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IL RENE, L’ACQUA E LA PROSSEMICA DELLE OSMOLI

Un po' di storia…
Quando a metà del ‘900 fu proposta per la prima volta, la teoria sul funzionamento dell’ansa di
Henle, persino Homer W. Smith (fisiologo) ci mise 8 anni per accettarla e condividerla
pubblicamente.

A metà del 1800 l’anatomo-patologo Friedrich Henle descrive per la prima volta l’ansa di Henle
come l’unica porzione curva, a forcina, delle strutture tubulari.

Nella prima metà del ‘900 si consolida la fama di Homer Smith (padre della fisiologia renale), che
propone solo tubuli rettilinei.

Nel 1951 tre fisiologi svizzeri praticamente sconosciuti propongono una teoria in cui il pezzo a
forcina dell’ansa di Henle svolge un ruolo cruciale nel produrre urine concentrate.

Homer Smith non solo li ignorerà a lungo, per poi arrivare a parlarne sollevando molte critiche, e
solo molti anni dopo scriverà un famoso articolo in cui dichiarerà di avere accettato la teoria,
largamente dimostrata da prove sperimentali, e la spiegherà a sua volta nei dettagli.

Le osmoli attive attirano l’acqua, l’acqua attraversa tutte le membrane, e tutte le soluzioni in
comunicazione tra di loro tendono a raggiungere l’equilibrio, mantenendo, in condizioni
fisiologiche, concentrazioni ottimali garantite da adeguate bolle spaziali di acqua intorno a ogni
osmole.
Il liquido interstiziale è il vero milieu (ambiente) del corpo umano e garantisce la vita delle cellule.
Le cause che rendono iperosmolale o ipo-osmolale il liquido interstiziale mettono a rischio la vita
delle cellule perché ne modificano il volume.

Qualcuno deve provvedere, riportando la normalità nel liquido interstiziale perché tutti gli sforzi
dell’evoluzione sono finalizzati a garantire la vita delle cellule. Questo qualcuno è il rene.

Dal momento che plasma e liquido interstiziale si possono considerare pressoché un tutt’uno, la
capacità del rene di regolare la composizione e il volume del plasma, a sua volta si traduce in una
regolazione dei liquidi interstiziali che influenzano le cellule.

Quindi, il rene regola la composizione di tutti i liquidi corporei.


I correttivi essenziali sono semplicemente due:
• Se le soluzioni corporee sono diventate iperosmolali significa che l’acqua non è sufficiente
a garantire bolle spaziali adeguate e quindi dovrà essere aggiunta.
• Se le soluzioni corporee sono diventate ipoosmolali l’acqua è ridondante rispetto alla
quantità richiesta per garantire bolle spaziali adeguate e quindi dovrà essere rimossa.
Il rene provvederà in entrambi i casi o trattenendo l’acqua ed eliminando urine molto concentrate
iperosmolali o eliminando l’acqua in eccesso attraverso urine molto diluite ipo-osmolali.

Prima di tutto, per trattenere o eliminare l’acqua c’è già l’ormone antidiuretico (ADH).
Quest’ultimo è il primo elemento cruciale per trattenere acqua.
È prodotto nell’ipofisi e se le soluzioni corporee sono iperconcentrate ne viene sintetizzato molto,
per cui l’acqua viene trattenuta. Mentre, se le soluzioni corporee sono ipoconcentrate la sua
sintesi cessa, per cui l’acqua in eccesso viene eliminata.

Il principale stimolo alla sintesi di ADH è la variazione dell’osmolarità plasmatica.


La concentrazione di ADH sale progressivamente al salire dell’osmolalità con incrementi anche
solo dell’1% dell’osmolalità e cioè intorno a 3 mOsm/Kg. Mentre a valori di 290 mOsm si attiva
anche il secondo meccanismo di difesa dalla disidratazione che è il senso della sete.

L’ADH modifica la permeabilità all’acqua dell’ultimo tratto del tubulo (il collettore) dove l’ormone
si lega a recettori chiamati acquaporine che sono responsabili del trasporto di vescicole dal
citoplasma alla parete cellulare, dove si apriranno come veri e propri pori che scompariranno
quando si riduce l’ADH nel sangue. Quindi molto ADH, molti pori e viceversa.

