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PISTOIA
VENTIDUESIMO CONVEGNO
INTERNAZIONALE DI STUDI
viella
ENTI PROMOTORI
Comune di Pistoia – Provincia di Pistoia
Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Pistoia
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia
COMITATO SCIENTIFICO
Giovanni Cherubini Presidente
Silvana Collodo – Emilio Cristiani
Giovanna Petti Balbi – Gabriella Piccinni
Giuliano Pinto – Mauro Ronzani
www.cissa-pistoia.it – info@cissa-pistoia.it
CENTRO ITALIANO DI STUDI DI STORIA E D’ARTE
PISTOIA
VENTIDUESIMO CONVEGNO
INTERNAZIONALE DI STUDI
viella
Questo volume è realizzato con il contributo finanziario di
ISBN 978-88-8334-625-5
viella
libreria editrice
via delle Alpi, 32
I-00198 ROMA
tel. 06 84 17 758
fax 06 85 35 39 60
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RELATORI
Giovanni Cherubini
Presidente del Centro Studi
IX
Venerdì 15 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Maggiore del Palazzo Comunale
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Gabriella Piccinni
La ricerca del benessere individuale e
sociale. Ingredienti materiali e immateriali
(città italiane, XII-XV secolo).
Introduzione al convegno
lo Stato offre ai cittadini — non più solo sudditi — su cui pone pesi
di servizio 1.
1 P. Pombeni, Prefazione a G. Ritter, Storia dello Stato sociale, con capitolo fi-
nale di Lorenzo Gaeta e Antonio Viscomi, Bari-Roma, Laterza, 2007 (seconda edi-
zione), p. XIII.
2 Le opere di Amartya Sen sono tradotte in tutte le lingue del mondo. Per
noi basti il riferimento alle sue Royer Lectures tenute in California, a Berkeley, nel
1986 e rielaborate in A. Sen, Etica ed economia, trad.it. di S. Maddaloni, Bari-Roma
Laterza, 2002 (edizione in lingua originale 1987).
3 S. Bartolini, Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-ave-
re a quella del ben-essere, prefazione di E. Sangiovanni, Roma, Donzelli, 2010, al
quale rimando anche per la bibliografia relativa. Ci si riferisce al «Easterlin paradox»
messo a fuoco nel 1974, appunto, da Richard Easterlin, professore di Economia al-
l’Università della Southern California e membro dell’Accademia Nazionale delle
Scienze.
4 «Financial Times», «The economist», per i quali si veda Bartolini, Manifesto
per la felicità, cit.
5 Per esempio «La Repubblica» del 4 novembre 2007 o «Il corriere della sera»
del 19 ottobre 2008.
Introduzione al convegno
6 Senza aprire qui un nuovo fronte bibliografico cito, traendo dalle molte
edizioni, almeno P. Verri, Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità, a cura di G.
Barbarisi, Roma, Salerno editrice, 1994 e A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Roma,
Newton Compton, 2008.
7 Ricordo alcune tappe cronologiche, molto note, della storia della Stato so-
ciale, il cui atto di nascita è fissato al 1883, quando il cancelliere Bismark avviò in
Germania una serie di riforme in materia di assistenza sociale. Nel 1945 il dirit-
to al benessere fu inserito nella Carta dei diritti dell’ONU come diritto alla libertà
dal bisogno, e nello stesso anno la Costituzione della Repubblica Italiana identifi-
cò nel diritto al lavoro la base per l’ingresso della sfera della cittadinanza. Nel 1979
Margaret Thatcher avviò in Inghilterra una fase di forte critica verso gli effetti del-
la spesa sociale sul deficit degli Stati ad alta industrializzazione, seguita in Usa da
Ronald Reagan. Pochi anni dopo, il centenario bismarkiano rianimò il dibattito in-
ternazionale: in questo quadro fondamentale è considerata la relazione sullo Stato
sociale che Gerhard A. Ritter presentò al XVI congresso internazionale di scienze
storiche, nel 1985, seguita nel 1991 dalla pubblicazione della sua Storia dello Stato
sociale. Ritter ha considerato il tema dello stato sociale non solo, come spesso era
avvenuto, nell’ottica della storia della previdenza o dello sviluppo delle tecniche di
lotta alla povertà ma considerando il tema in tutta la sua pregnanza politica di chia-
ve della legittimazione dello Stato moderno. Il libro di Ritter è stato tradotto in ita-
liano per la prima volta nel 1996. La già citata nuova edizione del 2003, alla quale
faccio riferimento, reca l’introduzione di Pombeni e saggi finali di Gaeta e Viscomi,
ai quali ho attinto.
8 Ludovico Antonio Muratori, Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni prin-
cipi, Bologna, Edizioni Brunello, 1941.
Gabriella Piccinni
9 P. Schiera, Dal bencomune alla pubblica felicità. Appunti per una storia del-
le dottrine in Italia e Germania, in Liber amicorum Arnold Esch, Tubinga, Max
Niemeyer Verlag Tubingen, 2001, pp. 113-131.
10 Muratori, Della pubblica felicità, cit., cap. XVI, p. 125.
11 Schiera, Dal bencomune alla pubblica felicità, cit., p. 126 rintraccia in
Muratori anche una serie di considerazioni intrise di carità cristiana e di realismo
scientifico. Vedi anche M. Rosa, Pauperismo e riforme nel Settecento italiano. Linee
di ricerca, in Povertà e carità dalla Roma tardo-antica al ’700 italiano: quattro lezioni,
Padova, Francisci editore, 1983, pp. 93-125.
12 E. Garin, Introduzione a J. Huizinga, Autunno del Medioevo, traduzione
italiana di B. Jasinsk, Milano, Rizzoli, 1961.
13 D.M. McMahon, Storia della felicità. Dall’antichità a oggi, traduzione italia-
na di A. Cristofori, Milano, Garzanti, 2007 (edizione in lingua originale 2006 con
Introduzione al convegno
Non siamo gli unici medievisti a collocarci sulla scia di una ri-
flessione di questo genere. Questo incontro, ad esempio, è stato se-
guito dalla XXXVI edizione de Las semanas de estudios medievales
de Estella, dedicata a Ricos y pobres: Opulencia y desarraigo en el
Occidente Medieval. È lecito chiedersi cosa ci stia spingendo su un
percorso coperto da ostacoli, non ultimo quello di riproporci il dub-
bio, anch’esso antico, non solo della legittimità o utilità ma anche
della pura e semplice possibilità di trasportare nel passato, anche
solo per un confronto, concetti e problemi del mondo contempora-
neo. È evidente che nell’emergere di interrogativi intorno alla sto-
ria della ricerca del benessere nel Medioevo ha un ruolo decisivo la
contingenza critica che ci troviamo a vivere, un po’ come gli anni
Settanta e Ottanta proiettarono tanti medievisti nello studio della
crisi del Trecento o della povertà o, mentre prendeva campo la teo-
ria economica del non profit, in quello del sistema assistenziale 14. Le
Gabriella Piccinni
Introduzione al convegno
Gabriella Piccinni
Introduzione al convegno
24 Sano di Pietro, San Biagio restituisce il porco a una donna, Pinacoteca na-
zionale di Siena (1449).
25 Per esempi di opere importate R.M. Dentici Buccellato, Forestieri e stra-
nieri nelle città siciliane del basso medioevo, in Forestieri e stranieri nelle città me-
dievali, Atti del seminario internazionale di studio, Firenze, Salimbeni, 1988, pp.
247-248 che cita G. Bresc-Bautier, Artistes, patriciens et confréries. Production et
consommation de l’œuvre d’art à Palerme et en Sicile occidentale (1348-1460), Roma-
Parigi, École française de Rome-Éd. de Boccard, 1979.
26 Si veda la sintesi di M. Bacci, Investimenti per l’aldilà. Arte e raccomanda-
zione dell’anima nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 2003.
27 «Vi è evidentemente del superfluo che è necessario», scrive A. Esch, Sul
rapporto fra arte ed economia nel Rinascimento italiano, in Arte, committenza ed eco-
nomia a Roma e nelle corti del Rinascimento (1420-1530), Atti del Convegno inter-
nazionale (Roma 24-27 ottobre 1990), a cura di A. Esch - C.L. Frommel, Torino,
Einaudi, 1995, pp. 3-49 (citazione a p. 7), dove discute, discostandovisi, la tesi espo-
sta da R.S. Lopez, Hard Times and Investment in Culture, in The Renaissance: A
Symposium, New York 1953 secondo la quale, fin tanto che l’economia va bene, chi
ha capitali li investirebbe in beni economici, riconvertendosi all’arte e alla pittura
solo quando gli investimenti non convenissero più.
28 Al già citato saggio di Esch si possono aggiungere le sollecitazioni di una
serie di interessanti studi che hanno affrontato il rapporto economia-arte e il mece-
natismo visto nell’ottica dello storico dell’economia. Ricordo R. Goldthwaite, La
costruzione della Firenze rinascimentale. Una storia economica e sociale, Bologna, Il
Mulino, 1984 e Id., Ricchezza e domanda nel mercato dell’arte in Italia dal Trecento
al Seicento, Milano, Unicopli, 1999; M. Mollat, Introduzione a Gli aspetti economici
del mecenatismo in Europa. Secc. XIV-XVIII, Atti della XVII Settimana di Studi del-
l’Istituto di Storia economica Francesco Datini di Prato (Prato, 19-24 aprile 1985),
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Introduzione al convegno
una santa vita. Ma i poveri dipinti nei tre Trionfi della morte, quello
dell’Orcagna in S. Croce a Firenze, di Buffalmacco nel camposanto
di Pisa e di anonimo in S. Francesco a Lucignano (Arezzo), non go-
dono per niente ad immolarsi e, incuranti del luogo in cui lo fanno,
contro ogni principio cristiano invocano la morte: «poi che prospe-
ritade ci à lasati / o morte, medicina d’ongni pena / dè vienci a dare
omai l’ultima cena» 35.
«Tra gli elementi costitutivi del ‘modello del mondo’ di ogni so-
cietà troviamo una concezione della proprietà, della ricchezza e del
lavoro» e «tali categorie politico economiche rappresentano nel con-
tempo anche categorie morali e della visione del mondo: il lavoro e
la ricchezza possono essere valutati in modo più o meno positivo, il
loro ruolo nella vita umana può essere inteso in modo diverso» 36.
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Introduzione al convegno
40 Per il funzionamento del sistema annonario delle città italiane si rinvia alla
sintesi di G. Pinto, Città e spazi economici nell’Italia comunale, Bologna, Clueb,
1996, in particolare il capitolo L’annona: aspetti e problemi dell’approvvigionamento
urbano fra XIII e XV secolo, pp. 77-96 e alla bibliografia in esso contenuta.
41 Numerosi esempi dalle fonti toscane in Ch.M. de La Ronçiere, La vita pri-
vata dei notabili toscani alle soglie del Rinascimento, in La vita privata dal feudalesi-
mo al Rinascimento, cit., pp. 130-251, alle p. 161-163.
42 Un buon punto di partenza per lo studio della letteratura dedicata la paese
di Cuccagna o di Bengodi è G. Cocchiara, Il paese di Cuccagna e altri studi di folklo-
re, Torino, Boringhieri, 1980. In G. Boccaccio, Decameron, giornata VIII, novella
3, si trova la nota descrizione: «in una contrada che si chiamava Bengodi, nella qua-
le si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta, ed
eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale sta-
van genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in
brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva;
e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza
avervi entro gocciol d’acqua». Un’altra bella descrizione di una città di parmigiano
e maccheroni è nelle Cronache senesi, a cura de A. Lisini - F. Iacometti, in Rerum
Italicarum Scriptores, 2a ediz., XV, parte VI, Bologna, Zanichelli, 1931-39, pp. 745-
746, con versi che illustrano il delitto di un condannato la cui effigie era stata dipinta
nel 1391 su un muro del palazzo pubblico di Siena: «Gheri tovagliaio: Si tutta Siena
fusse macharoni / la montagna cacio gratato / no’ mi sarebe tocho / solamente uno
operando mia arte / onde de la vergognia ò tanta parte».
43 Per la Fraternita dei Laici di Arezzo si veda L’Archivio della Fraternita dei
laici di Arezzo. Introduzione storica e inventario, a cura di A. Antoniella, II, Giunta
regionale toscana, Editrice bibliografica, Milano, 1989 e A. Moriani, Assistenza e
beneficenza ad Arezzo nel XIV secolo: la Fraternita di Santa Maria della Misericordia,
in La società del bisogno. Povertà e assistenza nella Toscana medioevale, Firenze,
1989, pp. 19-35.
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soprattutto con gli ospedali dove, dal XII e XIII secolo, trovò soste-
gno concreto, e non più come in passato prevalentemente rituale 44,
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Introduzione al convegno
Age», 104 (1992) pp. 431-479 e Id., Systèmes d’hydraulique urbaine (Italie centrale,
fin du Moyen Âge), in Contrôle des Eaux en Europe occidentale, XIIe-XVIe siècles,
a cura di É. Crouzet-Pavan - J.-C. Maire Vigueur, Milano 1994, pp. 115-122. Per
un esempio tra i più interessanti si veda la stupenda Fontana Maggiore di Perugia,
una grande impresa edilizia portata a compimento tra 1275 e 1278, che fu anche un
compendio monumentale dei sedimenti della mitografia della città nel quale si ma-
terializzarono i brandelli di una memoria leggendaria profana e pagana sotto forma
di figure e di cartigli, tra i quali spiccano quelli relativi al pater patriae “Euliste fon-
datore della città di Perugia” («Heulixstes perusine conditor urbis»): A. Bartoli
Langeli, Sulla Fontana Maggiore di Perugia: questioni aperte, «Bollettino per i beni
culturali dell’Umbria», I (2009), n. 2, pp. 22-45, cui si può attingere per la biblio-
grafia precedente.
48 I territori sono vegliati in armi: esplicito l’esempio genovese («quilibet per
contratas vigilaret in armis») citato negli annali di Caffaro e riportato da G. Petti
Balbi, Genesi e composizione di un ceto dirigente: i “populares” a Genova, in Spazio,
società, potere nell’Italia dei Comuni, a cura di G. Rossetti, Napoli, GISEM, 1986
(GISEM, Quaderni, 1), p. 93, insieme ad altri esempi da documenti notarili. Inoltre
esempi in J.-C. Maire Vigueur, Arti o rioni? Appunti sulle forme di organizzazio-
ne del popolo nel comune romano, in Studi sulle società e le culture del Medioevo
per Girolamo Arnaldi, a cura di L. Gatto - P. Supino Martino, Firenze, Edizioni
All’Insegna del Giglio, 2002, pp. 327-340 e A.I. Pini, Città, comuni e corporazioni
nel medioevo italiano, Bologna, Clueb, 1986.
49 Per i confini delle consorterie familiari vedi F. Bruni, La città divisa. Le parti
e il bene comune da Dante a Guicciardini, Bologna, il Mulino, 2003, p. 74.
50 Il tema è studiato da M. Gazzini, Luoghi e rituali civici a Parma (secoli XIII-
XIV), in Le destin des rituels: faire corps dans l’espace urbain, Italie-France-Allemagne.
Il destino dei rituali: «faire corps» nello spazio urbano, Italia-Francia-Germania, a
cura di G. Bertrand - I. Taddei, Roma, École française de Rome, 2008 (Collection
de l’École française de Rome, 404), pp. 73-94.
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Gabriella Piccinni
51 Bruni, La città divisa, cit., pp. 70-73, 77 riporta una ampia casistica su ven-
dette e paci e percorre il dibattito che ha portato alcuni storici a vedere nella vendet-
ta e nella pace un metodo di composizione dei conflitti che non era ‘antistatale’ e a
rifiutare l’idea di una progressiva e lineare evoluzione «che da uno stato debole che
deve accettare la vendetta privata porta a uno stato moderno che impone l’autorità
e la giustizia pubblica». Bruni contesta la prima ipotesi (cioè che il sistema non sia
antistatale) e condivide la seconda (il rifiuto dell’evoluzione). Per il dibattito al qua-
le ci si riferisce si vedano almeno: G. Chittolini, Il ‘privato’, il ‘pubblico’, lo Stato,
in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra Medioevo ed età mo-
derna, Bologna, il Mulino, 1994, pp. 553-581; A. Zorzi, “Ius erat in armis”. Faide e
conflitti tra pratiche sociali e pratiche di governo, ivi, pp. 609-609; Id., Politica e giu-
stizia a Firenze al tempo degli Ordinamenti antimagnatizi, in Ordinamenti di giustizia
fiorentini. Studi in occasione del VII centenario, a cura di V. Arrighi, Firenze 1995,
pp. 136-138; Id., La cultura della vendetta nel conflitto politico in età comunale, in Le
Storie e la memoria. In onore di Arnold Esch, a cura di R. Delle Donne - A. Zorzi,
Firenze, Firenze University Press, 2002 (Reti Medievali, E-book, Quaderni, 1); e,
più recente, Id., La trasformazione di un quadro politico. Ricerche su politica e giu-
stizia a Firenze dal comune allo Stato territoriale, Firenze, Firenze University Press,
2010. Si vedano anche i volumi collettivi Conflitti, paci e vendette nell’Italia comuna-
le, a cura di A. Zorzi, Firenze, Firenze University Press, 2009 e il numero monografi-
co di «Quaderni di storia religiosa», 12 (2005) dedicato a La pace fra realtà e utopia.
52 Sull’ampia elaborazione intorno al ‘bene comune’ si può partire da Schiera,
Dal bencomune alla pubblica felicità, cit. Traggo la citazione dell’idea del bene comu-
ne «agitata e difesa» in alternativa alle parti da Bruni, La città divisa, cit., p. 16.
53 Mi riferisco, evidentemente, alla specularità, simbolica e reale, dei due af-
freschi di Ambrogio Lorenzetti nel palazzo pubblico di Siena, con gli effetti del
buongoverno su una parete e gli effetti e l’allegoria del cattivo governo in quella di
fronte.
54 Brillante sintesi in É. Crouzet-Pavan, Le villes vivantes, Italie XIIIe-XVe
siècles, Parigi, Fayard, 2009, pp. 113-129. A cura della stessa Élisabeth Crouzet-
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Introduzione al convegno
Pavan, Pouvoir et édilité: les grands chantiers dans l’Italie communale et seigneuriale,
Roma, École française de Rome, 2003.
55 Georges Duby ricorda che tra 1150 e 1220 in genere lo scarto tra genera-
zioni fu il più largo che ci sia mai stato fino ai tempi moderni (G. Duby, Avvertenza,
in La vita privata dal feudalesimo al Rinascimento, cit., p. X).
56 Esch, Sul rapporto fra arte ed economia nel Rinascimento italiano, cit., p.
11.
57 Duby, Avvertenza, cit., pp. VI-VII.
58 Attingo questo breve elenco, cui aggiungo qualcosa di mio, da G. Cherubini,
Le città italiane dell’età di Dante, Pisa, Pacini, 1991, pp. 57-60.
59 Sintesi in Bacci, Investimenti per l’aldilà cit., p. 155.
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Introduzione al convegno
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«le brighe, gli odii, e le liti» come prodotto degenerato delle arti 71.
Nelle fazioni il sistema trovò insieme la sua forza e il suo punto cri-
tico e a poco a poco perse spazio ogni confronto politico magari an-
che aspro, ma comunque pacifico e portato avanti con i mezzi della
parola, strumento che ser Brunetto Latini considerava il cardine del-
le relazioni umane «che drizzò prima il mondo a ben fare, e ancora
il drizza» 72; nella propensione delle Arti a trasformare in monopolio
Protagon Editori Toscani, 2003. Sul concetto di ‘cittadinanza debole’, con relativi
riferimenti bibliografici, G. Todeschini, Visibilmante crudeli, Bologna, Il Mulino,
2007, pp. 10-11, dove ripercorre «l’infamazione, l’indegnità civica e quanto ne con-
seguiva, ossia l’esclusione dalla pienezza dell’appartenenza sociale, religiosa ed eco-
nomica» che furono catalogate nel Medioevo come forme di esistenza degenerata
tipiche di alcuni gruppi sociali o religiosi.
69 Brunetto Latini, Tesoretto, in Poeti del Duecento, a cura di G. Contini,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, vol. II, pp. 175-277, al verso 2018. Bono Giamboni,
Libro de’ vizî e delle virtudi, a cura di C. Segre, Torino, 1968.
70 Chiaro Davanzati, Rime, a cura di A. Menichetti, Bologna, Commissione
per i testi di lingua, 1965, pp. 91-95, versi 41-42 di Ahi dolze e gaia terra fiorentina.
71 «Tutte l’arti sono oggi frodate, e falsate. E perché nascono le brighe, gli
odii, e le liti, se non per gl’inganni, e per le falsitadi, che gli uomini fanno l’uno al-
l’altro», Iannella, Giordano da Pisa, cit., p. 45.
72 Brunetto Latini, Tesoretto, cit., citato in questo senso da Iannella,
Giordano da Pisa, cit., p. 158. In generale per la retorica nelle politica comunale
E. Artifoni, I podestà professionali e la fondazione retorica della politica comunale,
«Quaderni storici», XXI (63), 1986, pp. 687-719 e Le forme della propaganda po-
litica nel Due e nel Trecento, a cura di P. Cammarosano, Roma, École française de
Rome, 1994.
73 Sintesi in D. Degrassi, L’economia artigiana nell’Italia medievale, Roma, La
Nuova Italia Scientifica, 1996.
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Introduzione al convegno
altri più potenti, ora mise tanti individui giovani di fronte a ruoli so-
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Introduzione al convegno
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Gabriella Piccinni
tua immagine può essere dipinta su un muro per infamarti 81, se non
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Introduzione al convegno
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Venerdì 15 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Maggiore del Palazzo Comunale
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Donata Degrassi
Quando la società è mobile: aspirazioni al
cambiamento e possibilità di soddisfarle
1 Per una recente messa a punto rimando al convegno La mobilità sociale nel
medioevo: rappresentazioni, canali, protagonisti, metodi d’indagine, organizzato dal-
l’École française de Rome e dall’Università degli studi di Roma Tor Vergata, tenuto-
si a Roma nel maggio 2008, i cui atti sono in corso di stampa.
2 La memorialistica, come è noto, si sviluppò soprattutto in ambito cittadi-
no, ad opera di mercanti e borghesi abituati a tenere registrazione dei loro affari,
sia per quanto riguardava l’ambito professionale che domestico e famigliare. Vedi in
proposito C. Bec, Les marchands écrivains. Affaire set culture à Florence 1375-1434,
Paris-La Haye 1967. Più rare e tarde sono le scritture lasciate da persone di umile
condizione o scarsamente acculturate; per una panoramica di questi testi e un loro
inquadramento si veda D. Balestracci, Le memorie degli altri. Ricordanze, libri di
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Donata Degrassi
conti e cronache dei ceti al margine della scrittura nell’Italia medievale, in Cultura e
società nell’Italia medievale. Studi per Paolo Brezzi, 2 voll., Roma 1988 (Istituto sto-
rico italiano per il medioevo, Studi storici 184-192), vol. I, pp. 41-58.
3 Per una prima approssimazione al tema delle scritture autobiografiche si ve-
dano M. Guglielminetti, Memoria e scrittura. L’autobiografia da Dante a Cellini,
Torino 1977; L’autobiografia nel medioevo, Atti del 34° Convegno storico interna-
zionale (Todi 12-15 ottobre 1997), Spoleto 1998.
4 Per delineare un panorama il più possibile ampio di testimonianze si è fatto
ricorso a testi di natura diversa, da quelli poetici e letterari in senso proprio, alla no-
vellistica, ai passaggi di cronache in cui l’autore esprimeva dichiaramene il proprio
punto di vista. Importante è ovviamente l’apporto della memorialistica, soprattut-
to di quella rappresentata dai ‘libri di ricordanze’ di area toscana e soprattutto fio-
rentina. Su questa tipologia di fonti, la cui bibliografia è assai ampia e così pure le
edizioni di testi, si può fare riferimento in prima battuta a G. Cherubini, I “libri di
ricordanze” come fonte storica, in Civiltà comunale: Libro, Scrittura, Documento, Atti
del Convegno (Genova 8-11 novembre 1988), Genova 1999, pp. 567-591.
5 Il riferimento è ovviamente al volume di G. Duby, Lo specchio del feudale-
simo. Sacerdoti, guerrieri e lavoratori, Roma-Bari 1980 (ed.orig. Les trois ordres ou
l’imaginaire du féodalisme, Paris, 1978).
6 Si veda M.C. De Matteis, La “teologia politica comunale” di Remigio de
Girolami, Bologna 1977, in particolare alle pp. CXXVI-CXXVII, CXXX-CXXXI,
CXXXIV-CXXXVII.
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
mata nelle città italiane alla fine del XII e per buona parte del XIII
secolo — si reggeva su un principio, consapevolmente avvertito e ap-
parentemente condiviso, che tendeva alla conservazione del sistema
stesso: quello di stabilità che ne garantiva la perfetta — almeno a li-
vello teorico — funzionalità. Lo stare al proprio posto, il fare ciò che
veniva richiesto, era compito di ciascun individuo all’interno dell’or-
dine, o gruppo, di cui faceva parte, e, al tempo stesso, era anche ciò
che assicurava il benessere collettivo: «In tali ergo principatu, ubi
dominantur multi ut totus popolus, vel intenditur bonum commu-
ne egenorum, mediarum personarum et divitum, et omnium secon-
dum suum statum, et tunc est rectus et aequalis» teorizzava Egidio
Romano 7 e Remigio de’ Girolami articolava la piena realizzazione
forza; la sua forza, la sua voce e anche i suoi progetti erano quelli del
gruppo di cui faceva parte 10: la famiglia, il casato in primis; il ceto
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Donata Degrassi
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
mento della società veniva anche qui identificata nel desiderio indi-
viduale di promozione e ascesa sociale: «Ma se l’uomo è chiamato ad
alcuno maggiore istato da altrui o per altrui, allora, pigliandolo umil-
mente, puoi essere legittimamente, ma quando l’uomo per sua su-
perbia e per sua virtue vuole uscire di sua ischiera, quindi nascono
tutte le confusioni» 17.
47
Donata Degrassi
18 Pressoché unico, o quasi, è il caso del notaio cronista Pietro Azario, il quale
premise al codice del suo Liber gestorum in Lombardia un albero genealogico figu-
rato della propria famiglia, che rappresenta un esempio di ascesa sociale, compiuto
nell’arco di alcune generazioni, a partire dal capostipite «Ambrosius de Camodegia
agricola et mercator». Lo stesso avo Ambrosius, vissuto nel XII secolo, è rappresen-
tato come la figura che entro le braccia aperte e il mantello allargato accoglie i car-
tigli con i nomi dei suoi discendenti. Nei versi che commentano la genealogia così
scrive delle origini della propria famiglia: «Stirps longeva quidem veterum de san-
guine patrum/ permanet incerta: rudibus, que, qualis et unde/ iam fuerit, nulli geni-
to patet orbe. Sed inde/ apparuisse prior presens Ambrosius iste,/ cui nomen generis
dedit Camodegia proles […]/ Denique post hec,/ antiquato diu pronomine dictu
sub ipsa/ prole pia, tandem successit nomine Petrus/ Azarius dictus nobis prior a
feritate». Il figlio di Ambrogio, Pietro, viene definito «speciarius et mercator», a cui
segue un Ambrogio «exercens personam et pecuniam»; infine con Pietro, vissuto at-
torno al 1220, si ha l’inurbamento in città e l’approdo alla professione notarile che,
con quella cancelleresca, connoterà le successive generazioni. L’albero genealogi-
co è riprodotto nell’edizione della cronaca: si veda Petrii Azarii, Liber gestorum in
Lombardia, a cura di F. Cognasso, Bologna 1935-39 (Rerum Italiacarum scriptores,
nuova edizione, t. XVI, parte IV), tavola tra le pp. VIII-IX. I versi sono trascritti alle
pp. III-IV. Sull’attribuzione allo stesso Pietro Azario della raffigurazione e sulle note
genealogiche, si veda la premessa di Francesco Cognasso, pp. III-XXV, alle pp. III-
48
Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
nianze che esprimevano il punto vista corrente dei ceti che meglio
padroneggiavano la scrittura, ma che guardavano con disprezzo e
apprensione all’avanzata dei nuovi ricchi, restituiscono piuttosto
un’immagine negativa della dinamica sociale dei secoli XIII-XIV.
Così i testi letterari offrono uno specchio dai toni spesso caricaturali,
come nel caso del «grossolano artefice» recatosi da Giotto per farsi
dipingere su un palvese «l’arme sua» e dal pittore ridicolizzato e du-
ramente ripreso: «E dèi essere una gran bestia, che chi ti dicesse “Chi
se’ tu?” a pena lo sapresti dire; e giungi qui e di’ “Dipignimi l’arme
mia” […] Che arma porti tu? Di qua’ se’ tu? Chi furono gli antichi
tuoi? Deh, che non ti vergogni! Cominci prima a venire al mondo,
che tu ragioni d’arma, come stu fussi il Dusnam di Baviera» 20.
VI. Sulla famiglia e sul significato di queste memorie si veda M. Zabbia, La memoria
domestica nella cronachistica notarile del Trecento, «Quellen und Forschungen aus
italienischen Archiven und Bibliotheken», 78 (1998), pp. 123-140 e Id., I notai e la
cronachistica cittadina italiana nel Trecento, Roma 1999 (Istituto storico italiano per
il medio evo, Nuovi studi storici, 49), in particolare alle pp. 91-116.
19 Le ricostruzioni prosopografiche sono alla base di indagini storiche che
hanno analizzato la mobilità sociale a partire dalle dinamiche familiari. Un pun-
to di riferimento fondamentale è costituito dal volume di J. Plesner, L’emigrazione
dalla campagna alla città libera di Firenze nel XIII secolo, Firenze, 1979 (ed.orig.
L’émigration de la campagne à la ville libre de Florence au XIII siècle, Copenhagen
1934). Per alcuni recenti contributi dedicati ai percorsi di ascesa sociale ed economi-
ca di gruppi famigliari si vedano P. Pirillo, Famiglia e mobilità sociale nella Toscana
medievale. I Franzesi Della Foresta da Figline Valdarno (secoli XII-XV), Firenze 1992;
P. Grillo, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto
2001, in particolare alle pp. 337-449; S. Tognetti, Da Figline a Firenze: ascesa econo-
mica e politica della famiglia Serristori, secoli XIV-XVI, Firenze 2003.
20 Franco Sacchetti, Il Trecentonovelle, novella n. LXIII. Nell’edizione a
cura di D. Puccini, Torino 2004 che ho utilizzato la novella si trova alle pp. 197-198;
il testo citato è a p. 198.
49
Donata Degrassi
50
Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
51
Donata Degrassi
p. 159.
27 Si vedano in proposito M.G. Muzzarelli, La disciplina delle apparenze. Vesti
e ornamenti nella legislazione suntuaria bolognese fra XIII e XV secolo, in Disciplina
dell’anima, disciplina del corpo e disciplina della società fra medioevo ed età moder-
na, a cura di P. Prodi, Bologna, 1994 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico,
Quaderno 40), pp. 758-784; Ead., Gli inganni delle apparenze. Disciplina di vesti ed or-
namenti alla fine del medioevo, Torino, 1996; Ead., Guardaroba medievale. Vesti e so-
cietà dal XIII al XVI secolo, Bologna 1999, in particolare alle pp. 268-287 e 306-349.
28 Si veda A.I. Pini, Le arti in processione. Professioni, prestigio e potere nel-
le città-stato dell’Italia padana medievale, in Id., Città, comuni e corporazioni nel
medioevo italiano, Bologna 1986, pp. 259-291 (ed.orig. in Lavorare nel medio evo.
Rappresentazioni ed esempi dall’Italia dei secoli X-XVI, Todi, 1983, pp. 65-108).
52
Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
53
Donata Degrassi
parrà nova cosa né forte,/ poscia che le cittadi termine hanno./ Le vostre cose tutte
hanno lor morte,/ sì come voi».
32 Epistola al figlio Bernardo, cit., p. 340.
33 Non a caso il secolo XIII è percorso da un acceso dibattito che riguarda pro-
prio il rifiuto della ricchezza, sul quale esiste una vastissima produzione di studi, di
cui si indica solo qualche titolo di riferimento: La conversione alla povertà nell’Italia
dei secoli XII-XV, Atti del XXVII Convegno storico internazionale, Todi 14-17 otto-
bre 1990, Spoleto 1991; Dalla Sequela Christi di Francesco d’Assisi all’apologia della
povertà, Atti del Convegno internazionale (Assisi, 18-20 ottobre 1990), Spoleto 1992;
G. Todeschini, Ricchezza francescana: dalla povertà volontaria alla società di mercato,
Bologna [2004]. Un’opinione del tutto diversa è quella testimoniata da una canzone
contro la povertà, attribuita — non si sa con quanta fondatezza — a Giotto. L’opinione
che in essa viene espressa è che la ricchezza costituisca anche uno strumento di sal-
vaguardia dell’ordine sociale, mentre la povertà può indurre a commettere reati e far
venir meno alla virtù, all’onore e a tutti i valori su cui si basava non solo la societas chri-
stiana, ma anche la società civile: «[Povertà] di peccare è via / facendo spesso a’ giudici
far fallo / e d’onor donna e damigella spoglia, / e fa far furto forza e villania, / e spes-
so usar bugia, / e ciascun priva d’onorato stallo./ […] Certo parmi grand’onta / chia-
mar virtute quel che spegne il bene, / e molto mal s’avvene / cosa bestial preporre alle
vertute, / le qua’ donan salute [salvezza] /a ogni savio intendimento accetta / e chi più
vale in ciò più si deletta». La canzone si legge in Poeti minori del Trecento, a cura di N.
Sapegno, Milano-Napoli 1952, pp. 439-42; il testo citato si trova alle pp. 440-441.
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
caso di Paolo di Trintinello, figlio di uno dei tanti artigiani tessili emi-
grati da Verona a Bologna negli anni Venti del Duecento, a seguito
dei provvedimenti attuati da quest’ultima città per attirare valenti ar-
tigiani che incrementassero la produzione tessile laniera 34. L’attività
55
Donata Degrassi
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
corsi diversificati il futuro dei figli era talora enunciata con chiarez-
za, come in Paolo da Certaldo «Se tu hai figliuoli assai, polli a più arti
e non tutti a una» 40; ma che fosse una prassi corrente e non un’ indi-
39 Esemplare il caso dei Rabatta, casata della nobiltà minore del Mugello inurba-
tasi a Firenze agli inizi del Trecento. Qualche decennio più tardi, uno dei membri del-
la famiglia, Antonio di Vanni di Mingozzo, si trasferì a Gorizia, dove nacquero i suoi
quattro figli. Al primo, Giovanni, toccò il compito di mantenere e accrescere i beni fon-
diari, sia feudali che di proprietà. Il secondo fratello, Pietro, prese gli ordini ecclesiasti-
ci ed entrò nel ristretto novero dei canonici della cattedrale di Padova. In questa città
operò anche un terzo fratello, Enrico, ricordato come notaio e familiaris dei Carraresi,
e soprattutto Michele — il più noto — che fu ambasciatore assai attivo nella diffici-
le opera ricerca di alleanze per i suoi signori e di mediazione fra i tanti interessi oppo-
sti che si scontravano nello scenario dell’Italia nord-orientale. Sulla famiglia da Rabatta
si veda S. Cavazza - G. Ciani, I Rabatta a Gorizia, Gorizia,1996; la figura di Michele
da Rabatta è attentamente ricostruita in F. Seneca, Un diplomatico goriziano a cavalie-
re dei secoli XIV e XV: Michele da Rabatta, «Memorie storiche forogiuliesi», XL (1952-
53), pp. 138-174.
40 Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi, in Mercanti scrittori. Ricordi nella
Firenze tra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca, Milano 1986, p. 25, n. 124.
41 Ad esempio Lapo da Castiglionchio fu avviato agli studi umanistici e alla
carriera ecclesiastica. Venne beneficiato nella pieve di Miransù, della quale la fami-
glia deteneva il patronato, ma successivamente — come riferisce egli stesso nell’epi-
stola al figlio — dovette tornare allo stato laicale per poter contrarre matrimonio e
assicurare la discendenza del casato, minacciato di estinzione per la morte del fra-
tello: «Io proprio, essendo stato lungo tempo chierico et piovano della detta pieve
da Miransù e così studiato e divenuto dottore et letto più anni, e sperava per quel-
la via di venire in istato, nientemeno veggendo la nostra famiglia quasi mancare di
persone, per çelo della nostra famigla et per avere famigla presi mogle»; Epistola al
figlio Bernardo, cit., p. 375.
42 Si veda D. Degrassi, Gli artigiani nell’Italia comunale, in Ceti, modelli, com-
portamenti nella società medievale (secoli XIII-metà XIV), Atti del diciassettesimo
convegno di studio (Pistoia 14-17 maggio 1999), Pistoia 2001, pp. 147-173.
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Donata Degrassi
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
realtà cittadine della penisola, piccole o grandi che fossero, «il fatto
che un modesto artigiano — un sarto, un calzolaio, un fabbro — im-
pegnasse una parte consistente del proprio reddito, per dare istru-
zione almeno ad un figlio costituisce un segno evidente che la scuola
era considerata uno strumento indispensabile di promozione socia-
le ed economica e che le spese sostenute per la sua frequenza erano
considerate alla stregua degli investimenti più produttivi» 48.
