché sono
inderogabili da altre consuetudini e dai
trattati

2. Norme contenute nei trattati


Norme internazionali generali (non imperative)
Principi generali riconosciuti dalle nazioni civili
(funzione integrativa)
3. Atti delle organizzazioni internazionali
Cap.2 Le origini e gli sviluppi del processo di integrazione del Continente europeo
Il processo istituzionale di portata internazionale che è l’Unione Europea (“ […] Il presente
trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i
popoli dell’Europa […]”) non può prescindere dalla ricerca, dalla conservazione e dalla
valorizzazione dell’IDENTITÁ di ciascuno Stato membro.

Lo stesso Trattato sull’UE impone l’obbligo di rispettare le identità nazionali degli Stati membri
(ART. 4.2 TUE), stabilendo a proprio fondamento i principi di LIBERTÁ, DEMOCRAZIA e
RISPETTO dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che sono assunti come principi
dell’Unione (ART. 2 TUE) → tutte queste identità vivono quindi su un piano di reciproca
complementarietà e inclusione.
•L’IDEA DI EUROPA iniziò ad essere espressa nel XX secolo tramite→ sollecitazioni
intellettuali indirizzate a suggerire ai governanti la fondazione in questo Continente di una
federazione, capace di allontanare il flagello della guerra fra Stati accumunati dai valori
sopracitati.
Idea che questo patrimonio di valori condiviso ideale possa dare vita fra gli Stati del Vecchio
Continente a un contesto di cooperazione stretta basata non solo sui vecchi metodi democratici.

•PROGETTUALITÀ POLITICA: Con la fine della seconda Guerra Mondiale l’idea di Europa è
passata ad essere adoperata ad una progettualità politica → in Europa sono state poste le
premesse per la nascita di Organizzazioni internazionali che di quel patrimonio di valori europei
si facessero depositarie, interpreti e promotrici.
- Il discorso di Churchill a Zurigo e la convocazione del Congresso dell’Aia hanno segnato le
tappe di un percorso che ha portato alla creazione del CONSIGLIO D’EUROPA →
un’Organizzazione internazionale a vocazione soltanto politica che ha avuto assegnato
l’obiettivo di realizzare un’unione più stretta tra i paesi europei incardinata su un patrimonio di
valori comuni che saranno sviluppati e salvaguardati. Ciò è avvenuto attraverso la creazione di
questa struttura istituzionale che funziona principalmente da foro di dibattito e di indirizzo
politico degli Stati membri.
Le origini dell’integrazione europea si devono a due tipi di ragioni:
1) Ragioni ECONOMICHE, che si dividono a loro volta in:
A) RAGIONI INTERNE→ -Ricostruzione economica degli Stati a seguito del secondo conflitto
bellico/-Proteggersi contro l’emergere dell’imperialismo sovietico.
B) RAGIONE ESTERNE→ -Creazione di nuovi mercati/ -Sovrapproduzione industriale degli
USA.
Le soluzioni a questo tipo di ragioni sono state: Piano Marshall (o European Recovery
Program)→ aiuti finanziari che gli Stati Uniti d’America avevano offerto ai Paesi europei per
ricostruire le economie disastrate dal conflitto bellico, il loro utilizzo doveva essere congiunto.
Aderirono 18 Stati Europei.
Per la gestione comune degli aiuti americani nel 1948 si creò un’Organizzazione internazionale
a finalità ECONOMICA: Organizzazione europea per la Cooperazione Economica (OECE), poi
trasformata in Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economici (OCSE).
2) Ragioni POLITICHE→ a) Creare una FASCIA DI STATI legati agli USA per
CONTRAPPOSIZIONE AL BLOCCO SOVIETICO;
b) Nel 1948 nasce l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO)→ ente non solo
europeo, ma occasionato dall’esigenza di costruire un patto difensivo a vantaggio della parte
occidentale dell’Europa;
c) Nel 1954 nasce l’Unione dell’Europa Occidentale (UEO) organizzazione utile a contribuire a
risolvere il problema del riarmo della Germania.
Le Comunità europee e l’approccio funzionalistico all’integrazione del Continente Europeo

Le nuove Organizzazioni internazionali sorte nel XX secolo non erano attrezzate per affrontare
il sentimento di Revanchismo (nazionalismo che aveva portato all’avvento del nazismo) della
popolazione tedesca, sconfitta per la seconda volta in trent’anni, non più soggetto detentore di
diritto internazionale, ma paese di grande ricchezza (carbone e acciaio).
La Francia attraverso la Dichiarazione di Schuman propose come soluzione di mettere in
comune le produzioni di queste due materie prime in un'Europa di 6 paesi (Belgio, Francia,
Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi).
In modo tale da mettere sotto il controllo di una comune Alta Autorità indipendente dagli Stati le
risorse carbo-siderurgiche della Ruhr e della Saar, risorse economiche funzionali all’industria
bellica di allora.
-Dal Piano Schuman nasce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio- estinta nel 2003-
(CECA) nel ’52
a) Nasce a Parigi con il Trattato di Parigi il 18 aprile 1951.
b) È durata 50 anni poiché ha raggiunto il suo termine finale che era stato stipulato per 50
anni.
c) Poteva adottare norme giuridicamente vincolanti per Stati e persone fisiche e giuridiche
operanti in territorio europeo nel settore carbosiderurgico.
d) Aveva come obiettivo quello di creare un mercato comune del carbone e dell’acciaio e quindi
di attuare una politica economica comune.
e) Aveva una struttura interna composta da vari organi.
f) Le decisioni venivano prese a maggioranza.
Dopo il successo della CECA gli Stati membri originari hanno cercato nuove forme di
collaborazione che fallirono:
•Comunità europea di difesa (CED)→ creazione di un esercito europeo= fallimento causato
dalla mancanza di ratifica;
•Comunità politica europea (CEP)→ unificazione del potere politico in una struttura federale;
Perciò l’integrazione è rimasta solo a livello economico estendendo però questa collaborazione
a tutto il mercato e non solo a quello siderurgico. Si preferì quindi la strada del
FUNZIONALISMO ECONOMICO→ Graduale integrazione dei mercati attraverso:
1. La creazione di un MERCATO COMUNE;
2. La LIBERA CIRCOLAZIONE dei beni e dei fattori di produzione;
3. Il rispetto delle REGOLE DELLA CONCORRENZA;
4. Una POLITICA COMMERCIALE COMUNE anche nelle relazioni internazionali.

ZONA DOGANALE (eliminazione dei dazi doganali all’interno dei paesi membri)→ dove si
manteneva un confine esterno (frontiere esterne agli Stati membri rispetto a chi non è membro)
e si eliminava il confine interno creando un mercato interno.
Paul-Henri Spaak (ministro belga e padre fondatore dell’UE) ebbe una decisiva influenza
durante la Conferenza di Messina, nel giugno 1955, che produsse il MERCATO EUROPEO
COMUNE e l'EURATOM, le due organizzazioni ratificate poi nei Trattati di Roma il 25 marzo
1957; il suo particolare modo di negoziare divenne noto con il nome di Metodo Spaak→ da qui
si vennero a creare due nuove comunità europee Che si andarono a sommare a quella già
esistente, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA):
1) Comunità Economica Europea (CEE)
2) Comunità Europea dell’Energia Atomica/Euratom perfezionamento dato dai Trattati di
(CEEA) Roma del 1957
Ma perché 3 diverse comunità?
Inizialmente non si è pensato di estendere le caratteristiche della CECA agli altri settori, ma
hanno creato altre due nuove comunità perché si erano venuti a creare poteri molto invasivi
della Comunità nei confronti degli Stati. Quindi per mantenere differente il metodo d’azione si
preferì separare le nuove politiche in tre comunità.
CARATTERISTICHE CEEA CARATTERISTICHE CEE
Elaborazione di una politica comune in Realizzazione di un mercato comune per
materia di approvvigionamento, diffusione tutti i settori merceologici industriali e
delle conoscenze e sicurezza delle agricoli dei 6 Paesi membri= caratterizzato
installazioni nel quadro dell’utilizzo pacifico dalla libera circolazione dei beni e dei
dell’energia nucleare. fattori della produzione e da una politica
commerciale comune anche nelle relaz.
internaz.→costituzione di una zona di
libero scambio protetta da una cintura
doganale comune.

Tutti i fattori di produzione degli Stati membri potevano circolare liberamente senza problemi e
senza dazi doganali.
Le merci all’esterno potevano passare, ma essendoci una frontiera comune esterna da dove si
dovrebbero fare entrare quelle merci provenienti dall’esterno? In teoria dove si pagano meno
tasse/dazi doganali, ma così si verrebbe ad alterare la dinamica concorrenziale tra gli Stati. Si
doveva perciò adottare una TARIFFA DOGANALE COMUNE nei confronti di paesi terzi.
-Unione doganale
Si crea una FASCIA DOGANALE ESTERNA che non è più gestita da un solo Stato nel proprio
territorio, ma sarà uguale per tutti→ frontiere esterne gestite dalla CEE, in modo tale da creare
un’INTEGRAZIONE TOTALE TRA I MERCATI.
-Politica commerciale comune
I RAPPORTI ECONOMICI con l’esterno li gestisce in maniera centralizzata l’Organizzazione
internazionale.
•Il problema della coesistenza di tre Comunità europee: Ma come si coordinano queste tre
Comunità?
PRINCIPIO DI RESIDUALITÁ→ Complementarietà della CEE;
Competenza residuale: tutto quello che non è di competenza della CECA e della CEEA è di
competenza della CEE
Sistema farraginoso perché ciascuna comunità aveva un consiglio che si riuniva a titolo diverso
e doveva applicare norme non sempre uguali a causa delle diverse procedure.

DINAMISMO EVOLUTIVO→ nel 1965 (Trattato di Bruxelles sulla fusione degli esecutivi) gli
Stati membri vanno a stipulare un contratto che va a modificare quelli precedenti:
I. Unificano non le comunità, ma i suoi ORGANI, in modo tale da unire anche le
procedure→ un solo consiglio/commissione/corte per tre Organizzazioni internazionali,
per questo motivo il trattato prende il nome di TRATTATO SULLA FUSIONE DEGLI
ESECUTIVI;
II. C’è un ulteriore revisione dei trattati per istaurare per il CARATTERE APERTO dei trattati
e quindi per aumentare il numero degli stati membri all’interno dell’Organizzazione
internazionale→ MODIFICA SOGGETTIVA;
III. Inoltre vengono attribuite maggiori competenze all’Organizzazione internazionale e
quindi si modifica la sua “struttura” → MODIFICA OGGETTIVA.
Con il TRATTATO DI MAASTRICHT (1992) viene istituita una nuova Organizzazione
internazionale: l’Unione Europea. È un evidente segnale di voler estendere l’azione della
comunità anche ad altri campi, ma si fonda sulle Comunità europee, nonché sulle altre
politiche.
L’intera attività dell’Unione venne organizzata in 3 grosse aree di competenza
contraddistinta da diverse procedure:
1. Pilastro istituzionale= vennero inserite le 3 esistenti comunità europee;
2. Secondo pilastro= concertazione in materia di politica estera e di difesa comune
(PESC);
3. Terzo pilastro= questioni inerenti la
cooperazione giudiziaria e concentrazione in
materia di affari interni (GAI).
La revisione introdotta dal trattato di Lisbona, vede
l’esistenza della sola Unione Europea che viene
retta da due Trattati→TUE e TFUE.

Si è detto che il Trattato di Maastricht ha istituito l’UE, ma in realtà si è limitato a formalizzare


un’unione di Stati già esistente e funzionante.
Questo è stato oggetto di successive revisioni: ad Amsterdam nel 1997, a Nizza nel 2001 e a
Lisbona nel 2007.
Oggi l’UE si fonda su 3 diversi testi:
1. Individuazione dei valori sui quali di fonda l’UE, nonché procedure di accesso e recesso degli
Stati membri;
2. Individuazione dei principi e dei criteri di esercizio delle funzioni dell’Organizzazione,
delineazione di tutte le sue diverse competenze, nonché la puntuale determinazione
dell’apparato organico;
3. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata dal Parlamento europeo, dal
Consiglio e dalla Commissione del 2000 a Nizza e nuovamente nel 2007 a Strasburgo.
Perché l’hanno creata? Cosa COMPORTAVA la suddivisione in pilastri?
Ad ogni pilastro corrispondeva un METODO DECISIONALE DIVERSO, si distingueva tra:
1) Metodo INTERGOVERNATIVO (metodo classico di stipula dei trattati che prevedeva
l’unanimità di tutti gli Stati membri).
Si applica al SECONDO E TERZO PILASTRO→ si creano due nuove politiche in cui vogliono
iniziare a lavorare in maniera classica, senza cedere troppi poteri. Questi poteri sono gestiti da
un’istituzione che è formata da rappresentanti degli Stati. Essi si riuniscono in una conferenza
intergovernativa, dove si vota all’unanimità.
Essi intendono incanalare la loro collaborazione in un’unica organizzazione, quindi piuttosto che
gestire queste politiche da soli, devono prima riunirsi e poi cercare di risolvere situazioni con
metodi classici.
2) Metodo COMUNITARIO (rivoluzione nel Diritto internazionale) adottato per le politiche
avviate nell’ambito del PRIMO pilastro.
Novità→ Non decidono più gli Stati, ma l’Organizzazione internazionale, non si decide più
all’unanimità, ma a MAGGIORANZA e al suo interno esiste una CORTE che deve fare bene il
suo lavoro e controlla i lavori.→ Marginalizza il ruolo dei governi nazionali a favore delle
istituzioni europee.
Nel ’92 non c’è solo una nuova Organizzazione internazionale, ma una nuova situazione in cui
gli Stati sono riusciti a fare un passo più lungo che, nei fatti, ha consentito di far partire un
processo d’integrazione europea che adesso è molto più avanzato.
TRATTATO DI AMSTERDAM (1997)
1. SEMPLIFICAZIONE dei trattati;
2. Introduzione delle norme sulla COOPERAZIONE RAFFORZATA→ ad un certo punto i
membri dell’UE sono diventati troppi e ogni volta che si dovevano modificare i trattati verso
l’integrazione, bisognava essere in tanti per decidere. Si è pensato di creare delle
COOPERAZIONI DI STATI che potevano essere usati da alcuni di loro (purché non scendano
sotti i 9)→ membri che intendono perseguire determinate politiche comuni autorizzati a
procedere anche in assenza della volontà comune di tutti gli Stati. Prospettiva : non sono tutti
pronti ad attivare una nuova forma di cooperazione, chi lo è la attua mentre gli altri piano piano
si avvicinano a soddisfare quelle condizioni necessarie per poterla attuare. Non vengono
perciò esclusi, ma si cerca di avvicinarli.
ESEMPIO= L’euro→ Non è adottato da tutti, ma quegli Stati che soddisfano determinati
requisiti hanno creato una cooperazione per poter attuare questa nuova politica. Infatti, dato
che una moneta unica come l’euro, deve essere una moneta stabile e forte, non possono
entrare nella cooperazione quegli Stati che hanno per esempio un grosso debito pubblico, una
grande inflazione, ma devono essere economicamente stabili.
3.COMUNITARIZZAZIONE di alcune materie→ Gli Stati rinunciano ad un’altra fetta di
sovranità: Materie del 3° pilastro (intergovernativo) sono passate al 1° (comunitario).
ESEMPIO= l’immigrazione, gestione degli immigrati, concessione di asilo, più in generale tutte
le questioni riguardanti la libera circolazione degli individui.
CARTA DI NIZZA→ Carta Dei Diritti Fondamentali Dell’unione Europea -CEDU- (2000)
La Carta enuncia i diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini europei e di tutte le
persone che vivono sul territorio dell’Unione. Si compone di 54 articoli e di un preambolo, in
cui sono richiamati i valori spirituali e morali dell’UE.

Le istituzioni si sono poste un problema: quando uno Stato adotta un atto nei confronti di un
cittadino, lui ha gli strumenti per tutelarsi dall’esercizio dell’autorità dello Stato?
Nell’UE quando c’è l’esercizio della sovranità di uno Stato, manca l’esercizio di difesa contro
questa sovranità, infatti, tutti gli Stati usano il PRINCIPIO DI STATO DI DIRITTO (preminenza
della legge su tutti, anche sulla stessa autorità).
Bisognava perciò riconoscere e stilare un catalogo di diritti che i cittadini devono vedersi
riconoscere dall’UE→ PROCLAMAZIONE SOLENNE SUI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA
PERSONA NELL’UE.
Viene definita: un “pezzo di carta”, ma perché?
-Le comunità non avevano competenze nei confronti della materia dei diritti della persona e
quindi non potevano adottare atti in quell’ambito, essi hanno solo fatto un “MANIFESTO
PUBBLICITARIO” per dire agli Stati di risolvere la situazione→ ma gli Stati non l’hanno fatto.
Però, pur sapendo che non valeva nulla si sono auto impegnati ad agire conformemente a
quella carta, facendo finta che fosse vincolante nei loro confronti.
TRATTATO DI NIZZA (2001)= revisione dei trattati→ Ristrutturazione delle procedure
decisionali e giurisdizionali in funzione dell’allargamento dell’Unione europea.
Il trattato che istituisce una COSTITUZIONE per l’Europa (2004)→Anche se non è mai entrato
in vigore a causa di due REFERENDUM negativi che, in Francia e Paesi Bassi (che hanno
quindi negato la possibilità di ratificare il trattato a quei due Stati) hanno fatto venire meno
l’unanimità e perciò l’avvenuta realizzazione del Trattato.
-Era un trattato di modifica dei trattati istitutivi non dissimile dai precedenti. Era caratterizzato,
sul piano meramente formale, dall’utilizzo della parola “Costituzione”. L’appellativo NON
nascondeva una riforma in senso federale dell’UE, L’UE continuava ad essere, una
organizzazione internazionale.
-Eliminava il dualismo CE/UE.
-Incorporava la Carta di Nizza e racchiudeva tutte le norme in un unico testo.
Osservazioni:
1. L’UE non è l’Europa, ma una parte consistente dell’Europa;
2. La Costituzione è la legge base da cui parte la struttura di un ordinamento e il rapporto tra
libertà e autorità (Cittadini e Stato)→ ciò quindi implica dei diritti e dei doveri fondamentali dei
cittadini.

-Cercano perciò di stipulare un nuovo trattato in cui è designata la struttura di questo


ordinamento, cercando di inglobare anche la Carta di Nizza (rapporto tra autorità e libertà).
TRATTATO DI LISBONA (2007)→ Ripropone quasi tutte le modifiche della Costituzione
Europea, abbandona il concetto di “Costituzione” e tutti i simboli ad esso connessi per “fregare
i cittadini e non fargli credere la stessa cosa”.
Rinuncia alla stesura di un testo unico, ma mantiene in vita i testi dei trattati. La Carta di Nizza,
nel 2004, era stata copiata facendone un solo testo, adesso viene inserita una norma la quale
dice che essa aveva lo stesso valore giuridico dei trattati perdendo così la valenza di mero
manifesto pubblicitario, ma diventando un trattato a tutti gli effetti.
→Carta di Nizza= parte integrante della Costituzione Europea.
Riconoscere i diritti della persona non significa che attribuisce poteri all’organizzazione
internazionale in merito a quella materia, ma significa che adesso l’UE è vincolata al rispetto di
questi diritti. Inoltre con questo trattato le Comunità Europee che continuavano ad esistere
(CECA e CE) confluiscono in una sola organizzazione internazionale che è l’Unione
Europea→ non ci sono più contenitori piccoli, ma tutto ciò che era dentro il contenitore grande
è ereditato dall’UE.
-Da quando è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, quindi nel 2009, abbiamo perciò una sola
Comunità Internazionale.
-Si passa da un Diritto Comunitario al Diritto dell’Unione Europea. Infatti il Trattato sulle
Comunità Europee (TCE) viene rinominato Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea
(TFUE).
Viene eliminata la struttura in pilastri, perciò adesso quale metodo si applica?
-La struttura a pilastri consentiva di adottare metodi diversi, adesso però sono state ampliate
le materie del metodo Comunitario che adesso detiene quasi tutte.
- Però in alcune soggiacciono regole diverse ispirate al metodo Intergovernativo, anche se sul
piano formale esso non esiste più→ il 3 pilastro è confluito nel 1, ed il 2 è rimasto solo sul
piano sostanziale.
Si ha ora un quadro istituzionale unico, un unico grande contenitore retti da due trattati:
I. Il Trattato sull’Unione Europea (TUE);
II. Il Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) che continuano a prevedere specifiche
procedure per specifiche materie (ad esempio la PESC).
PARTE 2° → Gli Stati entro l’UE
Cap.3 I Trattati istitutivi: atti conclusi “in forma di accordo internazionale” e tuttavia “Carta
costituzionale dell’Organizzazione”
I trattati istitutivi delle Comunità e dell’unione europea, sono gli atti nei quali si è fissato
l’incontro delle volontà degli Stati che hanno acconsentito ad assumere diritti e obblighi
reciproci.
Alla base di questi accordi vi è la regola “pacta sunt servanda” (i patti devono essere
rispettati)→ sintetizza il principio del carattere vincolante del contratto. Essa stabilisce
l’imprescindibile obbligo degli Stati contraenti di un accordo di adempiere gli impegni da essi
assunti con la stipulazione dello stesso.
Chi sono i membri UE?
-I due trattati (TUE/TFUE) si applicano agli Stati membri perché sono accordi internazionali a
cui gli Stati si sono sottoposti VOLONTARIAMENTE.
- Essi sono TRATTATI APERTI perché CONCEDONO L’ACCESSO SUCCESSIVO a degli
Stati che prima non c’erano.
- Oggi conta 28 membri, inizialmente contava 5 membri (Belgio, Francia, Germania, Italia,
Lussemburgo, Paesi Bassi) nel 1958.
•ADESIONE ALL’UNIONE EUROPEA→ Chi può diventare membro dell’UE? (ART.49)
Due condizioni=
1. Essere uno STATO EUROPEO;
2. Rispettare i valori previsti [L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della
libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani…
Individua una serie di principi che uno Stato deve rispettare per entrare nell’UE: uno Stato
totalitario non può farvi parte.
ESEMPIO=uno Stato che non è democratico e quindi totalitario non può essere nell’UE . Uno
Stato che ha la monarchia non è detto che non sia democratico, si possono basare sulla
democrazia rappresentativa: il potere sovrano è nelle mani del popolo.
- Ciascuno Stato dell’UE è sorvegliato dagli altri per far rispettare i valori.
3. Rispettare i criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo ossia CRITERI DI
COPENAGHEN:

A) Criterio POLITICO= La presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo


Stato di diritto, i diritti dell'uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Ci deve essere
quindi una STABILITÁ POLITICA→ quindi se ci sono democrazie giovani e deboli non
possono entrare a far parte dell’UE fino a che non si rafforzano.
B) Criterio ECONOMICO= L'esistenza di un'economia di mercato affidabile e la capacità di far
fronte alle forze di mercato e alla pressione concorrenziale all'interno dell'unione. non devono
essere destabilizzati dall’entrata nell’UE ne destabilizzare gli altri.
RIEPILOGO: Devono garantire concorrenza e stabilità economica. Sono vietati i monopoli (ad
esempio Telecom Italia).
C) Criterio dell’AQUIS COMUNITARIO= L’ “acquis comunitario” corrisponde all’accettazione di
una PIATTAFORMA COMUNE DI DIRITTI ED OBBLIGHI, derivanti dall’adesione, che
vincolano l'insieme degli Stati membri nel contesto dell'Unione Europea. È l'insieme dei diritti,
degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli Stati
membri dell'Unione europea e che devono essere accolti senza riserve dai paesi che vogliano
entrare a farne parte. I paesi candidati devono accettare l'"acquis" per poter aderire all'Unione
europea e per una piena integrazione devono accoglierlo nei rispettivi ordinamenti nazionali,
adattandoli e riformandoli in funzione di esso; devono poi applicarlo a partire dalla data in cui
divengono membri della UE a tutti gli effetti.
L'attitudine necessaria per accettare/allinearsi con gli obblighi derivanti dall'adesione e,
segnatamente, gli obiettivi dell'unione politica, economica e monetaria. Affinché il Consiglio
europeo possa decidere di aprire i negoziati, deve risultare rispettato il criterio politico.
Il rispetto delle condizioni di adesione viene verificato in una FASE PRELIMINARE di negoziati
di pre-adesione:
-PERIODO DI PREADESIONE→ attraverso accordi lo Stato pre-aderisce ed inizia a
conformarsi a ciò che fanno gli altri Stati membri. Se riesce poi ad aderire all’80% delle norme
può entrare.
-PERIODO DI TRANSIZIONE→ il restante 20% può compierlo in seguito durante questo
periodo→ diventa membro, ma gli si dà un periodo di tempo per rispettare tutti gli obblighi.
•PROCEDURA DI ADESIONE:
1-Lo Stato candidato trasmette la domanda al consiglio;
2-Della domanda di ammissione vengono informati il Parlamento europeo e i Parlamenti
nazionali 3- Il Consiglio decide all’unanimità, previa approvazione del parlamento europeo che
decide invece a maggioranza.
•Cosa decide il CONSIGLIO?
La decisione del Consiglio non determina l’ingresso del nuovo Stato, ma decide solo di
CONSULTARE la domanda e di aprire un negoziato e concludere un successivo accordo tra
lo Stato candidato e gli Stati membri UE. Occorre infine la RATIFICA dell’ACCORDO da parte
di tutti gli Stati membri dell’UE.
PERIODO TRANSITORIO→ Spesso la procedura di adesione è preceduta dalla stipula di
ACCORDI DI ASSOCIAZIONE: Stati ASSOCIATI→non fanno parte dell’UE, possono essere
anche Stati di altri continenti. Si stipulano una rete di relazioni, sulla base di trattati, i quali
sono sottoposti ad una serie di norme.
•PROCEDURA DI RECESSO (ART.50 TUE)
Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di
recedere dall’Unione. Se questo articolo non fosse esistito uno Stato avrebbe potuto
comunque retrocedere dato che gli Stati si sono legati autonomamente al trattato e in egual
modo possono uscire. Lo Stato d’integrazione tra i 28 membri è ad un livello così avanzato
che un’uscita ha degli effetti importanti sia all’interno dell’UE che all’esterno (Esempio:
Brexit)→ non si può consentire ad uno Stato di uscire immediatamente, ma c’è una procedura
graduale di uscita così che non abbia effetti negativi.
•Questa norma è stata inserita nel 2007 perché? Come avviene il processo?
Si prevede una procedura specifica:
1. Lo Stato membro che decide di recedere NOTIFICA tale intenzione al Consiglio Europeo;
2. L'Unione NEGOZIA E CONCLUDE con tale Stato un ACCORDO volto a definire le modalità
di recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione (decide quando
recede e cosa succede dal momento in cui lo stato recede e le relazioni future tra quello Stato
e l’UE);
3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata
in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, 2 anni dopo la notifica al
Consiglio europeo, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo stato membro interessato,
decida all'unanimità di prorogare tale termine;
- l’esercizio del diritto di recesso non deve essere motivato: recesso ad nutum→ potere
spettante alle parti di recedere unilateralmente dal contratto a propria scelta e a proprio
piacimento anche in assenza di una esplicita previsione normativa in tal senso.
4. OMISSIS (in linea di massima, significa che nel testo di un dato documento legale o testo
normativo, sono state cancellate, omesse alcune parole/termini/frasi non indispensabili alla
comprensibilità e completezza dello stesso;
5. Se lo Stato che ha receduto dall'unione chiede di riaccedervi nuovamente, tale richiesta è
oggetto della procedura di cui all’ART.49.
L’ESPULSIONE
•Può uno Stato membro dell’UE essere espulso?
No. Il principio base è la PARITÁ DEGLI STATI→ nessuno può essere costretto a fare
qualcosa contro la sua volontà. L’espulsione è pensabile nell’UE solo se ci fosse una norma,
altrimenti non è possibile, si violerebbe il principio volontaristico. Il diritto di recesso c’è anche
senza una norma perché si basa sul sopracitato principio, l’espulsione invece ha bisogno di
una norma. Se uno Stato si comporta male ci sono delle procedure che porteranno al ripristino
della situazione→AUTOTUTELA, ATTI DI FORZA, GUERRA.

