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SANT AGOSTINO

(LA) (IT)
« Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec « Ci hai creati per Te, [Signore,] e inquieto è il nostro cuore
[1]
requiescat in te. » fintantoché non trovi riposo in Te. »

(Confessioni, I, 1, 1[2])

Sant'Agostino d'Ippona

Agostino in un dipinto di Antonello da Messina

Vescovo e dottore della Chiesa

Nascita Tagaste, oggi Souk Ahras(Numidia, oggi Algeria), 13 novembre 354

Morte Ippona, oggi Annaba (Numidia, oggi Algeria), 28 agosto 430

Veneratoda Tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi

Ricorrenza 28 agosto

Attributi Abiti vescovili, cuore infiammato

Patrono di vedi elenco

[3]
Aurelio Agostino d'Ippona (latino: Aurelius Augustinus Hipponensis; Tagaste, 13 novembre 354 – Ippona, 28
agosto 430) è stato un filosofo, vescovo e teologo latino.
[4]
Padre, dottore e santo della Chiesa cattolica, è conosciuto semplicemente comesant'Agostino, e detto anche Doctor
Gratiae ("Dottore della Grazia"). SecondoAntonio Livi, filosofo, editore e saggista italiano di orientamento cattolico, è stato
«il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell'umanità in
[5]
assoluto». Le Confessioni sono la sua opera più celebre.
Compendio della dottrina agostiniana

Per comprendere la dottrina di Agostino non si può prescindere dal suo vissuto esistenziale: trovandosi a sperimentare un

insanabile dissidio tra la ragione e il sentimento, lo spirito e la carne, il pensiero pagano e la fede cristiana, la sua filosofia

consistette nel tentativo grandioso di riconciliarli e tenerli uniti. Fu proprio l'insoddisfazione per quelle dottrine che predicavano

una rigida separazione tra bene emale, luce e tenebre, a spingerlo ad abbandonare il manicheismo e a subire l'influsso

dello stoicismo e soprattutto del neoplatonismo,[6] i quali viceversa riconducevano il dualismo in unità.[7]

Recependo il pensiero di Platone filtrato attraverso quello di Plotino, Agostino rielaborò così la dottrina delle idee, o

quella emanatisticadell'Uno, sulla base della concezione trinitaria del Dio cristiano, che è insieme Sapienza, Potenza, e Volontà

d'amore. Essendo Dio principio unico e assoluto dell'Essere, non può esistere un principio a Lui contrapposto, per cui il male è

soltanto "assenza", privazione del Bene, imputabile unicamente alla disobbedienza umana. A causa delpeccato

originale nessun uomo è degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare, tramite il ricorso alla grazia, che

sola consente alla nostra anima di ricevere l'illuminazione. Ciò non toglie comunque che noi possediamo un libero arbitrio.[8]

A differenza della filosofia greca, però, dove la lotta tra bene e malenon prevedeva un esito escatologico, Agostino ebbe

presente come questa lotta si svolge soprattutto nella storia. Ciò condusse a una riabilitazione della dimensione terrena

rispetto al giudizio negativo che ne aveva dato il platonismo: ora anche il mondo e gli enti corporei hanno valore e significato, in

quanto frutti dell'amore di Dio. Si tratta di un Dio vivo e Personale, che sceglie di entrare nella storia umana, e il cui amore

infinito (agàpe) è la risposta all'ansia diconoscenza, tipica dell'eros greco, che l'uomo prova per Lui.[9]

La vita di Agostino è stata tramandata con grande dettaglio nella sua opera Confessioni, sua storia morale, nelle
sue Ritrattazioni, che descrivono l'evoluzione del suo pensiero, e nella Vita di Agostino, scritta dal suo amico Possidio,
che narra l'apostolato del santo.

Dalla nascita alla conversione (354-387)


[10]
Agostino, di etnia berbera, ma di cultura totalmente ellenistico-romana, nacque a Tagaste il 13 novembre 354.
Tagaste, attualmenteSouk Ahras in Algeria, posta a circa 70 km a sud-est di Ippona, era a quei tempi una piccola città
libera della Numidia proconsolare recentemente convertita al Donatismo. Anche se molto rispettabile, la sua famiglia non
era ricca, e suo padre, Patrizio, uno dei curiales(consiglieri municipali) della città, era un pagano; alla lunga però, per
influenza di Monica sua moglie, e madre di Agostino, Patrizio giunse alla conversione.

Infanzia e adolescenza
Agostino recepì dai suoi genitori due opposte visioni del mondo, da lui spesso vissute in conflitto tra loro. Sarà tuttavia la
madre, venerata tutt'oggi come santa dalla Chiesa cattolica, ad esercitare un grande ruolo nell'educazione e nella vita del
figlio. Agostino ricevette da lei un'istruzione cristiana e fu iscritto fra i catecumeni. Una volta, quando era molto malato,
chiese il battesimo, ma, essendo presto svanito ogni pericolo, decise di differire il momento della ricezione del
sacramento, adeguandosi, così, ad una diffusa usanza di quel periodo. La sua associazione con "uomini di preghiera"
lasciò tre grandi concetti profondamente incisi nella sua anima: l'esistenza di una Divina Provvidenza, l'esistenza di una
vita futura con terribili punizioni e, soprattutto, Cristo il Salvatore.

« Fin dalla mia più tenera infanzia, io avevo succhiato col latte di mia madre il nome del mio Salvatore, Tuo Figlio; lo conservai nei
recessi del mio cuore; e tutti coloro che si sono presentati a me senza quel Nome Divino, sebbene potesse essere elegante, ben
scritto, ed anche pieno di verità, non mi portarono via. »

(Confessioni, I, IV)

Africano di nascita, apprese e utilizzò il punico ed il latino, mentre ebbe difficoltà con il greco, l'altra grande lingua,
insieme al latino, della cultura dell'epoca. Patrizio, orgoglioso del successo del proprio figlio nelle scuole di Tagaste
e Madaura, decise di mandarlo a Cartagine per prepararlo alla carriera forense, ma ci vollero molti mesi per raccogliere il
denaro necessario, ed Agostino passò il suo sedicesimo anno a Tagaste, in un ozio in cui si scatenò una grande crisi
intellettuale e morale. Egli stesso avrebbe in seguito narrato come, dominato da una profonda inquietudine, venisse
risucchiato in un vortice di passioni, e provasse quasi attrazione per il peccato, come avvenne ad esempio in occasione
del celebre furto delle pere, che Agostino organizzò insieme ad alcuni coetanei:

« Ma io, sciagurato, cosa amai in te, o furto mio, o delitto notturno dei miei sedici anni? Non eri bello se eri un furto; anzi, sei "qualcosa"
[11]
per cui possa rivolgerti la parola? Belli erano i frutti che rubammo... ma non quelli bramò la mia anima miserabile, poiché ne avevo in
abbondanza di migliori. Eppure colsi proprio quelli al solo scopo di commettere un furto. »

(Confessioni, II, 6, 12)

"Crisi" cartaginese

Agostino e la madre Monica

All'inizio della crisi pregava, ma senza il sincero desiderio di essere ascoltato e, quando giunse a Cartagine, verso la fine
del 370, ogni situazione che gli capitava lo portava a deviare sempre di più dall'antico corso della sua vita: le molte
seduzioni della grande città che era ancora per metà pagana, la licenziosità degli altri studenti, i teatri, l'ebbrezza del suo
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successo letterario ed uno smisurato desiderio di essere sempre il primo, anche nel peccato. In questa città,
appassionandosi di filosofia, iniziò a studiare la maggior parte dei testi principali della cultura ellenistico-latina. Dotato di
un forte senso critico e animato da un desiderio bramoso di verità, passò gli anni della sua gioventù nella ricerca
insaziabile del senso della vita. Non molto tempo dopo essere giunto a Cartagine, però, Agostino fu costretto a
confessare a sua madre Monica di avere una relazione con una donna, che gli aveva dato un figlio, Adeodato (372), e
con la quale visse in concubinato per quindici anni. Si separarono nel 386, quando ella lo lasciò a Milano per recarsi in
Numidia con la promessa che sarebbe tornata. Agostino non ne riporta il nome in alcun testo.

Esistono pareri contrastanti nella valutazione di questa crisi. Alcuni, come Theodor Mommsen, la evidenziano, altri
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come Friedrich Loofs rimproverano a Mommsen questa conclusione o si dimostrano clementi verso Agostino, quando
affermano che, a quei tempi, la Chiesa permetteva il concubinato. Agostino mantenne comunque una certa dignità e, fin
dall'età di diciannove anni, mostrò un genuino desiderio di uscire da quella condotta dissoluta: nel 373, la lettura
dell'Hortensius di Marco Tullio Cicerone, oggi andato perduto, provocò un cambiamento di direzione nella sua vita. Si
imbevve dell'amore per la saggezza che Cicerone così eloquentemente encomiava e, da quel momento, Agostino
considerò la retorica soltanto una professione, da esercitare in qualità di insegnante. Il suo cuore si era completamente
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volto alla filosofia.

Approdo al Manicheismo
Nel 373 la sua ansia per la ricerca dell'assoluto lo fece approdare al Manicheismo, di cui, insieme al suo amico Onorato,
divenne uno dei massimi esponenti e divulgatori. Agostino stesso narra che fu attratto dalle promesse di una filosofia
libera dai vincoli della fede; dalle vanterie dei manichei che affermavano di aver scoperto delle contraddizioni nelle Sacre
Scritture; e, soprattutto, dalla speranza di trovare nella loro dottrina una spiegazione scientifica della natura e dei suoi
fenomeni più misteriosi. La mente indagatrice di Agostino era entusiasta per le scienze naturali ed i Manichei
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dichiaravano che la natura non aveva segreti per Fausto di Milevi, il loro dottore. Tuttavia, tale adesione non fu scevra
da dubbi che l'attanagliavano: essendo torturato dal problema dell'origine del male, Agostino, nell'attesa di risolverlo,
diede credito all'esistenza di un conflitto tra due principi. C'era, inoltre, un fascino molto potente nell'irresponsabilità
morale che risultava da una dottrina che negava la libertà ed attribuiva la commissione di crimini ad un principio esterno.
Una volta unitosi a questo gruppo, Agostino gli si dedicò con tutto l'ardore del suo carattere; ne lesse tutti i libri, adottò e
difese tutte le sue idee. Il suo attivissimo proselitismo convinse anche i suoi amici Alipio e Romaniano, i suoi mecenati di
Tagaste, gli amici di suo padre che stavano sostenendo le spese dei suoi studi.

Fu durante questo periodo manicheo che le facoltà letterarie di Agostino giunsero al loro pieno sviluppo, quando era
ancora un semplice studente di Cartagine.

Insegnamento
Al termine dei suoi studi sarebbe dovuto entrare nel forum litigiosum, ma preferì la carriera letteraria. Possidio narra che
tornò a Tagaste per "insegnare la grammatica". Il giovane professore incantò i suoi alunni, uno dei quali, Alipio, appena
più giovane del suo maestro, per non lasciarlo dopo averlo seguito tra i Manichei, fu in seguito battezzato insieme a lui
a Milano, per poi, probabilmente, diventare vescovo di Tagaste, la sua città natale.

Monica era profondamente dispiaciuta per l'eresia di Agostino e non l'avrebbe neanche ricevuto in casa o fatto sedere
alla sua tavola, se non fosse stata consigliata da un vescovo che dichiarò che "il figlio di così tante lacrime e preghiere
non poteva perire". Poco tempo dopo Agostino tornò a Cartagine, dove continuò ad insegnare retorica. I suoi talenti gli
furono anche di maggiore vantaggio su questo palcoscenico più grande e, attraverso un'infaticabile ricerca delle arti
liberali il suo intelletto raggiunse la piena maturità. Qui vinse un torneo di poesia ed il proconsole Vindiciano gli conferì
pubblicamente la corona agonistica.

Fu in questo momento di ebbrezza letteraria, quando aveva appena completato il suo primo lavoro sull'estetica (ora
perso) che Agostino cominciò a ripudiare il Manicheismo. Anche quando era nel suo massimo entusiasmo, tuttavia, gli
insegnamenti di Mani erano stati lontani dal calmare la sua inquietudine. Nonostante fosse stato accusato di essere
diventato un prete della "setta", non fu mai iniziato o enumerato fra gli "eletti", ma rimase un "uditore", il grado più basso
nella gerarchia. Egli stesso fornì le ragioni del suo disincanto: prima di tutto l'inclinazione della filosofia manichea -
"Distruggono tutto e non costruiscono nulla" -; poi la loro immoralità in contrasto con la loro apparente virtù; quindi la
debolezza delle loro argomentazioni nella controversia con i "cattolici", ai cui precetti basati sulle Scritture la loro unica
replica era: "Le Sacre Scritture sono state falsificate". Ma la ragione principale fu che tra loro non trovò la scienza a cui
anelava, ossia quella conoscenza della natura e delle sue leggi che gli avevano promesso. Quando li interrogava sui
movimenti delle stelle, nessuno di loro era in grado di rispondergli. "Attendi Fausto", gli dicevano, "lui ti spiegherà tutto".
Finalmente, nel 383, Fausto di Milevi, il celebre vescovo manicheo, giunse a Cartagine. Agostino gli fece visita e lo
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interrogò, ma scoprì nelle sue risposte solo volgare retorica, assolutamente estranea a qualsiasi
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cultura astronomica e matematica. L'incantesimo si ruppe e, anche se Agostino non abbandonò immediatamente il
gruppo, la sua mente iniziò a rifiutare le dottrine manichee.

Ambrogio, arcivescovo di Milano


Incontro con Ambrogio
Nel 383 Agostino, all'età di 29 anni, cedette all'irresistibile attrazione che l'Italia aveva per lui; a causa della riluttanza
della madre a separarsi da lui, dovette ricorrere ad un sotterfugio ed imbarcarsi con la copertura della notte. Non appena
giunto a Roma, dove continuò a frequentare la comunità manichea, si ammalò gravemente. Quando guarì aprì una
scuola di retorica ma, disgustato dai trucchi dei suoi alunni, che lo defraudavano spudoratamente delle loro tasse
d'istruzione, fece domanda per un posto vacante come professore a Milano. Il praefectus urbi Quinto Aurelio
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Simmaco l'aiutò ad ottenere il posto con l'intento di contrastare la fama del vescovo Ambrogio. Dopo aver fatto visita al
vescovo, però, si sentì attratto dai suoi discorsi e iniziò a seguire regolarmente le sue predicazioni.

Neoplatonismo e Cristianesimo
Agostino tuttavia fu travagliato da tre ulteriori anni di dubbi, durante i quali la sua mente passò attraverso varie fasi. In un
primo tempo si volse verso la filosofia degli Accademici, attratto dal loro scetticismopessimistico, deluso com'era dal
manicheismo e diffidando ormai di ogni forma di credenza religiosa. Lo tormentava più di tutti il problema del male: se Dio
esiste ed è onnipotente, perché non riesce ad annientarlo?

« Tali pensieri volgevo nel mio petto infelice, gravato da preoccupazioni tormentosissime, perché temevo la morte e non avevo trovato
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la verità. Pure rimaneva ferma stabilmente nel mio cuore la fede cattolica nel «Cristo tuo, Signore e Salvatore nostro» , una fede
ancora informe sotto molti aspetti, e fluttuante al di fuori della dottrina, eppure il mio animo non l'abbandonava. »

(Confessioni, VII,5)

Ma fu poi decisivo l'incontro con la filosofia neo-platonica, dalla quale rimase entusiasmato. Aveva a mala pena letto le
opere di Platonee di Plotino, quando gli si accese nuovamente la speranza di trovare la verità. Ancora una volta cominciò
a sognare che lui ed i suoi amici potessero condurre una vita dedicata alla ricerca di essa, una vita priva di tutte le
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aspirazioni volgari come onori, ricchezza, o piacere, e con il celibato come regola. Ma era solo un sogno; le sue
passioni lo rendevano ancora schiavo.

Dal dubbio alla Verità

Il passaggio attraverso la fase del dubbio non fu per Agostino un semplice incidente di percorso, ma fu determinante per fargli

trovare la via della fede. Secondo Agostino infatti, solo chi dubita è animato da un desiderio sincero di trovare la verità, a differenza

di colui che non si pone nessuna domanda. È la consapevolezza della propria ignoranza che spinge a indagare il mistero; eppure

non si cercherebbe la verità se non si fosse certi almeno inconsciamente della sua esistenza. Un tema, questo, di lontana

ascendenza socratica e platonica, ma Agostino lo inserisce nell'ottica cristiana del Dio-Persona: è Dio stesso che fa nascere

nell'uomo il desiderio della verità. Un Dioinconscio e nascosto che vuole farsi conoscere dall'uomo. Solo l'intervento della

Sua grazia permette alla ragioneumana di trascendere i suoi limiti, illuminandola. Ed è così che avviene l'intuizione: essa è
un comprendere, e al tempo stesso un credere, che non avrebbe senso dubitare se non ci fosse una Verità che appunto al dubbio
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si sottrae; e che non si cercherebbe Dio se non Lo si fosse già trovato.

Monica intanto, che aveva raggiunto suo figlio a Milano, lo convinse a fidanzarsi, ma la sua promessa sposa era troppo
giovane, ed anche se Agostino salutò la madre di Adeodato, il suo posto fu presto preso da un'altra. Dovette così
attraversare un ultimo periodo di lotta e di angoscia, durante il quale la sua volontà di convertirsi non riusciva a prevalere
del tutto sull'idea dei piaceri a cui avrebbe dovuto rinunciare. Finché, anche grazie ai preziosi contributi del vescovo
Ambrogio, intuì come la verità, tema centrale del suo itinerario filosofico, non sia un semplice fatto in sé da dominare,
quale egli la percepiva nei tribunali dell'impero romano, ma che da essa si viene dominati, perché è qualcosa di assoluto,
totale e universale. Comprendendo come la verità non sia un oggetto ma un Soggetto, cioè un'entità viva e Personale,
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proprio come viene presentata nei Vangeli , ebbe la certezza che Gesù fosse l'unica via per giungervi, e che alla Verità
l'uomo aderisce innanzitutto con il suo modo di vivere. Fu un colloquio con Simpliciano, futuro successore di Ambrogio,
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che raccontò ad Agostino la storia della conversione del celebre retore neo-platonico Vittorino, a preparare la strada
per la conversione. Questa sarebbe avvenuta all'età di 33 anni, in un giardino di Milano, dove si racconta che Agostino
sentì la voce di una bimba che canterellava tolle lege, ossia «prendi e leggi», invito che egli riferì alla Bibbia, che a quel
punto aprì a caso cadendo su un passaggio di Paolo di Tarso (settembre 386).
Alcuni giorni più tardi, Agostino, mentre era malato, sfruttando le vacanze autunnali, si dimise dal suo lavoro di
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insegnante, andò con Monica, Adeodato, ed i suoi amici a Cassisiacum, residenza di campagna di Verecondo. Lì si
dedicò alla ricerca della vera filosofia che, per lui, ormai era inseparabile dal Cristianesimo.

Dalla conversione all'episcopato (386-396)

Agostino riceve il battesimo dalle mani diAmbrogio

Agostino, gradualmente, conobbe la dottrina cristiana e, nella sua mente, iniziarono a fondersi la filosofia platonica ed
i dogmi rivelati. La solitudine di Cassiciacum gli permise di realizzare un sogno a lungo inseguito: nei suoi libri Contra
academicos, Agostino descrisse la serenità ideale di questa esistenza, animata solamente dalla passione per la verità.
Inoltre completò l'istruzione dei suoi giovani amici, ora con letture in comune, ora con conferenze filosofiche alle quali,
qualche volta, invitava anche Monica, ed i cui racconti, trascritti da un segretario, furono la base dei "Dialoghi". Licenzio
avrebbe ricordato in seguito nelle sueLettere le mattinate e le serate di filosofia durante le quali Agostino era solito
intraprendere disquisizioni che si elevavano molto al di sopra dei luoghi comuni. I temi favoriti di queste conferenze erano
la verità, la certezza (Contra academicos), la vera felicità nella filosofia (De beata vita), l'ordine provvidenziale del mondo
e la sua perfezione matematica (De Musica), il problema del male (De ordine) ed infine Dio e l'anima (Soliloquia, De
immortalitate animae).

Verso l'inizio della quaresima del 387, Agostino si recò a Milano dove, con Adeodato ed Alipio, prese posto fra
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i competentes per essere battezzato da Ambrogio nella Veglia pasquale. Fu a questo punto che Agostino, Alipio,
ed Evodio decisero di ritirarsi nella solitudine dell'Africa. Agostino rimase a Milano fino all'autunno, continuando i suoi
lavori (De immortalitate animae e De musica). Poi, mentre era in procinto di imbarcarsi ad Ostia, Monica morì. Agostino,
allora, rimase per molti mesi a Roma occupandosi principalmente della confutazione del Manicheismo. Tornò
in Africa solo dopo la morte dell'usurpatoreMagno Massimo (agosto 388) e, dopo un breve soggiorno a Cartagine, ritornò
a Tagaste.