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
Il punto, che doveva esser ben chiaro a tutti, stava nel fatto che
ruoli che in precedenza erano appannaggio soltanto di quanti appar-
tenevano all’elite sociale, in virtù della loro ascendenza familiare e
della rete di relazioni di cui facevano parte, diventavano invece mete
possibili per chi pazientemente saliva, passo dopo passo, gli scali-
ni che davano accesso alle professioni più prestigiose. Nel contem-
po, gli spiriti più consapevoli tra i primi, com’era appunto Lapo di
Castiglionchio, riuscivano ad individuare per la propria stirpe e clas-
se sociale un futuro in cui a contare era non l’ascendenza familiare
ma la professionalità fondata sulla solidità degli studi: «Tu adumque
figliuolo […] penserai per tua virtù potere salire a più alto grado e
di farti più nobile e a’ tuoi posteri e successori dare maggiore nobili-
tà che da’ tuoi progenitori trattta non ài. Et a questo fare, nulla veg-
gio meglio a tua conditione che ’l fervente studio, per lo quale salito
ad perfetti gradi di scientie leggiermente appresso sarai tirato ad alto
grado di stato felice, nel quale operando bene […] potrai te e’ tuoi
fare nobilissimi» 49.
61
Donata Degrassi
gli Alberighi: «acciò che egli l’amor di lei acquistar potesse, giostrava
armeggiava, faceva feste e donava, ed il suo senza alcun ritegno spe-
deva […]. Spendendo adunque Federigo oltre ad ogni suo potere
molto e niente acquistando, sì come di leggere addiviene, le ricchez-
ze mancarono ed esso rimase povero» 51.
prio per i dettagli che egli ci da’ nella sua Chronica del contrasto con
il padre, contrasto del quale possiamo sottolineare alcuni elementi.
Una prima considerazione riguarda il fatto che non era la scelta di
abbracciare la professione religiosa in quanto tale a costituire il mo-
tivo del conflitto; come si è visto in altri casi, questo tipo di percorso
era normalmente contemplato per alcuni dei figli o delle figlie. Tale
opzione tuttavia comportava automaticamente la prospettiva di non
dar luogo ad una discendenza legittima ed aveva perciò senso quan-
do vi erano parecchi discendenti da sistemare ed il problema, dal
punto di vista del gruppo famigliare, era quello di limitare fraziona-
menti del patrimonio e riduzioni del potere. La scelta diventava inve-
ce catastrofica, in quanto segnava la fine di un casato, quando non vi
quanti erano addivenuti ‘grandi’ in tempi recenti, grazie ai traffici e alla ricchezza è
palese nell’Epistola al figlio Bernardo di Lapo di Castiglionchio: «truovo anchora
che, come che i detti nostri progenitori tornassono a stare a Firençe […] nienteme-
no per ciò che non discessono mai a arti né ad mercatantia, usavano più in contado
a lloro tenute uccellando et cacciando et tegnendo loro usançe anche in città, infino
agl’avoli nostri»; Epistola al figlio Bernardo, cit., p. 377.
51 Giovanni Boccaccio, Decameron, giornata quinta, novella IX, 5-7. Vedi
anche G. Cherubini, Ceti, modelli, comportamenti nel Decameron, in Ceti, modelli,
comportamenti, cit., pp. 337-355, in particolare alle pp. 350-355.
52 Si veda in proposito G. Severino, Storiografia, genealogia, autobiografia. Il
caso di Salimbene de Adam, in Cultura e società, cit., vol. II, pp. 775-793.
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
erano altri che potessero portarne avanti il nome e le sorti, come era
appunto il caso di Salimbene de Adam 53. Come racconta lui stesso:
«Per tutta la sua vita mio padre si dolse del mio ingresso nell’Ordine
dei frati minori, né mai si consolò, dato che non aveva un figlio che
gli succedesse nell’eredità. Ed essendo venuto l’imperatore a Parma,
egli ricorse a lui, denunciando i frati minori che gli avevano sottrat-
to il figlio. Allora l’imperatore scrisse a frate Elia, ministro generale
dell’Ordine […] che se aveva caro il suo favore, accogliesse la richie-
sta di mio padre e mi restituisse a lui […] Vennero dunque con mio
padre molti cavalieri al convento dei frati di Fano, per vedere come
andava a finire la faccenda» 54. Vorremmo conoscere le motivazio-
63
Donata Degrassi
Era una fase, quella della gioventù, in cui — per taluni più, per altri
la troppa licenzia della gioventù»; L.B. Alberti, I libri della famiglia, p. 22.
57 Molti spunti e conferme di questo nuovo modo si sentire si trovano nel
volume La vita privata. Dal Feudalesimo al Rinascimento, a cura di Ph. Ariès - G.
Duby, Roma-Bari 1987.
58 Si vedano le considerazioni di G. Todeschini, Guardiani della soglia. I Frati
Minori come garanti del perimetro sociale (XIII secolo), «Reti Medievali, Rivista»,
VIII, 2007, url: < http://www.retimedievali.it >, attinenti non tanto al caso di
Salimbene, ma agli orientamenti più generali dell’Ordine.
59 Bonaccorso Pitti, Ricordi, in Mercanti scrittori, cit., p. 365.
60 Ivi, pp. 362-392.
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
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Donata Degrassi
Galluzzo/ e a Trespiano aver vostro confine,/ che averle dentro e sostener lo puzzo/
del villan d’Agiuglion, di quel da Signa,/ che già per barattare ha l’occhio aguzzo!»
65 Si vedano, con prospettive diverse, D. Degrassi, L’economia artigiana nel-
l’Italia medievale, Roma 1996, in particolare alle pp. 153-159; F. Panero, Schiavi,
servi e villani nell’Italia medievale, Torino 1999.
66 Si indica qui solo qualche titolo di riferimento: Plesner, L’emigrazione dal-
la campagna, cit.; G. Piccinni, I «villani incittadinati» nella Siena del XIV secolo,
«Bullettino senese di storia patria», LXXXII-LXXXIII (1975-76), pp. 67-157; G.
Pinto, La politica demografica delle città, in Strutture familiari, epidemie, migrazioni,
cit., pp. 19-43; P. Cammarosano, Città e campagna: rapporti politici ed economici, in
Società e istituzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV), 2 voll,
Perugia 1988, vol. I, pp. 303-349. Un vistoso esempio di una rapida fortuna conse-
guita da persone provenienti dal mondo rurale è quello della famiglia bolognese dei
Guastavillani, descritto in Giansante, L’usuraio onorato, cit., p. 160-162 e 153.
67 G. Casarino, Mondo del lavoro e immigrazione a Genova tra XV e XVI seco-
lo, in Strutture familiari, epidemie, migrazioni, cit., pp. 451-472; Id., I giovani e l’ap-
prendistato. Iniziazione e addestramento. Maestri e garzoni nella società genovese fra
XV e XVI secolo, IV, Genova 1982 (Quaderni del centro di studio sulla storia della
tecnica del CNR, 9); R. Greci, L’apprendistato nella Piacenza tardo-comunale tra vin-
coli corporativi e libertà contrattuali e Id., Il contratto di apprendistato nelle corpora-
zioni bolognesi (XIII-XIV secolo), entrambi in Id., Corporazioni e mondo del lavoro
nell’Italia padana medievale, Bologna, 1988, rispettivamente alle pp. 225-24 e 157-
224; Degrassi, L’economia artigiana, cit., pp. 48-54; Ead., Gli artigiani nell’Italia co-
munale, in Ceti, modelli, comportamenti, cit., pp. 147-173.
68 P. Guarducci - V. Ottanelli, I servitori domestici della casa borghese tosca-
na nel basso Medioevo, Firenze 1982; Ch. Klapisch-Zuber, Le serve a Firenze nei se-
coli XIV e XV, in Ead., La famiglia e le donne nel Rinascimento a Firenze, Roma-Bari
1988, pp. 253-283.
66
Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
stico, vale a dire il potersi sottrarre per la sussistenza dalla totale di-
69 Si veda in proposito Degrassi, L’economia artigiana, pp. 164-169. Quali te-
stimonianze non solo di proprietà rurali di artigiani cittadini, ma anche delle cure
prodigate, delle spese sostenute e dei benefici che se ne ricavavano, o ci si aspetta-
va di ottenere, si possono leggere, ad esempio, Neri di Bicci, Le ricordanze (10 mar-
zo 1453-24 aprile 1475), a cura di B. Santi, Pisa 1976 passim; Ricordanze di Oderigo
d’Andrea di Credi orafo, cittadino fiorentino, dal 1405 al 1425, a cura di F. Polidori,
«Archivio storico italiano», s. I, IV, 1 (1843), pp. 53-110.
70 La presenza del proprietario era avvertita come indispensabile sia stimo-
lare la produttività dei contadini, sia per evitare di venir frodato al momento del-
la ripartizione dei prodotti: «non ti fidare di questi, istà loro cogli occhi addosso»,
consiglia Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, cit., pp. 181-182. Il padrone dove-
va avere «ciento occhi» e spingere i coltivatori a mettere in atto le molteplici lavora-
zioni della terra, la cura della casa, delle infrastrutture e delle colture, tutti impegni
che erano spesso stabiliti dagli Statuti cittadini e specificamente inseriti nei contratti
di locazione e nei patti mezzadrili, ma che, senza vigilanza venivano facilmente elu-
si e restavano lettera morta; vedi G. Piccinni, Contadini e proprietari nell’Italia co-
munale: modelli e comportamenti, in Ceti, modelli, comportamenti, cit., pp. 203-237.
Molto articolate e interessanti le testimonianze dirette, come Paolo da Certaldo,
Libro di buoni costumi, cit., nn. 103, 139, 142, 152, 153, 338. Pietro de’ Crescenzi
dichiara esplicitamente che solo la presenza del proprietario è in grado di tenere a
freno la voracità dei contadini; vedi Trattato della Agricoltura di Pietro De’ Crescenzi
traslato nella favella fiorentina, rivisto dalla ‘Nferigno Accademico della Crusca, ridot-
to a miglior lezione da Bartolomeo Sorio di Verona, Verona 1851-52, libro XI, cap.
VIII. Che non si trattasse solo di indicazioni teoriche lo si desume dai libri da tanti
libri di ricordanze. Ad esempio Oderigo d’Andrea di Credi elenca minuziosamente
tutte quello che il suo mezzadro gli aveva sottratto oppure non aveva correttamen-
te diviso con il padrone, anche cose apparentemente di scarso valore. Interessanti
sono poi i particolari che emergono relativamente alla pratica di sottrazione di fru-
mento, mietuto prima della spartizione a mezzo con il padrone: «per ristoro di gra-
no ch’egli m’avea immolato, quando mieteva e nascondeva i covoni per lo bosco
in qua e in là. E trovammone in più luoghi…»; Ricordanze di Oderigo d’Andrea di
Credi, cit p. 71.
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
vale: alcuni percorsi tematici, in Dentro la città. Stranieri e realtà urbane nell’Europa
dei secoli XII-XIV, a cura di Gabriella Rossetti, Napoli 1989, pp. 25-37. In quest’ul-
timo volume si veda anche l’utile bibliografia alla fine del volume. Altre realtà sono
state illustrate in Forestieri e stranieri nelle città basso-medievali, Atti del Seminario
internazionale di studio, (Bagno a Ripoli (FI) 4-8 giugno 1984), Firenze, Salimbeni,
1988. Su questo tema una prospettiva interessante è stata recentemente suggerita da
Paolo Cammarosano, che ha invitato a porre attenzione non solo all’arrivo di flussi
migratori dall’esterno, ma soprattutto ai movimenti interni alla penisola, agli scambi
tra centri e periferie e tra città e regioni diverse, partendo dalla documentazione che
attesta tali processi. Si veda P. Cammarosano, Italiani in Italia: correlazioni, interfe-
renze, scambi nella documentazione d’archivio delle città italiane dei secoli XIII-XV,
in Cultura cittadina e documentazione. Formazione e circolazione di modelli, a cura di
A.L. Trombetti Budriesi, CLUEB, Bologna, 2009, pp. 15-22.
75 Cfr. D. Degrassi, Organizzazioni di mestiere, corpi professionali e istituzio-
ni alla fine del medioevo nell’Italia centro settentrionale, in Le regole dei mestieri e
delle professioni. Secoli XV-XIX, a cura di M. Meriggi - A. Pastore, Milano 2000,
pp. 17-35.
76 Dello stesso parere è anche Giuliano Pinto, che esamina il fenomeno da una
prospettiva europea: «L’intensità della mobilità geografica sembra accentuarsi ancora
negli ultimi due secoli del medioevo. Le ragioni vanno ricercate nelle forti oscillazio-
ni dell’andamento demografico — in assoluto e tra un’area e l’altra — nei rimescola-
menti sociali che ne derivarono, nella ripresa di movimenti migratori di gruppi etnici,
quali, ad esempio, gli slavi, i greci, gli albanesi, che attraversarono l’Adriatico spinti da
motivi politici e religiosi — l’invasione turca — o forse più realisticamente, per ragioni
economico-sociali: abbandonavano aree caratterizzate da un forte sottosviluppo e da
una struttura sociale poco elastica»; Pinto, Gli stranieri nelle realtà locali, cit., p. 26.
77 Degrassi, L’economia artigiana, cit., pp. 78-82 e pp. 91-93 per le indica-
zioni bibliografiche; Ead., La trasmissione dei saperi: le botteghe artigiane, in La tra-
smissione dei saperi nel medioevo (secoli XII-XV), Atti del diciannovesimo convegno
internazionale di studi del Centro italiano di studi di storia e d’arte, Pistoia 2005,
pp. 53-87, in particolare alle pp. 65-69.
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ciò vale anche per alcuni campi di lavoro specializzato nella lavora-
zione dei metalli o della pietra 81.
Corine Maitte può affermare: «Due regioni appaiono particolarmente attrattive al-
l’inizio del XV secolo: la Toscana e la Liguria. Nel XIV e XV secolo, infatti, vetrai
toscani provenienti da Gambassi, Montaione e San Gimignano portarono la loro
maestria in tutta la penisola, contribuendo, più dei loro colleghi veneziani, al rinno-
vamento della lavorazione vetraria in numerose regioni»; vedi C. Maitte, L’arte del
vetro: innovazione e trasmissione delle tecniche, in Il Rinascimento italiano e l’Euro-
pa, III, Produzione e tecniche, a cura di Ph. Braunstein - L. Molà, Treviso, 2007,
pp. 235-259, a p. 237.
81 G. Cecchini, Maestri luganesi e comaschi a Siena nel XV secolo, in Arte e ar-
tisti dei laghi lombardi, Como 1959, pp. 131-150.
82 Si vedano D. Balestracci, «Li lavoranti non cognosciuti». Il salariato in
una città medievale (Siena 1340-1344), «Bullettino senese di storia patria», LXXXII-
LXXXIII (1975-76), pp. 67-157; G. Pinto, L’organizzazione del lavoro nei cantieri
edili, cit., e, sempre nel volume Artigiani e salariati, cit., R.M. Dentici Buccellato,
Lavoro e salari nella Sicilia del Quattrocento (la terra e il mare), alle pp. 369-394; P.
Corrao, La popolazione fluttuante a Palermo fra ’300 e ’400: mercanti, marinai, sa-
lariati, in Strutture familiari, epidemie, migrazioni, cit., pp. 435-450; J.-M. Yante,
L’emploi: concept contemporain et réalités médiévales, in Le travail au Moyen Âge.
Une approche interdisciplinaire, Actes du Colloque international (Louvain-la-Neuve,
21-23 mai 1987), a cura di J. Hamesse - C. Muraille-Samaran, Louvain 1990, pp.
349-378; F. Franceschi, I salariati, in Ceti, modelli, comportamenti, cit., pp. 175-201.
R. Comba, Emigrare nel medioevo, cit., in particolare alle pp. 59-67.
83 Lo rileva Raffaello Vergani a proposito degli spostamenti del personale ad-
detto alle miniere: «Manovali e trasportatori erano reclutati sul posto e manteneva-
no per lo più un legame assai stretto con le occupazioni agricole, mentre i tecnici e i
minatori professionali venivano spesso dall’esterno e talora anche d paesi stranieri»;
vedi K.-H. Ludwig - R. Vergani, Mobilität und Migrationen der Bergleute vom 13.
bis zum 17. Jahrhundert / Mobilità e migrazioni dei minatori (XIII-XVII secolo), in
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sori 91; di studenti e intellettuali 92. Anzi, per quanto riguardava i pas-
saggi ultimi e più decisivi del corso degli studi e della preparazione
ad una professione, vi era la diffusa e radicata convinzione che la for-
mazione sarebbe risultata tanto più perfezionata e utile quanto più
lontano dal luogo di origine fosse stata condotta. Come ha scritto
Antonio Ivan Pini: «Messa insieme una somma di denaro sufficien-
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
te per almeno un anno di studi, […] allo studente non restava che
mettersi in viaggio per raggiungere una città universitaria, comunque
lontana da casa, perché si riteneva che gli studi sarebbero stati più
proficui solo se fatti “in terra aliena”, lontano cioè dai propri parenti
e dalle proprie tradizioni» 93. Nelle città che ospitavano gli Studia la
75
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che dopo aver riportato la propria data di nascita, avvenuta nel mag-
gio del 1254 «secondo il ricordo di mia madre», continua riepilogan-
do l’avviamento alla sua carriera mercantile: «ne l’anno MCCLXVII»
— aveva dunque appena tredici anni — «andai a Gienova per la
Compagnia di Lamberto dell’Antella et dimorâvi diciotto mesi. Ne
l’anno MCCLXX andai a Vinegia per la Compagnia di Rinuccio
Cittadini et dimorâvi due anni» 98. Guido dell’Antella continua con
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
sciar l’inglese se t’afferra./ Fuggi le loie e chi pur ti fa guerra,/ spandi con cuor e non
ti mostrar vile,/ pagar al giorno, al rescuoter gentile,/ mostrando che bisogno ti sot-
terra./ Non far più inchieta ch’abbi fondamento,/ compra a tempo se ti mette bene,/
né t’impacciar con uomeni de corte. Osserva di chi può ‘l comandamento,/con tua
nacion unirti s’appartiene,/ e fa per tempo be’ serrar le porte». Vedi L.G. Avellini,
Artigianato in versi del secondo Quattrocento fiorentino: Giovanni Frescobaldi e la
sua cerchia di corrispondenti, in G.M. Anselmi - F. Pezzarosa - L. Avellini, La “me-
moria” dei mercatores, Bologna 1980, pp. 151-229; i sonetti si trovano alle pp. 190-
210, quello citato è a p. 208.
103 Oltre ai lavori già citati alle note precedenti, si vedano i saggi raccolti nei
volumi Dentro la città, cit.; Spazio urbano e organizzazione economica nell’Europa
medievale, a cura di A. Grohmann, Napoli 1995.
104 Non entro nel merito di questo argomento che è affrontato nella relazione
di Duccio Balestracci, «Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro.
105 Anche su questa tematica la letteratura è assai copiosa come pure la pub-
blicazione di fonti. Non è il caso in questa sede di darne conto compiutamente e mi
limito a qualche titolo generale, utile per recuperare sia i contributi storiografici che
le principali edizioni di fonti: J. Sumption, Monaci, santuari, pellegrini. La religione
nel Medioevo, Roma 1981 (ed.orig. Pilgrimage. An image of mediaeval religion, Paris
1975); J. Richard, Les récits de voyages et des pèlerinages, Turnhout 1996 (Typologie
des sources du Moyen Âge occidental, 38); F. Cardini, I viaggi di religione, d’amba-
sceria e di mercatura, in Storia della società italiana, 7, La crisi del sistema comunale,
Milano 1982, pp. 157-220, ora, con il titolo Missionari, ambasciatori e mercanti fra
Duecento e Trecento, anche in Id., Gerusalemme d’oro, di rame, di luce. Pellegrini,
crociati, sognatori d’Oriente fra XI e XV secolo, Milano 1991, pp. 44-121; P. Caucci
von Saucken, Le distanze nei pellegrinaggi medievali, in Spazi, tempi, misure, cit., pp.
297-315; G. Cherubini, Santiago di Compostella. Il pellegrinaggio medievale, Siena
1998; Id., I pellegrini, in Viaggiare nel medioevo, cit., pp. 537-566; L’uomo in pelle-
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Donata Degrassi
grinaggio, a cura di P. Dalena, Bari 2003. Sulla composizione sociale dei pellegrini
si veda G. Pinto, I costi dei grandi pellegrinaggi medievali, in Id., Il lavoro, la pover-
tà, l’assistenza, cit., pp. 109-146, in particolare alle pp. 134-141 e 144-146.
106 Vedi N. Ohler, Vita pericolosa dei pellegrini. Sulle tracce degli uomini che
viaggiavano nel nome di Dio, Casale Monferrato 1996.
107 G. Cherubini, Terme e società nell’Italia centro-settentrionale (secc. XIII-
XV), in La città termale e il suo territorio, a cura di C.D. Fonseca, Galatina 1986, pp.
21-37; Id., Ire ad aquas: le terme e il termalismo, in Vita Civile degli italiani. Società
economia, cultura materiale, II, Ambienti, mentalità e nuovi spazi umani tra medioe-
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Donata Degrassi
ser perduti in un attimo, per gli accidenti della sorte o l’ostilità degli
uomini 111, e non a caso l’invidia e il malanimo sono frequentemente
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
vano vanificare gli sforzi di una vita intera e frustrare i progetti messi
in cantiere per il futuro e le speranze di progresso e miglioramento.
Le ricchezze, anche le più cospicue, non mettevano al riparo dalle
avversità, che fossero fortuite o causate dalle azioni umane 114 e an-
seguito del malvolere e l’invidia di parenti e vicini: «per l’invidia che m’era portata e
no per nesiuni falimenti ch’io avese fato né comiso, feciono tanto li mey buoni vexi-
ni che con loro false parole me feceno metere in del fondo de la tore de Bagnone».
Degli invidiosi delatori fa nome e cognome, includendo tra costoro «Avanzino mio
cuxino stava a vedere e in del suo core parea che godese»; G.A. da Faie, Libro de
croniche e memorie, cit., p. 148.
113 Soprattutto nella seconda metà del Trecento le ricorrenti epidemie di pe-
ste potevano estinguere del tutto o ridurre a qualche singolo sopravvissuto famiglie
intere. Così annota, ad esempio, il notaio senese Cristofano di Gano di Guidino:
«ebbi di lei [la moglie] sette figliuoli; poi ella e sei figliuoli, per la mortalità del
Novanta, si moriro quasi in uno mese»; vedi Cristofano di Gano di Guidino,
Memorie, a cura di C. Milanesi, «Archivio storico italiano», s. I, IV,1 (1843), pp.
27-48 a p. 40. La vita del notaio e le sue note sono analizzate in G. Cherubini, Dal
libro di ricordi di un notaio senese del Trecento, in Id., Signori, contadini, borghesi,
cit., pp. 393-425. Scrive Cherubini: «Nel luglio del 1390 la casa di ser Cristofano
era dunque piena di vita […] La visione di questa casa ormai quasi vuota deve aver
sconvolto profondamente l’equilibrio di Cristofano e fatto forse riemergere nel suo
animo quasi un senso di colpa», ivi, pp. 414-415. Frequenti sono le morti che colpi-
rono il nucleo famigliare di Lapo de’ Sirigatti, da costui annotate nel suo libro di ri-
cordanze; si veda Il libro degli affari propri di casa de Lapo di Giovanni Piccolini de’
Sirigatti, édition critique et commentée par C. Bec, Paris 1969. Si sono spesso stig-
matizzate come prive di affetto e di sentimento le secche annotazioni relative alle
morte dei propri familiari e congiunti che compaiono nei libri di ricordanze. Ciò ri-
spondeva più alle caratteristiche che aveva questo tipo di registrazioni che alla man-
canza di amore verso i propri famigliari, come provano le celebri pagine di Giovanni
di Pagolo Morelli che raccontano l’angoscia da lui sperimentata durante le malattie
dei figli e il tremendo dolore provato per la loro morte; vedi G. di Pagolo Morelli,
Ricordi, in Mercanti scrittori, cit., pp. 293-295, 315-318, 322-323. Vedi in proposi-
to anche Cammarosano, Padri e figli nel medioevo europeo, cit., Toni accorati per la
perdita di moglie e figli a causa della pestilenza e uno stato d’animo profondamen-
te sconvolto si colgono anche nel proemio e nella chiusa di Azari, Liber gestorum,
cit., a p. 7 e p. 177.
114 Così anche il prudentissimo e accorto Enrico Scrovegni non poté evita-
re che le sue proprietà venissero confiscate da Marsilio da Carrara, che pure era
suo congiunto. Sulla vicenda vedi C. Frugoni, L’affare migliore di Enrico. Giotto e
la cappella Scrovegni, Torino 2008, pp. 65-65. La consapevolezza dell’ingiustizia su-
bita e del danno economico patito vengono manifestate in termini inequivocabi-
li nel testamento dello Scrovegni: «Poiché d. Marsilio da Carrara, del d. Petrezano
da Carrara da Padova, già da molti anni, contro Dio e contro giustizia, mi usurpò
e occupò con la violenza e la sua prepotenza tutti, senza eccezioni, i miei possessi,
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Donata Degrassi
che la famiglia, la cerchia degli affetti più cari, non sempre garantiva
quella felicità a cui si aspirava 115. «Quoniam humana vita est fragi-
terre, villaggi, diritti e beni che ho e che a ragione mi spettano in Padova e suo di-
stretto e in Vicenza e suo distretto, e quei beni il medesimo d. Marsilio e, per suo
conto, i suoi agenti sempre in continuo hanno posseduto e ne hanno percepito tutti
i redditi e proventi; talché, computati quei beni nel loro giusto e debito valore mo-
netario, compresi gli animali (in specie bovini) che avevo nei miei villaggi e le pian-
te che ugualmente costui con la violenza mi prese o fece prendere dai suoi agenti
in otto raccolti fino ad oggi, quel d. Marsilio (o i suoi agenti a suo nome) si è preso
— computati, ripeto, anche animali e messi — 25.000 fiorini ovvero ducati d’oro».
Il testamento di Enrico Scrovegni, con commento e traduzione a fronte del testo, è
pubblicato a cura di A. Bartoli Langeli, Il testamento di Enrico Scrovegni (12 mar-
zo 1336), in Frugoni, L’affare migliore, cit., pp. 397-539; il passo citato si trova alle
pp. 487-489.
115 Lippo di Fede del Sega, cambiavalute fiorentino quasi settantenne, prese
in seconde nozze una donna assai più giovane di lui, Bernarda. Il matrimonio ben
presto andò a rotoli, sia per l’eccessiva differenza d’età tra i due coniugi che per
motivi d’interesse. Delle liti che turbarono profondamente il menage famigliare re-
sta traccia nelle note d el libro di ricordanze del cambiatore: «1355, venerdì santo 3
daprile ano detto. A mattino disse la ciecha falsa Bernarda chio Filippo non navea
trovato ne chane ne chagna che mi volesse per suo marito altro chella e della ne fu in-
ghanata per chella si fidò della Franciescha; sella ciecha e mezza femina malsana ne-
vesse inchesto averebbe saputo tanto di me che no marevebbe ma tolto […]. Primo
febbraio 1355 disse la gretta pidocchiosa e cieca guastatori di suoi mariti chel ces-
so dovella chacava era più bello chio non avea la bocca mia. […]. Vedi Ch.M. de La
Ronçière, Un changeur florentin du Trecento: Lippo di Fede del Sega (1285 env.-1363
env.), Paris 1973, p. 245. Altre volte i conflitti si accendono tra padri e figli, come
nei casi citati più sopra. Altre testimonianze in proposito sono ricordate in Ch.M. de
La Roncière, La vita privata dei notabili toscani alle soglie del Rinascimento, in Ph.
Ariès - G. Duby, La vita privata. Dal feudalesimo al Rinascimento, Milano, Laterza-
Mondadori, 1993, pp. 215-216.
116 Azari, Liber gestorum, cit., p. 7.
117 Sono parecchi i componimenti poetici centrati appunto sul tema della fortu-
na. Alcuni si possono leggere in Poeti minori del Trecento, cit., pp. 426-438. Le espres-
sioni qui riportate si trova in due di tali sonetti, rispettivamente a p. 434 e a p. 204.
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Quando la società è mobile: aspirazioni e possibilità
di breve o lungo periodo, si era consapevoli che il loro esito non di-
pendeva solo dagli sforzi messi in campo per realizzarli, dalle capa-
cità e dalle doti personali, ma da un complesso di circostanze in cui
molti erano gli elementi che non si potevano controllare: «Io son la
donna che volto la rota e son colei che tolgo e dono stato» recita una
canzone che affronta il tema degli squilibri profondi insiti nella so-
cietà e dell’ingiusta e diseguale distribuzione di ricchezza e potere al
suo interno 118.
la stabilità.
118 Poeti minori del Trecento, cit., pp. 435-438; la citazione è quella dei ver-
si iniziali a p. 435.
119 Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, in Mercanti scrittori, cit., p. 177.
Si vedano anche le pagine successive ricche di consigli in tal senso. Si vedano an-
che gli ammaestramenti di Paolo da Certaldo, Libro di buoni costumi, cit., n. 372,
pp. 89-90.
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Sabato 16 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Elisabeth Crouzet-Pavan
Isabella Gagliardi
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ricchezza
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vista di una storia dei “modi di possedere” (o di una “storia del pensiero economi-
co”), sia come definizione di stili di appropriazione sovrapersonale (gli ecclesiastici
amministrano ma non possiedono i beni delle Chiese ed altrettanto sono sollecita-
ti a fare gli amministratori pubblici, principi territoriali o podestà cittadini che sia-
no), sia come rinuncia totale alla ricchezza resa più facilmente praticabile dal fatto
che, appunto, la forma diffusa della ricchezza tende oramai ad essere quella mone-
tizzata», Id., La povertà volontaria come strategia economica produttiva: l’uso delle
cose in assenza di proprietà fra medioevo e mondo moderno, «Rivista on line, Scuola
superiore dell’Economia e delle Finanze», III, n. 3, (marzo 2006), pp. 1-8, p. 2, sca-
ricabile on line < http://www.rivista.ssef.it/site.php?page=stampa&idpagestampa=
20060 >. Gli studi di Todeschini restano imprescindibili: “Quantum valet”? Alle
origini di un’economia della povertà, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il
Medio Evo», 98 (1992), pp. 173-234; Il prezzo della salvezza. Lessici medievali del
pensiero economico, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1994; I vocabolari dell’anali-
si economica fra alto e basso medioevo: dai lessici delle disciplina monastica ai lessici
antiusurari (X-XIII secolo), «Rivista Storica Italiana», 110 (1998), n. 3, pp. 781-833;
Ecclesia e mercato nei linguaggi dottrinali di Tommaso d’Aquino, «Quaderni Storici»,
105 (2000), n. 3, pp. 585-621; I mercanti e il tempio. La società cristiana e il circo-
lo virtuoso della ricchezza tra medioevo ed età moderna, Bologna, Il Mulino, 2002;
Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato, Bologna, Il
Mulino, 2004.
6 Poverty in the Middle Ages, a cura di David Flood, Erl/Wstf., Dietrich-
Coelde-Verlag, 1975 (Franziskanische Forschungen), 1975. La letteratura sull’ar-
gomento è veramente molto nutrita: si rimanda, anche per la buona bibliografia,
al recente J.P. Huffmann, Potens et Pauper: Charity and Authority in Jurisdictional
Disputes over the Poor in Medieval Cologne, in Plenitude of power. The Doctrines
and Exercise of Authority in the Middle Ages: Essays in Memory of Robert Louis
Benson, a cura di R.C. Figueira, Aldershot, Ashgate, 2006, pp. 107-124; evidente-
mente manca ogni riferimento alla bibliografia italiana e francese sull’argomento,
per la quale invece si rimanda a Todeschini, I mercanti e il tempo, cit.; Id., Ricchezza
francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato.
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Reichsberg, uno tra gli intellettuali del XII secolo maggiormente at-
tivi nell’ambito della riflessione sulla povertà, diventavano sempre
più numerosi i pauperes cum Petro, ovvero i convertiti che, per amor
di Cristo, sceglievano di omologarsi ai pauperes cum Lazaro, ovvero
ai poveri involontari, ai poveri loro malgrado 8. Le scritture agiogra-
notare come la santità finisca per coincidere con l’esercizio delle po-
vertà. Paupertas è infatti una parola polisemantica e che mal si presta
ad essere tradotta col termine italiano corrispondente, poiché que-
st’ultimo ha ormai perduto ogni altra implicazione semiologica al di
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gli intellettuali (teologi e canonisti) del XII secolo, dal già ricordato
Gerhoh di Reichersberg a Pierre de Blois, a Raoul Ardent fino alla
scuola di Chartres 16. Sicuramente, tuttavia, fu soltanto all’epoca della
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col. 652.
17 Data la complessità del tema si segnalano soltanto i due studi che hanno sti-
molato un significativo dibattito storiografico: J. Cobb Hearnshaw Fossey, The so-
cial and political ideas of some great mediaeval thinkers: a series of lectures delivered
at King’s College, Londra, G.G. Harrap & Company, 1923; E. Renan, Etudes sur la
politique religieuse du règne de Philippe le Bel, Parigi, Calmann-Levy, 1929.
18 G.B. Siragusa, L’ingegno, il sapere e gli intendimenti di Roberto d’Angiò,
Palermo, Tip. Dello Statuto, 1891, alle pp. xiii-xxvii la pubblicazione del Trattato;
cfr. poi le riflessioni di A. Barbero, La propaganda di Roberto d’Angiò, re di Napoli
(1309-1343), in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di
Paolo Cammarosano, Roma, Ecole Française de Rome, 1994, pp. 111-131.
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25 «Potere legittimo, garantito dalle leggi, che può essere esercitato tanto sui
beni, nel qual caso equivale alla proprietà privata, quanto sulle persone», secondo
Bonaventura il potere esercitato sulle persone dà luogo alla politica, Squillante,
La legge naturale ed il dominium, cit., pp. 45-46; cfr inoltre J. Coleman, The Two
Jurisdictions: Theological and Legal Justifications of Church Property in the Thirteenth
Century, in The Church and Wealth, a cura di W.J. Shiels - D. Wood, Oxford, 11987,
pp. 75-110, Lambertini, La povertà pensata, cit., pp. 47-48.
26 Del resto a Guillaume de Saint-Amour (cfr. infra) è stato contestato pro-
prio l’aver interpretato il riferimento Mendicante alla Chiesa primitiva al pari del
riferimento ad una norma giuridica che, così, risultava disattesa proprio da colo-
ro che l’invocavano e dunque di aver utilizzato questo “escamotage” per accusa-
re i Mendicanti di non apostolicità, J.D. Dawson, William of Saint-Amour and the
Apostolic Tradition, «Mediaeval Studies», 40 (1978), pp. 223-238, p. 235.
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da cui discendeva il suo essere pauper, id est minor, altro non era sta-
to se non l’abbandono totale alla Provvidenza, cioè la fede 44. Qui ri-
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Dal canto suo per Tommaso d’Aquino, che comunque non ri-
nunciò a ribattere e ribaltare una ad una le accuse di Guillaume de
Saint-Amour, la ragione suprema dell’istituzione del suo Ordo risie-
de nell’adempimento delle parole di san Paolo in Romani, 12, 1, ov-
vero nell’adempimento del sacrificio spirituale attraverso l’offerta
del sé completo: la rinuncia al corpo sancita dal voto di castità, la ri-
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non è il tempo dell’eccezione, bensì il tempo della libertà 52. «Iam im-
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e a più riprese la sterilità del danaro. Restare ancorati alle res signifi-
cava mantenere concettualmente evidente ed intatta la valenza (legit-
timazione) del patrimonio in quanto strumento di charitas, volto al
fine di sovvenire i «pauperes cum Lazaro», ovvero significava pale-
sare la natura strumentale del bene/servizio necessario per adempie-
re il fine caritatevole (soprannaturale) della Chiesa 56.
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3. Ecclesia reformanda
Le aspirazioni alla riforma si erano andate radicalizzando nel-
l’epoca immediatamente successiva a Gregorio VII, allorché una
buona fascia del laicato aveva iniziato a intervenire sempre più reci-
samente nelle dinamiche ecclesiali e, parallelamente, una fitta schie-
ra di monaci e di canonici riformati aveva iniziato a interagire sempre
più di frequente e con incisività via via maggiore nella società non
claustrale 58. Le esperienze cui alludo sono estremamente note ed
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61 R. Manselli, Chiesa gregoriana. Ricerche sulla riforma del secolo XI, Roma,
Herder, 1999 e lo schema interpretativo proposto in Id., La storia religiosa, in Storia
d’Italia, Dalla caduta dell’Impero Romano al secolo XVIII, vol. 2/1, Torino, Einaudi,
pp. 480-608, in particolare i capitoli terzo e quarto. Il portato storiografico del-
l’opera di Miccoli è innegabile ed è stata oggetto di riflessione, per il suo equili-
brio segnaliamo il saggio di A. Rigon, La storia religiosa di Giovanni Miccoli da
Francesco d’Assisi alla fine del Quattrocento, «Rivista di storia e letteratura religio-
sa», 32 (1996), pp. 359-366. Infine: continuano ad essere stimolanti alcune tra le
riflessioni avanzate da M.H. Vicaire, L’imitation des Apôtres: Moines, Chanoines,
Mendiants (IVe-XIIIe siècles), Parigi, Les éditions du Cerf, 1963.
62 A Cinzio Violante va riconosciuto l’indiscusso merito di aver dimostra-
to come gli ideali della riforma non furono affatto alieni rispetto alla “Chiesa feu-
dale” e come l’ecclesiologia coeva costituì il ponte anche tra istituzioni politiche e
società: C. Violante, Le istituzioni ecclesiastiche, in Il Centro Italiano di Studi sul-
l’Alto Medioevo. Venticinque anni di attività. 1957-1977, Spoleto, CISAM, 1977,
pp. 73-92.
