Sei sulla pagina 1di 15

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA

Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale


Corso di Laurea Magistrale in Analisi dei Processi Sociali

Empowerment femminile e fertility


outcomes in 70 Paesi
Analisi della relazione tra parità di genere e fecondità a
livello globale

Prof.ssa Patrizia Farina

Federica Pari | 874617


A. A. 2020/2021
Introduzione e obiettivi di indagine. La stabilizzazione della popolazione attraverso la riduzione
delle nascite sottende a tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile: tassi di fecondità (TFT) troppo elevati
sono correlati a mortalità materna e infantile, causano il declino degli investimenti in capitale umano,
rallentano lo sviluppo economico e provocano danni ambientali (World Bank, 2010). Inoltre, avere
meno figli riduce le disuguaglianze di genere, quinto obiettivo dell’Agenda Onu 2030.
Negli ultimi 50 anni la fecondità ha subito un progressivo declino a livello globale, e dai 4,8 figli per
donna del 1970 si è arrivati ai 2,4 del 2019. Questa tendenza verso la replacement fertility nasconde,
però, un quadro ben poco omogeneo: TFT molto elevati – 5 o più nascite per donna – caratterizzano
ancora diversi contesti, soprattutto nell'Africa Sub-Sahariana. Allo stesso tempo, Europa, Nord
America e Asia Orientale registrano tassi al di sotto della soglia di sostituzione1 – v. fig. 1.
Fig. 1- Tassi di fecondità nel mondo, 2019

Fonte: elaborazione dati World Bank


Un calo eccessivo dei tassi di fecondità accelera il processo di invecchiamento della popolazione, con
importanti conseguenze sulla sostenibilità del sistema pensionistico e di quello sanitario, largamente
supportati dalle contribuzioni degli individui in età attiva. Tuttavia, i Paesi a bassa fecondità
presentano significative differenze, in particolare una divergenza tra la fecondità “moderatamente
bassa” (circa 1,7) tipica del Nord Europa e dei Paesi anglofoni e la “lowest-low fertility” (Balbo et
al., 2013) o “ultra-low fertility” (tassi al di sotto dell’1,3) registrata nei Paesi mediterranei e in Asia

1
L’espressione “soglia di sostituzione” indica il livello di fecondità, circa 2,1 figli per donna, che garantisce il ricambio
generazionale di una popolazione (Mills, 2010).
1
orientale, fenomeno definito fertility fork (Rindfuss et al., 2016) – v. fig. 2. Potrebbero sembrare
differenze ininfluenti, ma si tratta di una variazione di oltre il 30%.
Fig. 2 - Tassi di fecondità in Paesi selezionati, 1960-2019