Homer Smith però aggiunge “Però certo, l’ADH non basta: apre, sì i pori rendendo la parete
permeabile all’acqua, ma non spinge l’acqua ad attraversare la parete, in quantità proporzionali
alle esigenze. Ci deve essere una pompa attiva che spinge l’acqua dal lume all’interstizio.”

Ma gli svizzeri rispondono che non ci sono prove dell’esistenza di questa pompa attiva. È certo
invece che l’acqua segue le regole dell’osmosi ed è attirata irresistibilmente verso i liquidi più
concentrati. Per cui l’acqua viene riassorbita passivamente per il gradiente osmolare.

E hanno dimostrato, con gli studi di micropuntura, che c’è una concentrazione di osmoli crescente
dalla corteccia verso l’interno del rene, con il massimo di concentrazione raggiunto all’apice delle
papille. Secondo questa teoria è proprio l’ansa di Henle a creare questa condizione di
iperconcentrazione nella midollare profonda.

Dal contorno prossimale esce una preurina con concentrazione iso-osmolare (300 mOsm).
Tutto inizia nella parte ascendente, nella porzione terminale spessa, qui le cellule dell’ansa di
Henle sono riuscite a separare il soluto dal solvente, cioè staccano l’osmole sodio dalla sua bolla
spaziale di acqua grazie ad una pompa specifica che riassorbe il sodio e il cloro e lo spinge dal lume
tubulare all’interstizio, da solo cioè senza acqua. Questo perché la parete di queste cellule è
impermeabile all’acqua.

Se la preurina che arriva dal prossimale ha un’osmolarità di 300 mOsm, il lavoro di queste cellule è
spingere fuori 100 mOsm di cloruro di sodio, riducendo da 300 a 200 l’osmolalità dentro il tubulo e
portando a 400 l’osmolalità fuori. Con un gradiente di 200 tra l’interno del tubulo e l’interstizio che
è diventato ipersosmolare rispetto al lume.

Ma le cellule del tratto discendente hanno caratteristiche opposte (sono completamente


permeabili all’acqua), e quindi l’acqua esce dal tubulo con 300 mOsm per andare nell’interstizio
che ne ha 400 e poi il passaggio passivo dei soluti equilibra le soluzioni ad una concentrazione
uguale tra le due parti.

Quindi le pompe che trasportano attivamente sodio si trovano solo nelle cellule della parte spessa
ascendente dell’ansa di Henle.

La prima volta che la preurina è arrivata all’ansa di Henle siamo passati da 300 mOsm in tutta
l’ansa a 200 nell’ascendente e 400 nella discendente e nell’interstizio. Ma ora nell’ansa continua
ad arrivare un nuovo flusso di preurina iso-osmolare a 300 mOsm.
Il nuovo flusso spinge avanti la colonna incomprimibile di preurina già presente dentro il tubulo
che supera la curva dell’ansa e risale nel tubo ascendente.

La pompa attiva in questa porzione, ripeterà lo stesso lavoro di sempre creando il solito gradiente,
ma questa volta tra una preurina intratubulare di 400 che scende a 300 ed un interstizio che sale
da 400 a 500, così nel tratto discendente la parete permeabile delle cellule porterà ad un
equilibrio di 500 nell’interstizio e nel tubulo. Ma ad ogni istante arriva dal prossimale altra
preurina di 300 mOsm che spinge in avanti la colonna in quel momento presente, per cui nel tratto
ascendente la pompa attiva forma un gradiente tra 400 e 600 e ad ogni strato successivo la pompa
può creare un altro gradiente di 200 mentre nel braccio discendente si equilibrano tubulo ed
interstizio. Ed ecco perché si crea un gradiente tra giunzione corticomidollare e apice delle papille.

L’ansa di Henle è composta da una serie di cellule disposte verticalmente come una scala con tanti
gradini. I singoli effetti di pompa nel tratto ascendente e permeabilità nel tratto discendente si
ripetono ad ogni gradino e quindi il singolo effetto si moltiplica al passaggio al gradino successivo.