63 Chenu, La Teologia nel Medioevo. La Teologia nel secolo XII, cit., pp. 246-
248, citazione a p. 248.
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misura via via più sensibile da Ivo di Chartres in avanti, quindi la co-
dificazione del paradigma giuridico della chiesa primitiva era avve-
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Tale fisionomia era stata fissata dalle pagine dei testi sacri del
cristianesimo: ecco dunque che la Scrittura divenne il principale the-
saurus cui attinsero i moti riformatori interni ed esterni (loro malgra-
do) alla chiesa e nondimeno costituì la pietra miliare di paragone per
gli interventi delle auctoritates ecclesiastiche che furono volti a con-
tenere gli esiti più radicali dell’esegesi scritturale. La Parola di Dio,
tra XI e XII secolo, aveva infatti conosciuto una diffusione straordi-
naria e tale da poter essere «raguminata» ben al di là del chiostro: si
spiega anche così, con l’incentivarsi del bisogno di conoscenza e di
discussione dei verba Dei generate dalla riforma stessa, l’epoca delle
traduzioni e dei volgarizzamenti biblici. Pur a rischio di genericità e
imprecisione, vale comunque la pena di sottolineare come il podero-
so sforzo di riforma della chiesa finisse per essere declinato secondo
il paradigma culturale monastico. E di quel paradigma, che preten-
deva l’assoluta coerenza tra la lictera e la vita si erano nutriti abbon-
dantemente quanti erano poi giunti a contestarne gli esiti fattuali,
circoscritti dall’hic et nunc della storia. Valga per tutti il fugace ricor-
do di un personaggio del calibro di Rodolfo Ardente che nelle sue
“infuocate” omelie rivendicava ai poveri il diritto di essere sostentati
secondo le loro necessità e, nondimeno, tacciava i sacerdoti non ca-
ritatevoli d’esser ladri 68.
67 Cfr. per quanto non sia specificatamente consacrato alla questione del-
la povertà, N.M. Haring, The Interaction between Canon Law and Sacramental
Theology in the Twelfth Century, in Proceedings of the Fourth International Congress
of Medieval Canon Law, Toronto, 21-25 August 1972, a cura di S. Kuttner, Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1976 (Monumenta Iuris Canonici. Series
C: Subsidia, vol. 5), pp. 483-493, p. 483; per l’elaborazione canonistica e la rifles-
sione teologica sulla povertà nel sec. XII, E. Delaruelle, Le problème de la pauvre-
té vu par les théologiens et les canonistes dans la deuxième moitié du XIIe siècle, in
Vaudois languedociens et Pauvres Catholiques, Tolosa, 1967 (“Cahiers de Fanjeaux”,
2), pp. 48-63.
68 Seconda metà del XII secolo: R. Manselli, Evangelismo e povertà, in
Povertà e ricchezza nella spiritualità dei secoli XI e XII, cit., pp. 11-41, pp. 36-35.
69 Tractatus de diversis materiis praedicabilibus ordinatis et distinctis in septem
111
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partes secundum septem dona Spiritus Sancti et eorum fructus, ed. antologica in A.
Lecoy de la Marche, Anecdotes historiques, légendes et apologues tirés d’un recueil
d’Etienne de Bourbon, dominicain du XIIIe siècle, publiés par la Société de l’Histoire
de France, Parigi, Librairie Renouard, 1877, pp. 290-293.
70 Cfr. P. Zerbi, Discorso conclusivo, in Povertà e ricchezza nella spiritualità dei
secoli XI e XII, cit., pp. 91-302 e in particolare p. 301, laddove l’autore sottolineava
il parallelismo tra il «commercium cum Domina Paupertate» di Francesco e un pas-
so dell’Epistula ad fratres de Monte Dei di Guillaume de Saint-Thierry (v. 1149).
71 «Ogni riforma della Chiesa, nel medioevo, implica una riforma della socie-
tà», O. Capitani, Figure e motivi del francescanesimo medievale, Bologna, Pàtron,
2000, p. 11.
112
Sabato 16 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Elisabeth Crouzet-Pavan
Salvatore Tramontana
Esibire la ricchezza
servizio della ricchezza. Sottomessa cioè alla legge sovrana del pos-
sesso e dell’uso e controllo del lavoro umano . Certo, a parte il lungo
2
1
Evangelo di San Matteo, 19, 24, in La Sacra Bibbia, ossia l’Antico e il Nuovo
Testamento tradotto da Giovanni Diodati, Ginevra 1607. Testo condannato dalla
Chiesa romana che nel 1564 aveva vietato di leggere la Bibbia in lingua diversa da
quella latina senza il permesso del locale vescovo. L’edizione citata è quella stampa-
ta a cura del “Deposito di Sacre Scritture”, Piazza Venezia, Roma 1922, p. 770: «E
da capo vi dico: Egli è più agevole che un cammello passi per la cruna di un ago che
un ricco entri nel regno di Dio».
2
Costante, nella dinamica intellettuale della società cristiana, il dibattito, non
solo etico e religioso, sul significato della ricchezza e specie sul suo uso. Un dibatti-
to che, al di là di una linea di sviluppo continuo, riconduceva di frequente a ritorni
e ripensamenti che, dalla esaltazione dell’ascetismo dei monaci o delle considerazio-
ni di Tertulliano sul De cultu feminarum, si spingeva fino a Lorenzo Valla, a Poggio
Bracciolini e all’elogio della ricchezza come critica parassitaria di talune forme di
vita religiosa, e come concezione di una società che trovava in se stessa la giustifica-
zione «del suo impiego produttivo e la ricostruzione del piacere come elemento mo-
113
Salvatore Tramontana
tore e finalità della vita»: F. Gaeta, Lorenzo Valla. Filologia e storia dell’Umanesimo
Italiano, Napoli 1955, pp. 149-51.
3
Per il nesso, soprattutto fra la visione etico-religiosa degli ordini mendicanti
e la dinamica dell’agire degli uomini in una comunità politica, si veda O. Langholm,
Economics in medieval schools: wealth, exchange, value according to the Paris theolog-
ical tradition, Leiden 1992, passim.
4
La divina Commedia, a cura di M. Porena, Inferno, XIX, 115-17, p. 180:«Ahi,
Costantin, di quanto mafu madre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da
te prese il primo ricco padre!»
5
Ivi, Purgatorio, XX, 25-27, p. 191: « […] O buon Fabrizio, / con povertà vo-
lesti anzi virtute / che gran ricchezza posseder con vizio».
6
Convivio, IV, 11-13, in Dante, Tutte le opere, a cura di L. Blasucci, Firenze
1965, pp. 174-78.
7
Una cronaca napoletana figurata del Quattrocento, a cura di R. Filangieri,
Napoli 1956, nn. 47, 49, 55, 57, p. 22.
114
Esibire la ricchezza
8
Gesta Ferdinandi regis Aragonum, a cura di O. Besami, Padova 1973, p. 80.
9
G. Ferrau, La concezione storiografica del Valla: i «Gesta Ferdinandi regis
Aragonum», in Lorenzo Valla e l’Umanesimo italiano, Padova 1986 («Medioevo e
Umanesimo», 59), pp. 280-286.
10
Da vari cronisti — e valga per tutti Saba Malaspina, Rerum sicularum
Historia, in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi ed inediti, Napoli
1868, II, p. 214, nel cui testo i contadini pugliesi sono detti imbecillia — sembra
emergere, spontanea, la convinzione di un nesso diretto fra povertà, incapacità e in-
feriorità morale. Una convinzione da ricondurre al disprezzo per le attività manua-
li e per il comportamento di un populus minor costretto, per sopravvivere, a servire.
Quel populus che il parroco di una novella di Giuseppe Verga (Tutte le novelle, a
cura di G. Simioni, Milano 1968, I, p. 260) indicava come «teste di villani! Bisogna
farci entrare la ragion per forza». Significative le considerazioni di P. Camporesi, La
maschera di Bertoldo. G.C. Croce e la letteratura carnevalesca, Torino 1976, p. 60, sul
conflictus fra due culture e due società diverse da una delle quali i contadini, che non
curant de doctrina, erano considerati viri anormali, carichi di malizia, uomini del de-
monio. Si vedano comunque le pagine dedicate a questo atteggiamento di disprez-
115
Salvatore Tramontana
nie del loro tempo e ampi spazi riservavano alla sfarzosa esibizione
di abiti e gioielli femminili — testimoniano usanze che richiedevano
parecchio dispendio di ricchezza, che imponevano doveri di rango,
che evidenziavano il distacco fra caste privilegiate e la gran massa di
quanti erano costretti a indossare per anni sempre lo stesso misera-
bile vestito, che provocavano angosciosi ed equivoci intrecci tra lus-
so, pentimenti e manifestazioni religiose. Ne fanno fede, fra l’altro,
quelle donne che consideravano il valore sociale e suntuario dell’ab-
bigliamento un pericolo per l’anima e, preoccupate della propria sal-
vezza, portavano il cilicio sotto l’abito alla moda indossato per non
sfigurare.
A questi atteggiamenti contraddittori di personalità sconvolte
dalle loro vanità meschine e al loro terrore dell’inferno, al loro desi-
derio di apparire e alle loro angosce, all’amore cristiano e alla com-
battuta e pur sempre risorgente disponibilità per la vita mondana,
accennava George Chastelain quando cercava di comprendere i mo-
116
Esibire la ricchezza
cioè nei manuali destinati al clero per condurre una buona confes-
sione numerose e ossessive sono le domande su quei peccati ritenu-
ti capitali: «ti conzasti fachi oy vestisti vestimenti adornati per alcuna
vanitati?» ; «ti amasti e priasti du to corpu?» ; «haiti consatu la fa-
16
17
14
In Oeuvres, a cura di Kervyn de Lettenhove, 1863-64, IV, p. 218: «fingen-
dosi di essere la più moderna delle altre — Beatrice di Ravenstein, dice il cronista —
portava tutti i giorni il cilicio sulla sua carne nuda, digiunava a pane e acqua molti
giorni con segreta finzione, quando suo marito era assente dormiva molte notti sulla
paglia e non nel letto». La scoperta delle forme del corpo aveva del resto portato le
donne dell’aristocrazia all’uso del busto indicato poi dalla medicina «fonte di tutti
i mali immaginabili, dalla costipazione al cancro»: E. Shorter, Storia del corpo fem-
minile, Milano 1984, p. 45. Si veda comunque in particolare P. Diepgen, Frau und
Franenheiilkunde in der Kultur des Mittelalters, Stuttgart 1963, p. 207.
15
Libru di li vitii et di li virtuti, a cura di F. Bruni, Palermo 1973 (Collezione di
testi siciliani dei secoli XIV e XV fondata da E. Li Gotti, diretta da A. Pagliaro),
II, c. 176, p. 259.
16
Regole, costituzioni, confessionali e rituali, a cura di F. Branciforti, Palermo
1953 (Collezione di Testi siciliani dei secoli XIV-XV diretta da E. Li Gotti), p. 137,
rigo 7.
17
Ivi, p. 137, rigo 11.
18
Ibidem, p. 172, rigo 9.
19
Ibidem, p. 172, rigo 13.
20
Ibidem, p. 172, rigo 20.
21
Ibidem, p. 173, rigo 4.
22
J. Boswell, L’abbandono dei bambini in Europa Occidentale, Milano 1991,
117
Salvatore Tramontana
118
Esibire la ricchezza
tale contribuiva non solo all’aumento generale di ricchezza, ma anche alla diffusione
di uno stile di vita, vale a dire di una civiltà. E pure per questo è forse opportuno ri-
flettere sulla dinamica economica del sec. XV, quando, alla diminuzione della quan-
tità globale della produzione, e quindi alla minore domanda di beni, corrispondeva
un’accresciuta richiesta di generi di lusso: A. Fanfani, Le origini dello spirito capi-
talistico in Italia, Milano 1933, p. 80; G. Puzzato, Storia economica d’Italia, Firenze
1963, p. 293; le varie relazioni alla XXXIII Settimana di Studi promossa dall’Istitu-
to di Storia economica “Francesco Datini” di Prato dedicata appunto, dal 30 aprile
al 4 maggio 2001, a Economia e arte nei secoli XIII-XVIII.
27
G. Del Giudice, Una legge suntuaria inedita del 1290. Commento storico-
critico con note e appendici di documenti, la maggior parte inediti, Napoli 1887, doc.
IV (8. XII. 1298), pp. 258-62.
28
Il Trecentonovelle, a cura di E. Faccioli, Torino 1970, nov. 137, pp.
355-58.
29
H. Baudrillart, Histoire du luxe privé et public depuis l’antiquité jusqu’à nos
jours, Paris 1878-80, III, p. 287; A. Racinet, Le coutume historique. Cinq cents plan-
ches, trois cents en couleurs, or et argent, deux cents en camaïeu. Types principaux du
vêtement et de la parure, Paris 1888, IV, planches et notices 208, n. 21.
119
Salvatore Tramontana
futuro m’è già nel cospetto, / cui non sarà quest’ora molto antica /
nel qual sarà in pergamo interdetto / a le sfacciate donne fiorentine /
e l’andar mostrando con le poppe il petto» .
30
Sforza testimoniato, fra l’altro, dal dettagliato elenco del corredo as-
segnato alla figlia Ippolita che andava sposa al duca di Calabria .
32
30
La divina Commedia, cit., Purgatorio, XXIII, vv. 98-101, p. 225. Su questo
ritorno allo spirito e alle virtù del passato e ai «sùbiti guadagni», cioè ai rapidi e di-
sonesti arricchimenti che trovavano nel lusso, spesso impudico, la testimonianza più
palese, Dante insiste anche in altre opere: Convivio, cit., IV, 27, p. 195; De monar-
chia, I, 5, in Tutte le opere, cit., pp. 253-54.
31
Opuscolum de rebus gestis ab Azone Luchino et Johanni vicecomitibus ab anno
MCCCXXVIII usque ad annum MCCCXLII, in L.A. Muratori, Rerum Italicarum
Scriptores, Milano 1723-38, XII, col. 1033.
32
Sul matrimonio, i vestiti, la sontuosa cerimonia, la doppia laus del Regno
di Sicilia e del ducato di Milano si veda Matteo Zuppardo, Alfonseis, a cura di G.
Albanese, Palermo 1990, III, p. 127sgg., e soprattutto le dettagliate note della cu-
ratrice nelle pp. 19, 56, 126, 129, 131-47. I motivi politici del matrimonio in E.
Pontieri, Alfonso il Magnanimo re di Napoli: 1435-1458, Napoli 1975, pp. 325-28.
33
Ad virgines et puellas. Sermo II, in Sermones et omnes status per Johannem
de Vingle, Lugduni 1511, f. 147v. Da talune tombe recentemente portate alla luce è
emerso, per esempio, che la regina Arnegonda, moglie di Clotario I, indossava una
lunga tunica di seta colore rosso bruno «tutta aperta verso il basso, cosicché era
possibile vedere i legacci decorati delle calze»: E. Ennen, La donna nel Medioevo,
Bari 1986, pp. 67-68. È noto del resto che le ragazze di Sparta portavano una tuni-
ca aperta e dagli ateniesi di Pericle erano dette, in segno di disprezzo, fainomerides:
che mostravano le cosce. Quando correvano invece mostravano «nudo tutto quan-
to, dall’ascella al tallone».
34
Archivio di Stato di Palermo, Notai defunti, notaio Enrico de Citella, reg.
79, c. 94v (29 gennaio 1349), relativo ai capitoli nuziali di Rita, figlia di Andrea di
120
Esibire la ricchezza
Domenico.
35
Registri di lettere, gabelle e petizioni, a cura di F. Pollaci Nuccio - D.
Gnoffo, Palermo 1892, p. 287.
36
Giovanni de Mussis, Chronicon Placentinum, in L.A. Muratori, Antiquitates
Italicae Medii Aevi, Milano 1738-42, 23, col. 3196.
37
Per le tecniche di lavorazione e tessitura del lino nel medioevo si veda Th.K.
Derry - T.J. Williams, Tecnologia e civiltà occidentale. Storia della tecnica e dei suoi
effetti economico-sociali, Torino 1968, pp. 118-25; Braudel, Capitalismo e civiltà ma-
teriale, cit., pp. 242-44.
38
Teodulfo d’Orleans, Ad Carolum regem, in Carmina, XXV, vv. 105-
106, Monumenta Germaniae Historica, Poetae latini Aevi Carolini, a cura di E.
Duemmler, Berlino 1891, I, p. 486:«Huic ferruginea est, apta huic quoque lutea ve-
stis, / Lacteolum strophium haec veluit, illa rubrum».
39
Giovanni Boccaccio, Il commento alla Divina Commedia e gli altri scritti in-
torno a Dante, a cura di D. Guerri, Bari 1918, II, p. 158.
121
Salvatore Tramontana
40
F. Troncarelli, «Nella mia fine è il mio principio». Il fantasma del Medioevo
in Joyce ed Eliot, «Quaderni medievali», 19 (giugno 1985), pp. 106-109.
41
I passi citati in C. Gallo, Vincenzo Littara netino, apologista di Palermo,
«Archivio storico siciliano», serie III, VI (1954), pp. 96-97.
42
In Ch. Baudelaire, Scritti di estetica, a cura di G. Macchia, Firenze 1948,
pp. 224-27.
43
Ivi, p. 186.
44
Pietro da Eboli, De rebus siculis carmen, a cura di E. Rota, Città di Castello
1904-1910 (Rerum Italicarum Scriptores, Nuova edizione, XXXI [da ora in avan-
ti RIS2]), tav. IV, p. 14, che riporta la miniatura in bianco e nero, riprodotta invece a
colori in Storia della Sicilia, diretta da R. Romeo, Palermo-Napoli 1980, IV, tav. I.
122
Esibire la ricchezza
ne. I cui minuziosi dettagli, presenti nel testo di una Coronacio regis
pubblicato nel 1898 da Iacob Schwalm sono stati studiati e assegna-
46
45
B. Brenk, La parete occidentale della Cappella Palatina a Palermo, «Arte me-
dievale», II, serie IV, n. 2, (1990), pp. 18-22.
46
J. Schwalm, Coronacio regis. Reiseberichte 1894-1896, «Neues Archiv für
deutsche Geschichts Forschung», XXXIII (1898), pp. 10-22.
47
R. Elze, Zum Königtum Rogers II von Sizilien, in Festschrift Percy Ernst
Schramm zum 70. Geburtstag, I, Wiesbaden 1964, pp. 102-1116; Id., «Tres ordi-
nes» per l’incoronazione di un re e di una regina del regno normanno in Sicilia, in Atti
del Congresso Internazionale di Studi sulla Sicilia normanna, Palermo, 4-8 dicembre
1972, Palermo 1973, pp. 438-59; N. Moran, Due acclamazioni di sovrani nel «Codice
123
Salvatore Tramontana
124
Esibire la ricchezza
50
G. Cavallo, La cultura italo-greca nella produzione libraria, in AA.VV., I bi-
zantini in Italia, Milano 1982, p. 581.
51
L’avorio si trova nel museo Puskin di Mosca: A. Goldschmidt - K.
Weitzmann, Die byzantinischen Elfenbeinskulpturen des XII-XIII Jahrhunderts,
Berlin 1934, II, n. 35. Per altre raffigurazioni del nesso fra Cristo e il trono si veda B.
Brenk, La parete occidentale della Cappella Palatina, cit., p. 146 e note.
52
E. Kitzinger, On the Portrait of Rogers II in the Martorana in Palermo,
«Proporzioni», III (1950), pp. 30 e 32; B. Brenk, La parete occidentale della Cappella
Palatina, cit. 147. La testimonianza del cronista Vitukind, Res gestae Saxoniae, II, 1,
«Quellen zur Geschichte der sachsischen Kaiserzeit», a cura di A. Bauer - R. Rau,
Darmstadt 1971, pp. 86-88, il quale scrive fra l’altro che l’arcivescovo, appena il so-
vrano fu giunto nella Cappella Palatina, si rivolse così al popolo: «adduco vobis a
Deo electum […] nunc vero a cunctis principibus regem factum Ottonem».
125
Salvatore Tramontana
53
In Romanzi medievali d’amore e d’avventura, Milano 1981, p. 60.
54
La società feudale, Torino 1949, p. 355.
55
Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et
Roberti Guiscardi fratris eius, a cura di E. Pontieri, Bologna 1927 (RIS2, V), I, 19,
pp. 18-19.
56
Romualdo Salernitano, Chronicon, a cura di C.A. Garufi, Città di Castello
(RIS , VII) 1914-35, pp. 253-54. Secondo A. Schultz, Quid de perfecta corporis hu-
2
mani pulchritudine Germani saec. XII et XIII, senserint, Hannover 1866, l’ideale
di bellezza in epoca sveva non era più l’alta statura. Nessuna fonte, per esempio,
precisa la statura di Federico II; e di Manfredi Saba Malaspina, Rerum sicularum
Historia, cit., III, 13, p. 258, dice che era «statura mediocri».
57
Pietro da Eboli, De rebus carmen, cit., v. 35, p. 11. Nel v. 38, p. 12 è det-
to res pulcherrima. Le sue fattezze — che sembrano quelle di un giovane vicino ai
trent’anni — si colgono in due pannelli del mosaico di Monreale, nei quali il sovra-
no è rappresentato in atto di offrire la chiesa alla Vergine, e mentre è incoronato da
Cristo: E. Kitzinger, I mosaici di Monreale, Palermo 1991, p. 16.
58
Riccardo di San Germano, Chrolnica, a cura di C.A. Garufi, Bologna 1937-
38 (RIS2, VII), p. 4.
59
Ugo Falcando, Historia o Liber de Regno Sicilie, a cura di G.B. Siragusa,
Roma 1897 (Fonti per la Storia d’Italia, 22), XXV, p. 89.
126
Esibire la ricchezza
aveva cioè i caratteri propri della nobiltà e della regalità, quelli, ap-
punto, descritti da Nicolò Jamsilla e da Saba Malaspina , e che ri-
61
62
60
La divina Commedia, cit., Purgatorio, III, 107, p. 34.
61
Nicolo’ Jamsilla, De rebus gestis Friderici II imperatoris eiusque filiorum
Conradi et Manfridi Apulie et Sicilie regum:1210-1258, in Del Re, Cronisti e scritto-
ri sincroni napoletani, cit., II, pp. 107-108: «Formavit enim ipsum natura gratiarum
omnium receptabilem, et sic omnes corporis sui partes conformi speciositate com-
posuit, ut nihil in eo esset, quo melius esse posset».
62
Saba Malaspina, Rerum sicularum Historia, cit., III. 13, p. 258: «erat […]
homo flavus, amoena facie, aspectu placibilis, in maxillis rubeus, oculis sidereis, per
totum niveus».
63
Il primo libro di Samuele, XVI, 12, in La sacra Bibbia, cit., pp. 250-51.
64
Come, fra gli altri, conferma Alessandro di Telese, Ystoria Rogerii regis
Siciliae, cit., I, c. 4, p. 8: «Auro vero, vel argento, ceterisque rebus ita opulentissimus
erat, ut cunctis pregrandem ex hoc stuporem ingereret».
127
Salvatore Tramontana
65
Guglielmo di Tiro, Chronicon, a cura di R.B.C. Huygens, Turnhout 1986,
XI, 21, pp. 525-26: «Fuit praedicta comitissa […] nobilis et potens et dives matro-
na»; Fulcherio di Chartres, Gesta Francorum Hierusalem peregrinantium, c. 51, in
Recueil des historiens des Croisades. Historiens Occidentaux, III, Paris 1841, p. 425.
66
E. Pontieri, La madre di re Ruggero: Adelaide del Vasto contessa di Sicilia,
regina di Gerusalemme: ?-1118, Atti del Congresso Internazionale di Studi rug-
geriani (21-25 aprile 1954), Palermo 1955, II, p. 426. Per Alberto di Aquisgrana
(Historia Hierosolimitana, XII, 24, in Recueil des historiens des Croisades. Historiens
Occidentaux, IV, Paris 1879, p. 704) lo scioglimento del matrimonio sarebbe stato
imposto dal Patriarca a causa della consanguinitas fra Baldovino e Adelasia.
67
Guglelmo di Tiro, Chronicon, cit., XI, 29, p. 451 riferisce: Adelasia, «do-
lens igitur et tristis tam de illata contumelia quam de opibus inutiliter consumpti-
bus, ad reditum se preparat, post tertium annum, quod ad dominum regem venerat,
in patriam reversura». Si veda comunque E. Caspar, Ruggero II e la fondazione del-
la monarchia normanna di Sicilia, con un saggio introduttivo di O. Zecchino, Bari
1999 (l’edizione originale è del 1904), p. 33 e nota 36; R. Röhricht, Geschichte des
Komgreichs Jerusalem: 1110-1291, Innsbruck 1898, p. 118.
68
Orderico Vitale, Historia ecclesiastica, a cura di M. Chibnall, Oxford
1969-80, XIII, 15 (V, 35-36), p. 432.
69
S. Tramontana, Il regno di Sicilia. Uomo e natura dall’XI al XIII secolo,
Torino 1999, p. 306.
128
Esibire la ricchezza
Adelasia, scesa dalla nave tra squilli dei corni e suono di mu-
sica, veniva scortata, lungo strade ricoperte di preziosi tappeti co-
lorati e case con bandiere di porpora, fino al palazzo reale. Dove,
per giorni furono festeggiate le nozze con incredibile sfarzo. Una
cerimonia, dice il cronista, benedetta da Arnoldo, Patriarca di
Gerusalemme, e che sembra testimoniasse quell’etica dell’opulenza,
quello sfarzo, quella esibizione e dilapidazione di ricchezza , che,
71
nel Regnum Siciliae, avrebbe avuto sempre più larga diffusione al-
meno fino ai tempi di Ferdinando il Cattolico. Quando autori come
Pietro Ranzano e Giovanni Naso evidenziavano la circolarità del pa-
trimonio ludico e delle tecniche degli spettacoli, delle feste, delle ce-
rimonie, fra Sicilia, Napoli e la Spagna. Ma questa sarebbe, anzi è
un’altra storia: la nostra storia che continua ancora.
70
Alberto di Aquisgrana, Historia Hierosolymitana, cit., XII, 13, pp. 696-
97. Si veda comunque Pontieri, La madre di re Ruggero, cit., pp. 426-27 e H.
Hagenmeyer, Ekkehardi Hierosolymita, Tübingen 1877, p. 298, il quale pensa che
sull’esposizione di Alberto giochi qua e là un poco di fantasia, ma precisa che il cro-
nista dichiara di essersi servito per la stesura del suo lavoro «di racconti di testimo-
ni oculari».
71
Alberto di Aquisgrana, Historia Hierosolymitana, cit., XII, 13, p. 697.
Guglelmo di Tiro, Chronicon, cit., p. 526, che pure è più misurato nelle espressioni,
conferma «l’etica dell’opulenza» che caratterizzava ormai la politica degli Altavilla:
Adelasia, scrive egli infatti, su suggerimento del figlio «se accingit ad iter et, oneratis
navibus, frumento, vino et oleo et salsis carnibus, armis preterea et equitaturis egre-
gis, assumens secum infinitam pecuniam, omnibus eam prosequentibus copiis».
129
Sabato 16 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Elisabeth Crouzet-Pavan
Anna Esposito
I desideri delle donne
tra nozze e convento
131
Anna Esposito
tori e confessori che ne facevano spesso strumenti dei loro fini. Del
resto sono quasi sempre gli uomini a raccontare la vita delle donne,
ma — come ha osservato Luisa Miglio — la donna di cui essi parla-
no non è — il più delle volte — la figlia, la sorella, la madre ma solo
l’oggetto di transazioni commerciali, la somma da depositare al mon-
te delle doti o da pagare al futuro sposo, lo strumento fidato dei pro-
pri affari domestici 3.
minile precoce nella società italiana del tardo medioevo e della prima
età moderna. Anche dal particolare punto di vista delle aspirazioni
e degli obbiettivi femminili, l’età risulta un elemento condizionan-
te, così come altrettanto condizionante è quello dei ceti sociali e del-
le realtà politiche di appartenenza. Dunque non una storia univoca,
ma un quadro dalle infinite sfaccettature, come infinite sono le sto-
rie delle donne, da cui si cercherà — attraverso un campionario di
esistenze femminili — di mettere in evidenza qualche tratto comu-
ne più significativo.
Ciò premesso, viene naturalmente da chiedersi se le donne po-
tevano sfuggire o persino reagire ad un destino già fissato, delineato,
imposto da altri. La storiografia più recente, in contrasto con quel-
la “vittimistica” degli anni ’70-’80 del ’900 dove il concetto di ‘op-
pressione’ come chiave di interpretazione del passato femminile era
assunto come il comune denominatore delle esperienze storiche del-
le donne, ha valorizzato il concetto di «autonomia e iniziativa/intra-
prendenza», cioè ha sostituito una visione attiva e dinamica del ruolo
svolto dalle donne nelle società occidentali a quella passiva degli stu-
132
I desideri delle donne tra nozze e convento
133
Anna Esposito
9 Per quanto riguarda le scelte matrimoniali della famiglia Strozzi, con ampio
riferimento all’epistolario di Margherita cfr. L. Fabbri, Alleanza matrimoniale e pa-
triziato nella Firenze del ’400. Studio sulla famiglia Strozzi, Firenze 1991, in partico-
lare pp. 119-130, 168-175.
10 Cfr. Lucrezia Tornabuoni, Lettere, a cura di P. Salvatori, Firenze 1993
(Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. Studi e testi, 32), lettera 12, pp. 62-63;
lettera 13, p. 64. Ricorda la Salvatori nella sua Introduzione (ivi, p. 21, nota 77) come
non mancarono aspri commenti sulla missione di Lucrezia a Roma e le sue relazioni
con gli ambienti ecclesiastici. Secondo il fuoriuscito Stefano Acciaiuoli (che scrive
da Roma al fratello Neri il 3 apr. 1467): «Piero di Cosimo ha mandato qui madama
sua per imbasciadrice, parendo loro che Giovanni Canigiani non sia capace alle ma-
terie occorrenti. Ella va con quei mercatanti visitando ad uno ad uno quei cardinali,
e attende audienzia dal papa. Fàlla alla signorile e va lisciata come fussi di 15 anni.
Ecci chi si ride di lei, ma più di Piero». Sul ruolo pubblico di Lucrezia si sofferma
F. W. Kent, Sainted Mother, Magnificent Son: Lucrezia Tornabuoni and Lorenzo de’
Medici, «Italian History and Culture», 3 (1997), pp. 3-33: 13-14.
134
I desideri delle donne tra nozze e convento
— sempre richiamata dal legislatore e data come uno tra gli elemen-
ti costitutivi dell’unione —, quell’intesa e complicità che rendono
meno gravose le mille difficoltà dell’esistenza, anche se nella mag-
gioranza dei casi possiamo solo ipotizzare piuttosto che verificare la
qualità dei rapporti coniugali: nei “libri di ricordi” tenuti dagli uomi-
ni «affetti ed emozioni traspaiono solo in filigrana» e non sono note
‘ricordanze’ al femminile, ma solo pochi esempi di libri di ammini-
strazione familiare tenuti da vedove alla fine del Medioevo, che co-
munque — come ricorda Duccio Balestracci 11 — non si discostano
135
Anna Esposito
non aver ancora generato il figlio maschio tanto atteso: «quando ele
disono el’è femina mi venne il dolore della morte» e aggiunge «per-
ch’io abi fachta la fangulla femina, non mi dimentichare» 17.
136
I desideri delle donne tra nozze e convento
19 Ad esempio, si veda il caso di tal Caterina de Castro Plebis, che nel 1427 si
rivolgeva alla strega Matteuccia di Todi per avere un preparato che le evitasse d’in-
gravidare, cfr. D. Mammoli, Processo alla strega Matteuccia di Francesco. 20 marzo
1428, Todi 1969, p. 30. Su questo tema cfr. G. Canestrini, Cenni sul controllo del-
le nascite e l’aborto, in L’erba delle donne. Maghe, streghe, guaritrici. La riscoperta di
un’altra medicina, Roma 1979, pp. 87-103.
20 Cfr. Ricette d’amore e di bellezza di Caterina Sforza, signora di Forlì e Imola,
a cura di E. Caruso, Cesena 2009, p. 54. Nel ricettario è presente anche un rime-
dio «a fare che una se ingravidi» (ivi), mentre diverse ricette sono destinate «a fare
che una donna […], essendo corrupta, demostrerà naturalissima vergine» (ibidem,
pp. 56-58).
21 Cfr. U. Mazzone, “El buon governo”. Un progetto di riforma generale nella
Firenze savonaroliana, Firenze 1978, p. 99, in data 18 giugno 1499.
22 Questo valeva in modo particolare per le famiglie “di potere”. A questo
proposito illuminante è la corrispondenza tra Eleonora d’Aragona e la figlia Isabella
d’Este, dopo il matrimonio di Isabella con Francesco Gonzaga, cfr. M. Ferrari,
Un’educazione sentimentale per lettera: il caso di Isabella d’Este (1490-1493), «Reti
Medievali - Rivista», X, 2009, url: <http://www.retimedievali.it>.
137
Anna Esposito
Senza dubbio rivelarsi sterile era la colpa più grave della donna,
soprattutto quando il marito dimostrava la propria capacità di pro-
creare fuori dal matrimonio, con serve o schiave di casa o con altre
donne, spesso incontrate nelle località dove sbrigava i propri affari.
La storia matrimoniale di Margherita Datini, troppo nota per trat-
tarne a lungo, e le sue lettere sono il riflesso di due dolorose assenze:
quella dei figli, che lei non poteva avere, e quella del marito, a lunghi
intervalli lontano «per fare masserizia» e che era stato reso padre da
altre donne 24. È perciò tra il serio e il faceto che Margherita, quan-
sullo stesso tono il brano di una lettera di Dora Guidalotti del Bene
al marito Francesco: «Tu mi scrivi che non puo’ dormire la notte per
pensieri che ài dell’Antonia (la figlia da maritare), ma a me è detto
che ttu ài altra compagnia che non ti lascia dormire» 26.
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I desideri delle donne tra nozze e convento
sa che il marito Francesco Sforza aveva avviato con una giovane milanese, benché
fosse ormai anziano e malato», cfr. M.N. Covini, Il palazzo milanese di Elisabetta
da Robecco, ultima amante di Francesco Sforza, «Nuova Rivista Storica», 88 (2004),
pp. 799-810; la citazione è tratta da Ead., Tra cure domestiche, sentimenti e politi-
ca. La corrispondenza di Bianca Maria Visconti duchessa di Milano (1450-1468), «Reti
Medievali - Rivista», X (2009), url: <http://www.retimedievali.it>. Il tormento cau-
sato dal disinteresse del coniuge nei confronti della moglie è testimoniato con parti-
colare efficacia nel caso di Maddalena de’ Medici, moglie di Franceschetto Cibo, su
cui fanno luce alcune lettere del segretario e confidente della donna a Roma, Matteo
Franco. In particolare in quella del 18 gennaio 1492, scritta a Piero Dovizi, cancellie-
re del Magnifico, lo scrivente descrive con efficacia la trascuratezza di Franceschetto
e la sofferenza della consorte: «la indisposizione di madonna Magdalena è del suo
troppo veghiare per indiscrezione del S., perché tutta questa vernata non ancor fi-
nita è stato a giucare tutta nocte, et quando cenato alle .6. e .7. ore, et quando ito a
lletto a ddì et lei mai ha voluto né saputo mangiare senza lui, tanto che n’avea perdu-
to et il sonno et il mangiare, et era diventata come (una) lucciola», e più avanti «mai
pensa né songna altro, tam excessivamente lo ama, che s’intisichisce da sé ad sé: che
mi pare questa delle più paurose cose ch’el’abbia in sé, perché di niente […] pigla
piacere», cfr. M. Franco, Lettere, a cura di G. Frosini, Firenze 1990, lett. XII, pp.
108-114: 110, 111, lettera riprodotta in G. Frosini, «Honore et utile»: vicende stori-
che e testimonianze private nelle lettere romane di Matteo Franco (1488-1492), «Reti
Medievali - Rivista», X (2009), url: <http://www.retimedievali.it>.
28 Cfr. A. Esposito, Adulterio, concubinato, bigamia: testimonianze dalla nor-
mativa statutaria dello Stato pontificio (secoli XIII-XVI), in Trasgressioni. Seduzione,
concubinato, adulterio, bigamia (XIV-XVIII secolo), a cura di S. Seidel Menchi - D.
Quaglioni, Bologna 2004, pp. 21-42. Una selezionata casistica di norme e provve-
dimenti contro l’adulterio (soprattutto femminile) si trova in E. Rodocanachi, La
femme italienne à l’époque de la renaissance. Sa vie privée et mondaine, son influence
sociale, ed. an., Roma 2004, pp. 386-395.
29 G. Casagrande - M. Pazzaglia, ‘Bona mulier in domo’. Donne nel
Giudiziario del comune di Perugia nel Duecento, in Donne nel Medioevo. Ricerche in
Umbria e dintorni, a cura di G. Casagrande, Perugia 2005, pp. 131-193.
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30 Ivi, p. 164.
31 Cfr. A. Esposito, Convivenza e separazione a Roma nel primo Rinascimento,
in Coniugi nemici. La separazione in Italia dal XII al XVIII secolo, a cura di S. Seidel
Menchi - D. Quaglioni, Bologna 2000, pp. 499-518.
