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Chiacchio-Ambrosanio

STRATEGIA COMPETITIVA
Una strategia competitiva è l’insieme delle decisioni assunte e di azioni poste in essere dal management,
cioè da chi è deputato alla direzione aziendale, per assicurare due obiettivi:
- Il vantaggio competitivo dell’impresa;
- Duratura sopravvivenza dell’impresa (che è determinata dal raggiungimento del primo):
Attraverso il dominio delle emergenti opportunità nei mercati attuali e futuri, la valorizzazione delle risorse
e competenze attuali, l’acquisizione di nuove competenze critiche per la crescita futura e la creazione di
valore per gli stakeholder rilevanti. La strategia determina ed esplicita lo scopo dell’impresa in termini di
obiettivi di lungo periodo.

I LIVELLI DI PIANIFICAZIONE STRATEGICA


La strategia competitiva si forma a vari livelli:
1) al primo livello è il livello "CORPORATE STRATEGY" dove vengono prese le decisioni strategiche
fondamentali che riguardano l'azienda nel suo complesso
2) Il secondo livello " BUSINESS SBU/SBA STRATEGY" riguarda le decisioni strategiche finalizzate a
conseguire un vantaggio competitivo in singole aree di business in cui l'azienda opera; infine abbiamo
3) Il livello "ACTIVITY/ FUNCTIONAL SAU/SFU STRATEGY" ( es il Marketing) che riguarda le strategie delle
singole attività aziendali, a questo livello si gestiscono le competenze chiave dell'azienda. I livelli strategici
sono messi a sistema e non separati (corporate, business e funzionale).

PROCESSO STRATEGICO
Il processo strategico è quindi il processo di formulazione della strategia, cioè il processo formale,
disciplinato e esplicito che vede tutti i livelli decisionali dell’organizzazione impegnati a formulare e
implementare la strategia. Formale perché è un processo ben definito all’interno dell’organizzazione per
quando si deve definire la strategia aziendale ai vari livelli in cui essa deve essere definita.
Questo processo di pianificazione consiste nella definizione del piano strategico, cioè il documento entro
cui sono indicati tutti gli obiettivi strategici, le analisi e le decisioni strategiche dell’azienda per un certo
periodo di tempo (oggi tutti settati su tre anni, anche se il tempo può variare in funzione del settore di
riferimento).

I vari livelli di pianificazione strategica (corporate, business e di attività) si articolano in funzione di diversi

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elementi: Missione, strategia, obiettivi, allocazione delle risorse, come acquisire il vantaggio competitivo e
su quali fonti detto vantaggio deve far leva e le fonti di sinergia.
Una strategia competitiva sostanzialmente lavora su questi sei elementi, ma a livello di singolo livello di
articolazione della strategia, per ogni elemento la pianificazione cambia, nel senso che man mano che
procedo dalla corporate alla singola attività ognuno dei sei elementi diventa sempre più specifico e
dettagliato.

La missione definisce l’obiettivo più generale dell’azienda o il ruolo che l’azienda vuole avere nel mercato
nel prossimo futuro, in termini di :
1) ampiezza del prodotto-servizio, cioè con quali categorie di prodotti-servizi l’azienda vuole essere
presente;
2) dell’ampiezza del mercato, cioè i target di clienti (quindi con queste due determinazioni si specifica in
buona sostanza le SBU che si presidiano oggi e che si vogliono presidiare nel prossimo futuro);
3) dell’estensione geografica del mercato, cioè il corporate deve anche definire dal punto di vista
geografico su quali mercati intende competere;
4) delle competenze esclusive su cui puntare per sviluppare il vantaggio competitivo, ad esempio: quali
investimenti in tecnologie, quali cambiamenti organizzativi, quale ridefinizione del business ovvero se si
intende lavorare sui costi, sulla differenziazione o su un equilibrio tra i due.

A LIVELLO BUSINESS
Qui l’obiettivo è formulare una strategia a livello business, cioè lo sviluppo di decisioni e di azioni
riguardanti il business specifico. Anche qui troviamo tre elementi: due interni ed uno esterno:
In particolare l’analisi interna a livello business è finalizzata a valutare i punti forti e deboli dell’azienda, la
posizione competitiva dell’azienda rispetto ai suoi concorrenti e quali sono le risorse e competenze che si
possono mettere in gioco in maniera differenziale rispetto ai miei concorrenti.
L’analisi esterna è finalizzata ad individuare le opportunità e le minacce a livello business.
Da un punto di vista differenziale un aspetto importante è la fase della traslazione delle scelte strategiche in
un budget, dove il budget ha “due facce”:
1) una di natura strategica (che si concretizza nella programmazione dei fondi strategici, che definiscono gli
investimenti che l’azienda deve fare per portare avanti la strategia e che abbracciano un orizzonte
temporale più lungo)
2) E l’altra di natura operativa (si parla infatti di budget operativi, che abbracciano un orizzonte temporale
più breve, generalmente annuale). Dopodiché abbiamo una fase di monitoraggio strategico dove a livello di
ogni business dobbiamo andare a definire i parametri di performance.
Tuttavia sia i budget che i parametri di performance devono essere approvati dal corporate.

Per ciò che concerne la MISSION, diverge da quella a livello Corporate:


La mission a livello business ha “l’obiettivo” di definire in maniera più accurata 5 componenti, ovvero:
- l’ampiezza del prodotto o del sistema di offerta;
- l’ampiezza dei target di clienti serviti;
- l’ampiezza (estensione) geografica dei mercati;
[Questi primi tre elementi in definitiva definiscono la scelta delle combinazioni prodotto-mercato in cui
competere. Ad esempio il corporate potrà definire di operare nel business delle auto di piccola o alta
cilindrata, oppure potrà stabilire di diversificare dai prodotti da forno o dai prodotti di pasta ecc.
ma poi a livello di business bisogna stabilire quanti prodotti realizzare (ampiezza del sistema di offerta),
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quali target di clienti servire e, se il corporate decide di entrare in nuovo continente, in quali paesi specifici
operare.]
- competenze distintive (della SBU rispetto ai concorrenti). Se ad esempio il corporate stabilisce che vuole
“distinguersi” dai concorrenti puntando sull’innovazione, sarà il livello business che nello specifico deciderà
questo cosa vuol dire, cioè stabilirà come si determina questa innovazione nel prodotto, il tempo di lancio
di questa innovazione sui mercati ecc.;
- modalità per raggiungere la leadership sulla concorrenza: costo e/o differenziazione;

SBU
Il concetto di SBU (Strategic business Unit) nacque dopo gli anni 60 , a seguito di una situazione
problematica che subì alla General Electris, la quale avendo diversificato molto ed essendo entrata in troppi
business ebbe seri problemi di controllo e molti di questi business iniziarono a non funzionare, visto che la
struttura dell’impresa non consentiva una riflessione strategica dedicata ad ogni singolo business. La
General Electris si rivolse a dei consulenti secondo i quali era necessario portare cambiamenti non solo
sotto l’aspetto organizzativo, ma soprattutto sotto l’aspetto strategico. Le consigliarono a tal proposito di
definire le unità strategiche di business e per ognuna di esse, prendere una persona e dargli l’autonomia di
decidere quale era la strategia competitiva del singolo business.

DEFINIZIONE SBU:
SBU è un’unità strategica che raggruppa una ben definita serie di prodotti e servizi a un gruppo uniforme di
clienti e chi compete con un gruppo di concorrenti ben definito.
Affinché una SBU possa essere definita tale è necessario che siano soddisfatte una serie di caratteristiche:

1) Deve servire un mercato esterno piuttosto che interno, quindi non è una SBU un’unità dell’azienda che
realizza prodotti o servizi destinati a essere parte del processo produttivo dell’azienda stessa (ad es. se
un’azienda produce pasta ed ha contemporaneamente un’altra azienda controllata che produce il
packaging per la prima, l’azienda di pacchi non può essere considerata una SBU dell’azienda produttrice di
pasta);

2)Deve avere una serie ben definita di concorrenti esterni, rispetto ai quali compete per ottenere un
vantaggio competitivo;

3) I responsabili della SBU devono avere un’indipendenza sufficiente per decidere interventi strategici,
come competere e dove acquisire risorse per poi apportare un profitto all’impresa.

4)La SBU deve essere un centro di profitto, cioè deve essere in grado di influenzare ricavi e costi;

5) Tutti i prodotti della SBU sono sostituibili tra loro, proprio perché sono prodotti che operano su un certo
mercato per soddisfare un certo tipo di bisogni;

6) I prodotti di una SBU devono dar vita ad un’unità funzionante e autonoma, in quanto in caso di
disinvestimento da parte dell’azienda cui appartiene ciò non deve avere influenza sulle altre parti
dell’azienda. (Cioè affinché si possa parlare di avere una propria SBU, l’impresa deve avere la possibilità di
poter disinvestire senza alcuna difficoltà l’unità strategica di Business) Tuttavia quest’ultima caratteristica
non è sempre “verificata” perché dipende necessariamente dalle interazioni che la SBU considerata aveva
con le altre SBU.

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7) che in caso di cessione una SBU possa essere configurabile come un ramo di azienda separato;

Il fatto che le singole unità strategiche di business diventano dei centri di profitto potrebbe rappresentare
un rischio in quanto ciascun centro di profitto potrebbe non dare importanza a ciò che accade in un altro
business (ogni SBU è come se fosse un’impresa a se stante). Per scongiurare questo effetto negativo
l’impresa deve porre in essere delle strategie affinché si sfruttino le eventuali sinergie che potrebbero
esserci tra i vari business. ad esempio una classica sinergia che potrebbe essere sfruttato dal business dei
cellulari e quello dei computer è rappresentato dalla distribuzione cioè utilizzare un singolo canale logistico
e servirsi dello stesso rappresentante anziché utilizzare due canali logistici e due rappresentanti diversi che
comportano all’impresa un costo superiore

Differenza tra ASA e SBU : in base al modello di Abell si identificano delle aree competitive in cui l’impresa
sulla base delle sue scelte decide di competere mentre l’SBU fa riferimento al come l’impresa decide di
competere nell’area strategica d’affari.