Fonte: elaborazione dati World Bank


Fino agli anni ’80 l’aumento dell'istruzione e della partecipazione femminile al lavoro hanno giocato
un ruolo cruciale nel declino dei TFT verificatosi in tutte le economie avanzate. La crescita
dell'occupazione qualificata e le migliori prospettive retributive avrebbero causato un incremento del
trade-off tra costi e opportunità della rinuncia al lavoro, rendendo sempre più frequente il rinvio della
maternità (Balbo et al, 2013). La relazione ha cambiato segno nel corso degli anni ’90, mettendo in
discussione l’ipotesi dei “costi-opportunità”: attualmente, i Paesi sviluppati che presentano TFT
vicini alla soglia di sostituzione tendono ad essere quelli che registrano i tassi di occupazione
femminile più elevati (Engelhardt e Prskawetz, 2004).
In una serie di saggi molto citati il demografo Peter McDonald (2000, 2013) argomenta che il drastico
calo della fecondità osservato nelle economie avanzate sia il risultato di un’incoerenza tra diversi
livelli di parità nell’ambito di differenti istituzioni sociali. I cambiamenti strutturali che nel corso del
XX secolo hanno interessato il ruolo delle donne nelle istituzioni individuali – istruzione e mercato
del lavoro – in molti casi non sono stati accompagnati da una corrispondente evoluzione del ruolo
maschile nella sfera privata, né da un maggiore supporto istituzionale per le coppie a doppio reddito
2
(Luci-Greulich e Thévenon, 2013) sotto forma di politiche e interventi in grado di ridurre i costi
dell’avere figli sia in termini monetari che in termini di opportunità. Il fenomeno della “lowest-low
fertility” è dunque generato da una fondamentale contraddizione che non si è risolta del tutto in
nessuna società post-industriale: strette tra le aumentate opportunità professionali ed educative da un
lato e la persistente disuguaglianza di genere all’interno delle mura domestiche dall’altro, le donne
cominciano a percepire la maternità come un ostacolo alle proprie aspirazioni. Nasce un conflitto tra
la condizione di lavoratrice e quella di madre a cui si reagisce avendo meno figli.
Gli effetti dell’empowerment femminile sui fertility outcomes sono stati spesso discussi in termini
puramente teorici, ma raramente analizzati a livello empirico. Il presente contributo si propone di
esplorare la relazione tra parità di genere e fecondità, con l’obiettivo di individuare le variabili in
grado di spiegarne le dinamiche e le variazioni cross-national. Verrà utilizzata la tecnica dell’analisi
di cluster nel tentativo di costruire un modello comprensivo dei pattern di fecondità.
Si ipotizza che la relazione non sia lineare, ma segua un andamento a J o J rovesciata: nei Paesi meno
sviluppati i progressi della condizione femminile si traducono in TFT più bassi, mentre nelle
economie avanzate la dinamica si inverte e livelli superiori di empowerment corrispondono a tassi
vicini alla soglia di sostituzione. Si ritiene che la differente direzione possa essere spiegata
distinguendo tra dimensione privata e dimensione strutturale della parità di genere o, per usare la
terminologia di McDonald, tra istituzioni individuali e familiari. Il processo di emancipazione
femminile interessa in una prima fase la dimensione strutturale e, nel passaggio da un livello di
empowerment basic ad uno enhanced 2, le eventuali discrepanze tra le differenti sfere della gender
equity – che non sempre viaggiano alla stessa velocità – determinano difficoltà di conciliazione tra
lavoro e famiglia che portano le donne a rinviare o rinunciare alla maternità.

Indicatori, unità di analisi e strategia analitica. L’analisi si articola in due fasi condotte con due
set di indicatori relativi a differenti livelli di empowerment. La scelta è stata determinata da alcune
considerazioni: la mancanza di dati relativi alle politiche familiari e alla divisione lavoro non
retribuito in molti Paesi in via di sviluppo avrebbe portato a troppi compromessi nella selezione degli
indicatori e a un'eccessiva semplificazione degli obiettivi di ricerca. Inoltre, si temeva che i due gruppi
di Paesi individuati costituissero mondi separati, troppo lontani tra loro per essere messi a confronto.
La prima fase fa ricorso a indicatori di empowerment basic e si concentra su unità di analisi che
presentano diversi livelli di sviluppo, accomunate però da un punteggio del Gender Development

2
La distinzione tra livelli di empowerment è stata effettuata dalle Nazioni Unite: a livello enhanced il gender gap tende
ad essere più ampio perché la condizione femminile progredisce più rapidamente quando l’empowerment individuale e il
potere sociale delle donne sono bassi (UNDP, 2020).
3
Index3 superiore a 0,250. La seconda si focalizza sulle economie avanzate a bassa fecondità attraverso
l’utilizzo di indicatori enhanced.
La scelta delle unità di analisi ha causato non pochi dubbi metodologici: i Paesi inclusi nel primo
gruppo sono stati individuati seguendo il criterio dell'eterogeneità – v. tab. 1 – attraverso una
procedura sicuramente arbitraria ma dettata dalla volontà di mantenere equilibrio nella valutazione
delle diverse regioni del mondo. In base all'area geografica di appartenenza, sono state confrontate le
performance relative alle dimensioni e agli indicatori prescelti, selezionando i Paesi che presentavano
i valori migliori e peggiori. Nel secondo gruppo sono stati inclusi tutti i membri Ocse per cui fossero
disponibili dati.
Tab. 1 - Paesi selezionati per la prima parte dell'analisi 4