32 Cfr. I. Magli, L’etica familiare e la donna in S. Bernardino, in Atti del conve-
gno storico bernardiniano in occasione del sesto centenario della nascita di s. Bernardino
da Siena, L’Aquila 7-9 maggio 1980, Teramo 1982, pp. 110-125: 121-123.
33 Bernardino da Siena, Le prediche volgari, cit. Ma non si deve dimentica-
re anche l’altra faccia della medaglia, ovvero la possibile inclinazione omosessua-
le del coniuge, a questo proposito cfr. il caso di Alessandra de’ Bardi che accusò il
marito Raffaele Acciaiuoli di trascurarla («spernendo dictam suam uxorem et raro
cum mea dormiendo») e di praticare la sodomia, caso segnalato da G. Brucker,
Giovanni e Lusanna. Amore e matrimonio nella Firenze del Rinascimento, Bologna
1988, p. 70.
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I desideri delle donne tra nozze e convento
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I desideri delle donne tra nozze e convento
riti crudeli 43 e donne che vogliono separare gli uomini di cui si sono
secondo ’300 e del ’400, che pure hanno come fine «quello di ini-
bire la volontà e ridurre in proprio potere l’oggetto d’amore o, al
contrario, scatenare l’odio» 45. Mi sembra però interessante richia-
43 Sulle violenze perpetrate dai mariti cfr. ad esempio quanto riferisce S.K.
Cohn jr., Sex and Violence on the Periphery: the Territorial State in Early Renaissance
Florence, in Id., Women in the Streets. Essays on Sex and Power in Renaissance
Italy, Baltimora-Londra 1996, pp. 98-136, oppure i casi presentati da A. Esposito,
Convivenza e separazione a Roma, cit. Particolarmente significativa la testimonianza
di una donna fiorentina, moglie di tal Ardengo de’ Ricci, che aveva reagito alla bru-
talità del coniuge: «non volevo a nessun modo mi tractassi come bestia, ma come
donna d’anima perfecta» (1497), cfr. U. Mazzon, “El buon governo”, cit., p. 99.
44 U. Nicolini, La stregoneria a Perugia ed in Umbria nel Medioevo, «Bollettino
della Deputazione di storia patria per l’Umbria», 84 (1987), pp. 5-87.
45 D. Corsi, “Figlia di un demone minore”. La stregoneria nei processi toscani
del Quattrocento, in Scrivere il medioevo. Lo spazio, la santità, il cibo. Un libro dedi-
cato ad Odile Redon, a cura di B. Laurioux - L. Moulinier-Brogi, Roma 2001, pp.
249-261: 252.
46 Il caso è presentato da V. Rizzo, Donne e criminalità a Viterbo nel XV se-
colo, «Rivista storica del Lazio», 12 (2000), pp. 11-27: a pp. 22-27 l’edizione del-
la sentenza.
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I desideri delle donne tra nozze e convento
vo di suicidio da parte della donna, che forse non trovava nel mari-
to un valido sostegno affettivo: Elena, moglie del tedesco Andrea di
Giuliano, prometteva «se velle vivere cum ipso Andrea ut bona uxor
et se non interficere nec ad actum se interficiendi devenire»; però se
le fosse riuscito di togliersi la vita, in quel caso la sua dote e i suoi
beni esistenti a Viterbo «sint libere et totaliter ipsius Andree absque
aliqua exceptione». Andrea a sua volta prometteva «bene tractare
ipsam dominam Helenam eius uxorem ut bonus vir tenetur tractare
suam bonam uxorem», in caso contrario non avrebbe avuto nulla a
pretendere né della dote né dei beni viterbesi della moglie.
Gli spazi lasciati alle donne dalla legislazione e dalle convenzio-
ni sociali non erano così ridotti da impedire loro di reagire a situazio-
ni di malessere determinate dalla condizione matrimoniale.
Come mostra la ricca documentazione in materia conservata
negli archivi dei tribunali italiani, civili ed ecclesiastici, oggetto nel-
l’ultimo decennio di studi e analisi seriali 51, porre fine ad un’unione
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Anna Esposito
Coniugi nemici, cit., pp. 95-118: 105, 114. Cfr. ora anche G. Marchetto, Il divorzio
imperfetto. I giuristi medievali e la separazione dei coniugi, Bologna 2008.
53 «Erano soprattutto quattro i motivi riconosciuti agli effetti della separa-
tio quoad thorum: adulterio, sevizie, odio capitale e malattia contagiosa», cfr. G. Di
Renzo Villata, Separazione personale dei coniugi (Storia), in Enciclopedia del diritto,
XLI, Milano 1989, pp. 1350-1376: 1361-1362.
54 Cfr. per Venezia C. Cristellon, L’ufficio del giudice: mediazione, inquisizio-
ne e confessione nei processi matrimoniali veneziani (1420-1532), «Rivista storica ita-
liana», 115/3 (2003); pp. 851-898: 862.
55 G. Brucker, Giovanni e Lusanna, cit.
56 Cfr. S. Seidel Menchi, A titolo di introduzione a Tempi e spazi di vita femmi-
nile, cit., p. 17, e nello stesso volume il saggio di D. Hacke, «Non lo volevo per ma-
rito in modo alcuno». Matrimoni forzati e conflitti generazionali a Venezia fra il 1580
e il 1680, pp. 195-224.
57 Una percentuale notevole delle richieste di annullamento presso i tribuna-
li vescovili italiani tra la fine del ’300 e la prima metà del ’400 (i più antichi) adduce
l’impedimento della minore età di uno dei contraenti (per lo più della sposa) come
causa di nullità del vincolo matrimoniale. Si trattava in verità di una strategia legale,
consigliata dagli avvocati della parte interessata allo scioglimento di nozze talvolta
non consumato; ma la minore età della sposa (9, 10, 11 anni) è provata da testimo-
nianze e documenti, oppure, in mancanza di questi, dal dichiarare che la sposa non
fosse lontana da quell’età, cfr. Ch. Meek, La donna, la famiglia, la legge nell’epoca
di Ilaria del Carretto, in Ilaria del Carretto e il suo monumento. La donna nell’arte,
la cultura e la società del ’400, Atti del convegno internazionale di studi (Lucca, 15-
17 settembre 1994), a cura di S. Toussaint, Lucca 1995, pp. 137-163: 140-144; S.
Seidel Menchi, La fanciulla e la clessidra, cit., p. 138.
58 Cfr. Ch. Meek, La donna, la famiglia, la legge nell’epoca di Ilaria del Carretto,
cit., pp. 140-3; S. Seidel Menchi, La fanciulla e la clessidra, cit., p. 138.
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I desideri delle donne tra nozze e convento
la diocesi di Cefalù era stata costretta dai genitori mentre era mino-
renne a sposare Mascio de Agnello di Mistretta presso Messina, ma
— raggiunta l’età adatta — si era rifiutata di consumare le nozze e
qualche tempo dopo si era sposata (con successiva copula carnale)
con Francesco da Lipari. Richiedeva perciò di dichiarare nullo il pri-
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I desideri delle donne tra nozze e convento
Medici 68 ma anche molte altre donne meno note e meno nobili, che
Roma 2008, pp. 247-280; Ead., Tra cure domestiche, sentimenti e politica, cit.
65 Il riferimento è ai saggi del volume Donne di potere nel Rinascimento, cit.;
in particolare per le donne della famiglia d’Este cfr. M.S. Mazzi, Come rose d’inver-
no. Le signore della corte estense nel ’400, Ferrara 2004.
66 F. Leverotti, Lucia Marliani e la sua famiglia: il potere di una donna amata,
in Donne di potere, cit., pp. 281-312.
67 Sul ruolo “manageriale” di Margherita Datini cfr. ora C. James, Il lavoro
femminile in un mondo dominato dagli uomini. Le lettere di Margherita Datini (1384-
1410), in Francesco di Marco Datini. L’uomo il mercante, cit., pp. 57-77.
68 P. Salvatori, La gestione di un casato. Il carteggio di Lucrezia Tornabuoni de’
Medici, «Memoria», 18 (1986), pp. 81-89.
69 Ad esempio, in una lettera del 5 aprile 1399 Margherita Datini scriveva: «E’
tropo grande faticha a volere atendere a le cose degn’uomini e di queste di chasa,
perché nol sa se non chi lo pruova quel ch’è a governare una chasa», cfr. Le lettere
di Margherita Datini, cit., nr. 193, p. 276.
70 D. Ghirardo, Lucrezia Borgia, imprenditrice nella Ferrara rinascimentale, in
Donne di potere, cit., pp. 129-144.
71 Per ora cfr. I. Ait, Un’imprenditrice nella Roma del Rinascimento: il caso
di Cristofora Margani, di prossima pubblicazione nella miscellanea in memoria di
149
Anna Esposito
Gabriella Braga.
72 Era moglie di Niccolò Sanuti.
73 Cfr. G. Lombardi, Galiane in rivolta. Una polemica umanistica sugli orna-
menti femminili nella Viterbo del Quattrocento, 2 voll., Roma 1998, I, pp. CXVII-
CXVIII, CXXVI-CXXIX, da cui è tratta la citazione della lettera di Nicolosa. Per
il decreto suntuario del Bessarione cfr. La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XVI.
Emilia-Romagna, a cura di M.G. Muzzarelli, Roma 2002, pp. 148-152.
74 M.G. Muzzarelli, Guardaroba medievale. Vesti e società dal XIII al XVI se-
colo, Bologna 1999, pp. 346-347.
75 G. Lombardi, Galiane in rivolta, cit. Il testo delle tre orazioni — con a fron-
te la traduzione italiana — è alle pp. 2-217.
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I desideri delle donne tra nozze e convento
che la donna poteva accettare più o meno di buon grado 87, ma che
85 E. Power, Donne del medioevo, a cura di M.M. Postan, Milano 1978, cap.
V, pp. 117-133, dove si sintetizzano le osservazioni tratte da Ead., Medieval English
nunneries, c. 1275-1535, Cambridge 1922. Per la scelta claustrale in Italia fonda-
mentali sono gli studi di G. Zarri, ora in parte confluiti nel volume Recinti. Donne,
clausura e matrimonio nella prima età moderna, Bologna 2000.
86 L’aumento delle doti divenne particolarmente forte a partire dalla metà del
’400, cfr. A. Molho, Tamquam vere mortue: Le professioni religiose femminili nella
Firenze del tardo Medioevo, «Società e storia», 12 (1989), pp. 1-44: 27-30; S.K. Cohn
Jr., Nuns and Dowry Funds: Women’s Choices in the Renaissance, in Id., Women in
the Streets, cit., pp. 76-97. Per Roma mi permetto di rinviare al mio Strategie ma-
trimoniali e livelli di ricchezza, in Alle origini della nuova Roma. Martino V (1417-
1431), Atti del Convegno (Roma, 2-5 marzo 1992), a cura di M. Chiabò et al., Roma
1992, pp. 571-587.
87 Cfr. R.C. Trexler, Famiglia e potere a Firenze nel Rinascimento, Roma
1990, pp. 165-200.
88 Cfr. G. Zarri, Introduzione ad A. Tarabotti, Lettere familiari e di compli-
mento, a cura di M. Kennedy Ray - L.L. Westwater, Torino 2005, pp. 9-11.
89 Mi limito solo ad alcune segnalazioni: F. Medioli, Monacazioni forzate: don-
ne ribelli al proprio destino, «Clio. Rivista trimestrale di studi storici», 1994, fasc. 3,
pp. 431-454; Ead., Lo spazio del chiostro: clausura, costrizione e protezione nel XVII
secolo, in Tempi e spazi di vita femminile, cit., pp. 353-373; Ead., To take or not to
take the veil: selected Italian case histories, the Renaissance and after, in Women in
Italian Renaissance Culture and Society, a cura di L. Panizza, Oxford 2000, pp. 122-
137; G. Paolin, Lo spazio del silenzio: monacazioni forzate, clausure e proposte di vita
religiosa femminile in età moderna, Montereale 1998.
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Sabato 16 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Gabriella Piccinni
Giovanni Cherubini
Commemorazione di Linetto Neri
figlio, perduto, cioè Pier Giorgio, che Linetto non dimenticava mai.
E c’erano i nipoti, figli di Francesco e di una stimatissima nuora, che
il nonno amava, ma senza retorica, sempre di più.
Linetto ha avuto a lungo, non ostante i guai alla salute (ma,
come ho già detto ne accennava appena), un suo versante campagno-
lo, lungo il Vincio, di cui mi raccontava volentieri i suoi lavori all’or-
to, le sue lunghe giornate, in risposta al racconto del mio impegno
in un altro orto, ma da un’altra parte della Toscana. Ed era un altro
modo per dirci la nostra amicizia. Dunque una vita piena, segnata
dal lavoro, dagli affetti, dalla stima, quella di Linetto. E dunque di
nuovo ripeto a me stesso che se la morte se lo è portato via, ci resta
e mi resta di lui un ricordo che lo rende ancora più vivo, più ammi-
revole e più amato.
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Sabato 16 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Gabriella Piccinni
Paolo Nanni
Aspirazioni e malinconie:
i contrasti del mercante Francesco Datini
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Paolo Nanni
che nuovi interessi intorno alle attività mercantili, relativi alle crisi
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Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
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Paolo Nanni
la moglie: «io ne sono più che certa che tu veghi ed ài pocha chura
di tua persona» 16, perché «Del veghiare tu tutta notte ne sono più
che certa, perché di’ “dì sono sì picholi che chi vuole fare nulla non
puote, di che chonviene si faccia di notte”» 17. Costretto a interrom-
pere talvolta a causa del freddo («òe freddo alle mani per modo non
posso iscrivere» 18), o per stanchezza («non poso pùe menare la pen-
na» 19); in corsa con il tempo («non ti posso dire pùe nulla perché si
più copie («òvene fatte 2 overo 3 risposte, acc(i)ò che no(n) manchi
che n’abiate una» 21); oppure fatte scrivere a suoi collaboratori, an-
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Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
169
Paolo Nanni
di Prato. E ciò che più interessa ai nostri fini, sono intercalate conti-
nuamente da confidenze sul proprio temperamento («io òe una mia
chativa natura che mille uomeni talgl(i)erei a pezi in parole, e poi ne’
fatti non darei una bocchata a uno chane» 29); sulle preoccupazioni
e affanni della vita e della mercatura («non è più quel tenpo che lla
giente, quando er(r)avano, erano chontenti d’essere ripresi» 30); sulle
d’Andrea Bellandi.
29 ASPo-D, 699.10, c. 1r, FD a Manno d’Albizo Agli (Prato-Firenze, 6 feb-
braio 1397).
30 ASPo-D, 1112.109, c. 1r, FD a Luca del Sera (Firenze-Valenza, 26 maggio
1397).
31 ASPo-D, 1111.34, c. 1r, FD a Simone d’Andrea Bellandi (Firenze-Barcellona,
24 marzo 1397).
32 Anche il Bensa notava la caratteristica «del privato conversare» dei carteg-
gi: E. Bensa, Francesco di Marco da Prato, notizie e documenti sulla mercatura italia-
na del sec. XIV, Milano 1928, p. 12.
33 «Non so iscrivere né parllare per proverbi di savi uomeni chome sapette
voy, che l’avete per praticha e avette istudiato ne la Bibia con la vostra socera, che
ve n’à fato sì prattico che a chatuno ne dareste ischacho»: Bassano da Pessina a FD
(Milano-Prato, 16 marzo 1384), in Frangioni, Milano fine Trecento, cit., vol. I, p. 28.
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Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
ecco il termine usato nel titolo — del Datini nelle sue relazioni. Ed è
il linguaggio stesso ad esprimere le sue concezioni, a rivelare le «con-
suetudini della coscienza» 34 e la mentalità di un mercante del suo
due dei suoi tre fratelli, e in cerca di fortuna prese la via di Avignone
dove rimase ben 32 anni. E al tempo stesso non ebbe eredi per l’im-
possibilità ad avere figli della moglie Margherita, anch’essa orfana
di padre ed emigrata ad Avignone con madre e fratelli, che tuttavia
ebbe la disponibilità d’animo di portare fino alle nozze la figlia ille-
gittima Ginevra, per poi ritirarsi dopo la morte del marito tra le mura
di Santa Maria Novella di Firenze. Siamo dunque di fronte a perso-
naggi privi di privilegi sociali d’origine, se non quelli acquisiti nel
tempo con il lavoro, e pertanto più rappresentativi di un sentire co-
mune. Il Datini, inoltre, era un mercante senza città. Sebbene legato
a Firenze, sede centrale del suo sistema aziendale, Francesco era pra-
tese d’origine e a Prato era ritornato dando forma alle sue ambizio-
ni. Ma Prato, stretta tra Pistoia e Firenze, non era una città nel pieno
senso del termine e questo doveva certamente riflettersi in una diver-
sa percezione, distinta dalla epopea civile, culturale e storica che ap-
parteneva alla cultura dell’urbanesimo medievale 37.
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Paolo Nanni
divenire piena decisione («Ora io sono chome l’ucello che sta in sue
l’albaro e non sa dove snidare, o qua o lla. E pertanto male mi pos-
so diliberare di quello vogl(i)o fare, e venghomi tante traverse, e per
altrui e per me, ch’io non so che mi fare» 40) non volendo contraddi-
massime di mercanti con cui esprimeva il suo senso pratico del vi-
vere e dell’agire: da un lato «dice uno proverbio di savi merchatanti
ch’alchuna volta è grande senno tenersi i danari in chasa, e gitta al-
chuna volta migl(i)ore ragione ch’à volere volare sanza ale» 42; dall’al-
tro «Ricordati di quello proverbio t’òe detto pùe volte, ch’a buono
uomo d’arme no(n) v(i)ene mai meno chavali: facendo l’uomo bene,
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Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
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Paolo Nanni
ta alla moglie analfabeta («Ieri ricevetti una tua lettera, la quale fue
molto bene dettata»), con una pungente ironia («Non so donde si
vengha questo fat(t)o: fàmi entrare in pensieri se avesi veruno ami-
cho che c(i)ò t’insegni chosì bene dire»), rimarcando i suoi proposi-
ti: «tieni a certto chome dello morire ch’i’ òe disposto del tutto esere
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Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
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Paolo Nanni
Eppure fiera («Io sono pur senpre per dirvi il vero in quanto io
chonoscerò; non v’ò detto chosa che ongni mese non ve l’abi detto
una volta»), in un certo senso vittoriosa:
io vi vegho fare il dì chose che mi fate inghonfiare 12 volte: i’
ò pure un pocho del sanghue de’ Gherardini, che me ne pregio
assai di meno; ma io non so chonoscere il sanghue vostro! (…) io
me ne fo beffe che voi tegn(i)ate mai una bella vita 55.
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Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
Quel «servire Dio», che già abbiamo visto convivere con la cura
della propria persona, la «bella vita», si coniugava anche col «vi-
vere secondo ragione» e «secondo natura» e col «bene vivere» che
tratteremo più avanti; e al tempo stesso col «fare qualche bene» a
cui Francesco diede forma con le sue elemosine e con la costituzio-
ne del Ceppo. Si tratta di atteggiamenti e pratiche ben conosciuti
per il Medioevo, che tuttavia fuoriescono attraverso la documenta-
zione dei carteggi datiniani da quei modelli talvolta eccessivamen-
te semplificati relativi alla mentalità dei mercanti dell’epoca. Pur nel
linguaggio e nelle concezioni caratteristiche di una civiltà, gli “in-
gredienti materiali e immateriali” si integrano facendo risaltare da
un lato personalità molto più vivaci di quanto si sia soliti conside-
rare; dall’altro un atteggiamento che pur nei personali bilanci con
la vita e col Padreterno, ricercava un benessere individuale, ma non
individualistico:
Io fo molte chose più tosto per fare piacere altrui e per mio
chontentamento che per l’utile, inperò che mai non fui vagho di
danari e grazia Idio io non ò bisogno, inperò sono solo di fami-
glia e di parenti e viè meno d’amici, che se ne truova meno che
de’ g(i)oghanti 59.
177
Paolo Nanni
fossi quello Francescho che tu tti tieni, che ghuati alchuna volta ne(l)
lucingnolo e alchuna volta fai ardere un torchio sanza bisongno» 60;
o «per lo fumaiolo»:
Molto mi dispiace di Rugieri di messer Giovanni e di Giovanni
d’Aricho siano faliti. Che Idio dia loro grazia di bene fare, a loro
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Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
e a chi è i(n) simile chasi, ché bene arei charo no(n) fose inter-
venuto loro questo chaso, ché mi pare vedere che ongni dì se ne
andrà uno per lo fumaiuolo 65.
va che «Perch’egli vole fare troppe chose farà meglio a farne meno,
ché chi tropo abraccia pocho istrignie, e chi va piano va sano» 70;
179
Paolo Nanni
ti conseguiti:
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Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
rio per l’equilibrio della vita, perché «vive bene cholui che ssi acho-
sta cholla ragione»:
Io m’atengho al detto di Salamone, che disse che tutto chon-
tato, provato ch’ebe le richeze e llo stato del mondo e’ diletti e
tutti i piaceri, che n’ebe più che altro un omo, tutto chonchiuso
disse che non vi trovava nulla salvo che ’l bene vivere, e che vive
bene cholui che ssi achosta cholla ragione 78.
181
Paolo Nanni
ansia, confidava a Stoldo: «io voglio potere dormire la notte, ché n’ò
bisongno: tenetemi di ch’io posa dormire. […] Per certto io sono di-
sposto che lle chose vadano altrementi: io no(n) volgl(i)o morire pri-
ma che Idio volgl(i)a» 82. Faceva sapere agli altri compagni che «egli
182
Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
183
Paolo Nanni
Seneca: «non è povero chi à pocha roba, ma povero è chollui che lla
disidera» 88. Era la volontà dell’uomo contrapposta alla ragione, l’es-
sere «inchinati pùe tosto alla volontà che alla ragione» 89, a definire
88 Ivi, c. 1v. Per il passo citato, cfr. Seneca, Epistole morali a Lucilio, I, 2, 6.
89 ASPo-D, 1112.27, c. 1r, FD a Manno d’Albizo Agli (Firenze-Pisa, 21 luglio
1395).
90 ASPo-D, 699.16, c. 1v, FD a Stoldo di Lorenzo (Prato-Firenze, 18 aprile
1396).
91 I. Sciuto, L’etica nel Medioevo. Protagonisti e percorsi (V-XIV secolo),
Torino 2007.
92 ASPo-D, 1086.20, c. 1r, FD a Simone d’Andrea Bellandi, Cristofano di
Bartolo Carocci, Luca del Sera (Bologna-Barcellona, 9 giugno 1401).
184
Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
to ideale. Quei legami, infatti, non erano definiti solo in nome di una
ragione economica, la compagnia di capitale, ma anche per un moti-
vo estrinseco alla «merchatantia», poiché l’immagine compiuta del-
le relazioni era rappresentata dalla famiglia. Che i consorzi familiari
e la fiducia custodita da questi legami fossero all’origine delle com-
pagnie mercantili e assicurative è dato noto e ampiamente studiato 93.
soci fosse più forte che neanche quello fra parenti, poiché legato ad
un atto di libertà («amore»), e non di dovere («parentado»):
E se tue sapessi tutto chome soe io, tue faresti magiore istima
di Stoldo che forse di parente che tue abi, non biasimando niuno
tuo parente, che pochi ne chonoscho se noe Lodovicho Marini.
E se Lodovicho t’ama, egli lo dee fare di ragione perché se’ suo
nipote, ma Istoldo non ti atiene nulla se non d’amore. E pertan-
to e’ si dice ch’elgl’è il magiore parentado che sia. E pertanto io
ti prego che di lui facc(i)a magiore chonto che di Lodovicho,
inperò che tu gli se’ pùe tenuto. E sì ti richorda ch’elgl’è tuo ma-
giore, e per amore di lui e di me tu se’ tenuto rendergli onore
chome a uno tuo magiore fratello; e s’elgli erasse nello suo par-
lare inversso di te, ché molti sono quelli che errano, tue gli dei
185
Paolo Nanni
rendere onore e riputare quello ti dice il dicha per tuo bene, per
tuo ammaestramento; e non ti dare a credere che erando Istoldo
a tte sia verghongna, ma tutto il contradio 95.
95 Ivi.
96 ASPo-D, 1111.34, c. 1r, FD a Simone d’Andrea Bellandi (Firenze-Barcellona,
11 marzo 1396).
97 ASPo-D, 1110.42, c. 1v, FD a Cristofano di Bartolo Carocci (Prato-Maiorca,
5 maggio 1397).
98 ASPo-D, 1088.15, c. 1r, FD a Tieri di Benci (Firenze-Avignone, 30 marzo
1397).
186
Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
187
Paolo Nanni
101 Ibidem.
102 Favier, L’oro e le spezie, cit., pp. 173-175.
103 ASPo-D, 1113.34, c. 1r, FD a Andrea di Bonanno (Firenze-Genova, 24 feb-
braio 1398).
188
Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
4. «Io non voglio stare chon le reni volte di sopra»: Francesco e l’ami-
co carissimo e compare
Abbiamo cominciato questa breve rassegna dalle aspirazioni
per una «bella vita». Non possiamo non terminare con il tema della
speranza di fronte alla morte.
Un passaggio decisivo è custodito nella corrispondenza con
l’«amico carissimo» e «compare» Lapo Mazzei. Il soggetto non è
nuovo, ed è stato trattato anche in relazione alla vicenda della stesu-
ra del testamento, mettendo in evidenza i contrasti tra la spirituali-
tà del Mazzei e l’animo del Datini 104, ed anche i suoi ravvedimenti
104 Sapori, Economia e morale alla fine del Trecento, cit. Sull’intera vicen-
da testamentaria del Datini si veda Mazzei, Lettere di un notaro, cit., vol. II, pp.
289-300.
105 Origo, Il mercante di Prato, cit., pp. 30-31.
106 Si tratta di Manno d’Albizo Agli di Pisa, Andrea di Bonanno di Genova e
Bartolomeo Cambioni di Firenze.
107 Lapo Mazzei a FD (Firenze-Bologna, 21 dicembre 1400), in Mazzei, Lettere
di un notaro, cit., vol. I, p. 321.
189
Paolo Nanni
108 Ivi.
109 FD a Lapo Mazzei (Bologna-Firenze, 25 dicembre 1400), in Mazzei, Lettere
di un notaro, cit., vol. I, p. 323.
110 Giovanni Boccaccio, Decameron, Introduzione della I Giornata, 21.
111 ASPo-D, 1087.10, c. 1r, FD a Lapo Mazzei (Bologna-Firenze, 25 dicembre
1400); anche in Mazzei, Lettere di un notaro, cit., vol. I, p. 323.
112 Ivi, pp. 323-324.
190
Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
191
Paolo Nanni
forma espressiva e al tempo stesso sintesi del suo sentire. Come in-
terpretare altrimenti le citazioni dantesche per esprimere il senso di
alterità dell’uomo di fronte alla vita?
Or non è questa grande ciechità la nostra a vedere morire on-
gni dì tante persone e noi ci diamo a chredere di vivere senpre
mai? Non è questa grande ciechità ongni dì vedere l’alegrezza
tornare in trestizia e la trestizia tornare in alegrezza? E nno’ vol-
gliamo pure giudichare queste chose a nostro modo e volgliamo
vedere a la lungi ciento milglia chol vedere che è più chorto che
una ispanna, al modo che disse Dante 119.
118 Si veda: Melis, Aspetti della vita economica medievale, cit.; F. Cardini, La
cultura, in Prato storia di una città, cit., t. 2, pp. 823-869; S. Brambilla, I mercanti let-
tori del Petrarca, Budapest 2005, pp. 185-219.
119 ASPo-D, 1086.20, c. 1r, FD a Simone d’Andrea Bellandi, Cristofano di
Bartolo Carocci, Luca del Sera (Bologna-Barcellona, 9 giugno 1401); cfr. Dante
Alighieri, Paradiso, XIX, vv. 79-81: «Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, / per
giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d’una spanna?».
120 ASPo-D, 699.16, c. 1r, FD a Stoldo di Lorenzo (Prato-Firenze, 1 giugno
1396). La citazione è del Guido da Montefeltro dantesco: «Quando mi vidi giunto
in quella parte / di mia etade ove ciascun dovrebbe / calar le vele e raccoglier le sar-
te, / ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe» (Dante Alighieri, Inferno, XXVII,
vv. 79-82).
192
Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
5. Note conclusive
Alla indiscussa grandezza dell’operatore economico Datini, è
stata contrapposta ben altra serie di considerazioni sull’uomo, suffi-
cientemente esplicitate dagli aggettivi di volta in volta utilizzati: bi-
gotto, esoso, vanaglorioso, opportunista, pavido, avaro, infido. Non
è mia intenzione proporre un contraddittorio con queste tesi, quanto
piuttosto prendere le distanze dalle prospettive di valutazione adot-
tate, economiche ed etiche. È nel superamento di questa cornice che,
forse, le fonti qui utilizzate possono offrire elementi per intraprende-
re nuove strade, attinenti maggiormente al campo della cultura e della
193
Paolo Nanni
Non più, ma non ancora: ecco una contraddizione degna del Datini.
Eppure è proprio sul crinale del passaggio storico tra due genera-
zioni di mercanti che si trova forse la sua giusta collocazione 124. Un
194
Aspirazioni e malinconie: i contrasti del mercante Francesco Datini
195
Sabato 16 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Gabriella Piccinni
Alma Poloni
Vite imprevedibili: tre storie di mercanti
nella Toscana di fine Duecento
197
Alma Poloni
Revel, «essa può anche far correre il rischio di fare esistere un arte-
fatto statistico senza rapporto con l’esperienza storica» 2. Detto altri-
198
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
è invece molto noto agli storici fiorentini, e le sue vicende sono state
oggetto, da ultimo, di una vivace ricostruzione di Paolo Pirillo 5.
199
Alma Poloni
te il personaggio più in vista di Pisa 6. Tale era l’influenza che egli era
in grado di esercitare sulla vita politica cittadina che, non fosse sta-
to per l’azione contenitiva costantemente svolta dal piccolo gruppo
di accorti uomini politici che lo circondavano, per l’età già piuttosto
avanzata che aveva quando raggiunse posizioni di prestigio, e anche
per il suo carattere piuttosto prudente, avrebbe forse potuto essere
un Romeo Pepoli pisano 7.
200
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
che anno più vecchio di Banduccio, aveva una personalità ben di-
versa da quella del cauto figlio di Bonconte. Il Cinquina, infatti, era
201
Alma Poloni
202
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
quasi 19.000 lire di denari pisani, più altri 3.700 fiorini d’oro. In
questo caso il fiuto mercantile di Guiscardo fu almeno pari alla sua
passione politica. La partecipazione al controllo dei flussi di dena-
ro messi in movimento dalla discesa in Italia di Corradino contribuì
203
Alma Poloni
204
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
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Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
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Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
209
Alma Poloni
ben stretti per più di un secolo, con pochi momenti di crisi. La scelta
di Banduccio di tenersi sempre ai margini del mondo politico, di non
condividere l’appassionato impegno del socio Guiscardo, alla fine si
rivelò vincente. Ma sarebbe davvero assurdo, da parte nostra, pensa-
re che si trattasse di una scelta strategica: è molto più probabile che
fosse semplicemente la volontà di tenersi fuori dai guai, che a un cer-
to punto, in uno scenario politico rovesciato, divenne una dote par-
ticolarmente apprezzata.
Ma, per chiudere, siamo costretti a svelare che non si trattò di
una storia a lieto fine. Nel 1314 Banduccio fu decapitato insieme
al figlio Piero per ordine di Uguccione della Faggiola, che voleva
così colpire e terrorizzare il gruppo dirigente popolare del quale il
Bonconti era ormai leader indiscusso 31. Forse Banduccio non aveva
del tutto torto a volersi tenere fuori dalle grane della politica.
210
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
mento che gli atti relativi alla compagnia sono praticamente le uniche
tracce lasciate dai discendenti di Guglielmo. L’impegno in quella che
stava diventando una delle più importanti aziende internazionali as-
sorbiva probabilmente tutti o quasi i maschi adulti dei Rosciompelli.
Ma è anche probabile che l’influenza e il prestigio assicurati da una
posizione di primo piano nella società lucchese, e soprattutto dal-
l’appartenenza all’élite politica cittadina, non sembrassero gran cosa
a chi frequentava le corti europee e godeva della fiducia degli uo-
mini più potenti del continente. Una delle cose che ci insegnano sia
la vita di Banduccio Bonconti che quella di Adiuto Rosciompelli è
che, in realtà economicamente dinamiche come Pisa e Lucca nei de-
cenni centrali del Duecento, la realizzazione personale non passava
necessariamente attraverso l’impegno politico. Queste storie ci fan-
no sospettare che forse, almeno per il pieno XIII secolo, tendiamo a
sopravvalutare l’importanza della dimensione politica nella «ricerca
del benessere individuale».
Per Adiuto Rosciompelli indizi di un riorientamento delle am-
bizioni personali si rintracciano però a partire dagli anni ’80 del
Duecento. Nell’ottobre del 1284 Lucca concluse un trattato di al-
leanza con Firenze e Genova 33. La finalità esplicita della coalizione
212
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
tire dalla seconda metà degli anni ’70 era stata infatti ispirata da un
guelfismo tiepido, incline a ricercare un modus vivendi con i ghibel-
lini all’interno e, soprattutto, all’esterno della città — insomma con
Pisa — e ad evitare situazioni di tensione. Il raffreddamento delle
passioni guelfe era stato del resto incoraggiato dalla stessa curia pon-
tificia. Fin dai primi anni ’70, infatti, il rapporto tra Carlo d’Angiò
e il papato si era incrinato. Gregorio X e Niccolò III furono palese-
mente impegnati nel tentativo di indirizzare la politica interna dei
Comuni del circuito guelfo in modo da indebolire l’influenza angioi-
na. In particolare, essi promossero appunto una visione più modera-
ta del guelfismo, improntata a un atteggiamento meno intransigente
nei confronti dei ghibellini e alla pacificazione tra le fazioni cittadi-
ne. La missione del cardinal Latino a Firenze rappresentò il momen-
to culminante di questo programma politico 36.
213
Alma Poloni
Del resto, è anche vero che la compagnia, tra soci e agenti, aveva un
organico molto ampio, e che solo Labro e Adiuto sembrano manife-
stare questo improvviso quanto acuto interesse politico. Ci sarà sta-
ta senza dubbio una forte componente di ambizione personale: i due
si saranno resi conto che questa era l’occasione buona per aprire una
nuova fase della loro vita, una fase nella quale una posizione politica
di grande visibilità non sembrava più né al di fuori della loro porta-
ta né così disprezzabile.
Ma è anche vero che ci troviamo qui in un caso molto simi-
le a quello di Guiscardo Cinquina negli anni ’70 del Duecento. Per
Adiuto e Labro, come per Guiscardo, anche dopo un’attenta trac-
ciatura delle relazioni personali e familiari in cui erano calati, non si
riesce davvero a trovare un’altra convincente spiegazione alla loro
improvvisa visibilità, che non sia il successo della loro proposta poli-
tica presso ampi settori della cittadinanza. Esistono studi molto raffi-
nati sull’importanza dell’eloquenza politica e sulla forza della parola,
in particolare proprio nell’Italia comunale del Duecento 39. Eppure,
214
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
pp. 141-188.
40 Guglielmo «Roscinpelo», che aveva chiamato uno dei figli Ricciardo, come
il fondatore della societas Ricciardorum, a un altro aveva dato il nome di uno dei soci
storici della compagnia, Aldibrandino del fu Guidiccione, capostipite della fami-
glia Gudiccioni. Sui Guidiccioni T.W. Blomquist, Lineage, Land and Business in the
Thirteenth Century: the Guidiccioni Family of Lucca, «Actum Luce», IX (1980), pp.
7-29 e XI (1982), pp. 7-34.
215
Alma Poloni
alla terra, i due fratelli si accordarono per l’acquisto dei diritti signo-
rili di varia natura che i venditori esercitavano sui contadini che la
coltivavano. La Garfagnana, del resto, era terra di signoria. Ci sono
tutti gli indizi per pensare che i fratelli Rosciompelli mirassero a rica-
varsi in quest’area ai confini del contado lucchese un’enclave signori-
le, impegnando un po’ di quel denaro che erano andati accumulando
con le attività commerciali. Un piano che ricorda molto da vicino i
progetti neosignorili delle grandi famiglie mercantili senesi 43.
216
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
217
Alma Poloni
damentale nelle lotte popolari dei primi anni del Duecento, nella se-
conda metà del secolo non avevano più alcun peso reale e avevano
perso ogni capacità di partecipare attivamente al dibattito politico.
Nel 1292 fu fondato un nuovo organo istituzionale, i Priori delle so-
cietà del Popolo, che riprendevano nel nome il collegio direttivo del-
le società dei pedites di inizio secolo 46. Dietro questa iniziativa c’era
218
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
la mobilità sociale a partire dalla fine degli anni ’50 del Duecento Poloni, Lucca nel
Duecento, cit., pp. 75-84.
48 Ivi, pp. 165-182. Si veda anche V. Tirelli, Sulla crisi istituzionale del comu-
ne a Lucca (1308-1312), in Studi per Enrico Fiumi, Pisa 1979, pp. 317-360.
219
Alma Poloni
scia di malumori e litigi tra i soci 49. A questo proposito, non possia-
mo certo escludere che le difficoltà della società, in grave crisi fin dai
primissimi anni ’90, abbiano avuto una loro parte nel determinare la
decisione di Adiuto di buttarsi anima e corpo in politica.