Subito dopo il suo arrivo, decise di iniziare a seguire il suo ideale di vita perfetta, dedicata a quel Dio che era giunto ad
amare in età adulta:

« Tardi ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Sì, perché tu eri dentro di me ed io fuori: lì ti cercavo.
Deforme, mi gettavo sulle belle sembianze delle tue creature. Eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue
creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la
mia cecità; diffondesti la tua fragranza, respirai ed ora anelo verso di te; ti gustai ed ora ho fame e sete di te; mi toccasti, e arsi dal
desiderio della tua pace. »

(Confessioni X, 27.38)

Cominciò vendendo tutti i suoi beni e dando gli incassi ai poveri. Poi lui ed i suoi amici si ritirarono nel suo appezzamento
di terreno, che già era stato alienato, per condurre una vita comune in povertà, in preghiera, e nello studio della
letteratura sacra. Il libro De diversis quaestionibus octoginta tribus è il frutto delle riunioni tenute durante questo ritiro, nel
quale scrisse anche il De Genesi contra Manicheos, il De magistro ed il De vera religione.

Agostino non pensava di diventare sacerdote e, per paura dell'episcopato, scappava anche dalle città nelle quali era
necessaria un'elezione. Un giorno, essendo stato chiamato ad Ippona da un amico, stava pregando in una chiesa quando
un gruppo di persone improvvisamente lo circondò. Costoro lo consolarono ed implorarono Valerio, il vescovo, di elevarlo
al sacerdozio; nonostante i suoi timori, Agostino fu ordinato nel 391. Il novello sacerdote considerò la sua ordinazione
come una ragione in più per riprendere la vita religiosa a Tagaste e Valerio approvò così entusiasticamente che gli mise a
disposizione delle proprietà della chiesa, autorizzandolo a fondare un monastero.

Il suo ministero sacerdotale durato cinque anni fu molto fruttifero: Valerio l'autorizzò a predicare nonostante l'uso africano
che riservava quel ministero ai soli vescovi; combatté l'eresia, specialmente quella manichea ed il suo successo fu
notevole. Fortunato, uno dei loro grandi dottori, che Agostino aveva sfidato in pubblico, fu così umiliato dalla sconfitta che
fuggì da Ippona. Egli abolì anche l'uso di tenere banchetti nelle cappelle dei martiri. L'8 ottobre 393 prese parte
al Concilio Plenario d'Africa presieduto da Aurelio, vescovo di Cartagine, dove, dietro richiesta dei vescovi, fu obbligato a
comporre una dissertazione che, nella sua forma completa, in seguito, divenne il trattatoDe fide et symbolo.

Vescovo di Ippona (395-430)

Agostino in un affresco di Sandro Botticelli

Indebolito dall'età ormai avanzata, Valerio, vescovo di Ippona, ottenne da Aurelio, Primate d'Africa, che Agostino fosse
associato alla sua sede in qualità di coadiutore. Pertanto Agostino si dovette rassegnare alla consacrazione dalle mani di
Megalio, Primate di Numidia. Aveva quarantadue anni, ed avrebbe occupato la sede di Ippona per i successivi 34. Il
nuovo vescovo comprese bene come combinare l'esercizio dei suoi doveri pastorali con l'austerità della vita religiosa e,
sebbene avesse lasciato il suo monastero, la sua residenza episcopale divenne un monastero dove visse una vita di
comunità con il suo clero, che osservava una religiosa povertà. La casa episcopale di Ippona divenne un vero vivaio per i
nuovi fondatori di monasteri che presto si diffusero in tutta l'Africa e per i vescovi che occupavano le sedi vicine.
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Possidio elencò dieci amici e discepoli del santo che furono elevati all'episcopato. In questo modo Agostino si
guadagnò il titolo di patriarca dei religiosi e rinnovatore della vita ecclesiastica in Africa.

Le sue attività dottrinali, l'influenza delle quali era destinata a durare molto a lungo, furono molteplici: predicava
frequentemente, a volte per cinque giorni consecutivi; scrisse lettere che trasmisero a tutto il mondo conosciuto la sua
soluzione per i problemi dell'epoca; lasciò la sua impronta su tutti i concili africani ai quali partecipò, per esempio quelli di
Cartagine del398, 401, 407, 419 e di Milevi del 416 e 418; infine, lottò infaticabilmente contro tutte le eresie.

Controversia manichea ed il "problema del male"


Dopo che Agostino divenne vescovo, lo zelo che, fin dai tempi del suo battesimo, manifestava nel portare i suoi ex
correligionari all'interno della Chiesa, assunse una forma più paterna senza però perdere il suo antico ardore. Fra gli
eventi più memorabili che avvennero durante questa controversia è da ricordare la grande vittoria del 404 su Felice, un
"eletto" e grande dottore manicheo. Questi stava predicando ad Ippona e Agostino lo invitò ad una disputa pubblica, al
termine della quale Felice si dichiarò vinto, si convertì e, insieme ad Agostino, sottoscrisse gli atti della disputa.
[15]
Nelle sue opere Agostino confutò successivamente: Mani (397), Fausto di Milevi (400), Secondino (405) e (intorno
al 415) i Priscillianisti, di cui gli aveva parlato Paolo Orosio. Queste opere contengono le sue opinioni sul "problema del
male", opinioni basate sull'ottimismo derivante dall'idea che ogni opera di Dio è buona e che l'unica fonte del male è la
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libertà delle creature. Agostino difese il libero arbitrio, anche nell'uomo, con tale ardore che i suoi lavori contro i
Manichei sono una ricca fonte di argomentazioni per questo problema.

Agostino operò una prima distinzione fra il male fisico del corpo e il male morale dell'anima, legato al peccato. In questo
modo superò una convinzione diffusa nel periodo precedente, che concepiva la malattia e il dolore come una
conseguenza e una sorta di punizione divina delle azioni umane. Agostino escluse questa possibilità poiché "Dio è
Amore", ed un'eventuale espiazione dei peccati si colloca in una vita ultraterrena. Dolore, fame, malattia e peccato hanno
però la stessa origine metafisica, ontologica, sono mancanza di essere, nell'anima e nel corpo, così come teorizzava la
filosofia classica. Il male non è concepibile da parte di Dio, mentre lo è da parte dell'uomo, che può attuarlo poiché è
creato libero, "a immagine e somiglianza di Dio", come afferma la Genesi. In questo senso l'uomo può fare il male,
mentre Dio no. Ciò non significa che l'uomo è più libero, o che la divinità cristiana non è onnipotente, ma che l'uomo,
errando, può commettere atti che lo rendono imperfetto e infelice. Non commettere il male non è un limite, ma un segno
di perfezione.

Agostino, come Socrate, sostenne l'intellettualismo etico, ossia che il male si manifesta per ignoranza, ed esclude
nuovamente il male dalla natura divina perché questa è onnisciente. In altre parole, Dio non può fare il male per un
motivo ontologico, perché il male è mancanza di essere, mentre lui è "Essenza", che non ha nulla fuori di sé, e per uno
gnoseologico-etico, per il quale chi ha la conoscenza ed è veramente libero non commette atti legati all'ignoranza del
proprio bene, e che negano la propria libertà. L'uomo è libero al punto di negare la propria libertà innata, compiendo il
male; la fonte dell'essere e della conoscenza sono la medesima, e da entrambe deriva l'esclusione di una deviazione
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etica in un essere perfetto.

La controversia donatista e la teoria della Chiesa

Ritratto dipinto da Filippino Lippi


Lo scisma donatista fu l'ultimo episodio delle controversie montaniste e novazianiste che agitavano la Chiesa dal II
secolo. Mentre l'oriente stava investigando sotto vari aspetti il problema divino e cristologico della "Parola", l'occidente,
indubbiamente a causa della sua vocazione più pratica, si poneva il problema morale del peccato in tutte le sue forme. Il
problema principale era la santità della Chiesa; il peccatore avrebbe potuto essere perdonato e rimanere al suo interno?
In Africa la questione riguardava in particolar modo la santità della gerarchia. I vescovi di Numidia che, nel 312, avevano
rifiutato di accettare come valida la consacrazione di Ceciliano alla sede di Cartagine da parte di un traditore, avevano
dato il via ad uno scisma che aveva posto queste gravi questioni: i poteri gerarchici dipendono dalla dignità morale del
presbitero? Come può l'indegnità dei suoi ministri essere compatibile con la santità della Chiesa?

Essendo stato identificato con un movimento politico, forse con un movimento nazionale contro la dominazione romana,
al tempo dell'arrivo di Agostino ad Ippona, lo scisma aveva raggiunto proporzioni immense. Comunque, al suo interno è
facile scoprire una tendenza di vendetta antisociale che gli imperatori dovevano combattere con leggi severe. La setta
nota come "Soldati di Cristo", e chiamata dai cattolici "Circoncellioni" ("briganti", "vagabondi"), associata agli scismatici, fu
caratterizzata da fanatica distruttività, causando una severa legislazione da parte degli imperatori.

La storia delle lotte di Agostino con i Donatisti è anche quella del suo cambio di opinione sull'utilizzo di misure rigide
contro gli eretici. Anche la Chiesa d'Africa, dei cui concili era stato l'anima, lo seguì in questo cambio. Agostino,
inizialmente, tentò di ritrovare l'unità attraverso conferenze e controversie amichevoli. Nei concili africani ispirò varie
misure conciliatrici, spedì ambasciatori presso i Donatisti per invitarli a rientrare nella Chiesa o, almeno, esortarli ad
inviare deputati ad una conferenza (403). I Donatisti accolsero questi inviti dapprima col silenzio, poi con insulti ed infine
con tale violenza che Possidio, vescovo di Calama e amico di Agostino, sfuggì alla morte per puro caso, il vescovo
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di Bagaïa fu lasciato ricoperto di orribili ferite e la vita del vescovo di Ippona subì vari attentati. Questa violenza dei
Circoncellioni richiese una dura repressione, ed Agostino, apprendendo delle molte conversioni che ne seguirono, da
[29]
allora approvò l'impiego di leggi rigide, pur non volendo mai che l'eresia fosse punibile con la morte.

Nonostante ciò, i vescovi erano ancora favorevoli ad una conferenza con gli scismatici e, nel 410, un editto promulgato
dall'imperatoreOnorio pose fine al rifiuto dei Donatisti. Nel giugno 411, alla presenza di 286 vescovi cattolici e 279 vescovi
donatisti, fu organizzato a Cartagine un solenne Concilio. I portavoce dei Donatisti erano Petiliano di
Costantina, Primiano di Cartagine ed Emerito di Cesarea, gli oratori cattolici Aurelio di Cartagine ed Agostino. Alla
questione storica in discussione, il vescovo di Ippona provò l'innocenza di Ceciliano e del suo consacratore Felice,
sostenendo, nel dibattito dogmatico, la tesi cattolica che la Chiesa, finché esiste sulla terra, può, senza perdere la sua
santità, tollerare i peccatori al suo interno nell'interesse della loro conversione. A nome dell'imperatore il
proconsole Marcellino sanzionò la vittoria dei cattolici su tutti i punti in discussione.

Controversia pelagiana

La questione della volontà

La disputa con Pelagio riguardava essenzialmente la natura della volontà. Contro di lui Agostino sosteneva che la volontà

umana è stata irrimediabilmente corrotta dal peccato originale, che ha inficiato per sempre la nostra libertà. Quest'ultima

consiste nella capacità, oramai andata perduta, di dare realizzazione ai nostri propositi, e va distinta perciò dal libero arbitrio,

che è invece la facoltà razionale di scegliere, in linea teorica, tra il bene e il male. L'uomo, che è dotato di libero arbitrio,

vorrebbe per natura tendere al bene, ma è incapace di perseguirlo, perché nel momento concreto della scelta la sua volontà si
[30] [31]
ritrova dilaniata: una condizione di duplicità che Agostino esemplifica nell'espressione «vorrei volere». Solo Dio con la

suagrazia può redimere l'uomo, non solo illuminando i suoi eletti su cosa è bene, ma anche infondendo loro la volontà effettiva

di perseguirlo, volontà che altrimenti sarebbe facile preda dell'incostanza e delle tentazioni malvagie. Solo in questo modo

l'uomo potrà ritrovare la sua libertà.

La fine della controversia donatista coincise pressappoco con l'inizio di una nuova disputa teologica che impegnò
Agostino fino alla sua morte. L'Africa, dove Pelagio ed il suo discepolo Celestio si erano rifugiati dopo il sacco di Roma da
parte di Alarico, era diventato il principale centro di diffusione del movimento pelagiano. Già nel 412 un concilio tenuto a
Cartagine aveva condannato i Pelagiani per le loro opinioni sulla dottrina del peccato originale, ma, grazie all'attivismo di
Agostino, la condanna dei Pelagiani, che avevano avuto il sopravvento in un sinodo tenuto aDiospolis in Palestina, fu
reiterata dai successivi concili tenuti a Cartagine e a Milevi, e confermata da papa Innocenzo I nel 417. Un secondo
periodo di attivismo pelagiano si sviluppò a Roma; papa Zosimofu inizialmente convinto da Celestio ma, dopo essere
stato convinto da Agostino, nel 418 pronunciò una solenne condanna contro i Pelagiani. In seguito la disputa fu
proseguita per iscritto contro Giuliano di Eclano, che aveva assunto la guida del gruppo ed attaccava violentemente
Agostino.

Verso il 426 nacque il movimento dei Semipelagiani, i cui primi membri furono i monaci di Hadrumetum, in Africa, seguiti
da quelli di Marsigliaguidati da Giovanni Cassiano, abate di San Vittore. Essi cercarono di mediare tra Agostino e Pelagio
sostenendo che la grazia dovesse essere concessa solo a coloro che la meritano e negata agli altri. Informato delle loro
opinioni da Prospero d'Aquitania, il santo scrisse il De praedestinatione sanctorum, nel quale spiegava che qualsiasi
desiderio di salvezza era dovuto alla "Grazia di Dio" che, perciò, controllava completamente la nostra predestinazione.

Controversia ariana e ultimi anni[modifica | modifica sorgente]

Tomba nella Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia.

Nel 426, all'età di 72 anni, desiderando risparmiare alla sua città il tumulto di un'elezione episcopale dopo la sua morte,
Agostino spinse sia il clero che il popolo ad acclamare come suo ausiliare e successore il diacono Eraclio.

In quegli anni l'Africa fu sconvolta dalla rivolta del comes Bonifacio (427); i Visigoti inviati dall'imperatrice Galla
Placidia per contrastare Bonifacio ed i Vandali che questi aveva chiamato in suo aiuto erano tutti Ariani e, al seguito delle
truppe imperiali, entrò ad Ippona Massimino, un vescovo ariano. Agostino difese la propria fede in una conferenza
pubblica (428) e con vari scritti. Essendo profondamente addolorato per la devastazione dell'Africa, lavorò per una
riconciliazione tra il comesBonifacio e l'imperatrice; la pace fu ristabilita, ma non con Genserico, il re vandalo. Bonifacio,
cacciato da Cartagine, cercò rifugio ad Ippona, dove molti vescovi si erano già rifugiati per cercare protezione in questa
città ben fortificata, ma i Vandali l'assediarono per ben diciotto mesi. Cercando di controllare la sua angoscia, Agostino
continuò a confutare Giuliano di Eclano, ma, all'inizio dell'assedio, fu colpito da una malattia fatale e, dopo tre mesi, il 28
agosto 430, morì all'età di 76 anni.

Nel 718 il suo feretro, venerato per secoli a Cagliari dove era stato portato da esuli fuggiti all'invasione vandala del
[32] [33]
Nordafrica, fu fatto trasportare dalla Sardegna a Pavia, ad opera del re longobardo Liutprando.
Da allora le sue spoglie sono custodite nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro.
Le opere

Agostino in un dipinto di Simone Martini

Agostino fu un autore molto prolifico, notevole per la varietà dei soggetti che produsse, come scritti autobiografici,
filosofici, apologetici, dogmatici, polemici, morali, esegetici, raccolte di lettere, di sermoni e di opere in poesia (scritte
in metrica non classica, bensì accentuativa, per facilitare la memorizzazione da parte delle persone incolte).
Bardenhewer ne lodava la straordinaria varietà di espressione ed il dono di descrivere gli avvenimenti interiori, di
dipingere i vari stati dell'anima e gli avvenimenti del mondo spirituale. In generale, il suo stile è nobile e casto; ma, diceva
lo stesso autore, "nei suoi sermoni e negli altri scritti destinati al popolo, intenzionalmente, il tono scendeva ad un livello
popolare".

Autobiografia e corrispondenza
Le Confessioni, scritte intorno al 400, sono la storia della sua maturazione religiosa. Il nocciolo del pensiero
agostiniano presente nelle Confessioni sta nel concetto che l'uomo è incapace di orientarsi da solo:
esclusivamente con l'illuminazione di Dio, a cui deve obbedire in ogni circostanza, l'uomo riuscirà a trovare
l'orientamento nella sua vita. La parola "confessioni" viene intesa in senso biblico (confiteri), non come
ammissione di colpa o racconto, ma come preghiera di un'anima che ammira l'azione di Dio nel proprio interno.

 Le Retractationes, o "Ritrattazioni" (composte verso la fine della sua vita, tra il 426 e il 428), sono una revisione, un
riesame dei propri lavori ripercorsi in ordine cronologico, spiegando l'occasione della loro genesi e l'idea dominante di
ognuno. Rappresentano una guida di inestimabile valore per comprendere l'evoluzione del pensiero di Agostino.
 Le Epistolae, o "Lettere", che nella raccolta benedettina ammontano a 270 (53 dei corrispondenti di Agostino), sono
utili per la conoscenza della sua vita, della sua influenza e della sua dottrina.
Scritti filosofici
Queste opere, in gran parte composte nella villa di Cassisiacum, dalla conversione al battesimo (388-387), continuano
l'autobiografia di Agostino iniziando il lettore alle ricerche ed alle esitazioni platoniche della sua mente. Sono saggi
letterari, la cui semplicità rappresenta il culmine dell'arte e dell'eleganza. In nessun'altra opera lo stile di Agostino è così
castigato e la sua lingua così pura. La loro forma dialogica dimostra che erano di ispirazione platonica e ciceroniana. le
principali sono:
 Contra Academicos o "Contro gli Accademici", l'opera filosofica più importante;
 De Beatâ Vitâ o "La Vita Beata";
 De Ordine o "L'Ordine";
 Soliloquia o "Soliloqui", in due libri;
 De Immortalitate animae o "L'immortalità dell'Anima";
 De Magistro o "Il Maestro", un dialogo tra Agostino e suo figlio Adeodato;
 De Musica o "La Musica", in sei libri.
Scritti apologetici
Le sue opere apologetiche rendono Agostino il grande teorico della fede, e delle sue relazioni con la ragione. «Lui è il
primo dei Padri» - affermava Adolf von Harnack (Dogmengeschichte, III 97) - «che sentì il bisogno di costringere la sua
fede a ragionare».

 La città di Dio (De civitate Dei contra Paganos, "La città di Dio contro i Pagani"), in 22 libri, fu iniziato nel 413 e
terminato nel 426; esso rappresentava la risposta di Agostino ai pagani che attribuivano la caduta di Roma (410)
all'abolizione del Paganesimo. Considerando il problema della Divina Provvidenza applicato all'Impero romano, egli
allargò l'orizzonte e creò la prima filosofia della storia, abbracciando con uno sguardo i destini del mondo raggruppati
intorno alla religione cristiana. La città di Dio è considerata il più importante lavoro del vescovo di Ippona. Mentre
le Confessioni sono teologia vissuta nell'anima e rappresentano la storia dell'azione di Dio sugli individui, La città di
Dio è teologia incastonata nella storia dell'umanità che spiega l'azione di Dio nel mondo; l'opera costituisce una vera
e propria apologia del Cristianesimo messo a confronto con la civiltà pagana, oltre a fornire riflessioni sulla
"grandezza e l'immortalità dell'anima". In essa Agostino cerca di dimostrare che la decadenza della cosiddetta città
degli uomini (contrapposta a quella di Dio e da lui identificata proprio con l'Impero romano d'Occidente) non poteva
essere imputata in alcun modo alla religione cristiana, essendo il frutto di un processo
storico teleologicamente preordinato da Dio.