PARTE 3° → L’UE come Ente di Governo


Cap.4 I poteri di governo attribuiti all’unione: “poteri effettivi provenienti da una limitazione di
competenze o da un trasferimento di attribuzioni dagli Stati”.
DELIMITAZIONE DELLE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA:
-Lo Stato ha tutti i poteri poiché è un ENTE ORIGINARIO, ma quali sono i poteri di
un’Organizzazione internazionale?→ Solo quelli che i soggetti/gli Stati gli hanno conferito.
L’Unione europea ha solo le competenze conferitele dai trattati= Principio di ATTRIBUZIONE
DELLE COMPETENZE [ART.3, n° 6]→ Ai sensi di tale principio, l’Unione può agire solo entro i
limiti delle competenze conferitele dai paesi dell’UE nei trattati, al fine di raggiungere gli
obiettivi ivi contenuti. Le competenze non attribuite all’Unione nei trattati restano di prerogativa
dei paesi dell’UE. Il trattato di Lisbona chiarisce la ripartizione delle competenze fra l’Unione e
i paesi dell’UE. Tali competenze si dividono in tre grandi categorie: competenze esclusive,
competenze concorrenti e competenze di sostegno.
Art. 3 TFUE= competenze esclusive nei seguenti settori:
a) unione doganale;
b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno;
c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro;
d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della
pesca;
e) politica commerciale comune;
f) conclusione di accordi internazionali se prevista in un atto legislativo UE o se è necessaria a
consentire l’esercizio di sue competenze all’interno dell’UE o può incidere su norme comuni o
modificarne la portata.
A chi appartengono le competenze non attribuite all’UE? [ART.4, n° 1] → agli STATI.
I poteri che esercita l’UE non si aggiungono a quelli Stati, ma questi gli sono stati ceduti dagli
Stati volontariamente quando sono entrati nell’organizzazione internazionale.
-Essenziale stabilire il confine tra ciò che compete all’UE e ciò che compete allo Stato→
creerebbe solo confusione.
•Era necessaria questa norma?
a) ART.5, n° 1 TUE
La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio
delle competenze dell'Unione si fonda sui principi sussidiarietà e proporzionalità.

b) ART.5, n° 2 TUE
In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze
che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti.
Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.
Perché c’è questa ridondanza della norma?
Gli Stati cedono con parsimonia le competenze all’Organizzazione internazionale e hanno
quindi ribadito più volte questo concetto che è insito nella struttura dell’Organizzazione
internazionale in quanto ente derivato
Infatti essi hanno timore di perdere potere al di là delle loro intenzioni, dato che, nel corso del
tempo, le O.I hanno cercato di espandere le loro competenze, sempre però entro i limiti del
Principio di Attribuzione→ Gli Stati hanno sopportato questa voglia di espansione, ma hanno
fatto delle norme, dato che la DERIVAZIONE DELLE COMPETENZE DELL’UE DERIVA DA
UNA AUTOLIMTAZIONE DEGLI STATI.
ART.13, n° 2, TUE→ “Ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono
conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previste. Le istituzioni
attuano tra loro una leale cooperazione”.
Gli Stati quando attribuiscono l’esercizio di una competenza INDIVIDUANO DELLE
ISTITUZIONI SPECIFICHE che devono esercitare quella competenza→ il trattato si
preoccupa di stabilire chi fa cosa all’interno dell’UE.
Due DIMENSIONI della competenza:
1. VERIFICARE che LA COMPETENZA è dell’UE;
2. Se è di sua competenza, la può esercitare, se no la esercita lo Stato, ma bisogna capire
QUALE ISTITUZIONE se ne devono occupare e come (secondo i procedimenti previsti nei
trattati);
A volte però non è semplice delimitare il confine preciso delle competenze dell’UE (cosa sta
dentro e cosa sta fuori) e il trattato ha predisposto dei rimedi:
A) CLAUSOLA DELLA FLESSIBILITÁ [ART. 352, n°1, TFUE]→
-Strumento previsto dai trattati per fronteggiare situazioni in cui l’Unione, dovendo perseguire
degli obiettivi, dentro le sue politiche, non trova nei trattati la norma che individua il potere
dell’Unione di esercitare.
-Serve a far avviare una procedura che porta il Consiglio a decidere all’unanimità che l’Unione
possa esercitare un certo potere che nel trattato non è previsto (procedura complicata → la
risposta deve essere immediata, perché se non lo è non serve a nulla).
-Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per
realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati, senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di
azione richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate.
ESEMPIO: Visto il confine esterno dell’UE che deve essere uguale per tutti e quindi anche i
dazi doganali (mercato comune, parità di condizione a tutti gli operatori economici, deve
fissare in maniera uguale per tutti i dazi doganali), non può decidere uno Stato le tasse da far
pagare o il valore della merce (tasse=10% del valore della merce) perché altrimenti non
sarebbero comunque uguali. Quindi lo stabilisce l’UE.
I. Azione necessaria= determinare il valore della merce in maniera uguale per tutti §
II. Nel quadro delle politiche= mercato interno, politica dell’UE
III. Per realizzare uno degli obiettivi= mercato unico
IV. Senza che questi ultimi abbiano previsto nei trattati i poteri di azione richiesti= non è stato
scritto da nessuna parte che l’UE ha questo potere
V. Il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate
In caso come questi per superare lo Stato si fa una modifica dei trattati→ non situazioni
eccezionali, ma situazioni che possono accadere spesso e per fare un trattato non si possono
prevedere tutte le situazioni possibili. Ciò anche perché sono coinvolte tre istituzioni diverse,
anche se l’ultima parola ce l’ha il Consiglio che deve approvare all’unanimità una soluzione.
La Corte di Giustizia si è resa conto che questa sul piano teorico è una soluzione, sul piano
pratico invece non è una strada percorribile: è un modo per dire all’Unione che se è una cosa
non è stata prevista dagli Stati nei Trattati essa non può fare niente se prima non è stata
autorizzata dagli Stati che insieme al Consiglio prendono una decisione all’unanimità
(quest’ultima è già un problema perché è difficile).
-Si deve LIMITARE il ricorso alla clausola di flessibilità. La Corte di Giustizia ha dato una
spinta al sistema ed ha adottato una soluzione che si fonda sulla:
B) TEORIA DEI POTERI IMPLICITI→ consente all’UE di rispondere in maniera più rapida: la
Corte di Giustizia ha detto che quando un’istituzione deve perseguire un obiettivo, presente
nei trattati e si inserisce dentro la politica dell’Unione, che è fissata nei Trattati, attraverso dei
poteri che sono individuati nei trattati, ma se questi poteri sono insufficienti o diciamo che
l’Unione europea non li può esercitare o diciamo che sono IMPLICITI. Condizione necessaria
per l’esercizio di un potere che l’Unione ha, per il raggiungimento di un obiettivo nell’ambito
delle politiche dell’Unione→ senza quel potere non può fare niente.
•Differenza tra:
1. COMPETENZA→ individua il CAMPO D’INTERVENTO, LA MATERIA (immigrazione,
politica commerciale).
2. POTERE→ insieme delle AZIONI che l’UE può METTERE IN ATTO in ordine ad una certa
materia/competenza.
Si possono dare i dazi senza aver prima fissato il valore della merce?
No, quindi la determinazione del valore della merce è un potere IMPLICITO. Non è
espressamente previsto ma è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo e quindi è implicito.
Allora la Corte di Giustizia, rendendosi conto che la clausola di flessibilità rendeva tutto molto
cavilloso, si è limitata a dire: Quando un potere non è previsto o non c’è o è implicito.
Come si fa a stabilire l’uno o l’altro? Si guarda all’obiettivo:
•È un obiettivo che deve perseguire l’UE? Si
• Si inserisce nell’ambito delle politiche assegnate all’UE? Si
• Quel potere serve all’UE per portare avanti le sue mansioni? Si
E allora è implicito, non è previsto in maniera estesa, ma c’è. Se mancano queste condizioni
semplicemente non c’è.

RIEPILOGO= Quindi la Corte di giustizia, nel ricostruire questa teoria, ha cercato di limitare il
ricorso alla clausola di flessibilità, non per limitare i poteri dell’UE, ma ha detto all’UE e alle sue
istituzioni : di fronte ad un’azione necessaria per raggiungere i suoi obiettivi, nell’ambito delle
tue politiche, puoi apportare tutte le azioni che ti servono anche se i poteri non sono
espressamente previsti, senza dover attendere né l’approvazione del Consiglio e del
Parlamento, né quella degli stati, si deve solo andare avanti. Perché altrimenti sarà solo
bloccato.
Quando si parla di PRINCIPIO DI ATTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE, non ci si può
limitare a guardare le norme, ma dobbiamo guardare alla clausola di flessibilità, alla teoria dei
poteri impliciti e dobbiamo fare una distinzione tra:
1. Poteri attribuiti all’Unione; Questa bipartizione non da contezza di un quadro più
2. Poteri non attribuiti. complicato:
A. Poteri NON CONFERITI (NON competenza dello
Stato);
B. Poteri CONFERITI IN MANIERA ESPRESSA;
C. Poteri CONFERITI IN MANIERA IMPLICITA;

La difficoltà sta proprio in questo: capire quando un potere è implicito o quando


semplicemente non c’è. Se non siamo in grado di fare questa distinzione non abbiamo capito il
sistema.
RIEPILOGO= L’elemento discriminante è l’OBIETTIVO. Non si tratta di allargare le
competenze dell’UE ( si smentirebbe il Principio Attribuzione delle Competenze), ma solo di
ESPLICITARLE attraverso le due teorie (esercitare le competenze con un ventaglio di poteri
che è più ampio di quello che ha espressamente previsto dai trattati). È quello che è successo
nel caso Massey-Ferguson: la Corte di giustizia per la prima volta adoperò la Teoria dei Poteri
Impliciti e diede questa spinta all’Organizzazione internazionale di disincastrarsi da quelli
schemi rigidi in cui gli Stati volevano incastrarla.
TIPOLOGIE DI COMPETENZE che l’UE può esercitare:
1.Competenze ESCLUSIVE [ART.3, n° 1 e 2 TFUE]→ settori in cui solo l’UE può legiferare e
adottare atti vincolanti. I paesi dell’UE possono farlo autonomamente solo se autorizzati
dall’Unione a rendere esecutivi tali atti.
L’UE ha competenza esclusiva nei settori seguenti:
-unione doganale;
-definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno;
-politica monetaria per i paesi dell’area euro;
-conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca;
-politica commerciale comune;
-conclusione di accordi internazionali, a determinate condizioni.
2. Competenze CONCORRENTI/SUSSIDIARIE [ART.4 TFUE]→ l’Unione e i paesi dell’UE
possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. I paesi dell’UE esercitano la
propria competenza laddove l’Unione non la esercita o abbia deciso di non esercitarla. La
competenza concorrente fra l’Unione e i paesi dell’UE si applica nei seguenti settori:
-mercato interno;
-politiche sociali, ma solo per gli aspetti definiti specificamente nel trattato;
-coesione economica, sociale e territoriale (politiche regionali);
-agricoltura e pesca (tranne la conservazione delle risorse biologiche del mare);
-ambiente;
-protezione dei consumatori;
-trasporti;
-reti transeuropee;
-energia;
-spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
-problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica, limitatamente agli aspetti definiti
nel TFUE;
-ricerca, sviluppo tecnologico, spazio;
-cooperazione allo sviluppo e aiuti umanitari.
La norma dice che si tratta di un elenco esemplificativo non esaustivo. Per cui esse sono una
categoria RESIDUALE→ tutto quello che non è esclusivo, che non è di coordinamento,
completamento e sostegno è competenza concorrente.
3. Competenze di COORDINAMENTO/COMPLETAMENTO/SOSTEGNO
[ART. 6 TFUE]→ l’Unione può solamente sostenere, coordinare o completare l’azione dei
paesi dell’UE. Gli atti dell’Unione giuridicamente vincolanti non devono richiedere
l’armonizzazione delle leggi o dei regolamenti dei paesi dell’UE. Le competenze di sostegno si
riferiscono ai seguenti settori strategici:
-tutela e miglioramento della salute umana;
-industria;
-cultura;
-turismo;
-istruzione, formazione professionale, gioventù e sport;
-protezione civile;
-cooperazione amministrativa.
L’esercizio delle competenze dell’UE è soggetto a due principi fondamentali stabiliti nell’ART.
5 TUE:
1. proporzionalità→ il contenuto e l’ambito di applicazione dell’azione dell’UE non può
superare quanto è necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati;
2. sussidiarietà→nel settore delle sue competenze non esclusive, l’UE può agire solo se, e
nella misura in cui, l’obiettivo di un’azione proposta non può essere raggiunto in maniera
soddisfacente da parte dei paesi dell’UE, ma potrebbe essere realizzato in modo migliore a
livello comunitario.
DISTINZIONE tra queste competenze:
1.Se è ESCLUSIVA vuol dire che gli Stati non possono MAI intervenire, a meno che non sia
l’UE a delegare agli Stati il potere di intervenire in quella materia. Significa che l’UE riceve un
potere dagli Stati, esercita quel potere e delega agli Stati ad esercitare quel potere (gliela sta
tornando indietro). Quando deve prendere certe decisioni preferisce che su certi aspetti di
dettaglio gli Stati esercitano un piccolo margine di discrezionalità.
ESEMPIO: l‘UE emana una disciplina in materia di concorrenza (competenza esclusiva) e
stabilisca un certo giro di affari che il tetto oltre il quale un’impresa a rilevanza nazionale o con
rilevanza comunitaria : che quando un’impresa ha rilevanza comunitaria (giro d’affari grosso)
la competenza che sta a controllare che questa impresa non faccia operazioni sporche nel
mercato è della Commissione Europea. Quando invece è a rilevanza nazionale, seppur si tratti
di una competenza esclusiva dell’UE, essa affida alle autorità nazionali di controllare quello
che fa questa impresa→ delega che l’UE può revocare in qualunque momento e lo Stato è
obbligato ad accettare questa delega perché quando l’UE interviene ad esercitare il suo
potere, emana atti vincolanti nei confronti degli Stati.
2. Si dice che è CONCORRENTE quando può essere esercitata sia dallo Stato che
dall’Unione.
Ma chi lo esercita? Lo Stato e l’Unione insieme? In momenti diversi? E quindi chi
interviene prima e dopo?
È SUSSIDIARIA quando (ricordandoci sempre la ritrosia degli Stati a cedere poteri) a volte per
raggiungere un certo obiettivo è necessario un intervento dell’Unione, mentre altre può essere
sufficiente l’azione del singolo Stato.
Perché affidare poteri all’Unione per raggiungere obiettivi, che lo stato da solo potrebbe
raggiungere?
Per cui una competenza è concorrente quando lo Stato non è in grado di raggiungere un certo
obiettivo da solo, ma è necessario un intervento dell’Unione. Esso sovviene SOLO quando
l’azione statale è INSUFFICIENTE a raggiungere un obiettivo. Ciò significa che:
A) Prima si guarda allo Stato, se è in grado di raggiungere l’obiettivo intervento dell’Unione è
ingiustificato;
B) Se non è in grado di raggiungere un obiettivo significa o che ha messo in atto azioni che
non si sono rilevate adeguate o che non ha messo in atto nessuna azione perché sa che
qualunque sua azione non sarebbe idonea.
Dobbiamo costringere lo Stato a compiere azioni inutili?
No, quindi l’UE interviene, non quando lo Stato ha compiuto un’azione inadeguata, quindi per
dimostrare che la sua azione non è sufficiente, ma anche quando non fa nulla perché
consapevole della sua insufficienza.
RIEPILOGO: Quindi non intervengono tutti e due, ma interviene SOLO l’UE quando l’azione
statale è inutile, solo lo Stato quando è sufficiente→ MAI INSIEME, o l’uno o l’altro.
• REGOLA→ interviene lo Stato;
• ECCEZIONE→ interviene l’UE a condizione che l’azione dello Stato non sia sufficiente.
Se lo Stato è pigro e non vuole fare nulla, può intervenire l’Unione? No, perché il requisito
è che l’azione dello Stato deve essere INSUFFICIENTE, INIDONEA, non che lo Stato deve
essere pigro.
Perché se esso non adempie ai suoi doveri, ma la sua azione sarebbe sufficiente a
raggiungere un certo obiettivo, l’UE non può intervenire.
• C’è una norma che dice che quando l’UE ha adottato atti in materia di competenza
concorrente, gli Stati non possono più intervenire, questa norma rispetto a quanto detto
precedentemente vuol dire che:
I. L’UE fa una valutazione prognostica, valuta che c’è un obiettivo, come lo si può raggiungere,
quali azioni potrebbe mettere in atto uno Stato.
II. Valuta se queste azioni potessero essere sufficienti e idonee a raggiungere un obiettivo.
III. Se sì l’unione deve stare ferma, se no deve intervenire.
IV. Ma quando è intervenuta significa che l’Unione ha dato per certo un presupposto:
l’insufficienza dell’azione statale.
V. Ma se l’UE è intervenuta sulla base di quel presupposto significa che lo Stato non può
intervenire; quindi, la competenza passa nella mani dell’UE e lo Stato non interviene più
Quindi questa norma significa che abbiamo dato per certo che la sua azione è insufficiente e
che quindi l’Unione deve intervenire e lo Stato non può fare niente→ non abbiamo smentito il
presupposto, ma lo abbiamo solo CONFERMATO.
3. Competenze di COORDINAMENTO, COMPLETAMENTO E SOSTEGNO→ inglobate in
una più grande categoria: COMPETENZE NON ESCLUSIVE
Ad esse si applicano dei principi, tra cui il PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ.
L’Unione interviene solo se l’azione dello Stato insufficiente a raggiungere un obiettivo e si
applica alle competenze concorrenti, ma anche alle competenze di coordinamento,
completamento e sostegno, ma funziona in maniera diversa: le parole coordinare, completare
e sostenere danno la misura di un’azione dell’unione che va a coordinare, completare e
sostenere quella degli Stati.
Nelle competenze concorrenti possiamo immaginare un’azione dell’Unione senza che ci
sia quella degli Stati?
Quando l’azione statale è insufficiente interviene l’Unione e gli Stati non più.
• Ma nelle terze competenze questo non è possibile, perché l’Unione coordina, completa e
sostiene l’azione degli Stati. Quindi la differenza fondamentale tra queste due tipologie di
competenze è questa:
Sono entrambe COMPETENZE NON ESCLUSIVE, ad entrambe si applica il PRINCIPIO DI
SUSSIDIARIETÁ, ma la differenza sta che:
1. Le azioni concorrenti dell’Unione sono azioni che possono intervenire anche quando non c’è
stata azione statale.
2. le azioni di coordinamento, completamento e sostegno non sono immaginabile se prima non
c’è azione dello stato. mettono in atto le loro azioni e poi l’unione interviene a coordinare,
completare e sostenere.
Insieme al principio di sussidiarietà si applica anche il: PRINCIPIO DI PROSSIMITÁ→
qualunque azione del paese tesa a raggiungere un obiettivo deve essere presa a livello di
governo più vicino al cittadino, cioè che se l’azione di uno stato è idonea a raggiungere un
obiettivo interviene lo stato. tra lo unione e lo stato il livello di governo più vicino al cittadino in
grado di raggiungere l’obiettivo è lo stato. ma dentro di essi ci sono delle articolazioni
territoriali ulteriori (in Italia ci sono le regioni) se tra un’azione a livello statale centrale e a
livello locale regionale, il secondo è in grado di portare avanti una certa azione per
raggiungere un certo obiettivo la competenza è nelle mani del livello locale. una certa cosa la
possono fare le singole città, se sì bene, se no ad un livello più alto (es. province e regioni).
Quando interviene l’Unione?
Quando tutti i livelli di governo inferiore non sono in grado di raggiungere l’obiettivo→ logica:
fornire al cittadino una risposta quanto più vicina possibile.
PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÁ→ siccome l’azione dell’Unione è sempre sussidiaria/
secondaria rispetto allo Stato e quindi è l’eccezione (regole= l’intervento dello Stato secondo
la sua articolazione interna, eccezione= intervento dell’UE) quando procediamo con
l’eccezione, l’UE deve agire nel rispetto del principio di proporzionalità.
Cioè che deve adottare misure quanto più strettamente necessarie, non deve strafare, deve
limitarsi ad un intervento che sia quanto più possibile limitato alla misura strettamente
necessaria perché tutto quello che non è strettamente necessario significa che lo possono fare
gli Stati.
Dunque, l’intervento dell’UE deve limitarsi alla misura strettamente necessaria allo
svolgimento di quell’obiettivo che dobbiamo raggiungere.
Cap.6 Gli strumenti giurisdizionali di garanzia del principio di legalità
La CORTE DI GIUSTIZIA (CGUE) istituita nel 1952, ha sede in Lussemburgo, presso le torri
omonime. Il suo compito è quello di garantire che il diritto dell'UE venga interpretato e
applicato allo stesso modo in ogni paese europeo, che i paesi e le istituzioni dell’Unione
rispettino la normativa dell’UE.
La CGUE è suddivisa in 2 sezioni:
• la Corte di giustizia tratta le richieste di pronuncia pregiudiziale presentate dai
tribunali nazionali e alcuni ricorsi per annullamento e impugnazioni;
• il Tribunale giudica sui ricorsi per annullamento presentati da privati cittadini,
imprese e, in taluni casi, governi di paesi dell'UE. In pratica, ciò significa che questa
sezione si occupa principalmente di diritto della concorrenza, aiuti di Stato,
commercio, agricoltura e marchi.
Giudici e avvocati generali sono nominati congiuntamente dai governi nazionali per un
mandato rinnovabile di sei anni. I giudici di ogni sezione eleggono un presidente che
resta in carica per un mandato rinnovabile di tre anni.
Tradizionalmente le competenze della CGUE si dividono in:
1. CONTENZIOSE= una competenza ha natura contenziosa quando la CGUE è chiamata a
dirimere una controversia tra due parti in contesa,
2. NON CONTENZIOSE= si distinguono in
-Pregiudiziali: essa sarà chiamata a fornire l’interpretazione di una norma.
-Consultiva: la Corte interviene nel procedimento di negoziazione di un accordo internazionale.
Prima che esso venga stipulato dall’UE, la Corte può essere chiamata a esprimere un parere
sulla compatibilità del progetto di accordo con i Trattati.

