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STRATEGIA COMPETITIVA
Una strategia competitiva è l’insieme delle decisioni assunte e di azioni poste in essere dal management,
cioè da chi è deputato alla direzione aziendale, per assicurare due obiettivi:
- Il vantaggio competitivo dell’impresa;
- Duratura sopravvivenza dell’impresa (che è determinata dal raggiungimento del primo):
Attraverso il dominio delle emergenti opportunità nei mercati attuali e futuri, la valorizzazione delle risorse
e competenze attuali, l’acquisizione di nuove competenze critiche per la crescita futura e la creazione di
valore per gli stakeholder rilevanti. La strategia determina ed esplicita lo scopo dell’impresa in termini di
obiettivi di lungo periodo.
PROCESSO STRATEGICO
Il processo strategico è quindi il processo di formulazione della strategia, cioè il processo formale,
disciplinato e esplicito che vede tutti i livelli decisionali dell’organizzazione impegnati a formulare e
implementare la strategia. Formale perché è un processo ben definito all’interno dell’organizzazione per
quando si deve definire la strategia aziendale ai vari livelli in cui essa deve essere definita.
Questo processo di pianificazione consiste nella definizione del piano strategico, cioè il documento entro
cui sono indicati tutti gli obiettivi strategici, le analisi e le decisioni strategiche dell’azienda per un certo
periodo di tempo (oggi tutti settati su tre anni, anche se il tempo può variare in funzione del settore di
riferimento).
I vari livelli di pianificazione strategica (corporate, business e di attività) si articolano in funzione di diversi
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Chiacchio-Ambrosanio
elementi: Missione, strategia, obiettivi, allocazione delle risorse, come acquisire il vantaggio competitivo e
su quali fonti detto vantaggio deve far leva e le fonti di sinergia.
Una strategia competitiva sostanzialmente lavora su questi sei elementi, ma a livello di singolo livello di
articolazione della strategia, per ogni elemento la pianificazione cambia, nel senso che man mano che
procedo dalla corporate alla singola attività ognuno dei sei elementi diventa sempre più specifico e
dettagliato.
La missione definisce l’obiettivo più generale dell’azienda o il ruolo che l’azienda vuole avere nel mercato
nel prossimo futuro, in termini di :
1) ampiezza del prodotto-servizio, cioè con quali categorie di prodotti-servizi l’azienda vuole essere
presente;
2) dell’ampiezza del mercato, cioè i target di clienti (quindi con queste due determinazioni si specifica in
buona sostanza le SBU che si presidiano oggi e che si vogliono presidiare nel prossimo futuro);
3) dell’estensione geografica del mercato, cioè il corporate deve anche definire dal punto di vista
geografico su quali mercati intende competere;
4) delle competenze esclusive su cui puntare per sviluppare il vantaggio competitivo, ad esempio: quali
investimenti in tecnologie, quali cambiamenti organizzativi, quale ridefinizione del business ovvero se si
intende lavorare sui costi, sulla differenziazione o su un equilibrio tra i due.
A LIVELLO BUSINESS
Qui l’obiettivo è formulare una strategia a livello business, cioè lo sviluppo di decisioni e di azioni
riguardanti il business specifico. Anche qui troviamo tre elementi: due interni ed uno esterno:
In particolare l’analisi interna a livello business è finalizzata a valutare i punti forti e deboli dell’azienda, la
posizione competitiva dell’azienda rispetto ai suoi concorrenti e quali sono le risorse e competenze che si
possono mettere in gioco in maniera differenziale rispetto ai miei concorrenti.
L’analisi esterna è finalizzata ad individuare le opportunità e le minacce a livello business.
Da un punto di vista differenziale un aspetto importante è la fase della traslazione delle scelte strategiche in
un budget, dove il budget ha “due facce”:
1) una di natura strategica (che si concretizza nella programmazione dei fondi strategici, che definiscono gli
investimenti che l’azienda deve fare per portare avanti la strategia e che abbracciano un orizzonte
temporale più lungo)
2) E l’altra di natura operativa (si parla infatti di budget operativi, che abbracciano un orizzonte temporale
più breve, generalmente annuale). Dopodiché abbiamo una fase di monitoraggio strategico dove a livello di
ogni business dobbiamo andare a definire i parametri di performance.
Tuttavia sia i budget che i parametri di performance devono essere approvati dal corporate.
quali target di clienti servire e, se il corporate decide di entrare in nuovo continente, in quali paesi specifici
operare.]
- competenze distintive (della SBU rispetto ai concorrenti). Se ad esempio il corporate stabilisce che vuole
“distinguersi” dai concorrenti puntando sull’innovazione, sarà il livello business che nello specifico deciderà
questo cosa vuol dire, cioè stabilirà come si determina questa innovazione nel prodotto, il tempo di lancio
di questa innovazione sui mercati ecc.;
- modalità per raggiungere la leadership sulla concorrenza: costo e/o differenziazione;
SBU
Il concetto di SBU (Strategic business Unit) nacque dopo gli anni 60 , a seguito di una situazione
problematica che subì alla General Electris, la quale avendo diversificato molto ed essendo entrata in troppi
business ebbe seri problemi di controllo e molti di questi business iniziarono a non funzionare, visto che la
struttura dell’impresa non consentiva una riflessione strategica dedicata ad ogni singolo business. La
General Electris si rivolse a dei consulenti secondo i quali era necessario portare cambiamenti non solo
sotto l’aspetto organizzativo, ma soprattutto sotto l’aspetto strategico. Le consigliarono a tal proposito di
definire le unità strategiche di business e per ognuna di esse, prendere una persona e dargli l’autonomia di
decidere quale era la strategia competitiva del singolo business.
DEFINIZIONE SBU:
SBU è un’unità strategica che raggruppa una ben definita serie di prodotti e servizi a un gruppo uniforme di
clienti e chi compete con un gruppo di concorrenti ben definito.
Affinché una SBU possa essere definita tale è necessario che siano soddisfatte una serie di caratteristiche:
1) Deve servire un mercato esterno piuttosto che interno, quindi non è una SBU un’unità dell’azienda che
realizza prodotti o servizi destinati a essere parte del processo produttivo dell’azienda stessa (ad es. se
un’azienda produce pasta ed ha contemporaneamente un’altra azienda controllata che produce il
packaging per la prima, l’azienda di pacchi non può essere considerata una SBU dell’azienda produttrice di
pasta);
2)Deve avere una serie ben definita di concorrenti esterni, rispetto ai quali compete per ottenere un
vantaggio competitivo;
3) I responsabili della SBU devono avere un’indipendenza sufficiente per decidere interventi strategici,
come competere e dove acquisire risorse per poi apportare un profitto all’impresa.
4)La SBU deve essere un centro di profitto, cioè deve essere in grado di influenzare ricavi e costi;
5) Tutti i prodotti della SBU sono sostituibili tra loro, proprio perché sono prodotti che operano su un certo
mercato per soddisfare un certo tipo di bisogni;
6) I prodotti di una SBU devono dar vita ad un’unità funzionante e autonoma, in quanto in caso di
disinvestimento da parte dell’azienda cui appartiene ciò non deve avere influenza sulle altre parti
dell’azienda. (Cioè affinché si possa parlare di avere una propria SBU, l’impresa deve avere la possibilità di
poter disinvestire senza alcuna difficoltà l’unità strategica di Business) Tuttavia quest’ultima caratteristica
non è sempre “verificata” perché dipende necessariamente dalle interazioni che la SBU considerata aveva
con le altre SBU.
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Chiacchio-Ambrosanio
7) che in caso di cessione una SBU possa essere configurabile come un ramo di azienda separato;
Il fatto che le singole unità strategiche di business diventano dei centri di profitto potrebbe rappresentare
un rischio in quanto ciascun centro di profitto potrebbe non dare importanza a ciò che accade in un altro
business (ogni SBU è come se fosse un’impresa a se stante). Per scongiurare questo effetto negativo
l’impresa deve porre in essere delle strategie affinché si sfruttino le eventuali sinergie che potrebbero
esserci tra i vari business. ad esempio una classica sinergia che potrebbe essere sfruttato dal business dei
cellulari e quello dei computer è rappresentato dalla distribuzione cioè utilizzare un singolo canale logistico
e servirsi dello stesso rappresentante anziché utilizzare due canali logistici e due rappresentanti diversi che
comportano all’impresa un costo superiore
Differenza tra ASA e SBU : in base al modello di Abell si identificano delle aree competitive in cui l’impresa
sulla base delle sue scelte decide di competere mentre l’SBU fa riferimento al come l’impresa decide di
competere nell’area strategica d’affari.
Quindi la SBU è una parte importante del processo di gestione strategica che è accompagnata da un altro
centro di pianificazione che possiamo chiamare o Strategic Activity Unit (SAU, unità strategica relativa ad
una certa attività) o più classicamente Strategic Functional Unit (SFU, unità strategica relativa ad una certa
funzione aziendale):
SAU/SFU
La SAU/SFU è un’unità operativa o centro di pianificazione per l’esecuzione dell’analisi della situazione
interna e dell’ambiente esterno a livello funzionale o di singola attività e per la definizione della strategia
competitiva di una specifica funzione/attività aziendale nei confronti dei concorrenti.
•Fatta eccezione della funzione/attività Produzione, tutte le funzioni/attività aziendali hanno un mercato
esterno. La strategia funzionale o di attività deve capire il legame con l’ambiente esterno per migliorare il
posizionamento competitivo.
• Le funzioni o attività aziendali possono sviluppare tra di loro interdipendenze che hanno un valore per la
creazione del vantaggio competitivo.
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Chiacchio-Ambrosanio
LIVELLO DI ATTIVITA’/FUNZIONALE
Una volta scelto il business e la combinazione prodotto-mercato ora la missione a livello di attività
permette di individuare in maniera puntuale il target da che punto di vista bisogna definirlo (dal punto di
vista dell’età, del reddito, dello stile di vita, del sesso ecc.), cioè definire la combinazione prodotto-mercato
in termini specifici, ed è qui che lavora il marketing; o piuttosto definire l’ampiezza dell’assortimento (ad es.
stabilire quanti modelli si vogliono di un certo prodotto in modo tale da coprire determinati sotto-target di
clienti); pricing; branding.
Ogni unità funzionale ha una sua logica strategica. Fatta eccezione per l’attività di produzione, tutte le
funzioni/attività hanno un mercato esterno. La strategia funzionale o di attività deve capire il legame con
l’ambiente proprio esterno e inglobare le sfide generate da esso per migliorare il posizionamento
competitivo. Le funzioni o attività aziendali possono sviluppare tra di loro interdipendenze (o sinergie) che
hanno un valore per la creazione del vantaggio competitivo, ad esempio tra la logistica e il marketing è
ovvio che ci siano delle relazioni, e meglio vengono gestite queste relazioni più io azienda posso impattare
meglio sulla qualità del servizio e del prodotto, sui costi ecc.
A livello funzionale avviene la traslazione delle decisioni assunte dagli altri due livelli.
Ogni strategia (sia a livello corporate e sia a livello business) genera dei c.d. requisiti funzionali, cioè dei
parametri che il livello inferiore deve “rispettare” nel definire la propria strategia. Se ad esempio la
strategia business stabilisce il requisito funzionale per cui l’azienda per ottenere il vantaggio competitivo
deve puntare sull’innovazione, tali requisiti devono essere traslati a livello funzionale stabilendo cosa
significa fare innovazione a livello marketing, di produzione ecc.,
Ciò che diverge dalle precedenti è il focus, cioè l’analisi ora è incentrata sull’attività specifica.
Ad esempio se considero il marketing e procedo con la swot analysis dovrò stabilire la mia penetrazione sui
canali distributivi (la mia numerica, la mia ponderata ecc.), la mia brand image (cioè il mio valore di
marchio), le opportunità e le minacce per la mia marca ecc.
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Differenza tra formulazione della strategia : procedura analitico formale , incentrata sullo sviluppo della
conoscenza, è quindi di tipo cognitivo. È un processo di analisi sull’ambiente esterno (mercato, condizioni
sociali) e le sue future variazioni.
Formazione della strategia: essendo l’azienda costituita da persone , ci si dedica all’analisi di fattori
motivazionali , psicologici e politici presenti nella strutta manageriale , formale ed informale.
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Il processo strategico apportato nel corso degli anni a una distinzione fra:
GESTIONE:
Vista come un processo operativo, consiste nel nel formulare scelte di BREVE TERMINE (durata max di un
anno) e riguarda operazioni di routine svolte all’interno dell’impresa.
STRATEGIA
È un processo che consiste nel formulare scelte di LUNGO TERMINE che servono a far perdurare l’azienda e
definire la sua posizione nell’ambiente esterno.
L’analisi interna ed esterna viene realizzata ad ogni livello di pianificazione strategica, attraverso la SWOT
ANALYSIS:
SWOT ANALYSIS
Uno dei passi fondamentali dell’analisi della situazione è la c.d. SWOT analysis:
Come ben noto la SWOT analysis ci consente di individuare le forze e le debolezze dell’impresa che
ovviamente potranno essere di vario genere: potranno afferire al brand, ala qualità del prodotto, al valore
percepito dal cliente, dalla fedeltà del cliente, dall’efficacia distributiva, e così via. Ovviamente quando si
parla di forze e debolezze si fa riferimento a variabili che afferiscono all’ambiente interno all’impresa.
Inoltre, come è sempre ben noto, la SWOT analysis ci consente di individuare anche minacce ed
opportunità, ad esempio: dimensioni e crescita del mercato, posizionamento competitivo, strategie
apparenti, barriere all’entrata, bisogni del cliente. Quando si parla di minacce ed opportunità tuttavia ci si
sposta dall’ambiente interno all’impresa all’ambiente esterno
Considerando congiuntamente i quattro elementi l’azienda deve cercare di “matchare” punti di forza con le
opportunità, le debolezze devono essere minimizzate o convertite in punti di forza, le minacce devono
essere bloccate dai punti di forza dell’azienda cercando di minimizzarle o, meglio ancora, di convertirle in
opportunità.
Questo modello ci consente di mettere assieme l’analisi interna e l’analisi esterna (di un’azienda corporate,
di una SBU o di una SAU, in quanto la SWOT analysis può essere condotta a tutti i livelli).
1) Nel punto di incontro tra opportunità e punti di forza abbiamo le c.d. opportunità sostenibili,
2) Nel punto di incontro tra minacce e punti di forza abbiamo le c.d. minacce sostenibili in quanto “ho le
forze giuste per affrontare la minaccia”,
3) Nel punto di incontro tra minacce e punti di debolezza ho le c.d. minacce insostenibili in quanto è una
minaccia che agisce su un punto debole e quindi non si riesce ad affrontarla, infine
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Chiacchio-Ambrosanio
4) Nel punto di incontro tra opportunità e debolezze ho le c.d. opportunità insostenibili in quanto non ho
“le forze necessarie per cogliere quell’opportunità”.
andare a soddisfare un bisogno che riguarda non un singolo aspetto ma una categoria di aspetti. Ad
esempio se l’Oreal crea ampiezza orizzontale lo crea non per lavorare solo nella cosmesi, shampoo ecc. (che
soddisfano un solo bisogno) ma per dare delle soluzioni al cliente su una categoria di bisogni più ampia che
è quella del body care (cura del corpo). Quindi la mia logica strategica è soddisfare questa categoria di
bisogni e quindi creo tutta una serie di prodotti idonei a soddisfarli;
• Integrazione del cliente (customer engagement) nella creazione del prodotto-servizio: Ikea, Dell
Computer. Ad esempio “Dell Computer” ha innovato la sua logica strategica ingaggiando il consumatore
nella costruzione del PC, cioè il consumatore che autodefinisce come deve essere il suo PC. Ed è chiaro che
in questo modo aumenta la soddisfazione del cliente;
• System Lock-in, Lock-out: significa lavorare su elementi che limitano gli spazi di manovra/scelta del
consumatore attraverso standard proprietari. Consiste nella possibilità di avere uno standard tecnologico di
riferimento di proprietà con cui il prodotto funziona (come Sony con la Playstation, o Microsoft per i PC) e
quindi la diffusione dello standard determina un vantaggio competitivo. (differenziazione).
Es: come i fornitori di contenuti (videogiochi) che li creano in funzione delle piattaforme di riferimento
(Playstation) che portano quindi a ‘costringere’ le scelte dei consumatori e creando così anche una sorta di
blocco della concorrenza (LOCK-IN LOCK-OUT)
Hax e Majluf
hanno proposto un modello pone in evidenza come il processo di gestione strategica dell’impresa deve
amalgamare fattori comportamentali e fattori analitico-formali. Esso illustra le componenti (visibili e
invisibili) di una organizzazione aziendale: componenti che prendono parte al processo di management
strategico, ovvero incisive di qualunque processo decisionale.
Elemento centrale del management strategico è la cultura d’impresa: essa da un lato influenza e condiziona
le scelte di management dell’azienda, dall’altro è influenzata dai sistemi amministrativi e dai
comportamenti dei singoli o dei gruppi presenti nell’organizzazione. La cultura organizzativa consiste
quindi nell’insieme di valori, principi, credenze, atteggiamenti, sentimenti, assunti che i membri di
un’organizzazione condividono e che influenzano il modo in cui essa conduce il proprio business.
-Il Management Strategico è da considerarsi un processo che, a valle di un’analisi dello scenario
competitivo di riferimento (input) e tramite la strutturazione di piani operativi di decisioni/azioni
interdipendenti e coerenti con gli obiettivi da raggiungere (fasi), intende rendere altamente probabile
l’accadimento di una o più situazioni future (output finale).
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Esso ha l’obiettivo di favorire il miglioramento della razionalizzazione del processo decisionale presente
all’interno delle fasi di gestione del business di un’organizzazione. Una decisione è razionale quando è non
solo è coerente con i suoi obiettivi ma soprattutto quando è compatibile con le opportunità e i vincoli
esistenti e con le risorse disponibili. Ovvio è che gli obiettivi sono perseguibili solo in presenza di una chiara
definizione della mission e della vision aziendale.
VISION: influenza e, a sua volta, è influenzata dalla cultura organizzativa. Indica il posizionamento
strategico dell’impresa nel futuro date le risorse e le competenze di cui dispone o intende disporre o a cui
potrebbe accedere.
MISSION:
Enunciazione della situazione attuale e delle previsioni future circa l’ampiezza del prodotto-servizio,
dell’ampiezza del mercato (target di clienti), dell’estensione geografica del mercato e delle competenze
esclusive su cui puntare per sviluppare il vantaggio competitivo.
VANTAGGIO COMPETITIVO
Il vantaggio competitivo lo possiamo qualificare in due elementi di fondo, due aspetti.
1)Il primo è quello che classicamente viene definito come la “Superiorità dei ritorni economico-finanziari
dell’azienda” rispetto ai concorrenti.
2) L’altro aspetto del vantaggio competitivo (che tra l’altro determina il primo) consiste nella capacità delle
aziende di fare meglio degli altri e ciò avviene quando l’impresa in questione ha delle capacità, delle risorse,
delle competenze, dei processi migliori dei diretti concorrenti. Quindi i due elementi sono, come si può
facilmente notare, fortemente interrelati.
Il complesso di decisioni e di azioni che le aziende pongono in essere sono basate su una serie di valutazioni
che devono fare, tra cui rientra lo studio delle emergenti opportunità/minacce nei mercati attuali e futuri.
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Esistono diverse tipologie di risorse come: quelle tangibili, finanziarie, fisiche, intangibili, tecnologhe,
umane (conoscenze), reputazione/brand. Esse però non sono sufficienti per raggiungere vantaggio
competitivo, pertanto devono essere organizzate ed impiegate in modo tale da ottenere una competenza
distintiva (modalità di impegno dello stock di fattori cioè le risorse) e quest’ultima deve essere adattata alle
richieste del mercato. Un’impresa che adotta un approccio strategico basato sulle risorse deve:
1. Elaborare delle strategie coerenti con le risorse e competenze possedute : nel senso che ad esempio se
l’impresa presenta un brand affermato nel campo dell’informatica, non può pianificare una strategia che
miri alla realizzazione di prodotti appartenenti alla fascia di prezzo medio/basso in quanto non sarebbe
coerente con le risorse e competenze di base possedute e viceversa
2. Sviluppare e aggiornare le competenze in modo da poterle adeguare a delle eventuali nuove richieste
del mercato
3. Sfruttare al massimo il potenziale di creazione di valore delle competenze: cioè l’impresa una volta che
riesce a raggiungere il vantaggio competitivo e a possedere competenze distintive deve capire se può
raggiungere risultati importanti applicando quella competenza distintiva ad un altro settore
(diversificazione)
4. Acquisire dall’esterno le risorse/competenze complementari necessari per integrare le
risorse/competenze già possedute.
CATENA CASUALITÀ
La catena di casualità del vantaggio competitivo è uno strumento che ci permette di capire come,
attraverso degli step, come l'azienda genera il suo vantaggio competitivo e le sue conseguenze.
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SECONDO STEP :
Attività e Processi Chiave : Individuazione delle attività chiave; Delle risorse e competenze per la Catena
del Valore; e dei punti di forza/di debolezza.
TERZO STEP
Strategia Competitiva / Business Model : Definizione del target di clienti, delle sue preferenze. Qual è la
proposta di valore che offro al mio cliente e come posso raggiungere il vantaggio competitivo rispetto ai
concorrenti.
QUARTO STEP
Sistema di Offerta : Qual è il mio sistema di offerta (prodotto/servizi, canale distributivi, prezzo, strategie di
comunicazione, servizio al cliente, ecc);
Qual è il Net Delivered Customer Value e l’identificazione del modello di business che permette di rompere
il trade-off tra prezzo/costo e differenziazione. Il modello di business si riferisce alla logica attraverso cui
l’impresa crea valore per gli stakeholders. In altri termini, come essa crea valore per i clienti (value
proposition) e «cattura» valore per l’azienda (generazione di profitto). Come essa riesce a generare un
flusso di ricavi superiori ai costi , produrre un profitto e una redditività del capitale investito sufficiente.
QUINTO:
Creazione di valore per l’impresa e distribuzione di valore:
Qual è il valore economico-finanziario ottenuto; Qual è il valore creato per gli azionisti;
Qual è il valore creato per gli stakeholders.
SESTO:
Creazione e miglioramento del valore peri clienti* (customersatisfaction)
Indica qual è il NDCV consegnato al cliente; Cosa il cliente percepisce in termini di NDCV; Ed il valutare se si
ha generato con quel sistema di offerta la Customer Satisfaction.