Fonte: elaborazione dati UNDP e Oecd


Gli indicatori basic di empowerment femminile fanno riferimento a una dimensione privata della
parità di genere – discriminazione all’interno della famiglia e autonomia riproduttiva – e a una
dimensione strutturale. La discriminazione all’interno della famiglia è stata indicata con i matrimoni
infantili – percentuale di 15-18enni sposate, divorziate o vedove – mentre l’autonomia riproduttiva
viene misurata attraverso il bisogno non soddisfatto di servizi di pianificazione familiare –
percentuale di donne sposate in età riproduttiva (15-49 anni) che pur non volendo rimanere incinte
non usano alcuna forma di contraccezione. I matrimoni precoci mostrano una chiara correlazione
positiva con la fecondità – v. fig. 3. Si tratta, infatti, di una pratica che anticipa l’inizio della vita
riproduttiva.

3
Indice composito della disuguaglianza di genere costruito con indicatori relativi a salute riproduttiva, empowerment e
partecipazione al mercato del lavoro per quantificare le disparità nella distribuzione dei traguardi e delle risorse tra uomini
e donne (UNDP, 2020).
4
La discriminazione istituzionale indica un punteggio del SIGI 2019 superiore al 40%. Le ultime due colonne
corrispondono a dimensioni del SIGI con valore superiore al 40%.
4
Fig. 3 – Correlazione tra fecondità e matrimoni precoci nei Paesi selezionati

Fonte: elaborazione dati World Bank


La dimensione strutturale della parità di genere viene valutata attraverso l’accesso all’istruzione –
rapporto tra donne e uomini che hanno completato almeno il ciclo di istruzione secondaria – e
l’integrazione nella vita economica – rapporto tra tassi di partecipazione al lavoro femminili e
maschili. Vista l’eterogeneità tra le unità di analisi è stato inserito l’indice di sviluppo umano – HDI
– come indicatore globale. La scolarizzazione formale è significativamente e negativamente correlata
alla fecondità e presenta un andamento a J rovesciata – v. fig. 4.
Fig. 4 – Correlazione tra fecondità e livello di istruzione nei Paesi selezionati

Fonte: elaborazione dati UNDP


5
Il secondo set di indicatori si concentra sull’interazione tra dimensione privata e dimensione
strutturale della parità di genere. Sono stati individuati due indicatori di output relativi alla divisione
del lavoro sociale – rapporto tra i tassi di occupazione femminili e maschili e indice di asimmetria
nella distribuzione del lavoro familiare – e tre indicatori di input ritenuti in grado di influire sul TFT
attraverso il loro effetto sulla conciliazione lavoro-famiglia: le politiche familiari – percentuale della
spesa pubblica per le famiglie sul PIL5 – la disponibilità di servizi per l'infanzia – tassi di iscrizione
negli asili nido dei bambini sotto i tre anni – e congedi parentali – attraverso la tecnica del rescaling
è stato costruito un indice sintetico di qualità dei congedi di maternità e paternità che comprende la
lunghezza, la percentuale di stipendio percepita e la porzione di congedo retribuita al 100%.
Fig. 5 - Correlazione tra occupazione femminile e asimmetria nella divisione del lavoro familiare nei Paesi selezionati

Fonte: elaborazione dati Oecd


Gli indicatori di output sono strettamente correlati tra loro, come illustra il grafico sopra riportato: le
forti disparità tra donne e uomini nell'ambito del lavoro familiare sono la conseguenza, e al tempo
stesso una delle cause, della scarsa offerta di lavoro fuori dalla famiglia.
L’assenza di congedi parentali pagati, asili nido o strumenti di policy family-friendly crea barriere
alla piena partecipazione delle donne alla vita economica, esercitando un impatto sui fertility
outcomes – v. fig.6.