 De vera religione o "La vera religione" fu composto a Tagaste tra il 389 ed il 391;
 De utilitate credendi o "L'utilità di credere", del 391;
 De fide rerum quae non videntur o "La fede nelle cose che non si vedono", del 400;
 Lettera 120 a Consenzio.
Controversie[modifica | modifica sorgente]
Contro i Manichei[modifica | modifica sorgente]

 De moribus Ecclesiae catholicae et de moribus Manichaeorum o " I costumi della Chiesa e i costumi dei Manichei",
scritto a Roma nel 368;
 "De duabus animabus contra Manichaeos" o "Le due anime contro i Manichei", scritto prima del 392;
 Acta seu disputatio contra Fortunatum manichaeum o "Atti della disputa contro il manicheo Fortunato", del 392;
 Contra Felicem manichaeum o "Contro il manicheo Felice", del 404
 De libero arbitrio o "Il libero arbitrio", opera importante per la trattazione dell'origine del male;
 Contra Adimantum manichaei discipulum o "Contro Adimanto, discepolo manicheo";
 Contra epistolam Manichaei quam vocant Fundamenti o "Contro la lettera di Mani che chiamano della Fondazione";
 Contra Faustum manichaeum o "Contro il manicheo Fausto";
 Contra Secundinum manichaeum o "Contro il manicheo Secondino";
 De Genesi contra Manichaeos o "La Genesi contro i Manichei";
 De natura boni contra Manichaeos o "La natura del bene contro i Manichei";
Contro i Donatisti[modifica | modifica sorgente]

 Psalmus contra partem Donati o "Un Salmo contro una parte di Donato", scritto intorno al 395, è semplicemente un
canto ritmato per uso popolare, il più antico esempio del genere;
 Contra epistolam Parmeniani o "Contro la lettera di Parmeniano", scritto nel 400;
 De baptismo contra Donatistas o "Il battesimo contro i Donatisti", scritto intorno al 400, una delle opere più importanti
scritte durante questa controversia;
 Contra litteras Petiliani o "Contro le lettere di Petiliano";
 Contra Cresconium grammaticum Donatistam o "Contro il grammatico donatista Cresconio";
 Breviculus collationis cum Donatistas o "Sommario della conferenza coi Donatisti";
 Contra Gaudentium Donatistarum episcopum o "Contro Gaudenzio vescovo dei Donatisti";
 De gestis cum Emerito Donatistarum episcopo o "Gli atti del confronto con Emerito vescovo dei Donatisti";
 Epistola ad Catholicos contra Donatistas o "Lettera ai Cattolici contro i Donatisti";
 Post collationem ad Donatistas o "Ai Donatisti dopo la conferenza".
 De unico baptismo contra Petilianum o "Il battesimo unico contro Petiliano";
 Un buon numero di epistolae sull'argomento.
Contro i Pelagiani
De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvolorum o "Il castigo e il perdono dei peccati e il
battesimo dei piccoli", scritto nel 412, tratta del merito e del perdono;

 De Spiritu et litterâ o "Lo Spirito e la lettera", scritto nel 412;


 De perfectione iustitiae hominis o "La perfezione della giustizia dell'uomo", scritto nel 415 ed importante per la
comprensione del pensiero pelagiano;
 De gestis Pelagii o "Le gesta di Pelagio", scritto nel 417, narra la storia del Concilio di Diospolis, di cui riproduce gli
atti;
 De gratia Christi et de peccato originale contra Pelagium o "La grazia di Cristo ed il peccato originale contro Pelagio",
scritto nel418;
 De nuptiis et concupiscentiâ o "Le nozze e la concupiscenza", scritto nel 419;
 Contra duas epistolas Pelagianorum o "Contro due lettere dei Pelagiani";
 De natura et gratia contra Pelagium o "La natura e la grazia contro Pelagio";
 Contra Iulianum haeresis pelagianae o "Contro Giuliano dell'eresia pelagiana", ultimo della serie, interrotta dalla
morte del santo.
Contro i Semipelagiani
De correptione et gratiaâ o "La correzione e la grazia", scritto nel 427;

 De praedestinatione sanctorum o "La predestinazione dei santi", scritto nel 428;


 De dono perseverantiae o "Il dono della perseveranza", scritto nel 429.
Contro gli Ariani

 Contra sermonem Arianorum o "Contro il sermone degli Ariani", del 418;


 Collatio cum Maximino Arianorum episcopo o "Conferenza con Massimino vescovo degli Ariani";
 Contra Maximinum haereticum episcopum Arianorum o "Contro Massimino vescovo eretico degli Ariani".
Altre eresie
De haeresibus o "Le eresie";

 Contra Priscillanistas et Origenistas o "Contro i Priscillanisti e gli Origenisti".


Scritti esegetici
I più notevoli dei suoi lavori biblici illustrano o una teoria dell'esegesi (generalmente approvata) che si diletta nel trovare
interpretazioni mistiche ed allegoriche, o lo stile della predicazione che si fonda su quei punti di vista. La sua produzione
strettamente esegetica è ben lontana, tuttavia, dall'eguagliare il valore scientifico di quella di Girolamo: la sua conoscenza
delle lingue bibliche era insufficiente. Comprendeva il greco con qualche difficoltà e, per quanto riguarda l'ebraico, tutto
ciò che si può desumere dagli studi di Schanz e Rottmanner è che aveva familiarità con il punico, una lingua simile
all'ebraico. Inoltre, le due grandi qualità del suo genio, la prodigiosa sottigliezza e l'ardente sensibilità, lo portarono a
destreggiarsi tra interpretazioni che a volte erano più ingegnose che realistiche. Tra le sue opere vanno ricordate:

 De doctrina christiana o "La dottrina cristiana", iniziato nel 397 e terminato nel 426, fu il primo vero trattato esegetico
della storia, poiché Girolamo scrisse piuttosto come controversialista; esso si occupa della predicazione,
dell'interpretazione della Bibbia e dei rapporti fra retorica classica e retorica cristiana.
 De Genesi ad litteram o "La Genesi alla lettera", composto tra il 401 ed il 415;
 Enarrationes in Psalmos o "Commenti ai Salmi", un capolavoro di eloquenza popolare;
 De sermone Domini in monte o "Il discorso del Signore sulla montagna", scritto durante il suo ministero sacerdotale;
 De consensu evangelistarum o "Il consenso degli evangelisti", scritto nel 400;
 In evangelium Ioannis o "Nel vangelo di Giovanni", scritto nel 416 e, generalmente, considerato una delle opere
migliori di Agostino;
 Expositio Epistolae ad Galatos o "Esposizione della Lettera ai Galati";
 Annotationes in Iob o "Annotazioni in Giobbe";
 De Genesi ad litteram imperfectus o "La Genesi alla lettera incompiuta";
 Epistolae ad Romanos inchoata expositio o "Inizio dell'esposizione della Lettera ai Romani";
 Expositio quarundam propositionum ex Epistola ad Romanos o "Esposizione di alcune frasi dalla Lettera ai Romani";
 In Epistolam Ioannis ad Parthos o "Nella Lettera di Giovanni ai Parti";
 Locutiones in Heptateuchum o "Locuzioni nell'Ettateuco".
De doctrina cristiana
Da quando Agostino fu ordinato sacerdote cominciò seriamente a interessarsi all'esegesi delle Sacre Scritture.
Quest'opera, redatta in quattro libri, raccoglie la sua esperienza di commentatore biblico: i primi tre libri trattano della
comprensione dei contenuti (res) e delle parole (signa), il quarto discorre della corretta esposizione dei contenuti
(proferre).

Sant'Agostino nello studio (dipinto diVittore Carpaccio).

Il commentatore dei testi sacri, in questo caso della Bibbia, deve ponderare bene le proprie ipotesi e obbligatoriamente
[34]
valutarle alla luce della gemina caritas o «duplice carità» cristiana, presente in ogni parte della Sacra Scrittura: questo
duplice amore, quello per Dio e quello per il prossimo, ne rappresenta il valore portante. Il lettore deve inoltre prestare
molta attenzione alla comprensione delle parole che possono risultare sconosciute, spiegabili attraverso il confronto con
le lingue greco-ebraiche, oppure quelle ambigue, che possono essere veramente comprese ricorrendo al testo originale o
in alternativa consultando altre traduzioni a disposizione. Agostino dimostra qui uno spirito filologico di sensibilità molto
elevata, ed elabora concetti di scientificità basilari per l'approccio alla comprensione di un testo.

Per quanto riguarda il proferre, l'autore ammette, a differenza di altri autori cristiani, l'uso della retorica classica purché
miri alla creazione di una nuova retorica cristiana, che per essere tale deve essere esercitata da uomini meritevoli e
integerrimi, ricordando il pensiero diCatone (un buon cittadino è un ottimo oratore).

All'interno del componimento si trovano molte riflessioni interessanti, come la differenza trafrui ("godere") e uti ("usare"),
basata su una concezione che vede l'uomo bearsi di tutto ciò che provoca diletto ed usa ogni mezzo che è necessario
[35]
per raggiungere tale piacere. Nel sistema del godimento creato da Agostino, Dio naturalmente occupa il posto
massimo, dunque l'uomo per raggiungere tale letizia deve impiegare gli strumenti che possiede, ossia l'anima e il corpo.
L'altra riflessione che emerge è di carattere linguistico-culturale e consiste nella differenza tra res (la cosa in sé)
e signum (ciò che rimanda ad altro). La parola è sicuramente un segno, afferma Agostino, pertanto la teoria platonica di
un linguaggio naturale viene sostituita da quella di un linguaggio convenzionale, ossia frutto di un accordo comune tra gli
uomini. Il filosofo chiude l'opera esprimendo la sua idea di nuova retorica cristiana: un'opera non dev'essere giudicata
attraverso canoni prefissati (cioè quelli della retorica classica) ma, più propriamente, in base a ciò che essa realmente
contiene.

Opere dogmatiche e morali


De Trinitate o "La Trinità", in 15 libri, scritto dal 400 al 416, è l'opera più complessa e profonda di Agostino. Gli
ultimi libri sulle analogie che il mistero della Trinità ha con la nostra anima sono molto discussi;

 Enchiridion de fide, spe et charitate o "Manuale sulla fede, sulla speranza e sull'amore", scritto nel 421 su richiesta di
un pio romano, Laurenzio, è una sintesi della teologia di Agostino, ridotta alle tre virtù teologiche. Padre Faure ne ha
elaborato un dotto commentario, mentre Harnack un'analisi particolareggiata (Storia dei dogmi, III, 205 221);
 De diversis quaestionibus ad Simplicianum o "Diverse domande a Simpliciano", scritto nel 397, dove Agostino torna
sul tema della grazia salvatrice, ritenuta un dono gratuito che non dipende da meriti ma esclusivamente «da Dio che
[36]
usa misericordia», secondo una prospettiva echeggiante la predicazione di Paolo;
 Quaestiones Evangeliorum o "Domande sui Vangeli";
 Quaestiones in Heptateuchum o "Domande sull'Ettateuco";
 Quaestiones septemdecim in Evangelium secundum Matthaeum o "Diciassette domande sul Vangelo secondo
Matteo";
 De diversis quaestionibus octoginta tribus o "Ottantatré diverse questioni";
 De octo Dulcitii quaestionibus o "Le otto domande di Dulcizio";
 De octo quaestionibus ex Veteri Testamento o "Otto domande sull'Antico Testamento";
 De bono coniugali o "Il bene del matrimonio";
 De bono viduitatis o "Il bene della vedovanza";
 De coniugiis adulterinis o "Le unioni adulterine";
 De continentia o "La continenza";
 De cura pro mortuis gerenda o "La cura che dev'essere riservata ai morti";
 De mendacio o "La menzogna";
 De patientia o "La pazienza";
 De quantitate animae o "La grandezza dell'anima";
 De utilitate ieiunii o "L'utilità del digiuno";
 De sancta virginitate o "La santa verginità".
Pastorali e predicazioni
Oltre alle omelie sulle Scritture, i Benedettini hanno raccolto 363 sermoni di provata autenticità; la loro brevità suggerisce
che sono stenografici, spesso revisionati da Agostino stesso. Se il Dottore che era in lui predominava sull'oratore, aveva
meno colore, meno opulenza, meno attualità e meno fascino orientale di Giovanni Crisostomo, ma, d'altra parte,
dimostrava una logica più nervosa, paragoni più arditi, maggiore elevazione e maggiore profondità di pensiero e, a volte,
nei suoi scoppi d'emozione e nelle sue cadute nella forma dialogica, raggiungeva il potere irresistibile dell'oratore greco.
Tra queste opere:

 De catechizandis rudibus o "I novelli catechizzandi", scritto nel 400, in cui viene spiegata la teoria della predicazione
e dell'istruzione religiosa delle persone;
 De disciplina christiana o "La disciplina cristiana", in 4 libri;
 Sermo ad Caesariensis Ecclesiae plebem o "Discorso al popolo della Chiesa di Cesarea";
 Sermones o "Sermoni", caratterizzati dalla chiarezza d'esposizione e dall'efficacia della nuova retorica teorizzata
nel De doctrina christiana.
Altre opere

 Adversus Judaeos o "Contro i Giudei", in quest'opera Agostino attacca i giudei, accusati di avversare la nuova fede
cristiana; le disgrazie patite dai giudei attraverso la diaspora e le loro sciagure rappresentavano, per Agostino, la
testimonianza della «validità della religione cristiana e dunque la giustezza della nuova interpretazione delle Sacre
Scritture». Agostino avanzava verso i giudei l'accusa gravissima di aver crocifisso ed ucciso Cristo: «... i giudei lo
tengono prigioniero, i giudei lo insultano, i giudei lo legano, lo incoronano di spine, lo disonorano con gli sputi, lo
flagellano, lo coprono di ingiurie, lo appendono alla Croce, lo trapassano con una lancia, alla fine lo seppelliscono».
In quest'opera Agostino tracciava anche una netta divisione tra cristiani ed ebrei giudei: una cesura dettata
dall'esigenza dello Spirito con riferimento alla comune discendenza da Abramo. Per i giudei era un'origine carnale,
non originata dalla Fede in Dio, come è invece per i cristiani: «È la stirpe dei giudei che trae origine dalla sua carne, -
scrive Agostino - non la stirpe dei cristiani: noi discendiamo da altre genti e tuttavia imitando la sua virtù, siamo
divenuti figli di Abramo. [...] Noi siamo dunque fatti discendenti di Abramo per grazia di Dio. Dio non fece suoi eredi i
discendenti carnali di Abramo. Anzi questi li ha diseredati per adottare quegli altri».
 Contra adversarium Legis et Prophetarum o "Contro l'avversario della Legge e dei Profeti";
 Contra mendacium o "Contro la menzogna";
 De agone Christiano" o "Il combattimento cristiano";
 De anima et eius origine contra Vincentium Victorem o "L'anima e la sua origine contro Vincenzo Vittore";
 De divinatione demonum o "La divinazione dei demoni";
 De excidio urbis Romae o "La rovina della città di Roma";
 De fide et operibus o "La fede e le opere";
 De fide et symbolo o "La fede e il simbolo";
 De Gratia et libero arbitrio o "La Grazia ed il libero arbitrio";
 De opera monachorum o "L'opera dei monaci";
 De Scriptura Sacra speculum o "Specchio della Sacra Scrittura";
 De symbolo ad Catechumenos o "Il simbolo ai Catecumeni";
 Regula ad servos Dei o "Regola ai servi di Dio".
Culto
Agostino è venerato come santo dalla Chiesa cristiana da tempo immemorabile.
[37]
Nel 1298 fu annoverato fra i primi quattro dottori della Chiesa.

In occasione del XV centenario della morte papa Pio XI ne commemorò la figura nell'enciclica Ad Salutem Humani del 20
aprile 1930. In occasione del XVI anniversario della conversione, papa Giovanni Paolo II pubblicò la lettera
apostolica Augustinum Hipponensem, del 28 agosto 1986.

Il 22 aprile 2007 papa Benedetto XVI si recò a Pavia, nella Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, a pregare presso la tomba
del santo.

Sant'Agostino è santo patrono delle seguenti città:

 Agosta (RM)
 Piombino (LI)
 Tarbes (Francia, dipartimento degli Alti Pirenei)
 Sant'Agostino (FE)
 Carpineto Romano (RM)
 Cassago Brianza (LC)
 Cava Manara (PV)
 Campo Ascolano (frazione di Pomezia, RM)
 Coli (PC)
 Ostia (quartiere di Roma)
 Governolo di Roncoferraro (frazione di Roncoferraro, MN)
 Riccia (CB)
 Villafontana (VR)
 Alà dei Sardi (OT)
 Belvì (NU)
È santo compatrono di Pavia (a partire dal 16 settembre 2007, dal decreto stipulato il 28 agosto 2007)
Ordini religiosi ispirati ad Agostino
Ad Agostino si rifanno numerose forme di vita religiosa, tra i quali l'Ordine di Sant'Agostino (OSA), chiamato
degli Agostiniani: diffusi in tutto il mondo, insieme agli Agostiniani scalzi (OAD) e agli Agostiniani Recolletti (OAR),
costituiscono nella Chiesa cattolica la principale eredità spirituale del santo di Ippona, alla cui Regola di vita si ispirano
anche numerose altre congregazioni, come ad esempio i Domenicani, oltre ai Canonici Regolari di Sant'Agostino.

A lui si deve la nascita delle varie regole del monachesimo, come la Regula Magistri e la Regola di San
Benedetto. Cesario d'Arles, infatti, si ispirò ai suoi scritti sia per le sue prediche che per la fondazione di alcuni ordini
monastici.

Anche alcune Chiese scismatiche africane, fenomeni a metà tra le cosiddette "Piccole Chiese" ed il sincretismo (in
particolare quelle fornite di successione apostolica), sorte nel corso del XIX e del XX secolo, si sono auto-
definite Agostiniste, in considerazione dell'origine africana del santo.

Opere d'arte dedicate ad Agostino


Pittura[
Sant'Agostino di Masaccio, Staatliche Museen, Berlino

 Sant'Agostino nello studio di Sandro Botticelli, Uffizi (Firenze)


 Sant'Agostino nello studio di Sandro Botticelli, chiesa di Ognissanti (Firenze)
 Sant'Agostino di Piero della Francesca
Scultura

 Sant'Agostino di Filippo Brunelleschi, cattedrale di San Zeno (Pistoia)


Film e fiction

 Agostino d'Ippona, film-tv, regia di Roberto Rossellini (Italia 1972), con Dary Berkany e Virginio Gazzolo.
Questo film esiste anche in DVD edito da Is. Luce nel 2005, con una durata di 115 minuti.

 Sant'Agostino, miniserie televisiva, regia di Christian Duguay (Italia 2009), con Alessandro Preziosi, Monica
Guerritore, Franco Nero, Katy Louise Saunders, Serena Rossi. Prodotto da RAI Fiction con Alessandro
Preziosi e Franco Nero nella parte del protagonista.
La sceneggiatura, in parte di fantasia, si fonda su dati storici, o quanto meno realistici: ad esempio, non c'è
documentazione del fatto che Agostino abbia ottenuto la liberazione di prigionieri dal re dei Vandali, ma
l'avvenimento in sé non è improbabile, dato che altri vescovi, in simili occasioni, l'avevano fatto, com'è il caso di San
Mercuriale, vescovo di Forlì, che aveva ottenuto, pochi anni prima, la liberazione dei suoi concittadini prigionieri
dei Visigoti.
Opere teatrali[

 Maura Del Serra, Scintilla d'Africa, cinque scene, con uno scritto di Marco Beck, Pistoia, Editrice Petite
Plaisance, 2005, 96 pp.
Musica
Marco Bargagna, Agostino d'Ippona, Italia 2001, Oratorio per Soli, Coro e Orchestra - 2CD - Interpreti: Maria
Billeri, Soprano, Giancarlo Ceccarini, Baritono, Salvatore Ciulla, Voce recitante. Dir. Stafano Barandoni. Testi
tratti dagli scritti di Agostino, dalla Vita di Agostino di Possidio e dai libri liturgici

 Corrado Cicciarelli, Aldino Leoni, Il Sacco di Sant'Agostino, Italia 1994 (I edizione, esecuzione prima in San Pietro in
Ciel d'Oro) e 2009 (II edizione) Oratorio (musicassetta e libretto edizioni Joker, 1994) - Interpreti: Corrado Cicciarelli,
Aldino Leoni, Mario Martinengo, Andrea Negruzzo, Giorgio Penotti (Gruppo dell'Incanto).
Romanzi filosofici
Jostein Gaarder, Vita brevis, 2000

 Filippo Puglisi, Il cono d'ombra, (Premio Campofranco 1989) Idea, 1988.


Note

1. ^ http://books.google.it/books?id=9p_3hfDLwJYC&pg=PT41&hl=it&source=gbs_toc_r&cad=4#v=onepage&q&f=false

2. ^ Versione bilingue.

3. ^ Il nome "Aurelio" gli fu dato, per errore, nel Medioevo.

4. ^ Sant'Agostino, in San Carlo Borromeo, I Santi di Milano, Il Club di Milano, 2012 ISBN 978-88-97618-03-4 (dove Agostino

viene annoverato da Carlo Borromeo tra i santi di Milano).

5. ^ Citazione tratta da Antonio Livi, Storia Sociale della Filosofia, Vol I, pag.242, Roma, Società Editrice Dante Alighieri,

2004,ISBN 88-534-0267-9

6. ^ «L'aggancio con le dottrine stoiche in Agostino è mediato attraverso Cicerone e Varrone», dai quali egli riprende, tra le altre

cose, l'idea della felicità come scopo della filosofia (Luigi Manca, Il primato della volontà in Agostino e Massimo il Confessore,

p. 57, Roma, Armando editore, 2002 ISBN 88-8358-385-X). Sull'influsso dello stoicismo sul giovane Agostino, che se ne
discosterà soltanto nella vecchiaia, cfr. ancheL'originalità del Verbum nel De Trinitate di Agostino d'Ippona, articolo di

Gaetano Piccolo, Mondodomani, 2011.

7. ^ Oggi infatti gli studiosi concordano sul fatto che la filosofia agostiniana è sostanzialmente di

stampo neoplatonico (cfr.Werner Beierwaltes, Agostino e il neoplatonismo cristiano, prefazione e introduzione di Giovanni

Reale, traduzione di Giuseppe Girgenti e Alessandro Trotta, Milano, Vita e pensiero, 1995). Gli studi del professor Reale ad

esempio hanno contribuito a rimuovere le interpretazioni medievali del pensiero di Agostino, riconducendolo entro la cornice
di un autentico neoplatonismo (cfr. Sant'Agostino erede di Platone).

8. ^ «Nessuna altra cosa può rendere la mente compagna del desiderio disordinato se non la propria volontà e il libero arbitrio»

(Agostino, Il libero arbitrio, libro I, 11, 21).

9. ^ Heinz Heimsoeth, I grandi temi della metafisica occidentale, pp. 110-111, Milano, Mursia, 1973.