CASO AMAZON:
Amazon è un'azienda di commercio elettronico statunitense, ad oggi la più grande Internet company al
mondo. Il fondatore Bazos era un ingegnere che adottò questo nome (Amazon) prendendo spunto dal
fiume più grande del mondo, il Rio delle Amazzoni.
Nel ’94 iniziò a commerciale libri online in tutto il mondo creando una vera e propria libreria online.
Successivamente cominciò a vendere anche CD, software, videogame, giocattoli e utensili per la casa.
Nel 2017 d’impatto per i supermercati locali fu la vendita di alimenti online e successivamente
l’introduzione di Amazon Prime Video e Music lo pose in concorrenza con Netflix e Spotify.
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SISTEMA DI OFFERTA
PREZZI: Basso , più competitivo
VOLUMI: Alti, economie di scala e di approvvigionamento
COSTI: Bassi, grazie a tecnologie ed economie di scala/approvvigionamento
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QUALITA’ DEL SISTEMA DI OFFERTA: Alta, grazie a servizi , assortimento, affidabilità e velocità di consegna.
CASO NETLIX
Netflix è un'impresa operante nella produzione e distribuzione via internet di film, serie televisive e altri
contenuti d'intrattenimento. Fondata da Reed Hastings e Marc Randolph, in California nel 1997.
Inizialmente l'attività principale consisteva nell'offrire il noleggio di DVD e videogiochi, gli utenti potevano
prenotare i dischi via internet, ricevendoli direttamente a casa tramite il servizio postale.
Successivamente l'azienda ha attivato un servizio di streaming online on demand, accessibile tramite un
apposito abbonamento. L’idea di Netflix sta nella scelta di monitorare le abitudini di visione dei clienti
attraverso un algoritmo per suggerire contenuti affini a quelli appena visti. In questo modo, Netflix inventa
un mercato nuovo, creando desideri che i clienti non sanno di avere, aumentando la fidelizzazione e
spazzando via ogni forma di concorrenza. Inoltre Netflix passa dalla sola distribuzione anche alla creazione
di contenuti di alta gamma, diventando così un nuovo player nel mercato dell’audiovisivo e del
multimediale e mettendosi in competizione diretta con i produttori.
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SISTEMA DI OFFERTA
PREZZI: Basso , più competitivo
VOLUMI: Alti, distribuzione online
COSTI: Bassi, grazie a tecnologie ed economie di scala
QUALITA’ DEL SISTEMA DI OFFERTA: Alta, grazie a servizi dedicati come il video on demand, ad un ampio
assortimento di prodotti video, ed una piattaforma web/mobile affidabile e veloce.
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La catena del valore di Porter è uno strumento per schematizzare le attività che l’impresa può svolgere e
all’interno delle quali è possibile individuare i cosiddetti fattori critici di successo che l’impresa utilizza per
ottenere un vantaggio competitivo.
Le attività si suddividono in
Attività primarie o attività di flusso (cioè quelle che attraversano tutto il processo operativo dell’azienda
dal momento in cui entrano le materie prime al momento in cui vengono vendute sotto forma di prodotti
finiti e al momento in cui sono nelle mani del cliente con i servizi post-vendita) sono:
1. Logistica in entrata ovvero collegamento con il mercato dei fornitori per l’acquisizione di prodotti,
materie prime per poter iniziare la propria attività
2. Attività operative ovvero la trasformazione di prodotti e materie prime acquistate
3. Logistica in uscita da non confondere con la distribuzione ma si intende come i prodotti dell’impresa
arrivino verso i negozi
4. Marketing ovvero: Ricerche di mercato, analisi dei bisogni dei consumatori, creazione di brand equity,
consapevolezza e notorietà del marchio, sviluppo di un sistema di offerta complesso e di un bundle di
prodotti completo, esperienzialità e comodità di acquisto, copertura internazionale
5. Servizi intesi come servizi post vendita
Attività di supporto , rappresentate orizzontalmente nel grafico per indicare che tali attività influenzano
tutti i processi (attività primarie) e sono:
MARGINE DI PROFITTO: Al termine della catena del valore abbiamo il cd margine che evidenzia come la
correlazione fra i due tipi di attività possa creare profitto per l'impresa. Il modo in cui l'azienda gestisce le
attività inciderà in modo positivo o negativo sia sui ricavi che sui costi.
E’ detta catena DEL VALORE poiché le interazioni esistenti tra le diverse attività della catena del valore
permettono di capire e spiegare come un’azienda crea valore e riesce ad ottener un vantaggio competitivo.
CATENA DEL VALORE: APPLE (esempio riassunto e preso dalle slide del prof Cantone)
Sviluppo delle tecnologie: Attività di ricerca e sviluppo, attività di innovazione dei processi e dei prodotti ,
attività di sviluppo tecnologico e di ricerca sul design
Servizi: Sistemi operativi più sicuri e meno attaccabili da virus, servizi di assistenza post e pre vendita
Attività operative: Collaborazioni con altri leaders e utilizzo di sofisticati sistemi di automazione
Infrastruttura: Attività finanziarie e di pianificazione, area legale
INTERRELAZIONI INTERNE:
Nel momento in cui si va a costruire la catena del valore, è necessario individuare quali sono i punti di forza
delle attività strategicamente rilevanti per la specifica azienda esaminata.
Tuttavia nella maggior parte dei casi il vantaggio competitivo è determinato dai collegamenti di varie
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Difatti affiancata alla catena del valore vi è l’analisi del sistema di valore : inteso come un sistema di
imprese che nel mettersi in relazione di un’ottica input-output, può creare un vantaggio competitivo
maggiore rispetto alla concorrenza. Questo tipo di analisi pone il focus su relazioni binarie ovvero tra
fornitori-imprese imprese-intermediari intermediari-clienti ecc.
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Esempio:
Fornitore-Impresa: volendo fare un esempio in relazione al computer hp suo fornitore è l’Intel che produce
microchip. Hp nella sua relazione con il fornitore Intel trae un vantaggio nell’area ‘marketing-vendite’
ovvero influisce positivamente sulla percezione del cliente, trae poi ancora un altro vantaggio in ambito di
attività operative acquisendo un prodotto con tecnologia elevata. Il concetto della filiera di imprese o
sistema del valore consente quindi di capire che tutti questi vantaggi a capì non le avrebbe mai raggiunti se
non avessi avuto la relazione stabile con il fornitore Intel.
Intermediari-impresa: in relazione agli intermediari anche loro potrebbero trarre vantaggio competitivo
grazie a delle relazioni con particolari imprese, ad esempio, una catena di distribuzione potrebbe trarre
vantaggio competitivo nel momento in cui ad esempio la Barilla consenta la vendita di un prodotto
solamente in quella determinata catena di distribuzione.
Azienda-clienti: possiamo fare l’esempio di Ikea che va ad inglobare il cliente nella propria struttura
organizzativa caratterizzata da un sistema difficile da imitare : i prodotti di ikea sono progettati proprio per
essere montati dal cliente , a differenza dei prodotti dei competitors non progettati con la stessa logica. Da
ciò ne deriva un basso costo dovuto dall’assenza del trasporto e del montaggio.
informazioni sono le interpretazioni dei dati. I dati sono il risultato di osservazioni di eventi e fenomeni. Ad
esempio un dato potrebbe essere il fatturato di un dato prodotto in un dato momento, l’informazione
potrebbe essere l’interpretazione della tendenza di quel dato.
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MODELLO DI GRANT
Questo modello ha l’obbiettivo di quantificare la sostenibilità del vantaggio competitivo dell’impresa, nel
tentativo di raggiungere questo obiettivo lo studioso ha tentato di analizzare alcune caratteristiche che le
risorse devono avere affinché il vantaggio competitivo si crei e sia sostenibile nel tempo:
Per mantenere il vantaggio competitivo è necessario che le risorse soddisfino i seguenti requisiti:
1. Appropriabilità delle risorse:
il concetto di appropriabilità deve essere collegato al concetto di rendita, infatti noi partiamo dal fatto che
possediamo delle risorse distintive e queste risorse creano una rendita (guadagno), quindi si intende la
capacità dell’impresa di controllare la rendita di una risorsa. Alcune imprese hanno difficoltà ad
appropriarsi della rendita ad esempio nel caso delle risorse brevettate: (se l’innovazione è brevettata sarò
l’unico a poter intascare il guadagno di quell’innovazione mentre se essa non è brevettata potrebbe venire
chiunque copiarmi e ridurmi il grado di appropriabilità di quella risorsa.)
Un esempio di risorsa caratterizzata da un basso grado di appropriabilità è la risorsa umana dovuto da un
elevato potere contrattuale. Quindi, un vantaggio competitivo è tanto più sostenibile quanto più la risorsa è
inappropriabile.
2. Trasferibilità: il vantaggio competitivo è tanto più sostenibile quanto le risorse che sono alla base del
vantaggio sono poco trasferibili all’imprese concorrenti. Può capitare che una risorsa è talmente specifica e
inserita in un contesto aziendale che portarlo in altro contesto non riesce a generare vantaggio
competitivo.
4. Durevolezza: significa che la capacità competitiva che danno queste risorse è stabile nel tempo
(Un esempio di risorsa durevole è il marchio oppure la reputazione). Un’altra capacità che viene individuata
come maggiormente durevole nel tempo è quella dell’innovazione che non deve essere intesa solo come
innovazione tecnologica ma anche innovazione dal punto di vista strategico , cioè avere la capacità prima
degli altri di utilizzare la tecnologia già a disposizione ma in maniera differente.
ANALISI VRIO
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Per rispondere alla stessa domanda precedente, cioè quali sono le condizioni necessarie affinché le risorse
e le competenze possano generare vantaggio competitivo e valore, è possibile impiegare anche un’altra
tipologia di analisi, la c.d. analisi VRIO di Barney. Secondo Barney affinché una risorsa crei vantaggio
competitivo è necessario che:
- siano di valore (Value), nel senso che devono essere determinanti per l’acquisizione del vantaggio
competitivo → che le risorse migliorino l’efficienza di un processo produttivo; aiutino a soddisfare i gusti e
le aspettative dei clienti in continua evoluzione; si abbia accesso preferenziale a preziose materie prime;
investito in macchinari, sistemi informatici o altre risorse fisiche; si posseggano prodotti, servizi o un
marchi a cui i clienti hanno una forte lealtà; e che i benefici della risorsa superino i costi per mantenerla.
Sempre secondo Barney affinché una risorsa consenta di mantenere il vantaggio competitivo:
- deve essere scarsamente imitabile (Imitability) → cioè scarsamente riproducibile come affermato da
Grant e che non vi siano sostituti disponibili e che possano fornire lo stesso livello di soddisfazione e lealtà
del cliente, magari anche a costi inferiori
- (Organization) l’azienda deve essere in grado di sfruttarne il potenziale, in ciò si sostanzia la capacità
organizzativa
Valore, rarità, non imitabilità e capacità di valorizzazione combinandosi variamente, generano situazioni di
svantaggio, parità, vantaggio temporaneo e vantaggio durevole nei confronti della concorrenza con
risultati, quindi, rispettivamente al di sotto della media, in media e al di sopra della media (temporaneo e
durevole). Più le risorse possedute dall'impresa sono di maggior impatto sul valore, meno diffuse,
difficilmente imitabili e più sfruttabili da parte dell’organizzazione, più consistente e permanente diviene il
vantaggio competitivo.
MODELLO DI PETERAF
Questo modello del vantaggio competitivo si basa su quattro pietre angolari (condizioni). Il modello dice
che per avere un vantaggio competitivo e fare in modo che sia sostenibile, è necessario fare in modo che
coesistano quattro condizioni:
Rendita ricardiana: si ha quando l’azienda riesce a produrre ad un costo inferiore rispetto ai costi che
sopportano i competitors nel mercato. (assimilabile alla strategia basata sui vantaggi di costo)
Rendita monopolistica: derivano dal saper combinare le risorse in maniera particolarmente innovativa,
unica e quindi non deriva non dal semplice possesso della singola risorsa in sé o perché è protetta da
brevetto. Ciò gli permette di applicare prezzi superiori. (assimilabile alla strategia di differenziazione)
3. Limitata trasferibilità: Non tutte le risorse si trovano sul mercato e quindi sono trasferibili (ad esempio il
brevetto della Geox non è acquistabile in quanto è unico ed è in possesso della Geox), oppure:
Una risorsa calata in un certo contesto può generare vantaggio competitivo mentre se trasferita in un altro
contesto ciò può anche non accadere. Esempio: quando la Apple ha sostituito Steve Jobs col Ceo di Coca-
Cola. Una risorsa è tanto meno trasferibile quanto più essa è integrata in quel determinato contesto. Come
se si trasferisse un organo di un corpo sano in un corpo malato non riuscirebbe a funzionare allo stesso
identico modo.
4. Limiti ex ante alla competizione: cioè la ricerca di modalità diverse di conseguire il vantaggio
competitivo:
l’azienda prima che la competizione abbia inizio, affinché riesca a conseguire un vantaggio competitivo,
deve essere in grado di ricercare questo vantaggio competitivo in maniera innovativa (ad esempio con un
modello di business diverso), o con risorse differenti o, ancora, con nuove “regole del gioco”.
Tale modello afferma che inoltre affinché un’impresa ottenga del vantaggio competitivo occorre che
devono verificarsi tutte le quattro condizioni simultaneamente.
PETERAF AMAZON
Unicità delle risorse: brand e tecnologia, affidabilità, dominant exchange, complementarietà dei servizi
Limiti ex post: reputazione, brevetti sull’e-commerce, ampiezza prodotti offerti
Limiti ex ante: curva del valore che comprende l’aumento servizi (Prime, Alexa), creazione nuova modalità
di vendita con one Click shopping, riduzione tempi di consegna, prezzi e costi, rapporto off line con i clienti
Limitata trasferibilità : tecnologia, fedeltà del brand
STRATEGIE ORIZZONTALI:
Le strategie orizzontali sono quelle che permettono ad un’impresa di sfruttare le sinergie esistenti tra le
SBU in cui essa opera. L’obiettivo e il vantaggio di ciò è creare un maggior valore complessivo rispetto ai
valori generati da ogni SBU presa singolarmente. Ovviamente il presupposto affinché si possano
manifestare le strategie orizzontali e che l’impresa sia diversificata. Le strategie orizzontali sono quelle
strategie che si utilizzo al livello Corporate. (perché è lì che si gestiscono i business “dall’alto”)
Identificare le sinergie secondo Porter è necessario capire tra i vari business quali sono le probabili
interrelazioni. (Il modello di diagnosi è la catena di Porter)
- TANGIBILI : un’interrelazione è tangibile quando due SBU condividono un’attività della catena del valore,
delle risorse in comune, canali distributivi, tecnologie ecc.
- Esempio: prodotti da forno e sughi pronti, un interrelazione tangibile può riguardare la farina e la strategia
orizzontale da attuare potrebbe essere comprare la farina dallo stesso produttore per pagarla
complessivamente di meno.
- Altro esempio : prodotti da forno e sughi pronti, l’interrelazione tangibile può riguardare l’impianto di
confezionamento che può essere utilizzato per entrambi.
- Esempio sulla condivisione del marchio: consideriamo ad esempio il marchio, il caso sempre di sughi
pronti e prodotti da forno ponendogli lo stesso marchio. La strategia orizzontale sta nel fatto che nella
pubblicità oltre sugo pronto ci saranno anche prodotti da forno.
- Altro esempio: consideriamo le ricerche di mercato, uno studio sui prodotti da forno può riguardare anche
sughi pronti.
- CON CONCORRENTI MULTIPLI : Due imprese sono concorrenti multipli quando sono concorrenti su più
SBU contemporaneamente. Ciò significa che le imprese in questione hanno un gran numero di opzioni reali
per aggredire e difendersi. Se un’impresa viene aggredita in una SBU ha più campi di risposta, magari in
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Chiacchio-Ambrosanio
un’altra SBU. Ad esempio una aggredisce in Italia su una SBU allora l’aggredisce in Francia su un’altra SBU o
In Italia ma su un’altra SBU.
- Esempio: Un’impresa organizza le proprie SBU secondo il criterio geografico. Le imprese in considerazione
sono Michelin e Goodyear Che operano rispettivamente in USA e Francia. La Goodyear che era leader nel
mercato americano, decide di attaccare il mercato francese invece di fare la lotta nel suo mercato
americano. Visto che quest’ultimo era organizzato in SBU era indipendente da quell’americano ora il prezzo
dei pneumatici viene abbassato di più di quello americano. La Michelin non accetta cioè decide anche essa
di entrare nel mercato americano. L’impresa quindi deve essere molto attenta quando pone in essere
questo tipo di strategia in un SBU, al danno per il concorrente multiplo perché può rispondere non solo in
quella determinata SBU ma anche in un’altra SBU.
PARADIGMA SCP
Il paradigma S-C-P ( Struttura Condotta Performance ) è un teorema economico che lega i risultati (
performance ) delle imprese al loro comportamento ( condotta ) e, indirettamente, alla struttura del
settore industriale di appartenenza ed indica che quanto prima e meglio l'impresa riesce ad adattarsi alla
struttura del settore industriale di appartenenza , riesce ad ad affermarsi ed ottenere risultati economici .
La struttura industriale è determinata dalle condizioni di base del mercato che sono livello di
concentrazione, barriere all'entrata e all'uscita, economie di scala, livello di differenziazione dei prodotti,
tecnologia. Il comportamento o condotta delle imprese indica l'insieme della politica e delle scelte aziendali
relative al prezzo e alla produzione. Il comportamento (C) delle imprese determina, a sua volta, le
performance (P) delle stesse ossia i loro risultati economici in termini di profitto, fatturato, potere di
mercato, efficienza, potere di mercato, benessere collettivo, ecc
Secondo questo paradigma la tipologia di scelta strategica delle imprese operanti in un determinato
settore, condizionando il livello di competizione, condiziona anche la performance media del settore.
-Variabili di performance: quote di mercato; profitti; costi di produzione; qualità dei prodotti.
TASSO DI CONCENTRAZIONE
E’ una misura che indica come le vendite (ed il fatturato) siano ripartite tra le diverse imprese operanti in
un mercato. Un indice che consente di ottenere un’informazione importante sulla struttura di un settore è
il CR4 o il CR5 (CR sta per Concentration Ratio) che misura il tasso di concentrazione di un settore andando
a definire la quota di mercato cumulata delle prime 4 (CR4) o 5 (CR5) imprese con la maggiore quota di
mercato, molto spesso viene utilizzato anche il CR8. Nell’esempio il CR4 è pari al 69,92% e il CR5 al 76,69%,
generalmente si ritiene che se uno dei due indicatori supera il 70% il settore viene considerato altamente
concentrato, se è inferiore al 30% viene considerato frammentato, nelle situazioni intermedie mediamente
concentrato. L’indice di concentrazione può essere considerato anche come un indicatore del grado di
attrattività di un settore, maggiore è infatti la concentrazione maggiore sarà l’attrattività in quanto qualora
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Chiacchio-Ambrosanio
un’azienda dovesse riuscire ad entrare e ad affermarsi in quel settore i potenziali livelli di fatturato e di
redditività sono elevati perché vi sono pochi concorrenti che si “dividono la torta”.
La formula del tasso di concentrazione è pari a ΣQi dove per Qi rappresenta la quota di mercato
dell’impresa iesima.
Inoltre come indice che fornisce informazioni complementari è l'indice di Herfindahl – Hirschman considera
tutte le imprese operanti sul mercato e, pertanto, l'indicatore di concentrazione non è influenzato dal
numero delle imprese. Esso è pari a ΣQi2 , cioè è dato dalla sommatoria dei quadrati delle imprese-iesime
operanti in un settore. Ciò consente di calcolare in modo univoco un indicatore della concentrazione del
potere di mercato. Se è compreso tra 1000 (escluso) e 1800 (compreso) si tratta di moderata
concentrazione quindi è discretamente competitivo, se è uguale a 10.000 è monopolio, se è maggiore
uguale di 1800 è molto concentrato. Se è pari a 0 = si parla di concorrenza perfetta.
MACROAMBIENTE
L’impresa può essere definita come un sistema aperto che vive in un ambiente. L’ambiente in cui opera
l’impresa può essere scomposto in un macroambiente:
Rappresenta l’insieme dei fenomeni che possono influenzare l’attività dell’impresa, in termini di
opportunità da sfruttare di minacce da evitare. Per poter analizzare al meglio il macro ambiente lo si
declina in tanti subsistemi: economico, politico e legislativo, socio culturale e tecnologico e (demografico).
I fattori del macroambiente sono fattori che, un’impresa ponendo in essere una strategia non può andare a
cambiare o a condizionare. (micro si)
La matrice delle priorità degli eventi ambientali è uno strumento che ci consente di valutare quanto è
importante in senso positivo o negativo un determinato evento esterno per la specifica impresa. Come
sappiamo un evento esterno o una variabile esterna può generare delle minacce e delle opportunità, e
quest’ultimi variano in base alla specifica impresa che si va ad esaminare. Gli eventi esterni vengono
valutati in termini di importanza in base a due variabili : dall’entità dell’impatto sull’impresa e dal grado di
probabilità di manifestazione dell’impatto, quanto più l’evento (minaccia o opportunità) è probabile e
quanto più sarà alto l’impatto sull’impresa tanto più per quest’ultima acquisirà importanza.
L’analisi sulle minacce e le opportunità può essere ulteriormente approfondita considerando anche la
variabile tempo di accadimento che potrà essere breve, medio o lungo periodo. Ovviamente tanto più
l’evento sarà impattante, probabile e di breve periodo tanto più sarà prioritario per l’impresa. Se l’evento è
di lungo periodo non significa che l’impresa non ne deve tener conto ma semplicemente che potrà
“muoversi” più lentamente.
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Chiacchio-Ambrosanio
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Un altro modello di rappresentazione delle minacce e delle opportunità è quello in cui le variabili
dell’ambiente competitivo vengono distinte in fattori ambientali: politico-legislativo, economico, socio-
culturale e tecnologico. Ogni fattore viene articolato nelle sue determinanti, e per ogni determinante viene
misurato l’impatto che può variare da -5 a +5 a seconda che possa essere considerata una minaccia (se è
negativo) o un’opportunità (se è positivo) e di quanto quella minaccia o opportunità può essere pesante.
Attraverso poi il grafico di spezzata che si realizza unendo i punti, è possibile avere una rappresentazione
immediata della situazione generale. Inoltre per ogni micro-fattore è possibile rappresentare anche la
probabilità di accadimento che potrà essere bassa, media o alta e il tempo dell’impatto che potrà essere di
breve, medio o lungo periodo.
Chi decide che valori assumono i vari fattori considerati è ovviamente il management o chi per conto del
management conduce questo tipo di analisi.