5
La spesa per famiglie comprende trasferimenti monetari, sgravi fiscali e servizi per l'infanzia.
6
Fig. 6 – Correlazione tra fecondità e spesa pubblica per le famiglie nei Paesi selezionati

Fonte: elaborazione dati Oecd


La tecnica utilizzata è l’analisi dei gruppi o clustering, poichè permette pattern recognition e la
classificazione delle unità di analisi in gruppi con caratteristiche distintive. Nello specifico è stato
implementato un clustering gerarchico con criterio divisivo e metodo di aggregazione
averagelinkage, ideale quando si lavora su un numero ridotto di osservazioni.
La prima ipotesi alla base dell’indagine viene immediatamente confermata dall’analisi della relazione
biunivoca tra TFT e punteggio del Gender Inequality Index nei Paesi selezionati – v. fig. 7.
Fig. 7 – Andamento della relazione tra fecondità e disuguaglianze di genere

Fonte: elaborazione dati UNDP


7
Risultati. Il grafico sotto riportato illustra i risultati della prima fase dell’analisi. È immediatamente
possibile individuare tre macro-gruppi, a loro volta divisi in sottocategorie.
Fig. 8 - Dendogramma della prima fase dell'analisi

Il cluster 1 classifica i Paesi meno sviluppati (HDI=0,477) a fecondità elevata (4,9). Gli alti TFT sono
associati a bassi livelli di scolarizzazione femminile, scarsa autonomia riproduttiva e una severa
limitazione dei diritti all’interno della famiglia. Emerge un cleavage interno relativo alla
partecipazione al mercato del lavoro, molto alta nei Paesi più poveri dell’Africa Sub-Sahariana e
praticamente inesistente in quelli asiatici. Il cluster 2 a fecondità medio-alta ed elevato sviluppo
umano (TFT=2,6; HDI=0,749) presenta una forte omogeneità territoriale: tutti i Paesi – con
l’eccezione di India e Sri-Lanka – appartengono alla regione del Nord Africa e Medio Oriente. È
caratterizzato da una scarsissima partecipazione femminile al lavoro, controbilanciata da livelli di
istruzione piuttosto elevati. Nonostante in quest’area geografica le donne vedano drasticamente
limitati i propri diritti in molteplici sfere della vita sociale – come evidenziato dalla tab. 1 – la
prevalenza di matrimoni infantili è inferiore a quella degli altri cluster – fanno eccezione India e Iraq
in cui 1 ragazza su 5 si sposa prima di compiere 18 anni. Emerge un leggero divario interno, generato
in questo caso dai differenziali dell’autonomia riproduttiva, molto alta in Iran e Turchia, limitata nei
Paesi del Golfo. Nonostante gli alti livelli dell’HDI di alcune unità di analisi, il cluster presenta un
regime di fecondità tipico dei Paesi in via di sviluppo: i TFT diminuiscono all’aumentare del livello

