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SOCIOLOGIA DELLA FAMIGLIA

INTRODUZIONE

La famiglia è uno dei luoghi privilegiati di costruzione della realtà: entro i rapporti familiari,
socialmente definiti e normati, gli eventi della vita individuale ricevono il loro significato e così
vengono consegnati all’esperienza individuale. Il linguaggio con cui si nominano le trasformazioni
dei modi di fare famiglia, conferma la forza normativa della codificazione familiare. D'altra parte
anche in una stessa società e epoca possono convivere modi di definire la famiglia diversi; così
come gli individui possono a seconda dei casi identificare diversamente i confini della famiglia che
anche a livello normativo può non coincidere con quella definita dal Codice civile. Questo statuto
incerto è indicatore della variabilità storica e sociale con cui si è fatta e fa famiglia ma anche della
molteplicità dei discorsi che definiscono cosa essa sia.

Avendo a che fare con rapporti e vicende che toccano dimensioni profonde dell'uomo, essa
costituisce anche il materiale privilegiato con cui sono costruiti gli archetipi sociali, i miti. Non
sempre positivi. Infatti si trovano immagini contradditorie che vanno da quelle contemporanee di
famiglia come luogo di affettività e rifugio ("sacra famiglia" della tradizione cristiana) a quelle della
famiglia come luogo di oppressione e violenza ("felice perché senza famiglia" Platone).

La varietà di esperienze familiari del passato, indica l'impossibilità di costruire una vicenda unitaria
delle trasformazioni della famiglia. La storia umana presenta un esauribile repertorio di modi di
costruire la famiglia che se studiato permette di comprendere come una società o gruppo sociale
attribuisce significati al proprio essere nel mondo. L'esperienza familiare differenzia percio più o
meno le varie culture e gruppi, che saranno anche influenzati diversamente dalle trasformazioni
sociali. La famiglia, come dimostrano studi comparativi, non è passiva al mutamento sociale, ma è
uno degli attori sociali che contribuisce a definire i modi e i sensi del mutamento stesso.
La famiglia differenza anche l'esperienza di coloro da cui è costituita in base al sesso_ riconoscere
che umanità ha due sessi diviene principio organizzativo sociale che ordina i rapporti sociali e i
destini individuali. A livello familiare l'appartenenza sessuale diventa un destino sociale, collocato
dentro una gerarchia di valori, potere e responsabilità; ed alle generazioni_ i rapporti tra
generazioni ed il loro succedersi sono strumento di continuità, ma anche elemento di
differenziazione delle esperienze, interessi, definizione dei confini.
Quindi nessun discorso sulla famiglia può essere esaustivo.

Nel libro è adottata una prospettiva storica e comparativa, che aiuta a collocare la vicenda
familiare nel tempo e ad individuarne i nessi, ricorrendo a interpretazione e confronti antropologici
ed etnologici. Lo spazio geografico è limitato all'Occidente europeo e nordamericano con
particolare attenzione all'UE. La famiglia è considerata come un attore sociale complesso, non un
sistema chiuso in se stesso, in interazione con la società.

CAPITOLO I – CHI VIVE CON CHI: FAMIGLIA COME UNITA' DI CONVIVENZA

Problemi concettuali e di metodo

La convivenza familiare (vivere sotto lo stesso tetto) è l'indicatore più semplice dell'esistenza di
una famiglia, ma è insufficiente. Non tutte le persone che vivono assieme sono considerate e/o si
autodefiniscono come famiglie.
L'individuazione della convivenza familiare richiede che siano chiarite delle regole che delimitino
lo spazio fisico della convivenza e definiscano come rapporti familiari le relazioni tra le diverse
persone. Sono queste regole che consentono di individuare vari tipi di famiglia e di effettuare
confronti nel tempo e fra le culture.
Gli antropologi sono andati alla ricerca di funzioni e caratteristiche familiari universali (partendo da
Malinowski nel 1913 con l'universalità del bisogno della cura dei piccoli, la famiglia è stata vista
come istituzione universale per la cura e l'allevamento). Sulla stessa scia molti sociologi parlano di
funzioni della famiglia (riproduzione, cura, educazione…) come dimensioni naturali confrontabili e
rinvenibili attraverso il tempo e lo spazio, ma questa concettualizzazione è stata criticata per il
limite di tutte le argomentazioni funzionaliste (attribuzione carattere di necessità logica al dato
empirico); la ricerca etnografica ha mostrato infatti come invece culture diverse organizzino e
distribuiscano in modo diverso le funzioni.
Una seconda direzione di ricerca ha invece cercato di individuare le strutture della famiglia,
riferendosi al tipo di vincolo che lega i membri di una convivenza (consanguineità, affinità,
matrimonio, discendenza…). In questo senso la struttura della famiglia viene definita dal modo in
cui le persone si collocano lungo l'asse dei rapporti di sesso e dei rapporti di generazione:

La tipologia di Laslett (studi del gruppo di Cambridge, 1972) distingue quattro categorie di
strutture gruppi domestici:
 "senza struttura": senza coppia coniugale né coppia generazionale
 "semplici": coppia senza figli, o coppia con figli, o un genitore con figli
 "estesi": membri della famiglia semplice più parenti ascendenti, discendenti o collaterali
 "multipli": più nuclei coniugali, cioè più coppie con eventualmente i loro figli (esempi:
Frereches: dove tutti i fratelli sposati vivono insieme con le proprie famiglie – Famiglia a
ceppo: dove la coppia anziana vive con quella dell'erede; Famiglie congiunte: dove tutti i
figli maschi sposati portano le loro mogli e figli a vivere nella casa dei genitori)

Barbagli propone allora di distinguere tra struttura e relazioni familiari. La struttura disignerebbe le
regole con cui una convivenza si forma e trasforma, conposizione e ampiezza, mentre le relazioni
disignerebbero i rapporti di autorità e affetto tra persone che vivono assieme.
Tale distinzione segnala l'esistenza di dimensioni diverse entro l'esperienza familiare, ma è una
semplificazione che rischia di nascondere i rapporti di potere, che sono invece alla base della
definizione di una struttura familiare e che ne derivano (le famiglie a ceppo ad esempio riguardano
sempre un vincolo non solo di coabitazione, ma anche di autorità).
Distribuzione dell'autorità fra i sessi: le famiglie multiple, o le frereches, riguardano sempre una
discendenza e un legame per via maschile in cui le donne sono presenti come nuore, mogli, cognate.
Gli uomini sono sempre tra loro consanguinei, mentre le donne lo sono sole se figlie e sorelle non
sposate. Se sposate, sono presenti solo come affini, quindi estranee: come mogli e nuore.
Distribuzione che è implicata anche nella definizione dei rapporti di generazione che distinguono
un tipo di famiglia da un altro. Le famiglie multiple si differenziano secondo l'autorità lungo l'asse
generazionale in: famiglie multiple discendenti_ il figlio che erediterà abita con la propria moglie e
figli con i genitori che continuano a detenere l'autorità; e famiglie multiple ascendenti_ c’è un
passaggio ereditario quando la generazione anziana è ancora vivente, quindi un trasferimento di
autorità.

I componenti e i rapporti di una famiglia mutano con il trascorrere del tempo, quindi si può parlare
di struttura della famiglia solo nel senso di regole che definiscono chi vive con chi ed entro quali
rapporti di autorità lungo tutto il ciclo di vita, e non solo in un particolare momento.

Strutture familiari nel passato europeo

Per molti secoli la famiglia ha costituito una vera e propria impresa: produttiva, finanziaria,
politica; oltre che il modo normale di far fronte alla riproduzione per garantire continuità delle
generazioni. Le sue strutture e dimensioni dipendevano dalle risorse che si avevano a disposizione
per far fronte a diversi compiti.
Conseguente allo studio sulla struttura familiare prevalente nell'occidente europeo è la critica
all'opinione secondo cui nel passato le famiglie europee fossero per lo più a struttura multipla e che
avessero attraversato nel tempo un processo di progressiva contrazione (Durkheim): passando
dalla famiglia multipla del gruppo di parenti alla famiglia coniugale moderna, ove ogni matrimonio
dà origine a una nuova famiglia anche dal punto di vista della convivenza. In questo
l'industrializzazione avrebbe avuto un ruolo essenziale, favorendone oltre che la nascita
l'esportazione in altre culture. Ricerche del Gruppo di Cambridge, rovesciano tale concezione
mostrando come diversi secoli prima dell'industrializzazione la struttura coniugale-nucleare era già
il modello di struttura familiare prevalente in diversi paesi del Nord europeo.
Caratteristiche della famiglia occidentale sarebbero:
- Età al matrimonio relativamente alta
- Differenza d’età tra i coniugi relativamente bassa
- Matrimonio tra coetanei in grado di stabilire la propria residenza separatamente dai genitori
- Fecondità ridotta (la donna è vecchia)
Da questo si distinguevano in Europa:
 il modello di famiglia orientale a struttura multipla discendente, con età al matrimonio
bassa, alta fecondità
 il modello di famiglia meridionale con famiglie multiple discendenti, o le frereches o le
famiglie a ceppo

Si nota quindi come la struttura familiare sia irriducibile a un unico modello, la famiglia europea
appare diversificata nelle sue strutture nel passato e nel presente. Le trasformazioni economiche e
politiche non sembrano infatti avere un andamento lineare nell'influenzare quelle distinzioni; anzi la
formazione della famiglia è un fenomeno di lunga durata che resistendo a cambiamenti radicali
identifica aree geoculturali.

In Italia si notano forti diversificazioni tra regioni, tra città e campagna, tra ceti.
Nel meridione: strutture familiari di tipo nucleare dovute al modello produttivo a coltura estensiva.
Nelle città del centro nord: regola di residenza neolocale dopo le nozze, quindi famiglie nucleari
Nelle campagna del centro nord: strutture di tipo multiplo.
Secondo Barbagli quattro grandi mutamenti hanno attraversato la struttura delle famiglie urbane
italiane:
a) Stabilizzazione dovuta al calo della mortalità per carestie e epidemie
b) Riduzione del peso delle famiglie incomplete (senza un genitore) per il calo della mortalità
c) Riduzione delle differenze nel grado di complessità delle famiglie dei diversi ceti urbani –
per i mutamenti nelle regole di trasmissione patrilineare nei ceti nobiliari - e la progressiva
nuclearizzazione delle famiglie dei ceti nobiliari sempre più simili alle famiglie urbane
d) Riduzione della presenza del personale domestico nelle strutture delle famiglie urbane e una
maggior presenza dei figli in famiglia

Tra XV e XVI frattura tra città e campagna:


In tutte queste regioni si estende l'organizzazione produttiva poderale – familiare. Le terre
vengono riunite a costituire un podere di dimensioni tali da potere esser lavorato da tutti i
componenti della famiglia. Mentre in città si afferma la famiglia nucleare, nella campagna si
afferma la famiglia multipla.
In generale la struttura della famiglia contadina corrisponde alle esigenze della produzione agricola
- diversi ceti agricoli. Fu la modifica dei contratti agrari nel 1870 che provocò la tendenza alla
nuclearizzazione della famiglia agricola. Dopo la prima guerra mondiale invece con il processo di
redistribuzione della proprietà terriera, il numero delle famiglie a struttura multipla crebbe di nuovo.
Non sempre la proletarizzazione in agricoltura porta alla nuclearizzazione della famiglia, ma solo
quando il rapporto di lavoro agricolo è di tipo individuale.
Il caso italiano mostra così varietà di strutture e processi non lineari di trasformazione; anche se ha
finito per prevalere la struttura di tipo nucleare anche nelle campagne.

Anche in Francia vi è un analoga differenziazione delle strutture familiari nel passato. Se anche già
nel XVI secolo vi era forte presenza di famiglie nucleari, in molte regioni meridionali, i gruppi
domestici estesi o multipli erano invece maggioritari. Molto diffusa era la famiglia a ceppo_
struttura che porta con sé tensioni per la trasmissione della proprietà per gli interessi convergenti fra
eredi e non; come accade anche in famiglie multiple o congiunte dove l'interesse a mantenere unità
la proprietà si scontra con interessi dei singoli nuclei e dei loro assi generazionali e di sesso. Inoltre
nelle famiglie congiunte man mano che le famiglie dei fratelli conviventi si fanno più numerosi è
facile che qualcuno si stacchi per dare inizio a un nuovo gruppo familiare e a un nuovo ciclo
generazionale.
L'attenzione per la dimensione temporale del ciclo di vita può far emergere non solo regole circa la
struttura, ma anche gli adattamenti che la famiglia fa sulla base delle circostanze contingenti; nella
famiglia contadina vi era infatti una stretta interdipendenza tra ciclo di vita, risorse e struttura.

La famiglia del passato appare molto più instabile di quella contemporanea, cause:
- Elevata mortalità
Le donne morivano prima e c’erano molti orfani e famiglie spezzate. Circa la possibilità di
formare famiglie ricostituite va detto che essere vedova era un ostacolo: Una donna non pià
giovane poteva sposarsi solo se la terra che le aveva lasciato il marito costituiva una risorsa
abbastanza appetibile e la presenza dei figli poteva essere un ostacolo anche se la vedova era
giovane.
Essere vedovo trovava moglie più facilmente avendo un più rapido accesso diretto alla
proprietà.

- Fenomeni migratori
Coinvolgevano soprattutto le famiglie contadine che mantenevano in equilibrio risorse e bisogni
facendo emigrare alcuni dei propri membri. Coinvolgevano i figli eccedenti, non destinati ad
ereditare.
La diminuzione della mortalità, aumento e diversificazione delle risorse disponibili nel XX sec,
favorirono una maggiore stabilità della famiglia nel ciclo di vita, un omogeneizzazione delle
strutture familiare, cui segue una nuova instabilità moderna.

Industrializzazione e trasformazioni della famiglia

Con l'industrializzazione cambia la composizione sociale della popolazione e la sua distribuzione è


tra città e campagna: gli strati rurali si inurbano e divengono proletari urbani. Cambiano i rapporti
familiari tra le generazioni, mutano le possibilità di controllo familiare sulla forza lavoro, ma
soprattutto muta la posizione di classe di interi gruppi sociali: muta il sistema di stratificazione
sociale.
Artigiani e lavoratori già urbani vedono trasformare il proprio lavoro e il proprio modo di
produzione familiare.
La creazione di un nuovo mercato del lavoro favorisce la stabilizzazione e l’allargamento della
famiglia, consentendo ai figli di rimanere più a lungo in famiglia senza emigrare e un uso
strategico della parentela con la messa in comune delle risorse.
Fenomeni che accompagnarono l’industrializzazione in Europa e che segnano l’organizzazione
familiare:
 Diffusione dell’economia familiare salariata: tutti sono chiamati a contribuire alla borsa
comune
Il sistema di fabbrica modifica la divisione del lavoro familiare: emerge la necessità di uno
spazio domestico non mescolato allo spazio del lavoro.
Quindi una distinzione tra produzione e riproduzione
Emergono necessità di cura per i bambini, che non possono essere accuditi sul luogo di
lavoro
Si delinea una divisione dei compiti e degli spazi per uomini e donne: i primi fuori dalla
famiglia, le seconde dentro, nascoste.
L’industrializzazione crea l’operaio e la casalinga.
 Cambiano i rapporti tra le generazioni nella famiglia:
L’accesso a un salario individuale favorisce fenomeni di individuazione e separazione, ma
la solidarietà economica familiare rimane forte.
La riduzione del controllo delle famiglie e della comunità sui giovani favorì anche le unioni
libere e le nascite di figli illegittimi.
 La prima transizione demografica che porta il passaggio da un alto tasso di mortalità e
fecondità tipico delle società preindustriali alla situazione attuale – bassa fecondità, bassa
mortalità.

Strutture familiari nelle società contemporanee

Coresidenzialità e bilancio comune tendono oggi a coincidere, così che i confini della famiglia
sembrano più chiari nella società contemporanea che nel passato.
Le cose però non sono così semplici e i dati di tipo macro dei censimenti delle grandi indagini
nazionali rischiano di far perdere la concretezza e specificità delle singole famiglie e delle diverse
realtà locali.
La tipologia delle famiglie usata dall’ISTAT:
 Uni personali
 Coppie senza figli
 Coppie o singoli con figli
 Estese (includono le estese e le multiple di Laslett)

Definizione anagrafica ampia e flessibile, secondo cui i caratteri della famiglia sono:
a) La relazione di parentela o affinità o affettività tra più persone
b) La coabitazione
c) L’unicità del bilancio (scomparso dagli anni 80).

Le Definizione di famiglia usate dagli organi di rilevazione sono variate nel tempo. Queste
disomogeneità segnalano una difficoltà a tracciare in modo netto i confini della famiglia e la
definizione dei criteri.
1987 l’ONU ha proposto una definizione a fini statistici, adottata dall’EUROSTAT ma non da tutti i
paesi:
Le persone entro un aggregato domestico che sono tra loro legate come moglie e marito, o genitore
e figlio/i (di sangue o adozione ma non in affidamento) celibe o nubile.
Non tutti i paesi l'hanno accettata in toto, segnalando la persistenza di differenze culturali con
conseguenze non irrilevanti sul piano delle politiche sociali.
E’ la natura complessa delle relazioni familiari e delle dimensioni in esse coinvolte che rende così
difficile tracciare confini netti ed esclusivi. Per questo alcuni sostengono che le definizioni possono
essere solo di tipo operativo, legate ai problemi di indagine che ci si pone di vota in volta.
La problematicità dei confini non ha solo motivato revisioni della definizione, ma anche indotto a
indagini più puntuali sulla famiglia, attente alle dinamiche concrete. Così si è venuti a distinguere le
famiglie ufficiali da quelle di fatto; spie di possibili effetti perversi di politiche sociali e fiscali.
Disomogeneità indicatrice anche di comportamenti e modelli culturali ambivalenti, o di difficile
composizione. Può alludere anche a trasformazione nei rapporti fra i sessi e tra le generazioni;
dunque va assunta come tale e non privilegiando l'una o l'altra evidenza.

Dal secondo dopoguerra a oggi vi è stato un accumulo e un intreccio di fenomeni e tendenze


diversi. Si è assistito a un aumento del numero delle famiglie superiore all’aumento della
popolazione, a una riduzione dell’ampiezza delle famiglie e a una diversa distribuzione percentuale
dei vari tipi di struttura familiare, a favore di quella coniugale - nucleare, uni personale,
monogenitore e a sfavore di quella estesa e multipla. Risultato sia di comportamenti individuali e
familiari, che di processi demografici diversi.
L’aumento del numero delle famiglie è stato maggiore dell’incremento della popolazione, non per
maggiore accessibilità al matrimonio – i tassi di nunzialità sono diminuiti – ciò conferma la
tendenza verso la nuclearizzazione della famiglia e la relazione con l'allungamento della durata
della vita che fa sì che ci siano più coppie anziane e più singoli.
La riduzione delle nascite rende lo squilibrio tra incremento della popolazione e incremento delle
famiglie più evidente. Anche la riduzione delle famiglie estese, segnala una modifica nel ciclo di
vita familiare, sia nella fase di formazione che di conclusione – più coppie iniziano vicenda
familiare da sole e più anziane terminano soria familiare vivendo per conto proprio.
Dall'altra parte l'invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’instabilità coniugale
producono in alcuni casi anche una ripresa delle famiglie estese (coppia con figli che accogle un
genitore vedovo o vedovo che accoglie in casa il figlio separato) – ricoabitazione. Fenomeno che
non solo riguarda età e fasi della vita diverse rispetto la famiglia tradizionale, ma mette anche in
moto processi di rinegoziazione dei confini, degli spazi, dei tempi e dell'autorità diversi rispetto alla
classica famiglia estesa (non è la nuora "estranea" ad entrare in casa, ma persone che già prima
abitavano insieme).
In tutti i paesi sviluppati le indagini statistiche segnalano una costante diminuzione della quota delle
famiglie coniugali nucleari, specie di quelle con figli. La coppia coniugata rappresenta una fase
della vicenda familiare. In Europa meno del 50% delle famiglie in un dato momento contiene figli,
coloro che vivono soli sono molti di più. In Italia emerge la diminuzione delle famiglie estese e
multiple e l’aumento dei solitari, dati medi che però dicono poco sulla struttura e sulle differenze
territoriali.

Al variare dei modi di formazione della famiglia corrisponde una modificazione del tipo di famiglia
in cui ci si trova a seconda dell’età e fase della vita.
In Italia negli ultimi 20 anni è aumentata la quota di figli 25-34 che vivono ancora coi genitori e
dunque diminuiti sono coloro che sono già genitori.
Tendenza che si è verificata in tutti i paesi europei, in connessione con l’aumento della scolarità che
con le difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro, l’aumento dell’età al matrimonio.
Gli anziani italiani vivono più spesso rispetto coetanei europei con ancora in casa uno o più figli.
I paesi mediterranei hanno tassi di permanenza più elevati e lunghi (più uomini), e motivazioni
diverse per uscire: qui coincide con il matrimonio, negli altri è per vivere soli o in coppia.
Queste lunghe convivenze nascondono però spesso fenomeni di pendolarismo familiare: i figli
hanno la residenza dai genitori, ma vivono stabilmente altrove.
Uomini e donne vivono da soli in età diverse: le donne nell’età anziana (longevità), gli uomini nelle
età centrali e giovanili (modelli culturali che sostengono l’uscita di casa e separazione).