Quindi la SBU è una parte importante del processo di gestione strategica che è accompagnata da un altro
centro di pianificazione che possiamo chiamare o Strategic Activity Unit (SAU, unità strategica relativa ad
una certa attività) o più classicamente Strategic Functional Unit (SFU, unità strategica relativa ad una certa
funzione aziendale):

SAU/SFU
La SAU/SFU è un’unità operativa o centro di pianificazione per l’esecuzione dell’analisi della situazione
interna e dell’ambiente esterno a livello funzionale o di singola attività e per la definizione della strategia
competitiva di una specifica funzione/attività aziendale nei confronti dei concorrenti.

•Fatta eccezione della funzione/attività Produzione, tutte le funzioni/attività aziendali hanno un mercato
esterno. La strategia funzionale o di attività deve capire il legame con l’ambiente esterno per migliorare il
posizionamento competitivo.
• Le funzioni o attività aziendali possono sviluppare tra di loro interdipendenze che hanno un valore per la
creazione del vantaggio competitivo.

A LIVELLO CORPORATE: La formulazione della strategia competitiva a livello corporate consiste


nell’andare a definire gli indirizzi strategici di fondo dell’azienda per i prossimi X anni, che a sua volta
significa definire:
- Gli orientamenti strategici (ad es. orientamento allo sviluppo internazionale, orientamento rispetto ai
nuovi mercati, orientamenti nei confronti dei mercati di massa o di nicchia ecc.);
- Le sfide strategiche (ad es. nuove tecnologie da incorporare all’interno dei prodotti, nuove tecnologie di
processo da sviluppare all’interno dell’azienda, nuovi mercati da “conquistare” ecc.);
- Gli obiettivi aziendali
La definizione degli indirizzi strategici di fondo dell’azienda tuttavia è sempre preceduta da un processo di
analisi strategica, che necessariamente condiziona la prima.
Tale analisi parte innanzitutto nella definizione della visione dell’impresa, cioè la posizione o ruolo che
quell’impresa vuole assumere nei prossimi anni nel contesto competitivo date le risorse e le competenze di

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cui dispone o intende disporre o a cui potrebbe accedere.


È un enunciato che ha lo scopo di comunicare la natura dell’organizzazione in termini di:
- Missione aziendale (definire i business o i settori in cui competere)

- Strategia orizzontale e strategia di diversificazione;


- Strategia di integrazione verticale,
- Segmentazione per attività di business
- Assetto di governo-struttura organizzativa, in termini di integrazione ed outsourcing

Differenza tra livello corporate e livello business:


La differenza netta fra livello Corporate e livello Business è che il livello Corporate controlla dall’alto i vari
business mentre il livello Business è costituito da soggetti che pongono in essere la propria strategia
competitiva nei vari business di competenza.

LIVELLO DI ATTIVITA’/FUNZIONALE
Una volta scelto il business e la combinazione prodotto-mercato ora la missione a livello di attività
permette di individuare in maniera puntuale il target da che punto di vista bisogna definirlo (dal punto di
vista dell’età, del reddito, dello stile di vita, del sesso ecc.), cioè definire la combinazione prodotto-mercato
in termini specifici, ed è qui che lavora il marketing; o piuttosto definire l’ampiezza dell’assortimento (ad es.
stabilire quanti modelli si vogliono di un certo prodotto in modo tale da coprire determinati sotto-target di
clienti); pricing; branding.
Ogni unità funzionale ha una sua logica strategica. Fatta eccezione per l’attività di produzione, tutte le
funzioni/attività hanno un mercato esterno. La strategia funzionale o di attività deve capire il legame con
l’ambiente proprio esterno e inglobare le sfide generate da esso per migliorare il posizionamento
competitivo. Le funzioni o attività aziendali possono sviluppare tra di loro interdipendenze (o sinergie) che
hanno un valore per la creazione del vantaggio competitivo, ad esempio tra la logistica e il marketing è
ovvio che ci siano delle relazioni, e meglio vengono gestite queste relazioni più io azienda posso impattare
meglio sulla qualità del servizio e del prodotto, sui costi ecc.
A livello funzionale avviene la traslazione delle decisioni assunte dagli altri due livelli.
Ogni strategia (sia a livello corporate e sia a livello business) genera dei c.d. requisiti funzionali, cioè dei
parametri che il livello inferiore deve “rispettare” nel definire la propria strategia. Se ad esempio la
strategia business stabilisce il requisito funzionale per cui l’azienda per ottenere il vantaggio competitivo
deve puntare sull’innovazione, tali requisiti devono essere traslati a livello funzionale stabilendo cosa
significa fare innovazione a livello marketing, di produzione ecc.,
Ciò che diverge dalle precedenti è il focus, cioè l’analisi ora è incentrata sull’attività specifica.
Ad esempio se considero il marketing e procedo con la swot analysis dovrò stabilire la mia penetrazione sui
canali distributivi (la mia numerica, la mia ponderata ecc.), la mia brand image (cioè il mio valore di
marchio), le opportunità e le minacce per la mia marca ecc.
------------------

Differenza tra formulazione della strategia : procedura analitico formale , incentrata sullo sviluppo della
conoscenza, è quindi di tipo cognitivo. È un processo di analisi sull’ambiente esterno (mercato, condizioni
sociali) e le sue future variazioni.
Formazione della strategia: essendo l’azienda costituita da persone , ci si dedica all’analisi di fattori
motivazionali , psicologici e politici presenti nella strutta manageriale , formale ed informale.
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Il processo strategico apportato nel corso degli anni a una distinzione fra:
GESTIONE:
Vista come un processo operativo, consiste nel nel formulare scelte di BREVE TERMINE (durata max di un
anno) e riguarda operazioni di routine svolte all’interno dell’impresa.
STRATEGIA
È un processo che consiste nel formulare scelte di LUNGO TERMINE che servono a far perdurare l’azienda e
definire la sua posizione nell’ambiente esterno.

L’analisi interna ed esterna viene realizzata ad ogni livello di pianificazione strategica, attraverso la SWOT
ANALYSIS:
SWOT ANALYSIS
Uno dei passi fondamentali dell’analisi della situazione è la c.d. SWOT analysis:
Come ben noto la SWOT analysis ci consente di individuare le forze e le debolezze dell’impresa che
ovviamente potranno essere di vario genere: potranno afferire al brand, ala qualità del prodotto, al valore
percepito dal cliente, dalla fedeltà del cliente, dall’efficacia distributiva, e così via. Ovviamente quando si
parla di forze e debolezze si fa riferimento a variabili che afferiscono all’ambiente interno all’impresa.
Inoltre, come è sempre ben noto, la SWOT analysis ci consente di individuare anche minacce ed
opportunità, ad esempio: dimensioni e crescita del mercato, posizionamento competitivo, strategie
apparenti, barriere all’entrata, bisogni del cliente. Quando si parla di minacce ed opportunità tuttavia ci si
sposta dall’ambiente interno all’impresa all’ambiente esterno

Considerando congiuntamente i quattro elementi l’azienda deve cercare di “matchare” punti di forza con le
opportunità, le debolezze devono essere minimizzate o convertite in punti di forza, le minacce devono
essere bloccate dai punti di forza dell’azienda cercando di minimizzarle o, meglio ancora, di convertirle in
opportunità.
Questo modello ci consente di mettere assieme l’analisi interna e l’analisi esterna (di un’azienda corporate,
di una SBU o di una SAU, in quanto la SWOT analysis può essere condotta a tutti i livelli).
1) Nel punto di incontro tra opportunità e punti di forza abbiamo le c.d. opportunità sostenibili,
2) Nel punto di incontro tra minacce e punti di forza abbiamo le c.d. minacce sostenibili in quanto “ho le
forze giuste per affrontare la minaccia”,
3) Nel punto di incontro tra minacce e punti di debolezza ho le c.d. minacce insostenibili in quanto è una
minaccia che agisce su un punto debole e quindi non si riesce ad affrontarla, infine

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4) Nel punto di incontro tra opportunità e debolezze ho le c.d. opportunità insostenibili in quanto non ho
“le forze necessarie per cogliere quell’opportunità”.

La filosofia aziendale è un’enunciazione a carattere permanente che riguarda:


• Quali sono i rapporti tra l’impresa e i suoi stakeholder
• Quali sono gli obiettivi generali di performance dell’impresa in termini di crescita e redditività
• Quali sono le politiche fondamentali dell’impresa rispetto allo stile di direzione (ad es. stile gerarchico,
orizzontale), alle questioni organizzative, alla gestione delle risorse umane, al marketing ecc
• Quali sono i valori, principi etici e regole di comportamento personale e aziendale.
CODICE ETICO: Rende comuni e diffusi i valori in cui l’azienda si riconosce, a tutti i livelli, facendo si che
chiunque, ogniqualvolta è chiamato a prendere una decisione, si ricordi con chiarezza che ad essere in
gioco, non sono soltanto gli interessi, i diritti e i doveri propri, ma anche quelli degli altri.

SU COSA SI PUO’ BASARE LA STRATEGIA COMPETITIVA


Markides, definì la strategia come tutto ciò che concerne la scelta del posizionamento sul mercato, che è
determinato dalle risposte a tre domande:
1. Chi è il mio target di clienti?
2. Quali bisogni voglio soddisfare?
3. Come dovrei farlo? Quali prodotti/servizi, con quale prezzo, con quale canale distributivo,
con quali scelte di marca, con quale livello di servizio al cliente, ecc.? Con quale, quindi, sistema di offerta?

La risposta a queste domande ovviamente individua dove e come voglio competere.


Secondo Michael Porter ciò che è realmente importante è definire quali sono i modi differenti attraverso
cui vuoi soddisfare i bisogni dei tuoi clienti. Qui la logica strategica è fortemente incentrata
sull’innovazione, la strategia è qualcosa di innovativo in cui il tema non è “soddisfare i tuoi clienti” ma
soddisfare i tuoi clienti in maniera diversa da quella che fanno i tuoi competitors sul mercato.
Di fatti possiamo individuare diversi approcci strategici alla ricerca del vantaggio competitivo come ad
esempio:

-Contenimento dei costi, prezzi più bassi dell’intero settore.