Nell'ambito della sua missione la Corte è, in particolare, competente a pronunciarsi sui ricorsi
di annullamento o per carenza presentati da uno Stato membro o da un'istituzione, sui ricorsi
per inadempimento diretti contro gli Stati membri, sui rinvii pregiudiziali e sulle impugnazioni
delle decisioni del Tribunale. Questi suoi poteri sono applicati in diverse forme:
1. col RICORSO PER INADEMPIMENTO (ex art. 258 TFUE) la Corte controlla il rispetto, da
parte degli Stati membri, degli obblighi sanciti dai trattati e dagli atti di diritto derivato. Il
ricorso alla Corte di giustizia è preceduto da un procedimento preliminare avviato dalla
Commissione, nel corso del quale lo Stato membro ha la possibilità di rispondere alle
accuse. Se tale procedimento non porta lo Stato membro a porre fine all'inadempimento,
viene presentato alla Corte di giustizia un ricorso per violazione del diritto dell'Unione
europea, proposto dalla Commissione oppure da un altro Stato membro. Se la Corte
accerta l'inadempimento, lo Stato è tenuto a porvi fine immediatamente. Qualora lo Stato
non ottemperi alla sentenza della Corte, la Commissione può avviare una nuova procedura
di infrazione che può portare a un nuovo deferimento dello Stato di fronte alla Corte di
giustizia, la quale, se accerta l'inadempimento (mancata esecuzione della sentenza
precedente), condanna lo Stato al pagamento di un'ammenda;
2. col RICORSO PER ANNULLAMENTO (ex art. 263 TFUE) il ricorrente chiede alla Corte
l'annullamento di un atto legislativo di un'istituzione dell'Unione. Il ricorso di annullamento
può essere proposto dagli Stati membri, dalle istituzioni dell'Unione o da un privato se l'atto
lo riguarda direttamente. In esso la Corte è chiamata a valutare la legittimità degli atti posti
in essere dalle istituzioni dell'Unione (Consiglio, Parlamento Europeo, Commissione, BCE)
e, in particolare, si pronuncia relativamente a: vizi di incompetenza, violazione di forme
sostanziali, violazione dei trattati e di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro
applicazione, sviamento di potere;
3. col RICORSO PER CARENZA (ex art. 265 TFUE) la Corte di giustizia e il Tribunale
vagliano la legittimità dell'inerzia delle istituzioni dell'Unione. Tale ricorso può essere
presentato solo dopo che l'istituzione è stata invitata ad agire: una volta accertata
l'illegittimità dell'omissione, spetta all'istituzione interessata porre fine alla carenza
mediante misure adeguate;
4. con il RICORSO PER RISARCIMENTO DANNI, la Corte e il Tribunale sono chiamati a
giudicare in materia di responsabilità extracontrattuale riguardante i danni causati dalle
istituzioni o dagli agenti dell'Unione nell'esercizio delle loro funzioni. A tale procedura
ricorre l'individuo che lamenti un pregiudizio subito e che voglia ottenere riparazione del
danno chiamando la CGUE a giudicare sul caso. La caratteristica di tale procedura
consiste nella totale autonomia e indipendenza dalle procedure di “ricorso per
annullamento” e “ricorso per carenza”;
5. con il RINVIO PREGIUDIZIALE (ex art. 267 TFUE) un giudice di un tribunale nazionale di
uno Stato membro dell'Unione può, o, nel caso in cui si tratti di decisione pendente davanti
a un organo giurisdizionale avverso la quale non è ammesso ricorso giurisdizionale nel
diritto interno, deve, chiedere alla Corte di precisare una questione relativa
all'interpretazione o alla validità di un atto di diritto europeo. La risposta della Corte, tramite
una sentenza giuridicamente vincolante, è l'interpretazione ufficiale della questione e come
tale vale per tutti gli Stati membri;
6. con la PROCEDURA DI IMPUGNAZIONE la Corte statuisce sui ricorsi contro le sentenze
del Tribunale di primo grado. Se l'impugnazione è fondata, la Corte annulla la sentenza del
Tribunale (con o senza rinvio degli atti al Tribunale stesso), altrimenti la conferma;
7. con il RIESAME la Corte, quando ricorra un grave rischio per l'unità o la coerenza del diritto
dell'Unione, può eccezionalmente decidere della legittimità delle decisioni con le quali il
Tribunale, giudicando in secondo grado, statuisce sui ricorsi contro le decisioni del
Tribunale della funzione pubblica.

Cosa succede se uno Stato deve comportarsi in un certo modo e invece non lo fa?
ESEMPIO= campo dell’immigrazione→ c’è uno Stato, come l’Italia, che trova ai propri confini
dei barconi di immigrati che cercano di entrare nel territorio. Cosa fa l’Italia? Può fare diverse
cose: di farli entrare o meno, se decide per la prima può decidere di non identificarli, lasciando
che si dirigano verso altri Stati. Le scelte fatte dall’Italia devono tener conto del fatto che ci
sono delle norme che prescrivano cosa fare in situazioni come questa. Quelle norme
prescrivono che uno Stato, di fronte ad un immigrato (semplice) può decidere se farlo entrare
o se rimandarlo a casa. Ma di fronte ad un immigrato che richiede asilo politico l’Italia non può
rimandarlo a casa, è obbligata, dall’Ordinamento dell’UE, ad esaminare quella domanda di
asilo, ma per farlo intanto l’immigrato deve entrare. L’Italia deve esaminare quella domanda di
asilo perché è quello lo Stato attraverso il quale l’immigrato è arrivato. Se per esempio l’Italia
(come ha fatto per un certo periodo) non raccoglie le impronte digitali degli immigrati e poi
questi fuggono verso altri paesi, le autorità hanno il diritto di chiedere da quale Stato sia
fuggito.
Le autorità venendo a conoscenza che essi arrivano dall’Italia ne deducono che essa sia lo
Stato che ha accolto gli immigrati.
L’Italia contesta il fatto di non aver raccolto le impronte digitali non perché non aveva il
sistema, ma semplicemente perché facendoli fuggire ne avrebbe esaminati in quantità minori.
Questa è una violazione delle norme tramite le quali se uno Stato del cui territorio ha accesso
un immigrato, se lo deve tenere: se ci sono i requisiti per l’asilo politico glielo deve dare, se
non ci sono i presupposti per l’asilo politico lo deve rimandare a casa, ma non lo può mandare,
perché quando arriva in un altro Stato sarà rispedito alle autorità dello Stato competente.
Quando lo Stato, in una situazione del genere, non rispetta le norme, allora a quel punto
qualcuno può fare accertare quella violazione.
[ART.258 TFUE→ La Commissione (che rappresenta gli interessi generali), quando reputi che
uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati,
emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le
sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato
dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea].
Che cosa si fa nel RICORSO D’INADEMPIMENTO attivato dalla Comm.EU?
1. Chiedi allo Stato delle informazioni (cosa si è fatto per garantire il rispetto di una norma, se
si sono adottate tutte le misure necessarie per una certa azione, se si sono creati dei sistemi
appositi per certe azioni);
2. Lo Stato, se collabora, risponderà;
3. In virtù di queste indagini si arriverà ad affermare che lo Stato non ha agito come avrebbe
dovuto e quindi gli manda una LETTERINA FORMALE (lettera di MESSA IN MORA) in cui
dice: “Caro Stato italiano, esiste una norma che tu dovresti conoscere, che ti dice di fare una
certa cosa, a me sembra che quella cosa non l’hai fatta bene”.
Cosa fa lo Stato?
4. Risponde a questa lettera dicendo “Cara Comm.EU rispetto a questa norma non mi sono
comportato in questo modo, ti stai sbagliando”.
a) Se la Comm.EU si convince finisce lì;
b) Lo Stato può ammettere di non essere riuscito a fare quello che poteva, ma ha in corso di
adozione una legge che consentirà di istituire un sistema idoneo per risolvere la questione in
futuro. La Comm.UE può essere tollerante e aspettare.
•In funzione quindi della risposta che darà lo Stato e in risposta di quello che riuscirà a
dimostrare, la Comm.EU sceglierà se fermare lì la procedura o andare avanti.
• Se la Comm.EU decide di andare avanti potrebbe anche dire allo Stato che se fa quello che
dice lei entro un certo periodo si potrebbe chiudere lì il processo. Se lo Stato non accetterà la
Comm.EU emanerà quello che la norma chiama un PARERE MOTIVATO→ dopo la prima
letterina, la Comm.EU, tenendo conto delle risposte che ha dato lo Stato, si sarà ancor meglio
chiarita le idee e manderà a questo Stato questo parere: “Caro Stato, tenendo conto di quello
che ti avevo scritto io, e di quello che mi hai risposto tu, sappi che secondo me ancora c’è
qualcosa che non va, che non sei perfettamente in linea con gli obblighi rispetto ai quali ti
avevo sollevato una contestazione”.
E gli dà ancora un termine, che di solito è di 2 MESI. Lo Stato rispetto a questo parere
motivato, ha un termine di due mesi, durante i quali potrebbe anche non fare nulla. A quel
punto se passati questi due mesi, ancora la Comm.EU non è soddisfatta di quello che lo Stato
ha fatto o detto, deve prendere una decisione.
Finora abbiamo visto che c’è uno Stato e c’è la Comm.EU, non c’è nessun giudice. → questa
è una fase che noi chiamiamo AMMINISTRATIVA o PRECONTENZIOSA, per dire che c’è uno
scambio, un dialogo tra la Comm.EU e lo Stato a cui viene rivolto l’addebito. Uno scambio che
avviene non davanti ad un giudice (per questo la chiamiamo amministrativa), ma tra i due
soggetti.
Quando finisce questo dialogo? -Quando è stato emesso il parere motivato e sono passati i
due mesi (anche se non è detto che arrivi ad emanare il parere, perché attiva una serie di
tappe, dove ad ognuna compie una scelta: o di andare avanti o di arrestarsi) e la Comm.EU
vuole andare ancora avanti, è la fase in cui la Comm.EU formula un RICORSO alla C.DG.
Quando la Comm.EU invia allo Stato la lettera di messa in mora gli contesta qualcosa. Dopo
che già fa questa contestazione potrebbe decidere di emettere il parere motivato, ma la
contestazione non può essere un’altra, è sempre quella. Perché lo Stato deve avere sempre la
possibilità di rispondere alla contestazione, quindi è sempre la stessa. Ma ciò vuol dire che:
ESEMPIO= se la Comm.EU per esempio contesta ad uno Stato di aver dato ad una grande
impresa, che non avrebbe diritto sulla base del diritto dell’UE, dei contributi per sostenere una
certa produzione e gli fa notare che non è conforme alle norme perché in questo modo si
altera la concorrenza nel mercato. Quindi o lo fai nelle situazioni in cui lo consente l’UE o non
lo puoi fare. Essa infatti consente aiuti alle imprese solo entro certi limiti, e solo se c’è un atto
dell’UE che prevede questi atti e questi limiti. Quindi la Comm.EU fa un’indagine e manda la
lettera allo Stato di farsi restituire questi finanziamenti. Dopo la letterina la Comm.EU emette
un parere motivato: “Guarda che tu hai dato ulteriori finanziamenti ad un’impresa, con tasso
d’interesse bassissimo”.
Allora lo Stato dice: “Questo non me lo puoi contestare nel parere motivato perché tu nella
lettera di messa in mora mi hai contestato i 100mila euro, adesso non puoi aggiungere un’altra
cosa in una fase avanzata del procedimento. Vuoi contestarmela? Bene inizia un altro
procedimento, mandami un’altra lettera di messa in mora e mi contesti anche l’altra cosa”.
Quindi da quando inizia il procedimento e viene fatta la prima contestazione, la contestazione
non può mai mutare perché se così fosse la C.DG quando arriverebbe a conoscere il caso
chiederebbe di che cosa si sta parlando alla Comm.EU. Però è possibile l’inverso: la
Comm.EU contesta allo Stato di aver dato all’impresa 100mila euro e poi nel parere motivato
contesta allo Stato di aver dato 50mila euro, perché magari nel frattempo lo Stato l’altra metà
ha dimostrato che aveva promesso di darli, ma non li ha ancora dati oppure li aveva già
recuperati. In quel caso la contestazione non è cambiata (aver dato una somma), è cambiata
la somma, che è diventata più piccola non più grande. Quindi se tu mi contesti fin dall’inizio
che ho dato 100 mila, poi puoi contestarmi che ne ho dati 50, non puoi contestarmi 150.
RIEPILOGO: la contestazione può rimanere sempre la stessa, al massimo può restringersi
non espandersi. L’atto è sempre uguale, non può mai allargarsi perché se lo facesse lo Stato
non avrebbe avuto tutte quelle fasi per dimostrare o di non essere inadempiente o dimostrare
di aver in qualche modo ripagato alla violazione.
Cosa succede quando si arriva al parere motivato?
La Comm.EU deve decidere se andare avanti o meno, dato che può decidere di non andare
avanti anche se sa che lo Stato ha violato la norma.
ART.258: Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla
Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea.
Questa norma vuol dire che non c’è l’obbligo di farlo, anche se è inadempiente.

ESEMPIO: lo Stato, che è inadempiente, ha fornito alla Comm.EU rassicurazioni in merito al


fatto che sta adottando tutte le misure, in breve tempo, riparare a quella situazione di non
conformità.
ESEMPIO: oppure può succedere che con le risorse che ha, di fronte ai 28 Stati di cui tutti
hanno violato una diversa norma, decide quali sono quelle infrazioni più gravi che valga la
pena portare davanti alla C.DG e quali no. Questa è una scelta POLITICA, non giuridica, la
violazione c’è ma è la Comm.EU sul piano politico che sceglie quali portare alla C.DG e quali
no. E siccome non è obbligata a farlo, nessuno potrà sul piano giuridico contestarle di non
aver portato avanti una certa procedura. Però c’è il controllo politico da parte del P.E che
potrebbe dire alla Comm. che sul piano politico non è soddisfatto delle scelte che ha fatto.
Immaginiamo che questo procedimento è andato avanti, la Comm.EU deve scrivere un
ricorso alla CDG, cosa scriverà?
Se siamo arrivati davanti alla Corte di Giustizia abbiamo aperto la seconda fase del
procedimento perché a questo punto c’è un giudice e avremo quindi la fase
GIURISDIZIONALE O CONTENZIOSA→ stiamo andando a litigare davanti un Giudice.
Contesterà allo Stato il fatto di aver violato una norma e chiederà alla Corte di Giustizia di
accertare l’inadempimento dello Stato. → intervento di MERO ACCERTAMENTO Il giudice
funziona secondo il PRINCIPIO DEVOLUTIVO: risponde ad una richiesta, non a qualunque
richiesta, ma a quella che viene dalle parti.
ESEMPIO: se l’Italia in questo momento sta commettendo dieci diverse violazione e la
Comm.EU gliene contesta una, la C.DG dovrà verificare quella violazione, non le altre.
Risponde rispetto a quello che le chiede la Comm.EU.
Ma che vuol dire ACCERTAMENTO? -ESEMPIO: : quando facciamo causa ad un privato, ad
esempio all’inquilino dell’appartamento di sopra che ha fatto allagare il bagno, si sono
verificate infiltrazioni e ha danneggiato il vostro appartamento, che sta al piano di sotto. A quel
punto si chiede il risarcimento per i danni che si sono verificati, che vengono chiesti perché si
sa che nell’ordinamento giuridico ci sarà qualche norma che disciplina il diritto di risarcimento
del danno. Ora, questo tizio i soldi non li da e perciò gli viene fatta una causa e si va davanti il
giudice, al quale si chiederà non solo il risarcimento del danno, perché se noi scriviamo un
ricorso dove si chiede solo il risarcimento, il giudice per prima cosa chiederà a quale titolo
stiamo chiedendo questo risarcimento. Per chiedere dei soldi si deve dimostrare prima di
avere diritto a quel risarcimento, si chiede perciò anzitutto di accertare che c’è una situazione
in virtù della quale quello al di sopra di noi ha provocato un danno, se non viene dimostrato il
giudice non darà il risarcimento. Se il giudice da ragione e riusciamo a dimostrare che
l’inquilino sopra con il suo comportamento ha provocato un danno, il giudice dirà che l’inquilino
X con il suo comportamento ha danneggiato l’appartamento sottostante dell’inquilino Y. Dopo
averlo accertato dirà che l’inquilino Y ha diritto ad un risarcimento.
È possibile una causa in cui il giudice si ferma al puro accertamento?
Sì, perché la fase della condanna davanti alla CDG si deve dimenticare. Quando la Comm.EU
va davanti alla C.DG per contestare allo Stato un adempimento chiederà ad essa di accertare
l’inadempimento dello Stato soltanto. (ART.259 “Ciascuno degli Stati membri può adire la
Corte di giustizia dell'Unione europea quando reputi che un altro Stato membro ha mancato a
uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati”).
Ciò vuol dire che, non solo la Comm.EU può adire alla C.DG per contestare l’inadempimento
di uno Stato, ma anche gli Stati hanno quindi, in termini tecnici, la LEGITTIMAZIONE ATTIVA
a rivolgersi, in questo procedimento, alla C.DG.
Ricorso d’inadempimento ad opera dello Stato:
ESEMPIO: anche la Francia può andare davanti la C.DG, se non l’ha fatto la Comm.EU per
contestare qualcosa all’Italia. Se ci vado io persona fisica a contestare qualcosa allo Stato
italiano, la C.DG dice che non posso farlo perché non sono un soggetto legittimato sul piano
attivo.
Lo Stato quando vuole contestare ad un altro stato un inadempimento, attraversa prima una
fase amministrativa o precontenziosa, quindi si rivolge alla Comm.EU e gli dice:” Cara Comm.
per me lo Stato X sta violando o ha violato una certa norma.” Quindi individua qual è
l’inadempimento e lo sottopone all’attenzione della Comm.EU.
Che cosa fa la Comm.EU? Organizza un INCONTRO, dopo aver fatto le sue indagini, tra i
DUE Stati in questione, da un lato lo Stato che accusa, dall’altro quello accusato. Cerca di
aprire un dialogo tra questi due che sono posti in condizione di presentare in contradditorio le
loro contestazioni.
Quando gli Stati si sono confrontati, a quel punto la Comm.EU deve emettere un PARERE
MOTIVATO. È vero che lo emetteva anche prima, ma la differenza sta che la Comm.EU in
questo caso non è colei che ha iniziato il procedimento, quindi è possibile che essa non sia
d’accordo con quello che contesta lo Stato che avvia il procedimento.
La Comm.EU semplicemente consente agli Stati, come se fosse un mediatore, di risolvere la
situazione e nel emettere il parere motivato esprime la sua opinione. Anche se la Comm.
emette il parere motivato, sempre lo Stato sarà colui che può adire alla C.DG, non la
Comm.EU e sarà quindi lui a decidere se andare avanti dinnanzi alla C.DG e quindi attivare la
fase contenziosa oppure lo Stato può decidere di non fare più nulla.
Che succede se la Comm.EU non emette il parere motivato?
ART.259 (“Qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel termine di tre mesi dalla
domanda, la mancanza del parere non osta alla facoltà di ricorso alla Corte”). Ciò vuol
dire che lo Stato davanti alla C.DG non ci può andare se non si rivolge alla Comm.EU che
emette un parere, se essa non lo emette non succede nulla. Semplicemente si aspetta il
termine dei 3 MESI dalla domanda e si va davanti alla C.DG, la quale chiederà il parere
motivato, ma essendo passati i tre mesi dalla domanda, lo Stato può andare avanti comunque.
Quindi a questo punto siamo davanti alla C.DG. Cosa chiederà lo Stato alla C.DG?
ACCERTARSI DELL’INADEMPIMENTO dell’altro Stato, perché non esiste la condanna se
non in certi termini.
• Questi due Stati o la Comm.EU e lo Stato spiegheranno le loro difese davanti ai giudici: si fa
un processo dove la parti accusanti dimostreranno l’inadempimento dello Stato accusato e lo
Stato accusato cercherà di difendersi dalle accuse.
Cosa fa la C.DG? -ART.260 (“Quando la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosca che
uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati,
tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte
comporta”).

Significa che la C.DG anzitutto riconosce che uno Stato ha mancato ad uno dei suoi obblighi
→ mero accertamento dell’inadempimento di uno Stato. Lo Stato deve, quindi, prendere i
provvedimenti necessari per l’esecuzione della sentenza. Ma nella sentenza di un giudice
nazionale ci sarà scritto che: ”accertata la violazione, si condanna al tizio X di pagare al tizio Y
la somma tot a titolo di risarcimento del danno.”
ESEMPIO: L’inquilino che sta al piano sotto ha chiesto un risarcimento, avrebbe anche potuto
chiedere al posto dei soldi qualcosa altro, ad esempio di fare i lavori.

ESEMPIO: quando qualcuno tampona la macchina, l’assicurazione che deve pagare propone
o di risarcire il danno oppure di portare la macchina a riparare presso un’officina autorizzata.
→ Quindi rispetto ad un’infrazione ci sono più possibilità di rispondere. Se si opta per un
risarcimento in denaro non si è obbligati a far sistemare la macchina. Se si chiedono 3000 per
far sistemare la macchina, e l’assicurazione o il tizio da questi soldi, poi non si potrà chiedere
di far sistemare la macchina perché magari si è scoperto che il proprio carrozziere per
sistemarla ne vuole 3500. Quindi il giudice quando accerta i fatti, da cui trae origine il diritto al
risarcimento, risponde ad una richiesta precisa: se la richiesta è stata i soldi, il giudice vi
risponderà riconoscendo una somma che vi è dovuta. Se questo tizio i soldi non ve li da,
vengono attivate tutte quelle procedure che l’ordinamento mette a disposizione per avere quei
soldi e solo quelli, niente di diverso, non potreste mai chiedere di avere sistemata la macchina:
la sentenza è quella, la causa è finita, quello è stato chiesto e quello è stato dato.
Ma come facciamo a sapere qual è la misura che da esecuzione ad una sentenza?
Si deve guardare la sentenza, che dice qual è il comportamento, l’atto, l’azione che è dovuta e
rispetto a quello c’è poco margine: se la condanna è di dare dei soldi o li dai o la sentenza non
è eseguita. Se invece nella sentenza è stata richiesta la riparazione della macchina,
Quando la sentenza si dice eseguita? Quando mi hanno riparato la macchina? No,
quando mi hanno riparato quel danno della macchina che il giudice ha identificato. Se uno ci
tampona e già il nostro paraurti è rovinato, invece di farci sistemare il piccolo danno subito, ci
facciamo sistemare tutta la macchina. Ma ciò non può avvenire perché la corretta esecuzione
della sentenza dipende da quello che il giudice ha scritto nella sentenza, significa che se per
caso abbiamo lo sportello destro anteriore rovinato e il tizio tampona quello destro posteriore,
il giudice non dirà di sistemare la macchina, ma tu devi ripagare al tizio questo danno. Quindi è
chiaro capire in casi come questa quando la sentenza può dirsi correttamente eseguita:
abbiamo un’indicazione precisa da parte del giudice: il giudice non solo individua i fatti che
danno origine al risarcimento, ma individua la misura esatta che da sola può dare esecuzione
alla sentenza. Se mi devi dare 3000 non ti puoi liberare con 2500 e io non te ne posso
chiedere 3100. Se mi devi sistemare lo sportello destro posteriore della macchina, quello mi
devi sistemare. Se per esempio mi porta da un carrozziere e questo colora lo sportello rosso
mentre la macchina è blu, non si può dire correttamente eseguita la sentenza anche se lo
sportello è messo nuovo.
Ciò per fare capire che nell’ART.260 troviamo che la C.DG accerta l’inadempimento, ma non
troviamo da nessuna parte che la C.DG indica qual è il comportamento che lo Stato deve
adottare per eliminare l’inadempimento e quindi dare esecuzione alla sentenza. Non si trova
perché l’Ord.Int, da cui nasce l’UE, è un sistema in cui gli Stati non possono mai essere
costretti a fare una cosa contro la loro volontà, anche se hanno firmato un contratto e in
questo caso nessuno li sta costringendo. Immaginiamo che la C.DG dica allo Stato di adottare
una legge che dica una certa cosa, per allinearsi ai suoi obblighi, Come potrebbe la C.DG
garantire che lo Stato adotti una legge, che dica una certa cosa, per conformarsi ai suoi
obblighi? Non avrebbe alcun mezzo (1 ipotesi).
Ma se lo Stato non ha adottato le misure per adeguarsi ad una certa disciplina dell’UE (2
ipotesi). Quando lo Stato emana atti a livello interno, istituisce procedure, individua organi
responsabili di fare qualcosa, ha davanti sempre un obiettivo da raggiungere, ma come
quell’obiettivo debba essere raggiunto non glielo dice mai nessuno. Ogni Stato può scegliere
come raggiungere un certo obiettivo.
ESEMPIO: la disciplina dell’UE in materia ambientale si basa sul principio “chi inquina paga”,
cioè tanta spazzatura produci tanto devi pagare. È chiaro che una famiglia di 7 perone
produrrà più spazzatura rispetto ad una persona che vive da sola, quella pagherà di più e
quello da solo pagherà di meno. Come avviene il calcolo per i costi del servizio rifiuti cambia
da Stato a Stato, se non da città a città, perché per esempio c’è uno Stato che affida la
gestione dei rifiuti ad un ente privato, un altro ad uno pubblico. È possibile che uno Stato
faccia pagare più caro il servizio ad una persona che vive da solo rispetto ad una famiglia di
7?
No, perché il principio è uguale: chi sporca di meno, paga di meno. Si vede come, davanti ad
uno stesso principio, per arrivare a quel risultato ci possiamo arrivare in maniera diversa:
possiamo gestire il servizio in maniera privata, in maniera pubblica, prevedere la raccolta
differenziata o meno. Questo significa che ogni Stato per garantire la corretta gestione dei
rifiuti compie delle scelte, ma ciò significa dire anche che in 28 Stati ci saranno 28 sistemi
diversi, che devo però conformarsi al principio di base.
Ma se lo Stato è libero di raggiungere quegli obiettivi come vuole, come potrebbe una
sentenza della C.DG limitare questa sua libertà?
Ovvero: che lo Stato non abbia fatto una certa cosa prima significa che lo Stato è
inadempiente, significa che comunque lo Stato quella cosa la deve fare, significa che la C.DG
accerterà che quella cosa finora non l’ha fatta, ma che adesso la deve fare perché c’è una
sentenza, ma non dirà come dovrà gestire i rifiuti perché quel margine di discrezionalità di
scelta che lo Stato ha rimane, non lo perde perché è intervenuta una sentenza della C.DG.
Quindi di fronte ad una situazione del genere, la C.DG non può indicare in nessun modo allo
Stato quali sono le misure che lo Stato deve adottare per dare esecuzione alla sentenza. Lo
Stato è tenuto a prendere tutti i provvedimenti (che vuole) necessari per dare esecuzione alla
sentenza.
ESEMPIO: quindi lo Stato potrà decidere se chiedere il risarcimento o fare sistemare lo
sportello della macchina. Lo Stato può compiere questa scelta.

