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PROPOSTA B3

L’EREDITÀ DEL NOVECENTO

Il brano che segue è tratto dall’introduzione alla raccolta di saggi “La cultura italiana del Novecento”
(Laterza 1996); in tale introduzione, Corrado Stajano, giornalista e scrittore, commenta affermazioni di
alcuni protagonisti del XX secolo.

Comprensione e analisi

1. Riassumi il contenuto essenziale del testo, mettendone in evidenza gli snodi argomentativi

Nel brano tratto dall’introduzione della raccolta di saggi “La cultura italiana del Novecento” l’autore
passa in rassegna gli svariati avvenimenti che hanno colorato il secolo scorso. Tuttavia, le
conseguenze di questi avvenimenti si sono rivelate inaspettate e ben lontane dalle previsioni di
inizio secolo, seppur esse abbiano modificato nel profondo le strutture sociali, geopolitiche,
ideologiche e tecnologiche.
L’autore per dimostrare maggiormente il suo disappunto passa ad elencare cosa sia effettivamente
successo riportando rilevanti episodi del secolo scorso, come la nascita e la caduta di imperi, le
violente guerre mondiali con annessi errori ed orrori, la fine di utopie e la costruzione del villaggio
globale. Questo ha stimolato la nascita di un nuovo stile di vita, meno lento e più caotico, dove il
tempo non è più scandito dal rintocco della campana della chiesa del paese, bensì è regolato dalla
sirena delle fabbriche metropolitane oramai digitalizzate.
Così le barriere geografiche sembrano essersi progressivamente abbassate al fine di favorire la
nascita di un mondo sempre più globalizzato: intere aree sono state abbandonate e milioni di
uomini e donne hanno dovuto mutare i loro caratteri ed abitudini di vita.
L’autore procede poi presentandoci l’architettura temporale dello scorso secolo dividendolo in
organici blocchi. È così che ci presenta anche l’era che stiamo vivendo oggi: l’epoca del post, una
fase di nuovo inizio caratterizzata da nuovi equilibri. Si tratta di un mondo recente che dagli anni
Ottanta sta cercando di assestarsi. Tuttavia, dopo la caduta del muro di Berlino gli animi degli
uomini non iniziarono ad assaporare la liberta, ma al contrario cominciarono a turbarsi e ad essere
invasi da uno strano senso di insicurezza, sconcerto e smarrimento. L’equilibrio del terrore aveva
immobilizzato le capacità individuali che si sono ritrovate ad agire nuovamente dopo anni,
obbligate a fare i conti con problemi ancora più nuovi in un mondo del tutto vergine.
Proprio per questo risulta oggi difficile capire quale sarà il destino umano.
2. A che cosa si riferisce l’autore quando scrive: <<passando in pochi decenni dalla campana della
chiesa che ha segnato il tempo per secoli alla sirena della fabbrica>>?

Nel passo l’autore vuole fornirci una lampante delucidazione in merito alla rapida nascita del
villaggio globale. Questo risulta essere il risultato di una nuova società liquida (termine coniato da
Zygmunt Bauman), anche detta di massa. Il tempo nel mondo industrializzato e globalizzato sembra
correre più veloce. Tutto è basato su frenetiche icone che compaiono e scompaiono dagli schermi
dei computer nelle grandi fabbriche. Il tempo oramai non è più scandito dal dolce suono della
campana della chiesa di campagna che per secoli ha designato uno scenario sempre uguale a se
stesso.

3. Perché l’autore, che scrive nel 1996, dice che: <<adesso siamo nell’era del post>>?

Con questa espressione Stajano sembrerebbe quasi considerare la caduta del muro di Berlino come
una sorta di <<anno zero>> al di là del quale ci troviamo a vivere dal 1989. Il mondo da questa
parte è costituito da profonde incertezze date dalla dissoluzione del mondo precedente e dalla
necessità di crearne uno nuovo dalle ceneri antecedentemente lasciate. Le ceneri sono frutto di un
equilibrio precario fondato sul terrore del quarantennio precedente. Così quello stesso mondo nato
dall’illusione di giustizia e uguaglianza durante la Rivoluzione russa del 1917, si trova ora in
frantumi.
L’autore scrive nel 1996, quindi dopo già 7 anni dalla caduta del muro di Berlino, eppure mostra
con sconforto quanto il percorso dinanzi all’uomo risulti ancora offuscato.