8
di istruzione e della partecipazione al mercato del lavoro. Il cluster 3 – all’interno del quale è possibile
distinguere tre subcluster – registra il TFT più basso (2,4) e si colloca in posizione intermedia per
quanto riguarda lo sviluppo umano (0,717). L’elevata percentuale di matrimoni precoci e la scarsa
prevalenza di contraccettivi vengono compensati da alti livelli di scolarizzazione e da una
partecipazione alla vita economica che supera il 70%. Il primo sottogruppo – cluster 3.1 – si
caratterizza per un TFT a cavallo della soglia di sostituzione (2,3) e alti livelli di sviluppo umano
(0,763). A un discreto livello di parità all’interno della famiglia e un’ampia diffusione di
contraccettivi corrisponde un’integrazione nella vita economica che sfiora l’80%. Interessante notare
che i TFT presentano una chiara correlazione negativa con la discriminazione in famiglia: maggiore
la prevalenza di matrimoni precoci, inferiore il numero di figli. Per quanto riguarda i livelli di
istruzione, il cluster registra una dinamica che ricalca quella delle economie avanzate: al loro aumento
crescono i TFT, mentre la correlazione tra lavoro e fecondità resta negativa. Il cluster 3.2 presenta un
TFT analogo a quello del primo sottogruppo ma uno sviluppo umano nettamente inferiore (0,688).
Nonostante i livelli medio-alti di scolarizzazione, le donne vedono fortemente limitata la propria
autonomia riproduttiva e i propri diritti all’interno della famiglia. A livello aggregato, l’integrazione
femminile nella vita economica supera appena il 50%. La fecondità è negativamente correlata al
livello di istruzione ma, soprattutto, sembrano diminuire in funzione dello sviluppo socio-economico.
Il cluster 3.3 è composto da tre Paesi dell’Africa Sub-Sahariana a sviluppo umano intermedio.
Presenta una fecondità elevata (3,5) e tassi di partecipazione al lavoro che superano il 90%,
accompagnati da un livello di istruzione medio-alto e da sostanziale parità all’interno della famiglia.
Si registra una scarsa prevalenza di contraccettivi: una donna su 5 non vede soddisfatto il proprio
bisogno di servizi di pianificazione familiare.
Tra i Paesi del primo gruppo emergono dunque ampi divari: l'analisi della relazione tra empowerment
femminile e fecondità restituisce pattern differenti ma geograficamente ben definiti. Non sempre
istruzione e lavoro hanno lo stesso effetto sui TFT, e questo fa pensare che l'istruzione afferisca alla
sfera privata e all'ambito familiare più che ad una dimensione di parità di genere strutturale. In Nord
Africa e Medio Oriente gli elevati livelli d'istruzione e la diffusione di contraccettivi – tra loro
fortemente correlati (World Bank, 2010) – offrono alle donne un maggiore controllo sulle tempistiche
della gravidanza, permettendo di mantenere TFT piuttosto alti ma sostanzialmente vicini alla soglia
di sostituzione. Contrariamente a quanto ipotizzato, questo risultato indica che la riduzione del gender
gap a livelli basic di empowerment avviene prima nell’ambito della dimensione familiare. Grazie a
questa accresciuta parità nella sfera privata, i TFT diminuiscono senza che si siano verificati progressi
significativi nella posizione delle donne al di fuori della famiglia. In America Latina, i livelli di
sviluppo umano restituiscono andamenti differenti, uno proprio del Sud America che presenta TFT

9
inferiori e un gender gap ridotto, e uno del Centro America. Complessivamente, il lavoro presenta
una relazione negativa con la fecondità, ma l’educational effect segue due direzioni diverse. In Asia
è possibile distinguere tra modello del sud-est asiatico e modello meridionale. Per quanto riguarda il
primo, livelli di partecipazione al lavoro molto elevati sono diffusi in tutto il campione e non
sembrano presentare una correlazione significativa con i TFT. La fecondità cresce con l’aumento
della scolarizzazione e – curiosamente – dell’età del matrimonio. India e Sri Lanka presentano invece
una relazione tra gender gap e fecondità tipica dei Paesi in via di sviluppo. Nella regione dell’Africa
Sub-Sahariana – caratterizzata da livelli di partecipazione uniformemente alti e TFT ben al di sopra
della soglia di sostituzione – è rintracciabile un pattern comune. La fecondità diminuisce in
corrispondenza di aumenti dell’HDI, della crescita dell’istruzione femminile e, soprattutto,
dell’autonomia riproduttiva: anche nei Paesi che presentano un HDI medio-alto persiste una
significativa domanda insoddisfatta di servizi di pianificazione familiare che esercita un forte impatto
sui fertility outcome. I servizi di family planning e la diffusione di contraccettivi sicuri ed economici
permettono alle donne di ridurre il gap tra fecondità ideale ed effettiva e di investire tempo e risorse
nel proprio futuro – v- fig. 9.
Fig. 9 - Correlazione tra fecondità e autonomia riproduttiva nei Paesi selezionati