Cosa succede se lo Stato dopo che è stato raggiunto da una sentenza di mero
accertamento della C.DG, non fa nulla?
Di fronte ad una sentenza che individua qual è la misura che va presa per dare esecuzione
alla sentenza stessa è semplice dire se lo Stato ha fatto bene o ha fatto male. Ma quando in
una sentenza non sono indicate le misure non è così semplice dire se lo Stato ha adottato i
provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza: può succedere che lo Stato faccia
una serie di cose e che la Comm.EU le reputi insufficienti a dare esecuzione alla sentenza.
Con questo si vuole dire che di fronte ad uno che non paga una certa somma non serve un
giudice per accertarlo, tanto è vero che viene fatta una causa ad un tizio e deve pagare una
somma, se lui non la paga non è che gli si fa un’altra causa per fare accertare che non c’è il
pagamento.
Ma di fronte al fatto che qui le misure non ci sono, se lo Stato fa qualcosa per dare esecuzione
alla sentenza che la Comm.EU reputi essere insufficiente per darne la corretta esecuzione, ci
vuole un giudice che accerti se lo Stato ha dato esecuzione o no alla sentenza. Infatti
l’ART.260 dice “Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che
l'esecuzione della sentenza della Corte comporta‚ la Commissione, dopo aver posto tale Stato
in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte.”
Questa norma sta dicendo che abbiamo chiuso un deciso, lo Stato è responsabile di
inadempimento, doveva fare qualcosa per fare eseguire la sentenza che sceglieva lui. La
Comm.EU guarda quello che fa lo Stato: può essere che lo Stato non aveva fatto nulla, può
essere che aveva fatto qualcosa che per la Comm.EU non è sufficiente. In questi casi la
Comm.EU deve fare una seconda causa allo Stato davanti la C.DG, dopo aver fatto la lettera
di messa in mora dove dice che secondo lei lo Stato imputato non ha dato esecuzione alla
sentenza. Lo Stato risponderà e si salta il parere motivato, si va più spediti. La procedura che
si segue è sempre la stessa [ART.258], ma si salta il parere motivato. Quindi manda la
letterina, gli da un termine per prendere posizione, se alla Comm.EU non piace quello che
risponde lo Stato, piuttosto che emettere il parere motivato, va direttamente dalla C.DG.
Cosa chiederà in questo caso la Comm.EU alla C.DG?
La Comm. attiverà un procedimento, che è sempre un ricorso di inadempimento, e quindi
dobbiamo individuare qual è l’obbligo che non è stato adempiuto che in questo caso è la
mancata esecuzione della sentenza.→ MERO ACCERTAMENTO
Siccome gli Stati molto spesso non si sono comportati bene, nelle varie riforme dei trattati si è
pensato di rincarare la dose nei confronti degli Stati che in maniera reiterata si comportano
male: lo Stato inadempiente deve dare esecuzione alla sentenza, ma nel dare esecuzione alla
sentenza non sta facendo altro che conformarsi ad un obbligo che avrebbe dovuto fare fin
dall’inizio, non sta facendo niente di aggiuntivo, viene incitato con una sentenza a conformarsi
ad un obbligo già precedentemente posto. Quando lo Stato dopo una sentenza di questo tipo,
non da esecuzione alla sentenza, deve dare SEMPRE ESECUZIONE ALLA SENTENZA.
Però siccome non l’ha fatto quando è stata dettata la norma, né quando è stato raggiunto dalla
C.DG, adesso riceve un secondo procedimento per la stessa questione, per non aver eseguito
la sentenza.
[ART.260: Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte
dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze.] →Questa
norma sta dicendo che: fatto salvo che lo Stato deve sempre dare esecuzione alla sentenza,
siccome ancora persiste nel suo inadempimento, oltre a dare esecuzione alla sentenza, gli
diamo una SANZIONE, che non sostituisce le misure di esecuzione della sentenza, ma si
AGGIUNGE.

Sul piano dell’Ordinamento internazionale che cosa succede quando uno Stato, che ha
stipulato un accordo internazionale, non si conforma ai suoi obblighi?
Di fronte ad uno Stato che viola un obbligo la regola è l’AUTOTUTELA: lo Stato che ha
compiuto un accordo con un altro e che vede che l’altro non sta facendo quello che ha
promesso di fare nell’accordo può adottare delle contromisure che possono essere di
qualunque tipologia: nel caso più estremo è l’AGGRESSIONE (guerra), nell’ipotesi più
semplice può essere ad esempio l’interruzione delle relazioni commerciali. Quindi lo Stato che
vuole contestare ad un altro Stato un inadempimento non è detto che si rivolga ad un giudice,
per una serie di ragioni: Non è detto che un giudice riconosca che quella controversia esista →
abbiamo visto che il processo internazionale è un PROCESSO di natura ARBITRALE: se gli
Stati, che sono parti in una certa controversia, non danno l’assenso a portare quella
controversia alla C.DG, essa non la può conoscere. Quindi se non c’è il consenso degli Stati a
riferire la controversia ad un giudice non c’è nessun giudice che possa decidere.
E come si risolve?→ Solo sul PIANO DIPLOMATICO, e ciò significa che lo Stato che vuole
indurre un altro Stato ad adempiere agli obblighi, adotterà le misure che servono a
convincerlo: CONTROMISURE= ATTI DI AUTOTUTELA, come per esempio l’interruzione di
relazioni commerciali.

Dentro l’UE quando uno Stato non adempie ai suoi doveri, gli altri Stati possono
adottare misure di autotutela/contromisure?
In linea generale dovremmo dire sì perché è consentito dall’ordinamento internazionale. In
linea speciale no perché c’è una norma nel TFUE: [ART.344: In fase di inadempimento gli
Stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa all'interpretazione o
all'applicazione dei trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dal trattato
stesso.]
Non possono decidere autonomamente di applicare contromisure, devono necessariamente
attivare gli strumenti previsti dei trattati e contro l’inadempimento dello Stato lo strumento è il
RICORSO D’INADEMPIMENTO.
Quindi quando si parla di NECESSARIETÁ della procedura si intende che non c’è un obbligo
di attivare quella procedura, ma se non ci si arriva non si può fare nulla.
Se si vuole contestare l’inadempimento ad uno Stato, se si vuole sollecitare uno Stato ad
eliminare quella situazione di inadempimento l’unica strada è attivare questo tipo di
procedimento. Non possono essere attivati all’interno dell’UE atti di autotutela, la strada da
percorrere è solo quella, non se ne possono percorrere altre.→ norma che porta gli Stati ad
attivare quando vogliono ARTT.258-259-260.
Abbiamo visto che il progetto del ricorso di inadempimento dello Stato ha in capo un
obbligo, questo obbligo da dove deriva?
Quando gli Stati stipulano un accordo, è chiaro che gli obblighi sono scritti nel Trattato, quindi
è ovvio che quando uno Stato non rispetta quello che c’è scritto nel Trattato sta commettendo
un’infrazione → uno Stato inadempiente. Ma quando all’interno del Trattato, gli Stati hanno
attribuito all’O.I la capacità di emanare atti vincolanti, l’obbligo può derivare anche da un ATTO
DI DIRITTO DERIVATO, ossia un atto adottato dall’Organizzazione Internazionale.
Per cui l’inadempimento dello Stato è sempre riconducibile ad un Trattato, sia in via diretta che
indiretta, in via diretta quando la norma villata è quella del Trattato, in via indiretta quando la
norma violata è contenuta in un atto dell’UE il quale può essere adottato grazie ad una norma
del trattato.→ base di partenza = trattato, + atti che l’UE può adottare perché il trattato glielo
consente.
Uno Stato che è chiamato ad osservare un atto che l’UE non doveva adottare e si rifiuta
di adattarsi agli obblighi amministrativi di quel Trattato, è legittimo questo
comportamento?
No, perché uno Stato che non rispetta un obbligo dell’UE può essere per esempio stato
costretto a compiere questa azione in virtù di quelle situazioni eccezionali, ossia di FORZA
MAGGIORE. Cioè che per esempio lo Stato si trova in una condizione per la quale non ha
deciso di commettere quella violazione, semplicemente è sul piano materiale impossibilitato a
fare quello che quella norma prevede.

ESEMPIO: Immaginiamo che lo Stato debba adottare una certa legge per conformarsi ad una
direttiva dell’UE entro un certo tempo. Succede un terremoto, crolla il Parlamento e tutti i
parlamentari muoiono. Nel frattempo scade il termine per eseguire la direttiva, lo Stato dirà:
non ho potuto adottare quella direttiva perché nel frattempo mi è venuta a mancare quella
istituzione nazionale che ha il potere di emanare le leggi → causa di forza maggiore, non
potevo fare altrimenti.
Ma quando invece lo Stato dice di non conformarsi ad un atto dell’UE perché l’atto è illegittimo,
cioè che l’UE non poteva adottarlo, la C.DG dirà che questa non è causa di motivazione
perché lo Stato ha il potere di rivolgersi alla C.DG per fare annullare un atto illegittimo. Ciò
significa due cose:
1. Non è lo Stato che dice se un atto dell’UE è illegittimo, ma la C.DG. Lo Stato può solo
chiedere alla Corte di verificare se un atto è legittimo oppure no. Quindi se il potere di
dichiarare un atto illegittimo è della Corte, uno Stato non può dire di non essersi conformato
all’atto perché illegittimo, lo può dire solo la C.DG.
2. La C.DG dirà: “Ma se pensavi che l’atto potesse essere illegittimo, perché non hai attivato
quel ricorso che ti consente di chiedere alla Corte di verificare se l’atto è illegittimo?”
Quindi lo Stato, di fronte ad un atto illegittimo, se non vuole conformarsi deve fare una cosa
soltanto: chiedere alla C.DG di verificare se sia illegittimo. Perché se la C.DG dovesse
accertare questo allora annullerà l’atto e a quel punto nessuno Stato sarà tenuto ad
osservarlo. In caso contrario se l’atto è legittimo lo Stato dovrà osservarlo in quanto è un
obbligo che gli deriva dalla norma.
Nell’ordinamento dell’UE non è legittimo: su 28 Stati se uno non adempie, uno degli altri non
può non adempiere per questo motivo.
Queste sono regole specifiche di un O.I che derogano a norme di D.I: se noi fossimo fuori
dall’UE non troveremmo situazioni come questa, non troveremmo , ma dentro l’UE ci sono
norme specifiche che impongono allo Stato di comportarsi secondo sistemi diversi da quelli del
D.I. Questo è possibile solo perché gli Stati hanno previsto all’unanimità che solo perché
abbiano derogato norme di D.I generale che potevano essere derogate. Gli Stati possono
prevedere una disciplina diversa dalle norme di D.I solo se la norma del D.I che derogano è
una norma derogabile, altrimenti no.
ESEMPIO: gli Stati non potrebbero decidere di uccidere tutti i cittadini italiani perché quella è
una norma inderogabile: divieto di genocidio.
Quando abbiamo parlato del PRINCIPIO DI ATTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE abbiamo
detto che: non solo ci dice se questa competenza è rimasta nella mani dello Stato o no, ma se
è passata nelle mani dell’UE questa norma ci dice anche qual è l’istituzione che può esercitare
un potere in quella materia.
Ci sono situazioni in cui la C.DG non può esercitare il suo controllo giuridico: l’UE deve
emanare atti, a cui gli Stati devono conformarsi, ma se gli Stati non si conformano a quegli atti,
e quegli atti rientrano in una materia rispetto alla quale la C.DG non ha competenza, il ricorso
di inadempimento non si può attivare. E le materie rispetto alle quali non può essere attivato il
ricorso di inadempimento sono:
1. PESC→ abbiamo detto che quando è venuta meno la struttura in pilastri dell’UE, è stato
conservato un metodo intergovernativo in una certa materia: quella della PESC. Una delle
caratteristiche del metodo intergovernativo classico è l’esclusione da un controllo di tipo
giurisdizionale, significa che in questa materia la C.DG non interviene mai. Significa in altri
termini che: se l’UE adotta un atto e gli Stati non osservano quell’atto, non ci si può fare
niente.
2. Uno Stato è tenuto ad osservare sempre dei CRITERI DI BILANCIO(criteri di sana gestione
finanziaria).
Quando uno Stato entra a far parte dell’UE deve conformarsi a quelli che sono i CRITERI DI
COPENAGHEN, tra questi criteri c’era quello ECONOMICO: lo Stato deve essere in grado di
inserirsi in un mercato concorrenziale, non deve avere un disavanzo eccessivo, il debito
pubblico dello Stato non deve superare una certa somma.
Cosa succede se nel momento in cui uno Stato entra a far parte dell’UE rispetta questa
condizione, ma poi nel tempo questa condizione è cambiata?
Possiamo trovare uno Stato come la Grecia che ha un disavanzo eccessivo, ha speso tutti i
soldi e rischia il fallimento. Di fronte ad uno Stato che non rispecchia i criteri di sana gestione
finanziaria, non può essere attivato il ricorso di inadempimento.

Che succede se uno Stato rischia il fallimento?


Sul piano dell’ordinamento dell’UE non possiamo fare molto: infatti quando si è posta la
questione della crisi greca, gli Stati hanno dovuto stipulare accordi fuori dall’UE, accordi
internazionali che hanno consentito di salvare lo Stato greco attraverso interventi finanziari.
Ma sono andati fuori dal contesto dell’UE, perché dentro il contesto dell’UE non c’erano gli
strumenti. Quando lo Stato fallisce vuol dire quando non riesce a far fronte ai propri debiti e
non riesce più a garantire i servizi essenziali, come per esempio la gestione della giustizia
ecc… tutte cose che non possono delegare a privati. Uno Stato può affidare a privati la
gestione di molti servizi, ad esempio quello della gestione dei rifiuti, ma non tutti.
3. DIRITTI UMANI→ Se per esempio uno Stato si rende responsabile di atti gravi, che viola
non una norma del diritto dell’UE, ma quelle norma che regolano i diritti fondamentali della
persona. In questo caso non può essere attivato il ricorso di inadempimento.
ESEMPIO: uno Stato che sottopone a torture i propri detenuti sta commettendo un’azione
gravissima e tutta via non è soggetto a controllo della giustizia. Successivamente vedremo
perché gli Stati sfuggono, all’ipotesi di un’infrazione così grave, al controllo della C.DG.
• ADEMPIMENTO TARDIVO: questione più procedurale che sostanziale.
Quando abbiamo analizzato il procedimento del ricorso di inadempimento abbiamo visto che si
divide in due fasi: 1.AMMINISTRATIVA/PRECONTENZIOSA
2.GIURISDIZIONALE/CONTENZIOSA.
Abbiamo visto che la fase contenziosa non si può attivare se prima non si attiva la fase pre-
contenziosa. E anche che non è detto che si attivi la seconda fase, quindi quella contenziosa
non esiste se prima non esiste quella precontenziosa, ma non viceversa. Quando si attiva la
fase precontenziosa e la Comm.EU o lo Stato reputa che un altro sia inadempiente la
questione è verificare se l’inadempimento c’è o non c’è. Questa cosa la verifica la C.DG, ma
se accerta che c’è l’inadempimento, non è che questo inadempimento esiste dal momento in
cui la C.DG emette la sentenza, ma fin dalla prima contestazione che ha mosso la Comm.EU
(queste procedure potrebbero durare anche 4 anni).
Immaginiamo una procedura iniziata nel 2014 che si conclude nel 2018, l’inadempimento
viene accertato dal 2014 in poi. La questione è che se la Comm.EU invia allo Stato una lettera
di messa in mora, e gli da i due mesi per rispondere, e lo Stato in quei mesi adotta delle
misure che servono ad eliminare l’inadempimento e quindi non c’è più.
La procedura può andare avanti?
No, perché non avrebbe senso. Immaginiamo che lo Stato, dopo la messa in mora, non faccia
nulla. A quel punto la Comm.EU per esempio decide di emettere il parere motivato e dà allo
stato un termine di ulteriori due mesi per prendere posizione e rispondere oppure adottare
delle misure. Lo Stato in questi mesi adotta delle misure ed elimina l’inadempimento, quindi
non si sta dicendo che l’inadempimento non c’è, non è stato formalmente ricercato, ma lo
Stato ritiene di essere in una condizione di inadempimento e quindi anticipa la Comm.EU e
decide di fare qualcosa. La Comm.EU, si ritiene soddisfatta e la procedura si conclude.
Immaginiamo invece che lo Stato dopo il termine previsto dal parere motivato continui a non
fare nulla, a quel punto la Comm.EU potrebbe decidere di rivolgersi alla C.DG.
È possibile che dal momento in cui viene chiamata in causa la C.DG, fino alla sentenza
lo Stato si conformi ali obblighi prima ancora di essere raggiunto dalla sentenza? Si, lo
Stato potrebbe adempiere in qualunque momento.
La questione è: se lo Stato, prima che ci sia la sentenza della C.DG elimi l’inadempimento, il
procedimento si chiude o va avanti?
Va avanti anche se c’è un ADEMPIMENTO TARDIVO.
Perché va avanti? Due ragioni:
1. Siamo in un ipotesi in cui potrebbe essere erogata una sanzione, lo Stato ha adempiuto
quindi non potrebbe essere erogata una sanzione. In questo caso la C.DG può farne a meno.
Ricordiamo quali erano i ricorsi: a) Perché non si è conformato ad una precedente sentenza;
b) Non ha praticato lo stile di recepimento di una direttiva; In questi ricorsi, anche se uno Stato
adempie prima di essere raggiunto da una sentenza della C.DG, la Corte potrebbe erogargli
comunque una sanzione.
2. Motivo più importante: quello che si prefigge la C.DG di dichiarare che un certo
comportamento non è conforme agli ordini dell’UE, in modo che tutti gli Stati sappiano che
rispetto ad una certa norma la C.DG segue una certa interpretazione.
Serve ad applicare provvedimenti cautelari nei confronti di quello Stato e di altri Stati, che
potrebbero trovarsi nella stessa situazione. Dire che c’è o non c’è un inadempimento non è
sempre una soluzione semplice: ci possono essere norme che la Comm.EU interpreta in un
modo, lo Stato accusato interpreta in un altro e quindi può essere che abbia ragione l’uno o
l’altro. Quindi lo Stato, per esempio, non si conforma alle sollecitazione della Comm.EU,
perché ritiene che stia seguendo un’interpretazione sbagliata di una certa norma, solo la C.DG
può dire qual è l’interpretazione corretta.
Quindi la C.DG, di fronte al fatto che lo Stato ha adottato delle misure (anche se le ha adottate
per fare contenta la Comm.EU) alla fine potrebbe decidere di continuare il ricorso ( anche se la
Comm.EU non ha più interesse a continuare quel ricorso) proprio per chiarire se un certo
comportamento sul piano generale è conforme alle norme dell’UE oppure no. Potrebbe anche
dire:” Lo Stato aveva ragione, ha adottato delle misure che poteva non adottare perché la sua
situazione/convinzione era perfettamente compatibile con le norme dell’UE. La Comm.EU ha
chiesto di adottare misure che non erano necessarie.”
Sul piano generale l’interesse è di garantire una UNIFORME INTERPRETAZIONE delle
norme dell’UE, così se un altro Stato (che non c’entra niente con questo provvedimento) si
trova in una situazione simile, dopo la sentenza della C.DG, saprebbe esattamente cosa deve
e non deve fare.→ PROMEMORIA per gli altri Stati di come va applicata/eseguita/osservata
una certa norma.
Quando l’inadempimento dello Stato potrebbe determinare, prima che il procedimento sia
concluso, situazioni che nel corso del processo potrebbero determinare EFFETTI
IRREVERSIBILI, la C.DG potrebbe decidere di ingiungere allo Stato di apportare
PROVVEDIMENTI CAUTELARI, ciò vuol dire che se ad esempio lo Stato ha recepito una
direttiva dell’UE in materia ambientale, adottando delle precauzioni tecniche che naturalmente
vanno a garantire un inquinamento ambientale contenuto. La Comm.EU ritiene che quelle
precauzioni tecniche che lo Stato sta adottando non sono sufficienti perché l’inquinamento
dello Stato sarebbecomunque oltre il limite consentito. L’inquinamento ambientale produce il
più delle volte effetti irreversibili. Problema: la Comm.EU ritiene che lo Stato non ha adottato le
misure necessarie, lo Stato ritiene di aver adottato le misure necessarie.

Chi ha ragione? Lo sapremo alla fine, perché è ciò che deciderà la C.DG. Dovremo aspettare
tre anni.
In questo periodo che succede? Questo significa che se per ipotesi la Comm.EU dovesse
avere ragione, lo Stato continuerà a fare quello che ha fatto finora e il suo comportamento
provocherà dei danni che quando sarà emessa la sentenza non saranno più eliminabili. Quindi
la C.DG dice: nel dubbio, laddove c’è il rischio che si causi un danno irreversibile, poiché
dobbiamo attendere l’esito del processo e che si emetta una sentenza, lo Stato non deve
produrre inquinamento, poi magari avrà ragione, ma intanto non deve produrlo. Quindi deve
adottare dei PROVVEDIMENTI CAUTELARI che riducono l’inquinamento. Perché non
avrebbe senso portare a compimento un processo se poi quella sentenza non potrebbe in
nessun modo essere posta in esecuzione perché il danno non è eliminabile.
Torniamo alle competenze della C.DG: abbiamo detto che la C.DG ha competenze
CONTENZIOSE E NON CONTENZIOSE.
1. Un primo procedimento di tipo contenzioso è il RICORSO D’INADEMPIMENTO: esso
consente alla C.DG se attivata51 di controllare l’inadempimento di uno Stato.
2. Un’altra ipotesi è IL RICORSO DI ANNULLAMENTO: quando la C.DG è chiamata a
dirimere una controversia: serve a verificare che le istituzioni dell’UE si conformino agli
obblighi. (ART.263) Quindi abbiamo visto che gli Stati devono comportarsi bene, ma devono
farlo anche le istituzioni.
Ma come fa la C.DG a valutare che esse si comportino bene?
Il controllo che effettua la C.DG ha come oggetto GLI ATTI O LE OMISSIONI: qualunque
comportamento dell’UE si traduce nella produzioni degli atti che sono la terza fonte
dell’ordinamento dell’UE.
Come funziona questo tipo di procedimento?
Considerazione generale: se noi diciamo che gli atti dell’UE sono la terza fonte, significa che
stiamo disegnando una scala gerarchica fatta di gradini, ma fare ciò significa anche stabilire
un rapporto di forza tra norme: se c’è una norma di rango superiore e una di rango inferiore
che non sono tra loro compatibili prevale quella di rango superiore perché abbiamo un
CRITERIO GERARCHICO. Questo significa che qualunque istituzione dell’UE che adotti atti in
contrasto con norme dei Trattati sull’UE, sono atti ILLEGITTIMI.

ESEMPIO: atto dell’UE che adotta atti in una materia che non è di sua competenza
→violazione del principio di attribuzione delle competenze = atto illegittimo: il principio
sopracitato è una norma che troviamo nei trattati, norma di rango superiore. L’atto adottato
dall’UE è un atto di norma inferiore. Prevale la norma di rango superiore e ciò significa che la
norma di rango inferiore non si applica, ma se essa non si applica che senso ha continuare a
consentirne l’esistenza, quella norma deve essere cancellata dall’ordinamento dell’UE.
Come può esser cancellata una norma dall’ordinamento dell’UE?
In linea di principio diremo che: solo l’AUTORE DELLA NORMA può modificare, nell’esercizio
del suo potere, norme o notificare o abrogare quella norma.

ESEMPIO: Se noi diciamo che il potere legislativo è del P.E e del Consiglio, significa che solo
loro possono adottare atti in quella materia, ma significa che quegli atti adottati possono
essere modificati o abrogati soltanto dal P.E o dal Consiglio.
L’unica eccezione a questa regola è il RICORSO DI ANNULLAMENTO: una macroscopica
interferenza del potere giudiziario su quello legislativo→ ha la forza di mettere nel nulla un atto
legislativo. Quando la C.DG annulla un atto, sta facendo la stessa cosa che farebbe un
P.E/Consiglio, laddove decidessero di abrogare quell’atto.