10. ^ Henri-Irénée Marrou, Crise de notre temps et réflexion chrétienne de 1930 à 1975, Beauchesne, 1978, p. 177; Étienne

Gilson, Le philosophe et la théologie (1960), Vrin, 2005, p. 175;Encyclopedia Americana, Scholastic Library Publishing, 2005,

volume 3, p. 569; Guy Bedouelle, L'Histoire de l'Eglise, Rouergues, 2004, p. 34; Norman Cantor, The Civilization of the

Middle Ages, Harper Perennial, 1994, p. 74; François Mauriac,Bloc-notes, 1952-1957, Flammarion, 1958, p. 320; Claude

Lepelley, Saint Augustin et le rayonnement de sa pensée dansHistoire du Christianisme, Seuil, 2007. p. 122; Grand Larousse
encyclopédique, Librairie Larousse, 1960, tomo 1, p. 144.

11. ^ Emerge qui velatamente il pensiero di Agostino sulla natura del male, concepito come un semplice non-essere: il furto,

opera malvagia, è privo di consistenza. «Qualcosa» erano le pere, ma non da esse egli era attratto, bensì dal desiderio di
rubare fine a se stesso.

12. ^ «Venni a Cartagine, dove da ogni parte mi strepitava intorno una ridda di turpi amori. [...] Cercavo un oggetto da amare,

amando di amare, e detestavo la tranquillità e la via senza trappole, perché avevo un vuoto, dentro di me, di cibo interiore.

[...] Perciò l'anima mia era malata e, piena d'ulceri, si gettava al di fuori, sulle creature, miserabilmente avida di essere
sfregata dal contatto con le realtà sensibili» (Confessioni, III, 1, 1).
a
13. ^ F. Loofs, Realencyklopädie, 3 edizione, II, 268.

14. ^ «L'Ortensio mi piaceva perché non m'incitava a seguire questa o quella setta, ma ad amare, cercare, conseguire,

possedere e abbracciare con forza la sapienza stessa, quale essa fosse; e mi accendeva e m'infiammava» (Confessioni, III,

4).
a b c
15. ^ Sul vescovo manicheo Fausto di Milevi, cfr. Heinrich Kraft,La teologia dei padri [1966], V, pag. 168, a cura di Gaspare

Mura, trad. it., Città Nuova Editrice, Roma 1987 ISBN 88-311-9205-1; e Francesco Adorno, La filosofia antica: cultura,
filosofia, politica e religiosità II-VI secolo d.C., IV vol., pag. 359, Feltrinelli, Milano 1992 ISBN 88-07-81138-3.
16. ^ Confessioni, V, 6, 10.

17. ^ Servitium. Quaderni di spiritualità XXIV (1990), pp. 31-42.

18. ^ Citazione della seconda epistola di San Pietro, II, 20.

19. ^ Confessioni, VI.

20. ^ Esprimendo un concetto che sarà ripreso da Pascal, Agostino scriveva che «l'intelletto cerca Colui che ha già trovato» (De

Trinitate, 15, 2, 2).

21. ^ «Io sono la Via, la Verità e la Vita», vangelo di Giovanni 14,6.

22. ^ Confessioni, VIII, I II.

23. ^ Località che corrisponderebbe all'attuale Cassago Brianza, secondo F. Meda, Controversia sul Rus Cassiciacum, in

«Miscellanea Agostiniana», vol. II, pagg. 49-59, Roma 1931. Dello stesso avviso Rinaldo Beretta, Dov'era Cassiciaco che

ospitò S.Agostino?, Carate 1928, che si contrappone alla tesi di Carlo Massimo Rota, La villeggiatura di S. Agostino, Varese

1928, dove Cassiciacum è identificata invece con Casciago.

24. ^ La tradizione che vuole che in quell'occasione fu cantato il Te Deum alternativamente dal vescovo e dal neofita è infondata.

25. ^ Vita Sancti Augustini, XXII.

26. ^ De civitate Dei, XIX, c. XIII, n. 2.

27. ^ Sant'Agostino, Confessioni, VII, 12-20.

28. ^ Epistola LXXXVIII, a Gennaro vescovo donatista.

29. ^ Vos rogamus ne occidatis Epistola c, al proconsole Donato.

30. ^ Non si tratta di un conflitto tra ragione e volontà, ma di un conflitto tutto interno alla volontà, che risulta sdoppiata: «Non è

un'assurdità quella di volere in parte e in parte non volere; è piuttosto una malattia dello spirito, sollevato dalla verità ma non
raddrizzato del tutto perché accasciato dal peso dell'abitudine» (Confessioni, 8, 9, 21: Nuova Biblioteca Agostiniana [= NBA],

I, 241, Città Nuova, 1965).

31. ^ Si tratta di un concetto che rievoca le parole di Paolo di Tarso: «C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di

attuarlo; io infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più
io a farlo, ma il peccato che abita in me» (Paolo, Lettera ai Romani7, 18-20).

32. ^ In particolare da San Fulgenzio, cfr. Giuseppe Cossu, Della città di Cagliari, notizie compendiose sacre e profane, Cagliari,

Reale Stamparia, 1780, p. 97, dove si fa menzione dell'epistolaDe translatione corporis B. Augustinii, di Giacomo Oldrado.

33. ^ Gabriele Del Grande, Il mare di mezzo, Infinito, 2010, p. 24.

34. ^ Con l'espressione «gemina caritas» Agostino riassume il contenuto del duplice comandamento di amare Dio e il prossimo

come se stessi (cfr. De doctrina cristiana 2, 6, 7).

35. ^ «Chiamo carità l'atto spirituale volto al godimento di Dio in se stesso, e di sé e del prossimo in vista di Dio. [...] L'atto col

quale la carità giova a se stessa si chiama invece utilità» (De doctrina cristiana 3, 10, 16; trad. di L. Alici (LCPM 7), Milano

1989, pag. 239).

36. ^ Ad Simplicianum I, 2, 13.

37. ^ Victor Saxer, Il culto dei martiri romani durante il Medioevo centrale nelle basiliche Lateranense, Vaticana e Liberiana, in

AA.VV., Roma antica nel Medioevo, pag. 155, Milano, Vita e Pensiero, 2001 ISBN 88-343-0686-4.
Bibliografia
….Vita di Agostino. Possidio

Precedenti e propositi dell'autore

1. Per ispirazione di Dio creatore e reggitore dell'universo, memore del proposito di


servire nella fede, per grazia del Salvatore, la Trinità divina e onnipotente, e già da
laico e ora nell'ufficio episcopale desiderando giovare all'edificazione della santa e
vera chiesa cattolica di Cristo Signore con tutto ciò che ho ricevuto d'ingegno e di
parola, non ho voluto passare sotto silenzio ciò che, della vita e dei costumi di
Agostino, predestinato e a suo tempo rivelato ottimo vescovo, in lui vidi e da lui
udii.
2. Infatti avevo letto e appreso che anche prima di me questo era stato fatto da pie
persone appartenenti alla santa madre chiesa: essi, ispirati dallo spirito divino, con
la lingua e lo stile di cui ognuno era fornito fecero sapere sia a voce sia per iscritto,
a quanti fossero desiderosi di apprendere tali cose sia con gli orecchi sia con gli
occhi, quali e quanti uomini avessero meritato di vivere e di perseverare nel mondo
fino alla morte secondo la grazia del Signore che è comune a tutti.
3. Perciò anche io, ultimo di tutti i ministri, con la fede non simulata (1 Tim. 1, 5)
con la quale i fedeli debbono servire e riuscire graditi a Dio e a tutti i buoni, ho
intrapreso a narrare, secondo che Dio me lo concederà, la nascita, il progresso e la
meritoria fine di quel venerabile uomo, esponendo quanto ho appreso e constatato
proprio da lui, poiché per molti anni sono stato a suo stretto contatto.
4. E prego la somma maestà di poter perseguire e portare a termine questo compito
che ho intrapreso, in maniera da non offendere la verità del padre delle luci (Giac.
1, 17) e da non deludere per qualche parte la carità dei buoni figli della chiesa.
5. Non racconterò tutte quelle notizie che lo stesso beato Agostino ha esposto nei
suoi libri delleConfessioni riguardo a se stesso, quale egli sia stato prima di ricevere
la grazia e come viva dopo averla ricevuta.
6. Egli agì così, come dice l'Apostolo (2 Cor. 12, 6), perché nessuno avesse di lui
stima superiore a quanto sapeva di lui o da lui aveva appreso. Così egli, secondo il
suo costume, non veniva meno alla santa umiltà, cercando la gloria non sua ma del
suo Signore per la propria liberazione e per i doni che già aveva ricevuto e
chiedendo le preghiere dei fratelli per quelli che desiderava ricevere.
7. In verità, come è stato affermato dall'autorità dell'angelo, è bene tener celato il
segreto del re, ma è lodevole manifestare e glorificare le opere del Signore (Tob.
12, 7).

Vita e attività di Agostino (cc. 1-18)

Dalla nascita al battesimo


1. 1. Nacque nella provincia d'Africa, nella città di Tagaste, da genitori dell'ordine
dei curiali, di onesta condizione e cristiani. Fu da loro allevato ed educato con
ogni cura e anche con notevole spesa, e fu inizialmente istruito nelle lettere
profane, cioè in tutte quelle discipline, che chiamano liberali.
1. 2. Così insegnò prima grammatica nella sua città e poi retorica a Cartagine,
capitale dell'Africa. Successivamente insegnò anche al di là del mare, a Roma e a
Milano, dove allora risiedeva la corte dell'imperatore Valentiniano II.
1. 3. In questa città era allora vescovo Ambrogio, uomo eccellente fra i migliori e
sommamente gradito a Dio. Questi predicava molto frequentemente la parola di
Dio nella chiesa, e Agostino seduto in mezzo alla gente lo stava a sentire con la
massima attenzione.
1. 4. In effetti, tempo prima quando era ancora giovane a Cartagine, Agostino era
stato sviato dall'errore dei Manichei: perciò assisteva alle prediche di Ambrogio
con più attenzione degli altri, per vedere se fosse detta qualcosa a favore o contro
quell'eresia.
1. 5. E per clemenza di Dio liberatore, che ispirò il cuore del suo sacerdote,
avvenne che certe questioni riguardanti la legge fossero risolte in senso avverso
all'errore dei Manichei; così Agostino gradualmente fu istruito, e a poco a poco
per benevolenza divina quella eresia fu cacciata dal suo animo. In poco tempo fu
confermato nella fede cattolica e in lui nacque l'ardente desiderio di progredire
nella religione per ricevere l'acqua della salvezza nei giorni della Pasqua che
erano prossimi.
1. 6. Così, grazie all'aiuto divino, per opera di un vescovo di tale levatura quale
era Ambrogio, Agostino ricevette la dottrina della chiesa cattolica, apportatrice di
salvezza, e i sacramenti divini.

Rinuncia al mondo per donarsi a Dio

2. 1. Subito nel più intimo del cuore abbandonò ogni speranza che aveva riposto
nel mondo, senza più ricercare moglie né figli della carne né ricchezza, né onori
mondani, ma deliberò di servire Dio insieme con i suoi, studiandosi di essere di
quel gregge, cui il Signore si rivolge con queste parole: Non temete, piccolo
gregge, perché il Padre vostro ha voluto dare a voi il regno. Vendete ciò che
possedete e fate elemosina: fatevi borse che non invecchiano, un tesoro che non
viene meno nei cieli, ecc. (Lc. 12, 32 s.).
2. 2. Quel santo uomo desiderava fare anche quanto dice ancora il Signore: Se vuoi
essere perfetto, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e
vieni, seguimi (Mt. 19, 21). Desiderava edificare sul fondamento della fede: non
legna fieno e paglia, ma oro argento e pietre preziose (1 Cor. 3, 12).
2. 3. Aveva allora più di 30 anni e gli restava solo la madre: essa stava sempre con
lui e gioiva del proposito che egli aveva intrapreso di servire Dio più che se avesse
avuto nipoti carnali. Suo padre infatti era morto.
2. 4. Comunicò perciò agli scolari, cui faceva lezione di retorica, che si
provvedessero un altro maestro, poiché egli aveva stabilito di servire a Dio.

Vita monastica e prime fiamme di zelo apostolico

3. 1. Ricevuta la grazia, insieme con altri concittadini e amici che ugualmente


servivano a Dio, volle tornare in Africa, alla sua casa e ai suoi campi. Tornato, vi
rimase circa tre anni; e dopo aver ceduto quei beni, insieme con quelli che gli
erano vicini viveva per Dio, con digiuni preghiere buone opere, meditando notte e
giorno la legge del Signore.
3. 2. E tutto ciò che Dio faceva comprendere a lui che meditava e pregava, egli
faceva conoscere a presenti e assenti con discorsi e libri.
3. 3. In quel tempo uno di coloro che sono chiamati agenti d'affari, che risiedeva ad
Ippona, un buon cristiano timorato di Dio, ebbe conoscenza della buona fama di
cui Agostino godeva e della sua dottrina, e desiderò ardentemente di poterlo
vedere, avanzando la promessa che, se avesse meritato di ascoltare la parola di
Dio dalla bocca di quello, avrebbe potuto disprezzare tutte le cupidigie e le
lusinghe di questo mondo.
3. 4. Poiché questo fu fedelmente riferito ad Agostino, egli desiderando che
un'anima fosse liberata dalle insidie di questo mondo e dalla morte eterna, senza
indugiare andò subito in quella città, vide quell'uomo e gli parlò molte volte e lo
esortò, per quanto Dio gli concedeva, a mettere in pratica il voto che aveva fatto a
Dio.
3. 5. Quello prometteva di farlo di giorno in giorno, ma non lo mise in pratica
allora, quando Agostino stava lì. Ma certamente non potette rimanere inutile e
senza effetto ciò che la divina provvidenza operava in ogni luogo per mezzo di un
tale strumento puro e onorevole, utile al Signore e adatto per ogni opera buona
(Rom. 9, 2 1; 2 Tim. 3, 17).

Sacerdote per forza

4. 1. In quel tempo esercitava l'ufficio di vescovo nella comunità cattolica di


Ippona il santo Valerio. Mentre egli un giorno parlava al popolo di Dio circa la
scelta e l'ordinazione di un prete e l'esortava in proposito, perché così richiedeva
la necessità della chiesa, frammisto in mezzo al popolo assisteva Agostino, sicuro e
ignaro di ciò che stava per succedere: infatti egli era solito - come ci diceva - non
frequentare soltanto le chiese che sapeva prive di vescovo
4. 2. Allora alcune persone, che conoscevano la dottrina di Agostino e i suoi
propositi, gettategli le mani addosso, lo tennero fermo e, come suole accadere in
casi del genere, lo presentarono al vescovo perché fosse ordinato, mentre tutti
unanimi in quel proposito chiedevano che così si facesse. Mentre insistevano con
grande entusiasmo e clamore, egli piangeva a calde lacrime: alcuni - come egli
stesso ci riferì -interpretarono tali lacrime come manifestazione di superbia e
cercavano di consolarlo dicendo che certo egli era degno di maggiore onore, ma
che comunque l'esser prete lo avvicinava alla dignità episcopale.
4. 3. Invece l'uomo di Dio - come ci disse - osservava la cosa più a fondo e gemeva
prevedendo i molti e grandi pericoli che sarebbero derivati alla sua vita dal
governo e dall'amministrazione della chiesa: per tal motivo piangeva. Ma infine la
cosa si compì secondo quanto voleva il desiderio del popolo.

Predicatore

5. 1. Fatto prete, subito istituì un monastero accanto alla chiesa e cominciò a


vivere con i servi di Dio secondo il modo e la norma stabiliti al tempo degli
apostoli. Soprattutto, in quella società nessuno doveva avere alcunché di proprio
ma tutto per loro doveva essere in comune, e ad ognuno doveva esser dato secondo
le proprie necessità: proprio questo egli aveva già fatto precedentemente, allorché
era tornato d'oltre mare a casa sua.
5. 2. Il santo Valerio, che lo aveva ordinato, com'era uomo pio e timorato di Dio,
esultava e rendeva grazie a Dio di aver esaudito le sue preghiere. Diceva che molto
spesso aveva pregato che per volontà divina gli fosse concesso un uomo che fosse
in grado di edificare la chiesa di Dio con la parola di Dio e con retta dottrina:
infatti egli si riconosceva poco adatto a questa incombenza, in quanto era greco ed
era poco versato nella lingua e nelle lettere latine.
5. 3. Egli affidò al suo prete l'incarico di spiegare in chiesa il Vangelo alla sua
presenza e di predicare frequentemente, contro quella che è la consuetudine delle
chiese d'Africa: per tal motivo alcuni vescovi lo criticavano.
5. 4. Ma quell'uomo venerabile e previdente, ben sapendo che nelle chiese
d'Oriente così si faceva comunemente e provvedendo all'utilità della chiesa, non si
curava delle critiche dei detrattori, purché fosse compiuto dal prete ciò ch'egli
sapeva non poter esser fatto da lui vescovo.
5. 5. in tal modo la lampada accesa e ardente, posta sul candelabro, dava luce a
tutti coloro che stavano nella casa (Gv. 5, 35; Mt. 5, 15). La fama di questo fatto si
diffuse rapidamente, e alcuni preti, seguendo il buon esempio e ottenutane facoltà
dai loro vescovi, cominciarono a predicare al popolo in presenza del vescovo.

Disputa col manicheo Fortunato


6. 1. In quel tempo ad Ippona la peste dei manichei aveva infettato e contagiato
molti sia cittadini sia stranieri, sviati e tratti in errore da un prete della setta, di
nome Fortunato, che lì risiedeva ed operava.
6. 2. Allora alcuni cristiani, cittadini di Ippona e stranieri, sia cattolici sia anche
donatisti, vanno dal prete Agostino e gli chiedono d'incontrare quel prete
manicheo, ch'essi credevano dotto, e di discutere con lui intorno alla legge.
6. 3. Quello, che - com'è scritto - era pronto a rispondere ad ognuno che gli
chiedesse spiegazioni intorno alla fede e alla speranza ch'è rivolta a Dio e ch'era in
grado di esortare con sana dottrina e di confutare chi contraddiceva (1 Pt. 3, 15;
Tit. 1, 9), non si sottrasse; chiese però se anche quello fosse d'accordo.
6. 4. Allora quelle persone riferirono subito ciò a Fortunato, chiedendo ed
insistendo che neppure egli rifiutasse. Infatti Fortunato aveva già conosciuto a
Cartagine il santo Agostino, quando questo era ancora implicato nel suo stesso
errore, e temeva di entrare in discussione con lui.
6. 5. Tuttavia costretto soprattutto dalle insistenze dei suoi e spinto da un senso di
vergogna, promise d'incontrare Agostino e di venire a discussione con lui.
6. 6. S'incontrarono nel giorno e nel luogo stabilito, dove si erano radunati molti
che erano interessati alla questione e gran folla di curiosi: gli stenografi aprirono
le tavolette e cominciò la discussione nel primo giorno per concludersi nel
successivo.
6. 7. In essa il dottore manicheo -come riferiscono gli atti - non fu in grado di
confutare la posizione cattolica e non riuscì a confortare con argomenti validi la
dottrina manichea. Alle ultime battute si ritirò, dichiarando che avrebbe discusso
insieme con i suoi superiori gli argomenti che non era riuscito a confutare: se
neppure essi ci fossero riusciti, egli avrebbe provveduto alla sua anima. In tal
modo tutti coloro che lo ritenevano capace e dotto, giudicarono che egli non aveva
avuto alcuna efficacia nel difendere la sua setta.
6. 8. Fortunato, pieno di vergogna, successivamente partì da Ippona e non vi fece
più ritorno. Così, grazie a questo uomo di Dio, quell'errore fu cacciato via dagli
animi di tutti coloro che o erano stati presenti o assenti erano venuti a conoscenza
di quel che si era svolto, mentre veniva confermata e rafforzata la veritiera dottrina
cattolica.

Con la parola e gli scritti risolleva le sorti della Chiesa

7. 1. Agostino insegnava e predicava, in privato e in pubblico, in casa e in chiesa,


la parola di salvezza (Atti, 13, 26) con piena fiducia contro le eresie che erano
fiorenti in Africa, specialmente contro i donatisti, i manichei e i pagani. Faceva ciò
sia scrivendo libri sia improvvisando discorsi, circondato da indicibile
ammirazione e lode dei cristiani, che tutto ciò non tacevano, ma appena potevano
lo divulgavano.
7. 2. Così per dono divino la chiesa cattolica cominciò in Africa a risollevare il
capo che per lungo tempo aveva avuto oppresso a terra, sviata e pressata dal
vigoreggiare degli eretici, soprattutto perché i partigiani di Donato ribattezzavano
grandi folle di Africani.
7. 3. Questi suoi libri e discorsi, che scaturivano e derivavano da mirabile grazia
divina ed erano sorretti sia da abbondanza di argomenti razionali sia dall'autorità
delle sacre scritture, gli stessi eretici correvano ad ascoltarli insieme con i
cattolici, spinti da intenso ardore: chiunque voleva e ne aveva possibilità, si valeva
di stenografi che trascrivevano ciò che veniva detto.
7. 4. E ormai di qui si diffondevano e si mettevano in evidenza per tutta l'Africa
l'insigne dottrina e il soavissimo odore di Cristo (2 Cor. 2, 15; Ef. 5, 2); venuta a
sapere tutto questo, ne godeva anche la chiesa di Dio al di là del mare: infatti,
come quando patisce un solo membro, insieme patiscono tutte le membra, così
quando un membro viene glorificato, gioiscono insieme tutte le membra (1 Cor. 12,
26).