MICROAMBIENTE
Il microambiente (che a sua volta include l’ambiente di riferimento e il sistema degli stakeholder)
rappresenta tutte quelle forze a maggior contatto diretto con una data azienda e che possono assumere
una caratterizzazione specifica per la singola azienda, business o prodotto-marchio.
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Chiacchio-Ambrosanio
Alcune delle forze del macroambiente sebbene vadano ad influenzare tutti i settori possono assumere delle
configurazioni diverse e specifiche a livello di microambiente, cioè a livello di settore-business a cui
appartiene l’azienda.
Quelle stesse forze possono poi assumere una configurazione ancora più specifica e diversa a livello di
specifico mercato in cui l’impresa va ad operare (cioè uno specifico segmento di mercato di quel settore).
All’interno dell’ambiente di mercato di riferimento possiamo poi distinguere il sistema degli stakeholder
che rappresenta quell’insieme di attori a stretto contatto con l’impresa (clienti, fornitori, azionisti,
finanziatori ecc.), tanto più l’impresa riesce a gestire meglio questi rapporti tanto più ciò può rappresentare
un punto di forza (o un punto di debolezza in caso contrario). Chiaramente tutte queste forze e tendenze
possono rappresentare delle minacce o delle opportunità per le aziende.
Inoltre l’analisi in tal senso si può ancora approfondire in quanto all’interno di specifici mercati di
riferimento le diverse marche non hanno subìto lo stesso impatto, ma vi sono state marche che hanno
sofferto maggiormente e altre che hanno sofferto meno in termini di riduzione delle vendite.
Graficamente il micro ambiente è contenuto nel macro ambiente perché i fattori macro ambientali
possono condizionare i fattori micro ambientali. I fattori del microambiente sono quelli su cui l’impresa
ha l’opportunità di agire e di condizionarli
LE STRATEGIE COMPETITIVE
Le strategie competitive possono riguardare i diversi livelli dell’impresa: a livello corporate, a livello SBU e a
livello di SAU.
1) Le strategie competitive a livello corporate sono quelle che interessano l’azienda nel suo complesso,
quindi strategie di diversificazione, di integrazione verticale e le strategie orizzontali (cioè quelle strategie
finalizzate a sfruttare più sinergie tra le diverse unità di business).
2) Le strategie competitive a livello di business sono:
- le strategie competitive basate sul vantaggio di costo;
- le strategie competitive basate sul vantaggio di differenziazione;
- le strategie basate sul vantaggio di costo e differenziazione;
- le strategie competitive basate sull’innovazione del valore (c.d. strategie “oceano blu”);
- le strategie competitive basate sul vantaggio di marketing.
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Chiacchio-Ambrosanio
(Affrontiamo le prime 3)
LE STRATEGIE DI COSTO E DI DIFFERENZIAZIONE
- Strategie basate sui vantaggi di costo sono quelle strategie che permettono all’impresa di penetrare nel
mercato tramite l’applicazione di un prezzo competitivo (più basso) grazie alla riduzione del costo medio
unitario dovuto dall’incremento dei volumi di attività e/o dall’esperienza accumulata che permette di
impiegare meno risorse per realizzare uno stesso livello di produzione.
-Strategie basate sui vantaggi di differenziazione sono strategie che consentono all’impresa di far si che il
cliente percepisca il proprio sistema di offerta in maniera differente rispetto a quelli dei competitors. (più
giù sono riportate le leve su cui si basa la differenziazione)
Andando a combinare le due strategie di base Porteriane è possibile costruire la c.d. matrice di White (Da
4).
In caso di combinazione tra una bassa differenziazione e bassi costi la strategia che ne viene fuori è di costo
puro. In caso di combinazione tra alta differenziazione e alti costi abbiamo invece una strategia di
differenziazione pura. Se invece si riesce ad ottenere un’alta differenziazione su una qualche caratteristica
(accessibile dal punto di vista dei costi) ma bassi costi la strategia sarà, appunto, di costo e differenziazione.
Infine ovviamente se con costi alti l’azienda non riesce a differenziare è chiaro che non potrà ottenere
nessun vantaggio competitivo.
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Chiacchio-Ambrosanio
2) L’altra variabile è rappresentata dall’ambito competitivo, cioè l’azienda dove va ad operare: in una o
poche strategic business area (o SBU, è la stessa cosa, oppure in una logica più di marketing “in uno o pochi
segmenti di mercato”), o nell’intero settore (cioè in tutti i segmenti di mercato).
Se l’azienda si concentra in uno o poche aree del settore in caso di vantaggio di costo perseguirà una
strategia di focalizzazione di costo, in caso di vantaggio di differenziazione perseguirà una strategia di
focalizzazione sulla differenziazione.
In caso di focalizzazione sui costi il vantaggio è basato su una fonte di costo esclusiva. Infine in caso di
focalizzazione sulla differenziazione il vantaggio sarà basato su un elemento di differenziazione
“concentrato” sulla specifica area come può essere un elemento non imitabile.
Sulla base delle considerazioni fatte finora la matrice a quattro quadranti che abbiamo visto in precedenza
la possiamo sviluppare in una matrice a sei quadranti (la matrice che parla del superamento del trade/off)
aggiungendo una tipologia di vantaggio competitivo di costi bassi più differenziazione che potrà essere
perseguita o nell’intero settore o in una o poche strategic business area. (PER INTERO SETTORE: si intende
rivolto a più target e viceversa)
• Ryanair: Focalizzazione sui costi. la collochiamo in bassi costi, in termini di ambito competitivo è
focalizzata su un’unica SBU.
• Benetton e Zara: Leadership costo + differenziazione (nell’abbigliamento e negli accessori e il suo
successo l’ha fondato sulla possibilità di offrire una varietà ampissima di colori dei pullover, ed è su
questa variabile che quest’azienda differenzia il suo marchio e poi Benetton opera in tutte le aree
realizzando tutte le componenti per l’abbigliamento)
• Geox : Focalizzazione integrata costi + differenziazione (GEOX: Geox per quanto faccia anche
abbigliamento è molto focalizzato sulla SBU delle scarpe, quindi è collocabile nell’incrocio tra “uno
o poche SBU” e “costi + differenziazione” perché nonostante molti prodotti presentino un prezzo
appartenente alla fascia alta (200-250€) la maggior parte si colloca nella fascia intorno ai 150€).
• Nike: differenziazione.
• Rolex e Converse: Focalizzazione differenziazione (CONVERSE: visto che si rivolge ad un mercato
composto da soli giovani)
• Leadership costo/prezzo: Dacia ( che basa la sua filosofia sull’invitare a comprare la loro macchina
perché costa meno delle altre)
RAGIONAMENTI
L’ideale sarebbe avere una strategia sia di costo e di differenziazione: se l’impresa realizza un prodotto che
viene percepito come migliore e differente rispetto agli altri ad un costo più basso o molto basso, sarà
un’impresa il cui vantaggio competitivo sarà molto sostenibile.
Porter però sostiene che un’impresa riesca a portare avanti entrambe le strategie solo nel breve periodo
mentre lungo periodo dovrà effettuare una scelta. Di regola i fattori alla base della leadership di costo sono
difficilmente conciliabili con i fattori alla base della leadership di differenziazione poiché: l’impresa per far
percepire al cliente che il suo prodotto è differenziato ha bisogno di sostenere i costi abbastanza elevati, ciò
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Chiacchio-Ambrosanio
va in contrasto con il tipo di produzione basata sulla standardizzazione della leadership di costo, necessaria
per sfruttare maggiormente gli effetti scala. Vi sono però delle imprese che hanno costruito l’eccezione alla
regola e sono risultate vincenti proprio perché le hanno combinate.
Ciò è stato possibile perché la differenziazione non è un concetto produttivo ma è un concetto di
percezione del cliente e quindi se l’impresa riesce a sfruttare nelle fasi che il cliente non vede tutte le
economie di scala e di esperienza possibili mentre poi nella fase che il cliente riesce a vedere a rendere il
prodotto differenziato, potrà sfruttare i vantaggi di entrambi i tipi di strategie: differenziare a valle
standardizzare a monte:
Un esempio può essere quello di Zara che è un’azienda che persegue un vantaggio di costo ma allo stesso
tempo persegue un vantaggio di differenziazione avendo scelto bene la caratteristica su cui andare a
differenziare, cioè quella di aver dato ad un prodotto “povero” (nel senso che ha un prezzo basso) una
differenziazione in termini di contenuto moda e in termini di capacità di innovazione su questo aspetto
moda. Le motivazioni che consentono di coniugare questi due vantaggi sono diverse. Un primo elemento è
quello di scegliere un vantaggio di differenziazione che non sia estremamente costoso (come il design, lo
stile, i colori del prodotto, la varietà dei prodotti, e così via) in quanto è abbastanza ovvio che se si intende
realizzare un prodotto che ha dei materiali e delle materie prime molto sofisticate difficilmente quel
prodotto avrà un prezzo basso. Un secondo elemento è quello di riuscire ad avere delle volumi di attività
elevati in modo da poter sfruttare delle economie di scala e poter generare la redditività (ROI) con la
rotazione del capitale (capital turnover) anche avendo margini bassi (ROS)
- Oppure come Ikea , caratterizzata da una produzione fortemente standardizzata e su vasta scala abbinata
ad economie di approvvigionamento notevoli grazie al fatto che acquista elevate quantità di materie prime,
questo però non le impedisce di far percepire al cliente il suo prodotto come differenziato ed infatti il suo
design è progettato per giovani, per coloro che hanno case piccole e così via.
- Oppure McDonald che sfrutta economie di scala basate su approvvigionamento massiccio per diminuire i
relativi costi e differenzia sulla tipologia di panino, sui colori sulla pubblicità, su testimonial e così via.
- Un altro metodo che spesso viene utilizzato per permettere all’impresa di acquisire vantaggi sia nella
leadership di costo che una leadership di differenziazione si basa su processi fortemente automatizzati che
permettono una produzione flessibile : abbiamo detto che la leadership di costo si basa su grandi catene
produttive in cui prodotti sono tutti standardizzati, chiaramente se la domanda di mercato cambia,
un’impresa che pone in essere in questo modo la sua attività produttiva difficilmente riuscire ad adeguarsi
alle richieste di mercato. In questi casi esistono delle tecnologie computerizzate che consentono all’impresa
di cambiare la sua produzione senza però dismettere i costi fissi per sostenere i diversi, questo consente da
un lato di sfruttare i vantaggi connessi ad una leadership di costo ma anche quelli connessi alla
differenziazione.
- Un altro metodo che viene adottato per permettere all’impresa di acquisire entrambi i vantaggi è :
Il Total Quality Management è un approccio manageriale , nato in Giappone, centrato sulla qualità e
basato sulla partecipazione di tutti i membri di un'organizzazione allo scopo di ottenere un successo di
lungo termine attraverso la soddisfazione del cliente e benefici che vadano a vantaggio dei lavoratori e
della società. L'applicazione di questo metodo porta ad esaminare con spirito critico tutti i processi per
rimuovere gli sprechi e le attività che non forniscono valore aggiunto. Questo sforzo continuo verso il
miglioramento aiuta a ridurre i costi.
È possibile distinguere diverse basi della competizione. Alcune possono determinare un vantaggio di costo,
altre un vantaggio di differenziazione.
1) Se ad esempio la base della competizione è la flessibilità, cioè la capacità dell’azienda di rispondere ai
cambiamenti delle esigenze di mercato (ad esempio Zara, che è in grado di rispondere a variazioni di stili e
di moda) può essere considerato come una base su cui fondare un vantaggio di differenziazione o di costo
nel caso in cui si abbiano dei macchinari automatizzati che permettano di modificare la produzione senza
dismettere i costi fissi.
2) L’innovazione può anch’essa essere considerata come una base su cui fondare un vantaggio di costo e/o
di differenziazione, in quanto un’innovazione può anche portare alla differenziazione del prodotto ma
contestualmente ridurre i costi (ad es. di produzione).
3) La base di accesso ai canali consiste nella capacità dell’azienda di governare e presidiare i canali
distributivi. (leadership di costo)
4) La base customer targeting consiste nella capacità di individuare segmenti di clienti “non soddisfatti”
dalla concorrenza. (differenziazione)
5) La base varietà/complementors consiste appunto nella capacità dell’azienda di avere un ampio
assortimento (Benetton, Zara, Ikea) (differenziazione)
6) La base scala/esperienza è chiaramente una base che determina un abbattimento dei costi, ma
l’esperienza può determinare anche un vantaggio di differenziazione (se ad esempio un’azienda innova
continuamente, matura esperienza in questa attività riducendo i costi per implementarla ma
contemporaneamente grazie all’innovazione genera differenziazione).
7) La base customer experience consiste nella capacità di produrre “una certa esperienza al consumatore
nei punti vendita” che può generare un vantaggio di differenziazione.
8) La base standard proprietario consiste nella possibilità di avere uno standard tecnologico di riferimento
di proprietà con cui il prodotto funziona (come Sony con la Playstation, o Microsoft per i PC) e quindi la
diffusione dello standard determina un vantaggio competitivo (suppongo di differenziazione).
9) La base dominant exchange è la priorità di accesso alle risorse, come Google con la ricerca, Amazon per
gli acquisti elettronici (vantaggio di differenziazione/leadership di costo).
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Chiacchio-Ambrosanio
ECONOMIE DI SCALA:
ECONOMIE DI SCALA TECNOLOGICHE DI BREVE PERIODO
Per quanto riguarda le economie di scala di breve periodo esse vengono definite come statiche poiché vi è
invariabilità dei costi fissi che permette attraverso un aumento del volume di attività, di ridurre il costo
medio unitario.
Nel grafico su esposto:
Sull’asse delle ordinate è rappresentato il costo unitario medio mentre sull’asse delle ascisse il volume di
attività o grado di utilizzazione della capacità operativa di un dato sistema operativo. Questo grafico dice
semplicemente che al crescere del volume di attività e, quindi, dello sfruttamento del sistema operativo il
costo unitario medio deflazionato si riduce. Qualora la capacità disponibile dovesse essere sfruttata al
massimo, i costi medi unitari di output per livelli maggiori di utilizzazione della capacità operativa
incominciano a risalire per effetto delle diseconomie organizzative. Per diseconomie organizzative si
possono intendere quelle situazioni in cui: considerando ad esempio come costo fisso un macchinario,
all’aumentare della quantità sicuramente aumenteranno i costi variabili ovvero dovrò impiegare più
energia, dovrò impiegare più operai eccetera. Mentre per quanto riguarda il macchinario, visto che esso
viene sfruttato al massimo, possono esserci dei guasti e quindi abbiamo dei costi relativi alla manutenzione.
Queste situazioni possono comportare un aumento del costo medio unitario di produzione e per questo la
curva tenderà ad un certo punto a crescere.
Ora le considerazioni che abbiamo fatto in precedenza circa l’incapacità dell’impresa di modificare la
capacità dei sistemi operativi e la composizione dei costi fissi nel breve periodo non valgono nel lungo
periodo. Di fatti , le economie di scala di breve periodo sono dette statiche mentre quelle di lungo
periodo dinamiche. Nel lungo periodo l’impresa ha quindi la possibilità di decidere di sostituire il
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Chiacchio-Ambrosanio
macchinario comprandone un altro tecnologicamente più avanzato esso costerà di più ma produrrà
anche di più. Impianti di dimensioni maggiori, generalmente, prevedono un livello maggiore di
meccanizzazione e automazione, e, quindi, un maggiore assorbimento di costi fissi (che quindi riduce il
costo unitario). Congiungendo i costi medi unitari minimi di ciascuna curva di costo di “breve periodo”,
corrispondente ai sistemi operativi di capacità via via maggiore, si ottiene quella che gli economisti
definiscono curva del costo medio unitario di lungo periodo o curva di pianificazione : Tale curva evidenzia
le riduzioni del costo medio unitario minimo di output che si otterrebbero operando con sistemi operativi
di capacità via via maggiori. La curva in questione si definisce di pianificazione perché consente di
pianificare quanto l’impresa dovrà investire nel lungo periodo. Ad esempio, come illustrato in figura, la
differenza [𝐶𝑚𝑖𝑛1– 𝐶𝑚𝑖𝑛2] misura la riduzione del costo medio unitario minimo di output che l’impresa
potrebbe ottenere passando dal sistema con capacità operativa 𝐶𝑃1 a quello avente una capacità operativa
maggiore 𝐶𝑃2. Dato il settore e lo stato tecnologico 𝐶𝑃5 costituisce la capacità operativa “ottima” in
quanto essa consente di produrre al costo medio unitario più basso, tale dimensione viene definita
“dimensione ottimale minima”. La maggior quantità prodotta in corrispondenza della dimensione ottimale
minima bisognerebbe capire se permette di sfruttare al meglio l’effetto scala di lungo periodo e se è
effettivamente vendibile sul mercato. In realtà per cercare di vendere con la maggior quantità sul mercato
si potrebbe optare per un abbassamento di prezzo visto che comunque il miglior sfruttamento delle
economie di scala hanno consentito l’abbassamento del costo, a tal proposito ci si potrebbe però sempre
chiedere se nonostante l’abbassamento del prezzo si riescono considerando l’elasticità della domanda, a
vendere tutta la quantità prodotta in più. La risposta a ciò e che la scelta più conveniente non sarà la
dimensione ottimale minima ma bensì una quantità prodotta inferiore che permetta da un lato di sfruttare
maggiormente le economie di scala e di soddisfare il mercato in maniera coerente con quanto richiesto
dalla curva di costo poiché quest’ultima grazie a quella determinata capacità operativa riesce a essere
venduta completamente sul mercato. Una volta raggiunta quella che è la dimensione ottimale minima,
l’impresa potrà solo replicare quel livello di capacità produttiva, e quindi costituire una capacità operativa
multipla di 𝐶𝑃5 (2𝐶𝑃5, 3𝐶𝑃5, ecc.). Trovandosi però invariato il livello di costo medio unitario (𝐶𝑚𝑖𝑛5) fino
ad un ipotetico nuovo salto tecnologico (macchinario ancora più avanzato sul mercato) che gli consentirà di
ridurre ulteriormente la curva del costo medio unitario; oppure decidere di aggiungere una nuova linea di
produzione (ciò permesso dalla possibilità di sfruttare le economie di impianto per le quali: in molti settori
industriali è stato dimostrato empiricamente che al raddoppio della capacità produttiva consegue un
aumento dell’investimento meno che proporzionale, cioè soltanto di 2𝛼 , dove l’esponente α è compreso
tra 0,6 e 0,8. Ciò significa, praticamente, che ad un aumento del 100% della capacità produttiva di un
impianto dovrebbe corrispondere un aumento del costo per investimenti che va dal 52% all’74%;).
Come accade nelle economie di scala di breve periodo, anche le economie di scala di lungo periodo sono
un concetto applicabile per tutte le altre attività della catena di valore di Porter (non solo quindi per la
produzione ad esempio nel campo della distribuzione una strategia che consente di sfruttare le economie
di scala di lungo periodo potrebbe essere quella di acquistare un camion più grande)
Tali economie di scala interne tecnologiche di lungo periodo possono essere dovute a:
- Diversi rapporti costi fissi/costi variabili. Impianti di dimensioni maggiori, generalmente, prevedono un
livello maggiore di meccanizzazione e automazione, e, quindi, un maggiore assorbimento di costi fissi (che
quindi riduce il costo unitario) rispetto a quelli variabili;
- Differenti rendimenti tecnico-economici (c.d. economie di esercizio). Impianti di dimensioni via via
maggiori, e quindi dotati di tecnologie più evolute, presentano un grado di “efficienza tecnico-economica”
superiore. Pertanto, “a regime”, i costi unitari di esercizio sono più bassi rispetto a quelli che si avrebbero
con impianti di dimensioni minori;
- Differenti variazioni dei costi di investimento rispetto alle variazioni della capacità produttiva (c.d.
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Chiacchio-Ambrosanio
Fino ad ora quando abbiamo parlato di economie di scala abbiamo sempre considerato quest’ultime con
l’aggettivo “interne”, questo per sottolineare che sono economie di scala che l’azienda gestisce. Poi
abbiamo le così dette economie di scala esterne chiamate anche economie di scala gestionali che
afferiscono alle attività non operative ma, appunto, gestionali come la finanza, il marketing, R&S e così via.
Nell’ipotesi in cui l’azienda abbia più unità operative in cui funzionano perfettamente le economie di scala
tecnologiche (rappresentate dalla curva gialla del grafico) quando questa curva è piatta (cioè quando lo
stato della tecnologia non mi consente di ridurre il costo medio unitario minimo, cosicché l’azienda può
solo “moltiplicare” la capacità operativa ottima, il 𝐶𝑃5 del grafico precedente e il CPo di questo grafico) la
curva delle economie di scala di gestione (curva rossa) continua a declinarsi. Questo perché sfruttando le
economie di scala tecnologiche permettono all’azienda di acquisire maggiore dimensione che si traduce in
un maggior potere contrattuale che porta quindi a far diminuire i costi delle attività manageriali ad esempio
nell’ambito della finanza con una maggiore dimensione l’azienda acquisisce un potere contrattuale nei
confronti della banca superiore e, quindi, può spuntare un costo del denaro inferiore .Un altro esempio può
essere dato dal marketing, in quanto aumentando la gamma produttiva nel momento in cui, ad esempio, si
va a contrattare per l’acquisto di spazi pubblicitari, la maggiore dimensione determina ancora una volta un
maggior potere contrattuale e, quindi, la possibilità di poter spuntare un costo di pubblicità inferiore.
su una scala più elevata. Quando questo fenomeno fu analizzato, fu analizzato con riferimento esclusivo
all’area produttiva e quindi con riferimento ai soli costi di produzione. Successivamente ci si rese conto che
questo fenomeno è riscontrabile anche in relazione a tutte le altre attività della catena del valore aziendale.
Proprio per questo le curve di apprendimento (learning curves) vennero denominate curve di esperienza
(experiences curves).
- Una delle cause dell’esperienza possono essere considerate le stesse economie di scala, cioè l’aumento
dei volumi di attività.
- Un’altra ovviamente è connessa all’apprendimento delle risorse umane.
- Un’altra ancora può essere considerata la possibilità di organizzare il lavoro in maniera più efficiente, cioè
più aumenta l’attività più la stessa è organizzata in maniera efficiente.
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Quindi in definitiva, grazie all’esperienza man mano che il volume di attività aumenta il costo unitario
medio deflazionato di quell’attività si riduce. In particolare viene considerato il volume di attività cumulato
(come già detto inizialmente il BCG nell’analizzare le curve di apprendimento supponeva che il volume
raddoppiasse.)