L’ABROGAZIONE di un atto che cos’è? L’esercizio del potere legislativo determinato da una
scelta politica.
L’ANNULLAMENTO di un atto che cos’è? Porta lo stesso risultato: eliminazione di una
norma che prima esisteva ed ora non esiste più. Però non la chiamiamo abrogazione, la
chiamiamo questa operazione ANNULLAMENTO perché non proviene dallo stesso organo
che lo ha emanato, ma proviene da un organo che esercita un altro potere che non è il potere
legislativo, ma GIURISDIZIONALE.
Che cos’è che consente ad un organo che non detiene potere legislativo di mettere nel
nulla un atto del potere legislativo?
Solo un principio: il PRINCIPIO DI LEGALITÁ → tutti siamo obbligati ad osservare le norme,
anche lo stesso organo che le fa. Se gli Stati hanno stabilito delle norme nei trattati e il P.E e il
Consiglio, esercitano il loro potere legislativo in contrasto con le norme dei trattati stanno
commettendo una violazione.
Il loro esercizio di questo potere non è effettuato in una situazione di legalità, quindi è
ESERCIZIO ILLEGITTIMO, quindi il frutto di quell’esercizio illegittimo del potere deve essere
eliminato e può farlo solo la C.DG utilizzando il ricorso di annullamento. → Stati e istituzioni
DEVONO RISPETTARE i Trattati.
Ci sono altri strumenti che consentono alla C.DG di effettuare un controllo sulla legittimitá degli
atti:
1. RINVIO PREGIUDIZIALE DI VALIDITÁ;
2. ECCEZIONE DI ILLEGITTIMITÁ;
3. RICORSO DI ANNULLAMENTO.
•Primo strumento preposto al controllo sulla legittimità degli atti dell’UE → RICORSO DI
ANNULLAMENTO disciplinato dall’ ART. 263 e seguenti del TFUE.
È lo strumento con cui la C.DG elimina gli atti dall’ordinamento dell’UE.
Quali atti possono essere impugnati? Bisogna stabilire prima alcuni elementi base:
1. In un processo contenzioso c’è una parte che agisce chiamata parte ATTRICE o
SOGGETTO LEGITTIMATO ATTIVO53 . Un processo deve essere aperto da qualcuno, la
C.DG è solo un giudice, non può aprire un processo→ non si pronuncerà mai sulla richiesta di
risarcimento di un danno se non c’è qualcuno che lo richiede.
2. Dall’altro lato c’è anche un SOGGETTO LEGITTIMATO, ma è PASSIVO54 chiamato anche
PARTE CONVENUTA IN GIUDIZIO.
Chi è il soggetto legittimato passivo in un processo di questo tipo? Se io contesto la legittimità
degli atti dell’Unione la contesto nei confronti di chi?
Di chi ha adottato l’atto che potrebbe essere Parlamento, Consiglio o qualunque altra
istituzione.
Che cosa sto contestando? Devo individuare un atto, può essere contestato qualunque atto?
No, l’ART.263 ci dice quali sono gli atti che possono essere contestati.
Quale logica ha sostenuto la scelta di questi atti da parte degli Stati? Perché gli Stati hanno
individuato nei Trattati quali atti possono essere impugnati escludendone altri.
Il trattato ci dice che possono essere impugnati:
a) Gli ATTI LEGISLATIVI→ se sono ADOTTATI dagli ORGANI LEGISLATIVI (Consiglio e
Parlamento) e SECONDO la PROCEDURA LEGISLATIVA.
ESEMPIO: Il P.E adotta il proprio regolamento interno, che è quello che gestisce la vita pratica
dell’istituzione legislativa, ma non viene adottato con procedura legislativa, quindi non rientra
in questa categoria.
Questa categoria ha delle caratteristiche:
1) Ha dei DESTINATARI;
2) Impone NORME DI CONDOTTA;
3) È un ATTO OBBLIGATORIO.
b) Gli ATTI del CONSIGLIO, COMMISSIONE e BANCA CENTRALE EUROPEA→ sono atti,
che queste tre istituzioni, adottano, nell’ordinamento dell’UE, in quanto esercitano FUNZIONI
ESECUTIVE: ➢ CONSIGLIO →organo BICEFALO ha sia competenze legislative che
esecutive, quindi può adottare atti legislativi ed esecutivi; ➢ Comm.EU → è un organo che
esercita funzioni esecutive quindi può adottare atti esecutivi.

ESEMPIO: l’UE ha stabilito, attraverso le proprie istituzioni, nel bilancio annuale, i fondi che
deve garantire per l’avvio di progetti come l’Erasmus.
Chi fa il bando per garantire ad uno studente di studiare fuori?
La Comm.EU, che stabilisce come quei fondi devono essere impiegati, li attribuisce agli Stati e
dice come li devono distribuire. Lo Stato, sul piano pratico si conformerà a tutte le descrizioni
che riceve dalla Comm.EU= funzione esecutiva. Quindi la Comm.EU adotterà atti che sono
per lo Stato vincolanti. Lo Stato nel distribuire i finanziamenti Erasmus deve attenersi alle
norme derivanti dalla Comm.EU.
c) ATTI del PARLAMENTO E DEL CONSIGLIO EUROPEO→ sono atti destinati a
PRODURRE EFFETTI GIURIDICI nei confronti di TERZI e gli ATTI DEGLI ORGANI o
ORGANISMI DESTINATI a PRODURRE EFFETTI GIURIDICI su TERZI.
Abbiamo visto che il P.E può adottare atti che non sono legislativi (se lo fossero sapremo per
certo che sono atti impugnabili).
Ma se non sono legislativi, sono impugnabili?
Dipende dall’atto, ovvero se riusciamo a farlo inserire in questa terza categoria. Questa
categoria ci individua atti di P.E e C.E, ma anche di altri organismi dell’UE destinati a produrre
effetti giuridici su terzi.
Che significa destinati a produrre effetti giuridici su terzi?
Quando una istituzione adotta un atto, questo atto ha dei DESTINATARI, oppure può essere
un atto di mera REGOLAMENTAZIONE INTERNA: significa che un P.E può adottare un atto
che si rivolge a sé stesso o ad altri soggetti.

Quindi il problema a cui possiamo rispondere immaginando queste tre categorie di atti è
sostanzialmente questo: un atto per poter essere impugnato deve essere capace:
1. Innanzitutto di PRODURRE EFFETTI→ per esempio ci sono atti che si chiamano
raccomandazioni o pareri che sono atti che non hanno un contenuto obbligatorio.

ESEMPIO: La Comm.EU durante un ricorso di inadempimento, invita uno Stato a fare


qualcosa perché secondo lei c’è un inadempimento. Quindi cosa fa? Dice allo Stato che
secondo lei sta violando questa norma, e gli consiglia qual è secondo lei il comportamento da
tenere. Lo Stato potrebbe anche non fare nulla, perché il consiglio che gli da la Comm.EU non
è vincolante. Tanto è vero che quando si arriva alla C.DG, essa non dice mai che lo Stato non
ha seguito i consigli della Comm.EU. La Comm.EU suggerisce qualcosa che secondo lei per
eliminare una certa situazione, si dovrebbe fare una certa cosa, ma sono solo consigli, e lo
Stato può non seguirli. Si può arrivare davanti alla C.DG, e può dire che non c’è nessun
inadempimento, o può dire che sì c’è un inadempimento, ossia una violazione della norma, ma
non può mai pretendere le raccomandazioni della Comm.EU. Non sono atti vincolanti, sono
atti che si inseriscono in un piano in cui l’istituzione manifesta il suo punto di vista.
2. Deve produrre EFFETTI SULLA SFERA GIURIDICA DI TERZI→ il regolamento interno del
p.e che dice che un gruppo parlamentare deve contare almeno 25 persone produce effetti? si.
all’esterno? no. produce effetti obbligatori nell’organizzazione interna, ma non produce effetti
verso terzi. deve essere un atto di portata obbligatoria, vincolante.
3. DEFINITIVITÁ→ se c’è un atto che viene adottato sulla base di una sequenza di atti, può
essere impugnato solo quando la sequenza di atti si è conclusa.
nel procedimento degli atti normativi si può vedere che per adottare atti ci sono delle
procedure e queste procedure contano alcune fasi minime: anzitutto ci deve essere un
esercizio dell’INIZIATIVA NORMATIVA → abbiamo visto che il P.E non può adottare un atto,
insieme al Consiglio, se non c’è un atto post che proviene dalla Comm.EU. Ciò significa che
quest’ultima presenta alle prime due istituzioni una proposta. L’atto della Comm.EU è, dal suo
punto di vista, un atto DEFINITIVO, un progetto di atto finito, che viene presentato agli organi
legislativi. Ma questo atto non ha NESSUNA EFFICACIA, perché quella proposta non vincola
nessuno, è una proposta di legge, non legge. Per diventare atto normativo deve passare dalle
mani degli organi legislativi, i quali dovranno approvare quell’atto.
Quando lo faranno potremmo dire che l’atto è stato adottato? Che è entrato in vigore?
Che produce effetti?
No. Il P.E e il Consiglio hanno finito il loro lavoro, per loro l’atto è compiuto, ma ci sono fasi
ulteriori dopo che l’atto è stato approvato. Si aspetterà quindi la conclusione di quella
procedura per dire che l’atto è definitivo, nessuno può più metterci mano all’interno di quella
procedura. → Solo un atto definitivo è capace di produrre effetti giuridici e se li produce nei
confronti di terzi allora è impugnabile.
Quando un atto può essere impugnato?
In QUALUNQUE IPOTESI in cui l’atto (il suo contenuto, la sua forma o la sua procedura) NON
è CONFORME all’ordinamento dell’UE → qualunque ipotesi di incompatibilità.
Naturalmente può succedere che l’istituzione adotti un atto e che esso entri in vigore, ma se
dopo di ciò si accorge del vizio, potrebbe benissimo modificare l’atto o abrogarlo.
Ma se questo non succede da parte della stessa istituzione che ha adottato l’atto, il controllo
sull’atto può essere attivato:
1. Dalle altre istituzioni;
2. Dagli Stati;
3. Dalle persone fisiche e giuridiche
Ma a questa previsione così generale, onnicomprensiva, il trattato affianca 3 diverse IPOTESI
SPECIFICHE. La specificazione di queste tipologie di VIZI di LEGITTIMITÁ è una scelta
tecnica, sul piano sostanziale non aggiunge nulla. Tutte le violazioni dei trattati che
costituiscono violazioni di tipo FORMALE-PROCEDURALE hanno preferito indicarle in
maniera specifica:
1. INCOMPETENZA→ la prima questione quando si va ad esaminare un atto perché, prima
ancora di guardare cosa un atto prescrive e quale procedura è stata seguita per adottare un
atto, ci si chiede se l’UE poteva adottare quell’atto. Se l’UE non poteva adottare quell’atto è
irrilevante sia il contenuto che il procedimento che ha portato all’adozione dell’atto. Se un atto
non può essere adottato non c’è procedura che tenga, non c’è contenuto che tenga. Questo
non vuol dire che è un vizio più importante e grave, è solo logicamente un vizio che è meglio
verificare per primo. Questo perché un atto potrebbe essere viziato sotto più profili, ma è
chiaro che se ci sono due vizi che vanno ad inficiare un atto partiamo dalla competenza. → Se
accettiamo che l’UE un atto non poteva adottarlo non ci importa di andare a vedere se ci sono
altri vizi, in ogni caso l’atto verrà ANNULLATO. Quindi basta verificare che c’è un VIZIO
PRELIMINARE, se non c’è quel vizio si andranno a vedere altri profili, se il vizio di
incompetenza sussiste esso verrà eliminato.
 INCOMPETENZA ASSOLUTA→ DIFETTA in capo all’UE nella sua intera struttura
qualunque potere di adozione di un atto.
Perché manca il potere? Perché evidentemente si tratta di una materia che gli Stati non
hanno ceduto all’esercizio dell’UE. L’UE ha adottato un atto in una maniera che gli Stati non le
hanno conferito, non poteva adottare atti in quella materia. In questo caso non riusciremo a
trovare nessuna sua istituzione che abbia la competenza ad adottare un atto in quella materia.
Non manca il potere, ma la materia di competenza dell’UE.
ESEMPIO: Il P.E ha il potere legislativo, ma ciò non vuol dire che lo possa esercitare in tutte le
materie.
 INCOMPETENZA RELATIVA → L’UE ha la competenza in quella materia, ma dire che l’ue
ha una competenza in una materia non significa che quella materia/competenza può essere
esercitata da qualunque istituzione dell’ue. gli stati attribuiscono all’ue e dentro l’ue solo una
certa istituzione può avere quella competenza.

ESEMPIO: immaginiamo che la Comm.EU adotti una legge di bilancio, lo può fare? No,
perché il potere di adozione del bilancio dell’UE compete al P.E e al Consiglio. Quindi in una
situazione del genere non si può dire che l’UE non aveva la competenza, potremmo dire che
la Comm.EU non aveva la competenza. Quindi in questo caso si tratta di incompetenza
relativa, ovvero che la competenza è dell’UE, ma non è stata esercitata dentro l’UE
dall’istituzione che poteva esercitarla, quindi è relativa.

ESEMPIO: quando abbiamo parlato dei pilastri dell’UE e abbiamo fatto la distinzione tra
metodo comunitario e intergovernativo abbiamo visto che persiste tutt’oggi una materia (la
PESC) nell’ambito della quale il P.E non esercita il suo potere legislativo. Se immaginiamo che
per esempio il P.E adotti un atto in quella materia siamo di fronte ad un’incompetenza relativa,
perché la materia è di competenza dell’UE, ma non può essere esercitata dal P.E.
 L’incompetenza può essere di tre tipologie: a) In ragione della MATERIA (Ratione
materiae)→ l’esempio precedente. Può adottare l’atto in quella specifica materia solo
l’istituzione specifica prevista. b) In ragione del TEMPO (Ratione temporis)→ ESERCIZIO
DELLA COMPETENZA, in una certa materia dell’istituzione, deve venire ENTRO un certo
TERMINE.

ESEMPIO: A volte gli organi legislativi delegano la Comm.EU a fare qualcosa. Il P.E e il
Consiglio adottano il bilancio dell’UE. In questo bilancio prevedono di stanziare dei
finanziamenti a favore di ragioni economicamente arretrate. Delegano alla Comm.EU di
adottare degli atti che vadano a specificare quali sono le condizioni per avere accesso a questi
finanziamenti. (vanno ad integrare atti dell’UE).
Quindi quest’ultima è delegata, ma delegata in che senso? Che non ha potere su quella
materia, ma esercita un potere che gli hanno delegato. Ma quando le istituzioni legislative
delegano un potere alla Comm.EU, non glielo delegano senza termine, ma con una
SCADENZA.

ESEMPIO: la COMM.EU dovrà esercitare questo potere entro la fine del 2018. se la comm.eu
adotta atti, in virtù di quel potere conferitogli, dopo la scadenza, a quella data ha già perso
quella competenza che gli era stata concessa quindi non può più esercitarla. Se la esercita c’è
un’incompetenza relativa in ragione del tempo.
ESEMPIO: C’è una disciplina dell’UE la quale prevede che se una persona si va a fare una
vacanza in un paese diverso rispetto a quello dove normalmente risiede: immaginiamo un
italiano che potrebbe risiedere anche in Belgio, si va a fare una vacanza a Parigi. A Parigi
subisce un reato, qualcuno per togliergli il portafogli lo prende a bastonate e lo deruba.
Cosa può succedere? È chiaro che lo Stato francese deve attivare le procedure previste in
questo caso, ma la disciplina dell’UE prevede qualcosa di più: prevede la possibilità che il tizio
che ha subito il reato, possa chiedere un risarcimento non all’autore del reato (situazione
normale) , ma allo Stato dove è stato commesso il reato, laddove per esempio l’autore del
reato è fuggito e non si è riuscito ad identificarlo o è un tizio nullatenente. Quindi si garantisce
alla vittima transfrontaliera (quindi al francese che vive in Francia non gli viene garantita
questa tutela, ma all’italiano che vive in Belgio e che va a farsi la vacanza a in Francia sì ) che
gli venga riconosciuto un risarcimento, rispetto al suo danno subito, dallo Stato, laddove non
riesca ad ottenerlo dal suo autore.
ESEMPIO: Immaginiamo che il P.E e il Consiglio, che hanno adottato l’atto legislativo,
deleghino la Comm.EU alla preparazione di un modulo per chiedere il risarcimento, che dovrà
essere messo a disposizione di tutti dagli Stati, e che debba prepararlo entro 6 mesi. Se entro
6 mesi la Comm.EU esercita quel potere, che di solito non avrebbe ma ce l’ha perché
gliel’hanno dato, lo esercita legittimamente. Altrimenti, se è scaduto il termine e quindi anche il
suo potere di esercizio, e lo esercita, saremmo di fronte ad una INCOMPETENZA IN
FUNZIONE DEL TEMPO.
c) In ragione del LUOGO (Ratione loci)
ESEMPIO: le istituzioni legislative dell’UE, approvano un bilancio in cui destinano agli Stati,
che sono entrati negli ultimi dieci anni nell’UE ,dei finanziamenti per sostenere delle attività
che li aiutino a raggiungere gli obiettivi dell’UE. Alla Comm.EU viene dato il compito di gestire
e distribuire questi fondi, ma nell’esecuzione di questo stanziamento, attribuisce finanziamenti
all’Italia che è entrata nell’UE fin dall’inizio, e quindi più di dieci anni→ INCOMPETENZA IN
RAGIONE DEL LUOGO: questi soldi sono arrivati in un luogo dove non servivano. Ha
esercitato una competenza al di fuori dei confini territoriali entro cui poteva esercitarla.
2. VIOLAZIONE DELLE FORME SOSTANZIALI→ questo vizio è particolare perché serve a
garantire due cose:
A. Garantire il REGOLARE SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI ADOZIONE dell’atto→
quando abbiamo studiato la Comm.EU abbiamo detto che una delle sue funzioni è il potere di
iniziativa legislative (un atto del P.E e del Consiglio può essere adottato solo se c’è stata una
proposta da parte della Comm.EU).
ESEMPIO: immaginiamo che un atto venga adottato dal P.E e dal Consiglio senza che ci sia
stata una proposta dalla Comm.E: l’atto NON POTREBBE ESSERE ADOTTATO, perché il
procedimento di cui parliamo IMPONE che vi sia una PROPOSTA DELLA Comm.EU.

B. Garantire il CONTENUTO MINIMO dell’atto, ovvero la presenza di ELEMENTI


ESSENZIALI. Possiamo immaginare un atto dove non sia specificato AUTORE che l’ha
adottato? No, sembrerebbe una caratteristica puramente formale, ma non lo è perché se io
non so chi l’ha adottato non posso nemmeno verificare se c’è la competenza per esempio.
Non posso sapere se l’atto è stato adottato seguendo il Principio di adozione delle
competenze, è una verifica che non posso fare.
 Oppure manca la DATA, se non c’è come faccio a sapere se l’atto è entrato in vigore e da
quanto tempo è entrato in vigore.
 Manca la FIRMA: l’atto adottato dal P.E e dal Consiglio non è stato firmato: la firma non è
meramente formale.

ESEMPIO: immaginiamo di aver stipulato un contratto d’affitto per una casa a Catania con il
nostro locatore e desidera accordo su tutte le clausole. Ci siamo dimenticati di firmare
l’accordo. Quell’accordo non è valido. Al di là dei casi in cui è prevista la forma scritta per
stipulare un certo tipo di contratto, il punto è che potremmo vivere dieci anni osservando
perfettamente quell’accordo senza che sia stato mai firmato. Quindi nella vita fenomenica
quell’accordo esiste per vari motivi, il problema è: se per caso il locatore si vuole liberare di noi
perché c’è uno che gli offre di più ci caccia via. Diremo che c’è un contratto d’affitto, ma non è
firmato, quindi non vale niente.
La firma tecnicamente diciamo che serve a dare la PATERNITÁ DELL’ATTO, ma dire ciò
significa che è quell’atto in cui l’autore dell’atto si assume la RESPONSABILITÁ.
 Ora il P.E e il Consiglio quando adottano un atto, quest’ultimo viene firmato dai rispettivi
presidenti perché si assumono la responsabilità di tutto quello che consegue da quell’atto, ma
se per esempio con quell’atto il P.E e il Consiglio vanno a creare danni a qualcuno, possono
essere chiamati a risponderne.
3. SVIAMENTO DI POTERE→ categoria ostica: si verifica quando l’istituzione esercita un
potere che gli appartiene, in una competenza che gli appartiene, ma quel potere viene
esercitato per raggiungere dei fini che non sono quelli che l’istituzione dovrebbe perseguire.
ESEMPIO: la Comm.EU gestisce il bilancio dell’UE e ciò vuol dire che se per esempio il P.E e
il Consiglio hanno destinato una certa cifra per l’Erasmus, quella certa cifra deve essere
destinata per l’Erasmus. Se hanno destinato una certa cifra per aiutare le economie e le
imprese in difficoltà, quella cifra deve essere utilizzata in quel modo. Immaginiamo che la
Comm.EU faccia un bando Erasmus per garantire la mobilità degli studenti che sia ristretto a
studenti che abbiano un livello di reddito al di sotto di una certa somma. La Comm.EU sta
facendo un bando che dovrebbe essere diretto a garantire la mobilità, quindi prescinde dalle
condizioni di reddito, ma lo sta indirizzano solo a studenti che hanno un reddito basso. Sta
esercitando un potere che ha, ma per un fine diverso da quello per il quale il potere dovrebbe
essere esercitato.
ESEMPIO: Immaginiamo che la Comm.EU faccia un bando per assumere nuovi dipendenti.
Prima di emanare un bando va a fare un’indagine statistica per vedere quali sono le
competenze, i titoli di studio, posseduti da tutti i figli dei suoi funzionari. Quindi se questi tizi
avranno tutti dei figli che parlano non solo l’inglese, ma anche il tedesco, farò un bando in cui
è richiesta la conoscenza del tedesco. Che cosa sta facendo la Comm.EU? Sta facendo un
bando (che potrebbe fare), per assumere nuovi dipendenti (rientra nell’esercizio della
competenza).
Ma il fine del bando qual è? Assumere i figli dei suoi dipendenti. Ma questo motivo non è
certo il fine per il quale i trattati hanno stabilito la competenza per emanare bandi. La
Comm.EU fa bandi perché un organo pubblico e dal bando potrebbero venir fuori quei soggetti
che hanno le migliori competenze per quel ruolo, ma se io il bando lo vado a redigere in
maniera tale da agevolare un gruppo di persone rispetto ad altre perché il mio obiettivo è
garantire il posto di lavoro ai figli dei miei dipendenti è chiaro che:
I. Sto esercitando un potere che ho;
II. Secondo la procedura che ho;
III. Ma lo sto esercitando per un fine diverso da quello che dovrei perseguire, che non è
selezionare il migliore, ma selezionare il figlio del mio amico.
4. CATEGORIA RESIDUALE che è quella della violazione dei trattati e delle regole/norme
giuridiche relative alla sua applicazione (vizio onnicomprensivo).
 Ci sono altre ipotesi in cui vengono individuati VIZI SPECIFICI, però comunque è una
situazione in cui si manifesta la contrarietà con una norma del Trattato, una norma contenuta
in un atto dell’UE.
5. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ e di PROPORZIONALITÁ [ART.8
protocollo n.2 ]→ anche se non ci fosse stata questa specificazione, comunque la violazione
della sussidiarietà sarebbe stata un vizio. il fatto che sia stato previsto in un’ipotesi specifica
deriva soltanto dal contesto politico in cui la previsione è stata adottata.
Il Protocollo regola i POTERI DI CONTROLLO che hanno i PARLAMENTI NAZIONALI rispetto
al PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÁ. Questo principio è quella norma che ci dice che l’UE può
intervenire, in casi necessari, in una materia di competenza non-esclusiva, solo se gli Stati
NON sono IN GRADO di RAGGIUNGERE UN CERTO OBIETTIVO. Quindi la regola è che
quella materia è nelle mani degli Stati, che la dovrebbero esercitare e che soltanto in via
d’eccezione interviene l’UE, se lo Stato, da solo, non riesce a raggiungere l’obiettivo. Perché
se interviene l’UE, a quel punto lo Stato non può più intervenire, significa che la competenza
CONCORRENTE, che deve essere prima esercitata dallo Stato, ma che viene esercitata
dall’Unione viene persa dallo Stato. Gli Stati sono “gelosi” delle loro competenze, tanto che
dicono “stiamo attenti a come viene applicato il P.S, deve essere applicato in maniera
rigorosa, perché ogni volta che viene applicato significa che una competenza che ancora è
nelle mani degli Stati è passata nelle mani dell’Unione.”
Il Protocollo n.2 ci dice che quando la Comm.EU propone un atto, significa che sta
proponendo una PROPOSTA DI ATTO alle istituzioni legislative. E quell’atto sta disciplinando
una materia che è di competenza concorrente, che sta quindi attivando l’intervento
dell’Unione, cioè che venga perseguito l’obiettivo in virtù del Principio di sussidiarietà, ossia
che non possa più essere perseguito dagli Stati che non riescono da soli a raggiungerlo.
Come interviene l’UE? Attraverso le sue istituzioni. Nel momento in cui la Comm.EU fa una
proposta di atto, questo già costituisce l’intervento dell’UE, ma se quella proposta di atto ha
per oggetto una materia di competenza concorrente significa che la Comm.EU sta attivando il
PROCEDIMENTO DI ADOZIONE DEGLI ATTI sul presupposto che lo Stato non è in grado di
raggiungere l’obiettivo.
Se l’atto verrà definitivamente adottato dall’Unione, lo Stato non potrà più intervenire ed avrà
perso il suo potere. Quindi per far sì che questo passaggio dell’esercizio della competenza
dagli Stati all’Unione avvenga nel pieno rispetto delle regole, il Protocollo n.2, sul rispetto del
Principio di sussidiarietà, stabilisce una serie di GARANZIE:
1) La Comm.EU deve MOTIVARE SPECIFICAMENTE la necessità che l’atto sia ADOTTATO
DALL’UE e che non possa essere adottato invece dagli Stati (ossia rispettati i Principi di
sussidiarietà e proporzionalità);
2) La proposta di atto deve essere COMUNICATA AI PARLAMENTI NAZIONALI. Questo
perché i P.N sono curiosi di verificare che i P.S e P.P siano stati esattamente rispettati. • Cosa
possono fare i P.N?
3) Possono presentare alla Comm.EU dei PARERI, ma questi pareri vengono comunicati
anche al P.E e al Consiglio, quindi si apre un DIALOGO POLITICO, in cu se i P.N adottano un
parere è perché vogliono censurare qualche aspetto di quella proposta (“contiene una norma
che non dovrebbe contenere”. “Non giustifica adeguatamente la necessità dell’intervento
dell’UE”. “Il principio di S. e P. non è stato rispettato”) La Comm.EU è chiaro che va a
guardare tutti i pareri che le vengono rivolti, ma è sempre libera di andare avanti così:
potrebbe convincersi che qualche P.N abbia sollevato qualche motivazione infondata, come
potrebbe non fare nulla ed andare avanti.