Lo schieramento che si era formato all’inizio dell’ultimo decen-
nio del Duecento, e che aveva come punto di riferimento le società
del Popolo, aveva costruito la propria identità politica sull’idea di un
ritorno all’«età dell’oro» del movimento popolare, identificata con i
primi anni del Duecento, quando le lotte dei pedites avevano coin-
volto gran parte della cittadinanza contro lo strapotere dei milites.
La propaganda che aveva garantito la vittoria di questa parte politica
era basata su un abile reimpiego delle parole d’ordine della tradizio-
ne popolare, su un «linguaggio politico», si direbbe oggi, incentra-
to sui valori di riferimento della cultura del Popolo. Dopo il 1301
prevalse insomma una linea non solo ultraguelfa, ma anche ultrapo-
polare. Di fronte alla piega che avevano preso gli eventi, Adiuto si
affrettò a mettere da parte il suo piano di ricavarsi un’enclave signo-
rile in Garfagnana, chiaramente poco compatibile con il suo ruolo
di leader del rifondato movimento popolare. Del resto furono pro-
prio i loro comportamenti ritenuti poco conformi all’understatement
popolare a far affibbiare ai suoi ex soci ed ex amici, i Ricciardi e i
Guidiccioni, l’etichetta di magnati.
Così, come era accaduto a Banduccio Bonconti, i casi impreve-
dibili dell’esistenza e le turbolenze politiche degli anni a cavallo tra
Due e Trecento avevano portato il figlio di Guglielmo «Roscinpelo»
ad essere uno degli uomini più influenti di Lucca. Come Banduccio,
Adiuto non ci appare in alcun modo predestinato a questo ruolo, né
questo esito ci si presenta come il coronamento di un coerente e pa-
cifico percorso di vita. A ben vedere, anzi, il Rosciompelli visse molte
vite diverse: uomo d’affari stimato presso le corti dei potenti europei,
appassionato sostenitore del progetto papale di rilancio della lega
guelfa in Toscana, signore rurale in Garfagnana, politico di primis-
simo piano nella sua città. Soltanto lo sguardo dall’alto dello storico
può spingerci a ricomporre questi segmenti irregolari in una storia
di vita lineare e compiuta, ma si possono nutrire dei dubbi sulla li-
ceità di questa operazione. Questo non significa, ovviamente, che
49 Del Punta, Mercanti e banchieri, cit., pp. 194-204; Id., Il fallimento della
compagnia Ricciardi alla fine del secolo XIII: un caso esemplare?, «Archivio storico
italiano», CLX (2002), pp. 221-268.
220
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
221
Alma Poloni
222
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
che i Franzesi fossero stati inseriti nella lista magnatizia che accom-
pagnava gli Ordinamenti. Una decisione, del resto, ineccepibile, dal
momento che per essere considerati «grandi» era sufficiente anno-
verare un miles in famiglia, e il padre di Musciatto, Biccio e Niccolò
era appunto un miles, come del resto diversi altri parenti più o meno
stretti.
53 A. Grunzweig, Les incidences internationales des mutations monétaires de
Philippe le Bel, «Le Moyen Age. Revue d’histoire et de philologie», LIX (1953), pp.
117-172; P. Spufford, Money and its Use in Medieval Europe, Cambridge 1988, pp.
289sgg.
54 Raveggi - Tarassi - Medici - Parenti, Ghibellini, guelfi, cit.
223
Alma Poloni
224
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
fine del 1300 papa Bonifacio VIII riuscì a convincere Carlo di Valois,
fratello di Filippo il Bello, a organizzare una spedizione in Italia 57.
225
Alma Poloni
Conclusioni
È certamente difficile trarre conclusioni di ordine generale da
quelle che ho insistentemente presentato come vicende individua-
li, per ciò stesso irripetibili. Eppure a mio parere da queste storie è
possibile ricavare almeno una proposta interpretativa. Torniamo per
un momento alla questione della prosopografia, sollevata all’inizio
di questo contributo. La prosopografia consiste nella ricostruzione
di un numero più o meno ampio di percorsi individuali, con la fina-
lità esplicita di confrontarli tra loro. Nell’applicare questo metodo è
226
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
227
Alma Poloni
anni ’80 del Duecento. Se però accettiamo quello che le fonti ci met-
tono insistentemente davanti agli occhi, e cioè che questo incarico
giunse come una svolta nella vita del Rosciompelli, come una de-
viazione imprevedibile e imprevista — e per altro momentanea —
nel suo percorso, l’evento del 1284 ci appare in una luce totalmente
diversa, e solleva, come abbiamo visto, interessanti interrogativi sul
contesto politico nel quale si colloca. Certo per rispondere a questi
interrogativi è necessario ampliare lo sguardo oltre la vicenda indi-
viduale di Adiuto, ma resta il fatto che è questa vicenda individuale,
considerata in parallelo a molte altre vicende individuali altrettanto
spezzate e incoerenti, a svelare le lacerazioni e le smagliature di un
ordine politico sottoposto a forti tensioni. Inoltre, l’attenzione per
l’irregolarità e l’imprevedibilità dei percorsi di vita, come si è cercato
di dimostrare, consente anche di fare spazio alla dimensione, gene-
ralmente trascurata dalle ricostruzioni prosopografiche, delle passio-
ni e delle convinzioni politiche.
Un altro caso interessante è quello di Banduccio Bonconti e
della sua improvvisa visibilità dopo il 1288, che appare davvero in
contraddizione con l’atteggiamento di diffidenza nei confronti del-
l’impegno politico tenuto da questo personaggio per gran parte della
sua vita. Le vicende pisane mostrano bene come una delle conse-
guenze principali della tendenza degli studi prosopografici a depura-
re le storie personali e familiari dalle irregolarità e dalle incongruenze
sia una visione eccessivamente continuista dell’evoluzione politica e
sociale delle realtà cittadine. L’idea che ogni successo politico non
possa che avere alle spalle una paziente pianificazione, spesso plu-
rigenerazionale, impedisce a volte di cogliere la radicalità di certe
cesure storiche, come quella che a Pisa fu rappresentata dalla cadu-
ta della signoria di Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti nel
1288, che davvero segnò l’inizio di una fase del tutto nuova.
Vorrei concludere queste considerazioni con un’impressione,
alla quale al momento non saprei dare una definizione più precisa,
ma che propongo comunque come spunto di riflessione. Per quanto
l’invito a non sterilizzare le biografie individuali a vantaggio di una
levigata biografia collettiva sia sempre valido, quelle che ho raccon-
tato sono storie tipicamente duecentesche. L’impressione cioè è che
il periodo nel quale questi percorsi individuali si svolsero, gli ultimi
decenni del Duecento, abbia caratteristiche del tutto particolari, che
contribuiscono a spiegare, almeno in parte, il tratto imprevedibile e
avventuroso di tali percorsi. Si trattava infatti di un contesto straor-
228
Tre vite imprevedibili: mercanti in Toscana a fine Duecento
59 Si vedano i celebri testi raccolti in Mercanti scrittori: ricordi nella Firenze tra
Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca, Milano 1986.
229
Domenica 17 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Mauro Ronzani
231
Maria Clara Rossi
232
La vita buona: scelte religiose di impegno nella società
4 Sulla figura di Geraldo d’Aurillac e sul tema dell’accesso alla santità da parte
dei laici si sono soffermati: P. Lamma, Momenti di storiografia cluniacense, Roma
1961, in particolare pp. 162-163 e soprattutto V. Fumagalli, Note sulla ‘vita Geraldi’
di Odone di Cluny, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo», 76
(1964), pp. 217-240; Id., Il Regno Italico, Torino 1978, pp. 127-129, 265, 274-275
(Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, II).
5 Merlo, La conversione alla povertà nell’Italia dei secoli XII-XIV, cit., p. 10.
6 Anche per quanto riguarda l’esercizio della carità si veda il ruolo che le de-
stina nel suo percorso verso la perfezione cristiana Geraldo d’Aurillac: Fumagalli,
Il Regno Italico, cit., pp. 127-129.
7 Fumagalli, Quando il cielo si oscura, cit., p. 101.
8 «Sollecitudine» e «dimensione dialogale»: traggo queste due espressioni dal
pensiero e dal lessico di Paul Ricoeur.
233
Maria Clara Rossi
1. Non potevo non partire dal secolo XII, l’età delle sperimen-
tazioni; e non soltanto per attenermi agli orientamenti cronologici
indicati dal programma del convegno, ma anche per il fatto, storio-
graficamente acclarato, che a partire da quel secolo e poi in forma
più articolata, ampia e diffusa in quello successivo, le scelte religio-
se di uomini e donne assunsero forme esistenziali molteplici, versati-
li e assai diversificate.
In una prima fase il movente di spicco di tali conversioni fu la
234
La vita buona: scelte religiose di impegno nella società
235
Maria Clara Rossi
che venivano definiti nelle fonti «illi qui stant supra campum mona-
sterii». Risiedevano nei pressi delle varie comunità monastiche pado-
vane afferenti all’ordo dal beato Giovanni Forzaté — San Benedetto,
Santa Maria di Porciglia, San Giacomo di Pontecorvo — e si erano
aggregati in modo apparentemente casuale, secondo un imprecisa-
to vincolo di fratellanza: talmente imprecisato, almeno nella fase in-
coativa, da non poter assumere neppure uno fra la pletora dei nomi
che la tendenza associativa basso medievale aveva creato ex novo o
ripreso dalla tradizione: societas, fraternitas, universitas, congregatio.
Semplicemente «illi qui stant supra campum monasterii». Li acco-
munava il «vivere religiose et caste in vita et habitu», l’obbedienza al
priore del monastero, la dipendenza anche economica dalla medesi-
ma autorità, giacché non potevano esercitare un mestiere né contrar-
re mutui senza il suo permesso. Li accomunava ovviamente anche la
residenza fuori dalle mura cittadine nelle «domus supra campum»
che gli stessi fedeli si costruivano impegnandosi in seguito a devol-
verne la proprietà alla comunità monastica. L’impegno delle perso-
ne coinvolte si orientava di frequente anche verso la manutenzione
di opere pubbliche, come per esempio la salvaguardia e la cura del-
le rive dei canali, in piena sintonia con quanto andava facendo nel
17 Benché infatti non siano mai stati posti in secondo piano gli intenti religiosi
connessi con le varie forme di ‘oblazione’(meglio sarebbe esprimersi con il linguag-
gio di Grado Merlo, che parla di «scambi immateriali»), non sono stati pochi gli
autori che hanno creato un collegamento fra queste diverse modalità di adesione
alla vita consacrata e le fasi di recessione economica che colpirono il mondo tardo-
medievale, arrivando a definirle «forme di vitalizi piuttosto che legami spirituali»:
così si espressero, per esempio, É. Delaruelle e, in modo più sfumato, J. Dubois,
entrambi citati in F. Dal Pino, Oblati e oblate conventuali presso i mendicanti ‘mino-
ri’nei secoli XIII e XIV, in Uomini e donne in comunità, cit., pp. 33-67, in particolare
nota 5, pp. 55-56.
18 A. Rigon, Ricerche sull’«Ordo Sancti Benedicti de Padua» nel XIII secolo,
«Rivista di storia della Chiesa in Italia», 29 (1975), pp. 511-535.
19 A. Rigon, I laici nella Chiesa padovana del Duecento. Conversi, oblati, peni-
tenti, in Contributi alla storia della Chiesa padovana nell’età medioevale, 1, Padova
1979, pp. 11-81, in particolare pp. 20-39.
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Verona 1981, pp. 131-194; Ead., Gli Umiliati nel Veneto nei primi decenni del
Duecento: note di confronto, in Un monastero alle porte della città, cit., pp. 181-194.
28 Merlo, Gli Umiliati nel risveglio evangelico, cit., p. 138 in particolare.
29 O. Capitani, Introduzione, in M. Mollat, I poveri nel medioevo, Roma-Bari
19832 (ed.or. 1978), p. XXIII. Ripreso e ampiamente commentato e discusso da
Merlo, La conversione alla povertà, cit., pp. 8-9.
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34 Le carte dei lebbrosi di Verona tra XII e XIII secolo, cit., doc. 7, del 1 gen-
naio 1146, pp. 10-13.
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storia veneta offerti dagli allievi a Paolo Sambin, Padova 1984, pp. 25-59 (anche
in Esperienze religiose e opere assistenziali nei secoli XII e XIII, Torino 1987, pp.
85-121); ma è ugualmente importante l’edizione del processo in Le carte dei lebbrosi
di Verona tra XII e XIII secolo, cit., pp. 145-164. Della medesima studiosa anche In
un lebbrosario medievale veronese: tracce di religione “vissuta”, in «Una strana gioia
di vivere». A Grado Giovanni Merlo, a cura di M. Benedetti - M.L. Betri, Milano
2010, pp. 124-143.
37 Oltre ai saggi di Giuseppina De Sandre, Movimenti evangelici a Verona al-
l’epoca di Francesco d’Assisi, «Le Venezie francescane», n.s., 1 (1984), pp. 151-162, e
Il francescanesimo a Verona nel ’200: note dai testamenti, in Esperienze minoritiche nel
Veneto del Due-Trecento, Atti del convegno nazionale di studi francescani (Padova,
28-29-30 settembre 1984), in «Le Venezie francescane», 2 (1985), pp. 121-141, si
veda anche il mio Orientamenti religiosi nei testamenti veronesi del Duecento: tra
conservazione e ‘novità’, in Religiones novae, Verona 1995, pp. 107-147 («Quaderni
di storia religiosa», 2).
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Maria Clara Rossi
caso, solo per portare una piccola goccia d’acqua nella marea di si-
tuazioni analoghe, della confraternita laica vicentina situata «in capi-
te pontis de Nunto» a pochi chilometri da Vicenza 39 — va ricordato
che il ponte nel medioevo era uno de luoghi privilegiati in cui si in-
contrava faccia a faccia la povertà e la sofferenza di malati e pellegri-
ni —, che gestiva un ospedale guidata da uno strano personaggio di
nome Bertrame qualificatosi con un appellativo assai solenne eppure
umilissimo: «servus servorum Dei».
La svolta rappresentata dal XII secolo certamente non poté più
essere messa in discussione, lo ha ben mostrato André Vauchez nel-
la sua opera di sintesi davvero pionieristica sulla ‘spiritualità dell’Oc-
cidente medievale’; come pure è acclarato che tale linea innovativa
dovette confrontarsi con le vischiosità del complesso rapporto con
le gerarchie ecclesiastiche e con gli esponenti del clero in genere. Di
fatto — innumerevoli esempi lo comprovano — lo spazio dei laici
andò riducendosi e modificandosi; di conseguenza le gradazioni e le
forme delle convivenze religiose, socialmente assai articolate, che ab-
biamo sommariamente disegnato si andarono assestando su modelli
più tradizionali di stampo prevalentemente monastico.
38 G.G. Meersseman, Ordo fraternitatis. Confraternite e pietà dei laici nel me-
dioevo, in collaborazione con G.P. Pacini, I, Roma 1977, p. 316.
39 G. Cracco, Religione, Chiesa, Pietà, in Storia di Vicenza, II, L’età medievale,
Vicenza 1988, p. 387. Ripreso in G. De Sandre Gasparini, La vita religiosa nella
Marca Veronese-trevigiana tra XII e XIV secolo, Verona 1993, pp. 149-150.
40 M.C. Rossi, Idee ed esperienze di pace nelle confraternite italiane del basso
medioevo: evoluzioni e specificità, in Brotherhood and Boundaries. Fraternità e bar-
riere, Atti del Convegno internazionale (Pisa, 19-20 settembre 2008), in corso di
stampa.
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La vita buona: scelte religiose di impegno nella società
41 Fra le molte pubblicazioni che negli ultimi anni hanno affrontato il tema
della risoluzione dei conflitti mediante la prassi ‘infragiudiciale’ ci si limita in questa
sede a ricordare il volume di Ottavia Niccoli, Perdonare. Idee, pratiche, rituali in
Italia tra Cinque e Seicento, Bari 2007.
42 Si vedano a tale proposito le osservazioni di G. De Sandre Gasparini, Tra
pietà e opere. Considerazioni sull’associazionismo devoto medievale, in Studi e fonti
del medioevo vicentino e veneto, II, a cura di A. Morsoletto, Vicenza 2003, pp.
80-84.
43 Meersseman, Ordo fraternitatis, cit., II, p. 681.
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Maria Clara Rossi
Guarini che recita: «E se caso fusse chel dito fratello infermo fusse
povero cum grande caritade sia sovegnudo delli dinari che se ritro-
vasse essere della fraternitade. E se quili non bastasse el padre ordi-
nario impona una imposta alli fratelli secundo la loro possibilitade.
E se questo non bastasse el padre ordinario cum li solicitaduri debia-
no provedere de dui delli fratelli che vadano cercando cum le cape
in dosso e sença come a loro paresse per la terra e fora per lo amo-
re de Dio tante volte quanto fusse de bisogno sì chel povero sia pro-
veçudo e suvegnudo in la sua necessitade. E questo se faça per amore
della caritade e dilectione fraterna observando sempre la possibilità
delli fratelli» 44.
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La vita buona: scelte religiose di impegno nella società
Non furono ovviamente questi gli unici casi in cui la carità si al-
largò oltre il gruppo dei soci. Infatti la costruzione, il mantenimento
e l’attività all’interno di un ospedale rimasero per i sodalizi religio-
si la più consueta forma di sovvenzione e di aiuto verso il prossimo,
tanto da far parlare anche assai di recente del rapporto ‘confraterni-
te e assistenza’ come di un binomio interdipendente e complementa-
re 47. Di fatto, la maggior parte delle confraternite gestiva un piccolo
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Maria Clara Rossi
52 Sul valore della tutela della donna e della sua virtù rimane assai importante
il saggio di C. Casagrande, La donna custodita, in Storia delle donne in Occidente, a
cura di G. Duby - M. Perrot: Il Medioevo, a cura Ch. Klapisch-Zuber, Roma-Bari
1990, pp. 88-128.
53 Le diverse attività caritative messe in atto dalla confraternita del Santo di
Padova sono state analizzate da G. De Sandre Gasparini, Lineamenti e vicende della
confraternita di S. Antonio di Padova (secoli XIV e XV), in Liturgia Pietà e Ministeri
al Santo, a cura di A. Poppi, Vicenza 1978, pp. 217-235 (in particolare sulla iniziativa
destinata alle povere vedove si vedano le pp. 222-223). Il contributo sulla confra-
ternita consta anche di una seconda parte di B. Varanini, Spunti per una indagine
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tutto alle fedeli, che non di rado le ricordarono nelle ultime volontà,
talvolta assimilandole ad una piccola comunità monastica. Le testa-
trici infatti effettuarono lasciti alle sorores del monastero della Croce
Bianca. Di monastero evidentemente non si trattava, considerato il
fatto che nella succursale veronese era prevista la possibilità per la fi-
glia di Margherita di uscirne quando volesse mantenendo auctoritas
e libertas (due termini assai lontani, direi quasi agli antipodi della di-
mensione monastica); sembra piuttosto trattarsi una esperienza reli-
giosa ‘autogestita’ (nella documentazione non vi è traccia di uomini
di Chiesa né viene fatto cenno ad una regola), con una piccola ‘ap-
pendice’ urbana originata dall’emulazione delle operose vedove ma
anche dal loro timore per il futuro e da un profondo bisogno di pro-
tezione e di sociabilità in un contesto in qualche modo familiare e
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pali forme di carità della prima metà del Quattrocento (una percen-
tuale che va dal 20 al 30% dei testamenti analizzati prevede lasciti
generici per questo scopo; quantità destinata ad aumentare qualora
si valutino quelli effettuati alle famule e alle pedisseque di casa, spes-
so ricordate nelle ultime volontà con somme di denaro da riscuotere
al momento del matrimonio) 61. I sondaggi campione effettuati nella
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Domenica 17 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Mauro Ronzani
Renato Bordone
Progetti in augmentum rei publice
nell’esperienza del primo comune in Italia
1. Tra gli ultimi decenni del secolo XI e la prima metà del XII
si assiste a un radicale rinnovamento delle strutture politiche e istitu-
zionali delle città del regno d’Italia che ne condizionerà in modo per-
manente lo sviluppo successivo. Sebbene si ignori per lo più come
funzionasse di fatto l’ordinamento urbano precedente, appare ormai
assodato che l’istituzione stabile del consolato — diffuso e genera-
lizzato in tutte le città — costituisca rispetto al passato un fenome-
no affatto nuovo, in quanto i consoli agivano in rappresentanza di
tutta la comunità cittadina. Se la dimensione politica del movimento
comunale confermava e traduceva in pratica istituzionale la diffusa
convinzione da parte delle città di costituire un’articolazione territo-
riale dell’impero — maturata con la tradizionale collaborazione dei
cives con l’episcopato e confermata occasionalmente da espliciti ri-
conoscimenti dei sovrani della casa di Franconia 1 —, non vi è dub-
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Renato Bordone
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Progetti in augmentum rei publice in Italia nel ‘primo comune’
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Renato Bordone
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Progetti in augmentum rei publice in Italia nel ‘primo comune’
prio a Milano, dove «tres ordines esse noscantur» (l’ordo dei capita-
nei, l’ordo dei valvassori e l’«ordo plebis»), i consoli vengono eletti
non da un solo ordine, ma da ciascuno di essi, «ad reprimendam su-
perbiam» e per tutelare la comune libertà. Una considerazione sulla
quale torneremo in seguito.
Basti per ora aver delineato la società cittadina come una co-
munità che agisce in modo tendenzialmente unanime, nonostante
le ovvie differenze riscontrabili nella diversa distribuzione delle ric-
chezze e del prestigio dei suoi membri. Si configura, in sostanza,
come la realizzazione locale, entro la cinta delle mura urbiche, della
societas Christiana il cui paradigma continua a essere quello degli or-
dines — in questo caso funzionali —, sviluppatosi in seguito all’ela-
borazione di Adalberone di Laon: vescovo e clero costituiscono gli
oratores, i maggiorenti sono i bellatores e il populus svolge (sia pure
articolatamente) la funzione dei laboratores 12. Nessuno poteva pen-
263
Renato Bordone
ticolare, la laus civica si incentra sul fatto che fin dall’antichità «hic
viguit ius et celebratio legum», ma che solo con il governo dei conso-
li si sono affermati «tanta leges aut civica iura», scrutate giorno e not-
te dai dodici «viri sancti» preposti alla magistratura che dispensano
a tutti un equo giudizio 16. Perché tale insistenza sulla legge, anzi sul-
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Progetti in augmentum rei publice in Italia nel ‘primo comune’
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Renato Bordone
20
Casi considerati in Bordone, La società cittadina, cit., pp. 189-193.
21
Vita metrica Sancti Anselmi Lucensis episcopi auctore Rangerio Lucense, a
cura di E. Sachur - G. Schwartz - B. Schmeidler, Lipsiae 1934 (MGH, Scriptores,
XXX/2), v. 4367, p. 1248.
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Progetti in augmentum rei publice in Italia nel ‘primo comune’
l’autorità. Nel caso ben noto della società milanese, il populus non
era disposto ad accettare la superbia del ceto capitaneale e — secon-
do Landolfo seniore 22 — da tempo combatteva con ogni mezzo «pro
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Renato Bordone
suonare con quello di un articolo del più antico Breve dei Consoli di
Genova, attribuibile al 1143, ma che certo riprende un dettato più ri-
salente, per cui nei confronti di quel genovese che non abbia voluto
«intrare in nostram Compagnam» — cioè per chi non abbia accetta-
to le istituzioni comunali — viene fatto divieto al populus di portare
«pecuniam suam per mare» 26. Insomma, il mantenimento dell’or-
25 Ivi, p. 31.
26 Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, a cura di C. Imperiale di
Sant’Angelo, I, Roma 1936 (Fonti per la Storia d’Italia, 77), doc. 128, p. 156. Si
veda al proposito R. Bordone, Le origini del comune di Genova, in Comuni e memo-
ria storica. Alle origini del Comune di Genova, Atti del Convegno di studi (Genova,
24-26 settembre 2001), Genova 2002 («Atti della Società Ligure di storia patria»,
n.s., XLII - CXVI -, f.1), pp. 253-254.
268
Progetti in augmentum rei publice in Italia nel ‘primo comune’
natura dei disordini civili. Così, nella Milano del principio del secolo
XII, gli ultimi strascichi della lotta fra riformatori e imperialisti ave-
vano portato a un’ulteriore divisione interna al partito riformatore
e alla contrapposizione fra i sostenitori dei due candidati alla catte-
dra arcivescovile, Grosolano in carica e il suo antagonista Giordano
di Clivio; già una disastrosa situazione meteorologica accompagnata
da straripamenti e alluvioni aveva spinto alcuni predicatori a soste-
nere l’imminenza di un nuovo diluvio per la malitia della «discordia
Grosulani», quando, su richiesta dei «pugnatores et defensores» del-
l’arcivescovo fu istituita una commissione per fornire una «iustam et
rectam sententia secundum canones de discordia Grosulani», sen-
tenza alla quale «clerici et sacerdotes, milites et cives» avrebbero
poi giurato di attenersi 27. Gli strumenti per riportare l’ordine e la
concordia fra i cittadini — sia pure turbata per cause di natura ec-
clesiastica, ma allora non meno coinvolgenti per l’intera cittadinan-
za — sono dunque individuati, al solito, nel pronunciamento di una
sentenza che sarà da tutti riconosciuta come vincolante tramite il ri-
corso al giuramento collettivo.
A questo punto Landolfo di San Paolo interrompe la narrazio-
ne dei fatti per inserire un episodio di qualche tempo prima, ma in
ogni caso connesso con la vicenda, in quanto avvenuto «durante lite
Grosulani»: il ritrovamento miracoloso nella primavera del 1107 di
preziose reliquie presso la chiesa di S. Maria di Porta Vercellina, a
seguito del quale fu istituita una festa solenne. Il cronista ne ripor-
ta al proposito la lettera istitutiva sulla cui genuinità (almeno degli
intenti) non c’è motivo di dubitare, dal momento che, come si è vi-
sto, egli ricopriva l’ufficio di «epistolarum dictator» dei consoli. Di
essa colpiscono sia l’intestazione, sia i contenuti non esclusivamen-
te religiosi. Ne risultano infatti come mittenti collettivi gli «ordinarii
cardinales» della Chiesa milanese, il primicerio «cum universo sa-
cerdotio et clero Mediolanensi», ma anche «omnis populus et omnis
ordo laycorum», e come destinatari «omnibus sacerdotibus et cleri-
cis et laycis cuiuscumque ordinis» della diocesi 28. In assenza dell’ar-
269
Renato Bordone
Narra infatti il cronista che nel 1090 «sedicio magna orta est inter
populum et milites», forse causata dal tentativo di occupazione e di
sfruttamento di una «terra vacua» presso la città; in seguito agli scon-
29 «Toloneum, quod vulgo turadia (da emendare in curadia) dicitur sive por-
tenaticum in hiis prefatis diebus nulli modo tolletur».
30 Iohannis Codagnelli Annales Placentini, ed. O. Holder-Hegger,
Hannoverae 1901 (MGH, Scriptores rererum Gernamicarum, 23), pp. 1-2.
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Renato Bordone
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Progetti in augmentum rei publice in Italia nel ‘primo comune’
273
Renato Bordone
suo culmine con l’icastica dichiarazione che «nos nec servi sumus,
nec domini, sed concives et fratres». La concordia diventa frater-
nità egualitaria fondata sulla pace interna («domi mansuetudine
utimur»), dove l’unica gara è costituita dal superarsi l’un l’altro in
onore, ma senza provocazioni che scatenino conflitti interni («hono-
re invicem praevenientes, non seditiosis ausibus alterutrum provo-
cantes»), mentre la fortitudo viene esercitata esclusivamente contro
i nemici esterni, in particolare contro i Saraceni delle Baleari, i quali
— sebbene non venga esplicitato — sono anche i tradizionali nemi-
ci della Christianitas.
274
Progetti in augmentum rei publice in Italia nel ‘primo comune’
cruciale della prima discesa in Italia del Barbarossa: già l’anno prece-
dente il comune aveva infatti inviato — forse in occasione della die-
ta di Roncaglia — lo stesso Caffaro e l’arcidiacono Ugo come legati
presso Federico che, secondo il cronista, svelò loro molti progetti
segreti relativi all’«honore regni et Ianuensis ciuitatis», prometten-
do di «honorem facere» a Genova «ultra omnes civitates Italie» 38.
275
Renato Bordone
cietà che del mare aveva un’esperienza per così dire esistenziale, e
che al tempo stesso fornisce identificazione, più che simbolica, fra il
pilota-gubernator e i consoli preposti al governo, come lui responsa-
bili delle decisioni da prendersi per una corretta navigazione. E in-
fatti, dopo aver prestato infine giuramento «pro honore ciuitatis», in
quanto esortati dall’arcivescovo e indotti (coacti) dal popolo, i nuo-
vi consoli “subito cominciarono a pensare in che modo svegliare la
città dal sonno”: “approntarono galee per la difesa della città […] e
cominciarono a saldare il debito di oltre 15.000 lire ai creditori del-
la città”. Due interventi determinanti: uno rivolto alla difesa militare
(«pro munimine»), l’altro al risollevamento dell’economia cittadina.
Ne conseguì che “i cittadini inerti si svegliarono alquanto da quel
sonno e dissero di essere disposti a obbedire ai loro ordini”: la nave,
guidata saldamente dai gubernatores, poteva ripartire.
Anche per il consolato del 1161 Caffaro si sofferma sulla fase
progettuale del programma dei nuovi consoli in carica; come già nel
1154 aveva dipinto i governanti mentre stavano «multum cogitando»
su come risvegliare la città, ora li rappresenta intenti, all’inizio del
loro consolato, ancora «multum de regimine civitatis cogitando» 41.
40 Ibidem, p. 37: «civitatem dormire et litargiam pati, et sicuti navem sine gu-
bernatore per mare pergentem».
41 Ibidem, p. 61.
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42 Ibidem, p. 48.
43 Ibidem, p. 61.
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Renato Bordone
44 Ibidem, p. 73.
45 Ibidem, pp. 73-74.
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Progetti in augmentum rei publice in Italia nel ‘primo comune’
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Domenica 17 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Mauro Ronzani
rappresentanti sulla base di un programma. Ciò non vuol dire che al-
cuni leader non avessero avuto un’idea molto chiara dell’azione che
intendevano portare avanti alla guida del comune. Il giorno stesso
del suo arrivo al potere, il 20 maggio 1347, Cola di Rienzo fece legge-
re da un suo portavoce, sulla piazza del Campidoglio, un programma
in quindici punti che era sicuramente il frutto delle lunghe discus-
sioni avute con i suoi sostenitori durante i mesi precedenti 1. Pare
282
Progetti di trasformazione della società nei regimi di Popolo
quanto ci possono dare: i loro autori non sono dei filosofi di mestie-
re e neppure dei giuristi e i loro trattati sono concepiti prima di tutto
per servire all’utilità immediata dei dirigenti comunali. Ci fornisco-
no preziose indicazioni sui valori necessari al buon funzionamento
del regime repubblicano, in opposizione alle altre forme di governo
in vigore nel resto dell’Occidente, ma non c’è mai, da parte loro, il
più minimo tentativo o di tracciare un quadro completo delle regole
di funzionamento del regime comunale, come potrebbe essere fatto
284
Progetti di trasformazione della società nei regimi di Popolo
285
Jean-Claude Maire Vigueur
gli altri valori preconizzati dai preumanisti hanno uno stretto legame
con l’augmentum e costituiscono in qualche modo delle condizioni
necessarie al suo raggiungimento. Si tratta della pace e della giusti-
zia. Per pace si intende la pace interna, ossia l’assenza di divisioni e
l’armonia tra i cittadini, il che, a questa altezza cronologica, non può
che rimandare, secondo me, alla necessità per i governanti di trova-
re una soluzione ai conflitti che oppongono la nobiltà o militia al re-
sto della popolazione. Ciò detto, l’ammonizione a ricercare la pace
vale per tutti i cittadini che devono saper sacrificare parte dei loro
interessi personali o di ceto per garantire l’armonia della città. Più
difficile dire a che cosa intendono alludere i nostri autori quando in-
sistono sui doveri dei magistrati in materia di giustizia. Avranno sicu-
ramente avuto in mente l’esercizio concreto della giustizia e quindi
il funzionamento delle corti di giustizia, le quali, nelle città comuna-
li della prima metà del XIII secolo, sono sotto la responsabilità di-
retta del principale magistrato del comune, vale a dire il podestà. Ma
l’idea di giustizia rinvia anche a qualcosa di più ampio, che compren-
de, oltre alle leggi positive, dei principi atti a garantire l’armonia dei
rapporti sociali. Quali sono questi principi? Gli autori non danno ri-
sposte precise; Giovanni da Viterbo, per esempio, nel suo trattato,
che è anche l’ultimo in data e il più completo dei trattati sul gover-
no della città, si accontenta di riprendere una celebre formula del di-
ritto romano, «ius suum cuique reddere», e di mettere l’equitas sullo
steso piano della iustitia 6. Un po’ più defilato mi pare essere il posto
286
Progetti di trasformazione della società nei regimi di Popolo
287
Jean-Claude Maire Vigueur
libro. Usando il linguaggio della borsa, direi che nel listino dei valo-
ri comunali le quotazioni dell’augmentum e della pace sono orientati
al ribasso mentre si assiste a un forte rialzo del bene comune e della
giustizia. Non solo le occorrenze della prima di queste due nozioni,
nella formulazione di «comun profit», si moltiplicano nel terzo libro
del Tresor, ma il significato della nozione si precisa e si arricchisce. Il
comun profit è ciò che conviene a tutti per opposizione a ciò che con-
viene a un gruppo, a un ceto, a una fazione. D’altro canto, l’obbligo
di perseguire il bene comune, che appariva fino ad allora come un
dovere dei soli dirigenti, diventa nel pensiero di Brunetto un obbligo
morale di tutti i cittadini, tenuti dunque a disciplinare i loro compor-
tamenti individuali in modo da conformarli agli interessi superiori
della collettività. La nozione che acquisisce maggiore importanza nel
pensiero di Brunetto è tuttavia quella di giustizia. Rinvia naturalmen-
te all’attività giudiziaria dei rettori, ossia di coloro che governano la
città, podestà in primis. Ma allude anche a tutta una serie di regole o
di principi di cui non è facile precisare il contenuto ma da cui si ca-
pisce per lo meno che sono chiamati a guidare l’azione dei dirigenti
comunali anche al di fuori del foro giudiziario e quindi a tutti i livelli
della loro azione pubblica. Quali sono queste regole? Brunetto non
dà nessuna precisazione al riguardo, ma il fatto che per la prima vol-
ta i termini di legge e di diritto facciano la loro apparizione in questo
tipo di discorso, in stretta connessione con l’azione dei governanti,
mi sembra una chiara allusione all’allargamento della sfera del pena-
le al quale si assiste nei decenni centrali del XIII secolo e che mette
i rettori nell’obbligo di intervenire tempestivamente per reprimere
ogni comportamento lesivo della pace civile e del bene comune.
Che la nozione di giustizia si sia caricata, nel pensiero di
Brunetto, di valori morali, al punto di inglobare tutte le regole che
devono ispirare la vita sociale, e non solo il governo della città, lo si
288
Progetti di trasformazione della società nei regimi di Popolo
capiva già dalla lettura del secondo libro del Tresor 10. Questo libro,
che si presenta come un trattato dei vizi e delle virtù, riprende quasi
letteralmente, nella sua prima parte, il Compendium Alexandrinum
dell’Etica Nicomachea di Aristotele 11. Mi è evidentemente impossi-
bile, sulla base della mia scarsa, per non dire inesistente, cultura fi-
losofica, dire se Brunetto si sia o no staccato in modo significativo
dal testo del principale trattato morale di Aristotele, ma non può
non colpire il fatto che abbia attualizzato la formula utilizzata da
Aristotele per designare i tre grandi tipi di governo da lui individuati,
la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia, in modo da stabilire una
totale equiparazione tra il regime delle democrazie antiche e quel-
lo dei comuni italiani, e che abbia ripreso tale e quale il giudizio di
Aristotele sull’ultimo dei tre regimi definito come il «il migliore tra
questi tre» 12. Brunetto, che scrive il suo Tresor durante il soggiorno
in Francia, che prova una grande ammirazione per l’azione dei sovra-
ni francesi e che dopo il suo ritorno in Francia rimarrà sempre un fe-
dele sostenitore del partito angioino in Italia, non ha dunque nessun
dubbio sulla superiorità del regime repubblicano praticato dalle cit-
tà dell’Italia comunale. Il Tresor, se non vado errato, è la prima opera
di un autore preumanista a proclamare alta e forte la superiorità del
sistema politico in vigore nelle città comunali su tutte le altre forme
di governo. Ma è anche con Brunetto Latini che, per la prima volta,
la questione della forma del governo fa la sua apparizione nel pensie-
ro degli autori preumanisti presso i quali occuperà, dopo di lui, un
posto sempre più importante, al punto di focalizzare gran parte delle
loro riflessioni politiche. Del resto, lo stesso Brunetto non si limita,
sulla questione, alla tonitruante e concisa affermazione con la quale
si apre il § 44 del libro secondo del Tresor. Ci torna infatti nel libro
terzo e lo fa in due modi diversi. Da una parte affermando che la for-
ma repubblicana è sicuramente quella che garantisce meglio delle al-
tre che i magistrati dirigenti obbediscano effettivamente ai dettami
di giustizia 13. Dall’altra avanzando una serie di proposte molto pre-
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però toni molto più accesi nella seconda metà del XIII-inizio XIV
secolo nel contesto della lotta antimagnatizia, delle lotte di fazione
e delle aspirazioni del popolo minuto ad ottenere maggiori spazi nel
governo della città.