Da un punto di vista grafico, in corrispondenza di volumi di attività cumulati le curve d’esperienza hanno
una pendenza (inclinazione) diversa (100%, 90%, 85%, 80%, e così via).
Tale pendenza esprime il tasso di apprendimento, ovvero la riduzione percentuale determinata nel costo
unitario medio deflazionato ogni qual volta l’esperienza o il volume di produzione aumenta.
Consideriamo la curva con un tasso dell’80%. Questo 80% vuol dire che passando dal volume 𝑉𝐶𝑂1 al
volume 𝑉𝐶𝑂2 (supponiamo da 10 a 20) il costo unitario medio deflazionato passa da 𝐶1 a 𝐶2 dove 𝐶2 è pari
all’80% di 𝐶1 (quindi se 𝐶1 è 100, 𝐶2 è 80), passando da 𝑉𝐶𝑂2 a 𝑉𝐶𝑂3 (supponiamo da 20 a 40) il costo
unitario medio deflazionato passa da 𝐶2 a 𝐶3, dove 𝐶3 è l’80% di 𝐶2 (quindi se 𝐶2 è 80, 𝐶3 è 64), e così via.
Nella curva del 100% l’esperienza è pari a 0, ciò significa che all’aumentare dei volumi i costi unitari restano
costanti. Quindi:
La circostanza in cui i costi restano costanti è quando l’effetto dell’esperienza è pari a 0. Ciò avviene in caso
di attività completamente automatizzata dal momento che le macchine per definizione “non possono
accumulare esperienza”, cioè una volta che la macchina viene impostata su un certo livello produttivo lo
stesso resta costante.
La pendenza della curva di esperienza varia da settore a settore, da azienda ad azienda, da attività ad
attività, e così via. Vi sono degli studi che calcolano qual è il tasso di esperienza da settore a settore.
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Chiacchio-Ambrosanio
L’indagine empirica svolta dalla BCG è stata sintetizzata in una formula. Questa formula permette di capire
quale sarà il costo unitario medio deflazionato futuro , che si ottiene per effetto dell'esperienza.
𝑪𝒊𝒋𝑸𝒕+𝟏 rappresenta il costo unitario deflazionato dell’i-esima unità di output della j-esima attività data
una quantità di output cumulata al tempo t+1 (cioè quanto costa l’i-esima unità di output di una certa
attività j in un tempo futuro) e corrispondente ad una quantità cumulata prevista di output pari a 2Qt, cioè
pari a due volte la quantità al tempo t (nell’impostazione originale della funzione della legge di esperienza
definita dalla BCG si fa riferimento ad volume doppio della quantità cumulata iniziale).
Questo costo unitario è pari al prodotto tra 𝑪𝒊𝒋𝑸𝒕 che rappresenta il costo unitario deflazionato dell’i-
esima unità di prodotto data una quantità di output della j-esima attività cumulata al tempo t pari a Q, e
(𝑸𝒕+𝟏/𝑸𝒕) −𝝀 , dove 𝑄𝑡+1 è la quantità cumulata di output prevista al tempo t+1 e pari a 2Q, 𝑄𝑡 la quantità
cumulata di output di base al tempo t pari a Q, e λ il coefficiente di elasticità della funzione dipendente dal
settore.
Questa formula se mostrata su scala logaritmica: il rapporto (𝑪𝒊𝒋𝑸𝒕+𝟏/𝑪𝒊𝒋𝑸𝒕) ovvero il costo medio
unitario deflazionato (che esprime la pendenza della curva di esperienza 80%, 90% e così via, che abbiamo
visto in precedenza) è esprimibile come un valore k dato e che ovviamente sarà minore o uguale di 1 dal
momento che esprime una percentuale. Da ciò consegue che k è uguale a ( 𝑸𝒕+𝟏/𝑸𝒕 ) −𝝀 .
Poiché abbiamo detto che per ipotesi 𝑄𝑡+1 è 2𝑄𝑡 e Qt è pari a Q , il rapporto tra i due termini sarà pari a 2.
Da ciò consegue che 𝑘 = (2) −𝜆 .
Esprimendo questa relazione in chiave logaritmica significa che 𝑙𝑜𝑔𝐾 = −𝜆𝑙𝑜𝑔2. Da ciò deriva che
𝜆 = − ( 𝑙𝑜𝑔𝑘 /𝑙𝑜𝑔2 ). Grazie a questa relazione, conoscendo k e supponendo che esista quella relazione tra
le quantità, è possibile calcolare λ per ogni valore di k. Oppure conoscendo λ è possibile calcolare k, cioè la
pendenza della curva di esperienza.
L’utilità principale di questa relazione (legge) è data dal fatto che prevedendo una certa quantità cumulata
nel futuro posso definire quale sarà il costo unitario medio futuro più basso per effetto dell’esperienza. Con
questa informazione potrei fissare oggi un prezzo più basso che non produce profitto cosicché posso essere
più competitivo, ma produrrà profitto in futuro quando i costi unitari diminuiranno sulla base di questa
previsione di volumi maggiori.
QUOTA DI MERCATO-PROFITTABILITA-ESPERIENZA
(In un mercato in cui ci sono più imprese che sfruttano le economie di esperienza, quelle con l’esperienza
maggiore (A) , avranno un il costo minore e, di conseguenza, con una marginalità più elevata rispetto al
prezzo corrente medio di mercato. Mentre ci sono aziende (D) che avendo poca esperienza, soffriranno
delle perdite perché che hanno costi superiori al prezzo medio e quindi tenderanno ad uscire dal mercato
nel lungo termine. Se l’azienda D esce dal mercato, le vendite dei prodotti di quell’azienda vengono
ovviamente assorbite pro-quota (in funzione della forza competitiva, cioè della quota di mercato) dai
concorrenti C, B ed A. Se ad esempio A ha una quota di mercato del 50% e D che vendeva 5000 pezzi esce
dal mercato, prevedibilmente A vedrà aumentare le proprie vendite per 2500, cioè in proporzione della
quota di mercato. In tale situazione l’azienda A che presenta la marginalità maggiore potrebbe adottare
delle strategie di prezzo anche molto aggressive per far uscire dal mercato
Consideriamo l’azienda A che è posizionata su un certo livello di costo unitario di prodotto deflazionato
corrispondente ad un certo livello di volume di produzione cumulato. Supponiamo che ci sia un nuovo
entrante B che però non apporta un’innovazione tecnologica, ma semplicemente imita la tecnologia
dell’azienda già presente sul mercato (incumbent) (ciò è evidenziato dal fatto che le rette sono parallele,
quindi la pendenza è la stessa e, quindi, la variazione di costo unitario di prodotto al variare del volume di
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Chiacchio-Ambrosanio
produzione cumulato è identica). B utilizzando la stessa tecnologia quindi utilizzando risorse e competenze
già disponibili ed impiegate dall'azienda A, riesce a posizionarsi su una curva di esperienza più bassa
rispetto a quella di A , avendo la stessa inclinazione di quella sulla quale si muove quest'ultima. In questo
modo a parità di volume di produzione cumulato l’azienda B riesce ad annullare il vantaggio di costo basato
sull’esperienza di A o di altre imprese consolidate.
Se invece il concorrente B nuovo entrante porta una nuova tecnologia più avanzata che ha un tasso di
apprendimento maggiore (si produce lo stesso bene ma l'organizzazione della produzione è posta in essere
in maniera tale che la curva di esperienza sarà più inclinata e con una pendenza maggiore). Avendo una
tecnologia che consente di capitalizzare più rapidamente gli effetti dell’esperienza, potrebbe accadere
anche che l'impresa B produce meno dell'impresa A ma riesca a muoversi su curve di costo più basse ed
avere costi medi unitari di produzione più ridotti.
DIFFERENZIAZIONE
Quando parliamo di “differenziazione competitiva“ parliamo di differenziazione dei prodotti rispetto al
cliente. Differenziare infatti vuol dire posizionare nella mente del consumatore il sistema di offerta
dell’impresa come differente rispetto a quella dei competitors. Tra i vantaggi di una strategia di
differenziazione rispetto ad una strategia di leadership di costo abbiamo:
• la possibilità di ottenere un “Premium Price“ (prodotti con il prezzo più alto nell'ambito di una certa
categoria di prodotti) : l’impresa può estrarre valore dal cliente stabilendo un prezzo elevato
siccome il cliente è disposto a pagare in più in quanto percepisce il prodotto differenziato rispetto
agli altri.
• La leadership di costo è facilmente imitabile a differenza di quella di differenziazione per cui il
vantaggio competitivo ottenuto grazie ad una strategia di differenziazione è più sostenibile rispetto
al vantaggio competitivo ottenuto grazie alla strategia di leadership di costo.
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Chiacchio-Ambrosanio
Per contro però abbiamo che la strategia di differenziazione rispetto alla leadership di costo è più costosa
infatti occorreranno maggiori investimenti in marketing, pubblicità, in innovazione, ricerca e sviluppo,
risorse umane per far percepire al cliente il prodotto differenziato.
• La strategia di differenziazione focalizzata: vuol dire che l’impresa decide di agire su un solo segmento di
mercato concentrandosi su una determinata tipologia di clienti. Es: Ferrari.
L'impresa può decidere di focalizzare per funzioni d'uso della clientela; su specifiche categorie di clientela;
per area geografica; sulla base di richieste specifiche su una determinata fase del processo produttivo; per
livello di servizi (ovvero il prodotto in sé non viene percepito come differenziato dal cliente ma viene
percepito differenziato il livello dei servizi annessi a quel determinato prodotto).
L'impresa come far scegliere tra una strategia di leadership di costo e una strategia di leadership di
differenziazione?
Possiamo in questo caso distinguere tra fattori interni e fattori esterni:
FATTORI ESTERNI:
- La dimensione del mercato: (Esempio: se il mercato è abbastanza piccolo non è conveniente utilizzare una
strategia di leadership di costo visto che essendo piccolo non consente un importante sfruttamento delle
economie di scala o di esperienza)
- La tipologia di settore in cui l’impresa opera (Esempio: se si opera nel mercato di lusso, si potrebbe anche
pensare di adoperare una strategia di leadership di costo ma in questo caso il mercato che richiede che si
adotti una strategia di leadership di differenziazione)
Vi sono anche caratteristiche esterne come le condizioni del mercato che influenzano le scelte strategiche
delle imprese ad esempio: se ci si trova in un mercato dove i beni sono molto fungibili tra loro, all’impresa
converrà maggiormente puntare su una strategia di leadership di costo.
FATTORI INTERNI:
Caratteristiche come: le risorse le competenze possedute e la struttura dei costi vanno quindi ad
influenzare le scelte strategiche dell'impresa.
Mentre per le aziende che presentano una situazione opposta, quindi meno costi fissi, optare per una
strategia di prezzi bassi per aumentare i volumi conviene meno perché l’impatto sui profitti sarà meno che
proporzionale, cosicché sarà maggiormente conveniente puntare su una strategia di differenziazione e,
quindi, su un prezzo più elevato.
Ad esempio ciò è quel che accade con i biglietti aerei, il prezzo dei biglietti aerei se vengono acquistati due
settimane prima sarà inferiore rispetto a se acquistati il giorno prima questo perché i primi biglietti devono
coprire almeno la quantità e il fatturato di Breakeven point ma una volta raggiunto questo obiettivo
l’impresa avrà la possibilità anche di alzare i prezzi dei biglietti.
Formula BEP (a quantità) : CF / Margine di contribuzione unitario ;
BEP ( a fatturato) : CF / Margine di contribuzione %
( Grado di leva operativa: indica la reazione del reddito operativo al variare dei volumi di vendita. Esso
dipende da diversi fattori tra cui la struttura dei costi. Sei un’azienda a elevati costi fissi ha una struttura
rigida e quindi rischiosa, infatti se il fatturato si contrae di molto anche il reddito operativo si contrae di
molto. Sei un’azienda elevati costi variabili ha una struttura più flessibile e meno rischiosa siccome se il
fatturato si contrae, si contrarranno sua volta anche i costi legati adesso con un minor impatto sul reddito
operativo.)
FORMULA: Analiticamente il GLO si calcola moltiplicando la quantità con il margine di contribuzione
unitario ( Q x (Pu-Cvu) ) , il tutto rapportato al margine di contribuzione totale ( Q x (Pu- Cvu) )meno i costi
fissi (- CF). Da questa relazione riemerge quello che abbiamo detto in precedenza: se si considera
un’azienda del tipo A con alti costi fissi il GLO è più alto dal momento che il denominatore ha un sottraendo
che è rappresentato dai CF, che nell’ipotesi considerata sono più elevati (se ad esempio il GLO è pari a 1,50,
ciò significa che se la quantità prodotta-venduta aumenta dell’1% il reddito operativo aumenta dell’1,5%);
mentre se si considera un’azienda del tipo B con bassi costi fissi il GLO è più basso dal momento che il
denominatore ha un sottraendo CF che questa volta è più basso (se ad esempio il GLO è pari questa volta a
0,70, ciò significa che se la quantità prodotta-venduta aumenta dell’1% il reddito operativo aumenta del
solo 0,7%). Quindi riemerge che in questa seconda ipotesi enfatizzare sui volumi non è la strategia più
consona rispetto al primo caso.
Un’impresa che presenta un’incidenza di costi fissi maggiori rispetto a quella dei costi variabili, potrà
sfruttare rispetto dell’impresa dove invece l’incidenza dei costi fissi è minore, maggiori effetti scala qualora
riesca a produrre ma soprattutto vendere la quantità necessaria. Si ritiene quindi che per quelle imprese
che sfruttano le leadership di costo si possa venire a creare una sorta di circolo virtuoso che consenta
all’impresa una serie di vantaggi:
IL CIRCOLO VIRTUOSO:
Il rapporto causa-effetto (o circolo virtuoso) quota di mercato-vantaggio competitivo mostra appunto la
relazione tra questi due elementi. Quanto più aumenta la quota di mercato dell’impresa ovviamente
aumenta il volume cumulato delle attività (i volumi produttivi aumentano, si fa più marketing, più logistica,
e così via). Aumentando il volume cumulato delle attività aumentano le economie di scala e di esperienza,
ciò determina come sappiamo una riduzione del costo unitario medio deflazionato. Questa riduzione può
condurre a due scelte strategiche:
- Ridurre il prezzo grazie alla riduzione di costo, quindi scaricare la riduzione di costo sul prezzo. Ciò accade
evidentemente quando l’azienda si trova in una situazione di stress competitivo, quindi tale strategia le
permette di migliorare la posizione competitiva di prezzo;
- Aumentare il margine di profitto, cioè scaricare la riduzione di costo non su un prezzo inferiore ma su un
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Chiacchio-Ambrosanio
profitto maggiore mantenendo gli stessi prezzi. Questa marginalità superiore potrà essere utilizzata per la
distribuzione di dividendi oppure per il miglioramento del sistema di offerta facendo investimenti in
comunicazione, sul brand, sul miglioramento dei rapporti con i canali distributivi (aumentando ad esempio i
premi di vendita), sul miglioramento del prodotto-servizio, e così via. Tutto ciò può determinare un maggior
vantaggio competitivo di differenziazione. È inoltre possibile porre in essere una combinazione delle prime
due scelte, andando a scaricare il minor costo in parte sul prezzo e in parte sui margini e investimenti sul
sistema di offerta, ottenendo un vantaggio cumulato differenziazione-costo/prezzo. Ovviamente la scelta
tra le varie strategie dipende dalla specifica situazione competitiva dell’impresa. Qualora la scelta dovesse
essere compatibile con questa situazione presumibilmente ciò condurrà ad un ulteriore aumento della
quota di mercato che riattiva il circolo virtuoso.
Per sviluppare il concetto di innovazione di valore gli autori sfruttarono due strumenti :il quadro strategico
e il framework delle quattro azioni.
Successivamente si andrà ad utilizzare il “frame work delle quattro azioni”. Questo strumento, partendo
da fattori competitivi di successo, target e bisogni che si vogliono soddisfare, andrà a determinare una
nuova curva del valore. Si andranno a scegliere quali azioni di eliminazione (fattori che se eliminati lasciano
il target indifferente) riduzione (fattori non determinanti che possono essere ridotti anche in misura
considerevole) aumento(Fattori che coerentemente col target devono essere aumentati siccome
quest’ultimo non è pienamente soddisfatto) e creazione ( fattori non presenti ma che sarebbero graditi dal
target)dovranno essere attuate.
ESEMPIO CIRC DU SOLEIL
Il proprietario del circo ha ottenuto successo proprio grazie ad una strategia di innovazione di valore.
Il Cirque du soleil ha creato un tipo di offerta diversa, assimilabile ad uno spettacolo teatrale cambiando
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Chiacchio-Ambrosanio
quindi anche il target, non rivolgendosi più a bambini e famiglie ma a un pubblico prevalentemente adulto.
creando un sistema di offerta coerente con il bisogno e il target contenendo i costi.
Per quanto riguarda il quadro strategico sull’asse delle ascisse poniamo tutti i fattori competitivi che
consentono di avere successo all’interno del settore circo come ad esempio prezzo, Star internazionali,
animali ecc. Sull’asse delle ordinate abbiamo l’unità di misura che varia, con riferimento ai fattori scelti
sull’asse delle ascisse, in base al circo che stiamo analizzando.
Assegnando a ciascun fattore la sua unità di misura coerente con il circo analizzato si otterranno tre diverse
curve di valore: quella del Cirque du Soleil, quella dei circhi locali e quella del circo leader (ringling bros).
Per quanto riguarda il frame work delle quattro azioni possiamo dire che le azioni poste in essere sono
state le eliminazione degli animali la riduzione dei clown e delle Star, aumento del prezzo (in maniera
coerente al target), creazione di una trama (tutte le esibizioni sono legate tra di loro attraverso una trama
scelta)
LA MATRICE DI ANSOFF
La matrice di Ansoff si utilizza per capire le strategie di crescita di un’impresa. La matrice indica che le scelte
dell’impresa possono essere modellate in termini di scelte di prodotto (prodotto attuale o prodotto nuovo)
o di mercato (mercato attuale o mercato nuovo.)
1, 2 e 3 sono strategie espansive in quanto la 2 tende a migliorare la penetrazione del mercato, la 1 tende
ad assegnare a nuovi prodotti le stesse missioni, la 3 tende a definire nuove missioni per gli stessi prodotti.
La 4, che è la strategia più complicata, tende a dare a nuovi prodotti nuove missioni e, quindi, a
diversificare. La strategia n° 1 è una strategia di livello SBU che coinvolge direttamente il marketing e la
R&D perché si vanno a creare nuovi prodotti (R&D Research and Development) per soddisfare bisogni che
già sono soddisfatti (Marketing). Le strategie 2 e 3 sono strategie orientate al vantaggio di marketing
perché con con la 2: gli stessi prodotti si va a lavorare sugli stessi target di clienti penetrando meglio quel
tipo di mercato e con la 3: a quegli stessi prodotti vengono assegnate nuovi missioni e quindi si va ad
operare su target di clienti diversi.
1. Quando ricorre un prodotto attuale e il mercato attuale la strategia seguita dall’impresa viene definita di
‘penetrazione del mercato’ in cui l’impresa può aumentare le vendite mantenendo fissi costi o aumentarne
il prezzo; migliorando la competitività del prezzo, la penetrazione dei canali distributivi, migliorando il
servizio al cliente, ampliando l’assortimento dei prodotti in lunghezza e in profondità, ecc.
2. Dove ricorre l’introduzione di nuovo prodotto ma il mercato è sempre lo stesso l’impresa sta
perseguendo una strategia di sviluppo del prodotto.
3. Dove ricorre invece un prodotto attuale ma inserito in un mercato nuovo l’impresa sta perseguendo la
strategia di sviluppo economico, cerco cioè di vendere lo stesso prodotto in un mercato differente in cui
per differente non si intende soltanto dal punto di vista geografico ma anche di clienti diversi eccetera.
4. Dove ricorre un nuovo prodotto e anche un nuovo mercato l’impresa sta perseguendo una strategia di
diversificazione.
2° MATRICE DI ANSOFF
Concentrandoci sulle strategie di diversificazione possiamo parlare della 2° Matrice di Ansoff (Allargata)
se un business va in crisi ce n’è un altro che magari è più florido. (base tecnologica di base correlata)
Al giorno d’oggi però vista l’elevata competizione e dinamicità entrare in un nuovo business potrebbe
addirittura aumentare il rischio di impresa: perché non si è in grado di sostenerlo.
Tuttavia i nuovi prodotti potranno avere una base tecnologica correlata a quella attuale:
Ad esempio: quando Samsonite dalla valigeria è passata alle calzature entrambe realizzate in pelle;
o una base tecnologica non correlata , quindi completamente nuova:
Ad esempio: se dalle valigie fosse passata a fare, ad esempio, gli elettrodomestici è chiaro che la base
tecnologica sarebbe stata completamente nuova.
Le nuove missioni possono essere utili per i clienti dello stesso tipo di quelli precedenti, per la stessa
impresa che quindi diviene cliente di sé stessa, per clienti di tipo analogo o, infine, per clienti
completamente nuovi.
1) Se l’azienda realizza nuovi prodotti indipendentemente dalla base tecnologica, ma va a servire gli stessi
clienti soddisfacendo nuovi bisogni la diversificazione è di tipo orizzontale. (Se supponessimo di essere
un’azienda automobilistica : produzione di moto/scooter)
2) Se invece l’azienda realizza nuovi prodotti indipendentemente dalla base tecnologica, ma va a servire sé
stessa è chiaro che siamo di fronte ad una strategia di integrazione verticale (che quindi è una forma di
diversificazione). (riprendendo l’esempio di prima: produrre anche le componenti delle auto)
3) Se l’azienda crea nuovi prodotti indipendentemente dalla base tecnologica e va a servire clienti di tipo
analogo la diversificazione si dice concentrica. (Produrre: macchine aziendali/agricole)
La stessa diversificazione la si ha anche se l’azienda realizza prodotti nuovi con base tecnologica correlata
ma va a servire clienti completamente nuovi. (produrre: autobus)
4) Infine se l’azienda realizza non solo prodotti completamente nuovi in quanto la base tecnologica non è
correlata, ma va a servire anche clienti completamente nuovi la diversificazione di dice conglomerata.
(produrre: motori aerei)
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Chiacchio-Ambrosanio
2. stringere accordi con delle imprese senza acquisirle ponendo in essere una strategia basata sulla
collaborazione: questa soluzione presenta come vantaggio una drastica riduzione dei costi per
l’acquisizione di risorse e competenze che non si posseggono.
3. L’impresa organizza da sola l’attività produttiva necessaria per quel business.
1. integrazione a monte che si verifica quando un’azienda decide di assumere il controllo di uno
stadio antecedente del percorso di creazione del valore ad esempio un’impresa che produce vestiti
decide di produrre anche tessuti.