Questa è una forma di CONTROLLO PREVENTIVO (l’atto ancora non è stato adottato) che
serve:
 Alla Comm.EU per VALUTARE se ci sono CONTESTAZIONI e se sono siano FONDATE.
 Alle ISTITUZIONI perché, se la Comm.EU dovesse decidere di andare avanti, comunque i
pareri vengono comunicati al P.E e al Consiglio. Quindi comunque loro saprebbero che c’è
qualche P.N che non è d’accordo.
 Però i P.N esercitano questo controllo POLITICO che potrebbe persuadere le istituzioni
dell’UE oppure potrebbe non avere nessun seguito. A quel punto non succede nulla. L’atto
potrebbe anche essere adottato così com’è.
 Ma se l’atto viene adottato così com’era e poi i P.N, che non hanno il potere di bloccare il
processo di adozione dell’atto, dovesse spingere su un governo nazionale per far valere la
violazione di quell’atto. Allora lo Stato potrebbe impugnare quell’atto, censurando la violazione
del P.S e P.P.
Quindi, i P.N possono dare solo un PARERE PREVENTIVO, non possono bloccare l’adozione
di quell’atto, l’atto va avanti. Ma se poi dovesse essere adottato, il vizio della violazione del
principio di P.S e P.P può essere fatto valere dallo Stato, dal governo dello Stato.
6. Un altro vizio specifico è la VIOLAZIONE→ è un vizio di INCOMPETENZA PARTICOLARE:
[L'attuazione della politica estera e di sicurezza comune lascia impregiudicata l'applicazione
delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per
l'esercizio delle competenze dell'Unione di cui agli articoli da 3 a 6 del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea. L'attuazione delle politiche previste in tali articoli lascia
parimenti impregiudicata l'applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni
delle istituzioni previste dai trattati per l'esercizio delle competenze dell'Unione a titolo del
presente capo.]
ESEMPIO: gli articoli da 3 a 6 sono quelli che delimitano le competenze dell’UE (ESCLUSIVE,
CONCORRENTI, COMPLETAMENTO, FUNZIONAMENTO e SOSTEGNO). Fra le
competenze dell’UE, poco importa se siano esclusive o concorrenti, quello che importa è che
siano competenze rispetto alle quali si esercita il METODO COMUNITARIO. Immaginiamo
una competenza in cui si esercita il metodo comunitario, per esempio stipulare accordi
commerciali per lo scambio di merci con uno Stato terzo, per fare arrivare il legname dal
Brasile.
È possibile?
Competenza COMUNITARIA (in cui si esercita il metodo comunitario) dell’UE. Dove invece si
esercita il METODO INTERGOVERNATIVO è la PESC. È chiaro che i metodi sono diversi, e
quindi le istituzioni quando attuano atti devono innanzitutto capire se stanno esercitando una
competenza comunitaria o in materia di PESC. Se non fanno questa preliminare distinzione
non riescono ad individuare quale è la forma dell’atto, l’istituzione competente, la procedura da
seguire ecc… Immaginiamo perciò un accordo commerciale in cui l’UE stipula con uno Stato
terzo lo scambio di armi. Le armi sono merci, però la gestione delle armi è qualcosa che ha a
che fare con la sicurezza degli Stati, in materia di competenza dell’UE che possiamo situare
all’interno della PESC. Un conto è che stiamo vendendo/acquistando legname, un conto è
fornire armi.

Se io sto vendendo all’Iraq una serie di mitragliatrici, è chiaro che potrebbe dirsi un accordo
commerciale, ma si nota anche come esso abbia dei riflessi importanti sulla sicurezza
internazionale.
Quindi è accordo commerciale o materia di PESC? Potrebbe essere entrambe le cose:
l’ART.40 serve proprio a risolvere questo problema perché dice: l’UE, nell’esercizio delle
competenze COMUNITARIE, non deve mai entrare nel terreno della PESC, perché deve
adottare altrimenti il metodo INTERGOVERNATIVO.
Ma ci dice anche il contrario: le istituzioni non possono esercitare una competenza, che non è
in PESC, come se lo fosse. Perché se noi prendiamo una materia e la spostiamo da un
sistema ad un altro cambiamo tutto il metodo istituzionale.

Quindi il rispetto dell’ART.40 ci serve a dire che le istituzioni, quando esercitano i loro poteri,
devono STARE ATTENTI AD INDIVIDUARE LA MATERIA, perché se sconfinano da un
sistema (metodo comunitario), all’altro (metodo intergovernativo) questo sconfinamento può
essere sottoposto a controllo della C.DG, sotto forma di IMPUGNAZIONE DELL’ATTO per
VIOLAZIONE DELL’ART.40.

In termini pratici: un atto dell’UE, che è stato adottato sotto il titolo della PESC, potrebbe
essere impugnato dicendo che quell’atto ha violato l’art.40 nella misura in cui non doveva
essere adottato con metodo intergovernativo, sotto il titolo relativo alla PESC, ma doveva
essere ricondotto entro il metodo comunitario.

Chi può impugnare un atto?


L’atto può essere impugnato solo da coloro ai quali il Trattato ha conferito IL POTERE DI
IMPUGNATIVA, di censurare la legittimità dell’atto.
Quindi i Trattati hanno attribuito questo potere in maniera precisa ed espressa solo a certe
categorie. Se non c’è questa attribuzione, l’atto non può essere adottato da quella categoria
che non si vede attribuito questo potere. Il potere d’intervento della C.DG deve essere
SEMPRE ATTIVATO da qualcuno, non si attiva mai da sola.
Ad impugnare un atto possono essere:
1. SOGGETTI LEGITTIMATI ATTIVI: coloro che CONTESTANO/IMPUGNANO un atto, ossia
coloro che fanno valere un vizio dell’atto. Quando si impugna un atto dell’UE, non si limita a
dire: ”un atto è viziato”, ma deve individuare in maniera precisa qual è il vizio si ritiene
sussistere (questo atto viola questa norma che costituisce questo tipo di vizio).

II. SOGGETTI PRIVILEGIATI: possono IMPUGNARE UN ATTO, individuando un vizio,


SENZA DOVER DIMOSTRARE DI AVER UNO SPECIFICO INTERESSE A CONTESTARE
L’ATTO=
A. Stati membri
B. Parlamento europeo
C. Consiglio
D. Commissione.
ESEMPIO: la Comm.EU, nell’ambito del suo potere di controllo del mercato, emette una
sanzione nei confronti di due grandi imprese perché hanno mantenuto un comportamento
illegittimo nel regime della concorrenza: due imprese molto grandi, che hanno un volume
d’affari a livello europeo, se vogliono fondersi tra di loro per diventare una sola impresa,
devono essere autorizzati dalla Comm.EU. Questo perché se le imprese sono forti nel
mercato, e queste due si uniscono anche, si avrebbe un regime di monopolio. Ma arrivare a
ciò significa rinunciare alla concorrenza, ossia che uno che non deve fare concorrenza con
nessun altro, può vendere un telefono che vale ad esempio 100€ a 500€, perché non c’è
nessun altro che lo può vendere. Quindi c’è una disciplina che dice che quando due imprese
vogliono unirsi, concentrarsi, fondersi, devono essere autorizzate dalla Comm.EU.
Immaginiamo che queste due società si fondano senza chiedere l’autorizzazione della
Comm.EU, stanno facendo una cosa che non possono fare. La Comm.EU si attiva, adotta atti
che hanno come destinatari queste due imprese.
Hanno solo UN LIMITE: NON possono impugnare ATTI PROPRI.→ ESEMPIO: la Comm.EU
ha adottato quest’atto nei confronti di queste due imprese. Si è resa conto di aver commesso
un errore. Non deve impugnare l’atto per farlo annullare, perché lei stessa, che è l’autore
dell’atto, può modificarlo o abrogarlo in qualunque momento. Non è necessario che chieda
l’intervento di qualcun altro.

III. SOGGETTI SEMI-PRIVILEGIATI: possono impugnare TUTTI GLI ATTI IMPUGNABILI, ma


devono dimostrare di avere uno SPECIFICO INTERESSE a farlo. Dunque, queste tre
istituzioni possono impugnare solo quegli atti che LEDONO LE LORO PREROGATIVE.
A. Corte dei conti
B. Banca centrale europea
C. Comitato delle regioni
ESEMPIO: immaginiamo un atto che deve essere adottato su proposta della BCE59 o previo il
suo parere. Ci sono limitatissime ipotesi in cui essa ha il potere di presentare proposte di atti al
posto della Comm.EU. (è chiaro che si tratta di materie che hanno una rilevanza nel sistema
delle Banche Centrali). Immaginiamo che il P.E e il Consiglio adottino un atto, in materia
monetaria, in cui la proposta doveva provenire dalla BCE e invece la proposta è pervenuta
dalla Comm.EU. L’atto è stato adottato, la BCE impugna l’atto e dice che questo atto non
poteva essere adottato su proposta della Comm.EU, ma doveva essere proposta dalla BCE.
Adottando l’atto è stato leso il suo potere di iniziativa legislativa in materia monetaria, in una
materia di sua competenza. Quindi l’atto è viziato. Questo significa che solo la BCE, in quel
caso, trai i ricorrenti semiprivilegiati, può impugnare l’atto, perché in questo caso va a ledere
un suo diritto.
IV. SOGGETTI NON-PRIVILEGIATI: possono impugnare gli atti soltanto dimostrando di avere
un INTERESSE DIRETTO ed INDIVIDUALE ad adottarlo. Ciò significa che l’atto deve essere
adottato direttamente ed individualmente nei loro confronti.
A. Persone fisiche o giuridiche
ESEMPIO: la Comm.EU che adotta sanzioni nei confronti delle due società che volevano
fondersi senza aver chiesto l’autorizzazione non sta adottando un atto nei confronti di tutte le
imprese di telefonia, ma lo sta facendo nei confronti di quelle due persone distintamente
individuate ed ha effetti nei loro confronti → PORTATA INDIVIDUALE.
Quando un atto ha una PORTATA GENERALE? Quando si rivolge a CATEGORIE: tutti gli
studenti dell’UNICT devono pagare le tasse → norma generale.
ESEMPIO:Lo studente Tizio che non ha pagato le tasse entro il termine, deve pagare una
tassa pari a X → atto a portata individuale.

Ora, le persone fisiche e giuridiche possono avere davanti un atto che ritengono viziato e
vogliono contestarlo. La prima cosa da guardare è se l’atto porta il NOME SPECIFICO della
persona che vuole impugnarlo. Se sì, ha una portata diretta nei suoi confronti e quindi può
essere impugnato, se no è un atto a portata generale e non si può impugnare. Ma non perché
non c’è il vizio, può anche esserci, ma non può essere la persona fisica o giuridica ad
impugnarlo.
2. SOGGETTI LEGITTIMATI PASSIVI: sono gli AUTORI dell’atto.
Chi impugna l’atto fa valere il vizio, ma chi è poi che può difendere la legittimità
dell’atto?
L’/le istituzione/i che l’hanno ADOTTATA. Quindi se un atto è stato adottato dal Parlamento
europeo e Consiglio, i soggetti legittimati passivi saranno queste ultime.
C’è però un TERMINE per l’impugnazione dell’atto, che è di 2 MESI: ma a partire da quando?
Dalla CONOSCENZA LEGALE dell’atto ➢ Dal momento in cui l’atto viene PUBBLICATO sulla
Gazzetta Ufficiale, si pretende che tutti lo conosciamo, anche se è solo una presunzione. →
per gli atti a portata GENERALE.
Si sceglie una via diversa: la conoscenza legale dell’atto è quanto più vicina alla conoscenza
EFFETTIVA dell’atto. Dal momento in cui l’atto viene NOTIFICATO → per gli atti a portata
INDIVIDUALE.
ESEMPIO: se il Parlamento manda una raccomandata ad un tizio, che però non ha aperto la
busta, ma l’ha buttata, non c’è la conoscenza effettiva dell’atto, per sua scelta. A livello legale
però c’è perché l’atto è arrivato a destinazione.
Solo in casi eccezionali si parte dalla CONOSCENZA EFFETTIVA dell’atto e c’è solo un caso
in cui vale.
ESEMPIO: ad un tizio viene notificato un atto, ma questo tizio in realtà non lo riceve mai per
un problema di omonimia. Chi ha notificato l’atto ritiene che l’atto sia stato consegnato. Ma il
vero destinatario dell’atto, all’occorrenza, potrà dimostrare che quella non è la sua firma, e che
c’è stato un errore di omonimia, per cui l’atto in realtà è stato inviato alla persona sbagliata.
Solo in casi di questo tipo si può dimostrare che la conoscenza legale dell’atto non è
perfezionata perché c’è stato qualche errore, nella procedura di comunicazione di quell’atto,
per cui il vero destinatario di quell’atto in realtà non lo ha mai ricevuto.
Ma se per caso lui ha ricevuto l’atto, ma ha deciso di non ritirarlo, allora lì è colpa sua.
Sapere quando, sul piano legale, l’atto è effettivamente conosciuto ci serve per capire da
quale termine l’atto decorre l’impugnazione, perché esso è di 2 mesi, dal momento in cui viene
notificato. Se questo termine è scauto, l’atto non può più essere impugnato, quindi anche se
l’atto presenta un vizio e non è stato impugnato da nessuno di quei soggetti legittimati ad
impugnarlo, l’atto diventa irreversibilmente definitivo, non può più essere annullato.
A meno che il soggetto che aveva tale potere dimostra che per un motivo, indipendente dalla
sua volontà, non è stato messo nelle condizioni di venire a conoscenza di quell’atto.
In questo caso l’atto può essere RIMESSO IN TERMINI, è riconosciuta perciò al soggetto la
possibilità di RICORRERE CONTRO L’ATTO OLTRE LO SPIRARE DEL TERMINE. Il nuovo
termine di 2 mesi ricorrerà dal momento in cui lui dimostra di aver avuto la possibilità a
conoscere l’atto. Lui però dovrà dimostrare qual è il momento in cui lui poteva essere
informato dell’atto, quindi per esempio per altre vie è venuto a conoscenza dell’atto, e quindi
da questa conoscenza effettiva dell’atto decorrerà il termine di 2 mesi.
Lo scadere del termine di 2 mesi in alcune situazioni può essere superato: Quando l’atto viene
impugnato significa che l’atto è definitivo e quindi produce effetti giuridici nei confronti di terzi,
ed è entrato in vigore. Quando l’atto viene impugnato il fatto che sia stato sottoposto ad un
controllo della C. DG non significa che l’atto SMETTA DI PRODURRE I SUOI EFFETTI: l’atto
vive e continua a produrre i suoi effetti anche se c’è un vizio destinato a verificare la sua
legittimità.
Dunque, l’impugnazione dell’atto NON SOSPENDE GLI EFFETTI dell’atto. A meno che non
sia la C. DG a disporre la sua sospensione: ciò significa che quando l’atto viene impugnato, il
soggetto che l’ha impugnato potrebbe chiedere alla C. DG di mettere l’atto in “stand-by”, quindi
di sospendere l’esecuzione dell’atto. La si può chiedere e viene concessa solo quando
potrebbe produrre degli EFFETTI IRREVERSIBILI.
Cosa succede a tutti gli effetti prodotti da esso prima del suo annullamento? Gli effetti
persistono ugualmente. L’annullamento dell’atto determina una situazione per cui tutto quello
che si è fatto sulla base di quell’atto deve essere eliminato, tutti i suoi effetti. Perché se noi non
eliminassimo tutti i suoi effetti sarebbe come sostenere che l’atto è illegittimo, ma tuttavia
continua a produrre effetti. Ma se è illegittimo, non può e non deve produrre effetti. Se gli effetti
sono REVERSIBILI, si va a CANCELLARE tutto quello che l’atto ha fatto.
Se gli effetti sono IRREVERSIBILI, significa che gli effetti dell’atto non potranno essere
eliminati. Allora solo in quel caso la C.DG, se ritiene ad una prima valutazione sommaria, che
chi impugna l’atto ha ragione, e che l’atto potrebbe produrre effetti irreversibili, allora la C.DG
sospende l’esecuzione dell’atto.

PROVVISORIA SOSPENSIONE DELL’ATTO [ ART.278 TFUE]: alla fine la C.DG stabilirà se


l’atto è viziato o no, se è viziato l’atto verrà cancellato dall’ordinamento giuridico dell’UE. E se
c’è stata la provvisoria sospensione, da quel momento l’atto sarà definitivamente sospeso. Se
invece la C.DG, sebbene abbia disposto la provvisoria sospensione dell’atto , abbia
riconosciuto che non sussista il vizio, allora l’atto riprenderà la sua esecuzione.
Un’altra situazione potrebbe essere quella dove la C.DG, piuttosto che disporre la provvisoria
sospensione dell’atto, disponga l’adozione di MISURE PROVVISORIE [ ART.279 TFUE].
ESEMPIO: : immaginiamo che un’impresa deve restituire dei soldi alla Comm.EU perché
erroneamente era stata nominata beneficiaria di un contributo, e poi invece si sono accorti che
il contributo non doveva essere erogato a quell’impresa e il contributo viene quindi raggiunto
da un provvedimento dove è richiesto il rimborso. L’impresa impugna l’atto definendolo viziato
per un qualunque motivo. Allora la C.DG potrebbe dire che sospendiamo l’esecuzione
dell’atto, quindi per il momento l’impresa non deve restituire i soldi. Ma la Comm.EU potrebbe
dire:” e se poi l’impresa fallisce e non può più restituire i soldi? Chi me li restituirà?”. La C. DG
potrebbe imporre all’impresa di dare una garanzia, ad esempio bancaria, per la restituzione
eventuale di quei soldi. Ossia dice all’impresa di aspettare l’esito del giudizio, così se ha
ragione non dovrà restituire i soldi, se invece non ha ragione, lo farà. Non chiede di restituirli
oggi, ma per evitare che alla fine del giudizio questi soldi non ci siano più, ti chiedo di prestare
una garanzia che alla fine del giudizio questi soldi saranno ancora lì.
Cosa succede alla fine del giudizio?
A. L’atto è NULLO perché è VIZIATO;
B. L’atto continua ad ESISTERE perché NON è VIZIATO;
C. Potrebbe anche darsi che non tutto l’atto sia viziato, ma solo una parte.
Quindi possiamo anche immaginare un ANNULLAMENTO PARZIALE dell’atto. Ma quando
l’atto viene annullato tutti gli effetti che ha prodotto devono essere eliminati, così come l’atto in
sé. Non occorre un’attività normativa dell’istituzione che ha emanato l’atto, è la C. DG a
dichiarare l’atto nullo e da quel momento cessa di esistere. Poi se l’istituzione normativa/
legislativa vuole riproporre l’atto, evitando gli errori che ha commesso prima, lo potrà emanare
nuovamente, cercando di non incorrere nello stesso vizio che è stato accertato. • Non sempre
gli effetti dell’atto sono reversibili, a volte sono irreversibili, a volte per certi effetti irreversibili
viene posta la sospensione provvisoria. Non è escluso che l’atto produca che gli effetti siano
reversibili o semplicemente che gli effetti hanno raggiunto la sfera giuridica di soggetti che
sono estranei al contesto giudiziario, e che in quel momento hanno fatto affidamento
sull’esistenza di quell’atto. • Un atto che si rivolge ad un soggetto determinato potrebbe
determinare indirettamente effetti su soggetti terzi che non hanno nessun interesse rispetto a
quell’atto → situazioni di LEGITTIMO AFFIDAMENTO.
ESEMPIO: immaginiamo un’impresa che si aggiudica un appalto, e sulla base di
quell’assegnazione entri in contatto con i fornitori, con soggetti che devono prestare i loro
servizi per la realizzazione di quell’opera che è stata appaltata. Immaginiamo che deve essere
realizzata una costruzione edilizia e che è stato già aggiudicato un appalto, e che l’azienda
che se l’è giudicato ha dato un incarico di preparare un progetto architettonico ad un soggetto
e quest’ultimo lo faccia. È chiaro che non è il soggetto ad aver contratto l’appalto, ma
l’impresa, ed il soggetto si affida all’impresa che si è giudicato tale appalto, ricevendo anche
una parte del compenso. Dopodiché si verifica una situazione per cui la procedura che ha
portato all’emanazione di quell’appalto risulti essere viziata. L’atto di affidamento dell’appalto è
viziato e viene annullato, l’impresa non ha più l’appalto.
•Secondo strumento preposto al controllo sulla legittimità degli atti dell’UE→
ECCEZIONE DI ILLEGITTIMITÁ (ART.277 TFUE).
Si chiama eccezione perché non è un ricorso AUTONOMO, è solo una questione che si fa
valere all’interno di un giudizio che non ha ad oggetto la verifica di legittimità o meno dell’atto,
il giudizio ha ad oggetto altre questioni. Viene richiamato solo perché le norme contenute in
quell’atto potrebbero risolvere o contribuire a risolvere quella controversia. In quella situazione
si fa notare che l’atto ha un vizio. È un esame che la C. DG fa in via accidentale.
Questa norma disciplina non un tipo di procedimento, ma uno STRUMENTO PROCESSUALE
che serve a CONTESTARE anch’esso la LEGITTIMITÁ di un atto. Vero è che dopo il termine
di due mesi un atto non può più essere annullato, tuttavia ci sono delle situazioni in cui si può
superare la definitività dell’atto attraverso altri strumenti.
ESEMPIO: immaginiamo che stiamo emanando un atto viziato, ma nessuno l’ha impugnato
entro il termine di due mesi. L’atto non può più essere annullato, impugnato.
Però può succedere una situazione in cui si applica davanti alla C.DG un CONTENZIOSO di
qualunque tipo (ricorso d’inadempimento, controversia tra l’UE e un suo dipendente, ecc. ), e
viene fatta valere in quella controversia l’applicazione di una norma, di un atto, che è vigente
nell’Ordinamento dell’UE da anni e non può più essere impugnato. Quindi c’è una parte che
agisce dinnanzi alla C. DG contro un’altra parte per chiedere (dipende il tipo di controversia) di
accertare una certa situazione e nell’accertarla si dice che in questa situazione si applica un
certo atto.
Quell’atto viene richiamato solo in qualità di norma che deve essere richiamato al caso. Quindi
non è un giudizio sulla validità dell’atto. L’altra parte dice: “l’atto è illegittimo e viziato.” Gli si
potrebbe dire che l’atto è illegittimo e viziato, ma che non è stato impugnato e quindi è
definitive: non è più impugnabile.
Immaginiamo una situazione in cui questo può avvenire: un dipendente dell’UE che gli fa
causa perché ad esempio non gli sono stati corrisposti gli emolumenti (forme di attribuzione di
somme che vanno ad integrare gli stipendi per qualche motivo) che gli spettavano.
Allora l’istituzione presso la quale il dipendente era in servizio dice: “Questo soggetto non può
ricevere l’emolumento perché, ad esempio, nella norma generale c’è scritto che possono
essere dati al coniuge del dipendente, ma solo se è di sesso opposto, mentre il soggetto ha
una relazione registrata con una persona dello stesso sesso.” Allora il dipendente dice che
l’atto di portata generale (perché si rivolge alla disciplina dei dipendenti, quindi non è
individuale dato che si rivolge a categorie individuate in maniera generale) è viziato per
qualche motivo. Non è mai stato impugnato da nessuno, sono scaduti i termini per
l’impugnazione, e quindi si potrebbe dire che egli non lo può più contestare. Ma l’ART.277 dice
che: anche quando sono scaduti i termini di due mesi, e quindi l’atto non potrebbe più essere
impugnato secondo l’ART.263, ciascuna parte, in una qualunque controversia può invocare
dinnanzi la C. DG i vizi dell’atto.
Ma l’atto non può più essere annullato, quindi se la C. DG dovesse ammettere che l’atto è
viziato, può soltanto disporre la NON APPLICAZIONE DELL’ATTO IN QUEL CASO
SPECIFICO. L’atto continua a vivere, ma in quel caso specifico l’atto non dovrà più essere
applicato.
È una controversia in cui si presentano due questioni:
1. Principale: stabilire se il soggetto debba ricevere l’emolumento;
2. Incidentale: si deve risolvere come prima→ se questo atto debba essere applicato in questo
caso specifico, se è viziato o no. Ha incidenza fondamentale sulla prima questione.
Per poter far funzionare l’eccezione di illegittimità occorre:
a) Che ci sia una CONTROVERSIA, dinnanzi alla C.DG, in cui si debba applicare un ATTO A
PORTATA GENERALE. (Non si può usare MAI questo strumento su di un atto a portata
INDIVIDUALE)
b) NON RILEVANZA del TERMINE: non potrebbe più essere impugnato, ma tuttavia, in via
eccezionale, si può far valere il vizio dell’atto. Ma poiché l’atto non è stato impugnato entro il
termine e non può essere annullato, ma si procederà soltanto alla sua DISAPPLICAZIONE.
RICORSO IN CARENZA → viene contestata un’omissione
L’attività delle istituzioni dell’UE è controllata da soggetti. Il suo comportamento è determinato
dagli atti che ha adottato. Per cui il controllo sulle attività delle istituzioni è un CONTROLLO
SUGLI ATTI DELLE ISTITUZIONI, secondo lo schema che abbiamo fin qui esaminato.
Abbiamo visto chi sono i soggetti che possono attivare questo controllo, quali i limiti che
vengono fatti valere quando si attiva questo controllo, quali sono gli effetti di un eventuale
annullamento dell’ecc… In realtà l’attività delle istituzioni potrebbe sostanziarsi anche non in
atti, ma in OMISSIONI. Facile è dire che l’attività delle istituzioni si sostanzia in atti, quindi si
contesta l’atto che è prodotto.
Ma cosa succede quando una istituzione che è deputata a svolgere una certa attività,
semplicemente non la svolge? Se un’istituzione svolge male un’attività diciamo che l’atto è
viziato perché l’esercizio di quella attività si è tradotta in un atto che è viziato e quindi
reindirizziamo l’istituzione entro uno schema conforme ai trattati. - Si può però verificare
un’altra situazione: l’istituzione semplicemente non ha fatto nulla, c’è una mera omissione.
Quando una mera omissione delle istituzioni può essere considerato un
comportamento illegittimo? [ART.265 TFUE :serve a sanzionare la mera inattività delle
istituzioni]
Non sempre le omissioni possono essere contestate: se c’è una Comm.EU che non fa
granché potremmo semplicemente dire che questa istituzione non ha portato avanti un
programma politico, ha lasciato scontento il P.E che potrebbe applicare la mozione di censura
e mandare a casa la Comm.EU → controllo politico. Ma questo controllo prescinde dal fatto
che un’istituzione agisca in conformità delle norme.
Potremmo avere una Comm.EU che agisca in piena conformità delle norme, ma che tuttavia
non porta avanti un piano politico efficace, e allora per il semplice fatto che la sua attività non
piace al P.E, il P.E attiva il controllo politico e li manda a casa. - Ma quando parliamo del
RICORSO IN CARENZA stiamo parlando di CONTROLLO GIURIDICO, e quindi dobbiamo
stabilire quando un’istituzione non può essere inattiva, non sul piano politico, ma su quello
giuridico, ovvero quando la mera inattività di un’istituzione costituisce la violazione di una
norma.