Fonte: elaborazione dati World Bank


I risultati della seconda parte dell’analisi indicano che le determinanti della fecondità non sono
mutualmente esclusive e non operano in isolamento: i differenziali nei TFT sono attribuibili a
molteplici combinazioni di gender equity all’interno delle mura domestiche, regimi istituzionali e

10
strumenti di conciliazione, che in alcuni casi possono condurre a tassi equivalenti. L'elemento comune
è il conflitto tra il doppio ruolo delle donne in famiglia e sul mercato.
Dalla fig. 10 sono chiaramente distinguibili tre distinti regimi di fecondità. Un primo raggruppamento
– cluster 4 – è composto da Lussemburgo, Paesi Mediterranei e Asia Orientale, le aree a lowest-low
fertility, in cui TFT al di sotto dell’1,3 corrispondono ad un ampio gender gap. Il cluster classifica i
Paesi con le condizioni e le policy meno favorevoli alla conciliazione lavoro-famiglia: si registrano
una forte asimmetria nella divisione del lavoro familiare, livelli di occupazione femminile sotto
l’80%, scarsa spesa pubblica per le famiglie, congedi parentali di bassa qualità e diffusione di servizi
per l’infanzia inferiore alla media.
Fig. 10 - Dendogramma della seconda fase dell'analisi

Il secondo raggruppamento – cluster 5 – con TFT pari a 1,5, si caratterizza per una maggiore
simmetria nel lavoro non retribuito e livelli più elevati di occupazione femminile. La spesa pubblica
per le famiglie è nettamente più alta, così come la qualità dei congedi di maternità, ma la copertura
di asili nido non raggiunge il 25%. All’interno è possibile distinguere due sottogruppi: nel primo –
cluster 5.1 – composto dai Paesi dell’Europa Orientale, la scarsa integrazione femminile sul mercato
del lavoro e la forte disuguaglianza all’interno delle mura domestiche viene bilanciata
dall’elevatissima spesa pubblica e dall’alta qualità dei congedi di maternità – quella dei congedi di
paternità rimane scarsa – mentre la diffusione di servizi per l’infanzia registra un valore inferiore al
11
9%. La mancanza di strutture per la prima infanzia ha effetti sia sui TFT sia sulle opportunità
lavorative delle donne: un settore dei servizi alla persona poco sviluppato implica non solo che le
madri spesso si vedono costrette a rinunciare al lavoro per accudire i figli ma che vi siano meno
opportunità lavorative. Il cluster 5.2 include i Paesi di lingua tedesca, Finlandia e Slovenia. Si
distingue dal sottogruppo precedente per i livelli di occupazione femminile più elevati, una minore
asimmetria di genere in famiglia e una maggiore copertura di servizi per l’infanzia – che rimane
comunque al di sotto della media – anche se il valore della spesa per famiglie è inferiore. Nel
complesso, il cluster 5 si colloca in posizione intermedia tra il cluster 4 e il cluster 6, che registra un
TFT medio vicino alla soglia di sostituzione (1,7). Questo gruppo si divide tra Paesi nordici, Francia
e Belgio – cluster 6.1 – e Paesi anglofoni, Svizzera e Paesi Bassi – cluster 6.2. Il “cluster nordico” è
il più virtuoso, e classifica i contesti che rendono compatibili lavoro e famiglia attraverso una
divisione più equa del lavoro sociale e un approccio istituzionale che sostiene la conciliazione. Un
caso particolare è rappresentato dal “cluster anglosassone”: ad una spesa per famiglie medio-bassa e
ad una bassa qualità dei congedi – eclatante il caso degli Stati Uniti – corrispondono una significativa
contribuzione maschile al lavoro familiare e alti livelli di occupazione femminile. In questo caso i
fertility outcomes sembrano influenzati non tanto dagli strumenti istituzionali, quanto dalla parità di
genere tra le mura domestiche e sul mercato del lavoro, che permette alle coppie di reperire sostituti
materni sul mercato privato.