2. integrazione verticale a valle che si verifica quando un’impresa si proietta in avanti verso i mercati
di collocamento finale dei prodotti cioè entra in un mercato più vicino a quello di acquisto finale ad
esempio un’impresa che produce vestiti decide di acquistare i negozi all’interno dei quali vendere i
propri vestiti.
Tra le due l’integrazione più rischiosa è l’integrazione a valle in quanto implica un cambiamento dei clienti
finali e dei concorrenti-> riprendendo l’esempio dei vestiti inizialmente i clienti finali erano i distributori
(che diventano concorrenti ) mentre con l’acquisizione di negozi i clienti diventano i consumatori.
1. lo sfruttamento di economie di scala comportando una riduzione del costo medio di produzione
2. Crescita di dimensioni che porta ad avere più potere all’interno del mercato
3. Maggiore controllo delle attività.
Tra gli aspetti negativi dell’integrazione verticale abbiamo la rigidità che rappresenta un rischio in quanto
l’impresa in un mercato in continuo cambiamento trova difficoltà ad adattarsi e quindi rischia di essere
fuori dal mercato.
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Chiacchio-Ambrosanio
Opposta alla strategia di integrazione verticale vi è la strategia di outsourcing. Le imprese che decidono di
fare outsourcing sono quelle imprese che si rendono conto di non avere tutte le competenze necessarie per
poter sopportare una politica strategica di integrazione verticale.
PIANO DI MARKETING
Viene svolto a livello funzionale.
È articolato in :
1. Situation analysis: può essere effettuata sia un’analisi interna (per stabilire i punti di forza e debolezza
rispetto ai concorrenti) sia un’analisi esterna (individuare eventuali minacce e le opportunità)
Si articola in:
1)ANALISI: Vengono svolte diverse analisi sia di tipo interno che di tipo esterno:
INTERNE
- analisi della performance attuale: cioè vedere gli andamenti di fatturato, costi ecc
- posizione competitiva e dei fattori chiave di creazione di valore per i clienti: quali sono i fattori su cui
l’azienda deve agire per ottenere vantaggio competitivo
ESTERNA
- analisi della domanda di mercato e delle tendenze : stabilire se la domanda di mercato sta crescendo, è
stabile ecc
- Analisi dei bisogni dei consumatori
- Analisi dei concorrenti: capire come operano i concorrenti andando ad esempio ad analizzare I loro
prodotti
- analisi dell’attrattività del settore
INTERNA ED ESTERNA
- analisi della quota di mercato: è un tipo di analisi che può essere considerata sia interna che esterna
perché si rapportano le vendite dell’azienda con il totale delle vendite complessive
Tutte le precedenti analisi permettono di poter effettuare l’analisi SWOT che stabilisce :
-Forze: le fonti uniche del il vantaggio competitivo su cui il piano di marketing deve focalizzare l’attenzione
-Debolezze: le circostanze che limitano la performance
-Opportunità: le potenzialità che bisogna sfruttare per migliorare la propria profittabilità
-Minacce: i fattori che nel presente e nel futuro potrebbero limitare o impedire la performance
2. STRATEGIE DI MARKETING
Le strategie business possono essere impostate anche a livello di singola attività.
La Strategia di marketing, in particolare, è una strategia che si basa sul vantaggio che l’azienda riesce ad
ottenere su una specifica attività della catena del valore, cioè l’attività di marketing (quindi è una strategia
a livello di attività), ma ciò non toglie che un’unità di business possa fondare la propria strategia e il proprio
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Chiacchio-Ambrosanio
vantaggio competitivo su questa specifica attività, cosicché può essere considerata anche una strategia
competitiva a livello SBU.
I vantaggi competitivi che è possibile perseguire con questa strategia sono:
- vantaggio di quota di mercato leader, cioè l’azienda lavora per avere una quota di mercato assoluta più
alta delle altre aziende, come la Lines che nei prodotti dell’assorbenza ha una quota di mercato del 70%,
questa tipologia di vantaggio ovviamente porta ad un automatico vantaggio di costo rispetto ai concorrenti
(anche se i prodotti Lines sono premium price, cioè presentano un prezzo più alto, cosicché l’azienda in
questo modo e in questo caso riesce a scaricare questo vantaggio di quota sul profitto anziché sul prezzo);
- vantaggio di linea di prodotto, cioè l’azienda lavora sull’ampiezza, sulla lunghezza e sulla profondità
dell’assortimento, come Barilla che ha tante linee di prodotto (pasta, biscotti, sughi ecc., ampiezza), queste
linee sono lunghe (tante tipologie di prodotto per ogni linea, si pensi alle diverse tipologie di pasta, biscotti
ecc.), inoltre per ogni tipologia di prodotto vi sono diverse varianti (profondità);
- vantaggio di presidio dei canali distributivi, quindi avere un’alta copertura numerica e/o ponderata;
- vantaggio di costi di marketing, come Easyjet e Ryanair che puntano molto sull’abbattimento dei costi
commerciali e di marketing.
Gli elementi che compongono la strategia di marketing sono:
- la strategia di market targeting, cioè definire i segmenti di mercati che si intende servire che, a sua volta,
dipenderà dall’attrattività dei vari segmenti di mercato definiti nell’analisi della situazione; il grado di
attrattività è a sua volta influenzato da una serie di fattori come lo sviluppo prospettico della domanda,
l’intensità della competizione nei segmenti, l’accessibilità dei segmenti e così via.
Si possono impostare diverse strategie di marketing sulla base della segmentazione del mercato ovvero
fare:
- mass-market strategy, cioè andare sul tutto il mercato in maniera indifferenziata, oggi è difficile trovare e
implementare con successo una strategia del genere;
- large-segment strategy, cioè andare ad operare sul segmento più grande;
- adjacent-segment strategy, cioè operare sul segmento più grande e su quelli adiacenti, come Nike che
opera sulle scarpe ma poi anche sull’abbigliamento sportivo;
- multi-segment strategy, cioè andare a lavorare su tutto il mercato suddividendolo nei vari maggiori
segmenti;
- small-segment strategy, cioè una strategia focalizzata su un segmento di mercato;
- niche-segment strategy, cioè una strategia focalizzata su una nicchia del segmento di mercato.
- Sub-segment strategy, che va a stratificare il mercato nei vari sub-segmenti e per ogni segmento adotta
una strategia differente.
- strategia di posizionamento vs concorrenti nel settore, di prodotto-marca, cioè definire come competere
sui segmenti di mercato prescelti; Per definire questo aspetto bisogna ragionare sulla value proposition e
quindi cercare di conferire al prodotto-marca un posizionamento distintivo, unico e chiaro nel sistema
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Chiacchio-Ambrosanio
percettivo e cognitivo del consumatore rispetto ai prodotti-marche concorrenti avendo riguardo ai fattori
chiave di scelta di acquisto del target di clienti.
- obiettivi di performance e investimenti, quindi definire gli obiettivi di fatturato, di margini di profitto, di
investimenti che si vogliono compiere in innovazione di prodotto, canale, comunicazione, ecc.; quindi
sostanzialmente bisognerà costruire dei conti economici previsionali.
- obiettivi di quota di mercato, cioè definire qual è la quota di mercato che si intende ottenere.
Dopodiché sulla base di queste informazioni si definirà in termini operativi la strategia di marketing come si
implementa (decisioni di marketing mix): quale prezzo, quale prodotto, quali canali, quale comunicazione.
POTENZIALE DI MERCATO
Riferendoci sempre al primo step della pianificazione strategica (analisi della situazione) qui affrontiamo un
punto dell’analisi esterna. In particolare l’obiettivo è capire qual è il nostro mercato.
Per l’azienda in una logica di marketing: il mercato è rappresentato dai consumatori. Ma non solo i
consumatori attuali ma i consumatori in target, cioè i consumatori che hanno il potenziale per acquisire
quel tipo di prodotto.
(Per potenziale di mercato (non assoluto ma come concetto generale) ci si riferisce a quella parte di
mercato costituita da soggetti potenzialmente interessati a determinati prodotti/servizi.)
Il concetto di potenziale di mercato assoluto è proprio questo cioè la massima opportunità economica che
un dato mercato è in grado di offrire. Tale opportunità si configura allorquando:
- ogni cliente in target del prodotto-servizio lo impiega effettivamente;
- ogni cliente in target utilizza il prodotto servizio in ogni occasione d’uso possibile;
- ogni qualvolta il prodotto-servizio è utilizzato lo è nella quantità ottimale (dose ottimale).
Più l’azienda è in grado di sviluppare questi 3 aspetti maggiore sarà la possibilità del mercato di
raggiungere il proprio potenziale assoluto.
Più precisamente il potenziale di mercato al tempo t (𝑷𝒐𝒕𝑴𝒌𝒕𝒕 ) è pari al prodotto tra il numero di
consumatori totali al tempo t (𝑵𝑪𝑻𝒕 ), al totale delle occasioni d’uso al tempo t (𝑶𝒕 ) e alla dose piena al
tempo t (𝑫𝑷𝒕 ). Si precisa “al tempo t” perché chiaramente ogni elemento considerato non è statico ma
dinamico e di conseguenza lo stesso potenziale di mercato può variare nel tempo.
Ciò può avvenire per diversi fattori (tecnologici, sociali, innovativi ecc.).
-Esempio: quando le compagnie aeree hanno capito che c’era un segmento di mercato formato da clienti
che non usava l’aereo per questioni economiche e che c’era la possibilità di rivolgersi a questa tipologia di
clienti mutando il modello di business, diventando low cost. Facendo ciò hanno sostanzialmente
incrementato il potenziale di mercato su quel business.
Per aversi un mercato è innanzitutto necessario che vi siano consumatori che abbiano interesse verso una
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categoria di prodotti. Tuttavia questa condizione non basta. Per aversi un mercato è necessario che
quell’interesse sia “disponibile”, cioè che ci siano le condizioni soggettive (ad esempio disponibilità
economica) e oggettive (ad esempio di accesso, se un consumatore non ha il canale distributivo nella sua
zona chiaramente non può accedere al prodotto) da parte del consumatore per “soddisfare”
quell’interesse. Se ciò si verifica questo mercato viene definito mercato potenziale disponibile qualificato.
Il potenziale di mercato disponibile qualificato per i beni e servizi di largo consumo è dato dal
prodotto di:
1) (𝑵𝒕 ) = Il numero di clienti che vive nell’area geografica di cui si vuole stimare il potenziale e che
potrebbe acquistare il prodotto in quanto interessati ( la % del target group calcolata in relazione al numero
di clienti)
2) (𝑷𝒕 ) = % di coloro che non hanno impedimenti soggettivi ed oggettivi all’acquisto del prodotto (es.:
reddito o altri aspetti soggettivi, impedimenti di accesso all’offerta);
3) (𝑶𝒕 ) = n°max di occasioni d’uso del prodotto o servizio nell’unità di tempo (2 volte al gg per 365 giorni);
4) (𝑫𝑷𝒕 ) = dose piena, massima quantità di prodotto utilizzabile per ogni occasioni di consumo.
Un altro esempio ma questa volta relativo a beni e servizi durevoli, come le lavastoviglie.
Il potenziale di mercato è dato dalla somma tra la domanda di primo acquisto (𝑫𝑶𝑴𝑷𝑨𝒕 ) cioè la domanda
di attrezzaggio, e la domanda di sostituzione (𝑫𝑶𝑴𝑺𝑶𝑺𝑻𝒕 ) cioè quella che sostituisce un bene durevole
che è sottoposto ad un processo di obsolescenza, guasto ecc.
La domanda di primo acquisto è dato dalla stima di costituzione nuovi nuclei familiari al tempo t (𝑵𝑵𝑭𝒕 )
moltiplicato per un primo tasso di conversione % dei nuovi nuclei familiari che si stima acquisteranno il
bene in questione al tempo t (𝑻𝑪𝒕 𝟏 ), il tutto sommato per il prodotto tra i non utilizzatori storici all’anno t
(𝑵𝑼𝑺𝒕 ) e il secondo tasso di conversione % dei non utilizzatori che si stima acquisteranno il bene in
questione all’anno t (𝑻𝑪𝒕 𝟐 ).
La domanda di sostituzione è data dal prodotto tra il numero di nuclei familiari all’anno (Nx) e la
percentuale di nuclei familiari in possesso del bene considerato o che non hanno impedimenti economici e
tecnici all’uso del prodotto (𝒑𝒕 ), meno le unità del prodotto attualmente in uso (𝑼𝒖𝒔𝒐𝒕 ), sommato il
numero di prodotti che è stato venduto n anni prima dove n corrisponde alla vita tecnica utile del prodotto
in questione (𝑼𝒔𝒐𝒔𝒕𝒕 ).
La Domanda effettiva o primaria è cioè quella che dipenderà dall’ammontare complessivo degli
investimenti in marketing di tutte le aziende del business.
La domanda primaria di mercato è data dalla sommatoria delle vendite di tutte le aziende al tempo t (∑
𝑸𝒊𝒕 𝒏 𝒊=𝟏 ). E’ data dal prodotto tra gli utilizzatori effettivi al tempo t (𝑼𝒆𝒇𝒇𝒕 ), le occasioni d’uso effettive
al tempo t (𝑶𝒆𝒇𝒇𝒕 ) e la dose piena effettiva al tempo t (𝑫𝑷𝒆𝒇𝒇𝒕 )
- Il gap di potenziale al tempo t (𝑮𝒂𝒑𝑷𝒐𝒕𝒕 ) è dato dalla differenza tra il Potenziale di mercato meno la
Domanda effettiva o primaria (𝑸𝒕 ).
Oltre alla domanda primaria, è possibile individuare una Domanda d’impresa o Domanda secondaria:
(𝑸𝒊𝒕), quantità vendute dall’azienda i-esima al tempo t) che è data dal prodotto tra:
La quota di mercato dell’azienda i-esima (𝑸𝑴𝒊 ) e la domanda primaria (𝑸𝒕 ).
Inoltre possiamo individuare anche un Potenziale di mercato dell’impresa che sarà funzione degli
investimenti totali dell’impresa non solo in marketing ma anche in termini di strutture produttive.
Gap concorrenziale : La distanza tra domanda secondaria e domanda primaria e indica quanta parte del
mercato è in mano dei concorrenti.
Gap di potenziale della specifica azienda : rispetto al potenziale mercato: è dato dalla differenza tra il
potenziale assoluto di mercato e la domanda secondaria.
È possibile individuare diverse tipologie di gap che nel complesso determinano il gap di potenziale.
Ci sono delle cause di questo gap che vengono definite di primo livello, nel senso che riguardano la
struttura del mercato, quindi esterna rispetto alla singola impresa.
I gap correlati alle condizioni relative alla domanda:
- il gap dei non utilizzatori (no user gap) che rappresenta i potenziali clienti in target ma non utilizzatori, ad
esempio clienti golosi di nutella ma che non l’acquistano perché sono a dieta; dato dal differenziale tra gli
utilizzatori potenziali e gli utilizzatori effettivi;
- il gap di occasioni d’uso (light user gap), determinato dai consumatori che impiegano il prodotto
limitatamente ad alcune occasioni rispetto a quelle potenziali, dato dal differenziale tra le occasioni
complessive potenziali e le occasioni in cui effettivamente il prodotto viene utilizzato;
- il gap di uso leggero (light usage gap), cioè ridotta quantità di prodotto nella singola occasione d’uso,
dato dal differenziale tra la dose ottimale e la dose effettiva.
Tuttavia vi sono anche cause di secondo livello che riguardano condizioni interne all’impresa, cioè a scelte
aziendali relative alle leve del marketing mix (prodotto, distribuzione, prezzo, comunicazione, packaging
ecc.).
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Chiacchio-Ambrosanio
Entrambi i livelli del gap sono interrelati nel senso che un gap di non utilizzatori o di occasioni può essere
determinato da un gap di comunicazione (non comunico tutte le possibili occasioni d’uso, il consumatore
“non conosce” il prodotto per insufficiente comunicazione)
QUOTE DI MERCATO
La quota di mercato può essere considerata come uno strumento diagnostico, nel senso che se è analizzata
bene consente di avere delle informazioni importanti ai fini della decisione strategica ed operativa che
l’azienda deve fare nel mercato di riferimento. Analizzare la quota di mercato, significa effettuare l’analisi
per capire qual è il potere di mercato che l’azienda ha attraverso i suoi brand . La quota di mercato
(market share) è definibile come il rapporto tra il volume di vendite dell’azienda i sul prodotto/marca j e
la sommatoria delle vendite di tutte le aziende del mercato di riferimento di quel prodotto.
I principali indici o metriche che permettono di calcolare le performance di mercato oltre alla stessa quota
di mercato (MSI) sono la MDI (indice di sviluppo del mercato) e l’SDI (indice di sviluppo della quota di
mercato)
1) L’indice di sviluppo della quota di mercato (SDI) : rapportando la quota di mercato attuale e la quota di
mercato target.
2) l’MDI (Market Development Index) cioè l’indice di sviluppo del mercato (cioè il tasso di sfruttamento
del mercato oggi rispetto al potenziale) dato dal rapporto tra la domanda primaria corrente di mercato
(DPCM) e il potenziale di mercato (MP).
Diversi sono gli scenari che possono verificarsi in base a questi indici, come:
1) Vi è la circostanza che il mercato nella sua globalità cresce perché cresce l’MDI (e quindi la domanda
primaria) e l’SDI resta immutato, il che vuol dire che l’azienda aumenta i suoi volumi di vendita ad un tasso
pari alla crescita del mercato stesso e quindi riesce a “mantenere” la sua quota. Infatti se non riuscisse ad
incrementare i propri volumi ad un tasso perlomeno pari al tasso di crescita del mercato l’azienda vedrebbe
erosa la propria quota a vantaggio dei concorrenti, quindi l’SDI si sposterebbe a sinistra;
2) Il caso in cui l’azienda a parità di domanda primaria (che quindi non aumenta) aumenta la propria quota
di mercato e quindi il proprio SDI; (e viceversa)
3) Quello in cui il mercato aumenta il proprio sviluppo perché aumenta la domanda primaria e
contemporaneamente l’azienda aumenta il proprio SDI perché riesce a crescere in termini di volumi ad un
tasso superiore rispetto al tasso di crescita del mercato nel suo complesso;
Per calcolare la quota di mercato è innanzitutto necessario definire l’oggetto di riferimento, che può essere:
- la famiglia di prodotti, cioè l’insieme di prodotti che sono in grado di soddisfare un bisogno di base, ad
esempio tutti i prodotti alimentari;
- classe di prodotto, cioè un gruppo di prodotti all’interno di una famiglia che soddisfano una determinata
funzione, ad esempio i prodotti surgelati;
- la linea di prodotto, cioè un insieme di prodotti all’interno di una classe che presentano una correlazione
sotto qualche aspetto (prezzo, canale di vendita, modalità d'uso, target di clienti) es: primi piatti, secondi
piatti, dessert ecc..
- prodotto o tipo di prodotto, cioè prodotti di una stessa linea con una determinata forma, ad esempio i
cannelloni;
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- La quota di mercato assoluta sul prodotto i-esimo dell’azienda j-esima è pari al rapporto tra le vendite che
l’azienda j-esima fa sul prodotto i-esimo e la sommatoria delle vendite del mercato di riferimento. Questo
indice come detto in precedenza si può calcolare a valori monetari correnti ,costanti e a quantità.
- La quota di mercato relativa è detta così perché il termine di paragone non sarà il mercato complessivo
ma un’altra azienda concorrente. È possibile distinguere due tipologie di indici:
1) il primo calcola la quota di mercato dell’azienda leader (L) del mercato, rispetto ai c.d. followers (F);
2) il secondo calcola la quota di mercato di una generica azienda j (non leader) rispetto alla leader del
raggruppamento competitivo o strategico
E’ importante non fermarsi al calcolo della sola quota di mercato assoluta ma di calcolare anche quella
relativa che ci permette di ottenere informazioni più dettagliate sui punti di forza e debolezza dell’impresa
rispetto ai suoi competitors. Inoltre il calcolo della quota relativa permette alle aziende di verificare quali
tra i propri prodotti dell’assortimento sono più forti e quali meno (c.d. analisi del portafoglio prodotti).
La scomposizione della quota di mercato calcolata o a quantità (calcolata a volumi di prodotto) o a valore:
E’ una tipologia di analisi con cui è possibile individuare dove è necessario o prioritario agire per
“migliorare” la quota di mercato, quindi sul numero dei consumatori, sulla fedeltà dei consumatori o
sull’intensità di acquisto degli stessi consumatori.
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Chiacchio-Ambrosanio
La quota di mercato calcolata a volumi di prodotto , QUANTITA' (litri, quintali, numero di confezioni ecc.):
La quota di mercato a livello consumer , calcolata a quantità la possiamo scomporre nel prodotto di tre
indicatori:
1) il tasso di copertura: (𝑵𝒎) / (𝑵𝒄) : è chiamato di COPERTURA: perché indica quanto il mercato è
coperto dal prodotto dell’impresa in analisi.
(Il numero di clienti della marca (m) (include tutti coloro che almeno una volta hanno acquistato il prodotto
a marca m nell’unità di tempo considerata) /
Il numero di clienti della categoria (c) a cui appartiene il prodotto a marca (m) e include tutti coloro che
almeno una volta hanno acquistato un prodotto di quella categoria di qualsiasi marca)
Quest’indice può variare tra 0 ed 1.
2) il tasso di fedeltà o esclusività (penetrazione orizzontale) : (𝑸𝒎𝒎) / (𝑸𝒄𝒎) : indica quanto del prodotto
il consumatore acquista rispetto alle altre marche.
(La Quantità di marca (m) acquistata dai consumatori della marca (m) in un certo lasso di tempo /
La quantità di prodotto (di marca m e non) appartenente alla categoria (c) acquistata dagli acquirenti della
marca (m) )
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Questo tasso misura quanto intenso è l’acquisto del consumatore medio della marca m rispetto al
consumatore medio della categoria (c) a cui la marca (m) appartiene. Cioè individua non il consumo medio
della marca (m) ma il consumo medio della categoria merceologica.
Questo rapporto di due rapporti (o di due medie) potrà chiaramente essere >, = o < di 1:
- Se > di 1 significa che i consumatori del marchio m acquistano i prodotti appartenenti alla categoria
(quindi tutti i marchi compreso quello esaminato) con un’intensità superiore rispetto alla media di tutti i
consumatori dei prodotti di quella categoria (quindi i consumatori del marchio m vengono definiti in questo
caso high spending).