Ciò può succedere:


1. ipotesi: Qualora, in violazione dei Trattati, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il
Consiglio, la Commissione o la Banca centrale europea, ma anche gli organi e organismi
dell’Unione, si astengano dal pronunciarsi, gli Stati membri e le altre istituzioni dell’Unione
possono adire la Corte di giustizia dell’Unione europea per far constatare tale violazione.
→ Deve trattarsi della mancata adozione di un atto di qualunque natura (anche
raccomandazione o pareri).
2. ipotesi: Anche una persona fisica o giuridica può adire la Corte per contestare a
un’istituzione, organo o organismo dell’Unione, di avere omesso di emanare nei suoi confronti
un atto, che però non sia una raccomandazione o un parere. In questa ipotesi, può trattarsi
solo di atti a portata individuale.
Quando parliamo di ricorso in carenza parliamo di omissione nei termini di mancata adozione
di un atto. Nell’ sono nominate le istituzioni che possono essere chiamate a rispondere
dell’inattività. A contestare l’inattività possono essere: STATI MEMBRI e le ALTRE
ISTITUZIONI e PERSONE FISICHE possono adire la C.DG per contestare un’omissione.
Però l’omissione deve essere particolare: non deve essere di qualunque atto, ma di un ATTO
DIRETTO, INDIVIDUALE e che non sia una RACCOMANDAZIONE o un PARERE.
Come si attiva il ricorso in carenza?
Innanzitutto, deve verificarsi qual è l’omissione illegittima: deve tradursi nella mancata
adozione di un ATTO DOVUTO, ossia un atto che doveva essere obbligatoriamente adottato.

ESEMPIO ATTO DOVUTO: la Comm.EU ha attivato il ricorso di inadempimento contro uno


Stato. Emana una lettera di messa in mora, emana il parere motivato, ma poi non fa ricorso
alla C. DG, quindi omette un ricorso alla C.DG. C’è un’omissione. Dobbiamo capire se questa
omissione si riferisca ad un atto che doveva essere obbligatoriamente compiuto oppure no.
ESEMPIO ATTO NON DOVUTO: il P.E e il Consiglio devono adottare un atto in materia di
politica commerciale. Il procedimento di adozione di quell’atto impone alle istituzioni di
chiedere un parere alla BCE. La quale deve dare un parere alle istituzioni che devono adottare
l’atto. Immaginiamo che essa non risponda.
Si può adottare l’atto senza il parere? No. Il parere deve essere necessariamente dato.
Quello è un atto dovuto. Quindi se l’atto non viene adottato l’omissione è illegittima. - Ma prima
di rivolgersi alla C.DG bisogna dare all’istituzione la possibilità di ATTIVARSI.
Si manda quindi questa lettera all’istituzione in cui si dice: “Guarda che tu avresti dovuto
adottare questo tipo di atto. Ad oggi non lo hai ancora adottato, sebbene sia trascorso un
ragionevole lasso di tempo per cui la tua condotta costituisce un’omissione illegittima”.
Non si sta dicendo cosa avrebbe dovuto prevedere l’atto, non stiamo individuando il contenuto
dell’atto, ma che avrebbe dovuto adottare un atto, a prescindere dal suo contenuto. Dato che
questo atto non è stato adottato, l’istituzione verrà raggiunta da questa letterina in cui gli dico
che se non adotti l’atto entro due mesi mi rivolgo alla C.DG. Quindi la lettera di messa in mora
serve a consentire alla istituzione che ha omesso l’atto, di fare il suo lavoro. Se l’istituzione nel
tempo di 2 mesi, dal momento in cui ha ricevuto questa lettera di messa in mora, adotta l’atto,
allora tutto si chiude lì.
L’istituzione, quindi, ha un termine di 2 mesi, se scade il termine e l’istituzione non ha fatto
nulla allora a quel punto succede che, il soggetto che ha mandato la lettera di messa in mora,
ha ALTRI 2 MESI per rivolgersi alla C.DG. Quest’ultima verificherà se ci sia stata un’omissione
illegittima.
L’istituzione, nei cui confronti è stata accertata una illegittima inattività, deve attivarsi. La
sentenza ha una portata DICHIARATIVA (un po’ come succede nel caso dell’inadempimento
degli Stati), è l’istituzione a stabilire quali sono i provvedimenti necessari che danno
esecuzione alla sentenza.
È chiaro che se viene accertata la mancata adozione di un atto l’istituzione dovrà emanare un
atto. Ma emanare quell’atto non significa dire cosa quell’atto deve prevedere, ma
semplicemente emanare un atto. Su cosa quell’atto debba prevedere verrò discusso dopo che
l’atto è stato adottato. Fin qui stiamo sanzionando l’inattività.
Quando e se mai l’istituzione adotterà l’atto poi ci sarà il problema successivo,
eventualmente, di verificare che il contenuto dell’atto sia conforme ai trattati e quindi legittimo.
La C. DG non può mai emanare l’atto al posto dell’istituzione che è tenuta a farlo.
•Terzo strumento preposto al controllo sulla validità degli atti dell’UE →RINVIO
PREGIUDIZIALE che può avere ad oggetto la valutazione della legittimità di un atto dell’UE.
Quando questo può succedere? - Quando in realtà una contesa c’è, ma questa contesa è
stata attivata NON davanti alla C.DG, ma davanti ad un GIUDICE NAZIONALE. Vuol dire che
quando noi ci troviamo in una situazione della vita, in cui abbiamo bisogno di rivolgerci ad un
giudice, non è che lo scegliamo in base alla simpatia o qual è il giudice più comodo. Ogni
giudice ha una SFERA DI GIURISDIZIONE e di COMPETENZA → ESEMPIO: se dobbiamo
fare causa a quello che ci ha investito con la macchina a Catania, qual è il giudice a cui
dobbiamo rivolgerci? Quello nazionale di Catania. Ciò perché c’è una DISTRIBUZIONE
TERRITORIALE dei POTERI GIURISDIZIONALI → quindi non andiamo e non possiamo
andare davanti al giudice di Milano perché ogni giudice ha la sua sfera territoriale di
competenza. Ma se dovessimo fare causa all’Agenzia delle Entrate perché ha corretto la
nostra dichiarazione dei redditi e sta chiedendo di pagare un’imposta superiore, da quale
giudice dovremmo andare? Quello competente in funzione della MATERIA. Ogni giudice
decide un certo tipo di controversia. Quando noi dobbiamo accedere alla giustizia, dobbiamo
individuare quel giudice ha abbia giurisdizione a decidere il nostro caso specifico.
Quando si va davanti la C.DG? - Solo in 1 caso: Quando si vuole contestare un atto delle
istituzioni dell’UE che abbia una portata diretta ed individuale nella propria sfera giuridica. Però
essa non è una situazione frequente. - Allora, tutte le volte che abbiamo bisogno, in qualità di
persone fisiche o giuridiche, di rivolgerci alla giustizia, individuiamo un giudice nazionale
competente a conoscere il nostro caso. Ma il Giudice nazionale è un giudice che si inserisce
nel sistema giurisdizionale dell’UE. Nel senso che quando si va davanti al Giudice nazionale,
non è escluso che si chiede ad esso di applicare non norme nazionali, ma di applicare norma
dell’UE. Quindi il G.N si deve destreggiare nell’applicazione, oltre delle norme nazionali, anche
delle norme dell’UE.
La situazione diventa difficile quando una norma, dell’ordinamento dell’UE, si deve applicare in
28 paesi diversi. Perché una stessa norma, una volta che entra in un ordinamento, può subire
un’applicazione diversa da ordinamento ad ordinamento.
Situazione normale che deve essere in qualche modo evitata perché dobbiamo fare in modo
che le norme dell’UE, nella loro applicazione, non vadano a creare situazioni DISCRIMINANTI
→ ciascuno di noi vorrebbe vedersi applicata la norma così come negli altri paesi. • E allora
cosa si fa se un giudice inglese intende una norma in un certo modo, mentre il giudice italiano
la intende in un altro modo? Chi ci dice, tra queste due interpretazioni, qual è quella corretta?
Potrebbero essere entrambe corrette, se guardiamo alla mentalità giuridica che ci sta dietro la
formazione di ciascun giudice. Il problema è che però ne dobbiamo scegliere una. • Chi la
sceglie?
Un organo che ACCENTRI la FUNZIONE INTERPRETATIVA delle norme europee. E questo
organo non potrebbe che essere la C.DG. La C.DG quindi è, nella sua natura NON-
CONTENZIOSA, un giudice che non risolve controversie, ma è un giudice che si limita a
fornire l’unica INTERPRETAZIONE CORRETTA delle norme europee che i giudici nazionali
devono applicare.
ESEMPIO: una direttiva dell’UE che regola il risarcimento delle vittime di reato. Essa è divisa
in due parti:
1. Disciplina un aspetto PROCEDURALE: ovvero ci dice:” quando un cittadino dell’UE, che
vive stabilmente in uno Stato, si sposta temporaneamente in un altro Stato (vacanza, visita
ecc…) e in quell’altro Stato subisce un reato.
Il risarcimento deve chiederlo davanti al giudice dello Stato in cui ha subito il reato. In virtù del
PRINCIPIO DI SOVRANITÁ degli Stati è lo Stato a rispondere di quello che succede nel
proprio territorio. Bisogna però rendersi conto di quanto sia difficile per questo soggetto, che
deve rientrare nel suo Stato di appartenenza, mettersi in contatto con l’ordinamento dello Stato
dove è stato commesso il reato. Ad esempio, l’italiano, che ha subito il reato a Parigi, piuttosto
che rivolgersi al giudice francese, si rivolgerà all’autorità giudiziaria italiana che, attraverso un
costante collegamento con le autorità francesi, garantirà a questa povera vittima l’accesso alla
giustizia.
2. Gli Stati sono tenuti a risarcire i danni quando l’autore del reato rimane IGNOTO o quando è
NULLATENENTE. Ciò significa che questo tizio italiano, che ha subito il reato in Francia,
individua l’autore del reato, ma è un povero nullatenente che non gli potrà mai dare nessuna
forma di risarcimento.

È lo Stato, nel cui territorio si è verificato il reato, a risarcire.


Ma se noi in Italia subiamo un reato, e l’autore del reato rimane ignoto o è nullatenente,
facciamo domanda allo Stato italiano per ottenere il risarcimento? No, perché a parte
situazioni eccezionali, non esiste nell’ordinamento (almeno non in quello italiano) un principio
di carattere generale in funzione della quale, se uno subisce un reato e questo non gli viene
risarcito, può chiedere il risarcimento allo Stato. → non esiste un INTERVENTO
SOSTITUTIVO DELLO STATO, se non in casi eccezionali in cui esiste un’apposita legge, in
cui lo Stato si fa carico di risarcire. Questa direttiva quindi ci dice che gli Stati devono istituire
SISTEMI D’INDENNIZZO GENERALE per tutti i tipi di reato: quindi a prevedere l’intervento
sostitutivo dello Stato per qualunque tipo di reato. o Ma lo Stato deve prevedere l’indennizzo
per tutti i tipi di reato per QUALUNQUE VITTIMA o a favore soltanto delle vittime che
subiscono un reato in uno Stato diverso rispetto a quello dove abitualmente risiedono?
Questo esito è quello a cui giunge il G.N sulla base di una interpretazione fornita dalla C.DG,
che NON HA RISOLTO LA CONTESA, la contesa è lì ferma che non si risolve se prima non si
ottiene dalla C.DG quella interpretazione che è stata richiesta. Abbiamo quindi individuato
quali sono le funzioni, le condizioni e gli effetti del rinvio pregiudiziale. Adesso li vediamo nel
dettaglio e li analizziamo nella loro dimensione tecnica:
1. FUNZIONE: Serve a garantire l’uniforme interpretazione e applicazione delle norme
dell’Unione negli Stati→ perché se non facciamo sì che tutte le norme vengano interpretate
allo stesso modo arriveremo nella situazione in cui uno viene pagato per il danno subito e
l’altro no, in situazioni perfettamente identiche.
2. CONDIZIONI: Chi può sollevare il rinvio pregiudiziale? Solo un G.N di uno STATO
MEMBRO. Infatti è uno strumento di dialogo tra G.N e C.DG. o Quando il G.N può sollevare il
rinvio?
ESEMPIO: immaginiamo un giudice prossimo alla pensione e quindi che quando si è formato
non esisteva il diritto dell’UE. Questo povero giudice si sta studiando la materia per
aggiornarsi, deve risolvere un caso, magari il fratello gli ha chiesto una consulenza, ma non ha
capito bene l’interpretazione di una certa norma e solleva il rinvio pregiudiziale.
Lo può fare che, al di fuori dall’esercizio delle sue funzioni, un giudice possa sollevare il rinvio?
No, il giudice può sollevare il rinvio solo quando ha davanti una CONTESA EFFETTIVA, c’è un
PROCESSO PENDENTE, quindi è aperto e non è ancora concluso, non c’è un esito - rinvio
PRE-GIUDIZIALE: il dubbio interpretativo deve essere risolto prima della sentenza. Quindi se
il giudice per sua mera curiosità vuole risolvere un DUBBIO INTERPRETATIVO, non può fare
niente.
1. Condizione: PROCESSO IN CORSO. Ma questa condizione da sola non basta: non sempre
un giudice, quando è chiamato a dirimere una controversia, deve applicare norme europee.
Quindi può sollevarlo quando:
2. Condizione: LA NORMA (EUROPEA) SERVE A RISOLVERE IL CASO. Se il G.N non deve
applicare nessuna norma europea, non può avere, ai fini di quella controversia, nessun
interesse a risolvere un dubbio interpretativo di quella norma europea. Gli interessa saperlo
solo se reputa che quella norma sia rilevante ai fini del decidere l’esito finale di quella causa.
3. Condizione: Ci deve essere un DUBBIO INTERPRETATIVO. Ossia la possibilità che la
portata di una norma non sia chiara oppure la portata di una norma può essere interpretata in
modi diversi.
Modi che in astratto potrebbero essere tutti corretti, ma siccome dobbiamo garantire l’uniforme
interpretazione, bisogna sceglierne una che sia quella che tutti i G.N devono applicare.
Solo in presenza di questi condizioni, che la C.DG verifica che ci siano, il giudice ferma il
processo nazionale, lo sospende. E pone alla C.DG il quesito interpretativo, solleva il R.P 70,
nel sollevarlo il G.N racconta alla C.DG il caso che deve risolvere. Ciò perché da quel racconto
la C.DG verifica se sussistano le varie condizioni di ammissibilità del rinvio. - Se esse
sussistono, la C.DG deve rispondere al quesito formulato dal G.N, significa che se il G.N deve
applicare un atto dell’UE che contiene 50 norme, ma gli ha posto un quesito interpretativo solo
sulla 3 di queste norme, la C.DG risponderà solo a quello. Quindi la C.DG risponde in maniera
PRECISA alla domanda che gli viene posta.
La C.DG non può pronunciarsi oltre a quello che gli è stato richiesto. - A quel punto la C.DG,
una volta che verifica la sussistenza delle condizioni, risponde con una sentenza in cui dice:”
Caro giudice, questa norma significa questo, in un caso come quello tuo, va interpretata in
questo modo.” Il giudice, che ha sospeso il giudizio per sollevare il rinvio, non può definire la
causa se prima non interviene la sentenza della C.DG.
Storicamente si sono verificati una serie di casi che hanno portato la C.DG a precisare quali
sono le condizioni per sollevare il rinvio:
ESEMPIO: noi diciamo che ci deve essere un DUBBIO INTERPRETATIVO. Ma chi è che ci
dice quando c’è un dubbio interpretativo? Un giudice, soltanto perché vuole sperimentare
l’esperienza del rinvio pregiudiziale, e si ritrova a dover applicare una norma europea si
inventa un dubbio interpretativo e si rivolge alla C.DG.
La C.DG risolve soltanto dubbi, ma se non ci possono essere dubbi perché la norma può
significare soltanto una cosa, il giudice non deve sollevare il rinvio. Perché la C.DG è arrivata
a fare questa affermazione?
Perché l’ART.267 TFUE, dice che: in ogni ordinamento ci sono più GRADI DI GIUDIZIO, che
sono quelle occasioni che ha una parte di far VALERE LE SUE ASPETTATIVE. Ma di solito
una sentenza di PRIMO GRADO può essere impugnata, ossia che ci si rivolge ad un altro
giudice, di grado superiore per la stessa causa. Si attiva un SECONDO GRADO DI GIUDIZIO:
si va a dire al giudice di 2 grado di modificare la sentenza, perché il giudice di 1 grado ha
sbagliato nel decidere in quel senso. Quindi l’IMPUGNAZIONE, non serve a rimettere in
discussione un giudizio, serve eventualmente a CORREGGERE GLI ERRORI che il GIUDICE
DI 1 GRADO ha commesso. - E il nostro ordinamento conosce addirittura un 3 grado di
giudizio. Bisogna stare attenti perché non si tratta di una causa diversa per ogni grado di
giudizio, ma è sempre la stessa.
Ma di fronte ad un giudice che non osserva una norma dell’UE, che cos’è l’ART.267?
Una norma dell’UE, che impone al giudice di conformarsi alle sentenze interpretative della
C.DG. Il giudice non lo ha fatto e ha violato una norma europea. Il giudice è un organo dello
Stato, l’unica cosa che si può fare è utilizzare lo strumento che ci permette di sanzionare lo
Stato: RIRCORSO D’INADEMPIMENTO contro lo Stato, il cui organo è venuto meno
all’osservanza di una norma europea.
In esso, le sanzioni scattano solo in certi casi, che è più corretto dire che: SCATTA LA
RESPONSABILITÁ INTERNAZIONALE DELLO STATO per inadempimento rispetto agli
obblighi che si era assunto.
RINVIO PREGIUDIZIALE DI VALIDITÁ:
1. Serve un giudice. Se è di ultimo grado ha l’obbligo di sollevarlo, se è di primo o secondo
grado ha solo la facoltà di farlo.
2. Ci deve essere un processo pendente.
3. Ci deve essere la rilevanza della norma europea ai fini della decisione.
Quello che cambia è il DUBBIO, che non è interpretativo, ma è di VALIDITÁ.
A) Interpretativo: una norma ha una portata che non è chiara oppure una norma potrebbe
essere interpretata in più modi e non siamo sicuri di quale sia quello corretto;
B) Validità: intendiamo dire che la norma europea potrebbe essere VIZIATA.

Cosa si fa quando un atto dell’UE è viziato? Si impugna con il RdA, che va attivato:
I.Entro 2 mesi dalla CONOSCENZA LEGALE dell’atto;
II. A seguito dell’IDENTIFICAZIONE DI VIZI ben precisi;
III. Se il SOGGETTO è LEGITTIMATO ad attivarlo (ricorrenti privilegiati, semi-privilegiati,
non-privilegiati).

Immaginiamo che c’è un atto che non è mai stato impugnato da nessuno, sono passati 2
mesi e non può più essere impugnato.
ESEMPIO: c’è un individuo che potrebbe impugnare quell’atto (non privilegiato, quindi lo
riguarda direttamente ed individualmente), ma non lo impugna. Allora si inventa una causa
davanti ad un G.N e chiede a lui di sollevare un Rinvio pregiudiziale di validità per indurre
la C.DG ad accertare che l’atto è viziato.
Lo può fare?
-Sul piano astratto sì. Il RPV serve anche a porre alla C.DG questioni di validità o di
illegittimità. Tutto quello di cui abbiamo parlato riguardo ai vizi degli atti e al RdA, lo
possiamo richiamare in questa occasione.

Qual è la differenza?
- È che lì siamo andati direttamente davanti la C.DG, qui invece davanti al G.N, che deve
risolvere una causa e in quella causa deve applicare un atto. Il G.N ritiene che quell’atto sia
viziato.
Quali sono i vizi?
- Incompetenza, violazione forme sostanziali, sviamento di potere, violazione P.S e P.P,
violazione ART.40.

La C.DG verifica le varie condizioni, se ci sono queste tre condizioni decide, ma cosa
decide?
- NON PUÒ ANNULLARE L’ATTO, perché essa può farlo solo se esercita una
COMPETENZA CONTENZIOSA. Con il Rinvio pregiudiziale di validità non può annullare
l’atto, ma la sentenza che da è sempre una sentenza NON CONTENZIOSA.

Che cosa dirà la C.DG in questo contesto al G.N?


-“Quest’atto dell’UE effettivamente è viziato, contiene questo vizio per queste ragioni” ma
non lo può annullare l’atto. Sulla base di quella sentenza il G.N è autorizzato a NON
APPLICARE L’ATTO. L’atto rimane in vita, ma siccome la C.DG gli ha detto che l’atto è
viziato, non lo applica → MERA DISAPPLICAZIONE DELL’ATTO (c’è ma non si applica).

La conformità delle norme nazionali al Diritto dell’UE


Il Rinvio pregiudiziale di validità costituisce uno STRUMENTO DI DIALOGO tra i Giudici
nazionali e la C.DG.
Il suo scopo è quello di garantire l’UNIFORME E CORRETTA APPLICAZIONE DELLE
NORME dell’ordinamento dell’UE in tutti gli Stati membri.
Esso esplica un altro effetto indiretto che è quello di GARANTIRE LA CONFORMITÁ
DEGLI ORDINAMENTI NAZIONALI rispetto alle NORME DELL’UE. Tale effetto viene
garantito attraverso due operazioni:
1. Ogni norma europea OBBLIGA gli organi degli Stati ad INTERPRETARE IL DIRITTO
NAZIONALE IN MODO CONFORME AD ESSA (Obbligo d’interpretazione conforme);
2. Se nell’Ordinamento nazionale è presente una norma nazionale incompatibile con le
norme dell’UE, nel senso che la sua applicazione porta inevitabilmente a disattendere
quest’ultima, il G.N DOVRÁ DISAPPLICARE LA NAZIONALE e APPLICARE L’EUROPEA,
se di immediata applicabilità.
LA FUNZIONE CONSULTIVA DELLA C.DG
Accanto alle competenze GIURISDIZIONALI, alla C.DG è rimessa un’ulteriore
competenza: FUNZIONE CONSULTIVA. Essa persegue i medesimi scopi delle prime
competenze nominate: GARANTIRE che l’AZIONE dell’UE sia CONFORME ai TRATTATI
e a qualsiasi REGOLA DEL DIRITTO relativa alla loro APPLICAZIONE.
 PIANO INTERNO → CONTROLLO DI LEGITTIMITÁ: a presidio della garanzia che
l’azione dell’UE sia legittima è previsto il controllo sugli atti dell’UE, che le istituzioni
adottano, da parte della C.DG. Il suo è però un CONTROLLO SUCCESSIVO → alla C.DG
non è attribuito il potere di impedire, in via preventiva, l’adozione di un atto viziato, ma le è
conferito il potere di ABROGARLO DOPO CHE è ENTRATO IN VIGORE.