È chiaro che in questo caso il problema non è avere il prezzo più basso , ma quello della sostenibilità del
prezzo più basso, cioè avere una curva dei costi più bassa; Esempio: IKEA
- Sviluppo di tratti distintivi, di unicità, di differenziazione dai concorrenti, che può essere ottenuto in
diversi modi:
• Qualità/Affidabilità /Superiorità tecnologica del prodotto: Audi, BMW
• Design/Stile: Apple, che ha maturato la sua iconicità proprio su questo componente;
• Immagine : Harley-Davidson (outlaw), Chanel (elegance)
• Servizio clienti ( Fedex);
• Esperienza del consumatore: Walt Disney, Apple.
• Innovazione di prodotto: Apple.
• Concentrazione su una ristretta nicchia di mercato: Rolex, Ferrari;
• Ampiezza prodotto-mercato: LVMH, Gruppo Fiat, Microsoft, Oreal. In questo caso si parla più
propriamente di ampiezza orizzontale, cioè categorie di prodotto diverse, questo perché il problema è
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andare a soddisfare un bisogno che riguarda non un singolo aspetto ma una categoria di aspetti. Ad
esempio se l’Oreal crea ampiezza orizzontale lo crea non per lavorare solo nella cosmesi, shampoo ecc. (che
soddisfano un solo bisogno) ma per dare delle soluzioni al cliente su una categoria di bisogni più ampia che
è quella del body care (cura del corpo). Quindi la mia logica strategica è soddisfare questa categoria di
bisogni e quindi creo tutta una serie di prodotti idonei a soddisfarli;
• Integrazione del cliente (customer engagement) nella creazione del prodotto-servizio: Ikea, Dell
Computer. Ad esempio “Dell Computer” ha innovato la sua logica strategica ingaggiando il consumatore
nella costruzione del PC, cioè il consumatore che autodefinisce come deve essere il suo PC. Ed è chiaro che
in questo modo aumenta la soddisfazione del cliente;
• System Lock-in, Lock-out: significa lavorare su elementi che limitano gli spazi di manovra/scelta del
consumatore attraverso standard proprietari. Consiste nella possibilità di avere uno standard tecnologico di
riferimento di proprietà con cui il prodotto funziona (come Sony con la Playstation, o Microsoft per i PC) e
quindi la diffusione dello standard determina un vantaggio competitivo. (differenziazione).
Es: come i fornitori di contenuti (videogiochi) che li creano in funzione delle piattaforme di riferimento
(Playstation) che portano quindi a ‘costringere’ le scelte dei consumatori e creando così anche una sorta di
blocco della concorrenza (LOCK-IN LOCK-OUT)

Hax e Majluf
hanno proposto un modello pone in evidenza come il processo di gestione strategica dell’impresa deve
amalgamare fattori comportamentali e fattori analitico-formali. Esso illustra le componenti (visibili e
invisibili) di una organizzazione aziendale: componenti che prendono parte al processo di management
strategico, ovvero incisive di qualunque processo decisionale.

Elemento centrale del management strategico è la cultura d’impresa: essa da un lato influenza e condiziona
le scelte di management dell’azienda, dall’altro è influenzata dai sistemi amministrativi e dai
comportamenti dei singoli o dei gruppi presenti nell’organizzazione. La cultura organizzativa consiste
quindi nell’insieme di valori, principi, credenze, atteggiamenti, sentimenti, assunti che i membri di
un’organizzazione condividono e che influenzano il modo in cui essa conduce il proprio business.

-Il Management Strategico è da considerarsi un processo che, a valle di un’analisi dello scenario
competitivo di riferimento (input) e tramite la strutturazione di piani operativi di decisioni/azioni
interdipendenti e coerenti con gli obiettivi da raggiungere (fasi), intende rendere altamente probabile
l’accadimento di una o più situazioni future (output finale).
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Esso ha l’obiettivo di favorire il miglioramento della razionalizzazione del processo decisionale presente
all’interno delle fasi di gestione del business di un’organizzazione. Una decisione è razionale quando è non
solo è coerente con i suoi obiettivi ma soprattutto quando è compatibile con le opportunità e i vincoli
esistenti e con le risorse disponibili. Ovvio è che gli obiettivi sono perseguibili solo in presenza di una chiara
definizione della mission e della vision aziendale.
VISION: influenza e, a sua volta, è influenzata dalla cultura organizzativa. Indica il posizionamento
strategico dell’impresa nel futuro date le risorse e le competenze di cui dispone o intende disporre o a cui
potrebbe accedere.

MISSION:
Enunciazione della situazione attuale e delle previsioni future circa l’ampiezza del prodotto-servizio,
dell’ampiezza del mercato (target di clienti), dell’estensione geografica del mercato e delle competenze
esclusive su cui puntare per sviluppare il vantaggio competitivo.

Nel modello si analizza :


l'APPROCCIO AL MANAGEMENT DI TIPO ANALITICO-FORMALE:
Si rivolge all’io razionale per generare comportamenti desiderati. L’elemento centrale di tale approccio è la
struttura organizzativa che alloca compiti e responsabilità tra i diversi attori, tra cui: sostenere l'attuazione
di programmi strategici; facilitare il comportamento normale nelle attività operative dell'organizzazione.
Esso consiste nel :
-sistema di pianificazione
-sistema di controllo di gestione
-sistemi informativi e di comunicazione
-sistema di gestione delle risorse umane e sistemi premianti

APPROCCIO AL MANAGEMENT DI TIPO POTERE COMPORTAMENTO:

Si rivolge all’io emozionale per generare reazioni intuitive; Si basa sul :


• Gestire l’organizzazione informale e stabilire relazioni con i sui leader naturali
• Processo politico che indirizza la creazione, l'esercizio, il mantenimento e il trasferimento del potere
• Meccanismi psicologici che influenzano il comportamento: gestione delle aspettative, rafforzamento
empatia, acquiescenza forzata, sensi di colpa

VANTAGGIO COMPETITIVO
Il vantaggio competitivo lo possiamo qualificare in due elementi di fondo, due aspetti.
1)Il primo è quello che classicamente viene definito come la “Superiorità dei ritorni economico-finanziari
dell’azienda” rispetto ai concorrenti.
2) L’altro aspetto del vantaggio competitivo (che tra l’altro determina il primo) consiste nella capacità delle
aziende di fare meglio degli altri e ciò avviene quando l’impresa in questione ha delle capacità, delle risorse,
delle competenze, dei processi migliori dei diretti concorrenti. Quindi i due elementi sono, come si può
facilmente notare, fortemente interrelati.

Il complesso di decisioni e di azioni che le aziende pongono in essere sono basate su una serie di valutazioni
che devono fare, tra cui rientra lo studio delle emergenti opportunità/minacce nei mercati attuali e futuri.
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Tali opportunità/minacce determinano o possono determinare un cambiamento del vantaggio competitivo,


che non deve essere di tipo statico ma dinamico, tant’è che molte aziende come Gilette, Intel ecc. tendono
a distruggere il loro vantaggio competitivo, nel senso che portano sul mercato innovazioni di prodotto
estremamente veloci (distruggendo quindi il vantaggio competitivo acquisito col prodotto precedente),
tutto ciò perché “la dinamica del vantaggio competitivo” è proprio una logica per mantenere i concorrenti
lontani, perché nel momento in cui questi ultimi si “avvicinano” io azienda faccio un salto introducendo un
nuovo prodotto innovativo.
Questo significa che l’azienda deve acquisire nuove competenze. È ovvio, poi, che il vantaggio competitivo
deriva anche dalla capacità dell’azienda di soddisfare i clienti o, in particolare, di creare valore per gli stessi.

Esistono diverse tipologie di risorse come: quelle tangibili, finanziarie, fisiche, intangibili, tecnologhe,
umane (conoscenze), reputazione/brand. Esse però non sono sufficienti per raggiungere vantaggio
competitivo, pertanto devono essere organizzate ed impiegate in modo tale da ottenere una competenza
distintiva (modalità di impegno dello stock di fattori cioè le risorse) e quest’ultima deve essere adattata alle
richieste del mercato. Un’impresa che adotta un approccio strategico basato sulle risorse deve:

1. Elaborare delle strategie coerenti con le risorse e competenze possedute : nel senso che ad esempio se
l’impresa presenta un brand affermato nel campo dell’informatica, non può pianificare una strategia che
miri alla realizzazione di prodotti appartenenti alla fascia di prezzo medio/basso in quanto non sarebbe
coerente con le risorse e competenze di base possedute e viceversa
2. Sviluppare e aggiornare le competenze in modo da poterle adeguare a delle eventuali nuove richieste
del mercato
3. Sfruttare al massimo il potenziale di creazione di valore delle competenze: cioè l’impresa una volta che
riesce a raggiungere il vantaggio competitivo e a possedere competenze distintive deve capire se può
raggiungere risultati importanti applicando quella competenza distintiva ad un altro settore
(diversificazione)
4. Acquisire dall’esterno le risorse/competenze complementari necessari per integrare le
risorse/competenze già possedute.

CATENA CASUALITÀ
La catena di casualità del vantaggio competitivo è uno strumento che ci permette di capire come,
attraverso degli step, come l'azienda genera il suo vantaggio competitivo e le sue conseguenze.

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Value proposition : la proposta unica di valore che si intende offrire ai clienti


Target: individuare a chi ci si rivolge (chi sono i clienti)
Bisogni serviti : come ad esempio un acquisto con un alto rapporto qualità/prezzo: consegna a domicilio,
ampio assortimento, facilità di utilizzo, reperibilità h24
Vantaggio competitivo : aspetti su cui si basa come prezzo competitivo , sicurezza , semplicità e comodità
nell’esperienza di utilizzo , assortimento , servizio
Asset/ Risorse/ Capacità/ Competenze/ Conoscenze : Definizione del disegno organizzativo e dei sistemi di
monitoraggio

PRIMO STEP : identificazione delle

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SECONDO STEP :
Attività e Processi Chiave : Individuazione delle attività chiave; Delle risorse e competenze per la Catena
del Valore; e dei punti di forza/di debolezza.