- Se è < di 1 il consumatore del marchio sarà (low spending) perché in media acquista con un’intensità
inferiore quella categoria di prodotto rispetto alla media di tutti i consumatori della categoria.
- Se è = a 1 significa che il comportamento di acquisto del consumatore del marchio m è perfettamente in
linea con il comportamento di acquisto della media del mercato di riferimento.
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- Un'azienda si definisce Price Leader : quando presenta un prezzo medio superiore rispetto al prezzo
medio del mercato di riferimento e lo si può constatare anche dalla differenza tra QM a valore e a quantità,
quando ovviamente la QM a valore è maggiore della QM a quantità.
- Un'azienda si definisce Price Taker: Se la quota di mercato a valore è inferiore alla quota di mercato a
quantità (o se il tasso di selettività fosse inferiore a 1). E ciò indica la posizione dell’azienda che è follower
dal punto di vista del prezzo di mercato.
Se due imprese o due marchi A e B presentano lo stesso fatturato e le stesse vendite a quantità ma la prima
presenta un tasso di penetrazione o di copertura (quanti clienti ha ) maggiore della seconda si
deduce che i consumatori dell’impresa/marca A sono più leggeri (low users) rispetto ai consumatori
dell’impresa/marca B che sono più pesanti (heavy users) o alto spendenti. (ad esempio per
l’impresa/marca A ci sono 5 clienti che acquistano ciascuno un prodotto, mentre per l’impresa/marca B
ce n’è uno solo che ne acquista 5 di prodotti)
Supponendo aziende con la medesima quota di mercato ma tassi differenti possiamo comprendere che :
Aziende con un tasso di copertura alto (numero di clienti) e un basso livello di fidelizzazione presentano :
Aziende con un tasso di copertura basso (numero di clienti) ma altamente fidelizzati presentano:
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Se ci fermassimo all’analisi della quota di mercato assoluta non riusciremmo a leggere “in profondità” la
forza/debolezza di un’impresa su di un mercato, mentre se si confronta la situazione dell’impresa rispetto
ai competitors di riferimento è chiaro che si può capire con maggiore profondità la forza o debolezza
dell’impresa in esame.
Di fatti se considerassimo un impresa X che ha 2 prodotti-marchi che posseggono la stessa percentuale di
quota assoluta di mercato, sarà necessario integrare l’analisi della quota relativa così che:
Se nel caso la % di quota relativa fosse maggiore un uno dei due marchi-prodotti , quest’ultimo sarà
certamente da preferire l’altro, in quanto espressivo di una forza notevolmente superiore rispetto ai
concorrenti.
L’impresa Leader ha un vantaggio in termini di economie di scala molto forte rispetto ai concorrenti, che le
consente di abbassare il prezzo o di concorrere sul prezzo/o sulla profittabilità e quindi sulla capacità di
investimento.
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Chiacchio-Ambrosanio
È possibile con questi dati costruire un Indice di provvista del canale o di un singolo punto vendita
rapportando la giacenza in stock (cioè la giacenza media di magazzino nel periodo considerato) e il sell out
mensile.
Questo indice può esprimere sia andamenti fisiologici legati ad esempio alla stagionalità ma anche
andamenti patologici, se ad esempio è troppo alto in un certo periodo devo compiere delle verifiche per
capire perché le giacenze dei punti vendita sono così alte rispetto alle vendite.
Quindi è sostanzialmente un indicatore del livello di efficienza della marca su un certo canale distributivo.
- La quota di mercato della marca m nel canale Retail (𝑸𝑴𝒎) è data dalla quota nei clienti trattanti per la
copertura ponderata
1) QUOTA NEI CLIENTI TRATTANTI: La quota dei clienti trattanti misura la performance della marca m
presso i clienti retail che la trattano, nel senso, rispetto alle varie marche della categoria che questi punti
vendita acquistano e/o vendono quanto è presente la marca m?
Essa è data dal rapporto fra la quantità del marchio m venduta o acquistata complessivamente (𝑸𝒎𝒎) su
gli Acquisti Complessivi della categoria di prodotto “c” a cui “m” appartiene, da parte dei Clienti Retail che
vendono la marca m (𝑨𝑪𝑺𝒄𝒎);
2) COPERTURA PONDERATA: Indica l’importanza dei punti vendita in cui l’impresa è presente, calcolata in
base al peso degli acquisti o delle vendite che quei punti vendita trattanti la marca fanno rispetto al totale
dei punti vendita che trattano la categoria merceologica.
Essa è data dal rapporto fra gli Acquisti Complessivi della categoria di prodotto “c” a cui “m” appartiene, da
parte dei Clienti Retail che vendono la marca m (𝑨𝑪𝑺𝒄𝒎) su gli Acquisti Complessivi fatti da tutti i clienti
trattanti la categoria c (𝑨𝑪𝑻𝒄𝒄).
Su una matrice che ha sull’asse delle ascisse la quota dei clienti trattanti; sull’asse delle ordinate la
Copertura Ponderata, possiamo individuare quelle che sono le strategie più consone per il marchio
specifico relativamente alla distribuzione:
1) Se il marchio considerato ha una copertura ponderata alta e su questi clienti è anche performante
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Chiacchio-Ambrosanio
(quadrante in alto a destra) questa è sicuramente la migliore condizione per l’azienda che quindi dovrà
cercare di consolidare la posizione competitiva in modo da “difendersi” dai concorrenti.
2) Se il marchio ha una copertura ponderata alta ma su quei clienti è poco performante (quadrante in alto
a sinistra) deve cercare di migliorare l’accettazione della marca presso i punti di vendita che la trattano per
aumentare il sell in e/o il sell out del marchio, quindi cercare di adattare il prodotto ai bisogni specifici dei
clienti di quel punto vendita, aumentare gli sconti dei sell in di questi punti vendita, aumentare i servizi nel
punto vendita come accollarsi i costi dell’instore promotion (ad esempio accollarsi i costi di una promozione
3x2) ecc.
3) Se il marchio ha una copertura ponderata bassa e nello stesso tempo è anche poco performante
(quadrante in basso a sinistra) dovrà creare la rete distributiva e poi investire per aumentare l’accettazione
del prodotto. Questa è la situazione peggiore in cui l’azienda si deve sostanzialmente reinventare.
4) Se il marchio ha una copertura bassa ma è molto performante su quei clienti (quadrante in basso a
destra) dovrà migliorare il portafoglio clienti acquisendo clienti più grandi o a più alto “traffico”.
La copertura ponderata può essere scomposta nel prodotto di 3 indici e grazie a questa scomposizione
l’azienda può in sostanza individuare dove deve agire per migliorarla:
1) la dimensione media del sell in dei punti vendita trattanti la marca m, dato dal rapporto tra gli acquisti
complessivi della categoria c a cui la marca m appartiene effettuati dai clienti della marca m (𝐴𝐶𝑆𝑐𝑚) e il
numero dei clienti della marca m (𝑛𝑚).
Questo indice può esprimere la tipologia dei clienti retail dell’azienda in quanto se è elevato
presumibilmente i clienti saranno gli operatori della GDO (che come si sa acquistano elevati volumi) se è
basso invece presumibilmente i miei clienti saranno piccoli dettaglianti;
2) la copertura numerica, data dal rapporto tra il numero di clienti trattanti la marca m (𝑛𝑚) e il totale dei
clienti della categoria c a cui la marca m appartiene (N), che quindi ci dice quanti dei punti vendita totali il
marchio copre;
3) l’indice di dispersione della clientela (inverso della concentrazione dei clienti), data dal rapporto tra il
numero totale dei punti di vendita trattanti la categoria (N) sul totale degli acquisti effettuati da questi
punti vendita nella categoria stessa (𝐴𝐶𝑇𝑐𝑐). Se questo indicatore va verso 1 c’è una forte distribuzione
(dispersione) se va verso lo 0 una forte concentrazione.
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Per Costumer value proposition si intende stabilire il target di clienti, le preferenze, i bisogni che si
intendono soddisfare e come raggiungere il vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.
Ciò permette di creare un sistema di offerta ben definito: prodotto, prezzo, canale distributivo ecc.
Per capire se il consumatore effettivamente soddisfatto è necessario capire quale la Net Delivered
costumer value (NDCV) ovvero il valore netto consegnato al cliente cioè cosa il consumatore pensa che
l’impresa gli abbia consegnato rispetto alle sue aspettative, che dovrà essere superiore a quella dei
concorrenti. Questo permette di capire perché le aziende creano vantaggio competitivo. ( Dato dalla
differenza tra i Benefici totali – Costi totali percepiti dal consumatori).
al processo di acquisto e che corrisponde al tempo (t-1) è quella che determina il VAP.
Tale fase sarà più o meno lunga (ad es. per la complessità del prodotto, chiaramente se dovrò acquistare un
prodotto semplice la fase informativa e di valutazione sarà molto più breve di un prodotto complesso) ed è
influenzata da una serie di fattori:
- Scelte di marketing sul brand dell’impresa, quindi da tutte le azioni di comunicazione, pricing, canali
distributivi, servizio, prodotti, che quindi rappresentano nel complesso value proposition o la brand
promise (la promessa del marchio).
- Esperienza passata del consumatore su quella marca. Chiaramente se io ho un’esperienza positiva su
quel marchio è probabile che tornerò sullo stesso marchio (quindi ciò dovrebbe produrre un sistema di
fedeltà del cliente).
- Word Of Mouth ovvero il passaparola. Che ha una forte influenza nelle scelte di acquisto e può essere
fisico oppure Online tramite (social/forum)
2) Il valore d’uso percepito (VUP) è il valore che il consumatore si crea nel momento in cui ha acquistato e
sta utilizzando il prodotto. Si calcola sulla marca i-esima che abbiamo scelto rapportando
i benefici d’uso percepiti con i costi totali d’uso percepiti (VUPi=BUPi/CTUPi).
I costi d’uso percepiti si definiscono “totali” perché non ci riferiamo soltanto al prezzo specificamente
pagato, ma anche a tutta un’altra serie di costi. Tutta questa serie di costi diversi dal prezzo diventano
tanto più significativi al crescere della complessità del prodotto considerato (ad esempio se acquisto
un’automobile ci sarà il costo di manutenzione, costi di messa su strada, costi dei tempi di attesa
dell’automobile, costo di consumo, costi di rischio percepito).
Nel processo di acquisto il tempo T0 corrisponde al momento dell’acquisto e a destra, al tempo T1
corrisponde il VUP , la fase di vera e propria esperienza di consumo. Tale esperienza di consumo è la
manifestazione del rapporto che il consumatore genera con la marca e che determina la consonanza o
dissonanza rispetto alle aspettative di valore:
- la consonanza significa produrre customer satisfaction in quanto le aspettative sono state soddisfatte e
quindi vi è una convergenza tra VUP e VAP;
- la dissonanza si verifica quando vi è una differenza significativa tra VUP e VAP, tale differenza potrà essere
positiva quando VUP>VAP o negativa quando VUP<VAP.
Dopo tutto ciò si va a comparare il VUPi rispetto al VAPi (VUPi/VAPi) della specifica marca che ho scelto.
Chiaramente anche questo rapporto potrà essere maggiore, minore o uguale a 1, e questo rapporto in
termini tecnici viene definito come CSI (Customer Satisfaction Index).
Questo schema in definitiva ci consente di individuare e capire dove l’impresa può intervenire per agire sul
valore percepito sia in aspettativa sia durante la fase del consumo.
E’ possibile dire che il cliente è soddisfatto in due modi:
- Se il rapporto è >= ad 1 allora il cliente sarà soddisfatto. In questo primo caso scatta un elemento
fondamentale per il vantaggio competitivo: la fedeltà del cliente ovvero customer Lifetime value si tratta di
clienti che acquisteranno con assiduità.
Se sarà < 1 si produrrà insoddisfazione.
- Se VUP – VAP >= 0
La Customer Satisfaction come abbiamo detto, produce 3 elementi (gestionali e strategici) di fondamentale
importanza :
1. La fiducia del consumatore : un c.d asset immateriale
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Questi due elementi determinano a loro volta degli elementi positivi importanti perché capaci di
influenzare i flussi di cassa attesi da parte dell’azienda ovvero:
- cross selling : cioè la tendenza del consumatore ad utilizzare tutta la gamma dei prodotti che l’azienda
offre a quel cliente. ad esempio Ryanair Che oltre all’acquisto del biglietto propone albergo, auto rental ecc
- costi di acquisizione di nuovi clienti bassi: siccome si sviluppa un WOM molto positivo rispetto all’azienda
e quindi investimenti da fare in comunicazione per convincere il consumatore di passare da una marca
all’altra saranno sicuramente più bassi
- trading up del cliente fedele: I consumatori soddisfatti tendono a cambiare più velocemente il prodotto
verso modelli più recenti o più dotati in termini di caratteristiche di quello stesso marchio e che hanno
prezzi più alti. Ad esempio smartphone Apple
- Minore sensibilità al prezzo del cliente fedele: il cliente fedele sarà meno sensibile all’incremento dei
prezzi
3. Customer equity: consiste nel valore del portafoglio clienti di un’azienda. La costumer satisfaction
permette di consolidare e rendere stabile nel tempo tale portafoglio.
sulle caratteristiche di quel bene o servizio che gli permettono di esprimere un giudizio più o meno preciso
rispetto alle differenze di quelle caratteristiche di un’altra marca.
- i benefici exciting (eccitanti), che il cliente ha difficoltà ad esprimere fin quando l’azienda non porta sul
mercato un prodotto che contiene quelle caratteristiche. Eccitanti perché l’azienda portando sul mercato
determinate caratteristiche accende la curiosità del consumatore che non “immaginava” di avere un
bisogno di quel genere.
Maggiore è la presenza dell’attributo exciting maggiore è l’effetto positivo sul grado di soddisfazione (più
che proporzionale) rispetto dell’attributo performance (proporzionale) e basic (meno che proporzionale).
Inoltre è chiaro che la competizione porta molti dei benefici di performance o eccitanti a diventare via via
basici: Ad esempio quando nell’automobile in passato furono inseriti l’ABS , l’airbarg e altri sistemi di
sicurezza, questi servizi (benefici) erano considerati eccitanti, infatti erano degli optional, invece oggi questi
stessi servizi sono di serie (anche grazie a diverse normative sulla sicurezza che li rendono obbligatori) e
quindi considerati benefici basic.
IL SISTEMA DI OFFERTA:
Il sistema di offerta ci permette di capire su cosa bisogna lavorare per costruire e monitorare la customer
satisfaction; non è altro che la proposta unica di valore che si intende offrire ai clienti e questo sistema di
offerta deve essere in grado di trasformarsi in effettivo valore per il cliente (Costumer Satisfaction).
Dei modelli che ci permettono di rappresentarli sono i Modelli di Kano
- Per quanto riguarda il modello relativo alle imprese produttrici di prodotti fisici.
Le componenti sono:
L’essenza del sistema è data dal c.d. core benefit (beneficio centrale)
1) I benefici correlati a quel prodotto (benefici product related) che si distinguono in due macro categorie: i
benefici di performance, e i benefici simbolico-esperienziali.
2) Il processo, cioè tutte le attività di accesso e di fruizione del prodotto da parte del cliente.
3) L’elemento delle relazioni e le persone, che è relativo al personale di contatto, la facilità di contatto, i
tempi e la qualità di risposta da parte dell’azienda, il sito web e gli altri clienti. Inoltre i clienti che hanno già
usufruito del bene/servizio potranno giocare un ruolo positivo o negativo a seconda del tipo di passaparola
che faranno;
4) mix di elementi product related, cioè tutto ciò su cui noi possiamo intervenire in termini di marca,
confezione, la varietà dell’assortimento, il pricing e tutte le altre caratteristiche correlate al prodotto.
- Mentre per quanto riguarda il modello relativo alle imprese produttrici di servizi (che si differenziano dai
prodotti ovviamente per l’intangibilità che li caratterizza e che viene offerta al consumatore) ciò che varia è
l’essenza del sistema stesso caratterizzato dal SERVIZIO:
Il servizio offerto può essere distinto in due parti: di base e periferico.
1) Il servizio di base è rappresentato da quella parte che caratterizza l’azienda, quindi se vado in un
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supermercato il servizio di base è dato dall’offerta di una gamma di prodotti in un certo luogo, in un certo
tempo e ad un dato prezzo, il servizio base di una compagnia aerea è ovviamente quello del trasporto.
2) I servizi periferici si distinguono in:
- servizi periferici necessari, cioè quei servizi che un’azienda deve necessariamente offrire affinché il cliente
possa usufruire dei servizi di base stessi, ad esempio in un centro commerciale un servizio di base
necessario è rappresentato dal parcheggio;
- servizi periferici supplementari (o a valore aggiunto), cioè quei servizi che fanno la differenza tra
un’offerta e l’altra, ad esempio se si va al ristorante (in cui un servizio periferico necessario potrebbe essere
quello della possibilità di prenotare) e quel ristorante organizza un percorso educativo del cliente circa i
prodotti che sta mangiando, cioè informare quali sono le caratteristiche dei prodotti che il cliente sta per
mangiare (luogo di provenienza materie prime, modalità di cottura ecc.), quel ristorante sta offrendo un
servizio supplementare o a valore aggiunto che quindi permette a quel ristorante di distinguersi dai propri
concorrenti.
Per quanto riguarda il discorso circa la costruzione della Customer Satisfaction è importante analizzare i
benefici e i costi del sistema di offerta, cioè che tipi o classi di benefici e di costi possiamo individuare.
I benefici possono essere distinti in:
- Benefici correlati al prodotto o al servizio:
i benefici correlati a quel prodotto (benefici product related) che si distinguono in due macro categorie: i
benefici di performance, cioè di risultato di quel prodotto nel soddisfare l’esigenza del consumatore sul
piano strettamente funzionale e quindi siamo in una sfera “razionale” del consumatore (ad esempio l’acqua
deve dissetare), e i benefici simbolico-esperienziali, cioè i benefici che “colpiscono” la sfera
emotiva/irrazionale del consumatore. Quando si lavora sui livelli di natura emotiva è perché probabilmente
si è arrivati al punto in cui tutti i benefici c.d. di performance sono diventati benefici basic, e l’unica leva su
cui si può agire per dare distintività ad un prodotto sono quindi i soli benefici simbolico-esperienziali.
ESEMPIO: Coca-Cola non ha mai lavorato sugli aspetti funzionali ma ha sempre lavorato su aspetti
simbolico-esperienziali fino al punto di diventare un c.d. brand iconico, sia perché diventò un elemento
della guerra, in particolare il segno dell’impegno americano sui fronti della 2° guerra mondiale, sia
successivamente come simbolo di fratellanza nella cultura hippy.
- Benefici connessi al processo di acquisto e d’uso del prodotto-servizio;
cioè tutte le attività di accesso e di fruizione del prodotto da parte del cliente. Un processo di acquisizione e
di uso di un prodotto può produrre dei benefici funzionali ed emozionali (velocità di scelta, ampiezza della
gamma, facilità di utilizzo del prodotto ecc.), ma può produrre anche dei costi percepiti in termini di la
valutazione di acquisto è difficile da fare, i punti vendita da raggiungere sono molto distanti.
ESEMPIO FUNZIONALE: Ad esempio: perché i punti McDonald’s stanno nelle principali città, stazioni,
aeroporti, centri commerciali ecc.? perché un prodotto che costa mediamente 5-6€ deve avere un costo di
accesso e di uso percepito dal consumatore estremamente basso, “deve stare sulla mia strada!”
ESEMPIO EMOZIONALE: (ad esempio lavorando sui profumi del luogo di acquisto e stimolando, quindi,
l’olfatto, come molti supermercati che fanno in modo che quando il consumatore passa vicino, ad esempio,
allo scaffale del caffè c’è un aroma di caffè che viene fuori che li stimola sensorialmente all’acquisto del
prodotto
- Benefici di relazione; sono relativi al personale di contatto, la facilità di contatto, i tempi e la qualità di
risposta da parte dell’azienda, il sito web e gli altri clienti. Inoltre i clienti che hanno già usufruito del
bene/servizio potranno giocare un ruolo positivo o negativo a seconda del tipo di passaparola che faranno;
- Benefici di immagine, cioè se un’immagine di marca è positiva e quindi crea valore di marca ciò è un
beneficio perché per il consumatore è sinonimo di sicurezza, affidabilità ecc.;
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- Benefici di dismissione, cioè un prodotto che non crea problemi nel momento in cui il consumatore dovrà
liberarsene o che presenta un valore maggiore rispetto ai prodotti di altre marche;
I COSTI
I costi che il consumatore percepisce di sostenere nel momento in cui acquista un prodotto-servizio
possono essere distinti innanzitutto in costi monetari diretti, costi monetari indiretti e costi non monetari.
In particolare:
- Costi finanziari di acquisto (prezzo di acquisto prodotto-servizio) (P) , che è l’unica variabile sicuramente
certa; - Costi informativi, cioè i costi di ricerca delle informazioni. Infatti il consumatore prima di effettuare
un acquisto importante probabilmente andrà alla ricerca di informazioni per comparare i prodotti ed è
quantificabile dal tempo (si parla infatti di Ct, cioè di costo di tempo) impiegato per compiere tale attività.
Se una marca su suoi siti, sui vari media online e offline ha poche informazioni per il consumatore sarà un
“costo maggiore” andare alla ricerca di tali informazioni “difficilmente” reperibili;
- Costo di reperimento/accesso del prodotto (Ct), anche qui abbiamo un costo di tempo, cioè il tempo
necessario affinché il consumatore possa usufruire del prodotto;
- costi di apprendimento (Ct)
- costi di esercizio (Cg), Cg sta per “costo di gestione”. Il costo di esercizio quantifica quanto costa al
consumatore tenere e gestire quel prodotto come un elettrodomestico, automobile ecc.;
- costi di conversione (Cg), cioè i costi di passaggio da una tipologia di prodotto ad un’altra. Questo è un
costo che riguarda ad esempio i prodotti industriali come può essere un macchinario e quantifica ad
esempio quanto costa far passare il personale dall’uso di una macchina ad una macchina nuova (che
ovviamente sarà il prodotto su cui inciderà questo costo, perché è quello che vado ad acquistare);
- costo di eliminazione (Cg), cioè il costo necessario per dismettere il prodotto;
- costi di obsolescenza (Cg), vi sono prodotti che infatti diventano più obsoleti degli altri come nel caso
degli smartphone o anche di Gilette in cui si verifica un aumento del costo di obsolescenza percepito dal
consumatore. Invece nel campo delle automobili vi sono marchi che tengono più nel tempo rispetto ad
altri, ad esempio tra Audi e Alfa Romeo quest’ultima ha un design che va più incontro all’obsolescenza
perché più aggressivo e sportivo rispetto ad Audi che invece punta su un design più classico e tradizionale;
- costi psicologici o di rischio percepito (Crp), cioè più quella marca è considerata affidabile relativamente
al prodotto considerato minore sarà il costo di rischio percepito da parte del consumatore.