"Nuove famiglie" termine che indica la diffusione di nuovi modi di fare famiglia dal punto di vista
delle regole e dei valori (convivenze, convivenze omosessuali, risposarsi…). Aumento delle
famiglie unipersonali, coppie non coniugate, famiglie monogenitoriali dovute per la gran parte a
scelte personali.
- Le famiglie con un solo genitore sono in crescita in tutti i paesi sviluppati, anche se le definizioni
variano a seconda dell'età del figlio più giovane e alla presenza di altri adulti. Le cause son diverse:
vedovanza (più nel passato), procreazione al di fuori del matrimonio, instabilità coniugale (più
oggi). In relazione all’instabilità coniugale e al mutamento nei criteri di affidamento (miglior
interesse del figlio) vi è una prevalenza di madri sole.
La definizione nasconde una varietà di situazioni possibili in base alla classe sociale e alle modalità
del conflitto coniugale: interruzione rapporti – classi più basse o rapporti frequenti – più frequente. I
figli si aggiungersi ai "pendolari". Dunque i confini di tali famiglie appaiono complessi e mobili.
- Lo stesso vale per le famiglie ricostituite o ricomposte quando include figli nati da un
matrimonio precedente. Esistevano anche nel passato soprattutto a causa di vedovanza, oggi sono il
divorzio e la separazione a renderle possibili. Si definiscono così quando almeno uno dei due
coniugi proviene da un matrimonio precedente. Se non ci sono figli di un matrimonio precedente è
assimilabile a ogni nuova famiglia, se invece ci sono la struttura è più complessa: coppia genitoriale
e coppia parentale non coincidono e anzi costituiscono due diversi nuclei. Se l’altro genitore è
ancora in vita e mantiene rapporti col figlio, i due nuclei transitano tra le due famiglie. Se entrambi i
coniugi hanno figli da un rapporto precedente e/o figli insieme complicazioni ulteriori. In tutti i
casi problema di confini; sono permeabili e complessi. Elaborazione nuovi modelli di relazioni
familiari.
- Le convivenze more uxorio dove la coppia non è legittimata dal matrimonio ma dalla scelta di
vivere insieme. Il suo statuto di famiglia dal punto di vista legale e culturale è controverso, specie se
non ci sono figli. Equiparazione figli legittimi e naturali ha rafforzato le convivenze quando sono
anche genitoriali. Si distinguono: convivenze eterosessuali e omosessuali :nelle prime è l’assenza di
matrimonio a motivare giudizi di scarsa legittimità e sono state le prime ad essere riconosciute dalle
unioni civili. Le seconde è il tipo di sessualità ad essere visto come contrastante ad ogni idea di
famiglia in quanto non potenzialmente generativa. Sono i valori, la cultura ed il linguaggio a portare
o meno al riconoscimento di tale unione, e ciò porta a difformità anche normative: in Italia una
convivenza etero/omosessuale è una famiglia dal punto di vista anagrafico, ma non lo è per il codice
civile, per il diritto ereditario o sistema pensionistico. Fra le convivenze etero si distinguono quelle
giovanili e quelle tra adulti; le prime sono in aumento e costituiscono il primo modo in cui una
coppia va a vivere insieme. Solo nei paesi scandinavi quelle fra adulti sono consistenti,
configurando un vero e proprio modello di famiglia alternativa. In Italia sono esigue ma in aumento.
Si tratta spesso di convivenze di necessità (età centrali) in cui uno o entrambi i partner sono in attesa
di divorzio per potersi risposare o non intendono risposarsi perché vedovi o separati con figli.
- Le famiglie di migranti o famiglie miste, in cui uno dei coniugi è straniero, rendono visibili modi
diversi di intendere la famiglia e i rapporti inerenti. Le prime hanno rapporti spezzati dalla
migrazione e costruiscono poi all'arrivo convivenze basate su parentela o origine; mentre le miste in
Italia sono più diffuse nelle regioni settentrionali. Nelle miste il coniuge straniero è più spesso la
moglie (77% del tot matrimoni stranieri).
- La comune che negli anni ’70 sembrava dovesse prefigurare il nuovo modello del futuro, è un tipo
di convivenza in cui non sono i rapporti di sesso né di generazione ad essere decisivi, si distingue
dalla semplice condivisione di uno spazio abitativo per la condivisione di un progetto di vita
comune, spesso con condivisione economica. Ce ne sono stati tanti tipi in base a struttura e
relazioni, ma anche processo evolutivo. Continua ad essere un fenomeno diffuso, anche se
minoritario in Danimarca e Olanda specie in alcune fasi del ciclo di vita.
- Forme famigliari basate sul mutuo aiuto: giovani che si mettono insieme per condividere le spese,
anziani che fanno lo stesso. E’ successo in Italia e soprattutto in Francia con l’introduzione del
PACS originariamente pensato per riconoscere le coppie omosessuali è stato poi allargato a tutti i
rapporti che intendono dichiararsi e impegnarsi come solidali in modo pubblico. Reclamano
riconoscimento come famiglia, facendo valere solidarietà orizzontale che le caratterizza.
Quindi variabilità e diversa permeabilità dei confini della famiglia e un’eterogeneità dei modi di
fare famiglia che caratterizza il panorama mondiale.

CAPITOLO II – LA FAMIGLIA NELLA PARENTELA

La famiglia è un'istituzione dinamica con confini interni ed esterni, spazi e relazioni interne ed
esterne che si ridisegnano continuamente, il suo studio è stato affrontato soprattutto da antropologi,
solo in seguito da sociologi.
Oggi si ha una progressiva perdita di rilevanza della parentela che ha fatto pensare ad una
restrizione dello spazio affettivo ai soli parenti stretti. Sembrava concluso il processo della “legge di
contrazione” di Durkheim che affermava che si sarebbe passati da una famiglia originata dalla
parentela a una originata da due individui, in questo modo la stessa parentela nasce da questo
legame e non gli pre-esiste. La parentela costituirebbe relazioni deboli e marginali rispetto alla più
forte struttura familiare coniugale. Esistono variazioni culturali e locali relative all’importanza
riconosciuta alla parentela.

Elementi di antropologia della parentela

Lèvi-Strauss: perché ci sia una nuova famiglia occorre che altre due rinuncino a un loro
componente. La parentela designa il rapporto che deriva da una comune discendenza o genealogia,
ingloba sia i consanguinei che gli affini cioè coloro con i quali si entra in rapporto tramite il
matrimonio (vincolo bicefalo). La parentela è costituita dall’incrocio tra questi due vincoli biologici
(di sangue) e sociali (di alleanza e di affinità). I membri provenendo non solo da due famiglie, ma
da due prentele danno luogo a nuove costellazioni di parentela: dando ad es un genero/ nuora ai
propri genitori.
Ogni cultura non solo definisce i vincoli sociali ma anche importanza di quelli di sangue: per
individuare sistema di filiazione, appartenenza alla catena generazionale, o un sistema di alleanze
e solidarietà quotidiane fra persone. Non tutti i vincoli di sangue danno luogo a vincoli di parentela.
Il sesso è il primo criterio per definire relazioni fra consanguinei, non in termini affettivi ma di
rilevanza sociale: lealtà fra lignaggi, discendenza, potere, incesto. Se è il sesso maschile strutturante
la parentela, la relazione si definisce agnatica e la filiazione patrilineare. Si acquisisce
appartenenza dal gruppo parentale tramite il padre. Se invece è il sesso femminile a strutturare
vincoli parentela, il rapporto è definito uterino, la filiazione matrilineare e i legami seguono la
linea femminile. In entrambi i casi la parentela è definita lignaggio o clan.
Se entrambi i sessi concorrono a definire la parentela la filiazione è bilineare, ciascun individuo
appartiene a due linee di filiazione e a due gruppi parentali diversi, con finalità diverse.
Sono modalità di rapporti e di organizzazioni sociali che regolano gli scambi e le reciprocità,
indicano come la parentela sia fatto sociale fondamentale e come i rapporti fra sessi siano principio
ordinativo sociale – struttura sociale di genere.
Terza possibilità di strutturazione della parentela è quella indifferenziata o cognatica:
appartenenza non è più funzionale al sesso e ciascun discendente fa parte del medesimo gruppo di
parentela e può ereditare da qualsiasi ascendente. Modello che prevale nelle società contemporanee.
Il funzionamento e la riproduzione dei gruppi di parentela non è più univoco e certo.

La parentela è dunque un vocabolario sociale che definisce spazi e flussi di relazioni, confini fra
gruppi e ciascun individuo è collocato in questi. Sono stati individuati 5 tipi di terminologie della
parentela sulla base della cultura in cui sono stati trovati la prima volta.
Il nostro sistema, più diffuso in Occidente, è quello di tipo eskimo o cognatico: sistema di
filiazione indifferente e nessuno dei due sessi prevale nel definire la parentela. Noi distinguiamo
infatti tra fratelli/sorelle e cugini/e, ma in questi ultimi usiamo lo stesso termine per definire sia i
cugini materni che quelli paterni. La terminologia di tipo eskimo mette in evidenza il ruolo centrale
della famiglia nucleare, situata al centro di un vasto gruppo di parenti di tipo cognatico. Nella lingua
italiana abbiamo due parole distinte per designare i genitori e i parenti, mentre questo non è vero ad
esempio in francese che usa parents per entrambi i casi. Nella nostra cultura utilizziamo nel
quotidiano termini di parentela che esprimono non solo collocazione di ciascuno, ma le posizioni
relative. I membri di una generazione si chiamano l’un l’altro con il nome proprio e non con il
termine di parentela, mentre ai genitori e ai nonni ci si rivolge con il termine della parentela, magari
specificato dal nome proprio quando più di una persona può occupare quella posizione; si denota
così un'asimmetria di rapporti. Una delle asimmetrie riguarda l’uso e la trasmissione dei cognomi.
Indizio delle asimmetrie dei legami di parentela è l'uso e la trasmissione dei cognomi. Il cognome
ha molta importanza poiché fornisce all’individuo e al gruppo familiare una identificazione sociale
chiara e fissa. Fu per prima l'aristocrazia ad utilizzare un sistema cognominale con la funzione di
autoidentificazione di una linea parentale che esprime vincolo in cui si esercita controllo e potere,
che poi venne imposto a tutti gli strati sociali per esigenze di ordinamento e controllo in un
momento infatti in cui il potere centrale era debole.

Lignaggio: complesso di persone che derivano dalla stessa stirpe. Segalen: “tramite il lignaggio il
gruppo domestico si trova collegato ai suoi predecessori e successori, e tramite la parentela
all'insieme dei parenti con i quali si persegue tutto ciò che fa la trama della vita sociale: amicizie o
odi.” In questa seconda accezione la parentela appare quindi un'articolazione fondamentale della
vita sociale nel mondo tradizionale, è una rete di scambi e sostegni reciproci che rafforza le linee di
discendenza e appartenenza. Essa dura aldilà del tempo di un nucleo famigliare, vincolando e
collegando le generazioni.
Se continuità del nome, e perciò del lignaggio, è regolata da dominanza patrilineare, la continuità
della vita quotidiana e dei legami è garantita dalle donne.
Errato leggere la parentela dunque nelle socieà tradizionali solo come vincolo, in quanto fonte di
controllo e regolazione dei rapporti sociali, perché risorsa rispetto i fenomeni di mutamento che
consente di farvi fronte e assorbirli: aiutare vedove, orfani o garantendo continuità e appartenenza
in caso di processi che potrebbero portare a rotture nella comunità famigliare (emigrazione). La
presenza di parenti assicurava un minimo di protezione e insieme di controllo per i membri della
famiglia, in particolare nel fenomeno migratorio fornisce aiuto per chi resta ed è fonte di
informazioneper chi arriva.

La parentela nella società urbana contemporanea

L’industrailizzazione è stata ritenuta a lungo la causa del diffondersi del tipo di gruppo coniugale
nucleare, ma è anche stata ritenuta la causa della progressiva perdita di forza sociale della
parentela. Questa lettura aveva nella teoria di Parsons e nella teoria funzionalista la propria versione
più lucida: negli anni 40/50 nella società retta da principi di democrazia e scienza, uguaglianza delle
possibilità di scelta fra merci e scelte politiche; i legami di parentela apparivano come contradditori
per il loro particolarismo irrazionale e non democratico, e dunque venivano letti come residuali,
appannaggio di ceti e regioni meno evolute socialmente e politicamente. Disfunzionali rispetto al
progresso e immorali rispetto il valore della libertà individuale. Tali legami non favorirebbero
autonomia individuale e darebbero luogo a inaccettabili forme di nepotismo e anarchia sociale –
fenomeno detto del familiarismo amorale.
Ricerche nelle comunità operaie londinesi negli anni '50 mostrano tuttavia la forza sociale delle
parentela nella quotidiane attività lavorative, ed è soprattutto nei rapporti tra donne, e tra donne e
uomini che vi è un fitto scambio di lavori entro la rete parentale. Dunque si riscontrano reperti che
si ritenevano non far più parte dell'esperienza dei ceti più moderni. In questi ceti il particolarismo si
pensava aver legittimità ed esistenza solo nell'affettività, che emergeva come caratteristica specifica
dei legami familiari man mano che perdevano ogni funzione sociale.
In realtà la famiglia nucleare esprime interdipendenza fra il particolarismo familiare e universalismo
del libero cittadino: è la divisione dei ruoli di genere e generazione a garantire l'accesso ai liberi
scambi e competizioni, salvaguardando i maschi dalla competizione in casa propria. La libera
circolazione e mobilità degli individui esige infatti che ciascun maschio metta su casa per conto
proprio e che solo il capofamiglia maschio definisca lo status sociale della famiglia.
Il divenire adulti comporta infatti potenzialmente un conflitto, un'assimetria di status nella famiglia
e ciò può essere controllato solo con la formazione di un'altra famiglia che stabilisca con quella
d'origine solo legami d'affetto.
Dunque a partire dagli anni '70 l'idea di parentela come priva di significati sul piano sociale viene
messa in discussione; non solo per la presenza di famiglie nucleari già nel passato dove la rete
parentale si rivelava agenzia di mediazione sociale importante ma anche per la scoperta tramite
analisi comparativa di trasformazioni delle strutture familiari insieme ai rapporti di parentela,
protagonisti dunque anch'essi delle nuove circostanze.
Inoltre nella ricerca sulle famiglie contemporanee emerge una critica allo stereotipo di famiglia
nucleare isolata e un'attenzione per i rapporti di parentela.

Le ricerche mostrano come la famiglia nucleare contemporanea viva all'interno di una fitta rete di
rapporti e scambi fra parenti che vanno in molte direzioni, sia per sostegno che protezione, in base a
bisogni e scelte. Rapporti affettivi e di vita pratica che hanno gradi di libertà e di flessibilità
maggiori di un tempo.
L'ideologia di isolamento della famiglia nucleare, pur non essendo esperienza effettiva, fornisce
legittimazione a questa flessibilità mettendo sordina su aspetti di dovere e obbligo e consentendo
libertà più ampie rispetto ai rapporti, maggiori possibilità di scelta. Consente un rapporto più
individualizzato, più a misura del singolo, dei sui bisogni, preferenze ed affinità.
Non è il numero quindi dei parenti con cui l'individuo oggi è in rapporto a differenziare la
situazione attuale dalla società tradizionale; oggi si possono mantenere più rapporti anche in
circostanze che un tempo li avrebbero interrotti. La diversità sta nella maggiore legittimità delle
scelte realtive al con chi, e su quale piano intrattenere rapporti.
Chi è privo di questa rete e chi sperimenta più obbligazione che reciprocità, si trova più solo e
anche indifeso rispetto sia le richieste che ai rischi connessi alla sua partecipazione nella società.
Si distingue il mantenersi in contatto dal fornire sostegno all'interno della parentela. Certi tipi di
sostegno richiedono contatti faccia a faccia, ma non è così per tutti. I contatti rimangono frequenti
fra parenti stretti; tuttavia ci sono differenze tra paesi per i contatti faccia a faccia. I più distaccati
sono gli statunitensi e gli australiani, mentre gli italiani sono al primo posto per la frequenza con cui
vedono i parenti; in particolare la famiglia mediterranea sarebbe la più inserita in una fitta rete di
rapporti in parte per la vicinanza geografica tra le famiglie.
Diverso è per i sostegni scambiati: notevoli sono gli scambi entro la parentela in tutti i paesi europei
a prescindere dal modello cultuale della famiglia e dal tipo di welfare state. In particolare il flusso di
aiuti economici va dalle generazioni più anziane a quelle più giovani, mentre il flusso di aiuti in
termini di prestazioni di cura e di sostegno va dalle generazioni di mezzo verso sia quella più
anziana che quella più giovane. Nei paesi mediterranei l'intensità di aiuto è più elevata se misurata
in termini di tempo che viene dedicato.
Vi sono differenze anche a seconda della classe sociale. Analizzando i vari tipi di aiuto si nota come
nelle famiglie di ceto medio il flusso è quasi esclusivamente di tipo unidirezionale con le famiglia
di origine in funzione attiva, donatrice: aiuto nel trovare lavoro, aiuto finanziario o sotto forma di
servizi. Lo scambio di servizi invece (lavoro domestico, cura bimbi e malati...) sarebbe prevalente
nella rete parentale dei ceti meno abbienti, nella misura in cui questi hanno meno risorse di
capitale economico o sociale da redistribuire.
La rete parentale può risultare però anche fonte di stress, di sovraccarico e tensione; nelle singole
unità famigliari e negli individui da cui ci si aspetta aiuto. Ed anche coloro che dipendono per
soddisfacimento propri bisogni dalla solidarietà della parentela possono trovarsi in situazione di
tensione, di forte ambivalenza. Questo perché si è notato come lo scambio di risorse dalla
generazione più anziana a quela più giovane abbia un effetto di mantenimento delle disuguaglianze
sociali da una generazione all'altra.
Uno studio inglese ha suggerito cautela nell'enfatizzare persistenza legami di solidarietà parentale
nella società contemporanea, rilevando sia la persistente rilevanza di reti di sostegno, sia i
mutamenti che sono intervenuti in tali sostegni. Per quanto cruciale sia la parentela nella vita
quotidiana non si può più fare conto in modo esclusivo e prevalente sulla sua presenza; ed
effettivamente in questi scambi sono coinvolti un numero limitato di soggetti e la stessa attività è
oggetto di selezione e negoziazione. Sta cambiando e non va sopravvaltata, nonostante continui ad
esssere rete sociale importante.
Altre ricerche segnalano anche che non vi è necessariamente coicidenza fra sentimenti di
obbligazione e intensità di sentimenti effettivi. Il sentimento di obbligazione non è solo
culturalemte e storicamente variabile da una persona all'altra, è anche un atteggimento non
spiegabile sulla base dell'affettività.
-> In Italia (indagini ISTAT) in particolare persiste fenomeno di vicinanza residuale delle famiglie
di genitori e figli anche se in lieve calo (stesso comune); ciò spiega perché italiani frequentino più
spesso parenti stretti anche se diminuiti sono i contatti faccia a faccia e aumentati quelli telefonici.
La frequentazione è meno assidua nelle città metropolitane rispetto ai comuni più piccolim ma è
compensata da un maggior contatto telefonico. Inoltre grande rilevanza ha oggi la parentela
allargata, ossia quella che va al di là dei legami generazionali più diretti.
Oltre a visite e sostegni affettivi e psicologici, ci si scambia fra parenti più stretti aiuti materiali
gratuitamente. Queste reti di aiuto informale sono più attive a nord-est e nei centri di medie
dimensioni, più contenute nel mezzogiorno e nei piccoli centri. Quando si tratta di aiuto alla cura e
nei lavori domestici sono le donne nelle età centrali a occuparsene, mentre gli uomini sono più
presenti negli aiuti di tipo burocratico, economico o legato al lavoro. I genitori sono risorsa cruciale
all'accesso al bene fondamentale quale la casa; mentre i nonni sono risorsa importante per la cura
dei bambini quando la madre lavora. In Italia questo aiuto è intensivo ed indispensabile.

L'affettività è un elemento importante che sottostà agli scambi parentali e ne costituisce la


legittimazione ideale più che la causa. E' nell'affetto scambiato, più che nella doverosità
dell'obbedienza e del rispetto che si fonda la continuità fra generazioni e l'appartenenza a una
parentela comune. I rapporti sono scelti. Il valore e l'aspettativa dell'affettività son così forti che
tendono a celare gli aspetti strumentali della parentela: il valore pratico, sociale, economico di molti
scambi.
I rapporti parentali in linea diretta: genitori-figli (sposati) non esauriscono i rapporti di parentela,
sono per certi versi recenti in termini di durata e ciò vale anche per il rapporto nonni-nipoti. Un
secolo fa la durata media della vita e le speranze di vita degli adulti non consentivano a molti
nonni di veder nascere e crescere tutti i nipoti o le proprie figlie sposate, madri e suocere.
L'articolazione dei rapporti di parentela nel ciclo di vita vale anche al di fuori del rapporto
generazionale diretto: il rapporto fra cugini ha un peso diverso nelle varie età, i rapporti con zii e zie
possono permette differenziazione e riconoscibilità divenendo risorsa per elaborare identità
personale.