TERZO STEP
Strategia Competitiva / Business Model : Definizione del target di clienti, delle sue preferenze. Qual è la
proposta di valore che offro al mio cliente e come posso raggiungere il vantaggio competitivo rispetto ai
concorrenti.

QUARTO STEP
Sistema di Offerta : Qual è il mio sistema di offerta (prodotto/servizi, canale distributivi, prezzo, strategie di
comunicazione, servizio al cliente, ecc);
Qual è il Net Delivered Customer Value e l’identificazione del modello di business che permette di rompere
il trade-off tra prezzo/costo e differenziazione. Il modello di business si riferisce alla logica attraverso cui
l’impresa crea valore per gli stakeholders. In altri termini, come essa crea valore per i clienti (value
proposition) e «cattura» valore per l’azienda (generazione di profitto). Come essa riesce a generare un
flusso di ricavi superiori ai costi , produrre un profitto e una redditività del capitale investito sufficiente.

QUINTO:
Creazione di valore per l’impresa e distribuzione di valore:
Qual è il valore economico-finanziario ottenuto; Qual è il valore creato per gli azionisti;
Qual è il valore creato per gli stakeholders.
SESTO:
Creazione e miglioramento del valore peri clienti* (customersatisfaction)
Indica qual è il NDCV consegnato al cliente; Cosa il cliente percepisce in termini di NDCV; Ed il valutare se si
ha generato con quel sistema di offerta la Customer Satisfaction.

CASO AMAZON:
Amazon è un'azienda di commercio elettronico statunitense, ad oggi la più grande Internet company al
mondo. Il fondatore Bazos era un ingegnere che adottò questo nome (Amazon) prendendo spunto dal
fiume più grande del mondo, il Rio delle Amazzoni.
Nel ’94 iniziò a commerciale libri online in tutto il mondo creando una vera e propria libreria online.
Successivamente cominciò a vendere anche CD, software, videogame, giocattoli e utensili per la casa.
Nel 2017 d’impatto per i supermercati locali fu la vendita di alimenti online e successivamente
l’introduzione di Amazon Prime Video e Music lo pose in concorrenza con Netflix e Spotify.

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PRIMO STEP DELLA CATENA CAUSALITA’ ( rappresentano le basi )


- Conoscenze: informazioni /dati e loro comprensione/interpretazione/azione, conoscenze (settore,
tecnologie, mercato), tacite/esplicite (algoritmo, relazioni con fornitori, ecc)
- Competenze: abilità necessarie per organizzare e gestire le risorse, implementare le attività per un
obiettivo comune in modo che esse aiutino l’impresa a raggiungere gli obiettivi di mercato
- Risorse tangibili: Finanziarie, Fisiche, Tecnologie (piattaforma, magazzini di distribuzione, ecc)
- Risorse intangibili: Reputazione, Cultura (brand equity di Amazon, community e recenzioni)
- Risorse umane: Know-how, Competenze professionali (skill), Capacità di collaborazione, Motivazione del
personale (fornitori, magazzini, ecc)

PROCESSI E ATTIVITA’ CHIAVE


Nella struttura oltre alle basi abbiamo i processi chiave: sono appunto Processi ed Attività Chiave e per
parlare di essi facciamo riferimento alla catena del Valore di Porter:
I fattori chiave di Amazon sono:
1) la velocità dell’evasione dell’ordine che va ad abbracciare le attività di logistica in uscita e i servizi per il
cliente
2) la gestione del magazzino e l’assortimento che abbracciano il marketing e la logistica interna
3) lo sfruttamento delle tecnologie e delle capacità di relazione con i fornitori che riguarda
l’approvvigionamento
4) e infine lo sfruttamento delle tecnologie per migliorare le relazione con il cliente che riguarda il
marketing e vendite e lo sviluppo delle tecnologie.

STRATEGIA COMPETITIVA/BUSINESS MODEL


Il modello di business posto in essere da Amazon prende il nome tecnicamente di “integrazione con il
cliente”, che permette di rompere il trade-off tra prezzo/costo e differenziazione, cioè permette di
differenziare rispetto ai concorrenti (prodotto selezionato, consegna rapida ecc.) mantenendo comunque
un prezzo basso.

SISTEMA DI OFFERTA
PREZZI: Basso , più competitivo
VOLUMI: Alti, economie di scala e di approvvigionamento
COSTI: Bassi, grazie a tecnologie ed economie di scala/approvvigionamento
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QUALITA’ DEL SISTEMA DI OFFERTA: Alta, grazie a servizi , assortimento, affidabilità e velocità di consegna.

Creazione e miglioramento del valore peri clienti* (customersatisfaction)


Creazione di valore per l’impresa e distribuzione di valore
Grazie al mio sistema di offerta creo valore per il cliente, misurato dal NDCV, cioè la soddisfazione che il
cliente ha dopo aver utilizzato il prodotto, che è un elemento fondamentale per il c.d. ciclo di vita della
fiducia, cioè del relativo riacquisto da parte del cliente.
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CASO NETLIX
Netflix è un'impresa operante nella produzione e distribuzione via internet di film, serie televisive e altri
contenuti d'intrattenimento. Fondata da Reed Hastings e Marc Randolph, in California nel 1997.
Inizialmente l'attività principale consisteva nell'offrire il noleggio di DVD e videogiochi, gli utenti potevano
prenotare i dischi via internet, ricevendoli direttamente a casa tramite il servizio postale.
Successivamente l'azienda ha attivato un servizio di streaming online on demand, accessibile tramite un
apposito abbonamento. L’idea di Netflix sta nella scelta di monitorare le abitudini di visione dei clienti
attraverso un algoritmo per suggerire contenuti affini a quelli appena visti. In questo modo, Netflix inventa
un mercato nuovo, creando desideri che i clienti non sanno di avere, aumentando la fidelizzazione e
spazzando via ogni forma di concorrenza. Inoltre Netflix passa dalla sola distribuzione anche alla creazione
di contenuti di alta gamma, diventando così un nuovo player nel mercato dell’audiovisivo e del
multimediale e mettendosi in competizione diretta con i produttori.

PRIMO STEP DELLA CATENA CAUSALITA’ ( rappresentano le basi )


- Conoscenze: informazioni /dati e loro comprensione/interpretazione/azione, conoscenze (settore,
tecnologie, mercato),tacite/esplicite (algoritmo, analisi delle tendenze)
- Competenze: abilità necessarie per organizzare e gestire le risorse, implementare le attività per un
obiettivo comune in modo che esse aiutino l’impresa a raggiungere gli obiettivi di mercato
- Risorse tangibili: finanziarie, fisiche,tecnologie (produzione, piattaforma, ecc)
- Risorse intangibili: reputazione, know-how, cultura (brand equity di Netflix, sicurezza, affidabilità del
servizio, licenze dei film in streaming, ecc)
- Risorse umane: competenze professionali (skill), capacitàdi collaborazione, motivazione del personale

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Chiacchio-Ambrosanio

(scrittori, sceneggiatori, produttori, attori, ecc)

PROCESSI E ATTIVITA’ CHIAVE


Nella struttura oltre alle basi abbiamo i processi chiave: sono appunto Processi ed Attività Chiave e per
parlare di essi facciamo riferimento alla catena del Valore di Porter:
I fattori chiave di Neflix sono:
1) Sviluppo delle Information and Communications Technology(ICT) in relazione con L’infrastruttura
dell’impresa
2) Tecnologie abilitanti lo streaming ed il CRM ( Customer Relationship Management ) analitico in relazione
con lo Sviluppo delle tecnologie
3) Conoscenza del cliente e library personalizzate in relazione con il Marketing e le vendite
4) Produzione di contenuti digitali in relazione con le Operations
5) Innovazione distributiva in relazione alla Logistica esterna
6) Accesso multi-piattaforma e Video on Demand in relazione ai Servizi

SISTEMA DI OFFERTA
PREZZI: Basso , più competitivo
VOLUMI: Alti, distribuzione online
COSTI: Bassi, grazie a tecnologie ed economie di scala
QUALITA’ DEL SISTEMA DI OFFERTA: Alta, grazie a servizi dedicati come il video on demand, ad un ampio
assortimento di prodotti video, ed una piattaforma web/mobile affidabile e veloce.

Creazione e miglioramento del valore peri clienti (customer satisfaction)


Semplicità di utilizzo della piattaforma, qualità e originalità.
Creazione di valore per l’impresa e distribuzione di valore:
Crescita e notorietà del brand
----------------

CATENA DEL VALORE DI PORTER

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Chiacchio-Ambrosanio

La catena del valore di Porter è uno strumento per schematizzare le attività che l’impresa può svolgere e
all’interno delle quali è possibile individuare i cosiddetti fattori critici di successo che l’impresa utilizza per
ottenere un vantaggio competitivo.