Occorre prima di tutto ricordare un principio condiviso da tut-
ti i teorici e portavoce del movimento popolare: la partecipazione al
governo della città non è un diritto innato del cittadino, ma è subor-
dinato all’accettazione di determinate regole, ossia di quelle regole
che rendono possibile la vita in società e in città. Non basta infatti
abitare dentro le mura di una città per essere civis, bisogna aderire
alle regole del gruppo, accettare le regole del vivere insieme. Come
dice Brunetto Latini, «cittade èe uno raunamento di gente fatta per
vivere a ragione; onde non sono detti cittadini d’uno medesimo co-
mune perché siano insieme accolti dentro ad un muro, ma quelli che
insieme, sono accolti a vivere ad una ragione» 24.
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Progetti di trasformazione della società nei regimi di Popolo
ri. Quindici anni fa, in questa stessa sala, in occasione del convegno
su magnati e popolani, Antonio Ivan Pini citava alcuni dei provve-
dimenti presi in tal senso dal Popolo di Bologna. A partire dal 1255,
per esempio, le società d’armi di questa città furono invitate a pro-
cedere a controlli a tappeto sulle matricole e ad espellere dal loro
seno i nobiles o i milites che vi si erano infiltrati. Prima ancora di
questa data, e quindi senza aspettare che «la societas populi in quan-
to tale prendesse posizione in materia», alcune società d’arti avevano
inserito «nei loro statuti il divieto ad assumere qualsiasi carica inter-
na o di rappresentanza nei consigli» a chi non esercitava effettiva-
mente il mestiere, e alcune società d’armi, come quella dei Griffoni
e della Branca, avevano stabilito «la non accettazione nelle proprie
fila dei nobili e dei magnati e comunque di tutti coloro che stanno
“in summa re”» 25. Nel contempo, Pini non mancava di far osservare
25 A.I. Pini, Magnati e popolani a Bologna nella seconda metà del XIII seco-
lo, in Magnati e popolani nell’Italia comunale, Quindicesimo convegno internazio-
nale di studi (Pistoia, 15-18 maggio 1995), Pistoia 1997, pp. 371-396, a pp. 176-177
e 387-388.
26 Ivi, p. 385.
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da metà del XIII secolo. Possono per esempio essere iscritti alle so-
cietà d’armi ma non a quelle di mestieri. Ma il fatto più curioso è che
siano esclusi dal consiglio dei 2.000, ossia dalla più numerosa di tut-
te le assemblee comunali (nel 1294 da 2.000 si passerà addirittura a
4.000 membri!), per di più aperta ai nobili purché non siano ghibel-
lini e la cui unica prerogativa è di nominare i titolari di centinaia di
cariche amministrative 27.
tuazione di una politica antimagnatizia fornì alla parte più colta del
Popolo l’occasione di arricchire l’ideologia popolare di nuove for-
mulazioni delle sue principali aspirazioni. Basta citare qui il celeber-
rimo esordio degli ordinamenti antimagnatizi bolognesi del 1282, i
cosiddetti ordinamenti «sacrati», che è stato oggetto di una brillan-
te analisi da parte di Massimo Giansante. Ricorrendo all’immagine
biblica dei lupi rapaces e degli agni mansueti per designare i magna-
27 G. Tamba, Consigli elettorali degli ufficiali del comune bolognese alla fine del
XIII secolo, «Rassegna degli Archivi di Stato», XLII, 2-3 (1982) pp. 34-95.
28 G. Milani, L’esclusione dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in
altre città italiane tra XII e XIV secolo, Rome 2003, p. 159.
29 Ivi, pp. 157-159.
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degli anni ’80, destinata a confluire nel 1288 in una grandiosa fusio-
ne degli Statuti del comune e degli Statuti del Popolo, per trovare di
nuovo tracce della tesi rolandiniana. Ma questa volta non è più soste-
nuta dal «principe dei notai». I proemi di alcuni degli ordinamenti
approvati dal consiglio del Popolo nel 1285 e che diventeranno le ru-
briche CI e CXXIV del libro V degli Statuti del 1285 sono infatti af-
fidati alla perizia di uno dei suoi giovani discepoli, Giuliano Segatari,
che è un po’ il suo vice a capo dell’onnipotente Società dei notai. Ma
il giovane notaio non si accontenta di riprendere tale e quale il tema
delle virtù dell’uomo di governo. Da un lato, conferisce dignità e au-
torità al suo discorso incastonandolo in una ampia cornice di riferi-
menti filosofici, giuridici e astrologici, dall’altro attribuisce a tutti i
dirigenti popolari il possesso di quelle qualità di verità e fede che ga-
rantiscono l’equità della politica comunale, lasciando intendere che
non tutti gli ufficiali del comune “tradizionale” offrivano le stesse
garanzie 36. È difficile pensare che il giovane notaio abbia procedu-
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Il contro-modello
È senz’altro più facile definire in negativo che in positivo il mo-
dello di comportamento promosso dal Popolo. Intende infatti esse-
re l’esatto contrario di tutti i comportamenti più tipici della nobiltà
militare, stigmatizzati in quasi tutte le pagine della Cronica di Dino
Compagni ed illustrati, anche se in maniera meno sistematica, in nu-
merose altre cronache (Salimbene de Adam, Villani, l’Anonimo ro-
mano): la competizione per l’accaparramento delle risorse portata
avanti fuori dai canali istituzionali, il ricorso a mezzi extragiudizia-
ri per la risoluzione dei conflitti, la prevaricazione a danno dei più
deboli, l’ostentazione di tutti i segni della potenza e della ricchezza
quali torri, cavalli, armi, vestiti, seguaci armati, feste sontuose, gio-
chi equestri, armeggiamenti nelle strade della città ecc. ecc. Manca
il tempo per procedere a un’analisi approfondita di simili compor-
tamenti che sono del resto ben conosciuti 45. Va ricordato invece il
307
Jean-Claude Maire Vigueur
Il modello positivo
Il Popolo costruisce la sua identità in opposizione a quella del-
la nobiltà e quindi non c’è niente di illegittimo, mi pare, nell’ope-
razione che consiste, come ho appena fatto, nel partire dai valori
e dai comportamenti della nobiltà per attribuire al Popolo valori e
comportamenti di segno opposto. Ciò detto, è ovvio che il meto-
do deduttivo non basta e che lo storico ha il dovere di confrontare
le proprie deduzioni o intuizioni con il materiale a sua disposizio-
ne. Cosa che non potrò fare che in minima parte nel quadro di que-
sta relazione. Come ho detto, i testi a carattere teorico, in grado di
fornire una prima serie di indicazioni, sono quasi inesistenti e ci sa-
rebbe voluto molto più tempo di quanto avessi a mia disposizione
per andare a cercare, nella storia delle tante città dell’Italia comuna-
le, le testimonianze più significative di questa volontà del Popolo di
cambiare l’uomo. Mi soffermerò su un solo esempio,quello del mo-
vimento di pace perugino del 1260, oggetto di un recente studio di
Massimo Vallerani 46.
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47 Ivi, p. 397.
48 Ibidem, pp. 400-404. Edizione degli Ordinamenti in J.P. Grundman, The
Popolo at Perugia 1139-1309, Perugia 1992, pp. 386-390.
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Jean-Claude Maire Vigueur
tra sede 49, erano molto più sensibili al richiamo della inimicitia che
che saranno state concluse tutte le paci necessarie a porre fine alle
seditiones e discordiae che dilaniano la città, «pax perpetuo vigeat
et civitas sine fine perserveret in statu pacifico et tranquillo». Come
sottolinea giustamente Vallerani, la pace della collettività cittadina è
presentata qui come la somma delle paci private. Mi chiedo se, nella
mente degli estensori degli Ordinamenti, anche l’avvento dello status
pacificus et tranquillus, invocato nell’ultima riga dell’ultimo artico-
lo, non apparisse come la diretta conseguenza dell’adozione, da par-
te dei cittadini, di un modello di comportamento opposto a quello
della militia. Un modello che sembrava allora proprio sul punto di
trionfare grazie all’enorme successo del movimento dei Flagellanti, i
quali facevano della pace il fine ultimo delle loro pratiche penitenzia-
li e sono stati per questo, in tutte le città dove si è diffuso il loro mo-
vimento, all’origine di centinaia o di migliaia di paci private. Ma non
tutte davano luogo alla stipulazione di una charta pacis, ossia di un
atto notarile da far valere davanti ai tribunali nel caso in cui una del-
le parti intendesse rimettere in causa la pace giurata nell’entusiasmo
della devotio. Ben consapevole della fragilità delle paci raggiunte nei
momenti di intenso fervore religioso, il governo popolare emanò du-
rante l’estate del 1260 una serie di disposizioni atte a conferire valo-
re legale alle paci non formalizzate e ciò anche quando una delle due
parti rinnegava il giuramento fatto in precedenza. Il 30 settembre, in-
fine, l’azione del comune in favore della pace interna raggiunse il suo
culmine con un provvedimento che derogava a tutte le regole di di-
310
Progetti di trasformazione della società nei regimi di Popolo
I canali di diffusione
Come è ben noto, il movimento dei Flagellanti, lungi da rima-
nere circoscritto alla città di Perugia, si diffuse in numerose altre
città dell’Italia comunale. Non è ovviamente un caso se fu general-
mente ben accolto nelle città a governo popolare e ostacolato nelle
città dominate da gruppi nobiliari filo-svevi. Dappertutto dove era-
no accolti, i seguaci di fra Raniero Fasani militavano infatti per la pa-
cificazione di tutti i tipi di inimicizia e l’efficacia della loro azione
in questo campo avrebbe potuto portare, nelle città ghibelline, alla
riammissione di persone e famiglie bandite o espulse per la loro ap-
partenenza alla fazione avversa. All’opposto, i governi popolari non
potevano vedere che di buon occhio la diffusione nelle proprie cit-
tà di un movimento che, facendo leva sul fervore religioso degli ade-
renti, otteneva, nel campo della pacificazione interna, risultati che i
dirigenti popolari sapevano di non poter raggiungere con i soli stru-
menti dell’azione politica. Come si era verificato a Perugia a partire
dal mese di aprile, si assiste così, nelle altre città toccate dallo slan-
cio di devozione popolare innescato dai Flagellanti e con un ritardo
di pochi mesi, a un vasto movimento di paci private che i governi co-
munali si sforzarono poi di consolidare e di perpetuare con l’emana-
zione di specifiche norme statutarie. Tra tutte le città raggiunte dal
moto penitenziale, Bologna fu sicuramente una delle città in cui la
congiunzione tra il fervore pacificatorio dei penitenti e la volontà del
governo popolare di eliminare la violenza dei comportamenti, indi-
viduali o collettivi, ottenne i risultati più durevoli. Non c’è niente di
sorprendente in questa constatazione. A Bologna, il Popolo dispone-
va infatti di un apparato societario estremamente denso che faceva
da relais all’azione del governo e gli assicurava il consenso di grande
parte della popolazione. Per di più, il movimento dei Flagellanti ri-
cevette a Bologna l’appoggio del clero locale e degli Ordini mendi-
51 Ivi, p. 408.
311
Jean-Claude Maire Vigueur
Non saprei dire, allo stato attuale delle mie conoscenze, fino a
che punto il discorso fatto da Gazzini sulle confraternite peniten-
ziali di Bologna possa essere esteso ad altre città dell’Italia comuna-
le. Di sicuro, le confraternite laicali riunivano tutte le condizioni sia
dal punto di vista dei loro ideali sia da quello dell’appartenenza so-
ciale dei loro membri, per portare un potente contributo alla politi-
ca di disciplinamento della società voluta dai governi di Popolo. Ma
non erano l’unico tipo di strutture associative atte a poter svolgere
un simile ruolo. Tornando, dopo tanti altri, sul tema delle società po-
polari ma voltando la sua attenzione sul periodo a cavallo del 1300,
Poloni ha messo in evidenza la loro riutilizzazione, da parte dei regi-
mi popolari e insieme ad altre strutture associative, nel quadro di un
progetto di disciplinamento della società finalizzato, secondo la stu-
diosa pisana, «all’uniformazione e alla conformazione dei comporta-
menti collettivi dei cittadini di ogni condizione» 53.
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Progetti di trasformazione della società nei regimi di Popolo
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Progetti di trasformazione della società nei regimi di Popolo
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Domenica 17 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Aldo A. Settia
Duccio Balestracci
«Ingrata patria»: l’esiliato
tra infelicità e progetti di rientro
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«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
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Duccio Balestracci
8 G. Milani, Prime note sulla disciplina e pratica del bando a Bologna attor-
no alla metà del secolo XIII, «Mélanges de l’École française de Rome, Moyen Âge -
Temps Modernes», 109 (1997), 2, pp. 511-512.
9 Milani, Il governo delle liste nel Comune di Bologna, cit., p. 206. Questa ma-
teria, relativamente al caso bolognese e di altre località, è stata più di recente siste-
matizzata dallo stesso autore nell’importante ed esaustiva monografia L’esclusione
dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città italiane tra XII e XIV
secolo, Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo, 2003.
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«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
operazioni di recupero dei beni, una volta che si sia acquisito titolo a
rientrarne in possesso 10.
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Duccio Balestracci
14 Ibidem, p. 47.
15 Heers, L’esilio, cit., p. 113.
16 Ricciardelli, L’esclusione politica a Firenze, cit., p. 47. Il sistema della con-
tumacia quale forma di ammissione di colpevolezza risalta con evidenza anche nel-
l’episodio del fuoruscitismo dei Bianchi da Firenze nel novembre del 1301. Sotto
l’egida di Carlo di Valois entrato in Firenze con il conclamato intento di far da pa-
ciere fra le fazioni, come è noto, Corso Donati depone i priori in carica e, grazie al
colpo di stato, instaura il potere della fazione nera. Carlo di Valois non muove un
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«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
dito per difendere le istituzioni e i Bianchi abbandonano, esuli, Firenze. Il loro ge-
sto (come del resto emerge dalle stesse pagine della Cronaca di Dino Compagni) è
interpretato, quindi, come ammissione di colpevolezza e la loro partenza legittima
l’occupazione del potere da parte degli avversari.
17 Bruni, La città divisa, cit., p. 50.
18 Ricciardelli, L’esclusione politica a Firenze, cit., p. 53.
19 R. Fubini, Lapo da Castiglionchio tra Niccolò Acciaiuoli e Petrarca. Lineamenti
introduttivi a una biografia, in Antica possessione con belli costumi, cit., pp. 25-26.
20 Heers, L’esilio, cit., p. 91.
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Duccio Balestracci
21 Ibidem, p. 16.
22 Ch. Bec, De Dante à Alamanni: exil et écriture en Italie, in Exil et Civilisation,
cit., p. 96.
23 Heers, L’esilio, cit., p. 36.
24 Bruni, La città divisa, cit., p. 50, 92. La stima è accettata anche da Milani,
Il governo delle liste nel Comune di Bologna, cit., p. 154.
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«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
ma che, nel 1302, il tribunale di Cante de’ Gabrielli e quello del suo
successore Gherardino di Gambara da Brescia abbiano prodotto, in
meno di soli dieci mesi, circa seicento esuli 26.
25 I. Del Lungo, Una vendetta in Firenze il giorno di San Giovanni del 1295,
in Id., Dal secolo e dal poema di Dante, Bologna, Zanichelli, 1898, pp. 77, 138; S.
Raveggi, Le famiglie di parte ghibellina nella classe dirigente fiorentina del secolo
XIII, in I ceti dirigenti dell’età comunale nei secoli XII e XIII, Atti del II Convegno
(Firenze, 14-15 dicembre 1979), Pisa, Pacini, 1982, p. 290. Su queste due interpre-
tazioni si veda anche Bruni, La città divisa, cit., pp. 105, 108. Secondo le stime di re-
centi e avvertite analisi, i guelfi fiorentini, vittoriosi, dopo il 1268 redigono liste di
proscrizione che colpiscono intere consorterie e varie centinaia di singoli individui.
Si veda per questo M.A. Pincelli, Le liste dei ghibellini banditi e confinati da Firenze
nel 1268-69. Premessa all’edizione critica, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano
per il Medioevo», CVII (2005), pp. 283-482.
26 Bruni, La città divisa, cit., p. 48.
27 Vedi questa analisi in Crifò, Esilio, cit., pp. 9-10.
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Duccio Balestracci
tante del bando era quella di colpire le sostanze, più che la persona
fisica, dell’avversario politico 28.
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«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
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Duccio Balestracci
Genova alla fine del Trecento, dove gli avversari mandati in esilio
sono ulteriormente puniti con l’incendio delle abitazioni e la distru-
zione dei vigneti, mentre gli stessi loro giardini «sono facti sterili e
guasti e factone habitacoli di serpi e carogna 39. A Siena, nel 1322, la
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«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
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Duccio Balestracci
viene per gli esuli ghibellini lucchesi a Pisa, che, fra Due e Trecento,
trovano nel contesto dei concittadini già presenti in quella città ap-
poggi morali e materiali 48.
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«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
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Duccio Balestracci
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«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
Nelle terre che li accolgono, gli esuli non si limitano a fare azio-
ne politica per rientrare in patria: ben lungi dal vivere come poveri
reietti in grotte e spelonche (come voleva il già citato canto carna-
scialesco fiorentino) essi, non di rado, si sedimentano nella nuova
patria con le attività economiche che più gli sono usuali e conso-
ne. Così, chi sa combattere si guadagna frequentemente la vita fa-
cendolo in proprio (lo Heers, analizzando il fuoruscitismo genovese,
sostiene che «per la maggior parte, i capi delle imprese di pirate-
ria erano i “capitani” delle comunità di esiliati insediatisi nei bor-
ghi della Riviera di Levante» 55) o in conto terzi, come, fra il 1378 e
54 Ivi, p. 57.
55 Heers, L’esilio, cit., p. 189. Per la verità, in questo caso l’autore raccoglie,
forse un po’ disinvoltamente, sotto la stessa etichetta casi di pirateria vera e propria
e casi di guerra di corsa (quelli cui abbiamo già accennato in precedenza) che non
sono fra sé assimilabili, dal momento che questi ultimi costituiscono una ben precisa
forma di guerra (legalmente riconosciuta a tutti i livelli), diversamente dai primi che
sono casi di pura e semplice delinquenza contro le persone e il patrimonio.
56 Ivi, p. 133.
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Duccio Balestracci
334
«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
Tangheroni sostiene che le sedi scelte per il confino dei dissidenti pi-
sani non sono casuali: gli uomini d’affari vengono in genere destina-
ti, dice lo storico, a piazze commercialmente molto importanti come
Famagosta, Palermo, Rodi o Barcellona. E commenta: «forse nella
speranza che la possibilità di continuare a svolgere un’attività mer-
cantile favorisse la rinuncia all’attività politica e il radicamento nel-
la nuova città» 61.
Forse.
Personalmente, continuo a credere che ci sia, in tutta questa
materia, una certa differente volontà di colpire la parte per delegitti-
marne la valenza politica, e colpire i singoli che sono stati (e in qual-
che modo possono continuare a essere) una risorsa della città.
Come che sia, il caso degli Strozzi ormai “catalanizzati” ci co-
stringe a fare i conti, al di là di ogni retorica e di ogni luogo comu-
ne, con un aspetto fondamentale di questa tematica: il desiderio del
ritorno e il “costo” che si è disposti a pagare per questo. Il Villani
fa dire ai fuorusciti fiorentini che «per noi farebbe meglio la morte
e d’essere isconfitti, ch’andare più tapinando per lo mondo» 62. Non
335
Duccio Balestracci
reale, ma sui quali, nel modo in cui ci sono stati trasmessi dalle fon-
ti, aleggia un’aura letteraria che li enfatizza. C’è, ad esempio, una re-
miniscenza evidente di classicismo nel registro della inospitalità del
64 Seguo, in questa indicazione quanto espresso da uno storico come Bec (ivi,
p. 101) e, su un versante diverso, ancorché complanare, da un critico letterario qua-
le Francesco Gaeta.
65 Bruni, La città divisa, cit., p. 91.
66 Ivi.
67 Heers, L’esilio, cit., p. 246.
336
«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
luogo dell’esilio (quale che esso sia) come ce n’è una altrettanto rico-
noscibilmente classica in quello della inospitalità, sporcizia, povertà
e grossolanità della campagna, quando è quest’ultima ad accoglie-
re l’esule, e che collega, con un filo rosso, la sorte lamentata dal bo-
lognese Giovan Battista Refrigerio (seconda metà del ’400) di chi è
«concluso tra gente alpine e ladre» e l’albergaccio di Sant’Andrea in
Percussina, dove Niccolò Machiavelli si ingaglioffa giocando a «cric-
ca» e a «tric-trac» con gli energumeni del posto.
Le procedure (e i rituali) di riammissione, in realtà, prevedono
tutta una serie di strade — più o meno facilmente percorribili — di
reintegrazione nel corpo sociale. La principale è, logicamente, quel-
la della abiura e della ritrattazione. Quando nel 1289 il giudice vuole
bandire da Bologna Pactualdus de Pactualdis, il condannato si ap-
pella alla clausola che cancella il bando in caso di obbedienza al co-
mune bolognese 68 e perfino nella lacerata Firenze di fine ’200 le vie
della sanatoria sono più larghe di quel che le fonti letterarie o cro-
nachistiche ci vogliono far credere. La cosiddetta “pace del Cardinal
Latino”, nel 1280, prevede la riammissione pressoché totale dei ghi-
bellini (eccezion fatta per gli elementi più radicali e irriducibili come
gli Uberti e poche altre famiglie come questa) perché tanto, ormai,
visto il quadro politico che si è consolidato anche a livello naziona-
le e internazionale, si reputa che i ghibellini non possano più reali-
sticamente aspirare a rivestire un ruolo politico di primo piano e,
allora, tanto vale salvaguardare i legami familiari rispetto alle appar-
tenenze di parte — sostiene Sanfilippo — e preservare (continuo
ad aggiungere personalmente) così il complesso del quadro dirigen-
te ed economicamente rappresentativo del comune, riammettendo
gli esuli come cittadini anche se non ancora come soggetti con dirit-
ti politici 69.
337
Duccio Balestracci
1304 Remigio de Girolami (nel suo De bono pacis) avanza una sensa-
ta proposta di conciliazione fra Bianchi e Neri, proponendo l’amni-
stia per gli esiliati in cambio del condono delle espropriazioni (anche
quelle illegali) operate dai Bianchi con il colpo di stato, la sua idea
non viene accettata 70. Altrettanto, qualche cosa dev’essere anda-
338
«Ingrata patria»: l’esiliato tra infelicità e progetti di rientro
mondo della politica. Lo Heers, a sua volta, è anche più (forse ecces-
sivamente, al limite dell’ingiustamente denigratorio) drastico, quan-
do sostiene che il Machiavelli «scrisse molto, ma a questo solo fine:
lagnarsi e giustificarsi, mostrare i suoi talenti e farsi stimare degno
di un incarico a corte». Per questo — continua lo storico — duran-
te tutto l’esilio «non smise di supplicare, intrigare, di far interveni-
re tutti i suoi amici e anche lontane conoscenze, di moltiplicare ogni
sorta di bassezza, per entrare nelle grazie dei Medici» 73.
339
Duccio Balestracci
il cui nome si ritrova nel Liber confinatorum, ancorché nella sua sco-
moda posizione giuridica, si vede ugualmente affidare dalla città che
lo ha cacciato una missione in Sardegna come explorator Pisanis co-
munis. Incarico che egli svolge con scrupolo e fatica, rimettendo-
ci, perfino, duecento fiorini di tasca propria convinto che ciò serva
a cancellare la sua condanna. A conclusione della missione, chiede,
quindi come ricompensa, di essere riammesso in città, ricevendo, in-
vece, un inopinato rifiuto e ottenendo dagli Anziani, come massima
concessione, quella di essere “avvicinato” nella nuova destinazione
di confino di Rosignano 75.
340
Domenica 17 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Aldo A. Settia
Franco Franceschi
Aspirazioni e obiettivi dei rivoltosi
1. Premessa
Di fronte all’invito a partecipare ai lavori del convegno su La
ricerca del benessere individuale e sociale, gentilmente indirizzato-
mi dagli organizzatori, ho avuto inizialmente qualche titubanza: non
certo per il tema generale scelto, che mi sembra di forte suggestio-
ne e fecondo di sviluppi futuri, né per quello dell’intervento che mi
veniva proposto in sé, del tutto coerente con il programma dei la-
vori pensato per questo incontro. Le mie perplessità non derivava-
no neppure dall’indiscutibile vastità del soggetto, visto che si tratta
di una caratteristica comune alla maggior parte delle relazioni e non
soltanto di quest’anno: piuttosto avevano a che vedere con la for-
tuna del tema nella storiografia. Nella medievistica europea, infatti,
lo studio delle rivolte ha avuto indubbiamente un momento signi-
ficativo soprattutto negli anni Settanta del Novecento, con la pub-
blicazione di sintesi su scala continentale come quelle di Michel
Mollat e Philippe Wolff, Guy Fourquin, Rodney Hilton, George
Holmes 1 e di lavori più settoriali da parte di studiosi quali Richard
1 M. Mollat - Ph. Wolff, Ongles bleus, Jacques et Ciompi. Les révolutions po-
pulaires en Europe aux XIVe et XVe siècles, Paris 1970; G. Fourquin, Le sommos-
se popolari nel Medioevo, trad.it., Milano 1976 [1972]; R. Hilton, Bondmen Made
Free: Medieval Peasant Movements and the English Rising of 1381, London 1973; G.
Holmes, Europe: Hierarchy and Revolt 1320-1450, London 1975.
341
Franco Franceschi
342
Aspirazioni e obiettivi dei rivoltosi
a cura di R.H. Hilton - T.H. Aston, Cambridge 1984, pp. 143-164; V. Wainwright,
The Testing of a Popular Sienese Regime. The Riformatori and The Insurrections of
1371, «I Tatti Studies. Essays in the Renaissance», 2 (1987), pp. 107-170; S.K. Cohn
Jr., Insurrezioni contadine e demografia: il mito della povertà nelle montagne toscane
(1348-1460), «Studi Storici», 36 (1995), pp. 1023-1049; F. Franceschi, La rivolta di
«Barbicone», in Storia di Siena, I, Dalle origini alla fine della Repubblica, a cura di R.
Barzanti - G. Catoni - M. De Gregorio, Siena 1995, pp. 291-300; L. Berti, La pri-
ma cospirazione degli aretini contro il dominio di Firenze (1390), «Archivio Storico
Italiano», CLIV (1996), pp. 495-521; A. Field, Leonardo Bruni, Florentine Traitor?
Bruni, the Medici, and an Aretine Conspiracy of 1437, «Renaissance Quarterly»,
LI (1998), pp. 1109-1150; S.K. Cohn Jr., Creating the Florentine State: Peasants
and Rebellion, 1348-1432, Cambridge 1999; Id., Le rivolte contadine nello Stato di
Firenze nel primo Rinascimento, «Studi Storici», 41 (2000), pp. 1121-1150.
7 V. Rutenburg, Popolo e movimenti popolari nell’Italia del ’300 e ’400, trad.it.,
Bologna 1971 [1958]; J.E. Law, Popular Unrest in Ferrara in 1385, in The Renaissance
in Ferrara and its European Horizons, a cura di J. Salmons, Ravenna 1984, pp. 41-
60; Ch.M. de La Roncière, Corporations et mouvements sociaux en Italie du Nord
et du centre au XIVe siècle, in Forme ed evoluzione del lavoro in Europa: XIII-XVIII
secc., Atti della Tredicesima Settimana di studio dell’Istituto internazionale di storia
economica ‘F. Datini’ di Prato (Prato, 2-7.V.1981), a cura di A. Guarducci, Firenze
1991, pp. 397-416; G. Cherubini, Movimenti e sommosse popolari del XIV secolo,
«Atti e relazioni dell’Accademia pugliese delle scienze», XLVIII (1991), pp. 31-59;
C. Trasselli, La questione sociale in Sicilia e la rivolta di Messina del 1464, Prefazione
di S. Tramontana, Messina 1990; Protesta e rivolta contadina nell’Italia medievale, a
cura di G. Cherubini, «Annali dell’Istituto ‘Alcide Cervi’», 16 (1994).
8 Popular Protest in Late Medieval Europe. Italy, France, and Flanders, Selected
sources translated and annotated by S.K. Cohn Jr., Manchester-New York 2004.
9 Id., Lust for Liberty, cit.
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mostra che non erano del tutto sconosciute, negli ultimi secoli del
Medioevo, forme di contestazione pacifica. Secondo la Chronica
Parmensia, per esempio, tra il febbraio e l’aprile 1331 molti abitanti
di Parma, «masculi et feminae, senes et juvenes», manifestarono ri-
petutamente nelle strade e nelle piazze contro la guerra e il peso del-
le tasse, cantando e ballando, recando frasche, ramoscelli e ghirlande
di fiori e gridando «vivat, vivat; pax, pax; moriantur datia et gabel-
lae» 16. Ancora più suggestivo è un passo del Chronicon Regiense re-
lativo alla Roma del 1338 secondo il quale — cito nella traduzione
di Clementina Santi — «nel silenzio della notte, nella chiesa di Santa
Maria in Trastevere comparvero alcuni che gridavano ‘pace’ senza
aggiungere altro. Udito questo, il popolo corse alle case degli Orsini
e dei Colonna, che erano tra loro nemici, e fece fare tra loro pace. E
questa pace fu fatta per miracolo» 17. Un miracolo, appunto, e come
15
Cohn, Lust for Liberty, cit., pp. 105-106.
16
Chronica Parmensia a sec. XI. ad exitum sec. XIV.: accedunt varia quae
spectant ad historiam patriae civilem et ecclesiasticam, a cura di L. Barbieri, Parma
1858, pp. 272-273, citazioni alle pp. 270 e 272; S.K. Cohn Jr., Bandiere e parole:
le rivolte popolari a Nord e a Sud delle Alpi (1200 ca-1425), in Simboli e rituali nel-
le città toscane fra Medioevo e prima Età moderna, Atti del Convegno (Arezzo, 21-
22.V.2004), «Annali aretini», XIII (2005), pp. 93-103: p. 93.
17 «Et eo mensse Rome in noctis silentio aparuerunt quedam in ecclesia sancte
Marie Fastyberim qui clamabant pacem nihil aliud dicentes; hoc audito populus cu-
rit ad domos Orsinorum et Colonenssium qui inimici erant et fecit fieri pacem inter
eos; facta est autem hec pax miraculose»: Chronicon Regiense. La cronaca di Pietro
della Gazzata nella tradizione del codice Crispi, a cura di L. Artioli - C. Corradini -
C. Santi, Presentazione di J. Le Goff, Reggio Emilia 2000, pp. 216-217.
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Aspirazioni e obiettivi dei rivoltosi
tale rarissimo. Che non avvenne invece a Viterbo nel 1390, dove pro-
prio al grido di «viva viva la pace» l’intera città «si levò in arme» e
cacciò il gonfaloniere ed i Priori 18; né a Siena all’inizio degli anni
Settanta del Trecento, dove la compagnia del Bruco fece la sua com-
parsa sulla scena cittadina dichiarando di volere «pace e divizia», ma
qualche mese dopo dette vita a quella che è passata alla storia pro-
prio come la ‘rivolta del Bruco’ 19.
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3. Assicurarsi il pane
Le rivolte per il pane sono quelle che più direttamente sono state
associate alla protesta in età preindustriale. Talvolta etichettate dalle
fonti come semplici rumores, sono state viste soprattutto come moti
incomposti, esplosioni di «rabbia», «furia» o «furore». Nel 1311,
per esempio, a Bologna «frumentum et omnia comestibilia cara fue-
runt, preterquam olei et lupini, et valebat corbes frumenti xxx so-
lidos et ultra; et quia non poterat haberi de frumento rumor fuit in
platea et tribio porte Ravenatis» 24. In questo caso, però, la protesta
Anche peggio andò a Gaeta nel 1353, dove gli uomini del popolo mi-
nuto, «per la carestia ch’aveno», e «avendo invidia a’ buoni e ricchi
cittadini mercatanti di quella città […], si mossono a ffurore e pre-
sono l’arme, e furiosi corsono per la terra, a intenzione d’uccidere
quanti trovare potessono di loro maggiori: e in quello empito ucciso-
no dodici de’ migliori che trovarono sanza alcuna misericordia» 27. Il
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Aspirazioni e obiettivi dei rivoltosi
quella del senese Donato di Neri, non contiene elementi utili per
comprendere gli obiettivi degli insorti, che il cronista qualifica come
«gente lavorante di lana» e «forestieri masnaderotti» scesi in piazza
al grido di «Viva la Chiesa e ‘l Popolo» 39. Qualche particolare in più
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Aspirazioni e obiettivi dei rivoltosi
Stefani, che parla di circa 1300 «tra scardassieri ed altra gente minu-
ta». Affrontati dalla famiglia del Podestà quando già avevano attac-
cato le case dei Visdomini, i ribelli furono dispersi. Alcuni vennero
però catturati e costretti a rivelare il loro piano, che anche secondo
Marchionne consisteva semplicemente nella volontà di impadronir-
si della «roba» e di arricchirsi: «noi cresceremo tanto» — avrebbero
confessato — «che noi faremo grandi ricchezze; sicchè i poveri sa-
ranno una volta ricchi» 50.
cita, scrive che «se i minuti avessero vinto, ogni buon cittadino che
avesse sarebbe stato cacciato di casa sua, ed entratovi lo scardassie-
re, togliendovi ciò che avesse» 53. Certo, queste affermazioni riflette-
353
Franco Franceschi
ri» e agli «altri cittadini»: «se verrà il caso che possono più che noi,
no’ siamo tutti morti e disfatti d’ogni nostro bene» 54. E tuttavia il
miraggio della futura ricchezza appare come una costante anche ne-
gli episodi insurrezionali degli anni successivi e in documenti diver-
si, per esempio negli atti giudiziari che sancirono le condanne dei
protagonisti di quei fatti, dove i dialoghi e le frasi cruciali per l’inda-
gine vengono enfatizzati attraverso l’uso del volgare 55. A differenza
354
Aspirazioni e obiettivi dei rivoltosi
non era solo questione di pancia: nella società in cui i Ciompi sareb-
bero stati «i padroni» sarebbe arrivata — come afferma un lavoran-
te di lana esiliato a Bologna, Bartolo di Riccardo — anche l’agognata
fine «de tante pene, de tanta tristizia e miseria» 62.
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63 Cit. in F. Rossi, Quasi una dinastia: i Gradenigo tra XIII e XIV secolo, in
Grado, Venezia, i Gradenigo, Catalogo della Mostra (Venezia, 01.VI-22.VII.2001), a
cura di M. Zorzi - S. Marcon, Venezia 2001, pp. 155-188: p. 164.
64 S. Romanin, Storia documentata di Venezia, 10 voll., Venezia 1972-1975
[1853-1861], III, p. 7.
65 Marino Sanuto, Vitae Ducorum Venetorum, cit., coll. 583-584.
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66
Ivi, col. 581.
67
Niccola della Tuccia, Cronache di Viterbo, cit., p. 32.
68
Giovanni Villani, Nuova Cronica, cit., II, lib. IX, rub. VIII, p. 22.
69
Anonimo Romano, Cronica, ed. critica a cura di G. Porta, Milano 1979,
cap. XXVII, pp. 259-260. Cfr. anche T. Di Carpegna Falconieri, Cola di Rienzo,
Presentazione di G. Arnaldi, Roma 2002, p. 205.
70 Cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura del Grasso detta la Cronaca
Maggiore, in Cronache senesi, cit., pp. 253-564: p. 372. Sui caratteri di questa ri-
volta cfr. Bowsky, The Anatomy of Rebellion in Fourteenth-Century Siena, cit., pp.
244sgg; V. Costantini, Siena 1318: la congiura di carnaioli, notai e magnati contro il
governo dei Nove, in corso di pubblicazione su «Studi Storici».
71 Cronaca senese attribuita ad Agnolo di Tura del Grasso, cit., p. 372.
72 Orazio Malavolti, Dell’Historia di Siena, rist.anast., Bologna 1982 [1599],
part. II, lib. V, p. 80r.
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cronisti nemici del nuovo ordine dettero dello scrutinio voluto dai
rivoltosi: «O Idio, che gente fu quella che ebbe a rifare tanto nobile
città e così nobile reggimento, che certamente più che la metà […] fu
gente ruffiana, barattieri, ladroni, battilana, pochissimi artefici che
fussino conosciuti; non altro che gente, erano tutti, veniticcia, che
eglino medesimi, domandandogli, non sapevano donde erano venu-
ti, né di che paese» 78.
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81 Stella, La révolte des Ciompi, cit., p. 54; Screpanti, L’angelo della libera-
zione, cit., pp. 146-154; R. Trexler, Follow the Flag. The Ciompi Revolt Seen from
the Streets, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», XLVI (1984), pp. 357-
392: p. 362.
82 Screpanti, L’angelo della liberazione, cit., p. 146.
83 Aggiunte anonime alla Cronaca di Alamanno Acciaioli, cit., p. 40.
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Domenica 17 maggio, pomeriggio
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Aldo A. Settia
Giovanni Cherubini
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Giovanni Cherubini
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fonti senesi. Queste ci dicono che gli iscritti alla «tavola delle posses-
sioni» furono nel 1318, in una metà circa delle circoscrizioni cittadi-
ne, 2.560, ma nel 1328 gli iscritti nella «lira», che non riproduceva i
dati delle proprietà, ma soltanto una ipotetica valutazione della ca-
pacità contributiva, anche molto modesta, dei cittadini, risultarono
5.121. Un numero tanto più alto non può essere imputato o soltanto
imputato a un aumento della popolazione del 50% in soli dieci anni,
ma trova la sua logica spiegazione nell’esistenza di una quota mol-
to larga di nullatenenti 6. È possibile che anche tutti questi cittadini
5 S. La Sorsa, La compagnia d’Or San Michele ovvero una pagina della benefi-
cenza in Toscana nel secolo XIV, Trani 1902, pp. 86-95.