Il NDCV quindi non è altro che il rapporto o la differenza tra la sommatoria delle tipologie di benefici e la
sommatoria delle tipologie di costo visti in precedenza, che potrà essere maggiore, uguale o minore di 1.
ATTRIBUTI
In relazione alla misurazione della Customer Satisfaction, quando parliamo di costi e benefici noi
consideriamo degli attributi che qualificano il sistema di offerta, quindi cerchiamo di misurare questi
attributi in termini di contenuto che essi danno alla customer satisfaction.
Non tutti gli attributi di costo/beneficio hanno la stessa importanza, ed è possibile misurarli attraverso una
scala detta ‘Scala di Likert’ basata su una quantificazione dell’importanza da 1 a 5:
- attributi estremamente importanti (5);
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SUCCESSIVAMENTE
1) Il questionario verrà erogato ad un campione costituito da un numero “n” di consumatori e chiaramente
non ogni consumatore risponderà con la stessa “misura”, quindi per ogni attributo bisognerà calcolare la
media delle importanze attribuite. Per calcolare la media dobbiamo moltiplicare la misura dell’importanza
per la frequenza con cui quella misura è stata data, per poi dividere il risultato così ottenuto per il numero
dei consumatori che compongono il campione.
2) Ora dobbiamo misurare il VUP. Per misurare il VUP dobbiamo innanzitutto definire qual è il beneficio
d’uso percepito complessivo e il costo totale d’uso percepito sulla specifica banca.
Per misurare il BUP dobbiamo per ogni attributo calcolare la media per poi ponderare quella media con
l’importanza che i consumatori danno a quello specifico attributo.
Ponderando il valore ottenuto per l’importanza dedotta dal primo questionario (generico) il valore
ponderato di questo attributo è dato dal prodotto di questi due valori.
Lo stesso calcolo si farà con gli altri attributi di beneficio e di costo con l’attenzione però che per gli attributi
di costo la scala è rovesciata, nel senso che il valore 1 rappresenta la massima soddisfazione mentre il
valore 5 rappresenta la minima soddisfazione (o massima insoddisfazione). Ma ciò è rilevante solo ai fini di
concetto, ma dal punto di vista strettamente di calcolo l’iter resta invariato.
Sommando tutti i valori ponderati dei benefici otterrò il BUP.
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LE MAPPE DI PRIORITA’
Uno strumento che ci permette di monitorare la customer satisfaction è la mappa delle priorità.
E serve per capire quali sono i fattori che rendono il cliente soddisfatto e quali meno. Tale mappa si
scompone in matrici che fanno riferimento a diversi fattori.
E’ detta di ‘PRIORITA’’ in quanto dalla lettura delle diverse matrici si possono analizzare le aree di
intervento prioritario o di rischio futuro o viceversa di impegno eccessivo da parte dell’azienda.
- Inoltre può essere utilizzata anche come comparative analysis ad un’impresa concorrente per valutare gli
eventuali gap della soddisfazione verso il diretto concorrente. E’ possibile costruirla con riferimento
all’intero sistema di offerta o in riferimento ai singoli attributi.
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Chiacchio-Ambrosanio
In base alla variabile del CSI: ogni attributo sarà “quantificato” in base al rapporto tra il valore d’uso e
atteso e quindi potrà essere maggiore, uguale o minore di 1.
I benefici maggiori di 1 saranno posizionati sulla destra sulla colonna dei “soddisfatti”, quelli minori di 1
sulla sinistra ossia nella colonna dei “non soddisfatti.
Per i costi vale esattamente il ragionamento opposto, quelli minori di 1 nella colonna di sinistra ma che
questa volta corrisponderà alla colonna dei “soddisfatti” e quelli maggiori di 1 nella colonna di destra ma
che questa volta corrisponderà alla colonna dei “non soddisfatti”, chiaramente perché se il valore d’uso del
costo è maggiore del valore percepito significa che il consumatore ha ridotto il suo livello di customer
satisfaction.
In base alla variabile riguardo all’importanza relativa: per maggior precisione si può calcolare una media o,
se la nostra scala di riferimento è con numeri dispari considereremo la mediana dell’importanza delle
valutazioni dei clienti.
Dopo aver capito come si posizionano gli attributi all’interno della matrice, si può analizzare cosa indicano i
4 quadranti sia nel caso dei benefici che nel caso dei costi.
estremamente importanti per il consumatore, quindi quest’area viene definita come un’area fortemente
rischiosa su cui l’azienda deve lavorare per migliorarli.
3) In basso a sinistra l’azienda è scarsamente performante su un attributo scarsamente importante per i
clienti, quindi non è un elemento prioritario nonostante l’insoddisfazione (?). Sono attributi che o sono
diventati poco importanti o sono attributi di nuova introduzione e quindi il magari il consumatore non ha
ancora fatto esperienza o conosciuto il beneficio di questo attributo.
4) In basso a destra l’azienda sta performando “troppo” su un attributo poco importante per il
consumatore, quindi potrebbe esservi un impegno eccessivo e, di conseguenza, sono attributi da
alleggerire. Potrebbe essere valutato uno “spostamento” delle risorse sugli attributi da migliorare.
Matrice COSTI:
Lo stesso discorso può essere fatto per i costi prestando attenzione al “capovolgimento” dei quadranti.
1) In alto a sinistra ora è riportata l’area di gestione efficace delle leve del valore : ed è il caso in cui il
costo d’uso percepito è minore rispetto al costo atteso quindi c’è soddisfazione in relazione ad un attributo
molto importante per i clienti.
2) In alto a destra ora è riportata l’area di attenzione rischio: e si ha in corrispondenza di costi d’uso
percepiti maggiori rispetto a quelli attesi e di conseguenza l’impresa deve agire per ridurli, in
corrispondenza di un attributo molto importante per i clienti.
3) In basso a destra: l’azienda è scarsamente performante su un attributo scarsamente importante per i
clienti, quindi non è un elemento prioritario nonostante l’insoddisfazione
4) In basso a sinistra si avrà : l’area di impegno eccessivo: e in questo caso il costo d’uso percepito è
minore rispetto al costo atteso percepito in relazione però di attributi non considerati importanti dal
cliente, e anche in questo caso l’impresa sta utilizzando troppe risorse su quell’attributo che invece
conviene utilizzare nell’aria dei parametri attenzione rischio.
LA MAPPA COMPETITIVA
Come abbiamo detto la mappa della priorità può essere impiegata anche per la comparative analysis con
specifici concorrenti dello stesso business, in questo caso si parla più propriamente di mappa competitiva.
1) Sull’asse delle ascisse viene posizionato il valore complessivo del CSI dell’impresa presa ad analisi.
2) Sull’asse delle ordinate viene comparato il nostro CSI con quello del concorrente, infatti si parla di
Comparative Customer Satisfaction Index (CCSI) ottenuto rapportando il mio CSI con quello del mio
concorrente. (quindi il rapporto potrà essere maggiore, uguale o superiore a 1).
Per ogni quadrante è indicato il grado di rischio o criticità che l’azienda esaminata presenta rispetto ai
concorrenti. ( la si può costruire solo in riferimento all’intero sistema di offerta )
1) Ci si ritroverà nell’Area di sicurezza se l’impresa ad oggetto soddisfa il cliente e quindi il CSI è maggiore
di 1 ed ha un CCSI superiore all’1, ciò vuol dire che si è più bravi del concorrente in quanto non solo si
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Chiacchio-Ambrosanio
IL GAP
Uno step fondamentale relativo all’analisi del valore è cercare di individuare da dove provengono i Gap del
valore, cioè da dove si genera disvalore per il consumatore. Partiamo dal presupposto che una cosa è il
valore “generato” dall’azienda e altra è il valore “percepito” dal mercato.
1) Gap di sintonia (GS): dovuto al fatto che il Valore desiderato dai clienti ed il Valore programmato dal
management non coincidono. Questo può essere causato ad esempio da un errore commesso nelle analisi
da parte del management, dal fatto che alcuni bisogni del mercato non sono facilmente individuabili.
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2) Gap di allineamento e/o di coinvolgimento (GA/C): inteso come il differenziale che c’è tra il valore
pianificato dal management e il valore recepito dal personale, cioè quanto il personale ai vari livelli ha
effettivamente interiorizzato quel valore pianificato che deve essere consegnato al mercato.
Esempio: sui tempi di esecuzione del servizio per una banca.
3) Gap di Progettazione e/o realizzazione (GPro/R): Una volta che il personale ha recepito il valore
pianificato dal management quando si va a progettare questo valore e ad incapsularlo in un sistema di
offerta e/o quando vado a realizzare effettivamente il prodotto o a prestare il servizio (quindi progetto e/o
realizzo il valore offerto dall’impresa) potrebbero sorgere degli errori di, appunto, progettazione e/o
realizzazione.
4) Gap di percezione (GPer): Una volta realizzato il sistema di offerta può accadere che il valore percepito
dal cliente sia completamente diverso. Ciò può accadere per una comunicazione sbagliata che non fa capire
al consumatore quali sono gli attributi che deve valutare, la concorrenza opera marcando questo
disallineamento, passaparola negativo, passata esperienza negativa del consumatore su quel brand ecc
Infine possiamo quindi individuare -> il Gap di valore complessivo:
che misura il livello di soddisfazione o di insoddisfazione è funzione di tutti i gap visti in precedenza:
Gap di valore = GV = f (GS + GA/C + GPro/R + GPer).
Una volta che numericamente questi aspetti li possiamo misurare è possibile individuare dove intervenire
per migliorare il Gap di valore e mantenere, sviluppare il livello di valore consegnato al cliente.
Ne consegue che l’azienda può operare in differenti ASA, ciascuna delle quali: è caratterizzata da una
- struttura economica e un obiettivo reddituale distinti;
- è influenzata da variabili esogene proprie (pensiamo all’evoluzione delle tecnologie);
- è scorporabile dalle altre attività aziendali.
Tra le indagini dell’analisi della situazione vi è quella dei “bisogni dei consumatori”, che si articola in due
aspetti: l’analisi del comportamento di acquisto dei consumatori e la segmentazione dei clienti.
LA MICROSEGMENTAZIONE
SEGMENTAZIONE DEI CLIENTI
Per segmentazione si intende:
1) riconoscere una sufficiente eterogeneità di preferenze/esigenze/bisogni/comportamenti di
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Chiacchio-Ambrosanio
proprio prodotto. (se l’impresa realizza prodotti per bambini andrà a pubblicizzare il prodotto su un canale
non guardato prevalentemente dagli adulti)
Quest’ultime costituiscono le variabili a priori;
Le variabili a posteriori invece che sono quelle in cui prima si scopre la lettura comportamentale e lo stile di
vita del consumatore per poi capire effettivamente quale potrebbe essere il comportamento di acquisto e
di consumo. Esse sono appunto:
- Le variabili di comportamento: segmentano il mercato sulla base del comportamento di acquisto e di
consumo del consumatore: occasioni d’uso; vantaggi ricercati (c.d. benefit segmentation, qualità, prezzo,
servizio ecc.); intensità d’uso, fedeltà di marca; atteggiamento verso il prodotto (entusiastico, positivo,
indifferente, negativo, ostile).ecc
-vantaggio: la possibile sicurezza che il sistema di offerta che predispone sulla base di quel comportamento
poi sarà soddisfacente
-svantaggio: costoso perché richiede la raccolta di dati relativi al comportamento dei consumatori
SEGMENTAZIONE IN BASE AI BISOGNI PERCEPITI
Vi sono mercati però per cui non avrebbe senso prendere come variabile di segmentazione l’età o il sesso
come per il mercato dei computer, per questi ad altri mercati la segmentazione potrebbe essere fatta in
base ai bisogni espressi dei consumatori e per definirli e necessario fare un’indagine di mercato. L’elemento
negativo è sicuramente dato dai costi elevati di quest’indagine e che questo tipo di segmentazione è
limitata all’innovazione difatti il consumatore non può ben sapere i benefici derivanti da un prodotto
innovativo perché il prodotto ancora non esiste.
TARGETING
Una volta individuati gli n segmenti bisognerà compiere una scelta: qual è o quali sono i segmenti di
mercato su cui operare. (Con che tipo di sistema di offerta) : il c.d. targeting.
Esistono diverse tipologie come:
-MARKETING INDIFFERENZIATO: È il caso in cui l’impresa anche se si sono manifestati diversi segmenti di
mercato che corrispondono a diversi comportamenti, decide di realizzare un unico sistema di offerta
perché magari ritiene che la differenza tra i comportamenti non giustifica la predisposizione di diversi
sistemi di offerta. (Harley Davidson, che è un brand che non si rivolge ad un segmento specifico; o Coca-
Cola prima che introducesse Light; Zero ecc)
-MARKETING DIFFERENZIATO: È il caso in cui l’impresa dopo aver segmentato il mercato decide di
realizzare un sistema di offerta per ogni segmento individuato. Un classico esempio è quello degli Shampoo
Pantene. Il vantaggio di questo tipo di marketing è che tende ad aumentare la probabilità di acquisto del
prodotto, come svantaggio è che presenta degli aggravi in termini di costo.
-MARKETING CONCENTRATO: È il caso in cui l’impresa dopo aver segmentato il mercato decide di
realizzare un sistema di offerta per uno specifico segmento. Un esempio di marketing concentrato è quello
degli Shampoo di Clear (tipo shampoo antiforfora). Il vantaggio è che molte volte c’è un ritorno positivo in
termini di immagine: cioè il cliente avendo avanti un prodotto specializzato percepisce che l’impresa risulta
essere all’avanguardia e quindi vi sarà per essa un ritorno di immagine; lo svantaggio è che è un tipo di
marketing molto rischioso in quanto l’impresa si fonda su un unico sistema di offerta.
-MARKETING One-to-One : l’azienda dialoga con il singolo cliente. (maglia di lusso personalizzata)
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Chiacchio-Ambrosanio
vita effettiva dei consumatori; significa cogliere un comportamento e un bisogno nella vita di un
determinato gruppo di clienti. Se il brand riesce ad interpretare quei comportamenti e soddisfare quei
bisogni riuscirà a trovare spazio nella mente dei consumatori e nelle loro preferenze di acquisto.
Esempio: Magnum con la frase “l’indulgente che è in ognuno di noi”, fa riferimento al fatto che noi siamo
indulgenti con noi stessi quando trasgrediamo. Tuttavia affinché questa indulgenza si giustifichi è
necessario che la trasgressione sia soddisfacente.
2) Oppure sottolineando i benefit del brand, cioè la ragione per cui il cliente dovrebbe credere al brand e i
valori e la personalità che quel brand va ad incarnare e rappresentare.
Esempio: Dove: in cui il Benefit: “è che non secca la mia pelle come i normali saponi; la rende soffice e
morbida, aiutandomi a sentirmi più femminile” ; Reason to believe: “Contiene 1/4 di crema idratante”;
Valori e Personalità: “Femminilità, autorealizzazione”.
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Chiacchio-Ambrosanio
Tra i bisogni considerati da Maslow, i bisogni fisiologici e bisogni di sicurezza sono soddisfatti in quasi tutte
le comunità organizzate mentre i bisogni di stima e di autorealizzazione dipendono da un certo tipo di
percorso personale posto in essere dal soggetto.
Kotler identifica il bisogno come una categoria generica abbastanza stabile nel tempo di ciò che si vuole
soddisfare. Kotler inoltre accanto al concetto di bisogno, associa quello di desiderio , che è lo stimolo con
cui l'individuo cerca di risolvere il bisogno; se tale desiderio si esprime nell'acquisto o anche in un acquisto
potenziale, il desiderio stesso si trasforma in domanda di mercato ➔ di conseguenza "la domanda non è
altro che /'espressione con la quale si manifesta nei desideri mentre il desiderio rappresenta fa modalità
con cui l'individuo vuole risolvere il problema relativo al bisogno non soddisfatto". Chiaramente affinché il
desiderio si trasformi in domanda sono necessarie tutta una serie di situazioni relative alla persona del
cliente (se io ho il bisogno di spostarmi e voglio comprare una Ferrari, tale desiderio non si trasformerà mai
in domanda di mercato se non ho le possibilità economiche).
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Chiacchio-Ambrosanio
CATENA MEZZI-FINI
Il metodo dell’analisi della catena- mezzi fini è un modello concettuale volto ad interpretare il processo
decisionale dei consumatori mettendo in relazione la conoscenza del prodotto con la conoscenza di sé.
La "catena mezzi-fini" permette all’impresa di dedurre una serie di informazioni da utilizzare nel momento
in cui crea il suo prodotto, attraverso l’analisi del comportamento del cliente.
Essa collega le caratteristiche del prodotto (i mezzi, cioè gli attributi) agli obiettivi di ordine generale (i fini,
cioè i valori terminali).
Il principale motivo per cui i consumatori acquistano una marca piuttosto che l’altra è relativa al
soddisfacimento di una componente valoriale. Il consumatore va alla ricerca di una serie di caratteristiche
che il prodotto marca deve possedere e soddisfare, caratteristiche che hanno un livello crescente di
astrazione. Queste caratteristiche che guidano il consumatore verso la scelta possono essere distinte in 3
gruppi: attributi, benefici (consequences) e i valori (values). Questi 3 gruppi come si vede sono composti da
diversi elementi che a loro volta sono distinguibili in due aree principali: l’area che afferisce alla conoscenza
del prodotto e l’altra che afferisce alla rappresentazione che il consumatore vuole di sé stesso.
Alla conoscenza del prodotto afferiscono:
1) Gli attributi tangibili del prodotto di un prodotto (come peso e dimensione)
2) Intangibili (come sapore ed estetica), ciò ovviamente dipenderà dal tipo di prodotto che si sta
considerando. Gli attributi tangibili sono oggettivi, cioè la percezione e la soggettività del consumatore
ancora non intervengono. Tale percezione e soggettività iniziano a manifestarsi con gli attributi intangibili.
3)Gli attributi sia tangibili che intangibili generano delle conseguenze , esse possono essere funzionali
(d’uso) che afferiscono ancora al prodotto in sé. ( ad esempio più la racchetta e leggera ed è di maggiore
qualità, allora il tennista potrà giocare fornendo elevate prestazioni )
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Chiacchio-Ambrosanio
3) I valori strumentali rappresentano invece le modalità di condotta preferite dal consumatore per
raggiungere i valori terminali.
3. TEORIA DEL COMPORTAMENTO DI RISPOSTA
Per effettuare l’analisi su come il consumatore acquista, distinguiamo le risposte del consumatore dal
processo di acquisto.
Le risposte del consumatore rispetto a delle azioni dell’azienda in termini di scelte di marketing o anche da
stimoli che provengono dal contesto che vive sono di 3 tipi: cognitiva, affettiva e comportamentale.
1) La risposta cognitiva afferisce allo stato della conoscenza che il consumatore ha di una marca.
2)La risposta affettiva (o attitude) è l’atteggiamento che un consumatore ha verso una determinata marca.
3) La risposta comportamentale riguarda l’azione concreta del consumatore, cioè ciò che fa nei confronti di
quella marca (se acquista, quanto acquista, se ripete l’acquisto ecc.).
Queste tre risposte sono idealmente in una sequenza: si presume che innanzitutto si conosca il prodotto,
sulla base di questa conoscenza si genera una certa affettività/atteggiamento/sentimento, e infine sulla
base di questo atteggiamento può maturare la scelta o la non scelta del prodotto-marca.
Da ciò emerge che molto spesso le azioni di marketing delle aziende non sono direttamente finalizzate a far
acquistare il prodotto (una promozione del 20% su un acquisto è un’azione diretta di questo tipo) ma sono
mirate a far conoscere il marchio (risposta cognitiva) e a far maturare un atteggiamento positivo verso il
marchio (risposta affettiva).
LA RISPOSTA COGNITIVA
Come si è detto in precedenza la risposta cognitiva misura lo stato di consapevolezza/conoscenza
(awereness). Per un’azienda infatti è importante conoscere l’intensità e la qualità della conoscenza del
proprio marchio, infatti come ovvio che sia se il consumatore non conosce il marchio è molto difficile che
acquisterà un prodotto afferente a quel marchio.
La notorietà del marchio misura appunto lo stato della conoscenza, e quindi la riposta cognitiva, cioè
“quanto il brand è presente nella mente del consumatore”.
Esistono 2 livelli di notorietà:
1) il primo livello c.d. notorietà – riconoscimento (recognition), che è la notorietà “stimolata”, cioè quella
notorietà che ha luogo quando il consumatore vede il marchio o il simbolo del marchio e lo riconosce;
2)- il secondo livello c.d. notorietà – ricordo spontaneo (recall). In quest’ambito è possibile distinguere:
- la TBM (top brand of the mind) cioè la prima marca che viene in mente al consumatore in una certa
categoria di prodotto e
- la share of the mind cioè quanto quel marchio complessivamente occupa nella mente dei consumatori.
A differenza del caso precedente qui la notorietà non è stimolata ma spontanea, cioè quella o quelle
marche (in ordine di ricordo) che al consumatore vengono in mente spontaneamente quando viene citata
una certa categoria di prodotti (ad esempio auto sportive=Ferrari, crema di cioccolato spalmabile=nutella,
smartphone=Apple, Samsung, Huawei ecc.).
Per calcolare gli indici di notorietà bisogna compiere un’intervista in cui ad ogni intervistato si chiede di
mettere in ordine di notorietà diversi marchi. Quindi possiamo distinguere 4 livelli di notorietà della marca:
la prima marca ricordata spontaneamente (TBM); marca ricordata spontaneamente (in una certa % di
consumatori, quindi Share of the mind); marca riconosciuta sotto stimolo (recognition) e infine marca
sconosciuta. (rappresentati su piramide dalla sconosciuta alla più conosciuta)
I 3 indici che vengono calcolati sono:
- il NOT_LPR (notorietà livello di primo ricordo TBM) che è calcolata individuando quanti degli intervistati
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Chiacchio-Ambrosanio
hanno citato il marchio come primo, il marchio che ottiene il punteggio maggiore sarà il TBM.
- il NOT_LSR (notorietà livelli successivi di ricordo SOTM) che è calcolato individuando quanti consumatori
hanno citato il marchio al 2°, 3° e 4° posto.