Le attività si suddividono in
Attività primarie o attività di flusso (cioè quelle che attraversano tutto il processo operativo dell’azienda
dal momento in cui entrano le materie prime al momento in cui vengono vendute sotto forma di prodotti
finiti e al momento in cui sono nelle mani del cliente con i servizi post-vendita) sono:

1. Logistica in entrata ovvero collegamento con il mercato dei fornitori per l’acquisizione di prodotti,
materie prime per poter iniziare la propria attività
2. Attività operative ovvero la trasformazione di prodotti e materie prime acquistate

3. Logistica in uscita da non confondere con la distribuzione ma si intende come i prodotti dell’impresa
arrivino verso i negozi
4. Marketing ovvero: Ricerche di mercato, analisi dei bisogni dei consumatori, creazione di brand equity,
consapevolezza e notorietà del marchio, sviluppo di un sistema di offerta complesso e di un bundle di
prodotti completo, esperienzialità e comodità di acquisto, copertura internazionale
5. Servizi intesi come servizi post vendita

Attività di supporto , rappresentate orizzontalmente nel grafico per indicare che tali attività influenzano
tutti i processi (attività primarie) e sono:

1. Attività infrastrutturali manageriali le attività direzionali in cui possiamo ritrovare ad esempio la


pianificazione strategica, la finanza e così via
2. Innovazione tecnologica sia di prodotto che di processo (o gestione sviluppo tecnologico)
3. Gestione delle risorse umane cioè personale qualificato e formazione dei dipendenti
4. Approvvigionamento ovvero accesso alle materie prime

MARGINE DI PROFITTO: Al termine della catena del valore abbiamo il cd margine che evidenzia come la
correlazione fra i due tipi di attività possa creare profitto per l'impresa. Il modo in cui l'azienda gestisce le
attività inciderà in modo positivo o negativo sia sui ricavi che sui costi.
E’ detta catena DEL VALORE poiché le interazioni esistenti tra le diverse attività della catena del valore
permettono di capire e spiegare come un’azienda crea valore e riesce ad ottener un vantaggio competitivo.

CATENA DEL VALORE: APPLE (esempio riassunto e preso dalle slide del prof Cantone)
Sviluppo delle tecnologie: Attività di ricerca e sviluppo, attività di innovazione dei processi e dei prodotti ,
attività di sviluppo tecnologico e di ricerca sul design
Servizi: Sistemi operativi più sicuri e meno attaccabili da virus, servizi di assistenza post e pre vendita
Attività operative: Collaborazioni con altri leaders e utilizzo di sofisticati sistemi di automazione
Infrastruttura: Attività finanziarie e di pianificazione, area legale

INTERRELAZIONI INTERNE:
Nel momento in cui si va a costruire la catena del valore, è necessario individuare quali sono i punti di forza
delle attività strategicamente rilevanti per la specifica azienda esaminata.
Tuttavia nella maggior parte dei casi il vantaggio competitivo è determinato dai collegamenti di varie
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Chiacchio-Ambrosanio

attività primarie con altre attività primarie o di supporto.


- Un esempio di “collegamento” tra varie attività può essere fornito da Zara. Quando i punti vendita Zara
vanno in “sotto-stock” relativamente ad un determinato prodotto o addirittura finiscono taluni prodotti,
automaticamente si attiva un’attività di replenishment (cioè di rifornimento) dei punti vendita per portare
nuovamente il riassortimento dei prodotti mancanti. Questo avviene in maniera molto automatizzata grazie
ad una forte relazione tra l’attività di marketing e vendite, le attività operative e la gestione dello sviluppo
tecnologico (che è un’attività di supporto). Quindi se volessimo individuare oggi uno dei punti di forza di
Zara, quest’ultimo nasce dall’incrocio tra queste tre attività, due primarie e una di supporto.
INTERRELAZIONI ESTERNE:
La catena del valore non vive in maniera isolata, ma va a rapportarsi con altre catene del valore come
quella dei fornitori, dei canali e degli acquirenti. Queste relazioni ovviamente dovranno essere gestite al
meglio affinché l’azienda generi valore e ottenga un vantaggio competitivo.
Inoltre se un’impresa opera in più business, e quindi presenta diverse Business Unit, per ogni BU è possibile
individuare una catena del valore. In questa circostanza oltre ai rapporti evidenziati in precedenza
(fornitori, canali e acquirenti) ogni catena del valore di ogni BU va a rapportarsi anche con le altre catene
del valore delle altre BU della stessa impresa, definendo nel complesso il c.d. sistema del valore. Questo sul
piano manageriale determina una riduzione dei costi (perché se si riesce a “sinergizzare” le attività delle
catene del valore appartenenti alla stessa impresa è possibile ridurre i costi, quindi è possibile sfruttare c.d.
sinergie di costo) e un più largo sfruttamento dei punti di forza dell’impresa (cioè se l’azienda eccelle in un
processo in una BU e riesce ad impiegare quello stesso processo in un’altra BU, quell’eccellenza si diffonde
anche in altri business della stessa impresa con evidenti vantaggi, quindi è possibile sfruttare una c.d.
sinergia di differenziazione).
- Un esempio può essere dato da Barilla: se Barilla opera in diverse BU, esempio pasta, prodotti da forno e
sughi, una sinergia di differenziazione in questo caso potrebbe essere quella dello sfruttamento
dell’immagine di marca che Barilla è riuscita ad affermare con il prodotto Pasta (quindi un’eccellenza
dell’attività di marketing della catena del valore della BU “Pasta” viene sfruttata anche dalle altre BU),
mentre una sinergia di costo potrebbe derivare dalle attività di logistica in quanto aumentando i volumi è
possibile ottenere delle economie di scala (esempio sfruttando meglio i costi fissi derivanti dal trasporto
viaggiando a “carichi sempre pieni”)

SISTEMA DEL VALORE


Utilizzare unicamente la catena del valore non consente di individuare quella fattispecie in cui il vantaggio
competitivo dell’impresa sta, non tanto in quello che fa internamente ma in quello che pone in essere
all’esterno. Molte volte infatti il vantaggio competitivo dell’impresa sta nella possibilità che la relazione con
un’altra impresa da di poter svolgere meglio le proprie attività. Quando l’impresa ha diverse relazioni con
gli altri soggetti esterni e queste relazioni sono fondamentali per il vantaggio competitivo, allora l’analisi
deve spostarsi verso la filiera di imprese o sistema del valore.

Difatti affiancata alla catena del valore vi è l’analisi del sistema di valore : inteso come un sistema di
imprese che nel mettersi in relazione di un’ottica input-output, può creare un vantaggio competitivo
maggiore rispetto alla concorrenza. Questo tipo di analisi pone il focus su relazioni binarie ovvero tra
fornitori-imprese imprese-intermediari intermediari-clienti ecc.

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Chiacchio-Ambrosanio

Esempio:
Fornitore-Impresa: volendo fare un esempio in relazione al computer hp suo fornitore è l’Intel che produce
microchip. Hp nella sua relazione con il fornitore Intel trae un vantaggio nell’area ‘marketing-vendite’
ovvero influisce positivamente sulla percezione del cliente, trae poi ancora un altro vantaggio in ambito di
attività operative acquisendo un prodotto con tecnologia elevata. Il concetto della filiera di imprese o
sistema del valore consente quindi di capire che tutti questi vantaggi a capì non le avrebbe mai raggiunti se
non avessi avuto la relazione stabile con il fornitore Intel.
Intermediari-impresa: in relazione agli intermediari anche loro potrebbero trarre vantaggio competitivo
grazie a delle relazioni con particolari imprese, ad esempio, una catena di distribuzione potrebbe trarre
vantaggio competitivo nel momento in cui ad esempio la Barilla consenta la vendita di un prodotto
solamente in quella determinata catena di distribuzione.
Azienda-clienti: possiamo fare l’esempio di Ikea che va ad inglobare il cliente nella propria struttura
organizzativa caratterizzata da un sistema difficile da imitare : i prodotti di ikea sono progettati proprio per
essere montati dal cliente , a differenza dei prodotti dei competitors non progettati con la stessa logica. Da
ciò ne deriva un basso costo dovuto dall’assenza del trasporto e del montaggio.

I MODELLI CHE PERMETTONO DI QUANTIFICARE LA SOSTENIBILITA’ DEL


VANTAGGIO COMPETITIVO NEL TEMPO SONO: IL MODELLO DI GRANT; VRIO;
PETERAF
RISORSE: Le risorse sono attività che sono disponibili e utili nell’individuare e rispondere alle minacce
opportunità di mercato. Un esempio di risorsa può essere quella di un brand come Armani che viene
sfruttato in una sua declinazione come Armani Jeans, Emporio Armani, per sfruttare un’opportunità
rappresentata, in questo caso, dalla tendenza delle classi più basse ad imitare i comportamenti di consumo
delle classi più alte.
Le risorse possono essere:
- le risorse tangibili che possono essere finanziarie o fisiche;
- le risorse intangibili come quelle tecnologiche (es. brevetti), la reputazione e la cultura (cioè il sistema di
valori che può includere, ad esempio, la cultura dell’orientamento al cliente);
- le risorse umane che sono fisiche ma sono “portatrici” di risorse intangibili come il
knowhow/competenze, la capacità di collaborazione e comunicazione e la motivazione.
COMPETENZE: Le competenze sono le abilità necessarie per sostenere il coordinato dispiegamento delle
attività in modo che essi aiutano l’impresa raggiungere gli obiettivi di mercato.
ABILITA’: Le abilità sono una specifica forma di capacità utile in una specifica situazione o connessa all’uso
di un’attività specializzata. Ad esempio definire il prezzo costituisce un’abilità perché va ad operare su una
particolare attività dell’azienda. La distinzione tra capacità e abilità è abbastanza sottile, ma la differenza
sta nel fatto che l’abilità è una “specifica” capacità.
CAPACITA’: Le capacità sono una particolare categoria di attività intangibile che consentono l’uso di attività
tangibili (ad esempio le risorse umane sono tangibili, una capacità sarà quella di assumerle e formarle). Una
particolare tipologia di capacità sono le routine organizzative, cioè quei modelli ripetitivi di azione ai fini
dell’uso delle attività (esempio nella selezione del personale, quando ciò è necessario, si attiva una certa
routine per il recruitment).
CONOSCENZA: La conoscenza è la capacità di integrare e mettere in relazione più dati tra di loro. Le
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Chiacchio-Ambrosanio

informazioni sono le interpretazioni dei dati. I dati sono il risultato di osservazioni di eventi e fenomeni. Ad
esempio un dato potrebbe essere il fatturato di un dato prodotto in un dato momento, l’informazione
potrebbe essere l’interpretazione della tendenza di quel dato.
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MODELLO DI GRANT
Questo modello ha l’obbiettivo di quantificare la sostenibilità del vantaggio competitivo dell’impresa, nel
tentativo di raggiungere questo obiettivo lo studioso ha tentato di analizzare alcune caratteristiche che le
risorse devono avere affinché il vantaggio competitivo si crei e sia sostenibile nel tempo:

Per creare vantaggio competitivo le risorse devono essere:


1.scarse
2. rilevanti, infatti è possibile avere delle risorse che anche se scarse risultano essere rilevanti per
l’acquisizione del vantaggio competitivo.