6 G. Cherubini, Proprietari, contadini e campagne senesi all’inizio del Trecento,
in Id., Signori, contadini, borghesi. Ricerche sulla società italiana del basso Medioevo,
Firenze 19772, pp. 245-247.
7 La prima dotata di una sopravvissuta e lunghissima cinta antica, troppo lun-
ga per le dimensioni della Roma medievale, che quindi poneva ai romani problemi
di natura diversi da quelli consueti; Venezia priva di mura per la difesa, che le garan-
tivano il mare e la flotta; L’Aquila perché fondata subito dopo la metà del Duecento.
Si veda su quest’ultima almeno il volume di A. Clementi e E. Piroddi, L’Aquila, Bari
1986 (“Le città nella storia d’Italia”, dir. Cesare De Seta).
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Giovanni Cherubini
più di una volta, le loro cinte murarie, in imprese che durarono tal-
volta decenni, pagando folle di scassatori, di manovali, di muratori,
elaborando anche per l’impresa delle mura una legislazione che pre-
vedeva, talvolta, degli appositi lasciti testamentari 8. Se le mura ga-
alla cattedrale di Orvieto 11, a quella nuova di Santa Maria del Fiore
364
La ricerca del decoro urbano
voro e dei materiali impiegati, e senza alla fine privare il lettore di una larghissima
mole di dati organizzati in tabelle, di tavole, di appendici, il tutto concluso da un fit-
to ed accuratissimo indice.
14 Mi basta, non ostante i molti studi ad esso dedicati, rinviare soltanto, per
il suo carattere di sintetico profilo di storia e immagine della città, J.-C. Hocquet,
Venise au Moyen Âge, Paris 2003, pp. 228-230.
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un po’ più tardi della metà del Trecento, di postriboli in zone più ap-
partate rispetto a quelle tradizionalmente utilizzate dalle prostitute si
può leggere l’intento di dar vita a una, almeno palese, maggiore mo-
ralità e, di conseguenza, ad un maggior decoro della vita cittadina 28.
pubblica utilità a servizio sociale, in Città e servizi sociali, cit., pp. 383-415.
27 D. Balestracci - G. Piccinni, Siena nel Trecento, cit., pp. 60-61.
28 M.S. Mazzi, Un «dilettoso luogo». L’organizzazione della prostituzione nel
tardo Medioevo, in Città e servizi sociali, cit., pp. 465-480.
29 G. Cherubini, Lucca nello statuto del 1308, in Id., Città comunali di Toscana,
Bologna 2003, pp. 131-132.
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30 J.K. Hyde, Padova nell’età di Dante. Storia sociale di una città-stato italiana,
trad.it., Firenze 1985, pp. 15, 46-49; G. Previtali, Giotto e la sua bottega, Milano
2000, p. 82.
31 Giovanni Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, vol. III, Parma 1991,
Libro III, 94, p. 198.
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La ricerca del decoro urbano
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36 A.I. Pini, Energia e industria tra Sàvena e Reno: i mulini idraulici bologne-
si tra XI e XV secolo, in Tecnica e società nell’Italia dei secoli XII-XVI, Pistoia 1987,
pp.2-3; come esempio di un’altra città emiliana si veda Reggio ai tempi di Dante,
Modena 1966, pp. 164-168 («La rete di canalizzazione urbana e i molini»).
37 J. Muendel, The grain mills at Pistoia in 1350, «Bullettino Storico Pistoiese»,
LXXIV (1972), pp. 39-64; F. Neri, Attività, manifatture, mercato, arti, in L’età del
libero comune, a cura di G. Cherubini, Firenze 1998 («Storia di Pistoia», II), pp.
132-136.
38 G. Fasoli, La coscienza civica nelle «laudes civitatum», in Ead., Scritti di storia
medievale, a cura di F. Bocchi - A. Carile - A.I. Pini, Bologna 1974, pp. 293-317.
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La ricerca del decoro urbano
cosa alla fine del secolo Bonvesin da la Riva della sua Milano, che
cosa, un po’ più tardi, Opicino de Canistris della sua Pavia e l’Ano-
nimo genovese della sua Genova, cosa infine Giovanni Villani della
sua Firenze (su Bonvesino, Opicino e il Villani richiamò brevemen-
te l’attenzione anche il saggio, or ora ricordato, di Gina Fasoli). Né
possiamo dimenticare gli insegnamenti morali che lo speziale astigia-
no Guglielmo Ventura volle lasciare ai figli facendo testamento. Egli
ha consigli anche per lo svolgimento della professione («diano a cia-
scuno il peso giusto, perché è abominevole verso Dio [usare] bilance
truccate»), ma quello che più colpisce è ciò che egli consiglia ai figli,
sulla base della propria esperienza, rispetto all’atteggiamento verso
il comune e all’impegno pubblico. Egli scrive infatti che «cerchino
di evitare uffici e cariche consiliari del Comune; infatti ho visto di-
ventare mendichi molti del popolo, che frequentavano i consigli co-
munali ed anche a me [tale frequenza] ha nuociuto, come si sa».
Continuava tuttavia consigliando che «svolgano i loro uffici o incari-
chi osservando le leggi e soprattutto la professione di speziale, in cui
possono succedere molti guai». E concludeva, con una solenne cita-
zione classica: «obbediscano alla comunità cittadina, le siano fedeli e
si oppongano con ogni loro forza a tutti coloro che combattono con-
tro di essa, come leggiamo in Catone: “Combatti per la Patria”». Mi
pare che anche in questo caso, sia pure su un piano particolare, il no-
stro speziale di Asti riesca ad attribuire all’impegno politico un pale-
se «decoro urbano» 39.
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ria quantità di fiorini d’oro coniati ogni anno dal Comune, i consumi
alimentari, il livello, l’organizzazione e la diffusione dell’istruzione.
In qualche caso il cronista, pur convinto che le cifre parlino da sole
senza bisogno di sottolineature qualitative, non sa resistere al suo in-
namorato stupore. E lo sentiamo allora osservare che la città «era
dentro bene albergata di molti belli palagi e case, e al continovo in
questi tempi s’edificava migliorando i lavori di farli agiati e ricchi, re-
cando di fuori asempro d’ogni miglioramnento e bellezza». Né ba-
stava che i fiorentini, oltre alle case e ai palazzi, avessero edificato
dentro le mura «chiese cattedrali e di frati d’ogni regola, e moniste-
ri magnifici e ricchi». Non c’era infatti cittadino che avesse proprietà
in contado, popolano o magnate, «che non avesse edificato od edifi-
casse riccamente troppo maggiori edifici che in città; e ciascuno cit-
tadino ci peccava in disordinate spese, onde erano tenuti matti». Ma
era questa una cosa così bella a vedere che un forestiero venendo
per la prima volta a Firenze poteva pensare essere la città costruita
entro le tre miglia «a modo di Roma», ed entro le sei miglia circon-
data da «ricchi palagi, torri e cortili, giardini murati […], che inn al-
tre contrade sarebbono chiamati castella». Prima descrizione, questa
del Villani, di un paesaggio destinato a diventare famoso nei secoli e
strettamente legato, nella sua bellezza, alla bellezza della città 47.
47 Giovanni Villani, Nuova Cronica, III, cit., Libro XII, 94, pp. 197-202.
Ho descritto sinteticamente sia ciò che si ricava dalle pagine del cronista, sia alcu-
ni connotati della città nei miei due saggi La Firenze di Dante e di Giovanni Villani
e Firenze nell’età di Dante. Coscienza e immagine della città, editi rispettivamente in
G. Cherubini, Scritti toscani. L’urbanesimo medievale e la mezzadria, Firenze 1991,
pp. 35-51, e in Id., Città comunali di Toscana, cit., pp. 11-24.
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Giovanni Cherubini
49 Nel corso degli anni ho richiamato a più riprese l’attenzione su quella so-
cietà dell’insicurezza, della povertà e della delinquenza. Ricordo almeno i due sag-
gi Appunti sul brigantaggio in Italia alla fine del Medioevo e La taverna nel basso
Medioevo, in G. Cherubini, Il lavoro, la taverna, la strada, cit., pp. 141-171 e 191-
224, oltre ad alcuni capitoli dell’altro mio volume Gente del Medioevo, Firenze
1995.
50 G. Piccinni, Il sistema senese del credito nella fase della smobilitazione dei
suoi banchi internazionali, in Fedeltà ghibellina e affari guelfi. Saggi e riletture intor-
no alla storia di Siena fra Due e Trecento, a cura di G. Piccinni, 2 voll., Ospedaletto
(PI) 2008, I, pp. 272, 277-278.
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Lunedì 18 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
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Renato Bordone in questa sede. E se tra XII e XIV secolo, in una fase
di straordinaria mobilità sociale e politica, mutano obiettivi e stru-
menti di accesso alla ricchezza, stabile rimane il connotato positivo
della mercatura marittima, la convinzione nella mentalità comune
che, nonostante congiunture geopolitiche negative o altre opportu-
nità di guadagno, questa rimanga lo strumento e la forma primaria
di arricchimento.
La documentazione notarile, comunque sempre indicativa di
valori individuali piuttosto che collettivi, rivela questa convinzio-
ne profondamente radicata nella società genovese, a tutti i livelli so-
ciali e culturali, quasi patrimonio mentale collettivo: il lavoro e le
operazioni legate al mare e al commercio sono ritenute in grado di
mutare in meglio condizioni e qualità di vita. Una convinzione, un
ingrediente immateriale quindi, che si materializza soprattutto attra-
verso il coinvolgimento in contratti marittimi, in particolare la com-
menda o colleganza e la societas maris, che forniscono dati obiettivi
e diventano preziosi indicatori dell’impegno individuale e colletti-
vo e del conseguente benessere materiale che producono nelle cit-
tà marittime.
Come è noto, il contratto di commenda unisce temporanea-
mente per singole operazioni una persona che anticipa il capitale a
un’altra che si impegna a farlo fruttare in prevalenza sul mare, impe-
gnandosi personalmente anche a rischio della vita, in cambio di un
terzo degli eventuali profitti detratto il capitale. Abbastanza simile è
la societas maris che postula però da parte di ambedue i contraenti
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Percezione e uso della ricchezza nel mondo mercantile genovese
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tro sono femmine: due dotate con 150 lire, una cifra abbastanza mo-
desta all’interno della ricca nobiltà cittadina che ritornerà ai fratelli
se le donne moriranno senza eredi legittimi, e due più giovani desti-
nate alla monacazione con 50 lire di dote: «volo et ordino esse mo-
nachas». Sorte analoga impone ai due figli maschi minori destinati
al chiostro, ma con la clausola «se lo vorranno». Eredi sono gli al-
tri sei maschi insieme con i due minori affidati alle cure della ma-
dre, dei due fratelli maggiorenni e del nipote Simone Bufferio minor,
che possono «mittere laboratum (sic) res minorum ad eorum fortu-
nam per mare et per terram», far cioè fruttare e non tenere immobi-
lizzata l’eredità, in sintonia con quanto impone anche la normativa
genovese 16. Due figli già sposati continuano ad abitare sotto il tetto
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Giovanna Petti Balbi
bligo per i tutori di far fruttare il danaro dei minori in contrattazioni marittime: V.
Piergiovanni, Lezioni di storia giuridica genovese. Il medioevo, Genova 1984, pp.
70-74.
17 R.S. Lopez, Genova marinara nel Duecento. Benedetto Zaccaria ammiraglio
e mercante, Messina - Milano 1933, n.ed. a cura di G. Airaldi, Genova 1996, priva
però dell’appendice documentaria. Si cita dalla prima edizione, doc. I, 28 maggio
1248.
18 Si tratta dell’imposta del 10% prelevata dal 1174 su tutti i lasciti pii, de-
voluta prima alla fabbrica della cattedrale e dal 1270 impegnata per finanziare la
gestione delle opere portuali: V. Polonio, Da “opera” a pubblica magistratura. La
cura della cattedrale e del porto di Genova medievale, in Opera. Carattere e ruolo delle
fabbriche cittadine fino all’inizio dell’età moderna, Firenze 1996, pp. 117-135, anche
in Ead., Istituzioni ecclesiastiche della Liguria medievale, Roma 2002, pp. 403-424.
Genova offre un interessante esempio di mutazione da fabbrica a gestione di un
bene pubblico: P. Boucheron, A qui appartient la cathédrale, in Les espaces sociaux
de l’Italie urbaine. XII-XV siècles, Parigi 2005, pp. 285-308.
19 G. Petti Balbi, Donna et domina: pratiche testamentarie e condizione fem-
minile a Genova nel secolo XIV, in Margini di libertà, cit., pp. 169-172.
388
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anno e a non allontanarsi dal suo servizio, con la promessa che «res
tuas et honorem tuum custodiam et salvabo bona fide et sine frau-
de» 26. L’honor, la fama, che è una componente essenziale della co-
gie matrimoniali per i propri figli e per le figlie del fratello Manuele,
che aveva scelto come unico collaboratore tra gli altri fratelli. I due
rafforzano la consanguineità con la solidarietà degli affari e si rila-
sciano spesso procure generali e reciproche che permettono maggior
libertà e inventiva rispetto al contratto di commenda, pur conser-
vando Benedetto un ruolo preminente che ben emerge dal testamen-
to redatto nel 1271 da Manuele. In presenza di tre figlie femmine
e di una moglie gravida, Manuele assegna 700 lire di dote alle due
più giovani e lascia alla discrezione del fratello eventuali extradoti e
gioielli, mentre la dote della primogenita promessa ad un Doria da
lui e dal fratello congiuntamente è di ben 1000 lire. Presagendo poi
che la moglie avrebbe avuto un’altra femmina, come in realtà avven-
ne, Manuele designa erede Benedetto e la sua discendenza maschile,
ribadendo queste volontà anche nel successivo testamento del 1280.
Matrimoni prestigiosi quindi, con esponenti delle più nobili e po-
tenti famiglie genovesi del tempo, che fondono nobiltà di lignaggio
con opulenza mercantile: Orietta di Manuele tredicenne è promes-
sa sposa nel 1281 dai due fratelli al figlio di Oberto Spinola, uno dei
due capitani del popolo; Paleologo di Benedetto di 17 anni è sposato
nel 1282 con Iacopina Spinola e l’altra figlia Argentina con Paolino
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Percezione e uso della ricchezza nel mondo mercantile genovese
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Giovanna Petti Balbi
smo, senso civico. Genova rimane al centro dei suoi affari e dei suoi
affetti: non esita ad armare proprie navi da mettere al servizio del-
la città in occasione di operazioni militari e avvia iniziative econo-
miche che tornano a vantaggio anche dei concittadini. Incrementa
l’economia locale, perché le sue navi, persino quelle commissionate
dai re di Castiglia o di Francia, vengono sempre costruite nella città
natia; apre ai concittadini la rotta atlantica verso le Fiandre e i mer-
cati fiamminghi e inglesi della lana e a Genova lungo il Bisagno crea
industrie e officine per la lavorazione dei panni che reclutano ma-
nodopera locale. Per l’atteggiamento di Benedetto nei confronti del-
l’al di là e della salvezza eterna siamo nel campo delle congetture, a
meno di non rapportarsi alle volontà di Manuele 31 che è esempio vir-
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Giovanna Petti Balbi
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Percezione e uso della ricchezza nel mondo mercantile genovese
costumi dei nobili e innescano una sorta di gara per apparire pari, se
non superiori, a loro 39.
397
Giovanna Petti Balbi
così tangibili indicatori del nuovo ceto, del superfluo talora giusti-
ficato come necessario al decoro urbano, del «consumo del lusso».
Non mancano cappelle familiari e monumenti funebri fatti erigere
soprattutto da esponenti dell’antica nobiltà non solo nelle chiese ur-
bane, ma in quelle di periferia, in prossimità delle loro ville, quasi
per differenziarsi dai nuovi ricchi che affollano con le loro sepolture
le accoglienti e spaziose aule delle fondazioni mendicanti cittadine.
In queste forme la ricchezza viene usata quasi per sopravvivere e la-
sciar memoria di sé, per mostrare possanza, ricchezza del casato, con
scarse implicazioni di vera pietà religiosa o forme di mecenatismo ar-
tistico. Valori e aspirazioni constanti del ricco rimangono l’impegno
del singolo e i tradizionali assetti familiari: il rispetto verso il pater fa-
milias o la vedova lasciata usufruttuaria dei beni e tutrice dei figli, la
perseveranza nel lavoro e nel commercio, la regolare e precisa tenu-
ta dei libri contabili, l’impiego del danaro in forme sicure di investi-
mento, la fiducia in se stessi, tutto sulla scia e sull’esempio paterno.
Ci si illude anche che questo ricco tenore di vita largamente diffu-
so possa in un certo senso essere controllato, alimentato da un conti-
nuo afflusso di nuove risorse che consentono il mantenimento di uno
standard di benessere materiale, prima ancora che le leggi suntuarie
intervengano per controllare spese eccessive o sperpero di danaro 44.
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Percezione e uso della ricchezza nel mondo mercantile genovese
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Giovanna Petti Balbi
che può agire nel comune interesse della societas cristiana 49.
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Percezione e uso della ricchezza nel mondo mercantile genovese
tessuto una vasta rete mercantile, una vera impresa familiare in cui
oltre i generi ha coinvolto o spera di coinvolgere gli undici figli ma-
schi. Nella divisione dei beni stabilisce che «quilibet filiorum suo-
rum qui cum sua industria, labore et scientia ac excercitiis aliquid
lucratus fuit» possa tenere per sé il guadagno senza spartirlo con i
fratelli, profondamente convinto che lavoro e ricchezza siano i due
volti di una stessa medaglia, di quel benessere economico che crede
di aver raggiunto e di poter trasmettere alla discendenza, senza alcu-
na intenzione di farne partecipi altri nemmeno con distribuzioni pro
anima. Una valutazione assai diversa della ricchezza è quella di un al-
tro Lomellini, Ansaldo, che due anni dopo 55 destina una grossa fet-
52 B. Kedar, Mercanti in crisi a Genova e Venezia nel 300, Roma 1981 (tit.or.
Merchants in crisis. Genoese and Venetian Men of Affairs and the Fourtenth Century
Depression, New Haven - Londra 1976).
53 R. Mueller, Sull’establishment, cit., p. 64. E questo anche l’assillo di
Francesco di Marco Datini che agiva nel nome di Dio e del guadagno: Francesco di
Marco Datini. L’uomo e il mercante, a cura di G. Nigro, Firenze 2010.
54 ASG, not. cart. 230, ff. 62v-64, 26 maggio 1343. Cfr. G. Petti Balbi, Il
mercante, cit., pp. 19-20.
55 ASG, not. cart. 228, ff. 7v-11v, 2 febbraio 1345.
401
Giovanna Petti Balbi
è procurato la ricchezza che traspare dai lasciti, dalle doti e dai doni
per le nove figlie femmine, autorizzate però a usare perle e gioiel-
li paterni solo fino a quanto non si sposeranno. All’unico figlio ma-
schio, ovviamente suo erede, insieme con la benedizione paterna va
l’esortazione a perseverare sulle orme paterne, a continuare a risiede-
re a Genova e a operare «in negociis et mercantiis» seguendo i con-
sigli di un socio d’affari del padre. Tuttavia devolvendo lasciti pii a
poveri e istituti di Savona e esprimendo il desiderio di essere sepolto
nella cappella familiare dei Natone nella città natia, Giovanni palesa
un senso di rimpianto e di nostalgia che il benessere non è riuscito a
colmare: il lavoro, la ricchezza sono a Genova, ma le radici, gli affetti
stanno a Savona ove del resto ha collocato in matrimonio le tre figlie
maggiori. Non sembrano provare sentimenti analoghi molti genove-
si che hanno fatto fortuna in Oltremare e esprimono la volontà di es-
sere seppelliti a Caffa, a Nicosia o a Famagosta, dando prova ancora
una volta di pragmatismo di spirito. ma ricordandosi della città natia
con lasciti a fondazioni religiosi o con il deceno del comune 57, sen-
Nell’arco tra il XII e la metà del XIV secolo mi pare si possa co-
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Percezione e uso della ricchezza nel mondo mercantile genovese
403
Lunedì 18 maggio, mattina
Pistoia, Sala Sinodale dell’Antico Palazzo dei Vescovi
Presidente Prof. Giovanni Cherubini
Giampaolo Francesconi
«Gentiluomini che oziosi vivono delle
rendite delle loro possessioni».
Ideali e identità di una città socia nobilis et
foederata: Pistoia nello Stato fiorentino
1 Cronache di ser Luca Dominici, a cura di G.C. Gigliotti, II, Cronaca secon-
da, Pistoia 1939, p. 44. Ringrazio Carlo Vivoli per la lettura attenta e ragionata di
questo contributo e per i preziosi consigli.
2 Ser Agapito di ser Giovanni da Poppi doveva far parte di quella nutrita
schiera di notai che già a partire dall’inizio del Trecento caratterizzavano il tessuto
sociale della comunità di Poppi e che proprio per l’azione dei conti Guidi aveva-
no inaugurato una tradizione importante di notariato locale, tanto più per un cen-
tro minore dell’Appennino toscano (M. Bicchierai, Ai confini della Repubblica di
Firenze. Poppi dalla signoria dei conti Guidi al vicariato del Casentino (1360-1480),
Firenze 2005, pp. 102sgg.).
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Giampaolo Francesconi
10 settembre del 1401. Una data dal grande impatto simbolico. Una
di quelle date che hanno la forza della sintesi e dell’accelerazione 3.
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Giampaolo Francesconi
8 Il passaggio fra una concezione comunale del potere e una concezione ri-
nascimentale, con il relativo dibattito ideologico e civile è stato indagato da una
storiografia di lunga tradizione e di vaste proporzioni, si limiterà pertanto il rimando
alle ricerche di M. Viroli, Dalla politica alla ragion di stato. La scienza del governo
tra XIII e XVII secolo, Roma 1994, pp. 49-81; Id., Come se Dio ci fosse. Religione
e libertà nella storia d’Italia, Torino 2009, pp. 39sgg. Questi temi sono stati ripre-
si, indagati e discussi in rapporto al più vasto dibattito internazionale da Fasano
Guarini, Repubbliche e principi, cit., in particolare nell’Introduzione, pp.7-24 e nel
saggio Declino e durata delle repubbliche. F. Bruni, La città divisa. Le parti e il bene
comune da Dante a Guicciardini, Bologna 2003, pp. 19sgg.
9 Si trattava di quelle categorie che erano state in prima battuta studiate e
discusse da G. Chittolini, Ricerche sull’ordinamento territoriale del dominio fioren-
tino agli inizi del secolo XV, in Id., La formazione dello stato regionale e le istituzioni
del contado. Secoli XIV e XV, Milano 2005 (ma 1979), pp. 225-265; questioni che
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Giampaolo Francesconi
detto, era solo l’esito finale, la sanzione formale di una storia che
affondava alla piena età comunale. Gli equilibri fra le due città si
erano spezzati in modo irreversibile lungo i primi tre decenni del
Duecento: in quella fase in cui le potenzialità economiche, demogra-
fiche e produttive erano ancora in qualche misura comparabili e in
grado di confrontarsi, Firenze fu capace di chiudere la partita a pro-
prio vantaggio 11. D’allora in avanti — se volessimo indicare un mo-
governo di Pistoia medicea, ivi, pp. 1-31; M. Dedola, «Tener Pistoia con le parti».
Governo fiorentino e fazioni pistoiesi all’inizio del ’500, «Ricerche storiche», XXII
(1992), pp. 239-259; Id., Governare sul territorio. Podestà, capitani e commissari a
Pistoia prima e dopo l’assoggettamento a Firenze (XIV-XVI secolo), in Istituzioni e
società in Toscana nell’età moderna, 2 voll., Roma 1994, pp. 215-230.
11 Per un confronto fra le due città ad inizio Duecento, mi permetto di ri-
mandare ad un mio contributo G. Francesconi, Pistoia e Firenze in età comunale. I
diversi destini di due città della Toscana interna, in La Pistoia comunale nel contesto
toscano ed europeo (secoli XIII-XIV), a cura di P. Gualtieri, Pistoia 2008, pp. 73-
100, in particolare pp. 84-93.
12 Per un quadro di sintesi della storia comunale pistoiese, cfr. G. Cherubini,
Pistoia comune libero. Dall’inizio del XII alla metà del XIV secolo, in Id., Città comu-
nali di Toscana, Bologna 2003, pp. 147-186, già edito come Sintesi conclusiva della
Storia di Pistoia, II, L’età del libero comune. Dall’inizio del XII alla metà del XIV
secolo, a cura di G. Cherubini, Firenze 1998, pp. 417-442.
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Pistoia nello Stato fiorentino, città socia nobilis et foederata
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Giampaolo Francesconi
con una serie di passaggi cadenzati dal 1331, al 1351 al 1373, in una
progressiva occupazione di spazi politici e istituzionali. Dalla tra-
sformazione del capitanato del Popolo in quello di Custodia di no-
mina fiorentina, alla riforma generale degli uffici, quote sempre più
consistenti di giurisdizione urbana e del territorio passarono sotto il
diretto controllo fiorentino 18. Una progressione che ebbe l’esito con-
clusivo nel già più volte richiamato 1401. Ma che veniva, dunque, da
lontano e che aveva avuto un canale privilegiato nella strutturata di-
visione in partes del conflitto politico pistoiese. E si arriva alle fazioni
e alla loro capacità di condizionare il gioco politico cittadino e non
soltanto. Ma qui il discorso diventa più delicato e necessita di essere
affrontato con la necessaria cura e cautela.
Le divisioni interne al tessuto politico pistoiese del secondo
Duecento erano, pur con sfumature proprie, quelle tipiche dello
scontro sociale che caratterizzava gran parte delle città comunali ita-
liane dell’epoca. Le recenti ricerche di Giuliano Milani costituisco-
no in tal senso una sicura conferma 19. Ma a Pistoia accadde qualcosa
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Giampaolo Francesconi
della vicina Pistoia 22. Un accanimento così forte e costante non po-
non perdonarono alla bellezza della città, che come villa di-
sfatta rimase 24.
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4. Patroni e clienti
La faziosità, beninteso, non era solo un mito costruito dall’ester-
no. Era una realtà viva ed operante all’interno della società pistoiese
del tardo Medioevo, ma lo fu con forme via via diverse e più condi-
zionanti proprio lungo il Trecento, e soprattutto nel Quattrocento e
i primi secoli dell’età moderna. A quel punto avrebbe agito come un
fondamentale medium regolatore della vita politica e sociale inter-
na alla città soggetta 28. È questa la ragione per cui ci siamo attarda-
415
Giampaolo Francesconi
soluta originalità, rispetto alle altre città del Dominio. Quella stessa
posizione che avrebbe determinato gli ideali e lo stile di vita dei suoi
ceti eminenti 29.
Nel 1376 furono stabilite nuove procedure elettorali che resero isti-
tuzionale il ruolo delle fazioni. Si riconobbe uno spazio determinante
alle compagnie di San Paolo e di San Giovanni che riuscirono, attra-
verso un linguaggio confraternale, a mantenere attiva la partizione
interna al tessuto sociale urbano: i capitoli prevedevano la creazione
di due serie di borse dalle quali si sarebbero dovuti estrarre i nomi
degli ufficiali 31. Era quella la sanzione formale di una politica fioren-
tina che poggiava sul controllo e l’equilibrio sociale della città sog-
getta. Un sistema che sarebbe rimasto attivo ed operante nella sua
efficacia, tutta giocata sull’azione dei pesi e dei contrappesi, fino al
1458, quando Cosimo de’ Medici decise di eliminare il ruolo formale
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Pistoia nello Stato fiorentino, città socia nobilis et foederata
del bipolarismo 32. Le divisioni, gli scontri e il loro ponte con Firenze
32 Per la riforma cosimiana del 1458, cfr. Archivio di Stato di Firenze (d’ora
in poi ASF), Statuti delle comunità autonome e soggette, 595, cc. 287r-303r; ASF,
Archivio delle Tratte, 1495, cc. 17r-22r. Si vedano anche le considerazioni di
Connell, «La città dei crucci», cit., p. 58.
33 Ivi, pp. 56-77.
34 Cronache di ser Luca Dominici, II, cit., p. 14.
35 Connell, «La città dei crucci», cit., pp. 63-64 e tabelle allegate, relative ad
un esame su un campione di 69 famiglie pistoiesi per il periodo studiato, dal 1349
al 1537.
36 Per questi aspetti, in particolare sulla costruzione di legami patronali tra
la casa medicea e le società locali, cfr. P. Salvadori, Dominio e patronato. Lorenzo
dei Medici e la Toscana nel Quattrocento, Roma 2000 e alcuni dei contributi raccolti
nel III volume de La Toscana al tempo di Lorenzo il Magnifico. Politica, economia,
cultura, arte, III, Convegno di Studi promosso dalle Università di Firenze, Pisa e
Siena (5-8 novembre 1992), Pisa 1996. Si veda anche il recentissimo saggio di sintesi
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Giampaolo Francesconi
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Pistoia nello Stato fiorentino, città socia nobilis et foederata
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struita nella più totale dedizione alla casata de’ Medici, e a Lorenzo
in particolare. Mariano, lo ha notato Connell, fu il ponte più impor-
tante della politica fiorentina a Pistoia in età laurenziana 46: le ragio-
42 ASP, Catasto, 5, c. 287r. Cfr. anche Connell, «La città dei crucci», cit.,
pp. 85-86 e F. Neri, Aspetti di politica giudiziaria nello stato territoriale fiorenti-
no. Condannati a Pistoia, graziati a Firenze, «Bullettino Storico Pistoiese», XCVII
(1995), pp. 75-101: pp. 85-92.
43 Sia sufficiente il rimando, per un tema che potrebbe rivelarsi dai confini
difficilmente arginabili, all’intervento di A. Torre, Clientelismo: idioma politico e
società locali, in Lo stato territoriale fiorentino, cit., pp. 519-523 e ai riferimenti bi-
bliografici ivi contenuti.
44 Su Tommaso Salvetti, cfr. F. Neri, Il giurista Tommaso Salvetti. Attività
di tutela patronale a Pistoia nel Quattrocento, «Bullettino Storico Pistoiese», XCVI
(1994), pp. 45-66.
45 Anche per la figura, la personalità e l’attività di Mariano Panichi il rimando
è alle pagine puntuali di Connell, «La città dei crucci», cit., pp. 106sgg. Cfr. anche
Salvadori, Dominio e patronato, cit., pp. 38-39, 41, 47, 51-52.
46 Ivi, p. 113.
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procurato 47.
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scale e nei rapporti con le comunità rurali sarebbero poi state rein-
tegrate nel 1546, con la fine del commissariamento e la cosiddetta
«restituzione degli onori» 57. L’ultimo passaggio di questo processo
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Giampaolo Francesconi
abitanti — stesso discorso per il territorio che era passato dai 30.000
ai 15.000 abitanti 60. Una stasi che aveva bloccato le direttrici dello
sviluppo lungo i borghi più esterni di età comunale e che aveva la-
sciato fra la seconda e la terza cerchia muraria larghi spazi al verde
e alle coltivazioni, tanto che ha potuto protrarsi fino ad oggi l’epi-
teto di «città degli orti» 61. Il paesaggio urbano conobbe gli unici si-
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73 F. Neri, I capitoli dei «Paciali» del 1455, in Pistoia e la Toscana nel Medioevo.
Studi per Natale Rauty, a cura di E. Vannucchi, Pistoia 1997, pp. 231-251.
74 Cfr. ancora Mineccia, Dinamiche demografiche, cit., pp. 214sgg. Per
una storia di più lunga durata della proprietà fondiaria cittadina, cfr. Iacomelli,
Proprietà fondiaria, cit., pp. 211sgg.
75 Una discussione storiografica e problematica delle dinamiche della mobi-
lità sociale medievale, con riferimento anche alle «chiusure» in senso oligarchico
di età rinascimentale è quella di S. Carocci, Mobilità sociale e medioevo, «Storica»,
43-45, XV (2009), pp. 11-55.
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6. La fine della politica e «la vana immagine delle sue antiche forme»
L’ideale dell’«armonia», è stato scritto, avrebbe sostituito in età
rinascimentale il duecentesco concetto di «bene comune» 76: non vo-
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ci, aveva costruito uno status e «serrato» gli accessi alla ricchezza 78.
L’ingenuità sta forse nel fatto che Tedaldi non aveva colto o non ave-
va voluto cogliere come quella condizione fosse stata cercata e non
così pesante da sopportare. I Fiorentini erano notoriamente argu-
ti, ma in questo caso i Pistoiesi non furono da meno: alla loro om-
bra, infatti, erano stati in grado di prosperare, sicuramente con meno
aperture verso l’esterno che in passato, ma con altrettanto benessere.
Non stupisce allora che il sentimento di questo patriziato cittadino,
come ha ben rilevato Giuliano Pinto, non fosse di aperto antagoni-
smo nei confronti della Dominante come accadeva a Siena e a Pisa 79.
78 Sul patriziato pistoiese, cfr. Connell, «La città dei crucci», cit., pp. 47sgg.;
i caratteri, i vizi e le virtù del patriziato cinquecentesco sono ben ricostruiti nella
vicenda paradigmatica narrata da D. Weinstein, La concubina del Capitano. Amore,
onore e violenza nella Toscana del Rinascimento, Firenze 2003. In una prospettiva
più ampia, cfr. S. Berner, The Florentine Patriciate in the Transition from Republic
to Principate 1530-1609, «Studies in Medieval and Renaissance History», IX (1972),
pp. 3-15; G. Angelozzi, Cultura dell’onore, codici di comportamento nobiliare e sta-
to nella Bologna pontificia: un’ipotesi di lavoro, «Annali dell’Istituto Storico Italo-
Germanico in Trento», VII (1982), pp. 305-324; M.R. Bell, How To Do It: Guides
to Good Living for Renaissance Italians, Chicago 1999.
79 Pinto, Sintesi finale, pp. 445sgg.
80 Cfr. i rimandi della precedente nota 78.
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Indice dei nomi e dei luoghi
(a cura di Francesco Leoni)
V Y
Yante, J.-M., 71n
Valbonesi, M., 430n
Valdeón Baruque, J., 342 e n Z
Vallerani, M., 303n, 308 e n, 309, Zabbia, M., 49n, 407n
310 e n, 311, 432n Zaccagnini, G., 74n
Van Bruaene, A.-L., 284n Zangarini, A., 389n
Vannucchi, E., 427n Zanier, C., 72n
Varanini, G.M., 8n, 73n, 250n, Zanker, P., 425 e n
362n, 366n, 389n Zapperi, R., 227n
Varese, C., 10n Zarri, G., 131n, 153n, 156n, 157n
Vasoli, C., 339 e n Zecchino, O., 128n, 362n
Vatteroni, S., 288n Zerbi, P., 112n
Vauchez, A., 14n, 18n, 89n, 235n, Zimmermann, A., 97n
246 Zorzi, A., 16n, 284 e n, 291n, 293n,
Veglia, M., 94n 319n, 326 e n, 347n, 409 e n, 416
Venturi, D., 255n e n, 421n
Verdon, T., 364n
465
Indice generale
468
PUBBLICAZIONI DEL CENTRO
Il Romanico pistoiese nei suoi rapporti con l’arte romanica dell’Occidente (Atti del I Convegno
Internazionale di Studi medioevali di Storia e d’Arte, 1964)
Mario Salmi, Prolusione — Giuseppe Marchini, La Cattedrale di Pistoia — Guido Morozzi,
Le chiese romaniche del Monte Albano — Giovanni Miccoli, Aspetti del monachesimo toscano
nel secolo XI — Raffaello Delogu, Pistoia e la Sardegna nella architettura romanica — Albino
Secchi, Restauro ai monumenti romanici pistoiesi — Wolfgang Braunfels, Tre domande a pro-
posito del problema «Vescovo e città nell’alto medioevo» — Knut Berg, Miniature pistoiesi del
XII secolo — Roberto Salvini, La scultura romanica pistoiese — Jean Hubert, La crypte de
Saint-Jean-de-Maurienne et l’expansion de l’art lombard en France — Maria Pia Puccinelli, La
viabilità nel Contado Pistoiese in rapporto con i monumenti romanici — Sabatino Ferrali, Pievi
e parrocchie nel territorio pistoiese — Piero Sanpaolesi, I rapporti artistici tra Pistoia ed altri cen-
tri in relazione alla civiltà artistica romanica — Cinzio Violante - Cosimo Damiano Fonseca,
Ubicazione e dedicazione delle cattedrali dalle origini al periodo romanico nelle città dell’Italia
centro-settentrionale — Ugo Procacci, La pittura romanica pistoiese — Giulia Brunetti, Indagini
e problemi intorno al pulpito di Guido da Como in S. Bartolomeo a Pistoia — Emilio Cristiani,
Discorso di chiusura.