Le strutture di genere nella parentela contemporanea

ricerche segnalano la perdurante importanza delle strutture di genere, cioè delle diverse posizioni
che i due sessi occupano entro la parentela. Pare esito rovesciamento strutture di genere della
famiglia del passato, che vedevano donne in posizione marginale sia rispetto la propria linea di
parentela, sia in quella in cui entravano. Nelle reti parentali contemporanee le donne sembrano
piuttosto collocate al centro degli scambi con compiti di comunicazione e mediazione tra gruppi,
famiglie e linee di parentela; in quanto attive promotrici di relazioni e solidarietà che altrimenti non
esisterebbero.
Continua a permanere patrilinearità simbolica espressa dalle regole di attribuzione e trasmissione
del cognome, ma l'appartenenza e l'identificazione a una continuità intergenerazionale sembrano
piuttosto essere comunicati e garantiti per il tramite delle donne e dei rapporti fra donne. Sono esse
a scambiarsi aiuti e informazioni rilevanti per la vita quotidiana e per la continuità delle tradizioni.
La forte prevalenza di donne sulla scena dei rapporti di parentela di oggi è interpretata come
matrifocalità o matrilateralità, delle identificazioni e solidarietà parentali. Il venir meno del ruolo
diretto e determinante di collocazione sociale della parentela ha lasciato spazio a rapporti di affetto
e collaborazione fra donne, divenuti così perno della parentela.
Occorre allora distinguere linea di parentela privilegiata nella vicinanza e nel senso di obbligazione
e soggetti che si fanno carico delle relazioni di parentela. Sia nelle situazioni matrilaterali che in
quelle patrilaterali, o in quelle in cui non si previlegia ne l'uno ne l'altro, sono le donne oggi a farsi
carico dei rapporti costruendoli e mantenendoli. Il ruolo femminile emerge netto sia guardando i
flussi di affettività che quelli di aiuto. Sono loro che rendono disponibili luoghi per scambi familiari
e per riti, momenti simbolici di riaffermazione delle vicende, dei legami per ricordarli e continuarli
tramite comunicazione ed attività femminili.
Gli uomini possono apparire beneficiari e vittime di questa rete parentale "femminilizzata", o
meglio matricentrica, nella misura in cui è innanzitutto nel legame con la madre che viene espressa
l'affettività e la continuità familiare. Ed è attraverso le varie figure della maternità che le donne si
collegano tra loro entro la rete parentale. Anche se inesplorato resta il legame padre-figlio e quello
padre-figlia.
Gli aiuti della rete parentale inoltre coinvolgono soprattutto le donne sia come donanti che come
riceventi. In particolare per quel che riguarda i servizi. Gli uomini sono innanzitutto mediatori e
sostenitori, possono fornire sostegno finanziario o servizi in natura; mentre le donne forniscono
aiuti domestici che hanno a che fare con la quotidianità. Attività di tipo continuativo che implicano
rapporti interpersonali faccia a faccia.
Se un uomo non ci sa fare con il lavoro manuale non ci si aspetta niente da lui, mentre l'attesa che le
donne sappiano far certe cose appare più ovvia e naturale – innaturale è l'indisponibilità.
Si parla di "carriere morali" specifiche di genere. Le donne sviluppano comportamenti e
propongono immagini di sè tali che i loro familiari si aspettano da loro disponibilità a prestare aiuto
in caso di bisogno. Tuttavia, in una famiglia o rete parentale, ciò non avviene in modo omogeneo
per tutte le donne e viceversa può riguardare anche qualche uomo.
Si capisce quindi come la parentela più efficiente è quella in cui sono presenti competenze sia
maschili che femminili, così come sono definite nella nostra società. Che ciò poi corrisponda
effettivamente alla disponibilità affettiva dei singoli, è altra questione.
Comunque questo tipo di attese per sesso, sono incorporate poi in politiche sociali che rafforzano
non solo la divisione del lavoro ma anche del riconoscimento simbolico (stereotipi di genere).

CAPITOLO III – IL MATRIMONIO E LA COPPIA

Elementi di antropologia del matrimonio: allenaza fondata su strutture di genere

Il matrimonio è un'unione realizzata in modo tale che i figli siano riconosciuti come legittimi dei
coniugi. Definizione accettata in sociologia ed antropologia e che più corrisponde al senso comune
nelle culture occidentali moderne e contemporanee. Il materiali etnografia tuttavia ne mette in
dubbio la validità universale. L'unico elemento che si ritrova in maniera uniforme nelle varie culture
è la condizione che tra le unità che compongono devono esserci sia uomini che donne: se non tali
biologicamente, definiti tali socialmente.
Il matrimonio appare il principale istituto per l'attribuzione della posizione dei singoli entro la
struttura sociale di genere: sulla base della loro appartenenza sessuale, ma anche a prescindere da
questa. Inoltre queste due figure appaiono non avere collocazione sociale equivalente – è una
struttura complementare e asimmetrica. Diversa posizione dei sessi espressa nello stesso linguaggio:
la parola latina si riferisce al mutamento di status femminile – il matrimonio più che istituire un
rapporto coniugale, istituisce un rapporto di filiazione legittima in cui la madre è certa e definita è la
paternità. La preminanza della finalità generativa appare chiara anche da alcune consuetudini che si
trovano in gruppi sociali e culture, pur diverse fra loro (dote, prezzo della sposa... solo nel caso in
cui la donna procrei).
Accanto alla filiazione legittima, il matrimonio esprime altra finalità: alleanza fra gruppi. Levi-
Strauss parla di matrimonio come scambio delle donne: tramite questo ogni gruppo dà e riceve
prbabilità di sopravvivenza ed inoltre stabilisce legami di interdipendenza tra i gruppi stessi. Ed
anche in questo caso si costruiscono rapporti asimettrici: gli uomini scambiano, le donne circolano.
Caratteristica visibile anche nelle società storiche in cui si può parlare di strategie matrimoniali
come vere alleanze politiche e economiche. Entro queste la coppia ha una posizione strumentale e il
rapporto tra i due ha rilevanza solo in quanto consente proseguimento dell'alleanza tra gruppi.
Nelle famiglia artigiane e contadine questo rispondeva prima di tutto a necessità di lavoro; ogni
finalità ha poi conseguenze sull'età degli sposi.
Si creano quindi sia interdipendenza fra gruppi sociali che specializzazione del maschile e del
femminile, fra i due sessi che vanno al di là delle caratteristiche biologiche e delle necessità di
riproduzione con lo scopo implicito, ritiene Heritier, di costruire complemetarietà e interdipendenza
fra sessi che riguarda sia competenze pratiche che i bisogni affettivi e sessuali – divisione del lavoro
e subalternità donna anche nella cultura borghese del XX secolo.

Alle origini della regolamentazione matrimoniale in occidente

Il matrimonio si compone di necessità e rischi; è ambito di intensa regolamentazione ma anche di


conflitti di competenza e di autorità tra parentele, famiglie, chiesa e stato.
A partire dal XII secolo in Europa il controllo normativo passa dall'impero alla Chiesa Cattolica; si
inizia così a dibattere sulla sacramentalità del matrimonio che verrà decisa in senso positivo dal
Concilio di Trento.
La Chiesa sostiene validità e sufficienza del consenso degli sposi perché il matrimonio possa
avvenire e sia legittimo; prescindendo dal controllo e consenso delle parentele ciò ha effetto
destabilizzante e introduce possibilità conflitto Chiesa e famiglie e disordine nelle strategie di
alleanze famigliari e nei modi di riproduzione dei ceti e dei patrimoni. La Chiesa diviene partner
forte nel processo matrimoniale: può favorire matrimonio contro parere parenti ma può anche
favorire un alleanza piuttosto che un'altra; per questo il conflitto di sposa sull'età in cui individui
possono esprimerlo liberamente. Il Concilio decide 30anni per i maschi e 25anni per le femmine.
Età elevate rispetto età media matrimoni e ciò quindi lascia spazio a famiglie di combinare
matrimoni con il consenso della Chiesa.
Se definizione dell'età è compromesso con le famiglie, la stabilizzazione del rito è una forma di
controllo da parte della Chiesa tesa a contrastare e matrimoni di fatto. Il sacerdote appare sempre
più come colui che fa il matrimonio, non ne è solo testimone – trasformando così il libero consenso
in un atto non più reversibile. Il matrimonio di liberi individui diviene indissolubile. Il rito
matrimoniale diviene più importante dell'espressione del consenso. Vengono introdotte le
pubblicazioni, così sia la Chiesa che la comunità possono controllare coppia verificando eventuali
impedimenti e sanzionando la scelta in quanto atto pubblico. L'obbligatorietà del rito e la sua
pubblicità costituiscono perciò strumento per far entrare matrimoni dei ceti subalterni in un quadro
istituzionale normato. Normativa della Chiesa che precede di molto l'intervent dello stato moderno
nella regolazione delle forme e istituti della vita quoridiana e della riproduzione sociale.
Gli stati nazionali cercano poi di sostituirsi alla Chiesa nella regolamentazione del matrimonio,
facendone prevalere i tratti di contrattualità e rilevanza sociale (patrimoni e eredità). Ciò ha fatto
sì che la regolazione statale riguardase innanzitutto i matrimoni aristocratici e dei possenti. Infatti
momento cruciale si ha nel Codice napoleonico. Con esso il matrimonio è un contratto patrimoniale
che fonda gerarchia fra sessi. Qui irrevirsibilità consenso riguarda non tanto il vincolo quanto la
dipendenza della moglie come esito libera scelta -> società di capifamiglia. I maschi svincolati da
tutela parentale e della chiesa, mentre e femmine possono esprimere liberà solo nel passaggio da
una tutela all'altra – padre/marito. Regolamentazione che si diffuse a tutti i ceti sociali, giungendo a
compromessi con quella ecclesiastica. Riguarda non solo matrimonio e familia ma anche
organizzazione sfera pubblica e privata che segna ancora oggi modo di pensare famiglia e
rapporto uomo-donna, e rapporto famiglia, società e stato.

Nuzialità ed età del matrimonio nel passato

I tassi di nuzialità, così come età del matrimonio, hanno a che fare con strategie familiari, che non
riguardano solo alleanze ma possibilità di sopravvivenza delle famiglie stesse.
Anche i modelli di trasmissione delle eredità possono incidere sia sull'età che sulla possibilità stessa
di sposarsi, per gli uomini; mentre la disponibilità o meno di una dote, e la sua consistenza incidono
sulla possibilità di sposarsi delle donne. Questi fattori differenziano non solo i membri delle
famiglie dei diversi ceti, ma anche figli/e della stessa famiglia. Come ad esempio i figli cadetti e le
ragazze senza dote, rischi di ogni famiglia che può farci fronte tramite la scelta del sacerdizio,
esercito o servitore per i ceti più bassi. In ogni caso la condizione di celibe/nubile solo raramente
corrispondeva a una scelta ed era invece condizione di debolezza nel mercato matrimoniale.
Per tutto il XIX secolo il modello matrimoniale prevalente nell'occidente europeo era caratterizzato
da un'età elevata e un'alta propozione di persone che non si sposavano mai (donne 26-27 anni)
soprattutto al Nord perché richiesta era l'autosufficienza economica della coppia. Nell'Europa
meridionale (Italia) il matrimonio avveniva in età più giovane anche in ambiente rurale (24-25
anni), comunque più elevata che nelle regioni orientali e asiatiche. Anche la percentuale di chi non
si sposava, benché più bassa che al nord, era più alta dell'europa orientale.
Medie che comunque nascondono differenze fra città e campagna e tra ceti sociali.
Dibattito vivace sulla presenza o meno di rapporti d'amore tra coniugi nella società del passato e
sulla presenza di fattori nella scelta del coniuge non riconducibili a valutazioni di opportunità
strategiche. I giudizi storici sono difformi. Anche per quel che riguarda quando e in quali ceti sia
emersa prima la dimensione affettiva nei rapporti di coppia. L'analisi e la valutazione di questi
fenomeni sono complicate dal fatto che i codici espressivi erano diversi dai nostri.
L'età elevata del matrimonio segnala anche possibile conflitto tra generazioni: giovani adulti la cui
possibilità di sposarsi dipende dalle risorse e decisioni familiari. Dovevano dilazionare entrata nello
status adulto ma anche la piena espressione della sessualità. Iato di dieci anni fra pubertà ed età
del matrimonio.
I tassi di nascite illegittime potrebbero essere indicatori del grado di disobbedienza giovanile o
consenso famiglie corteggiamento che prevedeva relazioni sessuali. Essendo percentuale ridotta
dalla metà XVII sino alla metà del XVIII secolo indica quanto sia stata efficace la chiesa nella sua
opera di moralizzazione dei comportamenti in quel periodo. Fino a sostenere che le nascite
illegittime extraconiugali rappresentassero abitudine maschile ad avere relazioni sessuali senza
progetti matrimoniali.

Chi sposa chi: mercati matrimoniali stretti e larghi

Un tempo regola per la scelta del coniuge era quella della omogamia, per cui si sposava il simile
socialmente così da garantire stabilità ed equilibrio al rapporto per la sua efficacia. Regola in
tensione con l'esogamia che impone di uscire dal proprio gruppo per allearsi con altri.
Nella società del passato il matrimonio rappresentava strategia di alleanze familiari, la regola si
traduceva in scelte obbligate nel gruppo professionale e ceti sociali omogenei. Solo in periodi di
transizione e trasformazione sociale, le strategie si aprono a matrimoni fra ceti diversi. Il timore
dato dai rischi sociali e familiari nel caso di rottura delle regole non riguardava solo famiglie
aristocratiche e borghesi, ma anche contadine, anche se ognuno per realizzare regola omogamia
usava risorse diverse. I ceti urbani spingevano a cercare coniugi anche molto lontano, mentre i ceti
rurali contemplavano anche l'edogamia – matrimoni fra consanguinei e affini. Tra il '500 e il '600
pare scelta di necessità in situazioni in cui i non parenti disponibili sono pochi e perciò il mercato
matrimoniale è stretto. Ciò coinvolge in modo diverso uomini e donne. L'uomo è raro e la donna
abbonda. Per le figlie va bene allora chiunque, mentre uomini possono scegliere.
Oltre che necessità l'edogamia rappresenta anche valore attribuito alla scelta del simile: ideale è
colui che è parente, vicino e amico così da rinsaldare legami e unificare terreni e ridurre rischi
dispersione e intervento estranei.
Maggior mobilità geografica e sociale consentita dai fenomeni di industrializzazione e
urbanizzazione della seconda metà dell'800 contribuirà aumento possibilità sposarsi e sposarsi
prima e modificherà criteri scelta coniugale aprendo mercati. Criterio somiglianza modificato e
non sarà più lasciato all'ascrizione ma anche all'acquisizione.
Il matrimonio oggi

Nella cultura del matrimonio contemporaneo ci si incontra per caso, ci si sposa per amore e per
amore si resta sposati; così come per mancanza di amore si può lasciare matrimonio. La centralità
dell'ideologia dell'amore come fondante matrimonio rappresenta modo storicamente specifico di
riconosce e fare i conti con dimensione sentimentale presente in ogni società. Ognuna istituisce
forme di controllo di questa dimensione per impedirne o incanalarne gli effetti distruttivi o asociali.
Nelle società tradizionali i matrimoni non sono lasciati alla decisione dei singoli e il sentimento
viene negato per il valore dato al rapporto coniugale.
Nelle società occidentali contemporanee è al contrario la mancanza d'amore a costituire
aberrazione, perciò individui vengono socializzati ad innamorarsi e a farsi guidare da questo
sentimento nella scelta del coniuge. Il controllo delle famiglie e degli adulti si esercita
indirettamente, controllando relazioni informali, ambienti in cui i figli possono incontrare simili.
Il fenomeno di dating: il formarsi di coppie in età adolescenziali è infatti una forma di
apprendimento/socializzazione sia ai ruoli sessuali che alla cultura dell'innamoramento. Fornisce ai
singoli indicazioni sulle caratteristiche desiderabili e desiderate dei possibili partner. Permane
omogamia sociale ed endogamia geografica; tuttavia la mobilità matrimoniale, specie per donne e
coppie eterogenee dal punto di vista dello status professionale non mancano. La questione della
somiglianza fra coniugi è infatti complessa: necessario è riconoscimento non solo dello status
sociale ma anche dei valori dei gusti e del comportarsi. Si cerca complemetarietà che non si esauri
nella differente appartenenza di genere.
Ideologia amore romantico costituirebbe "mediatore simbolico" delle richieste e tensione
contrastanti sottese alla scelta del partner in situazioni di bassa normatività e controllo; allo stesso
modo consentirebbe di smussare dimensioni di razionalità e calcolo costi benefici che pure sono
sottesi nello stesso modello.
L'amore come fonte di legittimazione dunque porta a conseguenze alla struttura delle relazioni
sociali e di parentela:
1. ciò è reso possibile prima di tutto dalla relativa autonomia spaziale, economica, sociale della
coppia rispetto alla parentela. Quanto più ridotto spazio parentela, tanto più focalizzato e
intenso è spazio della coppia, dell'intimità e del cameratismo come modelli di relazione
matrimoniale. Modello che presuppone parità e reciprocità affettiva, che può però
nascondere e legittimare subalternità di interessi e asimmetria di potere.
2. costituisce un passaggio obbligato in una cultura e organizzazione sociale in cui le relazioni
familiari non possono istituzionalmente valere come forma di collocazione sociale. Sposarsi
per amore è codice legittimo di separazione e automatizzazione dalla prorpia famiglia,
costituendosi come rito di passaggio all'età adulta.
3. l'ideologia con connotati erotici e sessuali costituisce inoltre rafforzamento dela libertà dei
giovani nella società e nelle famiglie
I passaggi storici e culturali che hanno portato a questo modello sono diversi. Lo spazio
dell'affettività (de-erotizzata) di coppia è rimasto scisso in un primo tempo da quello dell'erotismo
e della sessualità esprimendosi nel progetto educativo e affettivo nei confronti dei figli e nelle forme
di rispetto dovute alla donna. Si è infatti creato "posto della donna" con sfere d'esperienza e
simboliche separate dalle maschili. Trovando anche nell'immaginario cattolico sposa come madre
e nel valore della verginità e castità conferme. Le stesse donne crearono propria identità familiare
attorno sistema morale domestico che aveva tratti di ascetismo e restrizione sessuale, per civilizzare
uomini autodifendersi in un periodo ancora privo di contracettivi.
Il passaggio all'unità di coppia anche erotica è successivo alla creazione delle sfere separate.
Rappresenta tentativo di superare questa separazione fornedo terreno di incontro ed esistenza per la
coppia. Se prima è stata la borghesia ad essere protagonista dell'innovazione culturale, in questo
secondo passaggio sono i ceti medi a spingere verso rinnovamento.
Il terzo passaggio porta dalla fusionalità alla negoziazione: amore romanitco incontrandosi con le
trasformazione dei costumi e con l'emancipazione femminile dà luogo a un nuovo modello di
matrimonio: negoziale in cui autonomia è valore e base intimità coppia.
L'industrializzazione con l'aumento dei matrimoni e anche abbassamento età media matrimoni porta
a considerare primi decenni del XX secolo "età d'oro della nuzialità". Anche Italia è coinvolta in
questo processo anche se con ritardo e minore intensità. Forse per la più lenta industrializzazione
anche se poi c'è stata progressiva omogeneizzazione età primo matrimonio. Anche se età oro è stata
stagione breve: a partire da anni '70 c'è stato rallentamento sia della propensione al matrimonio che
abbassamento dell'età nello stesso.
Questi fenomeni danno vita a nuovi modelli di convivenza e a nuove fasi del ciclo di vita
individuale. Abbassamento età matrimonio avviene insieme abbassamento età primi rapporti
sessuali sancendo così non solo separazione sessualità e procreazione ma anche tra sessualità e
matrimonio, tra sessualità e status adulto che erano tipici del modello europeo occidentale.
La separazione è diventata netta in tutte le direzioni, sconvolgendo le sequenze attese e poi non più
obbligate. Dietro ciò cause molteplici e non lineari: diffusione amore romantico, crescente
autonomia nei comportamenti e nei consumi delle giovani generazioni, aumento scolarizzazioni,
emancipazione femminile.. stessi fenomeni che danno origine a movimenti collettivi di tutte le
società occidentali di fine anni '60 e prima metà anni '70 – rivoluzione culturale nei comportamenti
e relazioni tra generazioni e sessi.
Lideale della parità fra i sessi e allargamento sfere azione e opportunità donne hanno portato
trasformazioni processo formazione coppia e nel modo di concepirla. Amore e non matrimonio è
legittimazione alla sessualità, soprattutto femminile. L'amore e il sesso sono base coppia prima del
matrimonio. La coppia si costruisce in un processo di verifica e negoziazione con passaggi che
prima erano autorizzati solo nel matrimonio. Kaufmann parla di coppia a piccoli passi accentuando
carattere di potenziale reversibilità al di là del divorzio.
Ma non solo nella sessualità si gioca parità fra i sessi; innamoramento è sempre meno processo
fusionale e asimettrico: l'obiettivo è mantenere dualità – matrimonio conversazionale, dove il
rapporto di coppia è continuamente costruito e riscritto. Non più fine della favola, ma attori
decidono ogni giorno se continuare a stare insieme. Si ha democratizzazione della vita privata che
ha al centro la persona con dimensioni di riflessione ed intenzionalità.
Comunque nella realtà contemporanea diversi modelli di matrimonio coesistono, permettendo
confronto non solo fra paesi ma anche fra gruppi sociali all'interno della medesima società. Ogni
coppia può costruire proprio matrimonio con pezzi di modelli diversi.
Il matrimonio si costruisce e modifica nel tempo, secondo regole e stimoli che non derivano solo
dalle aspettative e dai comportamenti dei coniugi. E' influenzato dalla presenza o meno dei figli,
dalle vicende professionali, dalle circostanze economiche... gli equilibri interni, le aspettative e i
patti non solo devono considerare i mutamenti delle circostanze e responsabilità date dalla
convivenza e condivisione ma anche le risorse e aspettative esterne. I modelli culturali interiorizzati
forniscono criteri guida per affrontare mutamenti nel tempo, possono trasformare e ciò non avviene
sempre allo stesso modo in entrambi i coniugi.
La prevalenza del rapporto rispetto alla dimensioni istituzionali e di responsabilità sociale è stata
letta anche come secolarizzazione: venir meno dimensione metaindividuale e metafamiliare del
matrimonio; così le modifiche normative propongono matrimonio più simmetrico e più aperto a
conflittualità e negoziazione, non più irreversibile.
In italia ciò ha avuto conseguenze sullo stesso rito, sul riconoscimento e legittimazione sociale degli
sposi. Si assiste aumento rito civile. Fenomeno che noon riguarda solo divorziati, ma in misura
crescente anche i primi matrimoni.
La concezione secolarizzata e reversibile del matrimonio dai prima anni '80 in poi appare la più
condivisa dalla popolazione, parallelamente all'accettazione delle convivenze more uxorio, fondate
non su matrimonio ma intenzione comune di stare insieme. Dati mostrano somiglianza atteggimenti
popolazione italiana che si differenzia rispetto altri paesi riguardo comportmaneti quali: matrimonio
visto come ingresso autonomia abitativa e vita adulta. Età elevata matrimonio infatti non solo
prolunga permanenza da genitori ma anche amplia scato fra sessualità attiva e autonomia vita
quoridiana. Per questo più lente convivenza e la coppia si configura come vivere separati insieme.
Le coppie di fatto