È ordinato vescovo coadiutore d'Ippona

8. l. Ma il beato Valerio, ormai vecchio, che più degli altri esultava e rendeva
grazie a Dio per avergli concesso quello speciale beneficio, considerando quale sia
l'animo umano, cominciò a temere che Agostino fosse richiesto come vescovo da
qualche altra chiesa rimasta priva di pastore, e così gli fosse tolto. E ciò sarebbe
già accaduto, se il vescovo, che era venuto a sapere la cosa, non lo avesse fatto
trasferire in un luogo nascosto, sì che quelli che lo cercavano non riuscirono a
trovarlo.
8. 2. Il santo vecchio, vieppiù timoroso e ben consapevole di essere ormai molto
indebolito per le condizioni del corpo e per l'età, scrisse in modo riservato al
primate di Africa, il vescovo di Cartagine: faceva presente la debolezza del corpo e
il peso degli anni e chiedeva che Agostino fosse ordinato vescovo della chiesa
d'Ippona, sì da essere non tanto suo successore sulla cattedra bensì vescovo
insieme con lui. Di risposta ottenne ciò che desiderava e chiedeva insistentemente.
8. 3. Qualche tempo dopo, essendo venuto Megalio, vescovo di Calama e allora
primate della Numidia, per visitare dietro sua richiesta la chiesa d'Ippona, Valerio,
senza che alcuno se l'aspettasse, presenta la sua intenzione ai vescovi che allora si
trovavano lì per caso, a tutto il clero d'Ippona ed a tutto il popolo. Tutti si
rallegrarono per quanto avevano udito e a gran voce e col massimo entusiasmo
chiesero che la cosa fosse messa subito in atto: invece il prete Agostino rifiutava di
ricevere l'episcopato contro il costume della chiesa, mentre era ancora vivo il suo
vescovo.
8. 4. Allora tutti si dettero a persuaderlo, dicendo che quel modo di procedere era
d'uso comune e richiamando esempi di chiese africane e d'oltremare a lui che di
tutto ciò era all'oscuro: infine, pressato e costretto, Agostino acconsentì e ricevette
l'ordinazione alla dignità maggiore.
8. 5. Successivamente egli affermò a voce e scrisse che non avrebbe dovuto essere
ordinato mentre era vivo il suo vescovo, perché questo era vietato dalla
deliberazione di un concilio ecumenico, che egli aveva appreso soltanto dopo
essere stato ordinato: perciò non volle che fosse fatto ad altri ciò che si doleva
essere stato fatto a lui.
8. 6. Di conseguenza si adoperò perché da concili episcopali fosse deliberato che
coloro che ordinavano dovevano far conoscere a coloro che dovevano essere
ordinati o anche erano stati ordinati tutte le deliberazioni episcopali: e così fu
fatto.

Attività antidonatista

9. l. Diventato vescovo, Agostino predicava la parola di salvezza eterna (Atti, 13,


26) con più insistenza ed entusiasmo e con autorità maggiore, non più soltanto in
una regione ma dovunque gli chiedevano di venire, con alacrità e diligenza, mentre
la chiesa del Signore si sviluppava e fioriva sempre di più. Egli era sempre pronto
a dare spiegazione a chi lo richiedesse sulla fede e sulla speranza in Dio; e le sue
parole e gli appunti presi soprattutto i donatisti d'Ippona e dei paesi vicini li
riferivano ai loro vescovi.
9. 2. Costoro ascoltavano e talvolta cercavano di replicare qualcosa: ma o
venivano confutati proprio dai loro seguaci ovvero le risposte erano riportate ad
Agostino. Questi, quando le apprendeva, con pazienza e dolcezza e - com'è scritto
(Fil. 2, 12) - con timore e tremore provvedeva alla salvezza di quegli uomini,
dimostrando che quei vescovi non erano riusciti a confutare proprio niente e che
invece era veritiero e manifesto ciò che crede e insegna la fede della chiesa di Dio.
In tal modo egli si adoperava costantemente, giorno e notte.
9. 3. Scrisse anche lettere private ad alcuni vescovi eminenti di quella setta ed a
laici, dando spiegazioni e esortando ed ammonendo che o si emendassero da
quell'errore ovvero venissero a discussione.
9. 4. Ma quelli, che non avevano fiducia nella loro causa, non vollero neppure
rispondere ma presi dall'ira e dal furore dicevano che Agostino era seduttore e
ingannatore di anime. Gridavano così in pubblico e in privato e affermavano anche
nelle loro prediche che quello doveva essere ucciso come un lupo per la difesa del
gregge, e che senza dubbio bisognava credere che Dio avrebbe rimesso tutti i
peccati a quelli che fossero riusciti in tale impresa, senza timore di offendere Dio e
di doversi vergognare davanti agli uomini. Allora Agostino si dette da fare perché
tutti venissero a conoscere che quelli diffidavano della loro stessa causa e che,
invitati ad un pubblico dibattito, non avevano avuto il coraggio di presentarsi.
Conquiste e persecuzioni

10. 1. In quasi tutte le loro chiese i donatisti avevano un genere di uomini


incredibilmente perversi e violenti, che solevano andare in giro facendo
professione di continenza. Si chiamavano circumcellioni e si trovavano in numero
molto ingente in quasi tutte le regioni d'Africa.
10. 2. Essi, istruiti da malvagi dottori, con sfrontata audacia e illecita temerarietà
non avevano riguardo né per i loro compagni di setta né per gli estranei: contro
ogni diritto impedivano alla gente di procedere nelle cause giudiziarie, e se
qualcuno non obbediva, gli arrecavano danni gravissimi e violenza. Armati con
armi di diverso genere, imperversavano per le campagne e i villaggi e non
temevano di arrivare fino allo spargimento di sangue.
10. 3. Così, mentre la parola di Dio era predicata con zelo e si trattava di pace con
coloro che avevano odiato la pace, costoro senza ragione facevano violenza a
quanti parlavano di queste cose.
10. 4. E poiché la verità si faceva sempre più forte contro la loro dottrina, quanti
dei donatisti avevano volontà e possibilità si staccavano in maniera più o meno
manifesta dalla loro setta e aderivano alla pace e all'unità della chiesa con quanti
dei loro potevano convincere.
10. 5. Perciò i circumcellioni, vedendo diminuire gli aderenti al loro errore e
invidiando l'incremento della chiesa, accesi ed esaltati da ira grandissima,
cominciarono a fare intollerabili persecuzioni contro quelli che aderivano all'unità
della chiesa: aggredivano di notte e di giorno gli stessi vescovi cattolici e i ministri
della chiesa e distruggevano ogni cosa.
10. 6. Così ridussero a mal partito molti servi di Dio con le percosse, ad alcuni
gettarono negli occhi calce con aceto, altri uccisero. Per tal motivo questi donatisti
che erano soliti anche ribattezzare vennero in odio perfino ai loro.

Il monastero d'Ippona fucina di apostoli. Scritti di Agostino

11. l. Progredendo intanto l'insegnamento divino, coloro che nel monastero


servivano a Dio sotto la guida del santo Agostino e insieme con lui, cominciarono
ad essere ordinati preti della chiesa di Ippona.
11. 2. Così di giorno in giorno s'imponeva e diventava più evidente la verità della
predicazione della chiesa cattolica, e così anche il modo di vita dei santi servi di
Dio, la loro continenza e assoluta povertà: perciò dal monastero che quel grande
uomo aveva fondato e fatto prosperare con gran desiderio (varie comunità)
cominciarono a chiedere e ricevere vescovi e chierici, sì che allora prima ebbe
inizio e poi si affermò la pace e l'unità della chiesa.
11. 3. In fatti circa dieci uomini santi e venerabili, continenti e dotti, che io stesso
ho conosciuto, il beato Agostino, richiesto, dette a diverse chiese, alcune anche
molto importanti.
11. 4. D'altra parte costoro, che dal loro santo modo di vita venivano a chiese di
Dio diffuse in vari luoghi, si dettero ad istituire monasteri, e poiché cresceva lo
zelo per l'edificazione della parola di Dio, preparavano a ricevere il sacerdozio
fratelli, che furono messi a capo di altre chiese.
11. 5. Pertanto progrediva per mezzo di molti e in molti la dottrina di fede salutare,
di speranza e di carità insegnata nella chiesa, non solo in tutte le parti d'Africa ma
anche nelle regioni d'oltremare: infatti con la pubblicazione di libri, tradotti anche
in greco, grazie a quel solo uomo, con l'aiuto di Dio, tutto il complesso della
dottrina cristiana venne a conoscenza di molti.
11. 6. Allora - com'è scritto - il peccatore a veder questo s'adirava, digrignava i
denti e si struggeva (Sal. 111, 10); invece i tuoi servi - secondo quanto sta scritto -
erano in pace con quelli che odiavano la pace e quando parlavano erano
combattuti da quelli senza motivo (Sal. 119, 7).

Attentati contro Agostino e contro Possidio

12. 1. Alcune volte circumcellioni armati tesero insidie lungo le strade al servo di
Dio Agostino, quando egli richiesto andava a visitare, istruire, esortare le
comunità cattoliche, il che egli faceva molto di frequente.
12. 2. Una volta avvenne che quei sicari persero l'occasione in questo modo:
successe, certo per provvidenza divina e comunque per errore dell'uomo che faceva
da guida, che il vescovo insieme con i suoi compagni arrivarono per altra strada al
luogo ove erano diretti, e grazie a questo che dopo seppe essere stato un errore
sfuggì alle mani degli empi e insieme con tutti gli altri rese grazie a Dio liberatore.
E quelli secondo il loro modo di fare non risparmiavano né laici né chierici, come
testimoniano i documenti ufficiali.
12. 3. A tal proposito non si deve passare ora sotto silenzio ciò che a gloria di Dio
fu fatto contro questi donatisti ribattezzatori grazie all'attività di sì illustre uomo
nella chiesa e al suo zelo per la casa di Dio.
12. 4. Uno di coloro che egli dal suo monastero e dal suo clero aveva dato a varie
chiese come vescovi, visitava la diocesi della chiesa di Calama affidata alle sue
cure e predicava ciò che aveva appreso contro l'eresia donatista in favore della
pace della chiesa. In tale occasione, egli durante il cammino cadde nell'insidia dei
circumcellioni che lo assalirono insieme con i suoi compagni e, derubatili degli
animali e delle loro cose, lo coprirono di ingiurie e di gravissime percosse.
12. 5. Perché il progresso della pace nella chiesa non fosse ostacolato da
avvenimenti di tal fatta, il difensore della chiesa, che aveva la legge dalla sua, non
passò il fatto sotto silenzio. Allora Crispino, ch'era il vescovo donatista nella città e
nella regione di Calama, uomo conosciuto e dotto e di età avanzata, fu condannato
a pagare una multa stabilita dalle leggi contro gli eretici.
12. 6. Ma quello presentò opposizione e al cospetto del proconsole disse di non
essere eretico: allora, poiché il difensore della chiesa si era ritirato , si presentò la
necessità per il vescovo cattolico di fare opposizione e dimostrare che quello era
proprio ciò che aveva negato di essere. Se infatti quello fosse riuscito a
nasconderlo, addirittura avrebbero potuto credere eretico il vescovo cattolico,
poiché quello negava di essere ciò che era, e così da questa trascuratezza sarebbe
potuto derivare ai deboli motivo di scandalo.
12. 7. Allora, grazie alle insistenze pressanti del vescovo Agostino di beata
memoria, i due vescovi di Calama ebbero una pubblica discussione e per tre volte
parlarono l'un contro l'altro sulle divergenze della loro fede, mentre grande era
l'attesa dell'esito da parte di tutte le comunità cristiane a Cartagine e nell'intera
Africa: per sentenza scritta del proconsole Crispino fu dichiarato eretico.
12. 8. Il vescovo cattolico intercesse per lui perché non pagasse la multa, e la sua
richiesta fu esaudita. Ma poiché quell'ingrato si era appellato all'imperatore,
questi dette alla richiesta la dovuta risposta: di conseguenza fu ordinato che in
nessun luogo dovevano esserci eretici donatisti e contro di essi dovevano aver
vigore tutte le leggi che erano state emanate contro gli eretici.
12. 9. Perciò il giudice, il tribunale e Crispino stesso furono condannati a pagare
al fisco dieci libbre d'oro ciascuno, poiché non si era preteso il pagamento della
multa. Ma subito allora i vescovi cattolici, e soprattutto Agostino di beata
memoria, si dettero da fare perché quella condanna fosse rimessa dalla generosità
del principe, e con l'aiuto del Signore ci riuscirono. Di questa sollecitudine e di
questo santo zelo la chiesa si giovò molto.

Frutti di unità e di pace

13. l. Per tutto ciò che Agostino operò in difesa della pace della chiesa il Signore
qui gli concesse la palma e presso di sé gli riservò la corona di giustizia (2 Tim. 4,
8). Così, con l'aiuto di Cristo, di giorno in giorno sempre di più aumentava e si
diffondeva l'unità della pace e la fratellanza della chiesa di Dio.
13. 2. Questo si verificò soprattutto dopo la conferenza che tutti i vescovi cattolici
tennero a Cartagine insieme con i vescovi donatisti, per ordine del gloriosissimo e
religiosissimo imperatore Onorio, che per tale incombenza aveva mandato come
giudice in Africa dalla sua corte il tribuno e notaio Marcellino.
13. 3. In questo dibattito i donatisti, completamente confutati e convinti di errore
dai cattolici, furono condannati dalla sentenza del giudice; e dopo il loro appello
la risposta del piissimo imperatore condannò quegli iniqui come eretici.
13. 4. Per questo motivo vescovi donatisti col loro clero e col loro popolo
entrarono più del solito in comunione con i cattolici, e aderendo alla pace cattolica
sopportarono molte persecuzioni da parte dei loro, fino all'amputazione delle
membra e all'uccisione.
13. 5. E tutto quel bene, come ho già detto, ebbe inizio e si realizzò per opera di
quel santo uomo, con cui erano d'accordo e cooperavano gli altri nostri vescovi.

Recriminazioni dei donatisti e vittoria sul loro vescovo Emerito

14. 1. D'altra parte, anche dopo la conferenza che fu tenuta con i donatisti, non
mancarono alcuni di costoro i quali affermarono che ai loro vescovi non era stato
permesso di esprimersi con completezza in difesa della loro parte presso l'autorità
che aveva presieduto la causa, perché il giudice in quanto cattolico favoriva la sua
parte.
14. 2. Ma essi, dopo la sconfitta, avanzavano questo argomento come un pretesto,
poiché gli eretici anche prima della controversia sapevano che il giudice era
cattolico, e quando erano stati invitati da lui con atto pubblico a presentarsi alla
discussione, invece di accettare, avrebbero potuto rifiutare l'incontro, poiché
ritenevano quello non imparziale.
14. 3. Tuttavia la provvidenza di Dio onnipotente fece sì che tempo dopo Agostino
di beata memoria si trovasse a Cesarea, città della Mauretania, dove lo aveva fatto
andare, insieme con altri vescovi, una lettera della sede apostolica, per provvedere
ad alcune necessità della chiesa.
14. 4. In tale circostanza Agostino ebbe occasione di vedere Emerito, il vescovo
donatista di quel luogo che nella conferenza era stato importante difensore della
sua setta, e con lui discusse pubblicamente sempre sullo stesso argomento, in
chiesa alla presenza di appartenenti alle due comunità. Poiché (i donatisti)
sostenevano che Emerito nella conferenza non aveva potuto dire tutto, Agostino
richiamandosi agli atti ufficiali, lo invitò a non aver esitazione a parlare in quella
occasione, in cui non c'era divieto da parte della pubblica autorità, e a non
rifiutare di difendere con coraggio la sua parte proprio nella sua città, alla
presenza di tutti i suoi concittadini.
14. 5. Ma né questa esortazione né la pressante insistenza dei parenti e dei
concittadini lo convinsero ad accettare: eppure quelli gli promettevano di ritornare
nella sua comunione, anche a rischio dei loro beni e della loro salute temporale,
purché egli riuscisse ad aver la meglio sulla posizione cattolica.
14. 6. Ma quello non volle né fu capace di dir di più di quanto è contenuto in quegli
atti, se non solo questo: « Ormai gli atti contengono ciò che i vescovi hanno fatto a
Cartagine, se abbiamo vinto ovvero siamo stati vinti ».
14. 7. E un'altra volta, poiché il notaio lo spingeva a rispondere, disse: « Fa' tu »;
e poiché taceva e così fu a tutti evidente la sua sfiducia, da tutto ciò la chiesa di
Dio risultò aumentata e rafforzata.
14. 8. Chi poi vorrà conoscere più a fondo la sollecitudine e l'operosità di Agostino
di beata memoria in difesa della condizione della chiesa di Dio, potrà esaminare il
resoconto di quei fatti: troverà qui quali argomenti Agostino abbia proposto, e con
quali abbia invitato e spinto il suo avversario, dotto eloquente e rinomato, a dire
ciò che volesse in difesa della sua parte, e riconoscerà come quello sia stato vinto.

Attività antimanichea. Perde il filo del discorso e guadagna un'anima

15. 1. Ricordo ancora, non solo io ma anche altri fratelli che allora vivevano con
noi nella chiesa d'Ippona insieme con quel santo uomo, che una volta mentre
eravamo insieme a tavola, egli disse:
15. 2. « Vi siete accorti come oggi in chiesa la mia predica, dall'inizio alla fine, si
sia svolta contro quella ch'è la mia abitudine, perché non ho spiegato
completamente il tema che avevo proposto, ma l'ho lasciato in sospeso? ».
15. 3. Gli rispondemmo: « Infatti ricordiamo di esserci meravigliati in quel
momento ». E lui: « Credo - disse - che proprio per mezzo della mia dimenticanza e
del mio errore il Signore abbia voluto ammaestrare e risanare qualcuno del popolo
che è nell'errore, poiché nelle sue mani siamo noi e le nostre parole.
15. 4. Infatti, mentre trattavo alcuni punti della questione che avevo proposta, con
una digressione mi sono inoltrato in un altro argomento, e così, senza spiegare fino
in fondo quella questione, preferii terminare la predica polemizzando contro
l'errore dei manichei, piuttosto che continuando a trattare l'argomento che avevo
iniziato ».
15. 5. Uno o due giorni - se non sbaglio - dopo questi fatti si presenta un
commerciante di nome Fermo e alla nostra presenza si getta gemendo ai piedi di
Agostino che stava nel monastero: fra le lacrime scongiurò il vescovo di pregare
insieme con i santi il Signore per i suoi peccati, confessando di aver seguito la setta
dei manichei e di essere vissuto in quella per molti anni. Per di più aveva versato
inutilmente forti somme di danaro ai manichei, soprattutto a quelli che essi
definiscono gli eletti. Ma trovandosi poco prima in chiesa, per misericordia divina,
era stato richiamato sulla retta via dalla predica di Agostino ed era diventato
cattolico.
15. 6. Allora il venerabile Agostino in persona e noi che eravamo lì presenti gli
chiedemmo di indicarci con precisione quale punto soprattutto di quella predica
avesse fatto effetto su di lui; e mentre egli riferiva e tutti noi richiamavamo alla
mente la trama del discorso, ammirammo con stupore il misterioso disegno di Dio
per la salvezza delle anime, glorificammo il suo santo nome e benedicemmo colui
che opera la salvezza delle anime quando vuole, donde vuole e come vuole, per
mezzo di strumenti consapevoli e inconsapevoli.
15. 7. Da quel momento quell'uomo abbracciò la norma di vita dei servi di Dio e
lasciò il commercio. Poiché si segnalava per i suoi progressi fra i membri della
chiesa, mentre era in un'altra regione, per volere di Dio richiesto e pressato
diventò prete, conservando e custodendo la sua santa norma di vita. E forse egli,
che si è stabilito in un paese oltre mare, è ancora vivo.

Smaschera i Manichei e li converte

16. 1. A Cartagine poi alcuni manichei, di quelli che chiamano eletti ed elette,
furono sorpresi da Orso, procuratore della casa imperiale, ch'era di fede cattolica,
e tradotti in chiesa da lui stesso, furono interrogati dai vescovi alla presenza degli
stenografi.
16. 2. Fra i vescovi c'era anche Agostino di beata memoria, che più degli altri
conosceva quella nefanda setta: perciò gli riuscì di mettere in luce i loro
riprovevoli errori con citazioni tratte dai libri che i manichei hanno in uso, e così li
indusse a confessare le loro bestemmie. Quegli atti ufficiali misero altresì in luce,
per confessione di quelle donne, cosiddette elette, le pratiche indegne e turpi che
essi secondo il loro perverso costume erano soliti commettere.
16. 3. Così lo zelo dei pastori procurò incremento al gregge del Signore e lo difese
in maniera adeguata contro i ladri e i predoni.
16. 4. Agostino ebbe anche una pubblica disputa nella chiesa d'Ippona con un certo
Felice, del numero di quelli che i manichei chiamano eletti, alla presenza del
popolo e degli stenografi che trascrivevano ciò che veniva detto. Dopo il secondo o
il terzo dibattito quel manicheo, vedendo confutati la vanità e l'errore della sua
setta, si convertì alla nostra fede e passò alla nostra chiesa, come risulta anche
dalla lettura degli atti.