Il rene prepara un’urina prefinale disponibile a qualunque cambiamento da farsi attivamente


nell’ultima porzione, il collettore, dove la porosità è discrezionale grazie all’ADH, quindi partendo
da un’osmolalità di 100 all’uscita dall’ansa di Henle tutto si gioca nell’ultima porzione.
L’urina finale rimarrà così diluita o diverrà più concentrata in risposta alle necessità
dell’organismo.

C’era però l’ipotesi che l’ansa di Henle non fosse niente di più che il risultato fortuito
dell’organogenesi. Ma è difficile pensare che sia un risultato fortuito perché compare solo in alcuni
esseri viventi esposti a particolari ambienti, come i mammiferi che devono saper concentrare
l’urina.

Ma come fa questo meccanismo a funzionare, se fosse vero il processo andrebbe aventi all’infinito
e l’osmolarità all’apice crescerebbe senza limiti?
La configurazione dei vasi è a forcina come i tubuli e questi usano il meccanismo dello scambio
controcorrente. Mammiferi e uccelli lo usano per ridurre la perdita di calore, senza questo
meccanismo il sangue arterioso perderebbe calore e quello venoso partirebbe da un’area del
corpo fredda, invece se i due vasi sono molto vicini il flusso caldo che proviene dalla zona centrale
lo cede alle vene che tornano indietro. Cioè il calore si scambia controcorrente.

Con questo stesso meccanismo i vasi dell’interstizio si scambiano acqua e osmoli.

Ma se tutto il sangue che attraversa i capillari della midollare è concentrato nello stesso modo
dell’urina dei tubuli collettori questo significa ancora più energia sprecata?
No, il passaggio di acqua è a costo zero e gli scambi tra sangue e interstizio seguono le regole del
passaggio per osmosi (passivo).

Quindi, l’ansa di Henle serve per produrre iperconcentrazioni iperosmolare all’apice della papilla,
la produce con la moltiplicazione controcorrente del tubulo e la mantiene con lo scambio
controcorrente dei vasi.

Percorso formazione urine:


➢ Nel contorno prossimale viene riassorbito 2/3 acqua filtrata e dei soluti.
Il riassorbimento è iso-osmolale (300 nella preurina, 300 nell’interstizio, 300 nei vasi
circostanti).
➢ Nel braccio discendente del braccio entra una preurina di 300 mOsm che si concentra sempre
più scendendo nel tubulo fino a 1200 all’apice, mentre all’uscita dall’ansa di Henle arriva
molto più diluita, fino a 50.
➢ Nel collettore il riassorbimento è in base alle necessità.

Se è necessario risparmiare, la massima osmolarità urinaria raggiungibile è tra 1300 e 1499


mOsm, cioè 4 volte e mezzo quella plasmatica. E dal momento che le osmoli rappresentate
dalle scorie da eliminare sono almeno 600, costituite da urea, solfati, fosfati ecc., il volume
minimo di diuresi obbligate è di 500 mL al giorno.
Al contrario se è necessario eliminare acqua in eccesso, dal momento che l’80% dell’acqua è
riassorbita nel prossimale, la quota è il 20 % del filtrato, quindi il flusso massimo è un litro
all’ora con una diuresi che può arrivare a 24 litri al giorno, con un’osmolalità che può scendere
fino a 50 mOsm.

Nell’evoluzione delle forme viventi (500 milioni di anni fa) i primi protovertebrati vivevano in
acqua con salinità simile a quelle dei loro liquidi interni, quindi il problema dell’equilibrio osmolare
non esisteva.
Le scorie erano eliminate tramite semplici condotti tubulari escretori.
Al momento del passaggio alla vita in acqua dolce, i problemi principali erano riuscire ad evitare
una diluizione fatale dovuta a tutta l’acqua assorbita dall’ambiente ipotonico circostante.

Ecco quindi l’invenzione del glomerulo.