I matrimoni diminuiscono e le convivenze di fatto sono in aumento. Non sono invenzione recente
ma nuovo è il significato che viene loro attribuito come il grado di riconoscimento e legittimazione.
E' ormai comportamento normale, e in molti paesi prima forma di vita di coppia. Non è rito di
passaggio ma rito di conferma – riconoscimento a posteriori.
Sembra derivare da mutamenti nel comportamento dei giovani e nel potere di controllo dei genitori,
piuttosto che nell'età adulta. Le convivenza prematrimoniali sono sia matrimoni di prova che
convivenza che non porteranno a matrimonio ma costiuscono forma organizzativa vita quotidiana e
sentimentale. Non è passaggio all'età adulta ma fase dell'età giovanile in cui può esserci
dipendenza economica dalla ffamiglia d'origine e condizioni non lavorative. In situazioni di
incertezza circa il proprio futuro le persone tenderebbero a non impegnarsi con una prospettiva di
lungo periodo neppure nella coppia. Spiegazione però parziale che non considera come la diffusione
di queste convivenze sia precedente alle trasformazioni sul mercato del lavoro e maggiormente
diffuse in quei paesi dove gli ammortizzatori sociali sono più forti ed efficaci.
Accanto convivenze giovanili vi sono anche quelle di persone in età centrali spesso con figli. Sono
persone mai sposate o con matrimoni alle spalle nella prospettiva di un'ulteriore unione
matrimoniale. Non diffuse con stessa intensità in tutti i paesi, prima nei paesi secolarizzati nel Nord
Europa, Inghilterra e Francia, poi nei tardini secolarizzati e dove reti familiari hanno maggiore
importanza.
In Italia le convivenze prematrimoniali sono aumentate così come la durata delle stesse, come in
altri paesi assumono sempre più caratteristica di fase della vita di coppia con propria autonomia, che
può o meno sfociare nel matrimonio. E visto i tempi fra separazione e divorzio aumentate sono
quelle fra due matrimoni. Ci sarebbe maggiore autonomia reciproca fra patner e maggiore
negoziabilità dei rapporti, anche se ciò in parte dipende dalla classe sociale. Comunque non
necessariamente i matrimoni preceduti da convivenza sono più stabili di altri.
Ci sono anche dei rischi, in quanto hanno minore stabilità rispetto ai matrimoni. Sia per il fatto
d'essere sperimentazioni nel passaggio all'adultità e per il loro carattere negoziale che comporta
aspettative e soglie di tollerabilità diverse da un matrimonio. Non avendo riconoscimento legale e
normativo il rischio è che le parti deboli in caso di scioglimento non trovino alcuna protezione
istituzionale.

L'altra faccia del matrimonio: separazione e divorzio

Divorzio valvola di sfogo per le tensioni, utilizzata in circostanze e con conseguenze diverse.
Differisce da altre soluzioni quali annullamento o poliginia.
Nel tempo cambia è la motivazione ritenuta legittima per richiedere divorzio. Ciò dipende da
modello matrimonio, infatti se in alcune società può essere sterilità della donna o infedeltà a
motivare richieste divorzio, in altre possono valire motivazioni meno specifiche relative alla qualità
del rapporto di coppia: incompatibilità, mancanza amore... mentre in alcune può avvenire solo per
colpa in altre può avvenire per scelta e consenso.
Nelle società dove si è avuto aumento durata della vita le tensioni del vivere in coppia sono
aumentate. La possibilità d'adattamento e di conflitto infatti aumentano nel corso della vita ed
inoltre ci sono mutamenti sociali e scansioni interne.
Le conseguenze sulla struttura della famiglia sono simili nel caso della vedovanza e del divorzio,
ma le conseguenze sulle relazioni non sono identiche. Il lutto per morte o rottura hanno possibilità
diverse di elaborazione e superamento. Lutto per genitore perduto o lontano non si possono
assimilare. Specifiche sono complicazioni nella coppia e fra generazione nel caso in cui il genitore
assente non sia morto. Anche la rete sociale deve elaborare in modo diverso il singolo che prima era
coppia quindi unità affettiva e relazionale. Ci vogliono scelte e ridefinizioni della rete sociale.
In Italia il divorzio arriva tarsi, 1970 prima ci si poteva separare ma non era possibile rendere
reversibile stato coniugale e quindi accedere a nuovo matrimonio.
Prima del XX secolo in Europa e USA i tassi di separazione legale e divorzio erano relativamente
bassi, con la fine degli anni '60 e soprattutto '70 iniziano a salire rapidamente. Aumentano divorzi e
si dimezza durata matrimoni e ciò accade in tutte le coorti matrimoniali a prescindere dalla durata
dei matrimoni e dalla diversa età dei coniugi; quindi persone che hanno costruito matrimonio in un
contesto con modelli diversi.
Il divorzio si inscrive nella nuova logica del matrimonio: se ci si sposa, ci si sceglie per amore
dunque rapporto non può più essere costrittivo e non può esistere al di fuori del principio che gli dà
origine. La legislazione cambia perchè anacronistica rispetto comportamenti e modelli culturali
diffusi; e a sua volta mutamento legislativo rendo più normali e legittimi quegli stessi
comportamenti. Divorzio e legislazione quindi rapporto non univoco e diretto.
Italia si caratterizza per tardività introduzione divorzio ed anche esistenza due processi oltre che
dimensioni contenute fenomeno instabilità conuigale. Mentre negli altri paesi tasso stabilizzato in
Italia è in aumento, avvicinandosi ai paesi dove fenomeno è presente da più tempo. Ciò vale anche
per persone coinvolte: ceti più istruiti del centro nord e si diffonde anche negli altri ceti e regioni
meridionali portando a democratizzazione delle separazioni come soluzione al conflitto.
Maggiore stabilità nel Mezzogiorno e nei ceti sociali più bassi non significa meno tensioni nei
rapporti ma soluzione divorzio meno diffusa e magari si accettano rapporti insoddisfacenti,
abbandoni, poliginia e così via... l'accettazione del divorzio consensuale e non di colpa implica
infatti una visione dei rapporti come simmetrico/egualitari, una capacità negoziale che valorizza sia
amore che il benessere individuale mentre sottace il valore del sacrificio rispetto al rapporto
coniugale. L'esistenza di differenza comunque rimanda anche a tradizioni e culture diverse, e a
risorse differenti con cui si costruisce relazione. Là dove divisione del lavoro e asimmetria
controllo risorse economiche e sociali mettono in svantaggio un soggetto piuttosto che l'altro fa
apparire più vantaggioso per entrambi il mantenimento del rapporto anche se con conflitti.
Differenze inoltre si notano in base alla classe sociale ed alla collocazione territoriale: più conflitti
più è basso livello di istruzione e più ripetuto è conflitto anche dopo separazione, coinvolgono figli
e minori capacità gestionale degli stessi. Culture di genere che distinguono maggiormente
competenze e aspettative lasciano maggiormente gli ex senza strumenti per gestire separazione.
Si nota aumento instabilità coniugale quando la donna ha attività professionale: quando ha lavoro e
reddito che la rende autonoma ha maggiore possibilità di negoziare nel rapporto coniugale e di
sciogliere un rapporto che non corrisponde più alle aspettative. Inoltre il lavoro può mettere in
discussione le norme e i modelli di genere su cui si basano la divisione del lavoro e attribuzione
responsabilità matrimonio – incertezza condivisione norme e modelli maggior causa instabilità.
Matrimonio asimettrico e divorzio egualitario può essere costoso per donne e bambini che cadono
in povertà perché se gli uomini investono sul lavoro, le donne sulla famiglia e quando avviene
rottura coniugale si hanno effetti diversi per mariti e mogli. Costi gravi per chi ha meno risorse e
meno forza negoziale.

Le seconde nozze

Fenomeno non nuovo ma nel passato reso possibile solo da vedovanza. Oggi invece il divorzio
rimette sul mercato matrimoniale una popolazione doppia. Anche se più probabile che un
divorziato sposi una nubile piuttosto che una divorziata sposi un celibe. E se ci sono bambini
probabilità di risposarsi diminuiscono ancora. Gli uomini divorziati hanno infatti più possibilità di
risposarsi delle divorziate. Differenza che non appare negli altri paesi. Inoltre in Italia tra i
divorziati si risposano coloro che hanno titolo di studio elevato.

CAPITOLO IV – FIGLI, FRATELLI, GENITORI, NONNI: RAPPORTI E POSIZIONI


GENERAZIONALI

I figli fanno la famiglia


A livello di senso comune sembra che si parli veramente di famiglia solo quando ci sono figli, il
matrimonio appare necessario ma non sufficiente al costituirsi della famiglia. Molti dichiarano che
scopo del matrimonio è la procreazione, avere un figlio è ritenuto un’esperienza importante cui
solo una minoranza è disposta a rinunciare. Il numero medio di figli che si pensa di avere è due, in
contrasto però con la realtà, laddove il tasso di fecondità è ampiamente al di sotto. Però segnala la
persistenza dell'ideale della famiglia con figli e della generazione come dimensione importante del
fare famiglia. In alcune culture non avere figli è causa sufficiente per lo scioglimento del
matrimonio. Anche per la dottrina cattolica il matrimonio è strumentale alla procreazione. Solo
con il Concilio Vaticano II (1970) al fine procreativo si è affiancato il benessere e le relazioni di
reciprocità nella coppia, però il fine della sessualità coniugale rimane comunque la procreazione.
Il posto che ha la procreazione e i fgli nel ciclo della vita nella famiglia è un potente indicatore di
cosa sia una famiglia in una determinata epoca e società. Gli studio di Ariès sul posto dell’infanzia
nelle famiglia dell’Occidente Europeo indicano come l’immagine della famiglia moderna fatta
d'affetti costituenti una sfera privata, sia nata dapprima come famiglia genitoriale educante e poi
come coppia coniugale amorosa. La famiglia affettiva nasce da una ridefinizione del posto dei figli,
prima che delle relazioni di coppia: da anelli della catena generazionale che perpetua lignaggio a
centro affettivo e simbolico. Si modificano così relazioni, scansione età e percorso di crescita.
Questo processo è accompagnato da una trasformazione quantitativa che vede diminuire il numero
di figli per famiglia man mano che la loro importanza affettiva aumenta - modificando esperienza di
essere figli e quella di essere genitori ed anche sessualità di coppia.

I figli nella famiglia nelle società tradizionali

Nel passato la fecondità e il numero dei figli sono stati affidati a due regolatori esterni: il regolatore
naturale della mortalità, ed il regolatore sociale dell'età al matrimonio. Una età elevata distante da
quella dell'inizio fisiologico della fecondità femminile abbassava numero figli nati. Il controllo
sociale si incaricava di abbassare invece il numero degli illegittimi. La diffusione della mortalità
femminile per parto contribuiva a ridurre ulteriormente l'arco di fecondità delle donne e quella
infantile riduceva ulteriormente numero figli effettivi.
Vi erano poi altre forme di regolazione come gli allattamenti prolungati che provocavano una
temporanea sterilità nella donna e l'uso di non avere rapporti sessuali durante il periodo di
allattamento; infine l'aborto.
Non si può perciò dire che nel passato la fecondità fosse del tutto incontrollata. Il fatto che fosse più
alta dell'attuale è dovuto non solo a mancanza di strumenti contraccettivi efficaci, ma anche a
modello culturale e familiare in cui i figli erano una risorsa, non solo per continuità generazionale
ma anche sopravvivenza dei singoli. Il lavoro minorile è stato a lungo una risorsa familiare
importante e legittima, e se oggi provoca disagio e scandalo è perché è appunto mutato il posto del
bambino nell'ordine simbolico familiare e nell'economia domestica. I figli si trovavano in una
posizione paradossale: di rischio (costi alimentari,morte della madre…) ma anche di garanzia
(ammortizzatore dei rischi economici, forza lavoro…). Ciò si mostra con la presenza di servi, figli
in eccesso che potevano essere scambiati o assunti.
E' nelle famiglie aristocratiche e possidenti che i figli rappresentavano più visibilmente un costo:
solo la dote e l'eredità potevano garantir loro un futuro adeguato. Le pratiche di controllo per ridurre
il numero figli ammessi all'eredità suggerisce come fosse sconosciuta l'idea uguaglianza fra figli,
contrapposta alle salde gerarchie di potere e precedenze.

Figli e figlie erano precocemente inseriti in mondi differenziati tramite la divisione del lavoro, dei
comportamenti legittimi, dei saperi. Le società preindustriali avevano nella distinzione materiale e
simbolica dei sessi un potente ordinatore; e vivere gli uni in costante presenza degli altri, senza
spazio per l’intimità, non impediva che tali distinzioni mancassero. Una società così
apparentemente promiscua prevedeva anche nel comportamento esteriore la segnalazione delle
differenze di status e genere. L'abito diveniva il primo segnale di appartenenza, dopo il periodo
indifferenziato dell'infanzia. Usciti dall’infanzia vi era un precoce addestramento ai ruoli adulti e
alla socialità, secondo sesso e ceto. Irrilevante era l'età e non la quantità di prestazioni attese. Ci si
attendeva che prendessero presto parte alla vita adulta e precocemente erano considerati
responsabili dei propri atti (bambini in prigione, ai lavori forzati..).
Figli e figlie venivano anche “spesi” in modo diverso: le figlie erano più spendibili sul mercato del
servizio domestico urbano mentre i figli su quello dell’emigrazione stagionale.

L'avere persone a servizio ha fatto parte delle strategie familiari di tutti i ceti apparte quelli più
poveri. I figli conoscevano fin da piccoli i servi della propria famiglia e spesso avevano più rapporti
con loro che con i genitori, per sostituirli o andare a loro volta a servizio una volta grandi.
Le persone di riferimento per i giovani erano adulti-intermedi: servitori o fratelli/sorelle maggiori
con cui passavano molto tempo e da cui erano accuditi ed addestrati. I più grandi esercitavano
quindi autorità e potere sui più piccoli. L'esperienza di crescita era perciò segnata dalla presenza di
persone numerose e diversificate per età, posizione, competenze e autorità.
Così anche nelle famiglie aristocratiche, era la servitù che allevava i bambini mentre con i genitori
si avevano rapporti più cerimoniali e circoscritti. L'affidamento c'era fin dall'inizio – balie. Ciò
rimase così per molto tempo e vi erano precise gerachie relative a compiti, sfere d'influenza sul
fanciullo, con progressive separazione con il procedere dell'età.

Nelle società tradizionali l'entrata nello status adulto (persona socialmente autonoma) non
dipendeva tanto dallo sviluppo,dalle capacità individuali o dalle decisioni legislative, quanto dalle
strategie familiari complessive: una donna diveniva adulta quando sposata diveniva moglie del
capofamiglia mentre un uomo solo quando diventava capo di casa. Qualcuno poteva non divenire
mai totalmente adulto, perché mai totalmente in controllo di risorse familiari.
Il fatto che il raggiungimento dell'età adulta dipendesse da decisioni della generazione più vecchia
per gestione delle risorse, poteva essere fonte di conflitti in famiglia. Ma questa collocazione era
riconosciuta dalla società anche se non cnsiderava età e i bisogni legati a periodo sviluppo.
La graduazione per età intesa come graduazione dello sviluppo individuale, è un fenomeno
relativamente recente e sviluppatosi poco a poco. L'invenzione della giovinezza e dell'adolescenza
come fasi dello sviluppo individuale avviene solo verso la fine dell’800, quando il prolungamento e
l'istituzionalizzazione dei processi formativi resero visibile queste fasce di età riconosciute di
conseguenza come distinte nella vita individuale. La scuola diviene lo strumento principe di
identificazione e graduazione dei non adulti secondo la loro età.

Nascita della famiglia moderna: figli, madri, padri

All'origine della famiglia moderna come ambito privilegiato dell'affettività sta il processo di
privatizzazione della famiglia stessa, il suo ritiro dallo spazio pubblico, conseguente
all'affermazione dello stato moderno. Prima aristocretici, borghesi e poi per contaminazione e un
miglioramento del tenore di vita anche gli alri ceti.
Dalla seconda metà del Seicento i figli divengono sempre più oggetto di attenzioni e strategie
educative. L'infanzia si prolunga ed emerge una lunga età dello sviluppo che va normata, protetta,
controllata. Questa nuova esigenza produce una serie di figure e spazi ad hoc.. graduati secondo
l'età.
L'emergere dell'infanzia come età specifica è un lento processo, che si realizza compiutamente solo
nell’Ottocento, per poi diffondersi in modi differenti. Ha conseguenze diverse per ragazzi e
ragazze, poiché l'istruzione formale differenzia i percorsi maschili e femminili, separando anche gli
spazi. Prodotto di questo nuovo modello di famiglia dei sentimenti e dell'educazione è anche la
maternità. Famiglia moderna si costruisce intorno alla madre e al bambino ed esprime nuova
attenzione familiare verso i piccoli. Il programma educativo e morale che trasforma figli da
strumento a fine, riguarda anche la madre: come educatrice, ma anche come soggetto da educare
alla propria“naturale”vocazione (l'allattamento al seno diventa responsabilità materna, altrimenti
forma di indifferenza anche se spesso erano padri che per poter avere rapporti sessuali decidevano
di mandare figli a balia). Il padre sembra mantenere caratteristiche di potere e autorità sociale della
forma familiare precedente, ma da un altro punto di vista è egli a farsi promotore entro la propria
famiglia dei nuovi modelli pedagogici e igienico- sanitari nei confronti dei figli e delle mogli. Il
ruolo appare prescrittivo, di testimone piuttosto che interattivo.
Tutto questo si accompagna alla prima rivoluzione contraccettiva: modalità di regolazione che ha
lo scopo di contenere le nascite. Si diffondono forme di contraccezione "naturale" che modificano
la visione della sessualità, dei rapporti tra i coniugi e l'atteggiamento verso la procreazione e i figli.
Più attenzione verso di loro. Dalla fine del XVIII secolo la fecondità coniugale inizia a ridursi,
anche per la diffusione dell'allattamento; dapprima nei ceti benestanti, per poi diffondersi nelle
classi urbane. Si tratta di una contraccezione eminentemente maschile: l’uomo controlla la sua
pulsione sessuale (coito interrotto).
Avviene una ridefinizione dei rapporti uomo-donna e dei ruoli di sesso. Il rapporto tra i coniugi è
sempre più improntato all’etica del rispetto che sul principio di piacere. La repressione sessuale può
essere letta come una strategia di coppia che consente maggior investimento nei figli e libera donna
da coazione alla riproduzione. Si capiscono campagne contro ubriachezza e atteggiamenti classi
borghesi verso comportamenti sessuali delle classi subalterne viste come non civilizzate. Anche se
le donne di queste finivano per essere vittime degli uomini borghesi.