Contraddittorio col vescovo ariano Massimino

17. l. Provocato da un certo Pascenzio e poiché lo richiedevano persone di alta


condizione, Agostino ebbe a Cartagine una pubblica discussione con costui. Era
questi un conte della casa imperiale, di fede ariana, esattore molto severo del fisco,
che si valeva del suo potere per contrastare duramente e sistematicamente la fede
cattolica, e con le sue spiritosaggini e la sua autorità tormentava e maltrattava
molti sacerdoti di Dio un po' sempliciotti nella loro fede.
17. 2. Ma l'eretico rifiutò in modo assoluto che si portassero le tavolette e lo stilo,
che il nostro maestro richiese con grande insistenza prima e durante il dibattito.
Quello negava, sostenendo che per timore delle leggi dello stato non voleva
mettersi a rischio con questa trascrizione: tuttavia Agostino vedendo insieme con
altri vescovi che erano presenti che quel modo di fare era accetto a coloro che
assistevano, cioè che si disputasse in modo privato senza che alcunché fosse messo
per iscritto, accettò il dibattito. Predisse comunque ciò che poi si verificò: che,
terminata la riunione, ciascuno, in assenza di documentazione scritta, sarebbe
stato libero di sostenere di aver detto ciò che non aveva detto e di non aver detto
ciò che aveva detto.
17. 3. Discusse con Pascenzio: sostenne la sua dottrina, ascoltò ciò che sosteneva
l'avversario, con valido ragionamento e con l'autorità delle scritture insegnò e
dimostrò i fondamenti della nostra fede, dimostrò poi che le proposizioni di
Pascenzio non erano suffragate da alcuna evidenza né dall'autorità della sacra
scrittura e le confutò.
17. 4. Ma quando le due parti si divisero, quello ancor più adirato e furente andava
diffondendo molte menzogne per sostenere la sua fede erronea, vantandosi che
Agostino, da tanti esaltato, era stato sconfitto da lui.
17. 5. Poiché queste vanterie erano ormai divulgate, Agostino fu costretto a
scrivere a Pascenzio, pur senza fare i nomi di quelli che avevano disputato per
riguardo al timore che aveva Pascenzio, e nelle lettere espose fedelmente ciò che le
due parti avevano detto e fatto: se quello avesse negato, egli a comprovare i fatti
aveva molti testimoni, cioè quelle persone di alta condizione che erano state lì
presenti.
17. 6. Alle due lettere che gli erano state indirizzate, a stento quello ne inviò una
sola di risposta, nella quale era solo capace di insultare piuttosto che dare
dimostrazione della sua dottrina. Tutto ciò può esser provato a chi vuole e sa
leggere.
17. 7. Ancora con un vescovo ariano, di nome Massimino, che era venuto in Africa
con i Goti, Agostino ebbe una pubblica discussione ad Ippona, per desiderio e
richiesta di molti, alla presenza di persone importanti: ciò che le due parti
esposero, sta scritto.
17. 8. Se gl'interessati vorranno leggere con attenzione, senza dubbio
esamineranno sia ciò che afferma l'astuta e irragionevole eresia per sviare ed
ingannare, sia ciò che professa e insegna la chiesa cattolica sulla divina Trinità.
17. 9. Ma quell'eretico, tornato da Ippona a Cartagine, in forza della grande
loquacità di cui aveva dato prova nel dibattito, si vantava falsamente di essere
uscito di qui vincitore. E poiché tutto ciò non poteva essere esaminato e valutato
facilmente da persone non versate nelle sacre scritture, più tardi Agostino
ricapitolò per iscritto tutto quel dibattito, presentando una per una le obiezioni e le
risposte. Fu così messo in chiaro che quello non aveva saputo rispondere alle
obiezioni di Agostino, e furono fatte pure alcune aggiunte, poiché nel ristretto
tempo del dibattito Agostino non aveva potuto dire e far trascrivere tutto. infatti
quell'uomo perfido aveva fatto in modo che il suo ultimo intervento, protratto molto
in lungo, occupasse tutto lo spazio di tempo che rimaneva.

Attività antipelagiana. Frutti delle sue fatiche. Gli scritti


18. 1. Anche contro i pelagiani, nuovi eretici del nostro tempo, abili polemisti che
con arte sottile e nociva scrivevano e parlavano ovunque potevano, in pubblico e
nelle case private, Agostino ebbe a che fare per circa 10 anni: a tal riguardo
scrisse e pubblicò molti libri e molto spesso predicò in chiesa al popolo su questo
errore.
18. 2. Poiché questi perversi con grande attività cercavano di attirare alla loro
perfidia anche la sede apostolica, in maniera pressante anche concili di vescovi
africani si adoperarono perché i papi della città santa, prima il venerabile
Innocenzo e dopo il beato Zosimo suo successore, si convincessero quanto quella
dottrina dovesse essere respinta e condannata dalla fede cattolica.
18. 3. Quei vescovi di sede tanto importante in tempi diversi condannarono i
pelagiani e li separarono dalle membra della chiesa, e con lettere inviate alle
chiese d'Africa, d'Oriente e d'Occidente, stabilirono che quelli dovevano essere
condannati ed evitati da tutti i cattolici.
18. 4. Anche il piissimo imperatore Onorio, informato di questo giudizio emanato
contro i pelagiani dalla chiesa cattolica di Dio, si uniformò ad esso e con alcune
sue leggi li condannò e decretò che quelli dovevano essere considerati eretici.
18. 5. Per cui alcuni di loro, che si erano allontanati dal grembo di santa madre
chiesa, vi sono ritornati e altri ancora vi ritornano, mentre si fa strada e prevale
sempre di più contro quel detestabile errore la verità della retta fede.
18. 6. Quell'uomo memorabile era un importante membro del corpo del Signore,
sempre sollecito e vigile per tutto ciò che riuscisse utile alla chiesa universale.
18. 7. Per volontà divina gli fu concesso di godere già in questa vita il frutto delle
sue fatiche, innanzitutto nella regione della chiesa d'Ippona, cui specificamente egli
era a capo, e anche nelle altre parti d'Africa: infatti vedeva che sia per opera sua
sia di quelli che egli stesso aveva dato come vescovi la chiesa del Signore si era
amplificata e incrementata, e godeva che manichei donatisti pelagiani e pagani in
gran parte erano venuti meno e si erano uniti alla chiesa di Dio.
18. 8. Favoriva gli studi e i progressi di tutti i buoni e se ne rallegrava, e piamente
e santamente tollerava certe mancanze di disciplina dei fratelli, mentre
s'addolorava della malvagità dei cattivi, sia di quelli nella chiesa sia fuori della
chiesa; gioiva sempre, come ho detto, di ciò che recava giovamento alle cose del
Signore e s'addolorava per ciò che recava loro danno.
18. 9. Molti libri furono da lui composti e pubblicati, molte prediche furono tenute
in chiesa, trascritte e corrette, sia per confutare i diversi eretici sia per interpretare
le sacre scritture ad edificazione dei santi figli della chiesa. Queste opere furono
tante che a stento uno studioso ha la possibilità di leggerle e imparare a
conoscerle.
18. 10. D'altra parte, per non defraudare di nulla chi ha brama di parole di verità,
ho stabilito con l'aiuto di Dio di allegare alla fine di questo libro anche l'indice di
quei libri, prediche e lettere. Una volta che lo avrà letto, chi ama più la verità di
Dio che le ricchezze temporali potrà scegliersi l'opera che vorrà da leggere e
conoscere e potrà chiederne copia anche alla biblioteca d'Ippona, dove troverà
esemplari più corretti, ovvero cercherà dove potrà. Così trascriverà e conserverà
le opere che avrà trovato e senza gelosia le darà da trascrivere anche a chi glielo
chiederà.

Agostino nella vita di ogni giorno (cc. 19-27)

Agostino giudice

19. 1. Agostino seguiva anche il consiglio dell'Apostolo che dice: Chi di voi ha una
lite con un altro, oserà appellarsi al giudizio degl'infedeli e non dei santi? Ignorate
forse che i santi giudicheranno il mondo? E se voi giudicherete il mondo, non siete
capaci di giudicare cose dappoco? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Ma
allora non giudicheremo tanto più le cose del mondo? Perciò, se giudicherete fra di
voi cose del mondo, mettete a presiedere coloro che nella chiesa contano di meno.
Vi parlo così per vostra vergogna. Non c'è fra di voi qualche persona saggia, che
possa giudicare fra i suoi fratelli? E invece il fratello viene a giudizio col fratello, e
questo davanti agli infedeli? (1 Cor. 6, 1 ss.).
19. 2. Richiesto perciò da cristiani e da persone di ogni religione, ascoltava le
cause con religiosa attenzione: aveva sempre presente l'affermazione di uno che
diceva che preferiva giudicare fra persone sconosciute piuttosto che fra amici:
infatti mediante un equo giudizio di uno sconosciuto si poteva fare un amico,
mentre invece avrebbe perso l'amico, cui avesse dovuto dar torto nel giudizio.
19. 3. Con continuità ascoltava le cause e giudicava, talvolta fino all'ora di
colazione, altre volte per l'intera giornata rimanendo a digiuno; e in quest'attività
considerava il valore delle anime cristiane, quanto ciascuno progredisse nella fede
e nei buoni costumi, ovvero regredisse.
19. 4. Sapeva cogliere il momento opportuno per spiegare alle parti la verità della
legge divina e l'inculcava in loro, insegnando e rammentando il modo di
conseguire la vita eterna. Da coloro per i quali attendeva a quest'attività non
richiedeva altro se non l'obbedienza e la devozione cristiana, che è dovuta a Dio e
agli uomini, e riprendeva i peccatori alla presenza di tutti, perché gli altri ne
avessero timore.
19. 5. Svolgeva tale attività quasi come sentinella stabilita dal Signore alla casa
d'Israele (Ez. 3, 17; 33, 7), predicando la parola e insistendo a tempo debito e non
debito, riprendendo esortando rimproverando con ogni pazienza e dottrina (2 Tim.
4, 2), dedicandosi soprattutto ad istruire quelli che erano adatti ad insegnare
anche agli altri.
19. 6. Richiesto anche da alcuni di occuparsi di loro questioni temporali, mandava
lettere a varie persone. Ma riteneva un peso questa occupazione che lo distoglieva
da attività più importanti: infatti gli era gradito discutere sempre delle cose di Dio,
sia in pubblico sia in discussione fraterna e familiare.

Sollecitudine e discrezione nei rapporti con le autorità

20. 1. Sappiamo anche che egli, pur richiesto da persone a lui molto care, non
scrisse lettere di raccomandazione alle autorità civili: a tal proposito soleva dire
che si doveva osservare la massima di un sapiente, del quale è scritto che, in
considerazione del suo buon nome, non aveva concesso molto agli amici; e di suo
poi aggiungeva che per lo più il potente che concede qualcosa preme per il
contraccambio.
20. 2. Quando poi, pregato, vedeva che era necessario intercedere, lo faceva così
dignitosamente e discretamente che non soltanto non risultava fastidioso o molesto,
ma addirittura era oggetto d'ammirazione. Così una volta, presentatasi la
necessità, egli scrisse a suo modo ad un vicario d'Africa, di nome Macedonio, per
raccomandare un postulante; e il vicario, dopo aver esaudito la richiesta, gli
rispose così:
20. 3. « Ammiro moltissimo la tua sapienza sia nei libri che hai pubblicato sia in
questa lettera che non hai ritenuto gravoso inviarmi per intercedere a favore di chi
si trovava in strettezze.
20. 4. Infatti quelli contengono tanto acume, scienza e santità che nulla vi è di
superiore ad essi; la lettera poi è scritta con tanta discrezione che, se non
accordassi ciò che chiedi, dovrei ritenere che la colpa è mia e non dipende dalla
difficoltà della questione, signore meritatamente venerabile e padre degnissimo.
20. 5. Infatti tu non insisti, come fanno quasi tutti quelli di qui, per ottenere ad ogni
costo ciò che chiede l'interessato; ma ciò che ti sembra opportuno chiedere ad un
giudice stretto da tante preoccupazioni, questo tu chiedi con quella delicatezza che
fra i buoni è la più efficace per ottenere cose difficili. Perciò ho accordato ciò che
chiedevano le persone che hai raccomandato: del resto già prima avevo dato loro
motivo di sperare ».

Concili e ordinazioni

21. l. Quando poteva, prendeva parte ai concili episcopali celebrati nelle diverse
province`, ricercando in essi non il suo interesse ma quello di Gesù Cristo (Fil. 2,
21), perché la fede della santa chiesa non riportasse danno e perché alcuni vescovi
e chierici, scomunicati a ragione o a torto, fossero assolti oppure rimossi.
21. 2. Nelle ordinazioni dei vescovi e dei chierici riteneva che si dovessero seguire
il consenso della maggior parte dei fedeli e la consuetudine della chiesa.
Semplicità di vita e libertà di spirito. Carità sopra tutto

22. 1. Le sue vesti, i calzari, la biancheria da letto erano di qualità media e


conveniente, né troppo di lusso né di tipo troppo scadente: infatti a tal proposito gli
uomini son soliti o far troppa esibizione oppure vestirsi troppo poveramente,
ricercando in ambedue i casi il proprio vanto, non l'utile di Gesù Cristo (Fil. 2,
21).
22. 2. Invece Agostino, come ho detto, teneva una via di mezzo, non eccedendo né
da una parte né dall'altra (Num. 20, 17). Usava di una mensa frugale e parca, che
però fra la verdura e i legumi aveva qualche volta anche la carne, per riguardo
agli ospiti o a qualcuno che non stava bene, e aveva sempre il vino: infatti Agostino
conosceva e ripeteva le parole dell'Apostolo: Ogni creatura di Dio è buona e niente
bisogna rifiutare di quel che si accetta con rendimento di grazie: infatti questo
viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera (1 Tim. 4, 4 s.).
22. 3. E lo stesso beato Agostino dice nelle Confessioni: « Non temo l'immondezza
del cibo, ma l'immondezza della cupidigia. So che a Noè fu permesso di mangiare
ogni genere di carne che potesse servire da cibo (Gen. 9, 2 ss.), che Elia fu
rifocillato con la carne (1 Re, 17, 6), che Giovanni, la cui astinenza era oggetto di
meraviglia, non fu contaminato dagli animali che gli servivano da cibo, cioè le
cavallette (Mt. 3, 4). So invece che Esaù fu sedotto dal desiderio di lenticchie (Gen.
25, 29 ss.), che Davide si rimproverò per il desiderio dell'acqua (2 Sam. 23, 15 ss.),
e che il nostro re fu tentato non con la carne ma col pane (Mt. 4, 3). E anche il
popolo nel deserto meritò di essere rimproverato non perché aveva desiderato
carne ma perché per desiderio di carne aveva mormorato contro il Signore (Num.
11, 1 ss.) » (Conf., X, 46).
22. 4. Quanto al bere vino, l'Apostolo scrive così a Timoteo: Non bere soltanto
acqua, ma fa' uso anche di un po' di vino per il tuo stomaco e le tue frequenti
malattie (1 Tim. 5, 24).
22. 5. Usava d'argento soltanto i cucchiai, ma il vasellame per portare i cibi a
tavola erano o di terracotta o di legno o di marmo, e ciò non per povertà ma di
proposito.
22. 6. Fu sempre molto ospitale. E durante il pranzo aveva più cara la lettura o la
discussione che non il mangiare e il bere. Contro quella pessima abitudine degli
uomini teneva qui questa iscrizione:

Chi ama calunniare gli assenti,


sappia di non esser degno di questa mensa.

Ammoniva così ogni invitato ad astenersi da chiacchiere superflue e dannose.


22. 7. Una volta che alcuni vescovi che gli erano molto amici si erano dimenticati
della scritta e parlavano in maniera contraria ad essa, Agostino indignato li
riprese aspramente, dicendo che o quei versi dovevano essere cancellati dalla
mensa o che egli si sarebbe alzato in mezzo al pranzo e se ne sarebbe andato in
camera sua. Possiamo testimoniare questo episodio io ed altri che prendevamo
parte a quel pranzo.

Carità e disinteresse

23. l. Si ricordava sempre dei compagni di povertà e dava loro attingendo a quel
che serviva per sé e per coloro che abitavano insieme con lui, cioè dalle rendite dei
beni della chiesa e anche dalle offerte dei fedeli.
23. 2. Per evitare che questi beni - come di solito avviene - fossero fonte di odiosità
nei confronti dei chierici, egli soleva dire al popolo di Dio che avrebbe preferito
vivere delle loro offerte piuttosto che sobbarcarsi la cura e l'amministrazione di
quei beni: perciò egli era pronto a cederli ai fedeli, sì che tutti i servi e i ministri di
Dio vivessero così come nel Vecchio Testamento si legge che chi serviva all'altare,
aveva parte del medesimo (Deut. 18, 1 ss.; 1 Cor. 9, 13). Ma i laici non vollero mai
accettare quella proposta.

Amministrazione dei beni della Chiesa

24. 1. Delegava e affidava a turno ai chierici più abili l'amministrazione e tutti i


beni della casa annessa alla chiesa, senza tenere per sé né chiave né anello, e
quelli che erano stati preposti alla casa segnavano tutte le entrate e le uscite. Il
rendiconto gli veniva letto alla fine di ogni anno, perché egli sapesse quanto si era
ricevuto e quanto si era distribuito o rimanesse da distribuire. Ma in molti affari
dava fiducia all'amministratore piuttosto che verificare i conti precisi e
documentati.
24. 2. Non volle mai comprare casa, campo o villa, ma se qualcuno
spontaneamente donava qualcosa di tale alla chiesa o lo affidava a titolo di
deposito, non rifiutava ma diceva di accettare.
24. 3. Sappiamo però che rifiutò alcune eredità, non perché sarebbero state inutili
ai poveri ma perché riteneva giusto ed equo che esse venissero in possesso dei figli
o dei parenti o dei genitori dei defunti, ai quali quelli morendo non le avevano
voluto lasciare.
24. 4. Un tale fra i cittadini d'Ippona di alta condizione, che viveva a Cartagine,
volle donare una proprietà alla chiesa d'Ippona, e fatto il documento, mentre
tratteneva per sé l'usufrutto, lo mandò senz'altro ad Agostino di beata memoria.
Egli accettò volentieri l'offerta, rallegrandosi con quello perché provvedeva alla
sua salvezza eterna.
24. 5. Ma dopo alcuni anni, mentre io mi trovavo Per caso presso di lui, ecco che il
donatore manda per mezzo di suo figlio una lettera con la quale pregava di
restituire a suo figlio il documento di donazione, mentre diceva di distribuire ai
poveri 100 soldi.
24. 6. Quando il santo venne a conoscenza della lettera, si addolorò che l'uomo o
aveva simulato la donazione ovvero si era pentito della buona opera, e tutto quanto
poté e Dio suggerì al suo cuore, addolorato per questa resipiscenza, disse a
rimprovero e correzione di quello.
24. 7. Subito restituì il documento che quello aveva mandato spontaneamente e che
non era stato né desiderato né richiesto, rifiutò la somma di danaro e con la lettera
di risposta riprese e rimproverò come si doveva quell'uomo, ammonendolo a dare
umilmente soddisfazione a Dio per quella ch'era simulazione o iniquità, per non
uscir di vita con un peccato così grave.
24. 8. Spesso diceva anche ch'è più sicuro per la chiesa ricevere legati di defunti
piuttosto che eredità che potevano riuscire fonti di preoccupazioni e danni, e che i
legati dovevano essere piuttosto offerti che non richiesti.
24. 9. Egli non accettava alcun deposito, ma non lo proibiva ai chierici che
volessero accettarli.
24. 10. Non si applicava con zelo e passione ai beni che la chiesa aveva in
proprietà o in possesso, ma era maggiormente interessato e dedito alle realtà più
importanti dello spirito, anche se talvolta si distoglieva dalla meditazione delle
cose eterne per dedicarsi a quelle temporali.
24. 11. Ma dopo averle disposte ed ordinate, lasciatele da parte come cose noiose e
moleste, riportava l'animo alle realtà interiori e superiori, sia che meditasse
nell'indagine delle realtà divine sia che dettasse qualcosa che avesse già trovato in
argomento sia che correggesse ciò ch'era stato già dettato e trascritto. Per far
questo, lavorava di giorno e vegliava di notte.
24. 12. Egli era come quella piissima Maria, ch'è simbolo della chiesa celeste: di
lei è scritto che sedeva ai piedi del Signore intenta ad ascoltare la sua parola; e
poiché la sorella si lamentò di lei perché non l'aiutava mentre essa era occupata in
gran da fare, si sentì dire: Marta, Marta, Maria ha scelto la parte migliore,
chenon le sarà tolta (Lc. 10, 39 s.).
24. 13. Non ebbe mai interesse a nuove costruzioni, evitando di applicare in
questioni del genere l'animo che voleva aver sempre libero da ogni molestia
temporale. Non impediva però coloro che volessero costruire, purché non in
maniera troppo lussuosa.
24. 14. Talvolta, quando mancava danaro alla chiesa, comunicava al popolo dei
fedeli che egli non aveva di che distribuire ai poveri.
24. 15. Per aiutare prigionieri e gran quantità di poveri, fece spezzare e fondere
alcuni vasi sacri e distribuì il ricavato a chi ne aveva bisogno.
24. 16. Non avrei ricordato questo episodio, se non sapessi che esso contrasta
l'opinione di alcuni uomini che pensano secondo la carne. Del resto anche
Ambrogio di venerabile memoria ha detto e scritto che in tali strettezze senz'altro si
deve fare così.
24. 17. Talvolta Agostino, parlando in chiesa, ricordava che i fedeli trascuravano
la cassa dei poveri e quella della sacrestia, dalla quale si provvede ciò ch'è
necessario per l'altare: a tal proposito una volta mi riferì che, mentre egli era
presente, anche il beato Ambrogio aveva trattato in chiesa lo stesso argomento.

