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Seneca accetta il suicidio e lo considera come una liberazione per gli uomini che stanno
affrontato una ripetuta serie di eventi negativi che turbano la loro tranquillità. Secondo il
filosofo, ci sono casi dove l’unica soluzione è togliersi la vita, perché essa diventa come una
prigione ed è l’unico modo per evadere. Nell’Epistola 70 esprime questo concetto.
Per Seneca virtù e felicità sono lo stesso concetto, quindi per essere felice l’uomo deve
essere virtuoso. E quindi quando l’uomo non può seguire la virtù piuttosto che avere una
vita infelice gli conviene lasciare la vita. Ciò che è importante infatti non è avere una vita
longeva, ma vivere bene. L’uomo non deve avere timore della morte, perché è solo un’uscita
dalla vita, e non solo non si deve avere paura della morte, ma è anzi è meglio abbracciarla
la vita è composta solo da enti negativi che impediscono di trascorrere una vita dignitosa.
Ma non tutti sono in grado di fare ciò, infatti apprezza chi non riesce a vivere con serenità e
quindi decide di abbandonare la vita, e le considera coraggiose e in grado di comprendere il
senso della morte.
In altri testi però Seneca ha un pensiero contraddittorio sul suicidio, perché in alcune
situazioni è necessario rimanere in vita, nonostante si stia soffrendo, per non creare un
dolore alle persone che ci amano. E in un passo definisce che chi rinuncia al suicidio sia
addirittura coraggioso.
Insomma, Seneca Considerava il suicido
opportuno quando si era completamente
sfortunati, ma nonostante il dolore che ci
creasse la vita preferisce rimanere vivo.
Considerava incoerente uccidersi se c'era una
possibilità di felicità, ma nonostante pensasse
ciò si suicidó lo stesso.