Nei ceti e nelle classi meno abbienti le cose hanno tempi e modi diversi: nel periodo di
dispiegamento del modello moderno di famiglia le donne del proletariato urbano davano a balia i
figli perché l'allevamento del neonato non era compatibile con le richieste del nuovo sistema di
fabbrica. Aumenta infatti la necessità di assistenza alle famiglie povere. Anche il lavoro dei bambini
rimane in queste classi un modello a lungo condiviso, al punto da portare forti conflitti di classe
circa la regolamentazione del lavoro minorile. Non bisogna dimenticare come l'opera di regolazione
dell'infanzia presso la classe operaia fu imposta con l'obiettivo di formarla.
L'educazione della madre era un progetto di disciplinamento morale: con norme di igiene e
alimentazione, di rispettabilità e di educazione a massaia. Progetto che diverrà interiorizzato solo
quando ci saranno risorse per una vita domestica vera e propria (sviluppo dell’edilizia,delle
infrastrutture igienco-urbane) e quando ci sarà la possibilità di garantire ai figli una vita migliore
(una formazione più lunga per un lavoro meglio remunerato). Quando il calcolo dei costi/benefici
diviene possibile anche in questi ceti si diffonde il controllo della fecondità. Questo mutamento
chiamato dai demografi prima transizione demografica modifica l’ampiezza della famiglia e la
composizione per età della popolazione.

In Italia la diffusione di questi fenomeni è tardiva: la popolazione rurale predomina e mantiene il


modello di famiglia produttiva e feconda, dove i figli sono una risorsa famigliare. C’è tuttavia una
forte differenziazione territoriale. Il declino della fecondità iniziò nel complesso alla fine del XIX
secolo con in testa le città e il Nord, inoltre in alcuni ceti è probabile che sia iniziato prima che in
altri, vista la diffusione della nuova cultura della domesticità e dell'infanzia. In ogni caso man man
che mutano circostanze delle famiglie, i comportamenti riproduttivi divengono sempre più oggetto
di strategie esplicite, segnalando mutato posto dei figli nella società. Anche gli usi linguistici a
cavallo del XX secolo riflettono un mutamento nei rapporti tra i coniugi e le generazioni, in
direzione di una maggior legittimazione della espressione dell’affettività e della parità.
La stessa storia del pensiero pedagogico italiano costituisce indicazione processo formazione
cultura dell'infanzia divenuta soggetto e fase vita da educare. Nella seconda metà dell’800 il
bambino è collocato già dalla prima infanzia in un percorso di apprendimento e sviluppo controllati,
che istituisce spazi educativi ad hoc e valorizza la funzione educativa della famiglia e soprattutto
della madre. Emerge l’immagine della donna-madre come soggetto da educare ed educante.
Le iniziative per la custodia e istruzione dei figli di classe operaia fanno maturare bisogni di
formazione, rendendo visibile età formativa e dopo regolamentando il lavoro minorile e la
frequenza scolastica obbligatoria. Nel XX secolo comincia ad instaurarsi un rapporto inverso tra
ricchezza della famiglia e fecondità: nel passato erano i più ricchi a fare più figli (maggior
sopravvivenza), ora sono i poveri a farne di più.

Un numero sempre più ridotto di figli

Dal 1950 il fenomeno della riduzione della fecondità è andato progressivamente omegeneizzandosi
in tutti i Paesi. Nella maggior parte dei paesi europei occidentali il tasso scende sotto il livello di
sostituzione, ovvero sotto i 2 figli medi per donna. In Italia dopo il 1965 la caduta delle fecondità
sembra operare in due tempi: una prima fase di declino relativamente lenta fino al ’74 e una
seconda caduta che non si interrompe, al contrario degli altri paesi dove si registra una stasi.
Fino agli anni ’70 sembrava ci fosse un rapporto diretto tra bassa occupazione femminile e alta
fecondità, invece dai ’90 tale rapporto si è invertito :i paesi a più alta occupazione femminile hanno
tassi di fecondità più alti. Le spiegazione ruotano attorno al modo in cui le diverse società
reagiscono all’aumento della scolarità e dell'occupazione femminile, e al modo in cui sostengono il
costo dei figli o ne promuovono l'autonomia economica.
I paesi mediterranei sostengono poco l'occupazione delle donne con figli, perciò le donne che
desiderano mantenere una buona occupazione riducono in numero dei figli. I paesi scandinavi
viceversa sostengono molto l'occupazione femminile e una precoce autonomia economica dei figli.
I paesi dell'Est europeo rappresentano un caso a sé, dove la situazione di incertezza fa si che le
giovani coppie rimandino la decisione di avere figli, o vi rinuncino. In Italia non si può parlare di
un unico andamento della fecondità coniugale, ma si parla di fecondità differenziale per regioni;
infatti si possono vedere due modelli di famiglia dal punto di vista della fecondità: nelle regioni del
nord si ha un numero contenuto di figli, mentre nelle regioni meridionali e insulari si ha un numero
elevato di figli (anche se oggi è in declino). Le regioni del centro si pongono in una posizione
intermedia.
In Italia anche la fecondità naturale (nascite fuori dal matrimonio) è tra le più basse, sebbene nei
paesi sviluppati sia in forte aumento. Questo dato italiano si associa al dato riguardante le
convivenze more uxorio: gravidanza imprevista porta più facilmente che in altri paesi a un
matrimonio prima che il bambino nasca.
La diminuzione della fecondità in tutti i paesi non segnala solo una difficoltà economica e
organizzativa alla presenza dei figli, ma in primo luogo un mutato posto della filiazione nel ciclo di
vita individuale e coniugale. Il ridimensionamento del modello ideale di famiglia (dai 4 figli ai 2
figli) porta gli studiosi a parlare di una seconda rivoluzione contraccettiva che avrebbe portato ad
una seconda transazione demografica: una situazione in cui lo stato normale della coppia è quello
della non procreazione. Che avverrebbe solo come precisa conseguenza di un atto di volontà
essendosi prima interrogati su quanto, come e preché. All'origine di questa svolta ci sarebbe lo
sviluppo delle tecnologie contraccettive chimiche e meccaniche, tipicamente femminili in quanto
inibiscono la fecondità femminile: così sessualità e procreazione si scindono completamente. Se
perciò la prima rivoluzione contraccettiva era tipicamente dell’uomo (coito interrotto) questa
seconda tocca direttamente le donne. Impone atteggiamento di calcolo, data la sessualità liberata
dai vincoli della procreazione e dalla necessità di autorepressione (e anche collocazione in vincolo
coniugale). Ma i motivi della forte riduzione della fecondità sono molto più complessi: scelte,
motivazioni, vincoli individuali si combinano con strategie procreative di coppia, a loro volta
influenzate da situazione esterne e cultura. In Italia il calo della fecondità è avvenuto nonostante
l'assenza di conoscenza/uso di strumenti contraccettivi e la presenza di una cultura a lungo
pronatalista. I metodi contraccettivi si sono spostati da strumenti di contenimento a strumenti di non
procreazione contrattati diversamente all’interno della coppia.

Il mutamento di cordice nel legittimare strategie di fecondità produce diverso contesto in cui si
procrea e si hanno rapporti fra generazioni; producendo effetti sia sull'esperienza di essere figli che
su quella di essere genitori. La cultura della responsabilità nei confronti dei figli si affianca alla
cultura della scelta: si procrea solo e perché si è voluto. Il figlio è percepito come un bene in sé,
deve dare piacere e corrispondere al desiderio dei genitori. Se un tempo si potevano deludere attese
familiari oggi si è esposti al rischio di deludere le attese più profonde dei genitori. Allo stesso tempo
il valore attribuito al singolo figlio in quanto voluto ed insostituibile, fa sì che la morte sua appaia
non solo ingiusta, ma insostenibile. Non perché siamo più sensibili e affezionati ma perché siamo
meno preparati alla morte fuori dall'età anziana e consideriamo il figlio come un progetto di vita per
sé e per i genitori il cui compimeto si ha solo nella maturità/vecchiaia. La morte precoce appare
interruzione di un percorso. Altra conseguenza è che se i figli devono venire solo e quanto
desiderati, ogni figlio desiderato deve nascere: la sterilità non appare più accettabile, non solo
perché non consente la piena realizzazione dell'identità sociale adulta o la continuità familiare, ma
perché non consente di dar corso a un desiderio. “Sterili per scelta” e “genitori ad ogni costo” sono
le due nuove figure sociali estreme di questo processo di ridefinizione della procreazione nella
famiglia e nel corso di vita adulto.
Inoltre la familia essendo luogo privilegiato d'affettività ancora più può divenire luogo di violenze
atroci sia fisiche che psicologiche.

Nelle famiglie contemporanee la presenza di un o al massimo due figli offre una differenziazione
delle età e delle fasi della vita meno articolata di quella che si trovava nella famiglia numerosa ed è
sempre più difficile quindi per un bambino imparare dai fratelli/sorelle e affrontare le tappe della
propria crescita perché sperimenta unicità della propria età e posizione senza possibilità di
confrontarsi e anche i genitori hanno ridotto ventaglio di esperienze da cui attingere ed imparare.
Inoltre si produce una più netta scansione del ciclo di vita familiare per quanto riguarda la
dimensione generativa. Oggi le famiglie sembrava attraversare stesse fasi dei figli e ciò porta a far
sì che incontrino altre famiglie che sono nella stessa fase senza esperienza delle altre. Chi ha
scansione diversa può addirittuta avere difficoltà nei rapporti. Ciò è invece possibile entro la
parentela: sperimentare ed entrare in rapporto con un raggio di età molto più ampio e con posizioni
generazionali diversificate (nonni e bisnonni non sono più una rarità). Fornisce strumenti per
immaginare un corso della vita lungo e articolato in cui le posizioni invece di alternarsi si
modificano continuamente.
Figli della scelta e genitori per scelta desigano così nuovi rapporti e investimenti familiari in cui
sono ridefinite maternità e paternità. La maternità è quella più coinvolta. La media di due figli
riempe il tempo femminile sia materno che socialmente atteso e necessario.
Nelle società tradizionali le donne adulte con carichi familiari lavoravano forse più di oggi ed
avevano una fecondità elevata. Oggi può essere che le donne che intendono investire nel lavoro
sono meno motivate di coloro che hanno un maggiore orientamento alla famiglia. Il nesso fra
fecondità e lavoro non è univoco. Il rapporto causa-effetto può essere espresso anche in termini di
coorte: in Italia la figura della madre a tempo pieno è divenuta esperienza di massa solo alla fine dei
’50, quando le madri vivevano già in famiglie più piccole dove i genitori erano ancora abbastanza
giovani. I ’60 sono inoltre gli anni della crescita della domanda e dell’offerta di lavoro femminile.
Perciò, se la riduzione della fecondità può aver avuto effetti inattesi su organizzazione tempo donne,
per le loro figlie questa riorganizzazione può essere entrata a far parte di strategie consapevoli.
Circa la paternità i dati dimostrano che, anche se c’è un forte squilibrio di divisione del lavoro
familiare, le attività di cura e di rapporto con i figli sono rivendicate come proprie dai padri più
giovani.

Il contesto sociale dei rapporti generazionali: genitori e figli oggi

La riduzione della fecondità avviene e interagisce con una serie di eventi e trasformazioni sociali
che definiscono lo statuto reciproco di genitori e figli.
1. La scuola gioca un ruolo importante nel definire lo statuto di figlio e il curriculum di genitore:
definisce il tempo della formazione, di dipendenza dei figli e gli obblighi dei genitori. Essa fa
emergere tappe evolutive come l’adolescenza e la giovinezza e scandisce l’età adulta facendola
coincide con la fine della scuola e l’ingresso nel mondo del lavoro. Ma agisce anche come
strumento di modificazione e rafforzamento della stratificazione sociale, differenziando le
generazioni e le esperienze di geniroti e figli nei vari ceti e classi. Essendo inoltre cruciale nella
definizione del destino dei figli, la scuola si configura come banco di prova dell'efficacia sociale ed
educativa dei genitori, quindi base di giudizio sui genitori stessi: sulle loro capacità e disponibilità a
investire effettivamente nei figli e a offrire loro le migliori chances. Questo è particolarmente
evidente con l'instaurarsi dell’obbligo scolastico, che definisce un periodo di in cui sia i figli che i
genitori hanno doveri. Ricerche recenti segnalano che il capitale culturale dei genitori ha un effetto
pervasivo sullo sviluppo delle competenze cognitive dei figli. Analogo discorso per le differenze
tra i sessi, sul diverso investimento su figli e figlie: la scuola costituisce un potente elemento di
differenziazione sociale tra i sessi e avvicinamento alle diverse opportunità; è insieme una modalità
di comunicazione di aspettative differenti nei confronti di figli e figlie da parte dei genitori.

La permanenza scolastica ha favorito anche l'emergere di contesti di esperienza orizzontali, tra


coetanei, nel tempo libero e nel consumo: è divenuto normale vivere quotidianamente tra coetanei e
in spazi extrafamiliari. Si è parlato addirittura di segregazione per età, tale che sottolineare
discontinuità tra età adulta e non comunicando inutilità sociale dei più giovani.
In realtà i gruppi dei pari in età adolescenziale e giovanile sono molto eterogenei fra loro, omogenei
solo esteriormente. Sono differenziati gli uni dagli altri, per condizione sociale di provenienza e
condizione individuale dei partecipanti. Ciò rappresenterebbe un'ulteriore conferma del ruolo di
rafforzamento delle stratificazioni sociali da parte della scuola. La distinzione degli spazi per età
favorisce un processo di individuazione dei figli rispetto alla famiglia. L'esperienza della crescita si
gioca in un equilibrio tra appartenenza e individuazione. Con l'età contemporanea sono venuti a
formarsi spazi ad hoc per i giovani, alcuni istituzionali e altri meno. Questa esistenza di un altrove
più o meno legittimato, costituisce un terreno nuovo per le relazioni e i conflitti tra genitori e figli.

2. Col primo emergere della famiglia moderna, accanto alla scuola, si sono diffusi massicciamente
gli esperti e la cultura degli esperti, in posizione ambivalente rispetto le famiglie: sostegno e
prescrizione, quando non di giudizio. L'influenza sui modelli educativi è avvenuta per canali diversi
e con cause diverse. Uno di questi è la scuola, e l'istituzione medica che è divenuta interlocutore
obbligato delle famiglie, specie nell’infanzia e pre-adolescenza. In particolare la figura del
pediatra che tende ad assorbire anche tratti dello psicologo e del pedagogista fornendo indicazioni
comportamentali, relazionali e morali. Accanto a queste psicologi ,assistenti sociali e animatori
segnalano una pluralità dei modelli educativi. La diffusione della cultura degli esperti è stata
interpretata da taluni in chiave di deresponsabilizzazione da parte dello stato e delle istituzioni nei
confronti della famiglia. Ma tale definizione è riduttiva per due motivi: in primis, non da conto del
fatto che un tempo non erano solo le famiglie a educare i propri figli, e famiglie collocate
diversamente nella stratificazione sociale avevano un controllo diverso sui rapporti generazionali e
sulle interferenze da parte di soggetti di altre agenzie; in secondo luogo, non tiene conto della
disponibilità delle famiglie a lasciarsi influenzare visto l'aumento di complessità e incertezza dei
rapporti familiari a fronte di un contesto modificato: è sempre più difficile che un genitore possa
trasmettere direttamente il proprio mestiere o posizione sociale al figlio, senza la mediazione di
altre agenzie e senza dover fare i conti con i desideri individuali del figlio stesso. La trasmissione
della cultura non avviene in modo lineare, ma richiede una rielaborazione e selezione col passaggio
delle generazioni. Il susseguirsi di modelli pedagogici nell'ultimo dopoguerra è un indicatore di
questa ricerca di strumenti per affrontare una situazione che si percepisce come priva di tradizioni.
Ed il modificare e non essere in accordo fra gli esperti conferma complessità della situazione. Le
interpretazioni apocalittiche di questi cambiamenti comunque appaiono forzate: sembrano avere
come referente una famiglia ideale con autorità paterna ben definita e figura materna sulla stessa
direzione. Sembrano ispirate a una visione lineare della storia, dove la famiglia è coinvolta in una
progressiva deprivazione di senso e valore, non colgono elementi di continuità nei rapporti di
trasmissione intergenerazionale, né di innovazione. In realtà le culture familiari e di ceto tendono
a riprodursi, seppur con variazione imposte dalle modifiche del contesto (ogni famiglia che nasce è
il frutto di almeno due tradizioni familiari).

3. Le diverse forme di ridefinizione e riconoscimento degli statuti di età e delle classi di età
intervenuti in particolare dal dopoguerra ad oggi, sono per molti versi disomogenee ed hanno
contribuito a ridefinire rapporti tra generazioni nella famiglia. L'età adulta è definita diversamente a
seconda dell'ambito di vita.
Le transizioni rilevanti un tempo avvenivano su un arco di età molto più ampio, era difficile
individuare una precisa età normativa. Negli anni '70 emergono età modali per queste scansioni,
così nette da suggerure formazione di modelli normativi e le sequenze sembravano divenire lineari.
Ma questo modello di scansione sembra di nuovo essere mutato per tornare al precedente. Confini
d'età che nell'ultimo secolo erano divenuti netti, si sono fatti di nuovo confusi, costringendo genitori
e figli a negoziare continuamente una definizione dei reciproci diritti e doveri rispetto a
comportamenti ed esperienze. Si designano così nuovi modelli di relazioni familiari, dove la
famiglia diviene comunià di adulti di varia età o di adulti con quasi adulti, cui sono riconosciuti
ampi gradi di autonomia entro magari rapporti di dipendenza economica senz aun chiaro modelli di
autorità. Fenomeno più accentuato in paesi come lItalia dove la convivenza con i genitori si
prolunga oltre il raggiungimento della maggiore età anche se autonomi economicamente. Si parla di
famiglia lunga del giovane adulto, non sempre per necessità ma per mutua convivenza affettiva e
pratica. Diversa è la situazione in altri paesi europei in cui non è il conflitto ma il raggiungimento di
una soglia d'età a motivare aspettative e richieste di autonomia, sia da parte dei genitori che dei
figli, disegnando così modelli di solidarietà diversi fra generazioni.
Pur con queste differenza anche la legislazione ha progressivamente ridisegnato e rafforzato i diritti
dei figli: il diritto di famiglia si è spostato dall'autorità alla responsabilità genitoriale e dai doveri ai
diritti dei figli. Così da diffondere nuovo modello rapporto genitori/figli anche se non omogeneo fra
società. Per questo il diffondersi di processi migratori in tutti i paesi può consentire
omogenizzazione esperienze ma anche essere fonte di conflitto interculturale per le diverse
interpretazioni sui modelli di relazione, aspettative e comportamenti. Alcuni entrano in contrasto
con legislazione nazionale anche se rispondono a bisogni di sopravvivenza della famiglia, coinvolta
in questo complesso intreccio fra cambiamento e continuità.
Differenze ci sono anche fra generi, infatti le figlie presentano comportamenti e forme di autonomia
maggiormente conflittuali in quanto segnano rottura maggiore rispetto al passato.

4. Se una volta crescere con un solo genitore era un'esperienza comune, dovuta alla forte presenza
di vedove e orfani, oggi ciò è dovuto alla forte instabilità coniugale, dove anzi l'assenza di un
genitore vivo pesa di più. Fino a qualche secolo fa le ricerche davano un immagine negativa
dell'esperienza dei figli coinvolti nella separazione dei genitori, oggi sono più caute. Emergono due
fenomeni: in primo luogo esiste una quota consistente di padri che a pochi anni dalla separazione ha
interrotto i rapporti coi figli, quota più alta nei ceti privilegiati man mano che passa il tempo, di più
se il padre inizia un nuovo rapporto di coppia (qualche studioso ha teorizzato che l'unico rapporto
che rimane stabile è quello madre-figli, ma altre ricerche mostrano che laddove il padre era molto
coinvolto nella cura durante il matrimonio è più attivamente presente anche in caso di separazione).
In secondo luogo le famiglie con monogenitore sono esposte al vecchio-nuovo problema della
vulnerabilità alla povertà. L'impoverimento assoluto o relativo provoca squilibri nella vita dei figli
che si aggiungono a quelli provocati dalla separazione. Bisogna distinguere però tra famiglie
monogenitore provenienti dalla assenza di un rapporto da quelle derivanti dalla fine di un rapporto.
Le prime sono prive di un sostegno relazionale ed economico da parte del genitore assente e vedono
spesso una madre molto giovane con scarse qualificazioni professionali, mentre nelle seconde
l'impoverimento deriva dal venir meno del bilancio comune e il rischio di impoverimento riguarda
soprattutto famiglie con la sola madre, in conflitto tra la responsabilità di cura e di produzione di
reddito. Parte dell'impoverimento è inoltre dovuto agli inadeguati assegni di mantenimento per i
figli pagati dai padri separati.
Il formarsi di una famiglia ricostituita invece ha effetti meno lineari: da un lato rischia di ridurre
ulteriormente i rapporti tra padre non convivente e i propri figli, dall'altra moltiplica le figure
genitoriali, la fratria e la parentela. Ne nascono reti parentali complesse che non hanno ancora
riconoscimento sociale. Appare dunque come separazione, divorzio, nuovi matrimoni o di coppia ha
mutato i contorni e le dinamiche della genitorialità e l'esperienza dei figli, distinguendo le
dimensioni biologiche, genealogiche e domestiche.