Autorità paterna. La legge del perdono

25. l. I chierici stavano sempre con lui nella stessa casa e venivano nutriti e vestiti
con una sola mensa e con spese comuni.
25. 2. Perché nessuno, troppo proclive a giurare, incorresse anche nello spergiuro,
predicava su questo argomento in chiesa al popolo e ai suoi intimi aveva proibito
di giurare, anche a tavola. Se uno avesse mancato, perdeva una bevanda di quelle
stabilite: infatti era prefissato il numero dei bicchieri di vino per quelli che
vivevano e pranzavano con lui.
25. 3. Mancanze di disciplina e trasgressioni dei suoi dalla regola retta e onesta
tollerava e rimproverava quanto conveniva ed era necessario: a tal proposito
insegnava specialmente che nessuno doveva piegare il suo cuore a parole cattive
per cercare scuse ai suoi peccati (Sal. 140, 4).
25. 4. Ammoniva pure che se uno offriva il suo dono all'altare e lì si fosse ricordato
che un suo fratello aveva qualcosa contro di lui, avrebbe dovuto lasciare il dono
all'altare e andare a riconciliarsi col fratello e solo allora sarebbe dovuto tornare
all'altare e offrire il dono (Mt. 5, 23 s.).
25. 5. Se poi uno aveva qualcosa contro un suo fratello, lo doveva trarre da parte:
se quello gli avesse dato ascolto, avrebbe guadagnato quel suo fratello; in caso
contrario, avrebbe fatto ricorso ad una o due persone. Se poi quello non avesse
tenuto in alcun conto neppure costoro, si sarebbe fatto ricorso alla chiesa: se
quello non avesse obbedito neppure a questa, sarebbe stato per lui come un pagano
e un pubblicano (Mt. 18, 15 s.).
25. 6. Aggiungeva anche che al fratello che peccava e chiedeva perdono bisognava
rimettere il peccato non sette volte ma settanta volte sette, come ciascuno chiede
ogni giorno al Signore di perdonarlo (Mt. 18, 21 s.; 6, 12).

Presìdi della castità

26. 1. Nessuna donna frequentò mai la sua casa né vi rimase per qualche tempo,
neppure la sua sorella germana, che vedova consacrata a Dio per molto tempo fino
al giorno della sua morte fu preposta alle serve del Signore, e neppure le figlie di
suo fratello ch'erano parimenti consacrate a Dio: eppure i concili episcopali
avevano fatto eccezione per queste persone.
26. 2. Affermava a tal proposito che certo non poteva sorgere alcun sospetto a
causa della sorella e delle nipoti che fossero vissute insieme con lui; però, poiché
quelle non avrebbero potuto vivere insieme con lui senza la compagnia di altre
donne loro amiche e sarebbero venute a visitarle anche altre donne di fuori, a
causa di queste poteva nascere motivo di scandalo per i più deboli (1 Cor. 8, 9;
Rom. 14, 13). Infatti qualcuno di quelli che stavano insieme col vescovo o con
qualche chierico potevano cedere a tentazioni umane a causa di tutte quelle donne
che abitavano insieme o usavano recarsi lì, ovvero inevitabilmente sarebbe stato
diffamato dai malvagi sospetti degli uomini.
26. 3. Perciò affermava che mai donne debbono vivere nella stessa casa con i servi
di Dio, anche castissimi, per evitare - come ho detto - che tale esempio costituisse
motivo di scandalo o di offesa per i deboli. Egli poi, se veniva invitato da qualche
donna a visitarla e salutarla, non si recava mai da quella senza la compagnia di
chierici, e mai parlò con esse da solo a sole, neppure se si doveva trattare qualche
questione riservata.

Carità e prudenza. Umiltà e confidenza in Dio

27. 1. Nel visitare seguiva la norma stabilita dall'Apostolo (Giac. 1, 27), di non
visitare se non gli orfani e le vedove che si trovavano in strettezze.
27. 2. Se poi veniva richiesto dai malati di pregare per loro il Signore in loro
presenza e di imporre loro le mani, si recava senza indugio.
27. 3. Non visitava monasteri femminili se non in caso di urgente necessità.
27. 4. Diceva che nella vita e nei costumi dell'uomo di Dio si dovevano seguire i
consigli che egli aveva appreso da Ambrogio di santa memoria: non cercare
moglie per nessuno, non raccomandare chi vuole fare la carriera militare, stando
al proprio paese non accettare inviti a pranzo.
27. 5. Spiegava così i motivi di ognuno di questi consigli: per evitare che i coniugi,
venuti a lite, maledicessero colui per la cui opera si erano uniti (perciò il sacerdote
doveva limitarsi ad intervenire richiesto dai due che erano già d'accordo, per
confermare e benedire il loro accordo); per evitare che, comportandosi male colui
che era stato raccomandato al servizio militare, la colpa ricadesse su chi l'aveva
raccomandato; per evitare infine che uno, frequentando troppo i banchetti nel suo
paese, smarrisse la misura della temperanza.
27. 6. Ci disse anche di aver udito una risposta quanto mai sapiente e pia di
quell'uomo di beata memoria che si trovava alla fine della vita, e molto la lodava e
magnificava.
27. 7. Quell'uomo venerabile giaceva nella sua ultima malattia e alcuni fedeli di
alta condizione, che stavano intorno al suo letto e lo vedevano sul punto di passare
dal mondo al Signore, si lamentavano che la chiesa restasse priva dell'opera di un
tale vescovo sia nella predicazione sia nell'amministrazione dei sacramenti e lo
pregavano fra le lacrime che chiedesse al Signore un prolungamento della vita. Ma
quello rispose loro: « Non ho vissuto in maniera tale da dovermi vergognare di
vivere fra voi: ma neppure temo di morire, perché abbiamo un buon Signore ».
27. 8. In tale risposta il nostro Agostino ormai vecchio ammirava ed approvava la
ponderatezza e l'equilibrio delle parole. Infatti le parole di Ambrogio « ma neppure
temo di morire, perché abbiamo un buon Signore » dovevano essere intese nel
senso che non si doveva credere che egli, perché fiducioso nella sua purezza di
costumi, prima aveva detto: « Non ho vissuto in maniera tale da dovermi
vergognare di vivere fra voi ». Aveva detto così in riferimento a ciò che gli uomini
possono conoscere di un uomo; ma in riferimento all'esame della giustizia divina
confidava soprattutto nel buon Signore, al quale anche nella orazione quotidiana
da lui insegnata diceva: Rimettici i nostri debiti (Mt. 6, 12).
27. 9. Riferiva anche di frequente una risposta su questo argomento, data da un suo
collega di episcopato a lui molto amico: mentre quello era sul punto di morire,
Agostino era andato a visitarlo; quello con la mano aveva fatto un gesto per
indicare che stava per uscire dal mondo ed Agostino gli aveva risposto che per la
chiesa era necessario che egli potesse ancora vivere: allora quello, perché non si
credesse che era trattenuto dal desiderio di questa vita, aveva replicato: « Se mai,
bene. Ma se una volta, perché non ora? ».
27. 10. E Agostino ammirava e lodava questa risposta, che era stata data da un
uomo certo timorato di Dio ma nato e cresciuto in campagna e che non aveva fatto
molte letture.
27. 11. Certo costui era in contrasto con i sentimenti di quel vescovo, di cui
riferisce così il santo martire Cipriano nella lettera che scrisse sulla pestilenza: «
Poiché uno dei nostri colleghi di episcopato, prostrato dalla malattia e turbato
dall'avvicinarsi della morte, chiedeva per sé un prolungamento della vita, mentre
pregava così ed era quasi morto gli si presentò un giovane venerabile per dignità e
maestà, di alta statura e di aspetto splendente. Era tale che vista umana a stento
poteva osservarlo con gli occhi carnali mentre stava vicino a colui che stava per
uscire dal mondo; ma invece proprio costui lo poteva scorgere. E quel giovane con
voce che fremeva per l'indignazione dell'animo disse: "Avete paura di soffrire, non
ve ne volete andare: che cosa farò per voi?" » (Cipr., Mort., 19).

Ultime vicende e morte (cc. 28-31)

Revisione dei libri. Orrori dell'invasione vandalica e assedio d'Ippona

28. 1. Poco tempo prima della morte fece una revisione dei libri che aveva
composto e pubblicato, sia quelli che aveva scritto ancora da laico appena si era
convertito, sia quelli che aveva composto quando era prete e vescovo: tutto quello
che in essi notò che era stato scritto in difformità della regola di fede, quando egli
non era ancora bene al corrente delle norme della chiesa, tutto ciò fu da lui rivisto
e corretto. Perciò egli scrisse anche due libri, che si intitolano Revisione dei libri.
28. 2. Si lamentava anche che alcuni libri gli erano stati portati via da certi fratelli
prima che egli li avesse accuratamente corretti, anche se poi li aveva corretti in un
secondo tempo. Sorpreso dalla morte, lasciò incomplete alcune opere.
28. 3. Poiché voleva essere utile a tutti, a quelli che possono leggere molti libri e a
quelli che non possono, dal Vecchio e dal Nuovo Testamento estrasse passi
contenenti precetti e divieti e, premessa una prefazione, li raccolse in un volume:
così chi volesse leggerlo, vi avrebbe riconosciuto quanto fosse obbediente a Dio o
disobbediente. Volle intitolare questa opera Specchio.
28. 4. Poco tempo dopo, per volontà e disposizione divina avvenne che un grande
esercito, armato con armi svariate ed esercitato alla guerra, composto dai crudeli
nemici Vandali e Alani, cui s'erano uniti Goti e gente di altra stirpe, con le navi
fece irruzione dalle parti trasmarine della Spagna in Africa.
28. 5. Gli invasori attraverso tutta la Mauretania passarono anche nelle altre
nostre province e regioni, e imperversando con ogni atrocità e crudeltà
saccheggiarono tutto ciò che potettero fra spogliazioni, stragi, svariati tormenti,
incendi e altri innumerevoli e nefandi disastri. Non risparmiarono né sesso né età,
neppure i sacerdoti e i ministri di Dio, neppure gli ornamenti, le suppellettili e gli
edifici delle chiese.
28. 6. Tali crudelissime violenze e devastazioni quell'uomo di Dio vedeva e pensava
che esse fossero avvenute ed avvenissero non come pensavano gli altri uomini: ma
poiché le considerava in modo più profondo e vi ravvisava soprattutto il pericolo e
la morte delle anime (infatti sta scritto: Chi aggiunge scienza aggiunge dolore, e
un cuore intelligente è un tarlo per le ossa [Eccli. 1, 18; Prov. 14, 30; 25, 20]),
ancor più del solito le lacrime furono il suo pane giorno e notte ed egli ormai nella
estrema vecchiaia conduceva e sopportava una vita amara e luttuosa più degli
altri.
28. 7. Infatti l'uomo di Dio vedeva le città distrutte, e nelle campagne insieme con
gli edifici gli abitanti o uccisi dal ferro nemico o fuggiti e dispersi, le chiese prive
di sacerdoti e ministri, le vergini consacrate e i continenti dispersi da ogni parte: di
costoro alcuni eran venuti meno fra le torture; altri erano stati uccisi con la spada;
altri ridotti in schiavitù, persa ormai l'integrità e la fede dell'anima e del corpo,
servivano i nemici con trattamento duro e cattivo.
28. 8. Nelle chiese non si cantavano più inni e lodi a Dio; in molti luoghi le chiese
erano state bruciate; erano venuti meno nei luoghi a ciò consacrati i sacrifici
solenni dovuti a Dio; i sacramenti divini o non venivano richiesti oppure non
potevano essere amministrati a chi li richiedeva, perché non si trovava facilmente
il ministro.
28. 9. Coloro che si erano rifugiati nelle selve montane e in grotte e caverne o in
altro riparo erano stati alcuni sopraffatti e catturati, altri erano privi di mezzi di
sostentamento a punto tale da morire di fame. 1 vescovi e i chierici che per grazia
di Dio o non avevano incontrato gl'invasori o erano riusciti a sfuggir loro,
spogliati di ogni cosa mendicavano nella miseria più nera, né era possibile aiutarli
tutti in tutto ciò di cui abbisognavano.
28. 10. Di innumerevoli chiese a mala pena solo tre per grazia di Dio non sono
state distrutte, quelle di Cartagine, Cirta e Ippona, e restano in piedi le loro città,
protette dal presidio divino e umano (ma dopo la morte di Agostino anche Ippona,
abbandonata dagli abitanti, fu incendiata dai nemici).
28. 11. E Agostino, in mezzo a tali sciagure, si consolava con la sentenza di un
sapiente che dice: « Non sarà grande colui che ritiene gran cosa il fatto che
cadono alberi e pietre e muoiono i mortali ».
28. 12. Era molto saggio, e perciò piangeva ogni giorno a calde lacrime tutte
queste sciagure. Si aggiunse ai suoi dolori e ai suoi lamenti il fatto che i nemici
vennero ad assediare Ippona, che fino allora era rimasta indenne, poiché si era
occupato della sua difesa l'allora conte Bonifacio con un esercito di Goti alleati. I
nemici l'assediarono strettamente per quasi 14 mesi e le chiusero anche la via del
mare.
28. 13. Qui mi ero rifugiato anch'io insieme con altri colleghi d'episcopato e
fummo insieme con lui per tutto il tempo dell'assedio. Molto spesso parlavamo fra
noi e consideravamo che davanti ai nostri occhi Dio poneva i suoi tremendi giudizi,
e dicevamo: Sei giusto, Signore, e retto è il tuo giudizio (Sal. 118, 137). Tutti
insieme addolorati, gemendo e piangendo, pregavamo il Padre della misericordia e
Dio di ogni consolazione (2 Cor. 1, 3) perché si degnasse confortarci in quella
tribolazione.

Ultima malattia e ultime opere buone

29. 1. Un giorno, mentre pranzavamo con lui e parlavamo di questi argomenti, egli
ci disse: « Sappiate che in questi giorni della nostra disgrazia ho chiesto a Dio
questo: o che si degni di liberare la nostra città dall'assedio dei nemici; o, se la sua
volontà è diversa, che renda forti i suoi servi per poter sopportare questa volontà;
ovvero che mi accolga presso di sé, uscito dal mondo».
29. 2. Così diceva e ci istruiva, e quindi, insieme con lui, noi tutti e tutti quelli che
stavano in città pregavamo allo stesso modo il sommo Dio.
29. 3. Ed ecco, durante il terzo mese dell'assedio si mise a letto con la febbre e
questa fu l'ultima malattia che l'afflisse. Né il Signore negò al suo servo il frutto
della sua preghiera: infatti egli ottenne a suo tempo ciò che con preghiere miste a
lacrime aveva chiesto per sé e per la città.
29. 4. Venni anche a sapere che, quando era prete e vescovo, egli era stato
richiesto di pregare per alcuni energumeni che soffrivano, ed egli fra le lacrime
aveva pregato Dio, e i demoni si erano allontanati da quegli uomini.
29. 5. Parimenti, mentre era malato e stava a letto, venne da lui un tale con un suo
parente malato e lo pregò di imporre a quello la mano perché potesse guarire.
Agostino gli rispose che, se avesse avuto qualche potere per tali cose, in primo
luogo ne avrebbe fatto uso per sé. Ma quello replicò che in sonno aveva avuto
un'apparizione e gli era stato detto: « Va' dal vescovo Agostino perché imponga a
costui la sua mano, e sarà salvo ». Appreso ciò egli non indugiò a fare quel che si
chiedeva, e il Signore subito fece andar via guarito quel malato dal suo letto.