- il NOT_BRT (notorietà brand recall totale) che è calcolato individuando quanti consumatori hanno
semplicemente ricordato quel marchio (indipendentemente dalla posizione). Ed è dato dalla somma dei
primi due.
dalla sommatoria dei prodotti tra l’importanza (Weight) che il consumatore k dà all’attributo i-esimo (con i
da 1 a n) relativa alla categoria di prodotto a cui la marca j appartiene (ovviamente ogni categoria di
prodotto avrà degli attributi più o meno importanti), per la valutazione (Score) che il consumatore k dà di
quell’attributo i sulla marca j. Normalmente le scale di valutazione sono 1-5 o 1-7.
Bisogna precisare che l’individuazione degli attributi rilevanti con il relativo peso avviene mediante una
ricerca su pochi consumatori high spending, mentre poi lo score viene individuato su un maggior numero di
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Chiacchio-Ambrosanio
consumatori.
DETERMINAZIONE PREZZO MARCHIO X (esempio preso dal Francesco Battaglia)
Per definire il prezzo di un marchio X bisogna effettuare un’analisi sui concorrenti e conoscere il prezzo
della marca di un competitor di riferimento e il valore percepito da parte dei suoi consumatori. (per marca
di riferimento si intende presumibilmente quella più vicina al marchio X in termini di valore percepito o
anche la marca leader del settore). Conoscendo ciò basterà effettuare una proporzione Pa: Pb= Va:Vb,
quindi rapportare il valore della marca X sul valore della marca di riferimento e moltiplicare il tutto per il
prezzo della marca di riferimento. [(4,55/4,15)𝑥2,55= 2,80)]. Il prezzo ottenuto è detto prezzo di
indifferenza, ovvero il prezzo massimo che la marca X dovrebbe porre, o anche il prezzo massimo che il
consumatore è disposto a pagare quel marchio. Se il prezzo effettivamente applicato sarà più alto, si rischia
di perdere nel medio termine quote di mercato perché il rapporto valore percepito-prezzo sarà sfavorevole,
ma se sarà più basso il rapporto è favorevole per il consumatore e si potrà porre in essere una strategia di
penetrazione (il range sarà tra 2,55 e 2,80 considerando il valore percepito), altrimenti l’alternativa è di
tramutare in profitto tutto il differenziale di valore che si riesce ad ottenere praticando esattamente il
prezzo di indifferenza.
CALCOLO DIFFERENZIAZIONE
Se l'obiettivo per l'impresa è capire su quali parametri agire per differenziarsi dai concorrenti, l'impresa
dovrà chiedersi in quale attributo si riscontra la maggiore differenza tra clienti, per far ciò ci si avvale del
calcolo della differenziazione: La differenziazione quindi è misurata come la deviazione standard della
distribuzione del punteggio per ogni caratteristica; l'indicatore che normalmente viene utilizzato per
misurare la differenziazione è la varianza e ci permette di misurare qual è l’attributo dove si riscontrano
maggiori differenze di percezione.
Vi un ulteriore parametro la determinanza che è un parametro di sintesi in quanto mischia il valore
dell'importanza con
quello della differenziazione; essa si ottiene moltiplicando il valore del'importanza con il valore della
differenziazione. Essa ci da la possibilità di capire non solo quali sono i parametri più importanti ma anche
quali sono i parametri che, essendo importante, presentano maggiore differenziazione. Essa fa quindi
riferimento alle qualità più importanti sulle quali è possibile differenziare le marche valutate. (E’ possibile
calcolare la determinanza ponderata andando a percentualizzare il valore della determinanza)
METODI NON COMPENSATIVI
Accanto a questo metodo compensativo, esistono altri metodi definiti metodi non compensativi;
normalmente questi mezzi non compensativi sono utilizzati insieme al metodo compensativo in maniera
però complementare visto che molto spesso il metodo non compensativo serve per arrivare a quelli
compensativi
1) Modello disgiuntivo: il consumatore decide di considerare solamente le marche migliori rispetto ad una
o più singole caratteristiche non tenendo conto delle performance delle altre caratteristiche. Il
consumatore sceglie quel prodotto-marca che supera inerente a quegli attributi più importanti, il valore
minimo ritenuto accettabile (in genere questo valore è la media dei punteggi dati a quegli attributi).
2) Modello congiuntivo: il consumatore stabilisce un minimo accettabile per ciascun attributo e verranno
considerato solo le marche in cui tutti gli attributi raggiungono almeno quel livello.
3) Modello lessicografico: l'individuo opera in maniera sequenziale cioè ordina le caratteristiche del
prodotto partendo dalla più importante, va a comparare quella più importante e sceglie la marca che
presenta il valore più alto e a parità scenderà sul secondo attributo più importante.
Quali sono le strategie per cambiare l'atteggiamento dei clienti?
1) Una prima cosa che si potrebbe fare è modificare il prodotto (ad esempio per quanto riguarda la qualità
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Chiacchio-Ambrosanio
LA RISPOSTA COMPORTAMENTALE
La risposta comportamentale riguarda la condotta effettiva del consumatore nei confronti della marca. È
l’ultima fase che consente di vedere il consumatore cosa fa nella fase di acquisto. Sulla base del
comportamento (supponiamo negativo) poi con la risposta cognitiva e/o con quella affettiva possiamo
risalire all’origine del perché di quel comportamento, e quindi individuare le leve su cui agire per
modificarlo. Ma lo stesso discorso vale anche quando il comportamento è positivo (cioè il consumatore
acquista) perché innanzitutto è sempre possibile migliorare agendo sulle medesime leve, ma soprattutto
quel comportamento potrà essere modificato dalla spinta competitiva dei miei concorrenti. Tale risposta
comportamentale è sostanzialmente misurata dai volumi di vendite e dalle quote di mercato.
Più precisamente oltre ad acquistare per l’azienda è fondamentale la ripetizione dell’atto di acquisto del
consumatore. Infatti il consumatore potrà anche aver acquistato sulla base di un buon valore percepito
atteso ma se non è soddisfatto dell’utilizzo chiaramente non ripeterà l’atto di acquisto, quindi si ritorna al
concetto di customer satisfaction e al suo monitoraggio per valutare la fiducia fedeltà-customer equity.
IL PROCESSO DI ACQUISTO
Il processo di acquisto riguarda un altro aspetto del “come” il consumatore acquista, ed è strettamente
legato alle risposte in quanto in base alle risposte dipenderà il processo. In particolare il processo di
acquisto tende a vedere gli stadi e il coinvolgimento psicologico attraverso cui il consumatore passa per
giungere all’acquisto finale e riguarda principalmente i prodotti “nuovi” o complessi, cioè quelli che il
consumatore non conosce o che non sono soggetti ad impulsività. Le fasi sono le seguenti:
1) la percezione del bisogno, che può essere stimolata dalle aziende scegliendo i momenti opportuni in cui
farlo (ad es. i multivitaminici vengono comunicati in autunno-inverno che è il periodo in cui si inizia
maggiormente a lavorare/studiare, cosicché si stimola la percezione del bisogno nel momento in cui il
consumatore effettivamente può avere bisogno di quel prodotto);
2) posto che il bisogno sia emerso, il consumatore inizia a ricercare informazioni sui prodotti che possono
soddisfare quel bisogno. Anche in questa fase l’azienda può influenzare il consumatore e quindi deve essere
presente,
3) dopo aver ricercato le informazioni il consumatore nella sua mente in maniera molto approssimativa
“costruisce” uno schema alla Fishbain, cioè valuta i diversi attributi che per lui sono più importanti
definendo quelle che sono le prestazioni dei vari marchi dell’evoked set su quegli attributi, e in questo
modo pone in essere un processo di valutazione delle alternative, ciò in maniera intuitiva non in maniera
“analitica”. Poi ovviamente potrà sbagliare, ma ciò lo potrà verificare nella fase post-acquisto.
Anche in questa fase l’azienda può intervenire condizionando psicologicamente il consumatore con una
comunicazione mirata ad evidenziare le prestazioni del marchio-prodotto sui vari attributi;
4) dopo questa valutazione il consumatore arriva sul punto vendita e decide cosa acquistare;
5) infine vi è la fase post-acquisto in cui il consumatore valuta il prodotto maturando il proprio valore
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d’uso.
ESEMPIO UBER
prezzo, si sceglierà sicuramente il gioiello Bulgari proprio perché l'elemento affettivo è più rilevante di
quello funzionale)
3) DO, LEARN, FEEL: in basso troviamo il debole coinvolgimento che se è associato ad una dimensione
razionale del modello di apprendimento che riguarda i prodotti routinieri, in cui l’acquisto è di impulso (do),
dopodiché sulla base dell’acquisto si apprende (learn) ad esempio la performance del prodotto (la pila si
scarica dopo 2 giorni, il fazzoletto si strappa facilmente ecc.), e ovviamente sulla base di questo
apprendimento si matura un atteggiamento (feel) su quel prodotto-marca;
4) DO, FEEL, LEARN: l’edonismo è relativo a prodotti in cui il consumatore agisce (do) d’impulso come i
routinieri, si produce un sentimento/emozione (feel) su quel prodotto acquistato (ad es. sapore), e infine si
razionalizza quel sentimento (learn). Quindi sono ovviamente prodotti a basso coinvolgimento e in cui il
processo di apprendimento è di tipo emotivo, si fa riferimento al prodotto rispetto ai quali non c'è una
programmazione nell'acquisto e quindi il cliente, nel vedere quel prodotto si sente di acquistarlo e lo fa.
Sulla base della matrice precedente in cui si evidenziavano i processi di acquisto è possibile posizionare ora
le varie tipologie di prodotti associati a quei processi. Possiamo distinguere 4 tipologie di prodotti:
1.2.- prodotti shopping/specialty in cui il coinvolgimento è alto ma che possono essere anch’essi a valore
oggettivo o soggettivo a seconda che il processo di acquisto sia di tipo razionale o emotivo;
3.4.- prodotti convenience a valore oggettivo o soggetivo, in cui quelli oggettivi si caratterizzano per il fatto
che il consumatore può verificare appunto oggettivamente la performance del prodotto (funziona/non
funziona); quelli soggettivi dipendono dalle “emozioni” di ciascuno (il sapore è un senso soggettivo).
1) assicurazioni sulla vita, assicurazione auto , lenti a contatto, elettrodomestici, carte di credito
2) auto familiare , auto sportiva, orologio di valore, occhiali, profumo, tappezzeria.
3) Lozione solare, Shampoo , rasoi usa e getta, carta igienica
4) Pizza, bevande ipocaloriche , cioccolatini , bibite, patatine
Esempio di imprese che sono passate da un tipo di prodotto ad un altro:
- Pringles (marchio di P&G) quando ha cercato di spostare questo prodotto dall’essere una semplice
“patatina” all’essere uno “snack”, e quindi spostare il marchio dalla nicchia dell’edonismo a quello dei
prodotti specialty a valore soggettivo, quindi a forte coinvolgimento.
- Invece Bic (sempre marchio P&G) cerca di incrementare il valore oggettivo dei propri rasoi usa e getta e
quindi di spostare il prodotto verso quelli ad alto coinvolgimento razionale (perché ad esempio è ritenuto
un rasoio usa e getta più affidabile ecc.).
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1) FEEL , DO, LEARN: Quando c’è poca differenza tra le marche e c’è un forte coinvolgimento il
consumatore cerca di scegliere il prodotto che su un certo attributo lo gratifica di più, ad esempio quello
che costa di meno ecc., cioè cerca di ridurre la dissonanza, e su questo le imprese lavorano cercando di
mutare l’atteggiamento (feel) del consumatore verso il marchio che sarà quello che determinerà l’acquisto
(do) che poi a sua volta determinerà l’apprendimento, agendo sulla comunicazione con l’obiettivo di far
emergere la differenza del proprio marchio rispetto agli altri.
2) LEARN, FEEL, DO: Quando invece c’è una forte differenza tra le marche e il prodotto è a forte
coinvolgimento , l’acquisto sarà di tipo complesso, in cui il consumatore cercherà prima di apprendere
(learn), sulla base di quelle informazione maturerà un atteggiamento (feel) che determinerà l’acquisto (do).
In questo caso dal momento che il consumatore valuterà razionalmente il prodotto, l’azienda cercherà di
enfatizzare la performance su quegli attributi che ritiene essere fattori critici di successo nello specifico
business, bisognerà lavorare sulla comunicazione, sul posizionamento del brand, personale vendita (ad es.
se si vuole acquistare un televisore è chiaro che il personale vendita aiuta ad enfatizzare quegli attributi
chiave del televisore, soprattutto con i punti vendita di proprietà).
3) DO, FEEL, LEARN : Nell’acquisto abituale l’azienda dovrà lavorare sulla memorizzazione della marca, sulla
presenza nei canali distributivi (che dovrà essere massiccia) ecc. in quanto il prodotto è a basso
coinvolgimento e in cui le differenze tra i marchi non sono percepite.
In questo caso le variabili su cui agire sono quelle della promozione in termini di prezzo, distribuzione
massiccia e notorietà del brand.
4) DO, LEARN, FEEL: Nella ricerca di varietà il consumatore riesce a percepire la differenza tra i marchi, e
sulla base di quelle differenze orienterà i propri acquisti (voglio il frollino della Mulino Bianco perché è più
compatto, voglio il frollino del Balocco perché è più dolce ecc.), acquisti che però saranno a basso
coinvolgimento. In questo caso l’azienda cercherà di ridurre questa ricerca della varietà cercando di
“intrappolare” il consumatore nell’acquistare il proprio marchio attraverso attività di promozione,
distribuzione, notorietà e prezzo.
1. L’iniziatore = È colui che fa nascere un bisogno. È il percettore del bisogno su cui l’azienda può lavorare
per far percepire quel bisogno.
2. Influenzatore = È colui che influenza la decisione perché magari è il leader all’interno della famiglia
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oppure è il maggior esperto di quel prodotto all’interno della famiglia. Ad esempio l’acquisto della pasta
viene influenzata dalle scelte del marito e dei figli. Se l’azienda riesce individuare chi è L’influenzatore potrà
operare in maniera mirata nei suoi confronti con una specifica comunicazione.
3. Decisore = È chi decide sulla base delle alternative fornite dal iniziatore e/o L’influenzatore.
Normalmente coincide con chi ha la forza reddituale per prendere quella decisione quindi in una classica
famiglia sarà il padre o la madre. Ad esempio se consideriamo l’acquisto di una merendina il bambino
indirizza la madre verso determinati marchi ma chi deciderà quale acquistare non sarà il bambino ma la
madre o il padre.
4. Acquirente = È il responsabile di acquisto cioè chi materialmente acquista il prodotto secondo le
indicazioni dell’influenzatore e soprattutto secondo la decisione presa dal decisore .
5.Utilizzatore = E’ chi materialmente utilizza il prodotto che potrà essere diverso dall’acquirente e o il
decisore.
ESEMPIO = Ad una madre casalinga piace guardare la TV e si lamenta del fatto che la TV attuale sia datata.
Iniziatore = la donna
Influenzatore = vicini e/o amici
Decisore = moglie insieme a marito e figli
Acquirente = moglie e marito
Utilizzatore = la famiglia
La lunghezza del processo di organizzazione d’acquisto (intesa come susseguirsi tutti i soggetti) è collegata
al rischio percepito prima di acquistare il prodotto.
Maggiore sarà il rischio e più lungo sarà il processo ( ci saranno più attori) ;
Minore sarà il rischio e più breve sarà il processo (pochi soggetti).
La percezione del rischio varia a seconda del prodotto, infatti se ad esempio il consumatore intende
acquistare dei convenience goods sia la perdita finanziaria che rischio saranno bassi mentre nel caso in cui
si vogliano acquistare shopping goods oppure exellent goods il rischio percepito sarà maggiore.
ANALISI DELL’ATTRATTIVITA’
Per compiere analisi strutturale e della concorrenza a livello business (ci si concentra a questo livello in
quanto ragionare a livello corporate costituirebbe un lavoro poco utile e significativo dal momento che
un’impresa può operare potenzialmente in business profondamente divergenti tra di loro) è necessario
valutare il grado di attrattività del business e i fattori critici di successo.
A sua volta per compiere questa valutazione vi sono una serie di strumenti e di analisi che è possibile
utilizzare: il modello delle cinque forze di Porter, l’analisi dei fattori esterni, l’analisi dei raggruppamenti
strategici/competitivi e l’analisi della performance/posizione competitiva
IL MODELLO DELLE 5 FORZE DI PORTER
1) Il modello delle cinque forze nasce nell’ambito del ragionamento del paradigma SCP Visto che va ad
analizzare quali sono le forze che determinano la redditività media del settore e quindi l’attrattività. Porter
pone come forza di stesura del modello la concorrenza diretta del settore.
Diversi sono i fattori strutturali che condizionano le dinamiche competitive dei concorrenti diretti del
settore e sono:
• TASSO DI CONCENTRAZIONE: esso è il classico fattore strutturale che condiziona il modo di competere:
una concentrazione elevata (ovvero ci sono poche imprese che si dividono il mercato) è il presupposto della
bassa concorrenza fatta sul prezzo che determinerà una maggiore redditività e quindi una maggiore
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•TASSO DI CRESCITA DELLA DOMANDA: se aumenta il fattore tasso di crescita della domanda: la
competizione tra le imprese sul prezzo diminuisce, di conseguenza la redditività sarà più elevata così come
l’attrattività dell’intero settore.
-Al contrario se il tasso di crescita della domanda diminuisce: ci sarà una maggiore competizione tra le
imprese sul prezzo di conseguenza la redditività di misura così come l’attrattività dell’intero settore.
•LIVELLO DI DIFFERENZIAZIONE: Quanto più all’interno del settore il prodotto è standardizzato e quindi
poco differenziato: più probabilmente il prezzo si definisce sulla base dell’incontro tra domanda e offerta, la
competizione sarà più aggressiva, quindi e di conseguenza la redditività e l’attrattività del settore saranno
più basse.
-All’aumentare invece del livello di differenziazione, la leva prezzo verrà usata poco e di conseguenza su di
essa ci sarà una scarsa competizione e di conseguenza aumenterà la redditività così come l’attrattività del
settore. Esempio: il settore del lusso.
Ciò porterà ad una maggiore competizione sul prezzo, di conseguenza la redditività media del settore e
l’attrattività del settore saranno più basse.
•STRUTTURA DEI COSTI: se i costi fissi incidono molto di più dei costi variabili, le imprese tenderanno a
condurre delle strategie di volume ovvero tenderanno a vendere quanti più prodotti possibili e per farlo
tenderanno a competere maggiormente sul prezzo, infatti saranno quasi obbligati a raggiungere quel
determinato Breakeven point perché altrimenti si troverebbe un’area di perdita: di conseguenza la
redditività sarà più bassa così come l’attrattività del settore.
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Oltre alla CONCORRENZA DIRETTA come forze abbiamo:
minaccia di nuovi entranti, minaccia di prodotti sostitutivi, potere dal lato dell’offerta e potere contrattuale
(dal lato della domanda della domanda e dal lato dell’offerta)
produzione di energia elettrica mentre un settore in cui non è necessario avere a disposizione una grande
disponibilità finanziaria è il settore del turismo oppure un’attività legata ad Internet.
3. Know-how e fabbisogno di competenze: un settore dove è necessario un know how elevato è il settore
dell’high-tech mentre un settore dove il know how non rappresenta una barriera all’entrata è quello della
cancelleria.
4. Marca: un settore in cui la barriera marca è molto elevata è il settore di lusso
5. Canali distributivi
6. Possibili ritorsioni dei concorrenti: molto spesso accade che le imprese non entrino nel settore per le
possibili azioni da parte dei concorrenti sul prezzo oppure sui distributori con l’obiettivo di far preferire i
loro prodotti piuttosto che quelli dell’impresa entrante. Un esempio di impresa nota per essere molto
aggressiva è la Procter & Gamble (multinazionale americana di beni di largo consumo)
7. Economie di scala: esistono Dei settori che per loro natura richiedono, per le imprese che vogliono
entrarvi, di porre in essere particolari strategie di volume come ad esempio il settore automobilistico.
All’aumentare delle barriere all’entrata aumenterà l’attrattività del settore siccome le barriere all’entrata
tendono a ridurre il livello di competizione, (soprattutto sul prezzo) per cui si avrà un’alta redditività media
del settore che rende tale settore attrattivo.
Accanto al concetto di barriere all’entrata, esiste anche il concetto di barriere all’uscita: ovvero il grado di
difficoltà di uscita dal settore, cioè quanto è difficile uscire dal settore senza perdere troppo in termini di
costo. Se un’impresa ha fatto grandi investimenti per poter raggiungere adeguate economie di scala visto
che erano elevate le barriere all’entrata, uscire dal settore comporterebbe un costo eccessivo e quindi la
barriera all’uscita è molto elevata.
1. Numero di prodotti sostitutivi: ad una maggiore presenza di prodotti sostitutivi corrisponderà una
maggiore minaccia
2. Propensione all’acquisto di prodotti sostitutivi: quanto più il prodotto sostitutivo soddisfa il bisogno, in
modo simile a come lo soddisfa il prodotto in questione, tanto più aumenterà la minaccia
3. Prezzo dei prodotti sostitutivi: quanto più il prodotto sostitutivo presenta un prezzo basso tanto più la
minaccia sarà elevata
Se ci sono molti prodotti sostitutivi l’attrattività del settore diminuisce perché tende ad aumentare la
competizione, anche se essa proviene da un settore differente rispetto a quello in cui si opera.
Potere contrattuale
In un settore in cui si è fornitori che clienti hanno un elevato potere contrattuale ciò andrà a ridurre il
margine di guadagno delle imprese e ciò si tradurrà in una minore redditività e di conseguenza in una
minore attrattività del settore.
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Per rappresentare” e/o calcolare il grado di attrattività di un settore partendo dal modello di Porter:
Bisogna prendere le 5 forze di Porter e per ogni forza viene individuato su una scala da 1 a 5 l’incidenza sul
grado di attrattività (attuale e futuro, che potrà spingersi fino ai 3-5 anni) e si può costruire un grafico di
spezzata.
È possibile anche dare un “peso” a ciascuna forza in base all’importanza che questa riveste nella
determinazione del grado di attrattività del settore. In questo modo è possibile calcolare un valore
ponderato per ogni forza, e sommando i vari valori ponderati è possibile ottenere una misura complessiva
del grado di attrattività del settore su una scala da 1 a 5.
5) o infine con aziende produttrici di prodotti sostitutivi (anche questa può essere considerata come una
modalità di diversificazione ma, ovviamente, maggiormente correlata con il proprio business).
6) Inoltre molto spesso è possibile anche aggiungere una forma di collaborazione con la “sesta forza” , cioè i
complementors, andando sostanzialmente ad integrare l’offerta principale con servizi complementari.