Per mantenere il vantaggio competitivo è necessario che le risorse soddisfino i seguenti requisiti:
1. Appropriabilità delle risorse:
il concetto di appropriabilità deve essere collegato al concetto di rendita, infatti noi partiamo dal fatto che
possediamo delle risorse distintive e queste risorse creano una rendita (guadagno), quindi si intende la
capacità dell’impresa di controllare la rendita di una risorsa. Alcune imprese hanno difficoltà ad
appropriarsi della rendita ad esempio nel caso delle risorse brevettate: (se l’innovazione è brevettata sarò
l’unico a poter intascare il guadagno di quell’innovazione mentre se essa non è brevettata potrebbe venire
chiunque copiarmi e ridurmi il grado di appropriabilità di quella risorsa.)
Un esempio di risorsa caratterizzata da un basso grado di appropriabilità è la risorsa umana dovuto da un
elevato potere contrattuale. Quindi, un vantaggio competitivo è tanto più sostenibile quanto più la risorsa è
inappropriabile.

2. Trasferibilità: il vantaggio competitivo è tanto più sostenibile quanto le risorse che sono alla base del
vantaggio sono poco trasferibili all’imprese concorrenti. Può capitare che una risorsa è talmente specifica e
inserita in un contesto aziendale che portarlo in altro contesto non riesce a generare vantaggio
competitivo.

3. Riproducibilità: se un’impresa ha un vantaggio competitivo ma l’impresa concorrente ha la possibilità di


poterla copiare in maniera semplice allora il vantaggio competitivo sarà poco sostenibile. Una bassa
riproducibilità sta significare una maggiore difficoltà per i concorrenti a copiare la risorsa alla base del
vantaggio, dovuto magari dalla capacità delle imprese di porre in essere dei meccanismi di isolamento che
impediscono all’impresa concorrente di fare le stesse cose fatte dall’impresa in esame (Ad esempio in caso
di presenza di brevetti). Un altro meccanismo di isolamento potrebbe essere rappresentato dalla quantità
di capitale disponibile da investire di un’impresa rispetto ad un’altra concorrente.

4. Durevolezza: significa che la capacità competitiva che danno queste risorse è stabile nel tempo
(Un esempio di risorsa durevole è il marchio oppure la reputazione). Un’altra capacità che viene individuata
come maggiormente durevole nel tempo è quella dell’innovazione che non deve essere intesa solo come
innovazione tecnologica ma anche innovazione dal punto di vista strategico , cioè avere la capacità prima
degli altri di utilizzare la tecnologia già a disposizione ma in maniera differente.

ANALISI VRIO
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Chiacchio-Ambrosanio

Per rispondere alla stessa domanda precedente, cioè quali sono le condizioni necessarie affinché le risorse
e le competenze possano generare vantaggio competitivo e valore, è possibile impiegare anche un’altra
tipologia di analisi, la c.d. analisi VRIO di Barney. Secondo Barney affinché una risorsa crei vantaggio
competitivo è necessario che:

- siano di valore (Value), nel senso che devono essere determinanti per l’acquisizione del vantaggio
competitivo → che le risorse migliorino l’efficienza di un processo produttivo; aiutino a soddisfare i gusti e
le aspettative dei clienti in continua evoluzione; si abbia accesso preferenziale a preziose materie prime;
investito in macchinari, sistemi informatici o altre risorse fisiche; si posseggano prodotti, servizi o un
marchi a cui i clienti hanno una forte lealtà; e che i benefici della risorsa superino i costi per mantenerla.

-siano rare (Rareness) → non prontamente disponibile per i concorrenti

Sempre secondo Barney affinché una risorsa consenta di mantenere il vantaggio competitivo:
- deve essere scarsamente imitabile (Imitability) → cioè scarsamente riproducibile come affermato da
Grant e che non vi siano sostituti disponibili e che possano fornire lo stesso livello di soddisfazione e lealtà
del cliente, magari anche a costi inferiori
- (Organization) l’azienda deve essere in grado di sfruttarne il potenziale, in ciò si sostanzia la capacità
organizzativa

Valore, rarità, non imitabilità e capacità di valorizzazione combinandosi variamente, generano situazioni di
svantaggio, parità, vantaggio temporaneo e vantaggio durevole nei confronti della concorrenza con
risultati, quindi, rispettivamente al di sotto della media, in media e al di sopra della media (temporaneo e
durevole). Più le risorse possedute dall'impresa sono di maggior impatto sul valore, meno diffuse,
difficilmente imitabili e più sfruttabili da parte dell’organizzazione, più consistente e permanente diviene il
vantaggio competitivo.

MODELLO DI PETERAF
Questo modello del vantaggio competitivo si basa su quattro pietre angolari (condizioni). Il modello dice
che per avere un vantaggio competitivo e fare in modo che sia sostenibile, è necessario fare in modo che
coesistano quattro condizioni:

1. Unicità delle risorse:


Si parla di unicità delle risorse in corrispondenza di due tipi di rendite : ricardiane e monopolistiche:
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Chiacchio-Ambrosanio

Rendita ricardiana: si ha quando l’azienda riesce a produrre ad un costo inferiore rispetto ai costi che
sopportano i competitors nel mercato. (assimilabile alla strategia basata sui vantaggi di costo)
Rendita monopolistica: derivano dal saper combinare le risorse in maniera particolarmente innovativa,
unica e quindi non deriva non dal semplice possesso della singola risorsa in sé o perché è protetta da
brevetto. Ciò gli permette di applicare prezzi superiori. (assimilabile alla strategia di differenziazione)

2. Limiti ex post alla competizione:


Peteraf sottolinea che affinché l’azienda acquisisca un vantaggio competitivo sostenibile è necessario che
queste risorse siano appunto difficili da imitare e/o sostituire. In ciò svolgono un ruolo cruciale i
meccanismi di isolamento, essi sono:
1) Ambiguità causale: rendere quindi difficile la comprensione ai tuoi concorrenti riguardo delle fonti di
vantaggio competitivo.
2) Risorse protette da un brevetto, come ad esempio ha fatto Geox con i suoi tessuti traspiranti o la ricetta
della cocacola.
3) Le relazioni attraverso partnership con i canali distributivi e di comunicazione.
4) La notorietà del brand. (che determina una certa fiducia e fedeltà da parte dei consumatori)
(Se ne vogliono sapere altri: Asimmetria informativa; capacità economica che varia da impresa ad
impresa)

3. Limitata trasferibilità: Non tutte le risorse si trovano sul mercato e quindi sono trasferibili (ad esempio il
brevetto della Geox non è acquistabile in quanto è unico ed è in possesso della Geox), oppure:
Una risorsa calata in un certo contesto può generare vantaggio competitivo mentre se trasferita in un altro
contesto ciò può anche non accadere. Esempio: quando la Apple ha sostituito Steve Jobs col Ceo di Coca-
Cola. Una risorsa è tanto meno trasferibile quanto più essa è integrata in quel determinato contesto. Come
se si trasferisse un organo di un corpo sano in un corpo malato non riuscirebbe a funzionare allo stesso
identico modo.

4. Limiti ex ante alla competizione: cioè la ricerca di modalità diverse di conseguire il vantaggio
competitivo:
l’azienda prima che la competizione abbia inizio, affinché riesca a conseguire un vantaggio competitivo,
deve essere in grado di ricercare questo vantaggio competitivo in maniera innovativa (ad esempio con un
modello di business diverso), o con risorse differenti o, ancora, con nuove “regole del gioco”.

Tale modello afferma che inoltre affinché un’impresa ottenga del vantaggio competitivo occorre che
devono verificarsi tutte le quattro condizioni simultaneamente.

PETERAF AMAZON
Unicità delle risorse: brand e tecnologia, affidabilità, dominant exchange, complementarietà dei servizi
Limiti ex post: reputazione, brevetti sull’e-commerce, ampiezza prodotti offerti
Limiti ex ante: curva del valore che comprende l’aumento servizi (Prime, Alexa), creazione nuova modalità
di vendita con one Click shopping, riduzione tempi di consegna, prezzi e costi, rapporto off line con i clienti
Limitata trasferibilità : tecnologia, fedeltà del brand

PETERAF APPLE (esempio impresa differenziata)


Unicità delle risorse -> Identità del brand; Tecnologia di prodotto/processo; capacità di Design e
innovazione
Limiti ex-post: Reputazione; Tecnologia; Customer experience.
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Chiacchio-Ambrosanio

Limitata trasferibilità: Fedeltà del brand; Innovation capabilities; Vantaggio temporale.


Limiti ex ante: Curva del valore caratterizzata:
Ridotto Numero di prodotti atti a soddisfare più bisogni; Intermediari; Complessità d’uso.
Creazione di Nuova tipologia di prodotto; Customer experience; Sistema chiuso e protetto.
Eliminato: Cost/sacrifici per l’acquisto di più prodotti al fine di soddisfare bisogni diversi.
Aumentato: Modalità d’uso di un solo prodotto; Gamma dei prodotti offerti; Semplicità di utilizzo.