4. In che senso l’autore definisce <<stravagante smarrimento>> uno dei sentimenti che <<ha preso gli
uomini>> dopo la caduta del muro di Berlino?

Il sentimento generale era quello di stravagante smarrimento, perché <<nell’ era del pre>> la vita
era caratterizzata da un equilibrio del terrore.
L’uomo si era sempre trovato di fronte alla possibilità di riconoscersi da una parte o dall’altra
(prima con la guerra, poi con i totalitarismi e poi ancora con l’emisfero diviso nelle due sfere
d’influenza). Con la fine della Guerra Fredda non esisteva più questa possibilità, perché
potenzialmente l’uomo poteva finalmente provare il tanto bramato sentimento della libertà. Gli
individui tuttavia si trovavano a doversi interfacciare con il mondo dopo anni di protezioni fasulle,
compromessi e sicurezze passive. Il muro di Berlino, ancor prima che essere una barriera fisica, era
un muro ideologico fatto di pregiudizi e convenzioni.
Gli uomini avevano cosi a disposizione strumenti che purtroppo non erano in grado di sfruttare a
pieno e valorizzare. La così tanto desiderata libertà creava allora insicurezza e a spiccare non era la
volontà di risoluzione dei problemi, ma piuttosto la ferocia e la violenza che andarono a coronare la
cosiddetta era del post
5. Produzione

Sì, è un bel fardello quello che ci è stato lasciato dai nostri predecessori. Risulta essere ancor più
pesante del dovuto in quanto la storia maestra si trova di fronte a sé degli alunni abbastanza
pessimi. Ci troviamo infatti in difficoltà quando si tratta di contestualizzare problemi passati
adattandoli al contesto nel quale ci troviamo intrisi. Ragioniamo per compartimenti stagni
accantonando l’idea di poter percepire delle profonde interconnessioni con il passato.

La storia è ciclica e forse è proprio così, saremo destinati ad una nuova fase totalitaria, nettamente
diversa da quella che ha caratterizzato il secolo scorso, ma pur sempre imperniata su un sistema
autoritario che tende a dominare l’intera società grazie al controllo centralizzato dell’economia,
della politica, della cultura e dei mezzi di comunicazione telematici.

L’idea è ben resa all’interno del libro 1984 di George Orwell, dove gli individui si sentono liberi nella
loro gabbia. Orwell era dunque consapevole del potenziale profetico della sua opera, anche in caso
di vittoria della democrazia. Ogni elemento del totalitarismo Orwelliano è oggi presente intorno,
dentro e sopra di noi. Oggi più che mai siamo indotti a compiere azioni e ad assumere
comportamenti stimolati in modo subliminale dal mondo (anche e soprattutto virtuale) nel quale
viviamo. Quante volte ci è capitato di sentirci inconsapevolmente spinti all’acquisto di prodotti
allettanti perché visti in una bella pubblicità? Riprendendo sempre un termine coniato da Sygmunt
Bauman, noi apparteniamo alla generazione dell’homo consumens che sarà progressivamente
destinata alla standardizzazione.

I nodi da risolvere in Europa si sono fatti più stretti, quasi collaudati e alle volte indissolubili.
La conquista della libertà non ha ancora prodotto quella parità e quel rispetto della dignità umana
che molti dei suoi sostenitori consideravano una sua inevitabile conseguenza. La democrazia
occidentale ha bisogno di essere consolidata e rinnovata per poter mantenere le premesse iniziali.

La grande differenza rispetto ai periodi precedenti è che oggi dobbiamo fare i conti con un mondo
che sarà nostro. Non dovremo semplicemente leggere meri eventi da libri scolastici, dovremo agire
noi diventando protagonisti attivi della nostra storia.

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