Il Gotico a Pistoia nei suoi rapporti con l’arte gotica italiana (Atti del II Convegno Internazionale
di Studi, 1966) (Esaurito)
Mario Salmi, Prolusione — Armando Sapori, I mercanti e le compagnie mercantili e bancarie
toscane fino ai primi del Quattrocento — Laura Becciani, La rocca di Montemurlo — Gerard
Gilles Meersermann, Origini del tipo di chiesa umbro-toscano degli Ordini mendicanti — Ulrich
Middeldorf, Gli inizi figurativi del Gotico a Pistoia — Albino Secchi, La cappella di S. Jacopo a
Pistoia e la «Sacrestia dei belli arredi» — Natale Rauty, Le finestre a crociera del palazzo Panciatichi
a Pistoia — Albino Secchi, Il tetto di San Francesco di Pistoia e la policromia decorativa del XIV
sec. — Emilio Cristiani, Note sui rapporti tra il Comune e il contado di Pistoia nel corso del
secolo XIII — Zoltan Kádár, Il nuovo senso della natura nella scultura di Giovanni Pisano —
Giuseppe Marchini, L’altare argenteo di S. Iacopo e l’oreficeria gotica a Pistoia — Enzo Carli,
Scultori senesi a Pistoia — Cesare Gnudi, Il pulpito di Giovanni Pisano a Pistoia — Sabatino
Ferrali, L’ordine ospitaliero di S. Antonio Abate o del Tau e la sua casa a Pistoia — Ugo Procacci,
Gli affreschi della chiesa del Tau e la pittura a Pistoia nella seconda metà del sec. XIV — Guido
Morozzi, Caratteri stilistici e restauro del Palazzo di Giano — Maria Maddalena Gauthier, L’art
de l’émail champlevé à l’époque primitive du gothique — Mario Salmi, Due note pistoiesi: I. Il
fonte battesimale e il San Giovanni di Pistoia; II. Il «Compianto» dell’Ospedale del Ceppo —
Marco Chiarini, Oggetti gotici d’arte minore e il futuro Museo diocesano di Pistoia — Raffaello
Melani, Pistoia ed i pistoiesi nel canto XXIV dell’Inferno — Mario Apollonio, Dante: figurativi-
tà gotica e drammaticità romanica ed umanistica della «Commedia».
Le zecche minori toscane fino al XIV secolo (Atti del III Convegno Internazionale di Studi,
1967)
Mario Salmi, Parole di apertura — Federico Melis, L’economia delle città minori della Toscana —
Jean Lafaurie, Le trésor carolingien de Sarzana-Luni — Antonio Bertino, La monetazione
altomedievale di Luni — Giovanni Gorini, Osservazioni preliminari per lo studio dei rapporti tra
l’area monetale toscana e quella veneta nei secoli XIII e XIV — Gian Guido Belloni, La zecca di
Lucca dalle origini a Carlo Magno — Enrico Coturri, Note e documenti relativi ad alcune monete
lucchesi del secolo XIV — Antonio Del Mancino, La zecca di Siena al tempo del governo dei Nove
(1292-1355) — Franco Panvini Rosati, La monetazione delle zecche minori toscane nel periodo
comunale — Mario Bernocchi, Una originale manifestazione della zecca di Prato 1336-1343 —
Carlo Meloni, Sui due bianchi di Pisa attribuiti alla zecca di Villa di Chiesa — David Herlihy,
Pisan coinage and the monetary history of Tuscany, 1150-1250 — Emilio Cristiani, Problemi di
datazione delle monete comunali pisane — Franco Panvini Rosati, Discorso di chiusura.
Il Restauro delle opere d’arte (Atti del IV Convegno Internazionale di Studi, 1968)
Emilio Cristiani, Presentazione — Mario Salmi, Prolusione — Pietro Gazzola, L’opera
dell’UNESCO per la salvaguardia dei monumenti e delle opere d’arte (beni culturali) — Ugo
Procacci, Le tecniche ed il restauro degli affreschi — Ugo Procacci, Le tecniche ed il restauro
dei dipinti su tavola e su tela — Pasquale Rotondi, Azione e responsabilità dello Stato nel
campo del restauro — Guglielmo De Angelis d’Ossat, Il restauro dei monumenti ieri ed oggi —
Francesco Nicosia, Problemi del restauro archeologico — Rosario Jurlaro, Conservazione delle
pitture rupestri in Puglia — Lidia Bianchi, Conservazione e restauro dei disegni e delle stampe —
Emerenziana Vaccaro, Tecniche del restauro dei codici miniati e dei manoscritti — Luciano Berti,
Il restauro delle sculture — Carlo Muttinelli, La conservazione delle armi e degli oggetti metallici
longobardi — Lidia Becherucci, Problemi di museologia — Giuseppe Marchini, Il restauro
degli oggetti delle arti minori — Marie Madeleine Gauthier, Antichi ripristini e restauri moderni
su smalti e oreficerie medioevali — Enzo Carli, Relazione sulla attività della Soprintendenza ai
Monumenti e Gallerie di Siena — Guido Morozzi, Problemi ed attività relativi al restauro dei
monumenti — Albino Secchi, Restauro di monumenti a Pistoia ed Arezzo — Juan Bassegoda
Nonell, Restauro di un’opera di Gaudí — Ubaldo Lumini, Immagini storico-tecniche sul dissesto
della Torre di Pisa.
Egemonia fiorentina ed autonomie locali nella Toscana nord-occidentale del primo Rinascimento:
vita, arte, cultura (Atti del VII Convegno Internazionale di Studi, 1975)
Emilio Cristiani, Presentazione — Mario Salmi, Discorso inaugurale — Giorgio Chittolini, La
formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado: ricerche sull’ordinamento territoria-
le del dominio fiorentino agli inizi del secolo XV — David Herlihy, Le relazioni economiche di
Firenze con le città soggette nel secolo XV — Riccardo Fubini, Antonio Ivani da Sarzana: un teo-
rizzatore del declino delle autonomie comunali — Ezzelinda Altieri Magliozzi, Istituzioni comu-
nali a Pistoia prima e dopo l’inizio della dominazione fiorentina — Francesco Negri Arnoldi, Il
monumento sepolcrale del Card. Niccolò Forteguerri in Santa Cecilia a Roma e il suo cenotafio
nella Cattedrale di Pistoia — Ugo Procacci, Il pittore pistoiese Bartolommeo di Andrea Bocchi —
Francesco Negri Arnoldi, Matteo Civitali, scultore lucchese — Luisa Cogliati Arano, Influssi
toscani sulla scultura padana: Maffiolo da Carrara — Guido Pampaloni, Ricordo di Federigo
Melis — Sabatino Ferrali, “Omelia in memoria di Federigo Melis” — Lucia Gai, Rapporti fra
l’ambiente artistico pistoiese e fiorentino alla fine del Trecento ed ai primi anni del Quattrocento:
riesame di un problema critico — Enzo Carli, Il pittore Gerino da Pistoia — Sabatino Ferrali,
Rapporti religiosi ed ecclesiastici tra Pistoia e Firenze nel secolo XV — Giancarlo Savino, Libri
ed amici di Sozomeno da Pistoia negli anni del Concilio di Costanza — Enrico Coturri, La me-
dicina a Firenze nel Quattrocento e i suoi riflessi nelle altre città della Toscana settentrionale —
Gino Arrighi, La matematica nella Toscana nord-occidentale nei secoli XII-XV — Alessandro
Gambuti, L’architettura del primo Rinascimento nella Toscana nord-occidentale: influssi fiorenti-
ni e caratteristiche locali — Francesco Guerrieri, Cultura architettonica del primo Rinascimento
in territorio pratese — Giuseppe Marchini, Castelli, fortezze e ville del primo Rinascimento nel-
la Toscana del Nord — Michele Luzzati, Politica di salvaguardia dell’autonomia lucchese nel-
la seconda metà del secolo XV — Guglielmo Lera, Forme associative, condizioni economiche e
sensibilità artistica di alcuni paesi della campagna lucchese nel primo Rinascimento — Emilio
Cristiani, Discorso di chiusura.
Civiltà ed economia agricola in Toscana nei secc. XIII-XV: problemi della vita delle campagne
nel Tardo Medioevo (Atti dell’VIII Convegno Internazionale di Studi, 1977)
Emilio Cristiani, Presentazione — Raffaello Melani, La vita dei campi e il contadino nella Divina
Commedia — Christian Bec, Le paysan dans la nouvelle toscane (1350-1430) — Alessandro
Guidotti, Agricoltura e vita agricola nell’arte toscana del Tre e Quattrocento (di alcune miniature
fiorentine e senesi del XV secolo) — Giovanni Cherubini, Risorse, paesaggio ed utilizzazione
agricola del territorio della Toscana sud-occidentale nei secoli XIV-XV — Charles de la Roncière,
Solidarités familiales et lignagères dans la campagne toscane au XIV s.: l’exemple d’un village de
Valdelsa (1280-1350) — Christiane Klapisch-Zuber, Mezzadria e insediamenti rurali alla fine del
Medio Evo — Maria Serena Mazzi - Sergio Raveggi, Masserizie contadine nella prima metà del
Quattrocento: alcuni esempi del territorio fiorentino e pistoiese — Laura De Angelis, Tecniche di
coltura agraria e attrezzi agricoli alla fine del Medioevo — Giuliano Pinto, Coltura e produzione
dei cereali in Toscana nei secoli XIII-XV — Riccardo Francovich, Il contributo dell’archeologia
medievale alla storia della cultura materiale e dell’insediamento nella Toscana basso medievale —
Fabio Redi, Opere di bonifica dei terreni agricoli nel territorio pisano-lucchese a cavallo fra i secc.
XIII e XV — Natale Rauty, Intervento del Comune nel controllo delle misure a Pistoia (secoli
XII-XV) — Gino Arrighi, Fra’ Leonardo da Pistoia trattatista di «geometria pratica» — David
Herlihy, The problem of the «return to the land» in Tuscan economic history of the fourteenth
and fifteenth centuries — Emilio Cristiani, Discorso di chiusura.
Università e società nei secoli XII-XVI (Atti del IX Convegno Internazionale di Studi, 1979)
Emilio Cristiani, Presentazione — Gina Fasoli, Rapporti tra le città e gli «Studia» — Johannes
Fried, Vermögensbildung der Bologneser Juristen im 12 und 13 Jahrhundert — Manlio Bellomo,
Studenti e «Populus» nelle città universitarie italiane dal secolo XII al XIV — Girolamo Arnaldi,
Fondazione e rifondazioni dello Studio di Napoli in età sveva — Gino Arrighi, La matematica
fra bottega d’abaco e Studio in Toscana nel Medio Evo — Giuliano Catoni, Il Comune di Siena e
l’amministrazione della Sapienza nel sec. XV — Enrico Coturri, L’insegnamento dell’anatomia
nelle università medioevali — Jacques Verger, Les rapports entre Universités italiennes et
Universités françaises méridionales (XIIe-XVe siècles) — Walter Steffen, Il potere studentesco
a Bologna nei secoli XIII e XIV — Ennio Cortese, Legisti, canonisti e feudisti: la formazione di
un ceto medievale — Rodolfo Del Gratta, Spigolature storiche sull’Università di Pisa nel 1400
e 1500 — Giovanni Santini, Università e società a Modena tra il XII e il XIII secolo — Paolo
Sambin, Giuristi padovani del Quattrocento tra attività universitaria e attività pubblica. I. Paolo
d’Arezzo († 1433) e i suoi libri — Jean Leclerq, Lo sviluppo dell’atteggiamento critico degli allievi
verso i maestri dal X al XIII secolo — Renzo Grandi, Le tombe dei dottori bolognesi: ideologia
e cultura — Stefano Zamponi, Manoscritti con indicazioni di pecia nell’Archivio Capitolare
di Pistoia — Alessandro Conti, Appunti sulla miniatura nei codici giuridici del Duecento a
Bologna — Armando F. Verde, Vita universitaria nello Studio della Repubblica fiorentina alla
fine del Quattrocento — Tiziana Pesente, Generi e pubblico della letteratura medica padovana
nel Tre e Quattrocento — Maria Carla Zorzoli, Interventi dei Duchi e del Senato di Milano per
l’Università di Pavia (secoli XV-XVI).
Artigiani e salariati: il mondo del lavoro nell’Italia dei secoli XII-XV (Atti del X Convegno
Internazionale di Studi, 1981)
Emilio Cristiani, Presentazione — Giovanni Cherubini, I lavoratori nell’Italia dei secoli XIII-
XV: considerazioni storiografiche e prospettive di ricerca — Bruno Dini, I lavoratori dell’Arte del-
la Lana a Firenze nel XIV e XV secolo — Giuliano Pinto, L’organizzazione del lavoro nei cantieri
edili (Italia centro-settentrionale) — Laura Balletto, I lavoratori nei cantieri navali (Liguria, secc.
XII-XV) — Marco Tangheroni, La vita a bordo delle navi — Antonio Ivan Pini, La ripartizio-
ne topografica degli artigiani a Bologna nel 1294: un esempio di demografia sociale — Lucia Gai,
Artigiani e artisti nella società pistoiese del basso Medioevo. Spunti per una ricerca — Amleto
Spicciani, Solidarietà, previdenza e assistenza per gli artigiani nell’Italia nell’Italia medioeva-
le (secoli XII-XV) — Duccio Balestracci, I lavoratori poveri e i «disciplinati» senesi. Una forma
di assistenza alla fine del Quattrocento — Rosa Maria Dentici Buccellato, Lavoro e salari nella
Sicilia del Quattrocento (la terra e il mare) — Odile Redon, Images des travailleurs dans les nou-
velles toscanes des XIVe et XVe siècles — Emilio Cristiani, Artigiani e salariati nelle prescrizioni
statutarie — Francesco Gandolfo, Lavoro e lavoratori nelle fonti artistiche.
Tecnica e società nell’Italia dei secoli XII-XVI (Atti dell’XI Convegno Internazionale di Studi,
1984)
Emilio Cristiani, Presentazione — Antonio Ivan Pini, Energia e industria tra Sàvena e Reno: i
mulini idraulici bolognesi tra XI e XV secolo — Riccardo Berretti - Egidio Iacopi, I molini ad
acqua di Valleriana — Renzo Sabbatini, La produzione della carta dal XIII al XVI secolo: strut-
ture, tecniche, maestri cartai — Leandro Perini, Stamperie quattrocentesche: vocabolario, tecni-
che e rapporti giuridici — Walter Endrei, Rouet italien et métier de Flandre à tisser au large —
Bruno Dini, Una manifattura di battiloro nel Quattrocento — Angela Ghinato, Tecnica e socie-
tà nell’Italia dei secoli XII-XVI. Tecniche e organizzazione del lavoro nell’arazzeria a Ferrara al-
l’epoca di Borso d’Este — Natale Rauty, Tecniche di costruzione e di cantiere nell’antico palaz-
zo dei Vescovi di Pistoia (secoli XI-XIV) — Gino Arrighi, Nozioni ad uso degli architetti del
basso Medio Evo — Maureen Fennel Mazzaoui, La diffusione delle tecniche tessili del coto-
ne nell’Italia dei secoli XII-XVI — M.E. Bratchel, The Silk Industry of Lucca in the Fifteenth
Century — Luciana Frangioni, La tecnica di lavorazione dei bacinetti: un esempio avignone-
se del 1379 — Enrico Coturri, Gli strumenti chirurgici nel medioevo e la loro fabbricazione —
Emanuela Guidoboni, «Delli rimedi contra terremoti per la sicurezza degli edifici»: la casa anti-
sismica di Pirro Ligorio (sec. XVI) — Francesco Guerrieri, Considerazioni sulle tecniche del can-
tiere edilizio medievale — Ugo Procacci, I colori e la tecnica pittorica.
Città e servizi sociali nell’Italia dei secoli XII-XV (Atti del XII Convegno Internazionale di
Studi, 1987) (Esaurito)
Emilio Cristiani, Presentazione — Henri Bresc, Ecole et services sociaux dans les cités et les «ter-
res» siciliennes (XIIIe-XVe siècles) — Giovanna Petti Balbi, Istituzioni cittadine e servizi scola-
stici nell’Italia centro-settentrionale tra XIII e XV secolo — Anna Maria Nada Patrone, «Super
providendo bonum et sufficientem magistrum scholarum». L’organizzazione scolastica delle cit-
tà nel tardo medioevo — Francesca Luzzati Laganà, Un maestro di scuola toscano del Duecento:
Mino da Colle di Valdelsa — Giuliana Albini, L’assistenza all’infanzia nelle città dell’Italia pa-
dana (secoli XIII-XV) — Gian Maria Varanini - Giuseppina De Sandre Gasparini, Gli ospeda-
li dei «malsani» nella società veneta del XII-XIII secolo. Tra assistenza e disciplinamento urba-
no. I. L’iniziativa pubblica e privata. II. Organizzazione, uomini e società: due casi a confronto —
Mauro Ronzani, Nascita e affermazione di un grande «hospitale» cittadino: lo Spedale Nuovo di
Pisa dal 1257 alla metà del Trecento — Lucia Sandri, Aspetti dell’assistenza ospedaliera a Firenze
nel XV secolo — Enrico Coturri, Spedali della città e del contado a Pistoia nel medioevo — Irma
Naso, L’assistenza sanitaria negli ultimi secoli del medioevo. I medici «condotti» delle comuni-
tà piemontesi — Gabriella Piccinni, L’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena. Note sulle
origini dell’assistenza sanitaria in Toscana (XIV-XV secolo) — Anna Benvenuti Papi, «In domo
bighittarum seu viduarum». Pubblica assistenza e marginalità femminile nella Firenze medieva-
le — Pierre Racine, Il sistema ospedaliero lombardo (secoli XII-XV) — Silvana Collodo, Il siste-
ma annonario delle città venete: da pubblica utilità a servizio sociale (secoli XIII-XVI) — Duccio
Balestracci, La lotta contro il fuoco (XIII-XVI secolo) — Roberto Greci, Il problema dello smal-
timento dei rifiuti nei centri urbani dell’Italia medievale — Maria Serena Mazzi, Un «dilettoso
luogo»: l’organizzazione della prostituzione nel tardo Medioevo — Halina Manikowska, Il con-
trollo sulle città. Le istituzioni dell’ordine pubblico nelle città italiane dei secoli XIV e XV.
Italia 1350-1450: tra crisi, trasformazione, sviluppo (Atti del XIII Convegno Internazionale
di Studi, 1991) (Esaurito)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Emilio Cristiani, Introduzione — Antonio Ivan Pini,
La demografia italiana dalla Peste Nera alla metà del Quattrocento: bilancio di studi e proble-
mi di ricerca — Maria Ginatempo, Dietro un’eclissi: considerazioni su alcune città minori del-
l’Italia centrale — Silvana Collodo, Governanti e governati. Aspetti dell’esperienza politica nel-
le città dell’Italia centro-settentrionale — Giovanna Petti Balbi, Dinamiche sociali ed esperien-
ze istituzionali a Genova tra Tre e Quattrocento — Francesco Tateo, Le trasformazioni del gu-
sto letterario — Bruno Dini, L’evoluzione del commercio e della banca nelle città dell’Italia cen-
tro-settentrionale dal 1350 al 1450 — Alberto Cipriani, Economia e società a Pistoia tra metà
Trecento e metà Quattrocento — Anthony Molho, Tre città-stato e i loro debiti pubblici. Quesiti
e ipotesi sulla storia di Firenze, Genova e Venezia — Reinhold C. Mueller, Il circolante manipo-
lato: l’impatto di imitazione, contraffazione e tosatura di monete a Venezia nel tardo Medioevo —
Gabriella Piccinni, L’evoluzione della rendita fondiaria in Italia: 1350-1450 — Donata Degrassi,
Il Friuli tra continuità e cambiamento: aspetti economico-sociali e istituzionali — Giovanni
Vitolo, Il Mezzogiorno tra crisi e trasformazione. Secoli XIV-XV — Henri Bresc, Changer pour
durer: la noblesse en Sicile 1380-1450 — Rosa Maria Dentici Buccellato, Centri demaniali e cen-
tri feudali: due esempi siciliani — Marco Tangheroni, La Sardegna tra Tre e Quattrocento —
Giorgio Cracco, Aspetti della religiosità italiana del Tre-Quattrocento: costanti e mutamenti —
Maria Laura Cristiani Testi, Il «Trionfo della Morte» nel Camposanto monumentale di Pisa – e
la cultura artistica letteraria religiosa di metà Trecento — Andrea Zorzi, Ordine pubblico e am-
ministrazione della giustizia nelle formazioni politiche toscane tra Tre e Quattrocento — Ovidio
Capitani, L’etica economica: considerazioni e riconsiderazioni di un vecchio studioso — Giuliano
Pinto, Conclusioni.
Il senso della storia nella cultura medievale italiana (1110-1350) (Atti del XIV Convegno
Internazionale di Studi, 1993)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Massimo Oldoni, Sentimento del tempo e del silenzio
d’un medioevo italiano. Introduzione a «Il senso della storia nella cultura medievale italiana
(1110-1350)» — Maria Consiglia De Matteis, Il senso della storia in Dante — Giovanna Petti
Balbi, Il presente e il senso della storia in Caffaro e nei suoi continuatori — Sante Bortolami,
Da Rolandino al Mussato: tensioni ideali e senso della storia nella storiografia padovana di tra-
dizione «repubblicana» — Augusto Vasina, Le cronache emiliane e romagnole: dal Tolosano a
Riccobaldo (secoli XII-XIV) — Giuseppe Scalia, Annalistica e poesia epico-storica pisana nel se-
colo XII — Giuseppe Porta, La costruzione della storia in Giovanni Villani — Natale Rauty,
Le «Storie pistoresi» — Agostino Paravicini Bagliani, Le biografie papali duecentesche e il sen-
so della storia — Massimo Miglio, Anonimo romano — Salvatore Tramontana, Il senso del-
la storia e del quotidiano nelle parole e nelle immagini dei cronisti normanni e svevi — Anna
Benvenuti, «Secondo che raccontano le storie»: il mito delle origini cittadine nella Firenze co-
munale — Paolo Golinelli, L’agiografia cittadina: dall’autocoscienza all’autorappresentazio-
ne (sec. IX-XII; Italia settentrionale) — Franco Cardini, Le crociate nella memoria storica —
Grado G. Merlo, Coscienza storica della presenza ereticale nell’Italia degli inizi del Duecento —
Paolo Cammarosano, I «libri iurium» e la memoria storica delle città comunali — Pierre Racine,
Mythes et mémoires dans les familles nobles de Plaisance — Giancarlo Andenna, La storia con-
temporanea in età comunale: l’esecrazione degli avversari e l’esaltazione della signoria nel lin-
guaggio figurativo. L’esempio bresciano — Lucia Gai, La memoria storica e le sue immagini nel-
la civiltà comunale di Pistoia: alcuni esempi dei secoli XII e XIII — Carlo Delcorno, «Antico» e
«moderno» nella predicazione medievale — Cesare Vasoli, La storia nella meditazione filosofica,
da Alberto Magno a Marsilio da Padova — Pierre Toubert, Conclusions — Giovanni Cherubini,
Alfredo Bonzi non è più con noi.
Magnati e popolani nell’Italia comunale (Atti del XV Convegno Internazionale di Studi,
1995)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Jean-Claude Maire Vigueur, Il problema storiografico:
Firenze come modello (e mito) di regime popolare — Paolo Cammarosano, Il ricambio e l’evolu-
zione dei ceti dirigenti nel corso del XIII secolo — Sante Bortolami, Le forme «societarie» di or-
ganizzazione del popolo — Aldo A. Settia, I luoghi e le tecniche dello scontro — Antonio Rigon,
Il ruolo delle chiese locali nelle lotte tra magnati e popolani — Andrea Giorgi, Il conflitto ma-
gnati/popolani nelle campagne: il caso senese — Sandro Carocci, Comuni, nobiltà e papato nel
Lazio — Giovanna Petti Balbi, Magnati e popolani in area ligure — Christiane Klapisch-Zuber,
Vrais et faux magnats. L’application des Ordonnances de Justice au XIVe siècle — Gabriella
Garzella, L’edilizia pubblica comunale in Toscana — Silvana Collodo, Ceti e cittadinanze nei co-
muni della pianura veneta durante il secolo XIII — Pierre Racine, Le «popolo» à Plaisance: du
régime «populaire» à la Seigneurie — Antonio Ivan Pini, Magnati e popolani a Bologna nella se-
conda metà del XIII secolo — Renato Bordone, Magnati e popolani in area piemontese, con par-
ticolare riguardo al caso di Asti — Alberto Cipriani, Gli affari sono affari: le grandi famiglie pi-
stoiesi tra potere economico e potere politico — Giovanni Cherubini, Parole di saluto.
Gli spazi economici della Chiesa nell’Occidente mediterraneo (secoli XII-metà XIV) (Atti del
XVI Convegno Internazionale di Studi, 1997)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Paolo Cammarosano, Il ruolo della proprietà ecclesiastica
nella vita economica e sociale del medioevo europeo — Agostino Paravicini Bagliani, Per una sto-
ria economica e finanziaria della corte papale preavignonese — Bruno Dini, I mercanti-banchieri
e la Sede apostolica (XIII - prima metà del XIV secolo) — Luisa Chiappa Mauri, L’economia ci-
stercense tra normativa e prassi. Alcune riflessioni — Alfio Cortonesi, Contrattualistica agraria e
proprietà ecclesiastica (metà sec. XII - inizi sec. XIV). Qualche osservazione — Etienne Hubert,
Propriété ecclésiastique et croissance urbaine (à propos de l’Italie centro-septentrionale, XIIe-dé-
but du XIVe siècle) — Antonio Ivan Pini, Proprietà vescovili e comune di Bologna fra XII e XIII
secolo — Francesco Panero, I vescovadi subalpini: trasformazioni e gestione della grande pro-
prietà fondiaria nei secoli XII-XIII — Valeria Polonio, Gli spazi economici della Chiesa geno-
vese — Vincenzo D’Alessandro, Il ruolo economico e sociale della Chiesa in Sicilia dalla rina-
scita normanna all’età aragonese — Gian Maria Varanini, Gli spazi economici e politici di una
Chiesa vescovile: assestamento e crisi nel principato di Trento fra fine XII e inizi XIV sec. —
Gianfranco Pasquali, Le «concordiae» tra chierici e laici nei comuni di Ravenna e Modena alla
fine del XII secolo — Charles Marie de la Roncière, Condizioni economiche del clero parrocchia-
le, rurale e urbano, nell’Europa meridionale, XII-XV secoli (osservazioni da lavori recenti) —
Juan Carrasco Pérez, Espacios económicos de la Iglesia en el Reino de Navarra (1134-1328) —
José Ángel García De Cortázar, Reconquista, economía e Iglesia en Castilla en los siglos XII
y XIII — Lorenzo Paolini, Le finanze dell’Inquisizione in Italia (XIII-XIV sec.) — Wilhelm
Kurze, Accenni sugli aspetti economici dei monasteri toscani — Amleto Spicciani, L’ospedale di
Altopascio nella Lucchesia del secolo XII. Donazioni, acquisti e prestiti — Renzo Nelli, La pro-
prietà ecclesiastica in città e nelle campagne pistoiesi — Adriano Peroni, «Opera», cantieri, archi-
tetti nelle cattedrali dell’Italia centrosettentrionale: qualche spunto per la ricerca.
Vescovo e città nell’alto Medioevo: quadri generali e realtà toscane (Atti del Convegno
Internazionale di Studi, in collaborazione con la Società Pistoiese di Storia Patria, a
cura di Giampaolo Francesconi, 1998)
Giovanni Cherubini - Giuliano Pinto, Premessa — Giuseppe Sergi, Poteri temporali del ve-
scovo: il problema storiografico — Annamaria Ambrosioni, Vescovo e città nell’alto Medioevo:
l’Italia settentrionale — Natale Rauty, Poteri civili del vescovo a Pistoia fino all’età comunale —
Raffaele Savigni, Episcopato, capitolo cattedrale e società cittadina a Lucca nei secoli X-XI —
Mauro Ronzani, Vescovi e città a Pisa nei secoli X e XI — Maria Luisa Ceccarelli Lemut, I rap-
porti tra vescovo e città a Volterra fino alla metà dell’XI secolo — Paolo Pirillo, Firenze: il ve-
scovo e la città nell’Alto Medioevo — Anna Benvenuti, Fiesole: una diocesi tra smembramenti e
rapine — Jean Pierre Delumeau, Vescovi e città ad Arezzo dal periodo carolingio al sorgere del
Comune (secoli IX-XII) — Michele Pellegrini, “Sancta pastoralis dignitas”. Poteri, funzioni e pre-
stigio dei vescovi a Siena nell’altomedioevo — Gabriella Garzella, Vescovo e città nella diocesi
di Populonia-Massa Marittima fino al XII secolo — Wilhelm Kurze, Roselle – Sovana — Mario
Marrocchi, Chiusi e i suoi vescovi (secc. VII-XI). Prospettive di ricerca.
Ceti, modelli, comportamenti nella società medievale (secoli XIII-metà XIV) (Atti del XVII
Convegno Internazionale di Studi, 1999)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Giovanna Petti Balbi, Il mercante — Attilio Bartoli
Langeli, Il notaio — Cecilia Iannella, La predicazione: il caso di Giordano da Pisa — Antonio
Rigon, Il clero curato — Jean-Claude Maire Vigueur, L’ufficiale forestiero — Aldo A. Settia,
«Viriliter et competenter»: l’uomo di guerra — Antonio Ivan Pini, Il mondo universitario:
professori, studenti, bidelli — Donata Degrassi, Gli artigiani nell’Italia comunale — Franco
Franceschi, I salariati — Gabriella Piccinni, Contadini e proprietari nell’Italia comunale: model-
li e comportamenti — Alessandro Barbero, I modelli aristocratici — Daniela Romagnoli, Le buo-
ne maniere — Odile Redon, Les métiers de cuisinier — Salvatore Tramontana, L’iconografia —
Carlo Delcorno, Forme dell’exemplum in Italia — Giovanni Cherubini, Ceti, modelli, compor-
tamenti nel Decameron — Giuliano Pinto, Parole di saluto.
Le città del Mediterraneo all’apogeo dello sviluppo medievale: aspetti economici e sociali (Atti
del XVIII Convegno Internazionale di Studi, 2001)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Michel Balard, Costantinopoli e le città pontiche al-
l’apogeo del Medioevo — Tomislav Raukar, Le città della Dalmazia nel XIII e XIV secolo —
Elisabeth Crouzet-Pavan, Venise et ses apogées: problèmes de définition — Egidio Ivetic,
Le città dell’Istria (1260-1330) — Gian Maria Varanini, Le città della Marca Trevigiana fra
Duecento e Trecento. Economia e società — Patrizia Mainoni, La fisionomia economica del-
le città lombarde dalla fine del Duecento alla prima metà del Trecento. Materiali per un con-
fronto — Roberto Greci, Le città emiliano-romagnole — Giuliano Pinto, Le città umbro-mar-
chigiane — Ivana Ait, Roma: una città in crescita tra strutture feudali e dinamiche di merca-
to — Giovanni Cherubini, Le città della Toscana — Alberto Cipriani, Pistoia fra la metà del
Duecento e la Peste Nera — Giovanna Petti Balbi, Genova — Louis Stouff, Les grandes villes
de Languedoc et de Provence au temps de l’apogée médiéval — J. Ángel Sesma Muñoz, Las ciu-
dades de Aragón y Cataluña interior: población y flujos económicos (1150-1350) — Antonio
Collantes de Terán Sánchez, Las ciudades de Andalucía — David Jacoby, L’apogeo di Acri nel
Medioevo, secc. XII-XIII — Giovanni Cherubini, Ricordo di Antonio Ivan Pini.
La trasmissione dei saperi nel Medioevo (secoli XII-XV) (Atti del XIX Convegno Internazionale
di Studi, 2003)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Giuliano Pinto, La trasmissione delle pratiche agricole —
Aldo A. Settia, Esperienza e dottrina nel mestiere delle armi — Donata Degrassi, La trasmissio-
ne dei saperi: le botteghe artigiane — Giovanna Petti Balbi, Tra scuola e bottega: la trasmissio-
ne delle pratiche mercantili — Ugo Tucci, La trasmissione del mestiere del marinaio a Venezia
nel Medioevo — Irma Naso, Forme di trasmissione del sapere medico tra dottrina ed esperien-
za empirica nel tardo medioevo — Giuseppe Palmero, Pratiche e cultura terapeutica alla fine del
Medioevo, tra oralità e produzioni scritte — Philippe Bernardi, Métier et mystère: l’enseigne-
ment des «secrets de l’art» chez les bâtisseurs à la fin du Moyen Âge — Gabriella Piccinni, La
trasmissione dei saperi delle donne — Marco Collareta, La pittura — Maria Serena Mazzi, L’arte
di arrangiarsi — Elisabeth Crouzet-Pavan, Le verre vénitien: les savoirs au travail — Philippe
Braunstein, Imparare il tedesco a Venezia intorno al 1420 — Anna Benvenuti, Le conoscenze re-
ligiose dei fedeli — Franco Franceschi, La grande manifattura tessile — Giovanni Cherubini,
Divagazioni conclusive.
Tra economia e politica: le corporazioni nell’Europa medievale (Atti del XX Convegno
Internazionale di Studi, 2005)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Giovanni Cherubini, Itroduzione — Duccio Balestracci,
Le città dell’Italia centrale — Elisabeth Crouzet-Pavan, Problématique des arts à Venise à la
fin du Moyen Age — Roberto Greci, Le corporazioni dell’Italia settentrionale — Salvatore
Tramontana − Carmela M. Rugolo, Le città dell’Italia meridionale — Arnaldo Sousa Melo,
Les metiers en ville au Portugal (XIIIe-XVe siècles) — Juan Ignacio Ruiz de la Peña Solar,
Solidaridades profesionales en las ciudades de la Corona de Castilla. Las cofradías de marean-
tes — José Ángel Sesma Muñoz, L’organizzazione del mondo urbano e le corporazioni nella
Corona d’Aragona (XIII secolo) — Marc Boone, «Les anciennes démocraties des Pays-Bas?».
Les corporations flamandes au bas Moyen Age (XIVe-XVIe siècles): intérêts économiques, en-
jeux politiques et identités urbaines — Knut Schulz, Le città tedesche: lo sviluppo dalle con-
fraternite e corporazioni alle «politische Zünfte». Campanilismo contro migrazione — Halina
Manikowska, Le corporazioni e il potere cittadino nelle città dell’Europa centro-orientale —
Vanessa Gabelli, Confronto fra stemmi di corporazioni: analogie e difformità di scelte — Franco
Franceschi, L’organizzazione corporativa delle grandi manifatture tessili nell’Europa occidentale:
spunti comparativi — Donata Degrassi, Tra vincoli corporativi e libertà d’azione: le corporazioni
e l’organizzazione della bottega artigiana — Giovanna Petti Balbi, Parole conclusive.
La costruzione della città comunale italiana (secoli XII-inizio XIV) (Atti del XXI Convegno
Internazionale di Studi, 2007).
Giovanni Cherubini, Presentazione — Giovanni Cherubini, Introduzione — Cristina La Rocca,
L’eredità e la memoria dell’antico nelle città comunali — Aldo A. Settia, Cerchie murarie e
torri private urbane — Italo Moretti, I palazzi pubblici — Elisabeth Crouzet-Pavan, La cité
communale en quête d’elle-même: la fabrique des grands espaces publics — Etienne Hubert,
Urbanizzazione, immigrazione e cittadinanza (XII – metà XIV secolo). Alcune considerazioni
generali — Thomas Szabò, Genesi e sviluppo della viabilità urbana — Franco Franceschi, I
paesaggi della produzione — Roberto Greci, Luoghi ed edifici di mercato — Andrea Zorzi, La
costruzione della città giudiziaria — Anna Benvenuti, Sotto la volta del cielo. Luoghi, simboli
e immagini dell’identità cittadina — Dario Canzian, L’identità cittadina tra storia e leggenda: i
miti fondativi — Roberta Mucciarelli, Demolizioni punitive: guasti in città — Francesca Bocchi,
La “modernizzazione” delle città medievali — Salvatore Tramontana, L’altra Italia. La costruzio-
ne delle città nel Mezzogiorno e in Sicilia — Carmela Maria Rugolo, L’altra Italia: Bari — Mauro
Ronzani, Conclusioni.
La ricerca del benessere individuale e sociale. Ingredienti materiali e immateriali (città italiane,
XII–XV secolo) (Atti del XXII Convegno Internazionale di Studi, 2009)
Giovanni Cherubini, Presentazione — Gabriella Piccinni, La ricerca del benessere individuale
e sociale. Ingredienti materiali e immateriali (città italiane, XII-XV secolo). Introduzione al con-
vegno — Donata Degrassi, Quando la società è mobile: aspirazioni al cambiamento e possibili-
tà di soddisfarle — Isabella Gagliardi, Realizzati attraverso il rifiuto della richezza — Salvatore
Tramontana, Esibire la ricchezza — Anna Esposito, I desideri delle donne tra nozze e conven-
to — Giovanni Cherubini, Commemorazione di Linetto Neri — Paolo Nanni, Aspirazioni e ma-
linconie: i contrasti del mercante Francesco Datini — Alma Poloni, Vite imprevedibili: tre storie
di mercanti nella Toscana di fine Duecento — Maria Clara Rossi, La vita buona: scelte religiose
di impegno nella società — Renato Bordone, Progetti in augmentum rei publice nell’esperienza
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ti di rientro — Franco Franceschi, Aspirazioni e obiettivi dei rivoltosi — Giovanni Cherubini,
La ricerca del decoro urbano — Giovanna Petti Balbi, «Accrescere, gestire, trasmettere»: perce-
zione e uso della ricchezza nel mondo mercantile genovese (secoli XII-metà XIV) — Giampaolo
Francesconi, «Gentiluomini che oziosi vivono delle rendite delle loro possessioni». Ideali e iden-
tità di una città socia nobilis et foederata: Pistoia nello Stato fiorentino.
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