STRATEGIE ORIZZONTALI:
Le strategie orizzontali sono quelle che permettono ad un’impresa di sfruttare le sinergie esistenti tra le
SBU in cui essa opera. L’obiettivo e il vantaggio di ciò è creare un maggior valore complessivo rispetto ai
valori generati da ogni SBU presa singolarmente. Ovviamente il presupposto affinché si possano
manifestare le strategie orizzontali e che l’impresa sia diversificata. Le strategie orizzontali sono quelle
strategie che si utilizzo al livello Corporate. (perché è lì che si gestiscono i business “dall’alto”)

Identificare le sinergie secondo Porter è necessario capire tra i vari business quali sono le probabili
interrelazioni. (Il modello di diagnosi è la catena di Porter)

Le interrelazioni possono essere:

- TANGIBILI : un’interrelazione è tangibile quando due SBU condividono un’attività della catena del valore,
delle risorse in comune, canali distributivi, tecnologie ecc.
- Esempio: prodotti da forno e sughi pronti, un interrelazione tangibile può riguardare la farina e la strategia
orizzontale da attuare potrebbe essere comprare la farina dallo stesso produttore per pagarla
complessivamente di meno.
- Altro esempio : prodotti da forno e sughi pronti, l’interrelazione tangibile può riguardare l’impianto di
confezionamento che può essere utilizzato per entrambi.

- INTANGIBILI: condividere uno stesso brand o delle capacità manageriali.


Una modalità di condivisione che è possibile utilizzare sono la costituzione di Task forces composte da
personale appartenente a più SBU , attraverso cui è possibile avere un trasferimento della conoscenza e del
knowhow che porta queste SBU insieme ad essere più efficienti. Ma anche con sistemi formalizzati come un
sistema di knowledgement che rende tutte le attività di marketing formalizzate inserendole in un sistema.
Un’altra SBU che intende lanciare un prodotto può accedere a tutte le documentazioni relative ai piani di
marketing di prodotti di altre SBU.

- Esempio sulla condivisione del marchio: consideriamo ad esempio il marchio, il caso sempre di sughi
pronti e prodotti da forno ponendogli lo stesso marchio. La strategia orizzontale sta nel fatto che nella
pubblicità oltre sugo pronto ci saranno anche prodotti da forno.
- Altro esempio: consideriamo le ricerche di mercato, uno studio sui prodotti da forno può riguardare anche
sughi pronti.

- CON CONCORRENTI MULTIPLI : Due imprese sono concorrenti multipli quando sono concorrenti su più
SBU contemporaneamente. Ciò significa che le imprese in questione hanno un gran numero di opzioni reali
per aggredire e difendersi. Se un’impresa viene aggredita in una SBU ha più campi di risposta, magari in
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Chiacchio-Ambrosanio

un’altra SBU. Ad esempio una aggredisce in Italia su una SBU allora l’aggredisce in Francia su un’altra SBU o
In Italia ma su un’altra SBU.
- Esempio: Un’impresa organizza le proprie SBU secondo il criterio geografico. Le imprese in considerazione
sono Michelin e Goodyear Che operano rispettivamente in USA e Francia. La Goodyear che era leader nel
mercato americano, decide di attaccare il mercato francese invece di fare la lotta nel suo mercato
americano. Visto che quest’ultimo era organizzato in SBU era indipendente da quell’americano ora il prezzo
dei pneumatici viene abbassato di più di quello americano. La Michelin non accetta cioè decide anche essa
di entrare nel mercato americano. L’impresa quindi deve essere molto attenta quando pone in essere
questo tipo di strategia in un SBU, al danno per il concorrente multiplo perché può rispondere non solo in
quella determinata SBU ma anche in un’altra SBU.

PARADIGMA SCP
Il paradigma S-C-P ( Struttura Condotta Performance ) è un teorema economico che lega i risultati (
performance ) delle imprese al loro comportamento ( condotta ) e, indirettamente, alla struttura del
settore industriale di appartenenza ed indica che quanto prima e meglio l'impresa riesce ad adattarsi alla
struttura del settore industriale di appartenenza , riesce ad ad affermarsi ed ottenere risultati economici .
La struttura industriale è determinata dalle condizioni di base del mercato che sono livello di
concentrazione, barriere all'entrata e all'uscita, economie di scala, livello di differenziazione dei prodotti,
tecnologia. Il comportamento o condotta delle imprese indica l'insieme della politica e delle scelte aziendali
relative al prezzo e alla produzione. Il comportamento (C) delle imprese determina, a sua volta, le
performance (P) delle stesse ossia i loro risultati economici in termini di profitto, fatturato, potere di
mercato, efficienza, potere di mercato, benessere collettivo, ecc
Secondo questo paradigma la tipologia di scelta strategica delle imprese operanti in un determinato
settore, condizionando il livello di competizione, condiziona anche la performance media del settore.

-Le variabili che condizionano la performance all’interno di un settore possono essere:


-Variabili di condotta: le politiche di prezzo; politiche di ricerca di sviluppo; pubblicità; scelte di marketing.

-Variabili di performance: quote di mercato; profitti; costi di produzione; qualità dei prodotti.

-VARIABILI STRUTTURALI: livello di concentrazione, le barriere all’entrata e all’uscita, le economie di scala,


livello di differenziazione dei prodotti, la tecnologia. Queste variabili si definiscono strutturali in quanto
sono da un dato esterno che l’impresa subisce che difficilmente può cambiare, esse vanno ad incidere sul
comportamento dell’impresa.

TASSO DI CONCENTRAZIONE
E’ una misura che indica come le vendite (ed il fatturato) siano ripartite tra le diverse imprese operanti in
un mercato. Un indice che consente di ottenere un’informazione importante sulla struttura di un settore è
il CR4 o il CR5 (CR sta per Concentration Ratio) che misura il tasso di concentrazione di un settore andando
a definire la quota di mercato cumulata delle prime 4 (CR4) o 5 (CR5) imprese con la maggiore quota di
mercato, molto spesso viene utilizzato anche il CR8. Nell’esempio il CR4 è pari al 69,92% e il CR5 al 76,69%,
generalmente si ritiene che se uno dei due indicatori supera il 70% il settore viene considerato altamente
concentrato, se è inferiore al 30% viene considerato frammentato, nelle situazioni intermedie mediamente
concentrato. L’indice di concentrazione può essere considerato anche come un indicatore del grado di
attrattività di un settore, maggiore è infatti la concentrazione maggiore sarà l’attrattività in quanto qualora

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Chiacchio-Ambrosanio

un’azienda dovesse riuscire ad entrare e ad affermarsi in quel settore i potenziali livelli di fatturato e di
redditività sono elevati perché vi sono pochi concorrenti che si “dividono la torta”.
La formula del tasso di concentrazione è pari a ΣQi dove per Qi rappresenta la quota di mercato
dell’impresa iesima.
Inoltre come indice che fornisce informazioni complementari è l'indice di Herfindahl – Hirschman considera
tutte le imprese operanti sul mercato e, pertanto, l'indicatore di concentrazione non è influenzato dal
numero delle imprese. Esso è pari a ΣQi2 , cioè è dato dalla sommatoria dei quadrati delle imprese-iesime
operanti in un settore. Ciò consente di calcolare in modo univoco un indicatore della concentrazione del
potere di mercato. Se è compreso tra 1000 (escluso) e 1800 (compreso) si tratta di moderata
concentrazione quindi è discretamente competitivo, se è uguale a 10.000 è monopolio, se è maggiore
uguale di 1800 è molto concentrato. Se è pari a 0 = si parla di concorrenza perfetta.

MACROAMBIENTE
L’impresa può essere definita come un sistema aperto che vive in un ambiente. L’ambiente in cui opera
l’impresa può essere scomposto in un macroambiente:
Rappresenta l’insieme dei fenomeni che possono influenzare l’attività dell’impresa, in termini di
opportunità da sfruttare di minacce da evitare. Per poter analizzare al meglio il macro ambiente lo si
declina in tanti subsistemi: economico, politico e legislativo, socio culturale e tecnologico e (demografico).
I fattori del macroambiente sono fattori che, un’impresa ponendo in essere una strategia non può andare a
cambiare o a condizionare. (micro si)

La matrice delle priorità degli eventi ambientali è uno strumento che ci consente di valutare quanto è
importante in senso positivo o negativo un determinato evento esterno per la specifica impresa. Come
sappiamo un evento esterno o una variabile esterna può generare delle minacce e delle opportunità, e
quest’ultimi variano in base alla specifica impresa che si va ad esaminare. Gli eventi esterni vengono
valutati in termini di importanza in base a due variabili : dall’entità dell’impatto sull’impresa e dal grado di
probabilità di manifestazione dell’impatto, quanto più l’evento (minaccia o opportunità) è probabile e
quanto più sarà alto l’impatto sull’impresa tanto più per quest’ultima acquisirà importanza.
L’analisi sulle minacce e le opportunità può essere ulteriormente approfondita considerando anche la
variabile tempo di accadimento che potrà essere breve, medio o lungo periodo. Ovviamente tanto più
l’evento sarà impattante, probabile e di breve periodo tanto più sarà prioritario per l’impresa. Se l’evento è
di lungo periodo non significa che l’impresa non ne deve tener conto ma semplicemente che potrà
“muoversi” più lentamente.

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Un altro modello di rappresentazione delle minacce e delle opportunità è quello in cui le variabili
dell’ambiente competitivo vengono distinte in fattori ambientali: politico-legislativo, economico, socio-
culturale e tecnologico. Ogni fattore viene articolato nelle sue determinanti, e per ogni determinante viene
misurato l’impatto che può variare da -5 a +5 a seconda che possa essere considerata una minaccia (se è
negativo) o un’opportunità (se è positivo) e di quanto quella minaccia o opportunità può essere pesante.
Attraverso poi il grafico di spezzata che si realizza unendo i punti, è possibile avere una rappresentazione
immediata della situazione generale. Inoltre per ogni micro-fattore è possibile rappresentare anche la
probabilità di accadimento che potrà essere bassa, media o alta e il tempo dell’impatto che potrà essere di
breve, medio o lungo periodo.
Chi decide che valori assumono i vari fattori considerati è ovviamente il management o chi per conto del
management conduce questo tipo di analisi.