Consigli al vescovo Onorato sulla condotta del clero di fronte agli invasori

30. 1. A tal proposito non debbo passare sotto silenzio che, mentre sovrastava la
minaccia dei nemici, Onorato, santo uomo nostro collega di episcopato nella
chiesa di Tiabe, per lettera chiese ad Agostino se, quando i Vandali si
avvicinavano, i vescovi e i chierici dovessero allontanarsi dalle loro chiese oppure
no. E con la sua risposta Agostino mise in evidenza ciò che si dovesse soprattutto
temere da quei distruttori del mondo romano.
30. 2. Ho voluto inserire questa lettera nel mio scritto: infatti è molto utile e
necessaria perché i sacerdoti e i ministri di Dio sappiano come comportarsi.
30. 3. «Al santo fratello e collega nell'episcopato Onorato, Agostino augura salute
nel Signore. Avendo mandato alla tua carità una copia della lettera che avevo
scritto al fratello Quodvultdeus, nostro collega nell'episcopato, credevo di aver
soddisfatto alla richiesta che mi avevi fatto col chiedermi consiglio su che cosa
dobbiate fare in questi pericoli che sono sopraggiunti ai nostri giorni.
30. 4. Infatti, anche se quella lettera che scrissi era breve, ritengo di non aver
omesso alcunché, che possa essere sufficiente scrivere da parte di chi risponde e
leggere da parte di chi chiede. Dissi infatti che non si doveva imporre divieto a
coloro che, se possono, desiderano trasferirsi in luoghi fortificati, ma che non si
dovevano spezzare i legami del nostro ministero, con i quali ci ha legati l'amore di
Cristo, sì che non dovevamo abbandonare le chiese, alle quali dobbiamo prestare
servizio.
30. 5. Ecco come scrissi in quella lettera: " Poiché il nostro ministero è così
necessario al popolo di Dio che esso non deve rimanerne privo, nel caso che una
parte anche piccola di esso rimanga dove siamo noi, a noi non resta che dire al
Signore: Sia Dio il nostro protettore e la nostra difesa (Sal. 30, 3) ".
30. 6. Ma questo consiglio non ti soddisfa, se - come scrivi - tu temi di operare in
contrasto col comando del Signore che ci dice che bisogna fuggire di città in città;
ricordiamo infatti le sue parole: Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in
un'altra (Mt. 10, 23).
30. 7. Ma chi può credere che con questo consiglio il Signore abbia inteso che
restasse privo del necessario servizio, senza il quale non può vivere, il gregge che
egli si è acquistato col suo sangue?
30. 8. Non ha fatto così egli stesso quando ancor fanciullo, portato dai genitori,
fuggì in Egitto? Ma egli non aveva ancora radunato chiese che noi possiamo dire
essere state da lui abbandonate.
30. 9. Che forse l'apostolo Paolo non fu calato attraverso una finestra in una cesta,
per non essere preso dal nemico, e così riuscì a sfuggirgli? Ma rimase forse priva
del necessario servizio la chiesa che stava lì e non fu fatto quanto era necessario
dai fratelli che lì rimanevano? Infatti l'Apostolo agì così proprio perché lo
volevano i fratelli, per conservare alla chiesa se stesso, che il persecutore cercava
specificamente.
30. 10. Perciò i servi di Cristo, ministri della sua parola e del suo sacramento,
agiscano come egli ha comandato o permesso. Fuggano senz'altro di città in città,
quando qualcuno di loro è cercato nominativamente dai persecutori, in maniera
tale che la chiesa non sia abbandonata dagli altri che non sono ricercati allo stesso
modo, ma questi somministrino nutrimento ai loro conservi, che essi sanno non
poter vivere altrimenti.
30. 11. Ma quando il pericolo è comune per tutti, vescovi chierici e laici, coloro
che hanno bisogno degli altri non siano abbandonati da quelli di cui essi hanno
bisogno. Perciò o si trasferiscano tutti insieme in luoghi fortificati, ovvero coloro
che debbono necessariamente rimanere non siano abbandonati da coloro che
debbono loro fornire quanto è necessario alla vita religiosa: sopravvivano allo
stesso modo o patiscano allo stesso modo ciò che il Padre di famiglia avrà voluto
ch'essi patiscano.
30. 12. Se poi alcuni soffrono di più e altri meno, ovvero tutti allo stesso modo,
sempre si potrà vedere chi sono coloro che soffrono per gli altri, quelli cioè che,
pur potendosi sottrarre con la fuga a questi mali, hanno preferito restare per non
abbandonare gli altri nelle necessità. In tal modo si dà soprattutto prova di
quell'amore che l'apostolo Giovanni raccomanda con queste parole: Come Cristo
ha dato per noi la sua vita, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli (1
Gv. 3, 16).
30. 13. Infatti coloro che fuggono ovvero non possono fuggire perché impediti da
qualche loro necessità, se sono presi e soffrono, soffrono per sé stessi, non per i
loro fratelli. Invece coloro che soffrono perché non hanno voluto abbandonare i
fratelli che avevano bisogno di loro per la salvezza in Cristo, questi senza dubbio
danno la loro vita per i fratelli.
30. 14. Quanto poi alle parole che abbiamo udito da un vescovo: "Se il Signore ci
ha comandato di fuggire in quelle persecuzioni in cui si può ottenere il frutto del
martirio, non dobbiamo tanto più fuggire i patimenti che non danno frutto, quando
c'è un'incursione di barbari ostili": consiglio vero e accettabile, ma solo da parte
di chi non è vincolato da un ufficio della chiesa.
30. 15. Infatti se uno, pur potendo fuggire, non fugge dinanzi alle stragi dei nemici
per non abbandonare il ministero di Cristo senza il quale gli uomini non possono
né diventare cristiani né vivere come tali, questo mette in pratica l'amore, più di
colui che fugge pensando a sé e non ai fratelli e che pur poi preso non nega Cristo
e ottiene il martirio.
30. 16. Che cosa è poi quel che hai scritto nella tua prima lettera? Dici infatti: "Se
poi dobbiamo rimanere nelle chiese, non vedo in che cosa gioveremo a noi o al
popolo nel vedere gli uomini cadere davanti ai nostri occhi, le donne violentate, le
chiese incendiate, noi stessi venir meno sotto i tormenti, quando cercano da noi ciò
che non abbiamo".
30. 17. Dio può prestare ascolto alle preghiere della sua famiglia e tener lontani i
mali che noi temiamo: ma a causa di questi mali, che sono incerti, non deve esser
certo l'abbandono del nostro ministero, senza il quale è certa la rovina del popolo
nelle cose non di questa vita ma di quell'altra, di cui ci dobbiamo prender cura in
maniera incomparabilmente più attenta e sollecita.
30. 18. Infatti se fosse cosa certa che questi mali che temiamo sopravvengono nei
luoghi nei quali ci troviamo, di qui fuggirebbero prima tutti coloro a causa dei
quali noi dobbiamo rimanere e così ci libererebbero dalla necessità di rimanere.
Nessuno infatti sostiene che i ministri di Dio debbono rimanere là dove non c'è
nessuno cui prestare la propria opera.
30. 19. In tal senso alcuni vescovi sono fuggiti dalla Spagna, poiché il popolo in
parte si era disperso nella fuga, in parte era stato ucciso, in parte era morto
durante l'assedio, in parte era stato disperso in servitù. Ma molti di più sono stati i
vescovi che, poiché rimanevano nelle loro sedi coloro a causa dei quali essi pure
dovevano rimanere, sono restati anch'essi esposti agli stessi innumerevoli pericoli.
E se alcuni hanno abbandonato i loro fedeli, proprio questo noi diciamo che non si
deve fare. infatti costoro non sono stati ispirati dall'autorità divina ma sono stati o
tratti in inganno da errore umano o sopraffatti da umano timore.
30. 20. Come mai infatti essi ritengono che si debba ubbidire fedelmente al
comando divino, quando leggono che si deve fuggire da una città nell'altra, ma
invece non hanno in orrore il mercenario che vede venire il lupo e fugge, perché
non si preoccupa delle pecore (Gv. 10, 12) ? Perché mai queste due sentenze, che
sono proprio del Signore, quella che permette e comanda la fuga, e quella che la
rimprovera e la condanna, essi non cercano di interpretarle in modo che non
risultino fra loro in contraddizione, come effettivamente non lo sono?
30. 21. E in che modo questo può farsi se non facendo attenzione a ciò che ho già
detto sopra? Cioè che, se la persecuzione minaccia i luoghi nei quali siamo, i
ministri di Dio debbono fuggire, quando o lì non ci siano più fedeli, cui prestar
servizio, ovvero il necessario servizio può essere espletato da altri che non hanno
lo stesso motivo per fuggire.
30. 22. Così fuggì l'Apostolo, come sopra ho ricordato, calato in una cesta, perché
proprio lui era ricercato dal persecutore, mentre non si trovavano in tale necessità
gli altri, che perciò si guardarono bene dall'abbandonare il servizio della chiesa.
Così fuggì il santo Atanasio, vescovo di Alessandria, poiché l'imperatore Costanzo
desiderava catturare proprio lui e la comunità cattolica che rimaneva ad
Alessandria non veniva abbandonata dagli altri ministri.
30. 23. Ma quando il popolo resta e invece fuggono i ministri e finisce il servizio,
che cosa sarà quest'azione se non la riprovevole fuga dei mercenari, che non si
danno cura delle pecore? Infatti verrà il lupo, non un uomo ma il diavolo, che
spesso ha persuaso ad apostatare i fedeli cui mancava la quotidiana
amministrazione del corpo del Signore. Così, a causa non della tua scienza ma
della tua ignoranza, fratello, perirà il debole per il quale è morto Cristo.
30. 24. Per quanto poi riguarda coloro che in tale distretta non sono tratti in fallo
dall'errore ma sono vinti dalla paura, perché piuttosto essi, con l'aiuto del Signore
misericordioso, non combattono coraggiosamente contro il loro timore? Così
eviteranno che tocchino loro mali incomparabilmente più gravi, che perciò sono
molto più da temere.
30. 25. Ciò avviene dove arde l'amore di Dio e la cupidigia del mondo non esala il
suo fumo. Dice infatti l'amore: Chi è debole ed io non son debole? Chi viene
scandalizzato ed io non brucio? (2 Cor. 11, 29). Ma l'amore viene da Dio:
preghiamo che ci sia concesso da colui da cui viene comandato. Perciò temiamo
che le pecore di Cristo siano colpite nell'animo dalla spada dello spirito del male
più che siano uccise dal ferro nel corpo, che - quando che sia e come che sia -
dovrà morire.
30. 26. Temiamo che, corrotto il senso interiore, venga meno la purezza della fede,
più che le donne vengano violentate nella carne: infatti la pudicizia non viene
violentata dalla violenza, se si conserva nell'anima, perché neppure la carne è
violentata se la volontà di chi subisce non gode turpemente della sua carne, ma
senza acconsentire sopporta ciò che fa un altro.
30. 27. Temiamo che, a causa del nostro abbandono, si estinguano le pietre vive,
più che alla nostra presenza vengano incendiate le pietre e la legna degli edifici
materiali. Temiamo che, prive dell'alimento spirituale, siano uccise le membra del
corpo di Cristo, più che le membra del nostro corpo siano oppresse e tormentate
dall'aggressione del nemico.
30. 28. Non perché questi malanni non debbano essere evitati, quando è possibile:
ma perché debbono piuttosto essere sopportati, quando non possono essere evitati
senza empietà. A meno che uno non voglia sostenere che non è empio il ministro,
che sottrae il servizio necessario. alla pietà proprio allora quando è più
necessario.
30. 29. O forse, quando si arriva a questo estremo pericolo e non c'è possibilità
alcuna di fuggire, non pensiamo quanta gente di ogni sesso e di ogni età si rifugia
in chiesa: alcuni che chiedono il battesimo, altri la riconciliazione, altri anche
l'azione penitenziale, e tutti conforto e celebrazione e distribuzione dei sacramenti?
30. 30. E se qui mancano i ministri, quanta rovina colpisce coloro che escono da
questa vita o non rigenerati o non assolti? Quanto sarà il dolore dei fedeli per i
loro cari che non potranno insieme con loro godere il riposo della vita eterna?
Quanto infine il pianto di tutti, e quante bestemmie da parte di alcuni, per l'assenza
del servizio e dei ministri?
30. 31. Osserva quali effetti produca la paura dei mali temporali e quanto
facilmente essa sia causa di mali eterni. Se invece ci sono i ministri, si viene
incontro alle necessità di tutti secondo le capacità che Dio concede: alcuni sono
battezzati, altri riconciliati, nessuno è privato della comunione col corpo del
Signore, tutti sono consolati edificati esortati a pregare Dio, il quale può tener
lontani tutti i mali che uno teme: tutti pronti ad ambedue le sorti, sì che, se non può
passare da loro questo calice, si compia la volontà di colui che non può volere
alcunché di male (Mt. 26, 42).
30. 32. Certamente ormai tu vedi ciò che scrivesti di non vedere, cioè quanto bene
venga al popolo cristiano, se nei mali che ci affliggono non gli manca la presenza
dei ministri di Dio; e vedi anche quanto nuoccia la loro assenza, quando essi
cercano il loro vantaggio, non quello di Gesù Cristo (Fil. 2, 21), e non hanno
quell'amore del quale è stato detto: Non cerca ciò ch'è suo (1 Cor. 13, 5), e non
imitano colui che ha detto: Non cercando ciò ch'è utile a me ma ciò ch'è utile a
molti, perché siano salvi (1 Cor. 10, 33).
30. 33. Questo non si sarebbe sottratto alle insidie del principe persecutore, se non
avesse voluto conservarsi in vita per gli altri, ai quali egli era necessario. Per
questo dice: Sono stretto da due parti, desiderando andarmene ed essere con
Cristo: sarebbe infatti molto meglio; ma è necessario rimanere nella carne a causa
di voi (Fil. 1, 23).
30. 34. A questo punto uno potrebbe osservare che, all'approssimarsi di tali
sciagure, i ministri di Dio debbono fuggire per conservarsi all'utilità della chiesa
nell'attesa di tempi più tranquilli. Giustamente alcuni fanno così, quando non
mancano altri che possano attendere al servizio ecclesiastico in vece loro, sì che il
servizio non venga abbandonato da tutti: abbiamo detto sopra che così agì
Atanasio. Quanto infatti egli sia stato necessario per la chiesa e quanto a questa
abbia giovato il fatto che quello sia restato in vita, lo sa bene la fede cattolica, che
dalla parola e dall'abnegazione di quell'uomo fu difesa contro gli eretici ariani.
30. 35. Ma quando il pericolo è di tutti, e c'è più da temere che, se uno fa così, ciò
venga attribuito non all'intenzione di provvedere alla chiesa ma alla paura di
morire, e col cattivo esempio della fuga uno nuoce di più di quanto potrebbe
giovare col sopravvivere per il servizio, allora assolutamente non ci si deve
comportare così.
30. 36. Infatti, per evitare che fosse estinta, come sta scritto, la luce d'Israele, il
santo Davide non si espose ai pericoli della battaglia (2 Sam. 21, 17), ma agì così
perché fu pregato dai suoi, non di propria iniziativa. Altrimenti avrebbe spinto ad
imitarlo nella viltà molti, i quali avrebbero pensato che egli agiva così non in
considerazione dell'utilità degli altri, ma solo perché turbato per il suo pericolo.
30. 37. Qui ci si presenta un'altra questione, che non va tralasciata. Abbiamo visto
che non è da trascurare l'opportunità che alcuni ministri di Dio fuggano
all'approssimarsi di qualche devastazione, al fine che siano salvi quelli che
possano prestare il servizio a quanti dopo il flagello potranno trovare superstiti:
ma allora come ci si deve comportare nel caso che si preveda la morte di tutti, se
qualcuno non fugge?
30. 38. Che cosa diremo se quel flagello imperversa soltanto col fine di
perseguitare i ministri della chiesa? Dovrà forse essere abbandonata dai ministri
che fuggono quella chiesa che pur sarebbe lasciata in abbandono da quelli
miseramente periti? Ma se i laici non sono ricercati a morte, essi in qualche modo
possono nascondere i loro vescovi e i loro chierici, secondo che li aiuterà colui in
cui potere è ogni cosa, che può con la sua mirabile potenza salvare anche quelli
che non fuggono.
30. 39. Ma noi ricerchiamo che cosa dobbiamo fare, proprio perché non si creda
che attendendo miracoli divini in ogni cosa tentiamo il Signore. Certo questa
tempesta, in cui è comune il pericolo di laici e chierici, non è come quella che
minaccia comune pericolo ai marinai e ai commercianti che stanno su una nave.
Non voglio pensare che questa nostra nave sia considerata così dappoco che la
debbano abbandonare tutti i marinai, e perfino il nocchiero, se si possono salvare
passando su una scialuppa o anche a nuoto.
30. 40. Per coloro infatti che temiamo periscano per il nostro abbandono, noi
temiamo non la morte temporale, che quando che sia sopravverrà, ma la morte
eterna, che può venire, se uno non sta attento, ma può anche non venire, se uno sta
attento.
30. 41. Nel comune pericolo di questa vita perché dobbiamo credere che, dovunque
ci sarà un'incursione di nemici, lì moriranno tutti i chierici e non anche tutti i laici,
sì che finiscano di vivere insieme anche coloro cui i chierici son necessari? Ovvero,
perché non dobbiamo sperare che alla pari di alcuni laici resteranno in vita anche
alcuni chierici, che potranno amministrare a quelli il necessario servizio?
30. 42. Eppure, volesse il cielo che fra i ministri di Dio ci fosse gara per chi di loro
debbano rimanere e chi di loro debbano fuggire, perché la chiesa non resti deserta
o per la fuga di tutti o per la morte di tutti! Certo tale gara ci sarà fra loro se tutti
ardono di amore e tutti sono graditi all'Amore.
30. 43. Che se questa contesa non potrà esser risolta in altro modo, io credo che
coloro che debbono restare e coloro che possono fuggire vadano estratti a sorte.
Infatti coloro i quali diranno che essi preferiscono fuggire o sembreranno pavidi,
perché non hanno voluto sopportare la sciagura incombente, o presuntuosi, perché
hanno giudicato sé stessi più necessari, sì da dover esser salvati.
30. 44. D'altra parte, forse proprio i migliori sceglierebbero di dare la vita per i
fratelli, e così con la fuga si salverebbero quelli la cui vita è meno utile, perché
minore è la loro abilità nel consigliare e nel dirigere. Proprio questi ultimi, se
sapessero ragionare piamente, si dovrebbero opporre a coloro che sarebbe
opportuno restassero in vita e che invece preferiscono morire piuttosto che fuggire.
30. 45. Perciò, com'è scritto, il sorteggio mette fine alle contestazioni e decide fra i
potenti (Prov. 18, 18). È meglio infatti che in tali incertezze decida Dio piuttosto
che gli uomini, sia che voglia chiamare al frutto del martirio i migliori e
risparmiare i deboli, sia che voglia rendere costoro più forti per sopportare i mali
e sottrarli a questa vita, perché la loro vita non può essere utile alla chiesa quanto
la vita di quelli. Certo si metterà in opera un mezzo poco usato, se si farà questo
sorteggio: ma se si farà così, chi oserà biasimarlo? Chi non lo loderà
adeguatamente, a meno che non sia inetto o invidioso?
30. 46. Se poi non si vuol fare una cosa di cui non c'è esempio, nessuno con la sua
fuga deve privare la chiesa del servizio necessario e dovuto soprattutto in così
grandi pericoli. Nessuno consideri tanto se stesso quasi che eccella per qualche
grazia, e dica di esser più degno della vita e perciò della fuga. Chi infatti la pensa
così ama troppo se stesso; e chi lo dice pure, risulta odioso a tutti.
30. 47. Alcuni poi ritengono che vescovi e chierici, non fuggendo in tali pericoli ma
rimanendo dove sono, inducano in inganno i fedeli: questi infatti non fuggono
perché vedono che restano i loro capi.
30. 48. Ma è facile evitare tale rimprovero e l'odiosità che ne potrebbe risultare,
parlando ai fedeli in questo modo: « Non vi tragga in inganno il fatto che noi non
fuggiamo di qui. Infatti rimaniamo qui non per noi ma proprio per voi, per non
mancare di amministrarvi ciò che sappiamo essere necessario alla vostra salvezza,
ch'è in Cristo. Anzi, se vorrete fuggire, liberate anche noi da questi vincoli che ci
legano qui ».
30. 49. Ritengo che così si debba parlare, quando sembra veramente utile
trasferirsi in luoghi più sicuri. Può accadere che, udite queste parole, qualcuno
dica: "Siamo nelle mani di colui, la cui ira nessuno sfugge, dovunque vada, e la cui
misericordia può trovare, dovunque sia", e non vuole andare, sia perché impedito
da certe necessità sia perché non vuole affaticarsi a cercare un incerto rifugio non
per metter fine ai pericoli ma solo per cambiarli: certamente costoro non debbono
esser lasciati privi del servizio della religione cristiana. Se invece, all'udir quelle
parole, preferiranno andar via, allora non debbono restare neppure quelli che
restavano a causa loro, perché ormai lì non ci son più persone per le quali essi
dovrebbero restare.
30. 50. Insomma: chiunque fugge in condizioni tali che la sua fuga non lasci la
chiesa priva del necessario servizio, questi fa ciò che il Signore ha comandato o
permesso. Ma chi fugge e così sottrae al gregge di Cristo gli alimenti che lo
nutrono spiritualmente, questi è il mercenario che vede venire il lupo e fugge,
perché non gl'interessa delle pecore (Gv. 10, 12).
30. 51. Ecco ciò che ho risposto, fratello carissimo, alle tue richieste, secondo
quanto ho ritenuto vero e ispirato da sicuro amore: ma se tu troverai di meglio,
non faccio obiezione al tuo pensiero. D'altra parte, non possiamo trovare meglio
da fare in tali pericoli, se non pregare il Signore Dio nostro, perché abbia pietà di
noi. Proprio questo, per dono di Dio alcuni uomini prudenti e santi hanno meritato
di volere e di fare, cioè di non abbandonare le chiese, e non vennero meno al loro
proposito a causa della lingua dei calunniatori.
Ultimi giorni e morte. Eredià di sante opere ed esempi. Congedo. L'eredità di
Agostino. Riepilogo. Conclusione

31. 1. Quel sant'uomo, nella lunga vita che Dio gli aveva concesso per l'utilità e il
bene della santa chiesa (infatti visse 76 anni, e circa 40 anni da prete e vescovo),
parlando con noi familiarmente era solito dire che, ricevuto il battesimo, neppure i
cristiani e i sacerdoti più apprezzati debbono separarsi dal corpo senza degna e
adatta penitenza.
31. 2. In tal modo egli si comportò nella sua ultima malattia: fece trascrivere i
salmi davidici che trattano della penitenza -sono molto pochi - e fece affiggere i
fogli contro la parete, così che stando a letto durante la sua infermità li poteva
vedere e leggere, e piangeva ininterrottamente a calde lacrime.
31. 3. Perché nessuno disturbasse il suo raccoglimento, circa dieci giorni prima di
morire, disse a noi, che lo assistevamo, di non far entrare nessuno, se non soltanto
nelle ore in cui i medici entravano a visitarlo o gli si portava da mangiare. La sua
disposizione fu osservata, ed egli in tutto quel tempo stette in preghiera.
31. 4. Fino alla sua ultima malattia predicò in chiesa la parola di Dio
ininterrottamente, con zelo e con forza, con lucidità e intelligenza.
31. 5. Conservando intatte tutte le membra del corpo, sani la vista e l'udito, mentre
noi eravamo presenti osservavamo e pregavamo, egli - come fu scritto - si
addormentò coi suoi padri, in prospera vecchiaia (1 Re, 2, 10). Per accompagnare
la deposizione del suo corpo, fu offerto a Dio il sacrificio in nostra presenza, e poi
fu sepolto.
31. 6. Non fece testamento, perché povero di Dio non aveva motivo di farlo.
Raccomandava sempre di conservare diligentemente per i posteri la biblioteca
della chiesa con tutti i codici. Quel che la chiesa aveva di suppellettili e ornamenti,
affidò al prete che alle sue dipendenze curava l'amministrazione della casa annessa
alla chiesa.
31. 7. Né durante la vita né al momento di morire trattò i suoi parenti, sia quelli
dediti alla vita monastica sia quelli di fuori, nel modo consueto nel mondo. Quando
viveva, dava a costoro, se era necessario, quel che usava dare agli altri, non
perché avessero ricchezze ma perché non fossero poveri e non lo fossero troppo.
31. 8. Lasciò alla chiesa clero abbondante e monasteri di uomini e donne praticanti
la continenza con i loro superiori; inoltre, biblioteche contenenti libri e prediche
sia suoi sia di altri santi, dai quali si può conoscere quanta sia stata, per dono di
Dio, la sua grandezza nella chiesa e nei quali i fedeli lo trovano sempre vivo. In tal
senso un poeta pagano, disponendo che i suoi gli facessero la tomba in luogo
pubblico ed elevato, dettò questa epigrafe:

Vuoi sapere, o viandante, che il poeta vive dopo la morte?


Ecco, io dico ciò che tu leggi: la tua voce è la mia.
31. 9. Dai suoi scritti risulta manifesto, per quanto è dato di vedere alla luce della
verità, che quel vescovo caro e gradito a Dio visse in modo retto e integro nella
fede speranza e carità della chiesa cattolica; e ciò possono apprendere quelli che
traggono giovamento dalla lettura di ciò ch'egli scrisse intorno alla divinità. Ma io
credo che abbiano potuto trarre più profitto dal suo contatto quelli che lo poterono
vedere e ascoltare quando di persona parlava in chiesa, e soprattutto quelli che
ebbero pratica della sua vita quotidiana fra la gente.
31. 10. Infatti fu non solo scriba dotto in ciò che riguarda il regno dei cieli, che tira
fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie (Mt. 13, 52), e commerciante che, trovata
una perla preziosa, vendette ciò che aveva e la comprò (Mt. 13, 15 s.): ma fu anche
uno di quelli di cui è stato scritto: Così parlate e così fate (Giac. 2, 12), e di cui
dice il Salvatore: Chi avrà fatto e insegnato così agli uomini, questo sarà detto
grande nel regno dei cieli (Mt. 5, 19).
31. 11. Prego ardentemente la vostra carità, voi che leggete questo scritto, che
insieme con me rendiate grazie a Dio onnipotente e benediciate il Signore, che mi
ha concesso l'intelligenza (Sal. 15, 7) per volere e avere la capacità di trasmettere
queste notizie alla conoscenza di uomini vicini e lontani del nostro tempo e di
quello a venire. E pregate insieme con me e per me affinché, dopo esser vissuto, per
dono di Dio, in dolce familiarità con quell'uomo per quasi 40 anni senza alcun
contrasto, possa emularlo e imitarlo in questa vita, e in quella futura godere
insieme con lui delle promesse di Dio onnipotente.

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