Figli adulti, adulti come figli, genitori come anziani

Il prolungamento della durata della vita ha aperto una nuova fase sia nella vita dei genitori che nella
vita dei figli, laddove essere genitori o figli è una condizione che tende a durare per un arco di vita
molto lungo e diversificato, senza quella alternanza tra i due ruoli di altre epoche.
Gli anziani sono i primi ad affrontare durata lunga della vita in cui la transizione è normata
socialmente: è l'età al pensionamento che definisce gli individui come anziani. Ciò implica rapporti
familiari diversificati nel tempo anche in relazione al significato delle posizioni generazionali: la
distanza di età fra genitori e figli può essere risorsa o limite nel corso della vita. Sono stati effettuati
studi circa il ruolo dei nonni nella rete parentale e nell’esperienza dei nipoti. Si è visto come sono
una risorsa di cura non indifferente, soprattutto le nonne, e che i rapporti di affetto e confidenza
maturano man mano che il nipote cresce e il nonno invecchia. La separazione coniugale può
rappresentare una discontinuità nella genealogia affettiva: i legami tra padre e figlio si allentano,
la madre non si preoccupa di mantenerli e si rompe anche il legame con i nonni della linea del
genitore non affidatario (per lo più paterni); così i minori rischiano di perdere il senso della propria
appartenenza multipla.
La lunga durata della vita inoltre fa si che l'attesa della malattia e della morte si concentrino sulle
generazioni anziane, che faticano maggiormente ad accettare la propria morte come per gli adulti
appare illegittimo che essa colpisca un membro più giovane
Le coorti nelle età centrali sono invece le prime a sperimentare come normale l'essere figli adulti e
genitori di figli adulti: sono al centro del flusso di comunicazione e scambio tra le diverse
generazioni. Alcuni parlano infatti della generazione di mezzo come fase di compressione tra i
bisogni della generazione più giovani e di quella più vecchia, soprattutto per le donne. Liberate dal
tempo della procreazione viene loro richiesto di fare da madre ai propri genitori se e quando questi
non siano autosufficienti.

CAPITOLO V – LA FAMIGLIA NELLA STRATIFICAZIONE SOCIALE

Famiglia, lavoro, economia: un nesso solo parzialmente analizzato

Nel passato l'appartenenza familiare e l'attività lavorativa coincidevano e la divisione del lavoro
era una divisione entro la famiglia, la stessa gerarchia sociale era tra famiglie. Il padre di famiglia
era un amministratore della casa come impresa e i trattati economici consideravano l'economia
domestica e finanziaria come un continuum. L'economia capitalistica moderna e la famiglia
moderna nascono con la separazione dell'economia domestica da quella finanziaria. La famiglia
borghese è una famiglia privata a tutti gli effetti, con suoi spazi separati dal resto, sulla base della
creazione e controllo di un capitale privato. Per le classi lavoratrici questa separazione tra famiglia
e lavoro avviene in modo non solo più lento ma meno netto. A lungo la famiglia rimane una unità
economica in cui confluiscono redditi di fonte diversa ma che concorrono per una borsa comune. In
ogni modo l'economia salariata produce nuovi conflitti e disuguaglianze nella famiglia, perché
distingueva più nettamente chi guadagnava e chi no. Inoltre come controllo sui figli le famiglie si
facevano consegnare direttamente il loro stipendio. Dunque la separazione non avviene nello stesso
modo per tutti i ceti e non è lineare, bensì oggetto di ridefinizioni e rinegoziazioni. Con questa
“rivoluzione” la famiglia appare così uno spazio non più di lavoro né di rapporti economici ma un
puro luogo degli affetti e dei processi di socializzazione. Le interdipendenza fra lavoro e famiglia
cominciano ad emergere solo successivamente, in particolare la collocazione della famiglia nella
stratificazione sociale e le conseguenze sull'organizzazione della stessa, l'economia della famiglia e
il nesso fra lavoro famigliare e lavoro per il mercato.

Famiglie e stratificazione sociale

Fino agli anni '70 le ricerche sociologiche fornivano un quadro di stratificazione sociale sulla base
dell'occupazione del capofamiglia indipendentemente dal fatto che ci fossero all'interno della
famiglia più occupati o meno. Vi sono teorie differenti sul fatto che alla base della stratificazione
sociale ci sia l'individuo o la famiglia; la stratificazione individuata all'interno di una famiglia
diventa complicato se moglie e marito hanno posizioni differenti: Barbagli propone le famiglie
cross class, cioè famiglie con risorse e comportamenti intermedi tra le due classi di appartenenza,
Schizzerotto invece propone di considerare chi è nella posizione sociale dominante. In entrambi i
casi le casalinghe vengono assorbite nella classe del marito lasciando irrisolto problema del potere
oltre che quelli del diverso controllo delle risorse.

Negli anni '50/'60 l'interesse per conseguenze della disuguaglianza sociale sull'organizzazione
familiare si concentrava sui modelli di relazione coniugale e sui modelli di socializzazione dei
bambini e stili educativi. Si mostrò esistenza di modello relazione coniugale fondato, nei ceti
operai, più sulla solidarietà che sull'affettività, più sulla divisione dei ruoli che sull'intimità – tanto
di moda invece nella classe media.
Si mostra anche tensione tra aspettative mogli e mariti più tradizionali rispetto alla maggiore
esposizione delle mogli ai modelli culturali dominanti. Divergenza che emergeva soprattutto nei ceti
a basso reddito vista la più precisa divisione dei ruoli e minor intimità. Invece le mogli casalinghe
dei centi medi si dedicavano alla cura dei figli e dei rapporti familiari viste i vantaggi della
tecnologia domestica che portava a considerarle non lavoratrici.
Ricerche sui modelli di socializzazione e stili educativi dei genitori appartenenti a strati sociali
diversi portano a concludere che i genitori insegnano a figli valori e comportamenti che
sperimentano come efficaci nella propria esperienza; perciò gli operai insegnano obbedienza e
solidarietà, mentre e dirigenti autonomia ed individualismo. I primi inoltre insistono su netta
distinzione ruoli sessuali mentre gli altri trasmettono immagini più flessibili. Tutto ciò struttura
personalità ma anche rendimento e successo scolastico.
Le ricerche sui gruppi sociali di diversa condizione mostrano inoltre diversi modi di comunicazione
verbale che portano a competenze e rapporti interpersonali differenti. Coloro la cui esperienza è
circoscritta a rapporti e situazioni note, utilizzano codice verbale ristretto, colloquiale-familiare,
scambi poco articolati e densi di significato. Coloro che invece hanno esperienze quotidiane non
note e rapporti con persone non familiari utilizzano accanto a codice ristretto un codice elaborato
più articolato concettualmente e con argomentazioni maggiormente esplicitate. Non per una
maggiore ricchezza di vocabolario ma per una capacità di agire in ruoli diversificati. Dunque l'uso
varia a seconda di quella che è stata l'esperienza fin dall'infanzia in famiglia che perciò rappresenta
una forma di controllo sociale attraverso la manipolazione dell'affetto.
Ulteriore approccio teorico alla trasmissione intergenerazionale delle differenze di classe è quello
che si occupa del rapporto fra istruzione e mobilità sociale. La scolarità da sola non riesce a
controbilanciare le disuguaglianze di provenienza familiare. La famiglia mantiene controllo della
mobilità tramite trasmissione non solo risorse economiche ma anche del capitale culturale
diversificato per classi – eredità intergenerazionale delle disuguaglianze.
Così a fronte di una mobilità data dalle forti trasformazioni economiche e sociali, le disuguaglianze
sociali fra classi rimangono immutate. Questo anche perchè lo sviluppo di competenze e
motivazioni cognitive si differenzia per gruppo sociale in base all'istruzione dei genitori più che per
reddito.

L'economia della famiglia: integrazione dei redditi, consumo e risparmio


Tranne che per i pensionati, l'accesso al reddito e dunque il diritto al consumo avviene tramite la
partecipazione diretta al mercato del lavoro, anche se la disponibilità di accesso al reddito è mediata
dell'appartenenza familiare. Il tenore di vita connesso all'ammontare di uno stipendio dipende da
due fattori: il suo potere d'acquisto e quante persone deve mantenere. Nella famiglia il reddito si
ridistribuisce e si combina con altri, per questo motivo si può intendere la famiglia come cassa di
compensazione dei redditi”. La famiglia in questo modo sostiene i singoli e può proteggere dalla
povertà definendo non solo la collocazione sociale delle persone, ma anche il loro stile di vita e
prescindere dalla personale collocazione professionale.
Per altro la redistribuzione non avviene solo all'interno della coresidenza ma anche entro la
parentela. Questo è più presente in paesi come l'Italia in cui i trasferimenti pubblici a favore delle
generazioni più giovani son inesistenti e anche l'accesso al credito è difficile. Ciò rafforza
solidarietà ma anche disuguaglianze sociale.
Questa attività redistributiva fa nascere concetto di reddito disponibile, ossia reddito non
individualmente posseduto ma a cui si ha accesso per redistribuzione del proprio o per
redistribuzione da parte di altri. Concetto utile per confrontare stili di vita e risorse famigliari ma
rischia di nascondere disuguaglianze e disparità che possono esistere all'interno delle famiglie per
quel che riguarda accesso al reddito ed al consumo. Ci sono diverse modalità di gestione del denaro
a seconda di chi lo guadagna e da quanto ne guadagna. Ciò rimanda a una divisione delle
competenze ma anche dell'autorità e del potere. Più simmetrice modalità quanto non è solo uno a
guadagnare ed i livelli di reddito non sono troppo lontani.
La famiglia è anche un'importante unità di consumo, è a livello familiare che si definiscono e
modificano abitudini. E' la famiglia protagonista nella società dei consumi. Il gruppo domenistico in
questo modo pianifica non solo gli orientamenti monetari ma anche quelli affettivi. Quanto più le
risorse sono diversificate tanto più vi sono riconoscimenti diversificati, perciò disuguaglianze fra
famiglie e tra individui della stessa. Differenti sono infatti i modelli di consume delle diverse
famiglie, modificati nel tempo e per aree territoriali.
Però con il crescere ed il diversificarsi dei consumi i membri della famiglia tendono a comportarsi
come consumatori individuali; i consumi divengono modo per affermare propria autonomia ed
appartenenza a gruppi di riferimento diversi. Ciò particolarmente visibile nei consumi giovanili che
tendono sempre più ad essere decisi ed effettuati al di fuori della famiglia. Fenomeno che inizia
negli anni '50 ma che progressivamente coinvolge tutta famiglia, fin i più piccoli. I consumi sono
sempre meno familiari, anche se abitazione e alimentazione rimangono fruibili insieme con agli altri
familiari. Ciò porta anche a modifiche qualitative per quel che riguarda i rapporti fra generazioni, le
identità sociali ed il rapporto fra i sessi.
Questi processi di differenziazione del consumo non sono in contrasto però con il fatto che la
famiglia continui ad essere unità di consumo: molti dei consumi individuali sono in realtà consumi
familiari ed inoltre la possibilità d'accedere a consumi individuali dipende dai meccanismi
redistributivi familiari (quanti soldi a ciascuno). Molto spesso infatti il reddito del lavoro giovanile
diviene integrazione di reddito familiare, anche se non facile è individuazione e può portare a
negoziazioni e conflitti fra generazioni.
Si nota comunque come il modo di dividersi le spese e quanto avere in comune implichi modelli di
rapporto anche fra coniugi in termini di potere e responsabilità. Si capisce dunque come il denaro
rappresenti indicatore di molte dinamiche di potere e controllo in famiglia.

Famiglia e povertà

La famiglia oltre che ambito di composizione e redistribuzione delle risorse, può essere l'ambito che
protegge dalla povertà, o rednere vulnerabili ad essa. Molti redditi individuali sarebbero
insufficienti se non venissero integrati dalla partecipazione al bilancio familiare; per questo motivo
non tutti i lavoratori a basso reddito sono effettivamente poveri. Anche se ovviamente è differente
avere accesso ad un reddito adeguato direttamente o in via mediata. Si possono creare forme di
dipendenza economica che non solo vincolano autonomia ma portano anche a conseguenze negative
quando la mediazione famigliare non funziona più. Può avvenire però anche che un reddito
adeguato per una persona sola divenga inadeguato se distribuito fra più persone. Se infatti
l'incidenza della povertà è massima nelle famiglia in cui nessuna persona lavora è anche vero che
tante persone povere vivono in famiglie in cui vi è almeno un reddito.
Fino agli anni '80 le famiglie a maggior rischio di povertà erano quelle anziane; perché non
avevano maturato storia contributiva adeguata a garantire pesnine sufficiente. Dagli anni '80 la
vulnerabilità degli anziani è pressoché sparita grazie ai sussidi pensionistici. Sono emerse però altre
situazioni. famiglie monogenitore (soprattutto se capofamiglia è donna),le famiglie numerose e le
persone che vivono sole. Secondo un rapporto dell'UE le famiglie monogenitore e con figli minori
sono quelle più a rischio. Rischi distribuiti però diversamente fra i paesi: al nord sono persone sole
ed immigrati a rischiare di più, nei paesi anglosassioni adulti e madri sole con figli, In Italia gli
anziani soli e le famiglie numerose. Più nel Mezzogiorno dove è più difficile che le madri lavorino.
Infatto il lavoro delle madri ha un alto potere protettivo per la povertà. Incidenza povertà
diminuisce di due terzi se entrambi coniugi lavorano. In altri stati hanno un ruolo fondamentale gli
assegni per i figli. L'Italia è un dei paesi invece i cui trasferimenti sociali hanno meno impatto sulla
povertà che si concentra a sud, tra le famiglie numerose e monoreddito – soprattutto se dipendende.
Inoltre paese dove povertà non è occasionale, ma persistente o comunque ricorrente. Ciò significa
che la povertà rischi di trasformarsi in un destino sociale – caso estremo di eredità sociale.

CAPITOLO VI – FAMIGLIA E LAVORO

Il complesso famiglia-lavoro nella società contemporanea

Joseph Pleck ha parlato di work-family system a proposito dell'intreccio tra dimensioni lavorative
e organizzazione familiaare, intendendo un insieme strutturato di interdipendenze. La divisione del
lavoro, responsabilità, competenze costituisce uno degli elementi chiave di questa interdipendenza
strutturata, che non è statica, le trasformazioni nella partecipazione femminile, la diversa
organizzazione del lavoro e di domanda di lavoro, lo sviluppo del settore dei servizi, il fenomeno
della disoccupazione, le modifiche nei modelli di consumo, le tencologie domestiche... hanno
condotto a spostamenti negli equilibri e a nuove definizioni di bisogni ed adeguatezza.
L'analisi della condizione femminile ha consentito di mettere a fuoco come in famiglia si risponde
ai bisogni di reddito e cura, comprendendo le interferenze fra lavoro remunerato e famiglia, ed i
modi diversi in cui queste si presentano nel corso degli anni nei paesi occidentali.

La famiglia come ambito di definizione dell'offetta di lavoro

in Italia la famiglia come ambito di definizione dell'offerta di lavoro è stat oggetto di attenzione e
ricerca. Negli anni '70 l'analisi dell'occupazione femminile ha mostrato come la divers presenza di
uomini e donne sul mercato del lavoro fosse speculare alla loro diversa presenza nel lavoro
familiare. La pienezza della presenza maschile sul mercato del lavoro richiedeva analoga pienezza
di presenza femminile nel lavoro familiare, almeno nelle fasi più esigenti di formazione della
famiglia. In altri paesi questa interdipendenza assunse una forma diversa. La donna era anche
lavoratrice part time o di ritorno, cioè finita la fase di lavoro familiare tornava sul mercato del
lavoro. Per questo si inizò a parlare di donne con due ruoli o due lavori. Si notò quindi come la
divisione del lavoro in famiglia definisse l'offerta di lavoro e dunque l'organizzazione del lavoro, in
quanto espressione di strategie familiari.
La famiglia decide chi e come si presenta sul mercato del lavoro, in base al ciclio di vita familiare
ed individuale in interazione con lavoro remunerato, lavoro domestico, lavoro per l'autoconsumo ed
il lavoro nero.
L'articolazione del sistema economico trovava nella famiglia il microcosmo che la esemplifica e il
tramite per il coordinamento e integrazione. La diversificazione che se da un lato rispondeva a
esigenze interne alla famiglia, dall'altro corrispondeva alla duttilità della domanda di lavoro propria
di questa economia. Inoltre vi erano differenza in base alla classe sociale ed alla collocazione
territoriale, spostando l'accesso alle risorse da un'economia formale ad una informale. Da famiglie
con un accesso anche doppio al mercato del lavoro a quelle che invece non avendo neppure reddito
offrono sui mercati sia forza lavoro maschile adulta che minorile.
Si mostra anche come nelle famiglie ci siano differenze tra i sessi per quel che riguarda l'accesso al
lavoro sia formale che informale.

La crescita dell'occupazione femminile

Nell'arco degli ultimi decenni in relazione all'aumento d'investimento nell'istruzione delle donne,
la partecipazione femminile al mercato del lavoro è aumentata. Tasso che comincia a crescere alla
fine degli anni '70 ma diviene fenomeno di massa solo più tardi.
La variazione della partecipazione è connessa a fattori legati alle caratteristiche della domanda di
lavoro, come la presenza di lavori atipici quali il part-time. Tuttavia da considerare è anche la
caratteristica dell'offerta di lavoro, che pare condizionata da quello che è il contsto
socioistituaizonale. In particolare ruolo cruciale è giocato dal welfare state: dal modo in cui esso
promuove la divisione di lavoro fra generi e tra genenrazioni nella famiglia... comunque anche se
partecipazione aumenta i gradi di integrazione delle donne nel lavoro rimangono differenziati per
paese (come e quali donne). In Italia restano più bassi che nella maggior parte degli altri; perché
siamo di fronte a organizzazioni famigliari, formazione del bilancio e ruoli di genere diversi.
Permane inoltre netta distanza fra partecipazione maschile e femminile, dato che chiusura gap di
genere è avvenuta solo nei paesi scandinavi. Per di più si notano differenze fra le donne stesse. Le
responsabilità familiari e i modelli culturali di genere continuano a condizionare il lavoro retribuito
femminile in corrispondenza di alcune fasi della vita. L'età ed il numero di figli condizionano
fortemente partecipazione donne nel mercato del lavoro, anche se ciò è diverso fra i paesi.
Comunque con il progressivo aumento scolarità femminile, indebolimento legame matrimoniale e
perdita sicurezza lavoro, le donne che aumentano propria partecipazione sono proprio quelle con i
figli più piccoli; appare dunque importante considerare le fasi di vita delle donne.
Per quel che riguarda il modo di gestire interferenza lavoro remunerato e responsabilità familiare si
notano diverse strategie, in particolare le donne più giovani paiono scegliere la continuità nei tempi
e sfere di lavoro piuttosto che la discontinuità sequenziale che porta ad entrare ed uscire dal mondo
del lavoro in connessione alle fasi del ciclo familiare. Si nota così una doppia presenza delle donne
contemporanee conseguente all'emergere di organizzazioni e vicende familiari in cui la divisione
del lavoro tra i sessi riguarda sempre meno quello remunerato.
Le donne però arrivano a queste negoziazioni e decisioni con risorse diverse a seconda delle loro
caratteristiche individuali e sociali. Rilevante è il titolo di studio nella continuità nella
partecipazione al mercato del lavoro di donne con responsabilità familiari. Dunque la maggior
presenza di donne sposate e con figli nel lavoro potrebbe essere collegata all'aumento di istruzione e
mutamento nei profili occupazionali. Vi è quindi polarizzazione anche nel mondo femminile che
contribuisce a rafforzare disuguaglianze sociali nella distribuzione del reddito tra famiglie, per
questo partecipazione nel lavoro è cruciale per lotta alla povertà.
Differenze ci sono anche fra occupate e tempo pieno e occupate a tempo parziale.l'esistenza del part
time, modalità di lavoro che dovrebbe consentire di conciliare famiglia e lavoro, mostra inoltre
come domanda e offerta sono intrecciate e quanto le decisioni interne alla famiglia abbiamo
conseguenze sulla domanda di lavoro; confermando interdipendenza fra organizzazione familiare e
mercato del lavoro. In particolare partecipazione donne con carichi familiari costituisce oggi un
potente moltiplicatore della domanda di servizi (di lavoro in questo campo); scoraggiare donne a
lavorare non è più strumento di contenimento di disoccupazione ma al contrario la fa aumentare.