 PIANO ESTERNO→ FUNZIONE CONSULTIVA: l’UE NON può VINCOLARE con propri
atti uno STATO TERZO: può solo indurlo a stipulare un ACCORDO INTERNAZIONALE
con il quale si formalizza una specifica ASSUNZIONE DI OBBLIGHI da parte di entrambi
le parti che decidono di auto-vincolarsi. - Un vincolo NON può essere
UNILATERALMENTE MODIFICATO o ESTINTO: se le istituzioni europee si vincolassero
ad un A.I79 con uno Stato terzo e poi questo fosse incompatibile con i Trattati, non
potrebbero modificarlo o sciogliersi dallo stesso senza il consenso dell’altra parte
contraente. → alla C.DG è preclusa la possibilità di mettere nel nullaosta un Accordo
internazionale.
L’unico modo per evitare un’ipotesi di contrasto di un accordo internazionale rispetto ai
Trattati è quello di impedire, in via preventiva, che questo acquisti efficacia e diventi
vincolante per l’UE → per tale obiettivo, la C.DG può essere chiamata ad esprimere un
PARERE circa la compatibilità di un progetto d’accordo con i Trattati.
Tale procedimento può essere attivato dagli:
1. Stati membri;
2. Parlamento europeo;
3. Consiglio;
4. Commissione EU.
Esso si conclude con l’emissione di un parere con il quale la C.DG verifica se il progetto
d’accordo è compatibile o meno. Nonostante il fatto che il parere non ha portata
vincolante, e quindi non ha efficacia decisoria, esso ha comunque EFFETTO OSTATIVO:
se la C.DG emette un parere POSITIVO, l’accordo POTRÁ essere STIPULATO e quindi
entrerà IN VIGORE (rimanendo salva la facoltà delle istituzioni a cui compete la stipula
dell’atto di non farlo). Se dovesse esprimere un parere NEGATIVO, questo IMPEDISCE al
progetto d’accordo di entrare IN VIGORE. L’unico modo per permettere al progetto di
accordo dichiarato incompatibile di entrare in vigore è quello di ELIMINARE LA CAUSA
dell’incompatibilità tra lo stesso e i trattati.
a) Modificando la disposizione o le disposizioni dell’accodo incompatibile;
b) Modificando le norme dei Trattati che ostano all’entrata in vigore del progetto
d’accordo attraverso un procedimento di revisione.
Cap 9. L’Unione, ente internazionale di Stati al quale partecipano anche gli individui: la
dimensione interindividuale.
Una significativa caratteristica dell’Unione consiste nel fatto che l’atto fondativo
dell’Organizzazione non crea solo diritti e obblighi fra le parti contraenti, ma si propone di
dar vita a un tessuto sociale sostenuto da un’originale forma di integrazione fra
ordinamenti distinti e al tempo stesso coordinati.
L'attenzione alla dimensione interindividuale è dovuta anche al carattere democratico
dell'apparato, al quale gli Stati hanno conferito penetranti poteri anche nei confronti della
comunità sociale da essi governata: ciò è confermato da una norma che dichiara di voler
considerare l'Unione fondata “sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia e dell'uguaglianza, ecc.”, dando vita a “una società caratterizzata dal
pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, ecc”.
L’obiettivo dell'Unione è quello di dare all’organizzazione un'impronta costituzionale: di
considerare la persona al centro dell'attività del governo europeo. Inoltre, i valori sono
comuni agli Stati membri, quindi è venuto a determinarsi un intreccio normativo fra tutti gli
ordinamenti coinvolti nel processo di integrazione europea che concorre ad arricchire la
legittimazione democratica di questa organizzazione.
L'aspetto più critico dell'Unione è quello del deficit democratico di cui sarebbe afflitta per la
sua forte componente intergovernativa e della quale essa non può privarsi. Si tratta di un
deficit che riguarda innanzitutto il processo di adozione degli atti normativi che si
indirizzano all'individuo, che sarebbe in grado di pregiudicare l'idoneità dell'Unione di
rispettare quel principio dello Stato di diritto comune a sé e ai propri Paesi membri, che
prende il nome di principio di legalità: afferma che tutti gli organi sono tenuti ad agire
secondo la legge. Tale principio ammette che il potere venga esercitato in modo
discrezionale, ma non in modo arbitrario. Con il Trattato di Lisbona il principio di legalità è
stabilito anche negli art. 2 TUE e 49 della Carta dei diritti fondamentali.
La legalità della norma di portata legislativa che ha origine nell'ordinamento dell'Unione e
che viene applicata entro gli ordinamenti nazionali è garantita dalla compenetrazione di
livelli di governo: quello dell'Unione e quello degli Stati membri.
Quando l'atto normativo dell'Unione è direttamente applicabile la garanzia della sua
legalità formale dipende da 2 condizioni:
• l'atto deve essere fondato sopra una fonte nazionale di rango almeno legislativo che ha
autorizzato la ratifica del Trattato e che ha dato esecuzione anche alla norma in esso
contenuta.
• l'atto legislativo dell'Unione deve essere frutto di un procedimento di adozione che
associa il PE al Consiglio dell'Unione.
La democraticità formale è garantita anche dal passaggio di ogni proposta, di atto
legislativo dell'Unione, di fronte ai parlamenti nazionali; nonché dagli istituti di democrazia
partecipativa accolti nell'ordinamento dell'Unione.
Quindi la garanzia formale della legalità della normativa che origina nell'ordinamento
dell'Unione è data dalla compenetrazione di livelli di governo diversi quello dell'Unione e
quello dei singoli Stati membri.
Per quanto riguarda le caratteristiche intrinseche della produzione normativa europea,
occorre fare riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo,
secondo la quale il principio di legalità si concreta nel rispetto dei principi di
determinatezza e di tassatività. Si tratta di principi che implicano in concreto la
prevedibilità delle conseguenze che discendono dalla norma stessa, dunque la certezza
del diritto. Tale certezza sarà conseguita dalla norma legislativa europea se le
caratteristiche di determinatezza e tassatività siano osservate dalla stessa norma
dell'Unione quando dotata di efficacia diretta.
Nell'Europa occidentale i diritti umani sono avvertiti come un valore fondante dell'ordine
politico di ciascun ordinamento statuale.
Per questo motivo, gli sviluppi in materia di protezione dei diritti fondamentali della
persona sono percepiti come il primo fondamentale tassello in un processo di
costituzionalizzazione delle forme giuridiche della cooperazione fra gli Stati membri
all'interno della stessa, che resta pur sempre cooperazione intessuta sul piano del diritto
internazionale.
Oggi, la comunità politica organizzata entro l’Unione ha già una propria costituzione
sostanziale, la quale emerge dalla idoneità dei Trattati istitutivi dell'Unione a porsi quale
regola suprema alla luce della quale misurare la conformità di ogni comportamento dei
soggetti del loro ordinamento: regola che indica gli obiettivi, i fini dell’Ente e i suoi valori
fondanti.
I fenomeni che hanno segnalato il processo di costituzionalizzazione dell'Unione
Europea
La cittadinanza europea: è «cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno
Stato membro», di conseguenza è straniero chiunque non gode di quest'ultima. La
cittadinanza Europea si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce.
I cittadini europei godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei Trattati. Essi
hanno: il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, il
diritto di elettorato attivo e passivo per l'elezione del PE, il diritto di tutela diplomatica, il
diritto di presentare petizioni al PE, ecc.
Nell'ordinamento dell'UE convivono i 2 principali criteri per riconoscere lo status giuridico
della persona, essi sono:
• quello che assicura alla persona, tramite la cittadinanza nazionale, la continuità del
proprio status giuridico: la persona è apprezzata sul piano giuridico in funzione dei diritti e
obblighi che il singolo ordinamento giuridico nazionale le attribuisce.
• il criterio che privilegia la situazione fattuale: dal diritto comunitario è apprezzato il
collegamento della persona con il contesto fisico in cui essa viene a collocarsi.
Si hanno quindi 2 prospettive: viene valorizzata l'identità nazionale, che resta
indifferenziata nonostante gli spostamenti della persona nello spazio europeo; ma si
accorda rilievo anche al valore dell'inclusione nella comunità territoriale di arrivo.
Quindi con la cittadinanza europea si rafforza una categoria di «stranieri privilegiati»:
cittadini di uno Stato membro, non nazionali dello stato di residenza, ma titolari del diritto
di «trattamento nazionale», sulla base del principio di non discriminazione fondante il
processo di integrazione europea.
Il contributo del diritto internazionale dei diritti dell'uomo.
A partire dal principio di non discriminazione intrecciata al principio di dignità, l’Unione e gli
Stati membri sono vincolati al rispetto di un pacchetto di diritti fondamentali dello straniero
entro l'Unione, nonché entro il proprio ordinamento nell'attuazione del diritto comunitario,
nella stessa misura in cui tali diritti fondamentali sono garantiti al cittadino.

Con la cittadinanza residenziale si auspicava che si potesse farvi transitare lo straniero


non privilegiato, il cittadino dello Stato Terzo, se residente regolarmente e stabilmente nel
territorio dell'Unione. Nell'ambito dell'obiettivo di offrire alle persone lo spazio di libertà
sicurezza e giustizia l’UE assegna alle istituzioni europee la responsabilità di adottare una
politica comune in materia di accoglienza dello straniero, avendo di vista la realizzazione
di un'area di libera circolazione della persona in quanto tale, non del solo cittadino degli
Stati membri.
Questo processo di assimilazione è stato ostacolato dai fatti di terrorismo verificatesi tra il
2001 e il 2005. Al fine di bilanciare le diverse esigenze di inclusione dello straniero nello
spazio pubblico europeo e la ricerca di sicurezza collettiva entro gli Stati. Sono state
adottate 2 dinamiche: l'espansione della discrezionalità di ciascuno dei Paesi membri nel
determinare le politiche di ingresso dello straniero entro i confini nazionali; e un approccio
selettivo nell'accoglienza di questi. Sino a oggi non è stata percorsa con convinzione la via
di costruire una nozione autonoma di cittadinanza europea fondata sul criterio della
residenza, cioè non si è considerato opportuno attribuire un nucleo di diritti e doveri
fondamentali che il migrante acquisisce gradualmente nel corso di un certo numero di
anni, in modo da garantire che questi goda dello stesso trattamento concesso ai cittadini
del Paese ospitante.
L’Unione persegue l’obiettivo di progressiva equiparazione del trattamento dello straniero
residente nell'Unione a quello dei cittadini: si tratta di un processo avviato nella prospettiva
della costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.Il criterio della residenza e
della dimora abituale è da tempo accolto. L'attuale applicazione della decisione quadro sul
mandato d'arresto europeo comporta che cittadinanza e residenza siano criteri pari
ordinati, grazie ai quali individuare l'ordinamento che garantisca le migliori condizioni per il
recupero sociale del ricercato e del condannato. Si fa così l'obbligo all'autorità giudiziaria
nazionale di effettuare una valutazione complessiva di una serie di elementi oggettivi che
qualificano la condizione della persona (la durata e la natura del soggiorno della persona
richiesta nel Paese, le modalità della sua permanenza e i legami familiari ed economici
che intrattiene).Rimane una questione da affrontare quella relativa alla necessità di
avviare un processo di armonizzazione delle normative nazionali in tema di accoglienza
dello straniero e in tema di acquisto e revoca della cittadinanza nazionale. Ciò
consentirebbe di affrontare con un minor grado di disomogeneità su base spaziale le
condizioni di accesso alla cittadinanza europea.Per quanto riguarda i flussi migratori di
stranieri irregolari, l'Unione ha apprestato una politica fondata su misure di rimpatrio
(quando questo provvedimento sia possibile perché non suscettibile di determinare
violazione di diritti della persona) e su misure di contrasto alle condotte criminose.
Le soluzioni: si tratta di agire su un triplice fronte: occorre evitare che gli Stati membri e
l'Unione si rendano responsabili della violazione degli obblighi di protezione assunti con la
stipulazione della convenzione di Ginevra del 1951 sullo stato di rifugiato. In secondo
luogo, dovrà essere ripreso il percorso per dotare l'unione di una politica comune in
materia di immigrazione economica. Infatti, dovranno essere valorizzate le azioni
intraprese per contrastare condotte quali favoreggiamento all'immigrazione clandestina e
la tratta internazionale di persone.
Nella tradizione giuridica dell’Europa occidentale I diritti umani sono una componente
integrante del concetto di democrazia. Gli sviluppi in materia di protezione dei diritti
fondamentali della persona sono percepiti come una marcia di avvicinamento, come il
primo tassello di un processo di costituzionalizzazione delle forme giuridiche della
cooperazione fra Stati membri dell’Ue all’interno della stessa. Nel contesto internazionale il
concetto di costituzione deve essere utilizzato nella sua accezione giuridico-materiale,
ovvero è costituzione quella parte di un qualsiasi ordinamento giuridico che comprende I
principi fondamentali di esso, che lo caratterizzano rendendolo unico e irripetibile rispetto
ad ogni altro; e poi quella una nozione descrittiva di costituzione che guarda all’intrinseca
natura del fenomeno , a ciò che costituisce un ordinamento nei suoi aspetti essenziali. In
questa prospettiva deve essere inquadrato il Trattato costituzionale, esso non aveva lo
scopo di modificare la natura dell’Unione trasformandola da ente internazionale a sintesi
politica di tipo statuale; piuttosto organizza la cooperazione internazionale degli Stati
membri secondo forme rispettose dei valori e dei principi dello Stato di diritto che sono
andati radicandosi a partire dal Trattato di Parigi del 1951.
Il cittadino europeo e lo straniero
È “cittadino dell’Ue chiunque abbia la cittadinanza di uno stato membro”; di conseguenza
è straniere chiunque non goda di quest’ultima. La cittadinanza europea “si aggiunge alla
cittadinanza nazionale e non la sostituisce” (artt. 9 TUE e 20 TFUE). I cittadini europei
godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei Trattati e hanno tra l’altro diritto di
circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; il diritto di elettorato
attivo e passivo per le elezioni del parlamento europeo e dei consiglio comunali nel luogo
di residenza invece che nello stato di cittadinanza. Con la cittadinanza europea emerge un
tipo di legame politico che privilegia modelli diversi di inclusione della persona. Si
appartiene ad un territorio, a una cultura, a un insieme di valori e infine ad una comunità
definita non più da confini nazionali ma a livello internazionale. Nell’ordinamento dell’Ue
convivono due principali criteri utili a riconoscere status giuridici alla persona:
1. Vige lo status che assicura alla persona tramite la cittadinanza nazionale la continuità
del proprio status giuridico: la persona è apprezzata sul piano giuridico in funzione dei
diritti, degli obblighi, delle responsabilità che il singolo ordinamento nazionale di
appartenenza le attribuisce;
2. Vige il criterio che privilegia la situazione fattuale: dal diritto comunitario è apprezzato il
collegamento della persona con il contesto fisico in cui essa viene a collocarsi.
Si fronteggiano dunque due diverse prospettive: viene valorizzata l’identità nazionale, che
rimane indifferenziata nonostante gli spostamenti della persona nello spazio europeo ma
allo stesso tempo si ha l’inclusione nella comunità territoriale di arrivo.
La cittadinanza residenziale come snodo per l’assimilazione dello straniero al cittadino
europeo. Questo tipo di cittadinanza aveva creato grandi aspettative anche nelle comunità
di persone provenienti da Stati terzi rispetto all’Unione, che si andavano insediando nel
territorio dei Paesi membri di questa. Si auspicava che si potesse fare transitare anche lo
straniero non privilegiato, il cittadino dello stato terzo se residente regolarmente e
stabilmente nel territorio dell’Unione. Si sarebbero potute sostenere entro l’Ue politiche
inclusive dello straniero residente di
lungo periodo, che si riconosce nei valori e nei principi di convivenza accolti dai cittadini
degli Stati membri di questa regione del mondo. Si era voluto avviare un percorso che
avrebbe condotto alla necessità di dotare l’Unione di un catalogo proprio di diritti
fondamentali della persona: e infatti la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione riconosce
a tutte le persone, indipendentemente dalla nazionalità diritti civili, economici, sociali,
culturali nonché libertà fondamentali, riservando un trattamento privilegiato al cittadino
europeo solo in materia di titolarità ed esercizio dei diritti politici. La giurisprudenza della
corte di giustizia aveva contribuito a questo processo virtuoso di universalizzazione dei
diritti fondamentali. Si ricordano due importanti pronunce. Con la prima la Corte ha
riconosciuto il diritto di elettorato attivo e passivo a determinate persone, con la seconda
ha esteso al residente non cittadino del Paese membro il diritto alla protezione diplomatica
e consolare. Peraltro, I diritti riconosciuti alla persona in virtù dello status di cittadini
europei sono stati estesi dalle stesse disposizioni dell’Unione allo straniero “non
comunitario”.
Verso una progressiva assimilazione dello straniero al cittadino europeo?
Rileva anche il Programma adottato il 15-16 ottobre 1999 dal Consiglio europeo di
Tampere, in esatta coincidenza con l’introduzione della finalità di fare dell’Unione uno
spazio di libertà, di sicurezza e giustizia, nonché le diverse comunicazioni della
Commissione dedicata alla cittadinanza civile: nel definire le tappe della costruzione dello
spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il quinquennio 1999-2004, questi documenti
indicavano come obiettivo il conseguimento di una progressiva assimilazione dei diritti del
cittadino straniero a quelli del cittadino europeo.
L’interruzione del processo di assimilazione
Il percorso virtuoso intrapreso si è interrotto in tempi rapidi. Probabilmente a causa dei fatti
di terrorismo accaduti tra il 2001 e il 2005 o per La ricerca di un bilanciamento diverso fra
esigenze di inclusione dello straniero nello spazio pubblico europeo e ricerca collettiva di
sicurezza entro gli Stati. Sono state privilegiate due diverse e convergenti dinamiche:
l’espansione della discrezionalità di ciascuno dei Paesi membri nel determinare le politiche
di ingresso dello straniero entro I confini nazionali; un approccio selettivo nell’accoglienza
di questi. Insomma sino a oggi non è stata molto convincente costruire una nozione
autonoma di cittadinanza europea fondata sul criterio della residenza, ovvero non si è
considerato opportuno attribuire a un nucleo di diritti e doveri fondamentali che il migrante
acquisisce gradualmente nel corso di un certo numero di anni, in modo che possa godere
dello stesso trattamento concesso ai cittadini del Paese ospitante. Una tale cittadinanza
avrebbe consentito di costituire un collegamento con la comunità politica di accoglienza di
colui che si fosse stabilito sul territorio di uno Stato membro. Si sarebbe avviato dentro
l’Unione un processo di integrazione dello straniero tramite I diritti. Il PE ha sostenuto
posizioni avanzate: ha riconosciuto l’intangibilità della norma di diritto internazionale
generale secondo la quale spetta agli Stati determinare i confini soggettivi della propria
comunità territoriale, ha indicato l’obiettivo prioritario di agevolare l’acquisizione della
cittadinanza da parte dello straniero regolarmente residente e l’esigenza pressante di
conseguire un reciproco coordinamento nei criteri di attribuzione della cittadinanza
nazionale.
La diluizione dello status di cittadino europeo
Si è viceversa assistito a uno svuotamento dell’istituto della cittadinanza europea. Vi
furono dei fatti di commercializzazione della cittadinanza, ovvero la cittadinanza europea
era in vendita. Si trattava di valutare la vendita da parte di alcuni Stati membri della
cittadinanza nazionale, ciò comportando a vantaggio degli acquirenti anche il
riconoscimento della cittadinanza europea. Ciò pregiudica la fiducia reciproca fra
amministrazioni nazionali; compromette anche il principio di leale cooperazione tra gli Stati
membri; altera il funzionamento dello spazio Schengen. Il dato di maggiore sconcerto
dipende dal fatto che la cittadinanza maltese viene venduta anche senza alcun genuine
link fra la persona e il territorio dello Stato: ovvero, la cittadinanza europea è di
conseguenza, goduta anche da chi non risiede nello Stato membro, da chi non ha nessun
collegamento con l’ordinamento dell’Unione. È evidente come un’operazione del genere
riduca la carica innovativa dell’istituto di cittadinanza europea, impoverendone I contenuti
ideali. Ugualmente riduttiva della portata dello status di cittadino europeo è la prassi
adottata nell’occasione degli ultimi allargamenti dell’Unione europea agli Stati del centro e
dell’est Europa. I trattati hanno infatti stabilito un periodo transitorio entro il quale
l’adeguamento alle disposizioni convenzionali avrebbe dovuto verificarsi con gradualità
nell’adempimento degli obblighi. Tuttavia, anche se si voleva costruire uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione, si è permesso che venissero distinti cittadini
europei di pieno diritto (ovvero I cittadini nazionali degli Stati membri dell’Organizzazione
prima del 2005) e cittadini europei di seconda categoria, quelli appartenenti a Stati membri
di nuova adesione. L’esito è consistito nell’aver spezzato l’unita del concetto di
cittadinanza europea, indebolendo l’istituto sia dal piano concettuale che su quello della
progettualità politica.
L’emersione di molteplici status determinati dall’impiego del criterio della residenza
L’ordinamento dell’Unione europea si è incamminati verso il processo di progressiva
equiparazione del trattamento dello straniero residente nell’Unione a quello del cittadino
europeo. Si tratta di un processo avviato nella prospettiva della costruzione dello spazio di
libertà, sicurezza, e giustizia utilizzando sia il piano della normazione che quello
giurisprudenziale. Si consideri per esempio, l’affermazione della Commissione secondo la
quale lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia deve essere un’area in cui tutte le
persone, inclusi I cittadini degli Stati terzi devono veder rispettati I propri diritti e libertà
fondamentali. Ne deriva che la residenza diventa il presupposto per l’esercizio dei diritti da
parte di ciascuna persona in tutto quello spazio europeo. Si tratta di collegare una persona
ad un territorio. Conseguentemente si è proceduto a dare una nozione autonoma di
residenza e di dimora abituale, nonché di soggiornante di lungo periodo, sulla base della
quale determinare se assimilare o meno lo straniero al cittadino nell’applicazione delle
norme dell’Unione. Si pensi per esempio, all’istituto del mandato di arresto europeo in virtù
del quale una persona che ha commesso un reato grave in un Paese dell’Unione ma che
vive in un altro stato membro può essere consegnata da quest’ultimo al primo per essere
sottoposta ad un procedimento penale. La verifica della sussistenza (o dell’insussistenza)
del presupposto della residenza consente di assimilare (o non assimilare) lo straniero al
cittadino.
Competenza in materia penale: le disposizioni contenute nella Carta dei diritti
fondamentali per l’Unione per la materia giudiziaria si applicano ad ogni persona
sottoposta alla giurisdizione di uno stato membro, così ogni straniero è tutelato al pari del
cittadino europeo. Si aggiungono le direttive adottato sino a oggi sulla base della Road
map del Consiglio: esse stabiliscono una disciplina armonizzata per I 28 Stati membri
dell’Unione europea che si applica indipendentemente dalla dimensione transnazionale o
puramente domestica del procedimento, cosicché si distingue ai sensi della disciplina da
esse posta, la condizione del cittadino da quella dello straniero. È stata così superata
un’opposizione manifestata in prima battuta da gran parte degli Stati membri, sulla base
della convinzione che non vi possa essere “differenziazione tra I cittadini dell’Unione
europea e quelli dei Paesi terzi, poiché prevedere per una categoria una tutela migliore
potrebbe provocare critiche riguardi a una discriminazione in tale senso”. Modificando,
l’originaria prospettiva dell’applicazione della decisione sul mandato di arresto europeo
comporta che cittadinanza e residenza siano criteri pariordinati, grazie ai quali individuare
l’ordinamento che garantisca le migliori condizioni per il recupero sociale del ricercato e
del condannato, nonché bilanciando le esigenze repressive tramite la realizzazione di una
sorta di libera circolazione degli imputati e dei condannati.
L’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo
Le ragioni che hanno indotto gli Stati a stipulare accordi internazionali in materia di diritti
umani (cosiddetto processo di internazionalizzazione dei diritti umani) si fonda sull’idea
che un sistema di garanzia esterno possa innalzare il livello di tutela dei diritti fondamentali
della persona entro lo Stato stesso. L’internazionalizzazione dei diritti umani va letta non
come sinonimo di miglior tutela all’interno di un sistema di governo sovranazionale, ma
piuttosto come esternalizzazione della funzione di controllo. Le istituzioni europee nelle
materie di competenza dell’unione hanno il potere di dettare atti vincolanti. Se questi, per
ipotesi, fossero incompatibili con le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
poichè lo stato è vincolato all’osservanza degli atti dell’Unione, questo potrebbe essere
convenuto dinanzi alla corte europea dei diritti umani e potrebbe essere dichiarato
responsabile della violazione nonostante non sia l’autore dell’atto, ma si sia limitato a
darne esecuzione. Si verifica una sorta di parziale dissociazione tra l’effettivo responsabile
della violazione per il semplice fatto che lo stato è parte della convenzione mentre l’unione
no. Sulla base del quadro tracciato la necessità di un sistema di controllo esterno rispetto
all’unione trova supporto in una serie di argomenti, primo tra tutti la circostanza che nelle
materie di competenza dell’Unione I singoli non potrebbero convenire davanti agli organi di
Strasburgo il presunto autore della violazione, venendo così a determinarsi dei vuoti di
tutela. Oggi il trattati sull’Unione europea a seguito delle riforme di Lisbona prevede che
l’Unione aderisca alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali. Posto che l’Unione ha la capacità di stipulare accordi internazionali
non avendo competenza in materia di diritti umani, così come non può emanare atti
giuridicamente vincolanti al suo interno, allo stesso modo non può stipulare accordi
internazionali. Quindi, in linea di principio, non potrebbe stipulare un accordo di adesione
alla Convenzione europea. L’adesione alla Convenzione europea, non modifica le
competenze dell’unione definite nei trattati. Ma la previsione che l’Unione aderisca alla
CEDU concretizza l’intenzione degli Stati membri dell’Unione di annettere
l’Organizzazione a un sistema di controllo esterno. La disposizione che consente
all’Unione di aderire alla Convenzione europea troverà concreta attuazione solo quando
l’Unione europea e gli Stati contraenti la Convenzione avranno stipulato un accordo
internazionale di adesione dell’Unione alla Convenzione. A diversi anni dall’entrata in
vigore del trattato di Lisbona, tale accordo non è stato ancora stipulato. Anzi si prevede
che I tempi per conseguire questo obiettivo siano ancora lunghi. Dopo faticosi negoziati
nell’aprile 2013 è stato presentato il progetto di adesione dellUe alla Convenzione. I nodi
problematici dell’adesione sono: la Convenzione nasce come accordo tra Stati, l’ingresso
di un’organizzazione internazionale nel sistema CEDU deve garantire che siano
preservate le caratteristiche specifiche di quest’ultima e che I meccanismi di controllo della
Convenzione siano attivati correttamente nei confronti dell’Unione o degli Stati senza
alterare la distribuzione di competenze tra questi come stabilità nei trattati dell’Ue. Il
sistema di controllo giurisdizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo Per
comprendere cosa si intende per assoggettamento dell’Unione europea al controllo della
Corte europea dei diritti dell’uomo appare opportuno fare qualche riferimento al sistema
giurisdizionale instaurato dalla CEDU. Tale Convenzione è vista come il sistema più
avanzato di tutela dei diritti umani perché è dotata di un apparati di controllo con poteri
incisivi e penetranti. A differenza dei trattati classici il suo sistema di tutela tende ad
assicurare in nome dei valori comuni e superiori degli Stati la protezione degli interessi
delle persone soggette alla loro giurisdizione e mostra di avere un carattere oggettivo.
Ogni stato ha il potere di controllare il comportamento delle altre Parti all’interno dei
rispettivi ordinamenti e di pretendere il rispetto degli obblighi convenzionali attivando un
ricorso interstatale. In questo sistema, la persona, pur non essendo parte dell’accordo
internazionale grazie ad esso acquisisce una serie di poteri di cui può avvalersi sia davanti
alle giurisdizioni nazionali, sia si vede accordato un autonomo potere di iniziativa con il
quale attivare un procedimento d’accertamento della violazione dei diritti dinanzi alla Corte
europea dei diritti dell’uomo.

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