A quel tempo il mantenimento dell’osmolarità e l’escrezione di scorie erano separati. Il glomerulo


filtrava e allontanava l’acqua in eccesso, il tubulo secretore eliminava le scorie, quindi il glomerulo
era direttamente attaccato al tubulo secretore, poi per le specie che migrano in acqua salata (250
milioni di anni fa) il problema di filtrare l’acqua in eccesso non si pone più e il glomerulo si
atrofizza o scompare del tutto e il sale viene eliminato dalle branchie.

Anche per le specie che migrano sulla terra ferma sarebbe stato utile eliminare il glomerulo,
perché il problema prioritario è trattenere acqua e sodio.

L’evoluzione ha concentrato in un unico organo (il rene) tutte le funzioni prima separate di:
mantenere l’osmolalità, garantire l’equilibrio degli ioni ed eliminare le scorie.

150 milioni di anni fa è però comparsa l’ansa di Henle che riesce a staccare l’osmole dalla sua bolla
spaziale di acqua, e il tubulo collettore che risponde in modo discrezionale all’ormone ADH,
finalizzando un sistema geniale che consente di concentrare al massimo le urine.

Vogliamo chiarire qual è il ruolo dell’urea in tutto questo meccanismo? Il suo ruolo è essenziale ad
una domanda di grande interesse che non ha ancora una risposta, perché gli esseri umani sono
ureotelici invece che uricotelici?

La metabolizzazione dei prodotti azotati può arrivare a produrre tre diversi tipi di prodotti di
scarto da eliminare: urea, ammoniaca e acido urico.

• L’ammoniaca è lo scarto dei pesci, molecola semplice a costo energetico zero, ma tossica
che deve essere eliminata in ambienti acquosi dove può essere diluita.
• L’acido urico è una molecola complessa con costo energetico di produzione elevato, ma
consente un grande risparmio nell’eliminazione di acqua perché è insolubile n acqua e si
elimina attraverso cristalli solidi o con le feci. Ed è il prodotto finale di rettili, insetti e
uccelli che sono uricotelici (urico+telos=prodotto finale).
• L’urea ha un costo energetico discreto e richiede una certa quantità di acqua per essere
prodotta ed escreta ed è il prodotto finale di scarto di mammiferi, anfibi e squali, ma
perché i mammiferi hanno mantenuto l’urea come prodotto finale? Siamo rimasti
ureotelici perché l’urea ci era dispensabile per raggiungere l’iperconcentrazione necessaria
a produrre urine sufficientemente concentrate per sopravvivere al passaggio sulla terra.
1. L’urea è un’osmole che passa liberamente la barriera cellulare
2. È stato dimostrato che l’urea è presente nell’interstizio iperosmolare dell’apice
della papilla
3. È stato dimostrato che senza l’urea l’osmolalità raggiunta dal solo accumulo di
NaCl non riuscirebbe a raggiungere valori così elevati come 1200, 1400 mOsm
necessari quando è obbligatorio produrre urine iperconcentrate.
L’urea è filtrata dal glomerulo e riassorbita nel prossimale per il 50%, nell’ansa di Henle secreta
attivamente dalle cellule che la prendono dall’interstizio e la buttano dentro il tubulo.

L’ultima porzione ascendente dell’ansa di Henle: tubulo distale→prima porzione discendente del
collettore impermeabile all’urea che così si concentra dentro il tubulo.

L’ultimo pezzo del collettore è permeabile all’urea e la compermeabilità è aumentata dall’ADH, quindi
quando c’è bisogno di concentrare e si attiva l’ormone antidiuretico l’ADH apre i pori per far assorbire
acqua e fa assorbire anche urea. Questa si accumula nell’interstizio e ne aumenta molto la concentrazione
concorrendo fino al 50% della smolalità locale ed aumentandone la capacità di attrazione nei confronti
dell’acqua, senza la quale rischieremmo di morire disidratati per l’incapacità a riassorbimento massimale di
acqua.

Ansa di Hanle
Serve per creare un interstizio iper concentrato. Quest’ultimo serve per mantenere l’equilibrio osmotico
vitale dei liquidi corporei che richiede l’ormone ADH, una zona iper concentrata che risucchi l’acqua (l’apice
della papilla) grazie all’ansa di Hanle e il senso della sete. Questo è il risultato della filogenesi.

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