Osservazioni conclusive. L’empowerment femminile non esercita un effetto uniforme sui fertility
outcomes, ma la rilevanza delle specifiche determinanti varia a seconda dei contesti – v. fig. 11.
Fig. 11 - Prospetto riassuntivo dell'analisi

12
Tuttavia, se si considerano congiuntamente le due fasi dell’analisi i risultati restituiscono un pattern
sostanzialmente comune. Emerge un processo di emancipazione femminile che si articola in diverse
fasi – non sempre corrispondenti ai livelli di sviluppo – che scandiscono la transizione demografica:
i progressi della condizione femminile portano la fecondità a diminuire progressivamente per poi
eventualmente – questa è la speranza per il futuro – tornare ad un livello sostenibile, che permetta
l'equilibrio tra le generazioni.
L’ingresso delle donne nei circuiti della scolarizzazione formale è il primo step di questo percorso.
L’analisi evidenzia, infatti, la presenza di un significativo educational effect: all’aumentare
dell’investimento in istruzione, le donne tendono a desiderare meno figli nel tentativo di esercitare
maggior potere decisionale sul proprio futuro. La transizione da una fecondità molto elevata a tassi
prossimi alla soglia di sostituzione trasforma la natura dei corsi di vita femminili e porta, con il passare
del tempo, alla rivendicazione di spazi nel mondo del lavoro e nella vita pubblica. L’ingresso nella
dimensione strutturale della parità di genere segna il passaggio da un livello di empowerment basic
ad uno enhanced, ed è in questo momento che l’acquisizione dei diritti all’interno della famiglia
incontra uno stallo. L'incoerenza tra le due dimensioni della gender equity genera un conflitto tra il
ruolo riproduttivo e produttivo delle donne, provocando il crollo dei TFT.
Nei contesti in cui l'espansione della forza lavoro femminile è iniziata ma le infrastrutture istituzionali
e le norme culturali non sono state pronte a consentire alle donne sia di lavorare che di avere figli,
diventare madre significa spesso abbandonare il lavoro e rinunciare alla carriera. Solo le società che
favoriscono il pieno inserimento della donna nel ciclo produttivo e le consentono di conciliarlo con
la possibilità di formare una famiglia riescono a sostenere i loro livelli di fecondità. Nelle altre, se
messe alle strette le donne scelgono di non avere figli o di averne solo uno, pur di non rinunciare alle
loro aspirazioni.

13
Bibliografia
Balbo N., Billari F., Mills M. [2013], Fertility in advanced society: a review of research, European
Journal of Population, 29(1), pp. 1-38.

Engelhardt H., Prskawetz A. [2004], On the changing correlation between fertility and female
employment over space and time, European Journal of Population, 20(1), pp. 35-62.

Jain A., Ross J. [2012], Fertility differences among developing countries, International Perspectives
on Sexual and Reproductive Health, 38(1), pp. 15-22.

Luci-Greulich A., Thévenon O. [2013], The impact of family policies on fertility trends in developed
countries, European Journal of Population, 29(2), pp. 387-416.

McDonald P. [2000], Gender equity in fertility transitions, Population and Development Review,
26(3), pp. 427-439.

McDonald P. [2013], Societal foundations for explaining low fertility: gender equity, Demographic
Research, 28, pp. 981-994.

Mills M. [2010], Gender roles, gender (in)equality and fertility: an empirical test of five gender equity
indices, Canadian Studies in Population, 37(3-4), pp. 445-474.

Rindfuss R., Choe M., Brauner-Otto S. [2016], The emergence of two distinct fertility regimes in
economically advanced countries, Population Research and Policy Review, 35(3), pp. 287-304.

UNDP [2020], Tackling social norms. A game changer for gender inequalities, rapporto di ricerca.

World Bank [2010], Determinants and consequences of high fertility, rapporto di ricerca.

14

Potrebbero piacerti anche