Modelli di coppia, tempi di vita e tempi di lavoro: verso la famiglia a due lavoratori?

Il concetto di sistema famiglia lavoro si riferisce alla interdipendenza tra organizzazione e richieste
temporali del lavoro remunerato e organizzazione e richieste temporali del lavoro familiare.
Il sistema male bread-winner vede il lavoro diviso tra uomo e donna, il primo svolge un lavoro
remunerato mentre la seconda il lavoro familiare. Tale sistema veniva visto da Parsons e dai
funzionalisti come un modo di evitare conflitti di status, tra domande di lavoro-tempo. A causa di
questa rigida divisione sessuale non è più sostenibile oggi perché ne fanno le spese le donne che
non possono entrare a pieno titolo nel mercato del lavoro così come gli uomini nella scena
familiare. La nuova partecipazione femminile al mercato del lavoro ha significato il crollo del male
bread-winner con forti ripercussioni anche sugli assetti tradizionali del welfare che su tale modelli si
fondavano. Sempre meno donne escono dal mercato del lavoro con il matrimonio. Negli anni '90 va
per la maggiore il modello dual earner (modello a doppia partecipazione), dove i 2/3 delle coppie
con almeno un reddito è costituita da coppie con due percettori di reddito.
Doppia partecipazione non significa che entrambi i coniugi lavorino a tempo pieno, ma anzi viene
definito come one and half earner, nel senso che a lavorare sono un lavoratore e mezzo, in cui il
mezzo è la donna. In Italia vi è la diffusione nei giovani del modello dual-earner, ma nella veste di
doppio full time vista la bassa diffusione del part-time nel nostro paese.
I rischi di questo sistema di lavoro è il sovraccarico di ruoli e i conflitti sui tempi, sono più
facilmente le donne a rivedere le proprie priorità per venire incontro alle richieste di tempo dalla
famiglia, mentre i mariti antepongono il tempo del lavoro. C'è comunque da considerare come sia la
madre-lavoratrice ad essere normata a livello legislativo e non il padre-lavoratore. D'altra parte si
mostra come il secondo lavoro sia presente tra i mariti delle casalinghe, indicando come in presenza
di necessità di un reddito aggiuntivo nella famiglia la divisione delle sfere di competenza lavorativa
possa rimanere rigida. Spesso può anche apparire economicamente vantaggioso. Appare dunque
come il tempo di lavoro remunerato è un interferenza per il lavoro familiare degli uomini e il tempo
di lavoro familiare è un interferenza per il lavoro remunerato delle donne.
Gli effetti del lavoro delle madri sui figli sono positivi, infatti le madri risultano soddisfatte mentre i
figli stimolati. La gestione del tempo tra lavoro e famiglia dei padri invece può essere percepito
come costoso sul piano affettivo e relazionale, trovando nel lavoro a turni vantaggi e svantaggi a
seconda degli orari che possono permettere di conciliare i tempi lavorativi e quelli familiari oppure
portare ad estraneità rispetto la vita dei figli. Sicuramente effetti negativi sui figli derivano da orari
di lavoro troppo lunghi o assenze troppo prolungate dei padri.
Sono più gli uomini a dichiarare di sperimentare difficoltà a far fronte alle proprie responsabilità
familiari segnalando mutamento nei modelli di genere maschile per la volotà di presenza e cura.
C'è altra dimensione di interferenza che riguarda le vicende lavorative del singolo ed anche le
vicende macroeconomiche che portano il lavoratore a forte dedizione e ne richiedono altrettanta a
moglie e famiglia, che deve organizzarsi in funzione della carriera di uno.

Il lavoro domestico familiare: una netta divisione di genere

Il lavoro domestico familiare è per lo più effettuato dalle donne, lo sviluppo della tecnologia
domestica ha alleggerito fatica fisica e tempi necessari, ma ha anche cambiando gli standard
facendo emergere nuovi bisogni e nuove domande di lavoro domenistico.
Il tenore di vita delle famiglie è migliorato soprattutto per la crescente specializzazione delle donne
nelle attività domestiche. Il termine lavoro domestico è stata progressivamente sostituito dal termine
lavoro familiare al fine di comprendervi tutti i lavori necessari alla riproduzione e creazione
quotidiana della famiglia: cura, lavoro domestico, lavoo di consumo e lavoro di rapporto.
Qualcuno ha chiamato lavoro famigliare "lavoro dell'amore" in quanto si riferisce ai ed è motivato
dai rapporti familiari e implica non solo lavoro materiale ma elaborazione simbolica dei bisogni per
valutare priorità e risorse. E' lavoro che fa sì che il prodotto dia diverso da ogni altro, per quest non
del tutto delegabile. Continua ad essere allocato in modo squilibrato e a prioti, minando rapporto di
parità e reciprocità fra coniugi ed indebolendo posizione della donna sia in famiglia che sul lavoro.
In famiglia è ancora decisa l'allocazione del tempo e differenze di genere sono presenti in tutte le
età e posizioni familiari.
L'aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro non ha avuto come contropartita la
partecipazione maschile al lavoro familiare/domestico. La ricerca di Sabbatini mostra come il
contributo maschile è ancora molto limitato e selettivo, infatti alle cure fisiche prediligono attività
ludiche o di socializzazione con i figli. Anche lavorando le donne hanno carichi familiari che le
portano a lavorare complessivamente molto di più degli uomini. La diminuzione dell'orario
domestico è stata dunque conseguenza scelta femminile, autoriduzione derivante dal doppio lavoro.

CAPITOLO VII – LA FAMIGLIA E IL DIRITTO

Introduzione

Il rapporto famiglia-stato nasce nel momento in cui lo stato afferma il suo ruolo e potere come
monopolio legittimo della forza ed elaboratore di norme, che entra in conflitto con altri soggetti
detentori di potere all'interno della famiglia. Si va cosìsviluppando il diritto di famiglia, corpus di
norme che regolano i rapporti familairi in particolare: le relazioni di coppia, le relazioni tra genitori
e figli e le relazioni tra i membri del nucleo familiare e quelli della rete parentale.
Nel XIX e fino a metà del XX lo status di figli era dipendente da un legame giuridico dei genitori ed
il matrimonio perciò più che istituire il rapporto coniugale produceva la filiazione legittima. Le
Code Napoléon, che ha fatto da modello a buona parte ordinamenti di diritto scritto (civil law),
aveva infatti come idee principali il comando della potestà paterna su figli e maritale sulla moglie e
la filiazione si fonda sulla legittima. Grande innovazione fu l'introduzione del divorzio fondato sulla
colpa. Nei paesi anglosassoni si contrapponeva il common law, che intendeva la famiglia come
istituzione morale e religiosa, con gerarchie di genere e relazioni gerarchiche basate sulla paternità.
Tutti gli ordinamenti giuridici dei paesi occidentali si occupavano prevalentemente delle classi
medie, è solo con l'industrializzazione che si occupano anche dei ceti popolari, ma la vera svolta di
welfare si ha dagli anni '50 ai '70 del '900.

Le trasformazioni del diritto di famiglia in Italia

Nel periodo precedente l'unità d'Italia le leggi che regolavano famiglia differivano da uno stato
all'altro. Ma c'era comune denominatore: privilegio primogenito maschio, ineguale distribuzione
diritti figli maschi e femmine e tra marito e moglie.
La prima codificazione dei rapporti familiari (codice pisanelli 1875) dell'Italia postunitaria si fonda
sul codice napoleonico: limitazione autorità paterna sulla prole ed riconoscimento uguali diritti figli.
Tuttavia attenzione alla Chiesa cattolica portò a legittimare e normare solo matrimonio religioso che
non consentiva divorzio, solo separazione in caso di adulterio (colpa attribuita diversamente a
marito e moglie).
Le leggi rimasero immodficiate fino al codice penale del 1930 ed il codice civile fascista del 1942
con i quali la famiglia divenne – istituto sociale e politico – si rafforzò autorità marito/padre con la
subordinazione degli interessi familiari a quelli nazionali; questo fino alla riforma del diritto di
famiglia del 1975. L'influenza fascista portò a scongiurare declino fecondità, a sostenere modello
autoritario e patriarcale della famiglia e una rigida divisione dei ruoli sessuali. Chi stipulava
matrimonio dava vita a famiglia legittima che enfatizzava gerarchia di coppia.

L'attuale quadro di riferimento normativo a cui s'ispira la legislazione famigliare è tracciato in Italia
nella Costituzione, in quanto "istituzione sociale fondamentale", come in altri paesi, anche se poi si
protegge più l'istituzione matrimoniale che la famiglia rendendo difficile adeguamento del diritto
alle trasformazioni culturali e sociali che l'attraversano.
La Costituzione italiano fu risultato di compromessi a partire dai quali si fissarono principi famiglia
e relazioni familiari: famiglia – società naturale fondata sul matrimonio, ordinato sull'eguaglianza
fra coniugi salvo nel caso sia in questione l'unità famigliare – è ancora la donna a non dover venir
meno a sui compiti famigliari fondamentali. La filiazione viene disgiunta dal matrimonio e la sua
indissolubilità non divenne principio costituzionale. Inoltre si volle un eccessivo intervento statale
nelle questioni familiari visto il passato. Nonostante questo leggi fasciste continuano ad essere
seguite fino a che la cultura giuridica non cambia nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia che
porta uguaglianza fra coniugi ed a una definizione di famiglia più democratica.

Così sotto la spinta dei movimenti sociali di fine anni’60 inizio ’70 all’Italia apparve urgente una
ridefinizione più democratica dei ruoli familiari sia dentro la coppia che tra le generazioni. Nel 1970
fu introdotto il divorzio e nel 1975 viene introdotta la riforma del diritto di famiglia. Tale riforma:
equiparò la famiglia di fatto a quella coniugale, portò l'età minima al matrimonio a 18 anni, delineò
la parità dei coniugi con medesimi doveri e diritti, assegnò la potestà dei figli ad ambedue i genitori;
trasformò la separazione a comunione dei beni, stabilì che in caso di separazione venga sentito il
parere del figlio se ha almeno 16 anni. In seguito nel 1978 viene data la possibilità di abortire e
informazioni sulla contraccezione e solo nel 1996 si conclude il lungo iter per la legge sulla
violenza sessuale. Oggi rimangono solo due disparità: il cognome del padre ai figli e alla moglie; e
la scelta del padre in caso di contrasto tra genitori in situazioni di pericolo senza possibilità di
ricorrere al guidice.

Le definizioni legali della famiglia nelle società occidentali contemporanee

Negli ultimi quarant'anni sono state approvate ovunque riforme che hanno ridotto le differenze nel
diritto di famiglia soprattutto per quel che riguarda lo scioglimento del matrimonio e la separazione
tra matrimonio e lo status di figli; anche se continuano a permanere variazioni fra paesi. Queste
derivano dal modo in cui i diversi contesti trovano equilibri fra la tutela dei diritti dei singoli e la
tutela della famiglia; tra il principio di uguaglianza e autonomia nella coppia; tra diritti e doveri
nella relazione fra genitori e figli. Che dipendono anche dal considerarle questioni private o di
interesse pubblico. Tendenze opposte si hanno soprattutto per quel che riguarda la regolazione
giuridica delle relazioni di coppia o quelle fra genitori-figli che pare maggiormente colpita
dall'intervento normativo.

Il matrimonio è unione solenne tre uomo e donna da cui derivano diritti e doveri definiti per legge.
In tutti i paesi, tranne l'Italia (nel rito religoso è inserito anche quello civile), l'unica forma legale
consentita è quella civile ed è obbligatorio essere maggiorenni tranne che in Francia a 15 anni. Per
quanto riguarda invece la dissoluzione del matrimonio gli effetti possono essere alquanto differenti
(diverso equilibrio tra uguaglianza e solidarietà nella coppia). Prima del ’75 era stabilito che i
coniugi al momento della separazione restassero proprietari delle proprie cose, dopo tale riforma i
beni acquistati dopo il matrimonio sono in comune. Si è voluto raggiungere anche sul piano
patrimoniale parità coniugi e riconoscere apporto lavoro domestico e familiare della donna nel
patrimonio familiare. Per quanto riguarda il diritto di successione, nei paesi in cui prevale la
comunione dei beni, al coniuge superstite spetta la metà dei beni a titolo di proprietà. A titolo
d'eredità la parte spettante al coniuge superstite è variabile. Il tutto anche qui per pareggiare e
salvaguardare le donne. Lo stesso vale per la pensione di reversibilità, riconosciuta come diritto dei
supersisti – coniuge e figli minori.

In Italia e nei paesi cattolici, la separazione legale è stata per secoli considerata l'unico rimedio
previsto al fallimento del matrimonio. Esso è stato introdotto tardivamente.
Per lungo tempo il divorzio si è ispirato all'idea del divorzio-sanzione, ossia veniva concesso per
colpa di uno dei due coniugi. Dagli anni '70 si passa dall'imposizione moralistica punitiva al
divorzio-rimedio per cui bastavano differenze inconciliabili e non colpe. Tuttavia permangono
differenze anche all'interno della Comunità europea.
In Italiail divorzio a cui si ispirò legge italiana del '70 fu quello al rimedio del conflitto coniugale,
piuttosto che quello della colpa. Con la nuova legge il divorzio poteva essere concesso purchè vi
fosse una delle seguenti condizioni: matrimonio non consumato, condanna per detenzione,
separazione legale da almeno 5 anni o di fatto da 7. Comunque la svolta fondamentale ci fu quando
nel '75 venne introdotta la possibilità di divorziare dal momento in cui saltano i presupposti della
convivenza civile, anche se rimane l'impostazione giudiziaria di colpa in quanto il magistrato può
decidere di addebitare la separazione a uno dei due coniugi - infatti essa poteva essere consensuale
o giudiziale (dunque pronunciata per colpa). La separazione in Italia rimane la strada obbligata da
percorrere per il divorzio, dal 1987 è stata ridotta a 3 anni, unico paese con processo a due stadi.

Dopo le trasformazioni degli anni '70 l'oggetto del diritto non è più la famiglia in sé ma la tutela dei
singoli componenti, infatti l'interesse dei figli a differenza di prima è preminente a quello dei
genitori. Anche a livello internazionale – Convenzione diritti dell'infanzia del '89. Anche se il
“principio dell'interesse del minore” è tuttora troppo indeterminato e dipende dai valori e dalla
cultura dei giudici.

E' proprio in base al “principio dell'interesse del minore” che i minori nati dentro e fuori dal
matrimonio sono equiparati.
In Italia il quadro normativo che regolamenta la posizione dei figli è stato ispirato dal principio del
"superiore" interesssse del bambino a crescere in famiglia idonea ad assolvere sue funzioni,
comportando così eguale trattamento dei figli nati dentro o fuori dal matrimonio. Questi tuttavia
continuano a rimanere figli naturali in contrasto con quelli legittimi, perchè ad essi non è
riconosciuta appartenenza a una vera famiglia quasi ignorando rapporti parentela e non
riconoscendo ai genitori non coniugati la qualità di coppia come invece conservano marito e moglie
da separati. Il riconoscimento legale del rapporto di filiazione è il primo passo per stabilire i diritti
dei figli, ma soprattutto le responsabilità dei genitori. Questo però non significa che il
riconoscimento legale di un rapporto esaurisca in sè i possibili modi di diventare genitore.
In alcuni paesi la la madre è obbligata a dichiarare il nome del padre perché è obbligato a
provvedere alle spese di mantenimento; in altri la madre può partorire in anonimato, mentre in
Inghilterra è vietato per il diritto di poter conoscere le sue origini. Un diritto che oggi molti
riconoscono a tutti gli adottati. Tema evocato anche in materia di procreazione assistita. In italia la
legge sulle adozioni ha poi reso la questione più complessa per il diritto riconosciuto al minore di
conoscere origini biologiche. Comunque in tutti i paesi una volta stabilito il vincolo di filiazione i
genitori sono obbligati al mantenimento e alle spese di educazione dei figli, in Europa meridionale
può essere esteso anche agli ascendenti e talvolta (Italia) anche a zii e fratelli e sorelle (per i beni di
prima necessità), e dura fin quando il figlio non è economicamente autonomo.

Al fine di eliminare rapporti gerarchici nelle relazioni familiari in base a genere e generazione, dagli
anni '90, in molti paesi europei, la patria potestà viene esercitata e ripartita tra i genitori, che
dovranno mantenere, istruire e educare la prole. Si richiede inoltre in caso di divorzio un
mantenimento di stabili e continuativi rapporti con entrambi i genitori. Questo si è espresso con la
possibilità dell'affidamento congiunto, cioè la condivisione di responsabilità ed esercizio
congiunto della potestà anche dopo la separazione. Modello più diffuso in Europa, in Italia
affidamento esclusivo alla madre è prevalente ma si osserva maggiore propensione soprattutto sopo
Legge 54/2006: diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i
genitori, visto che ciò rappresenta rimariamente un interesse per il piccolo; ma non prevedendo lo
stato aiuti consultoriali ciò dipende dalle capacità negoziali dei genitori.

Il potere di controllo dell'autorità pubblica sulle funzioni genitoriali è questione controversa e che si
presta a interpretazioni diverse. In tutti i paesi comunque si è affermata l'idea che le esigenze del
monore debbano essere prioritariamente soddisfatte nell'ambito della famiglia d'origine o, in caso di
incapacità, di sostituzione (adottiva, affidataria); per cui interesse mnore coinciderebbe con quello
di vivere in famiglia. Le differenze tra paesi riflettono enfasi più o meno posta su principio
autonomia della genitorialità. L'affidamento familiare (allontanamento provvisorio) e l'adozione
(definitivo) sono pronunciati dall'autorità giudiziaria che interviene in situazioni di disagio talmente
gravi da deciderne l'allontanamento. L'affidamento è stato introdotto al fine di diminuire numero
minori in istituto ed anche in stato di adottabilità. Esistono due tipi di affidamento (max 2 anni): 1)
mediato dai servizi sociali 2) per ordine del tribunale dei minori. Possono ricevere in affidamento
coppie coniugali, i singoli, le piccole comunità; ricevono contributi solo nei comuni che prevedono
assistenza economica. In Italia a differenza di altri paesi le coppie di fatto non possono adottare, è
necessario che siano sposati da almeno 3 anni, i genitori adottanti hanno l'obbligo di informare il
figlio della sua condizione entro i 25 anni, in quanto detentore del diritto d'accedere alle
informazioni che riguardano la sua origine e i suoi genitori biologici.

I confini della famiglia variano da un paese all'altro: nord e sud Europa hanno forme diverse di
accudimento soprattutto per quel che riguarda gli obblighi alimentari. Il codice civile italiano
prevede che i parenti siano tenuti agli alimenti in caso di gravi disagi in relazione non al grado di
parentela ma alla disponibilità. Per importanza solidarietà familiare e in quanto principio fondante
sistema welfare: il principio di sussidiarietà prevede infatti di accertare che non vi siano parenti in
grado di provvedervi.

Le famiglie di fatto: dalle convivenze registrate al matrimonio omosessuale

In Italia per famiglia di fatto si allude ad una forma di vita familiare non basata sul matrimonio.
Anche se le tendenze odierne del diritto di famiglia vanno incontro alla deistituzionalizzazione del
matrimonio o la degiuridificazione della relazione di coppia, e le norme sul matrimonio stanno
diventando sempre più flessibili. Il riconoscimento legale delle coppie di fatto ha soluzioni
differenti a seconda del paese, in relazione alle diverse idee di famiglia e in relazione a come è stata
interpretata l'idea di unirsi con persone anche dello stesso sesso come una scelta privata o relazione
d'interesse pubblico. Spesso la matrice religiosa ha reso difficile legiferare in questo campo. I diritti
dello coppie di fatto (eterosessuali) sono state riconosciute dagli anni '70 in Svezia e Danimarca,
ampliandosi poi con una serie di diritti tra cui l'adozione; in Svezia coppie sposate e di fatto col
tempo hanno conseguito uguali diritti a prescindere appunto dallo status coniugale. Il
riconoscimento delle coppie omosessuali è avvenuto in seguito a quelle di fatto (tranne che in
Inghilterra), le coppie etero hanno l'opzione matrimonio, quelle gay no, e per questo sono più
bisognose di essere riconosciute. Nel nord Europa la convivenza registrata/unionr civile è la
prima forma di riconoscimento delle unioni libere di persone dello stesso sesso: il primo stato fu la
Danimarca nel 1989, seguita da Norvegia nel 1993 e Svezia nel 1995. Tale modello può essere
definito un quasi matrimonio, poiché riconosce diritti poco differenti a quelli del matrimonio come:
patrimonialità, fisco, successione e diritti sociali.
Nel 1999 in Francia è stato introdotto il modello PACS, che si differenzia dalla convivenza
registrata poiché è rivolto a tutte le coppie indipendentemente dal sesso, è un patto di mutuo aiuto,
un'unione assistenziale di solidarietà reciproca, senza caratterizzazione sessuale perché non è posta
alla base del rapporto; in compenso non da diritto all'adozione o diritti sociali come la successione.
L’Olanda nel 2001 è stato il primo paese in tutto il mondo a legalizzare il matrimonio omosessuale,
seguito poi da Spagna e Belgio. In Italia le convivenze registrate di coppie eterosessuali o
omosessuali sono istituti estranei, infatti rappresentiamo un'eccezione occidentale. Tali coppie non
sono riconosciute dal codice civile e hanno diritti di successione solo con testamento. C'è stato il
progetto DICO (diritti e doveri persone stabilmente conviventi) accolto con ostilità dai cattolici.
Nonostante mutamenti legislativi questi rapporti continuano ad essere in sottposti a interdipendenza
gerarchica. L’immigrazione poi crea ai legislatori nuove sfide: forti asimmetrie rapporti generazioni
e sessi, e questione cultura poligamica che porta e richieste di ricongiungimenti familiari non in
linea con le norme monogamiche.
Il diritto di famiglia occidentale comunque è andato verso direzioni comuni: a)progressiva
separazione tra l'istituto matrimoniale e lo status dei figli, b)introduzione divorzio, c)alleggerimento
regolamentazione coppia, d)riduzione delle diversità tra coppie di fatto e sposate, e)progressivo
riconoscimento delle coppie omosessuali, f)accentuazione dei diritti dei figli. Si è andati verso una
degiuridicazione dei rapporti di coppia e familiari e un'espansione di risorse di welfare che hanno
assunto le funzioni precedentemente assolte dalla famiglia.

CAPITOLO VIII – FAMIGLIA E POLITICHE SOCIALI

Introduzione

La famiglia è direttamente o indirettamente oggetto di regolazione da parte dello Stato attraverso


non solo le norme giuridiche riguardanti il matrimonio o la filiazione e le obbligazioni ad essi
connesse, ma anche tramite i criteri che presiedono alle forme di redistribuzione pubblica delle
risorse. Lo Stato interviene nei processi di riproduzione sociale (definendo standard, distribuendo
risorse), quindi nelle relazioni familiari e nei compiti affidati alle famiglie. Le sfere di intervento e
interferenza tra Stato e famiglia, tra sfera pubblica e privata, sono fortemente cresciute nel XX
secolo, soprattutto in Europa. Una delle questioni che emerge dall'analisi del rapporto tra Stato e
famiglia, è quella relativa a come è stata tematizzata e concepita nel tempo e nello spazio la
questione della responsabilità di cura e mantenimento degli individui non del tutto autosufficienti,e
a come questa responsabilità è stata ripartita tra Stato, famiglia, parentela e Terzo settore.
Nell'ambito del lavoro di cura e riproduzione sociale, sono 2 i tipi di responsabilità e obbligazioni
che meglio ci permettono di osservare il campo di interferenza tra sfera pubblica e sfera familiare:
1. Obbligazioni finanziarie e di mantenimento: definiscono chi dovrebbe finanziariamente dare
sostegno a chi; 2. Obbligazioni di cura: prescrivono chi dovrebbe fornire cura a chi.

Le diverse tradizioni di politiche familiari in Europa

Nella maggior parte dei paesi europei la politica familiare continua ad essere un concetto
indefinito. Il termine è stato usato per fare riferimento ad un ampio spettro di misure legislative,
sussidi monetari e servizi destinati alle famiglie finalizzati al miglioramento del benessere familiare.
Pochi sono i paesi che hanno sviluppato un'esplicita e sistematica politica familiare,ovvero un
insieme di programmi di politica sociale intenzionalmente destinati a raggiungere specifiche finalità
riguardanti il benessere familiare. Francia e Belgio sono stati i primi e soli ad aver sviluppato un
esplicito e coerente sistema di politiche familiari. Questo sistema ha saputo coniugare finalità
diverse: demografica e quindi sostegno al costo dei figli e parità tra sessi. Questo è stato possibile
grazie allo sviluppo di generose forme di trasferimenti monetari e di servizi per l'infanzia,
contribuendo a sostenere il doppio ruolo delle donne: mogli e lavoratrici.
I paesi scandinavi si sono caratterizzati per la centralità attribuita alla questione dell'uguaglianza dei
sessi e per l'attenzione rivolta ai bisogni e ai diritti dei bambini. Obiettivi che sono stati raggiunti
attraverso lo sviluppo di servizi pubblici e con l'introduzione di misure sociali che permettano alle
madri di conciliare vita familiare e professionale.
Germania e Austria hanno sviluppato un'esplicita politica familiare, ma non è stata in grado di
assumere un ruolo di rilievo nella politica sociale e questo è avvenuto per l'accentuato carattere
conservatore dell'intervento pubblico sulla famiglia e per preferenza intervento stato come
sussidiario alle funzioni della famiglia e della società civile. Le politiche familiari nei paesi a
lingua tedesca si sono infatti contraddistinte per la priorità attribuita alla famiglia-istituzione,
attraverso trattamenti fiscali che incentivano la figura della moglie casalinga e uno scarso sviluppo
sia di servizi pubblici,che di politiche di conciliazione famiglia-lavoro. Ma la Germania sta
modificando profondamente questo approccio: preoccupazione per via della fecondità ridotta, ha
motivato una serie di riforme atte a sostenere l'occupazione femminile e la conciliazione tra cure
familiari e vita professionale.
Gran Bretagna e Irlanda sono un esempio del non intervento da parte dello Stato nelle questioni
familiari. La famiglia è concepita come sfera privata e la politica familiare è stata rivolta
prevalentemente alle famiglie povere e a quelle a rischio.
Italia, Grecia, Spagna e Portogallo si sono distinti per non aver sviluppato una politica familiare
esplicita, unitaria e coerente, ma soprattutto per l'alto livello di frammentarietà della politica sociale.
Lo scarso sviluppo di politiche familiari in questa parte d'Europa va ricercato nella preferenza
accordata anche a livello istituzionale, ad un modello culturale della “solidarietà familiare e
parentale”. Questo modello si fonda sull'assunto che il sistema famiglia funzioni sulla base della
solidarietà e delle obbligazioni familiari e intergenerazionali lungo tutto il ciclo di vita, e sull'idea
che i compiti di riproduzione sociale e di cura spettino quasi esclusivamente alla famiglia – concetto
esteso di dipendenza familiare.

L'analisi di genere e il modello del "male breadwinner"

A metà anni '80 gli studi sul welfare state hanno mostrato un interesse crescente verso la famiglia.
Si è compresa l'importanza che la famiglia riveste per il funzionamento più complessivo del welfare
state. Gli studi sulla relazione tra sfere pubbliche e private di produzione di welfare hanno permesso
di vedere come sia più appropriato analizzare lo stato sociale moderno in termini di economia mista
di welfare, nel quale lo Stato, il volontariato, la famiglia e il mercato rivestono ruoli diversi e
complementari in un determinato contesto storico. Si è spostata l'attenzione sugli effetti di genere
delle politiche sociali, ossia sul modo e grado in cui interventi stato sociale contribuicono a
costruire e a consolidare modelli di relazione fra generi. Gli effetti sono visibili in termini di classe
sociale e di forma di famiglia, ma anche di genere.
Tutti i moderni stati sociali si sono originati sulla base di presupposti che prescrivevano un modello
di famiglia fondato sul male breadwinner, un modello fondato sull'idea di una divisione del lavoro
tra uomini e donne, dove gli uomini sono procacciatori di risorse e le donne si occupano del lavoro
di cura non retribuito. Questi presupposti si sono tradotti in politiche sociali che hanno sostenuto i
ruoli diversi attribuiti a uomini e donne. Per le donne è importante che esistano servizi per l'infanzia
e per gli anziani, visto che entrambi risultano cruciali nel favorire l'accesso e la permanenza delle
donne nel mercato del lavoro, perchè favoriscono la conciliazione tra attività lavorativa e vita
familiare. L'introduzione della famiglia nelle analisi sull'origine e lo sviluppo dei moderni welfare
state è stata fondamentale perché ha permesso di rileggere da una nuova prospettiva tutta
l'evoluzione delle politiche sociali.

La questione del costo dei figli

La questione del costo dei figli, in Italia, è stata per molto tempo poco studiata e scarsamente
riconosciuta nelle politiche sociali e fiscali; in base al contesto i figli sono stati differentemente
concettualizzati e definiti. A ogni concezione ha corrisposto una differente ripartizione delle
responsabilità e competenze fra attori istituzionali. La questione del costo dei figli richiama in
particolare 2 tipi di responsabilità: il mantenimento e la cura. L'analisi delle politiche sociali a
sostegno del costo dei figli sarà distinta per 3 ambiti di intervento:1)i trasferimenti monetari diretti e
indiretti (assegni familiari e detrazioni fiscali) 2)le misure sociali previste per le madri/genitori che
lavorano (congedi di maternità) 3)i servizi per le famiglie (nido,scuola materna)

Il costo per il mantenimento dei figli è stato riconosciuto prevalentemente ai padri nelle varie forme
che ha assunto l'idea del "salario familiare". Gli assegni familiari furono introdotti per rispondere
sia al dilagare della povertà, presente soprattutto nelle famiglie numerose, sia al timore diffuso del
declino della fecondità. La Francia nel primo decennio del '900 introdusse una prima versione di
salario familiare (salario con supplemento). Nel 1932 questi supplementi vennero trasformati in veri
e propri assegni familiari. In Germania gli assegni familiari furono introdotti nel 1935 e assunsero
finalità pronataliste e di perseverazione della razza, quando nel 1939 il governo nazionalsocialista
decide di concederli solo alle famiglie con più di 3 figli. In Italia ne fu introdotta la prima forma con
il fascismo, per i lavoratori dipendenti dell'industria. In Spagna avvenne nel 1938 con Franco. Con
gli assegni familiari il capofamiglia fu riconosciuto responsabile per il mantenimento di una vasta
gamma di familiari. Nella maggior parte dei contesti nazionali gli assegni familiari sono concepiti
come una misura sociale diretta solo al sostegno del costo dei figli. Solo dalla metà degli anni '90
sono state introdotte alcune integrazioni destinate alle famiglie con minori (assegno maternità e
bonus bebè), ma nel nostro paese la misura rimane destinata solo ad alcune categorie, ed è
sottoponibile solo a chi non supera le soglie di reddito stabilite. Nella maggioranza dei contesti
nazionali gli assegni famigliari sono di tipo universale, ovvero finanziati attraverso il fisco e sono di
uguale importo a prescindere dal reddito delle famiglie. Alcuni paesi variano l'importo dell'assegno
in base all'età e/o al numero d'ordine del figlio. L'Italia non sostiene più di tanto il costo dei figli a
differenza di altri paesi.
Oltre trasferimenti diretti ci sono poi trasferimenti monetari indiretti che costituiscono importante
forma di compensazione per i costi di mantenimento dei figli. Però spesso non è facile tenerne
conto nelle analisi di politca sociale per la diversità dei regimi di tassazione e per il diverso impatto
che agevolazioni fiscali possono avere su famiglie uguali per composizione ma non per reddito.

Riconoscendo lo Stato il grande consumo di cure da parte dei genitori per allevare i figli, ha messo
a disposizione servizi per l'infanzia e misure sociali connesse a responsabilità cura dei genitori, che
consentano ad entrambi di partecipare al mercato del lavoro – conciliazione famiglia-lavoro.
Le leggi di protezione per le lavoratrici madri sono state la prima forma di riconoscimento pubblico
delle responsabilità di cura che le madri hanno nei confronti dei figli piccoli. Le prime leggi di
tutela delle madri lavoratrici furono approvate prima dell'introduzione delle principali assicurazioni
sociali. Il congedo di maternità retribuito, ossia indennità per compensare perdita salario subita da
madre durante astensione, fu introdotto in Italia nel 1910, seguito da indennità di maternità ha
sancito che i figli sono un vero e proprio costo per le madri, principalmente perché consumano
tempo a svantaggio del tempo di lavoro remunerato. Consiste in un periodo di astensione dal lavoro
durante periodo gravidanza e puerperio.
In alcuni paesi è stato indetto anche il congedo genitoriale, periodo facoltativo, successivo al
congedo di maternità, che spetta sia alla madre che al padre, sottoforma di diritto individuale,
familiare o misto per un periodo variabile, generalmente retribuito. Variazione durata e generosità
del congedo di maternità fra paesi sono ancora rilevanti, inferiore a congedo genitoriale. Anni '70
congedo materno obbligatorio tranne che facoltativo in Italia, Austria e Svezia. Alla fine degli anni
'90 però quasi tutti i paesi europei hanno visto moltiplicarsi le misure che facilitano le cure
genitoriali e familiari. Molti paesi prevedono per legge anche il congedo di paternità,
generalmente retribuito, e con scelta di prenderlo in un'unica soluzione o a blocchi; ma non in Italia,
Germania e Repubblica Ceca. In tutti i paesi i congedi sono prevalentemente usufruiti dalle madri.
Tra i padri il tasso di congedo utilizzato è minimo.
In Svezia, primo paese ad aver introdotto il congedo genitoriale nel 1974, ha prevalso l'idea che
debbano essere i genitori a prendersi cura dei piccoli nel primo anno di vita. Se si guarda inoltre il
ritorno a lavoro delle madri dopo il congedo il tasso più elevato è quello dei paesi scandinavi,
Austria e Gran Bretagna. Lunghi periodi di congedo scoraggiano il reingresso delle madri nel
mercato del lavoro, soprattutto se prive di titoli di studio e professioni qualificate. Congedo e servizi
per l'infanzia emancipano e redistribuiscono ruoli di cura, dando alla donna possibilità di rimanere
nel mercato del lavoro.
I servizi pubblici per i bambini fino ai 3 anni sono una risorsa molto importante e sostenuta a livello
comunitario per sostenere costo figli e sostenere madri lavoratrici. L'offerta di servizi per la fascia
0-3 non è elevata in nessun paese ed è particolarmente bassa laddove è più debole il tasso di
occupazione femminile. Il tasso di copertura è calcolato tenendo conto non solo dell'offerta di
servizi ma anche della presenza e possibilità d'accedere ad altre facilitazioni.
In tutti i paesi, il debole sviluppo di questi servizi è da attribuire al costo elevato delle forme di cura
da dedicare ai bambini in tenera età e alla diversa concezione delle forme di cura preferibili per i
bambini in tenera età. Altro indicatore per valutare più nel complesso il sistema di servizi per
l'infanzia è il tasso di copertura effettivo, che considera sia congedi che servizi.
Per quanto riguarda le scuole materne, invece, il tasso sale soprattutto in quei paesi dove esse
costituiscono parte integrante del sistema educativo nazionale; dunque sono nate non tanto per
andare incontro alle madri lavoratrici, quanto a scopo educativo. Comunque oltre i servizi di tipo
collettivo, nidi e scuole, si diffondono anche altre forme di cura individuale sostenute con risorse
pubbliche o forme di cura privata informale della famiglia come alternative ai servizi pubblici. Sta
di fatto che oltre a questi sostegni (congedi e servizi) importanza per le madri hanno gli orari di
lavoro flessibili e l'organizzazione dei tempi sociali, in particolare orari dei servizi che tengano
conto di chi ha responsabilità familiari.

Ci sono 3 tipi pacchetti di aiuti per i figli: 1 )trasferimenti monetari diretti (indennità per i congedi
inclusi), 2) trasferimenti monetari indiretti (detrazioni fiscali per i figli) 3) spesa pubblica per i
servizi per l'infanzia. La maggior parte della spesa pare destinata ai trasferimenti diretti ed ai
servizi. La diversa composizione della spesa per famiglia consente di rilevare anche i diversi
orientamenti rispetto agli strumenti di politica sociale. Nei paesi del Sud Europa continua a
permanere uno scarso investimento pubblico nelle politiche destinate alle famiglie con figli. In tutti
i paesi i trasferimenti monetari riducono tassi di povertà minorile, anche se non in tutti avviene la
medesima riduzione.

Politiche di cura per gli anziani

La preferenza accordata a livello istituzionale a un modello di politiche e quindi a un modello


familiari se trova non solo nel problema di mantenimento dei figli, ma anche nel modo in cui viene
affrontata la cura degli anziani over 80 e quelli non più autonomi. Questo richiama il ruolo della
famiglia come agenzia di produzione di servizi ed illustra come nei diversi contesti le obbligazioni e
responsabilità pubbliche siano state definite rispetto a quelle private.
La perdita di autosufficienza di una persona molto avanti con l'età costituisce un evento critico per
lo stesso, ma anche per la sua famiglia e per la rete parentale diventa una situazione difficile da
affrontare. La qualità dei servizi pubblici di cura per gli anziani, non riflettono necessariamente lo
sviluppo e la logica del sistema dei servizi per l'infanzia.

L'accelerazione del processo d'invecchiamento e la riduzione della fecondità hanno portato ad un


notevole aumento del numero dei grandi anziani(ultra 80enni). Per questo motivo in molti paesi è
cresciuto il bisogno di avere dei servizi che rispondano alla domanda di cura di questi anziani, i
quali possono vivere anche un lungo periodo di vita senza essere autosufficienti. Inoltre la domanda
è divenuta più visibil perché è diminuito il numero di donne in età centrale, potenziali fornitrici di
cura per gli anziani, poiché impegnate nel mercato del lavoro. Altro elemento deriva dalle
trasformazioni avvenute alle strutture familiari: riduzione famiglie estese e multiple e aumento
famiglie unipersonali composte da anziani; rende più complessa organizzazione del sostegno da
parte dei famigliari soprattutto se non vicini. La rottura coniugale ha per di più portato a un generale
indebolimento dei rapporti.

Per lungo tempo è stato considerato un problema delle famiglie, perciò la logica dell'intervento
pubblico era di tipo assistenziale e residuale; rivolto a quegli anziani gravemente malati, senza
parenti o bisognosi di cure, motivo per cui venivano istituzionalizzati e curati in strutture apposite.
Solo negli anni '80 in tutti i paesi industrializzati si è iniziato a ridefinire gli obiettivi delle politiche
di cura per gli anziani. L'obiettivo è diventato quello di mantenere il più a lungo possibile la persona
anziana nel proprio ambiente familiare, senza però contare solo sulla famiglia. Per questa finalità è
nata la cura a domicilio, che si realizza sia tramite servizi decentralizzati a livello territoriale sia
attraverso assegni di cura e altre prestazioni monetarie. Questa idea di community care si è tuttavia
sviluppata in maniera non lineare e uniforme, tanto da assumere significati diversi:
deistituzionalizzazione, alternativa al ricovero o ampia responsabilizzazione della rete sociale
informale nella fornitura di cura.
In Italia i tassi di istituzionalizzazione e la quota di anziani beneficiari di servizi domiciliari
rimane limitata. Ciò significa che gran parte della cura è svolta dai familiari e da persone che si
offrono su un mercato in crescita. Gli interventi domiciliari e i ricoveri dovrebbero infatti costituirsi
in un rapporto a bilancia, ma in realtà si nota complementarietà.
Il sistema di cura informale prevale in tutti i paesi. Lavoro scarsamente riconosciuto a livello
sociale, scarsamente legittimato e rivendicato; anche per la riluttanza delle istituzioni pubbliche che
ancora lo vede come compito familiare gratuito. Anche se in alcuni paesi la cura formale tramite
obbligazioni riguardanti mantenimento e assistenza parente anziano appaiono codificate in leggi
(Francia, Belgio, Germania).

Negli ultimi anni si è anche diffusa nuova tipologia di prestazioni: assegni di cura, pagato al
titolare o alla persona che presta cura, muove la politica dalla priorità dei servizi all'erogazione di
contributi monetari, nell'idea che anche l'aiuto informale necessiti di un parziale riconoscimento
economico. Tale misura, come i vouchers, incoraggia l'acquisto di cura sul mercato e dunque
garantisce maggiore libertà di scelta e minore dipendenza degli utenti.
La differenza fra paesi non riguarda solo chi viene pagato ma anche condizioni e effetti sulla
domanda complessiva di servizi. Gli assegni pagati direttamente ai prestatori di cura possono
garantire diritti sociali o solo sostegno economico; mentre quelli pagati al bisognoso di cura
possono essere controllati in relazione a un utilizzo appropriato o essere erogati senza accertamento.
In Italia esiste indennità d'accompagnamento, non soggetta a verifica delle risorse economiche
della persona gravemente disabile e anche l'assegno di cura erogato non da Stato ma comuni e Asl
in alternativa ai servizi alla personae e viene utilizzato per compensare caregivers familiari o per
acquistare cura sul mercato.
Questi ultimi hanno acceso dibattiti sugli esiti della prestazione monetaria invece che di servizi per
benessere anziano e caregiver. Questi sono per la maggior parte donne migranti e spesso irregolari,
con ridotte possibilità di lavoro e scarsi diritti sociali in età avanzata. Ciò potrebbe incoraggiare
occupazione irregolare con un istituzionalizzazione della cura di mercato a basso costo impedendo
formazione mercato sociale e la creazione di personale formato e con tutele adeguate. Tutto ciò
ovviamente varia a seconda del contesto istituzionale.

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