MICROAMBIENTE
Il microambiente (che a sua volta include l’ambiente di riferimento e il sistema degli stakeholder)
rappresenta tutte quelle forze a maggior contatto diretto con una data azienda e che possono assumere
una caratterizzazione specifica per la singola azienda, business o prodotto-marchio.
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Alcune delle forze del macroambiente sebbene vadano ad influenzare tutti i settori possono assumere delle
configurazioni diverse e specifiche a livello di microambiente, cioè a livello di settore-business a cui
appartiene l’azienda.
Quelle stesse forze possono poi assumere una configurazione ancora più specifica e diversa a livello di
specifico mercato in cui l’impresa va ad operare (cioè uno specifico segmento di mercato di quel settore).
All’interno dell’ambiente di mercato di riferimento possiamo poi distinguere il sistema degli stakeholder
che rappresenta quell’insieme di attori a stretto contatto con l’impresa (clienti, fornitori, azionisti,
finanziatori ecc.), tanto più l’impresa riesce a gestire meglio questi rapporti tanto più ciò può rappresentare
un punto di forza (o un punto di debolezza in caso contrario). Chiaramente tutte queste forze e tendenze
possono rappresentare delle minacce o delle opportunità per le aziende.
Inoltre l’analisi in tal senso si può ancora approfondire in quanto all’interno di specifici mercati di
riferimento le diverse marche non hanno subìto lo stesso impatto, ma vi sono state marche che hanno
sofferto maggiormente e altre che hanno sofferto meno in termini di riduzione delle vendite.

Graficamente il micro ambiente è contenuto nel macro ambiente perché i fattori macro ambientali
possono condizionare i fattori micro ambientali. I fattori del microambiente sono quelli su cui l’impresa
ha l’opportunità di agire e di condizionarli

LE STRATEGIE COMPETITIVE
Le strategie competitive possono riguardare i diversi livelli dell’impresa: a livello corporate, a livello SBU e a
livello di SAU.
1) Le strategie competitive a livello corporate sono quelle che interessano l’azienda nel suo complesso,
quindi strategie di diversificazione, di integrazione verticale e le strategie orizzontali (cioè quelle strategie
finalizzate a sfruttare più sinergie tra le diverse unità di business).
2) Le strategie competitive a livello di business sono:
- le strategie competitive basate sul vantaggio di costo;
- le strategie competitive basate sul vantaggio di differenziazione;
- le strategie basate sul vantaggio di costo e differenziazione;
- le strategie competitive basate sull’innovazione del valore (c.d. strategie “oceano blu”);
- le strategie competitive basate sul vantaggio di marketing.

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(Affrontiamo le prime 3)
LE STRATEGIE DI COSTO E DI DIFFERENZIAZIONE
- Strategie basate sui vantaggi di costo sono quelle strategie che permettono all’impresa di penetrare nel
mercato tramite l’applicazione di un prezzo competitivo (più basso) grazie alla riduzione del costo medio
unitario dovuto dall’incremento dei volumi di attività e/o dall’esperienza accumulata che permette di
impiegare meno risorse per realizzare uno stesso livello di produzione.
-Strategie basate sui vantaggi di differenziazione sono strategie che consentono all’impresa di far si che il
cliente percepisca il proprio sistema di offerta in maniera differente rispetto a quelli dei competitors. (più
giù sono riportate le leve su cui si basa la differenziazione)

Andando a combinare le due strategie di base Porteriane è possibile costruire la c.d. matrice di White (Da
4).
In caso di combinazione tra una bassa differenziazione e bassi costi la strategia che ne viene fuori è di costo
puro. In caso di combinazione tra alta differenziazione e alti costi abbiamo invece una strategia di
differenziazione pura. Se invece si riesce ad ottenere un’alta differenziazione su una qualche caratteristica
(accessibile dal punto di vista dei costi) ma bassi costi la strategia sarà, appunto, di costo e differenziazione.
Infine ovviamente se con costi alti l’azienda non riesce a differenziare è chiaro che non potrà ottenere
nessun vantaggio competitivo.

LA MATRICE DI PORTER : STRATEGIE DI SUPERAMENTO DEL TRADE/OFF COSTO-


DIFFERENZIAZIONE

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Chiacchio-Ambrosanio

Quando si vuole identificare le strategie competitive Porteriane si utilizzano due variabili:


1) La prima è la tipologia di vantaggio competitivo che l’azienda vuole perseguire a livello di unità di
business o a livello di segmento/target di mercato. Tale vantaggio competitivo potrà essere o un vantaggio
di costo (che si riflette in un vantaggio di prezzo) o un vantaggio di differenziazione;

2) L’altra variabile è rappresentata dall’ambito competitivo, cioè l’azienda dove va ad operare: in una o
poche strategic business area (o SBU, è la stessa cosa, oppure in una logica più di marketing “in uno o pochi
segmenti di mercato”), o nell’intero settore (cioè in tutti i segmenti di mercato).

Se l’azienda si concentra in uno o poche aree del settore in caso di vantaggio di costo perseguirà una
strategia di focalizzazione di costo, in caso di vantaggio di differenziazione perseguirà una strategia di
focalizzazione sulla differenziazione.

In caso di focalizzazione sui costi il vantaggio è basato su una fonte di costo esclusiva. Infine in caso di
focalizzazione sulla differenziazione il vantaggio sarà basato su un elemento di differenziazione
“concentrato” sulla specifica area come può essere un elemento non imitabile.
Sulla base delle considerazioni fatte finora la matrice a quattro quadranti che abbiamo visto in precedenza
la possiamo sviluppare in una matrice a sei quadranti (la matrice che parla del superamento del trade/off)
aggiungendo una tipologia di vantaggio competitivo di costi bassi più differenziazione che potrà essere
perseguita o nell’intero settore o in una o poche strategic business area. (PER INTERO SETTORE: si intende
rivolto a più target e viceversa)

• Ryanair: Focalizzazione sui costi. la collochiamo in bassi costi, in termini di ambito competitivo è
focalizzata su un’unica SBU.
• Benetton e Zara: Leadership costo + differenziazione (nell’abbigliamento e negli accessori e il suo
successo l’ha fondato sulla possibilità di offrire una varietà ampissima di colori dei pullover, ed è su
questa variabile che quest’azienda differenzia il suo marchio e poi Benetton opera in tutte le aree
realizzando tutte le componenti per l’abbigliamento)
• Geox : Focalizzazione integrata costi + differenziazione (GEOX: Geox per quanto faccia anche
abbigliamento è molto focalizzato sulla SBU delle scarpe, quindi è collocabile nell’incrocio tra “uno
o poche SBU” e “costi + differenziazione” perché nonostante molti prodotti presentino un prezzo
appartenente alla fascia alta (200-250€) la maggior parte si colloca nella fascia intorno ai 150€).
• Nike: differenziazione.
• Rolex e Converse: Focalizzazione differenziazione (CONVERSE: visto che si rivolge ad un mercato
composto da soli giovani)
• Leadership costo/prezzo: Dacia ( che basa la sua filosofia sull’invitare a comprare la loro macchina
perché costa meno delle altre)

RAGIONAMENTI
L’ideale sarebbe avere una strategia sia di costo e di differenziazione: se l’impresa realizza un prodotto che
viene percepito come migliore e differente rispetto agli altri ad un costo più basso o molto basso, sarà
un’impresa il cui vantaggio competitivo sarà molto sostenibile.
Porter però sostiene che un’impresa riesca a portare avanti entrambe le strategie solo nel breve periodo
mentre lungo periodo dovrà effettuare una scelta. Di regola i fattori alla base della leadership di costo sono
difficilmente conciliabili con i fattori alla base della leadership di differenziazione poiché: l’impresa per far
percepire al cliente che il suo prodotto è differenziato ha bisogno di sostenere i costi abbastanza elevati, ciò

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va in contrasto con il tipo di produzione basata sulla standardizzazione della leadership di costo, necessaria
per sfruttare maggiormente gli effetti scala. Vi sono però delle imprese che hanno costruito l’eccezione alla
regola e sono risultate vincenti proprio perché le hanno combinate.
Ciò è stato possibile perché la differenziazione non è un concetto produttivo ma è un concetto di
percezione del cliente e quindi se l’impresa riesce a sfruttare nelle fasi che il cliente non vede tutte le
economie di scala e di esperienza possibili mentre poi nella fase che il cliente riesce a vedere a rendere il
prodotto differenziato, potrà sfruttare i vantaggi di entrambi i tipi di strategie: differenziare a valle
standardizzare a monte:

Un esempio può essere quello di Zara che è un’azienda che persegue un vantaggio di costo ma allo stesso
tempo persegue un vantaggio di differenziazione avendo scelto bene la caratteristica su cui andare a
differenziare, cioè quella di aver dato ad un prodotto “povero” (nel senso che ha un prezzo basso) una
differenziazione in termini di contenuto moda e in termini di capacità di innovazione su questo aspetto
moda. Le motivazioni che consentono di coniugare questi due vantaggi sono diverse. Un primo elemento è
quello di scegliere un vantaggio di differenziazione che non sia estremamente costoso (come il design, lo
stile, i colori del prodotto, la varietà dei prodotti, e così via) in quanto è abbastanza ovvio che se si intende
realizzare un prodotto che ha dei materiali e delle materie prime molto sofisticate difficilmente quel
prodotto avrà un prezzo basso. Un secondo elemento è quello di riuscire ad avere delle volumi di attività
elevati in modo da poter sfruttare delle economie di scala e poter generare la redditività (ROI) con la
rotazione del capitale (capital turnover) anche avendo margini bassi (ROS)
- Oppure come Ikea , caratterizzata da una produzione fortemente standardizzata e su vasta scala abbinata
ad economie di approvvigionamento notevoli grazie al fatto che acquista elevate quantità di materie prime,
questo però non le impedisce di far percepire al cliente il suo prodotto come differenziato ed infatti il suo
design è progettato per giovani, per coloro che hanno case piccole e così via.
- Oppure McDonald che sfrutta economie di scala basate su approvvigionamento massiccio per diminuire i
relativi costi e differenzia sulla tipologia di panino, sui colori sulla pubblicità, su testimonial e così via.

- Un altro metodo che spesso viene utilizzato per permettere all’impresa di acquisire vantaggi sia nella
leadership di costo che una leadership di differenziazione si basa su processi fortemente automatizzati che
permettono una produzione flessibile : abbiamo detto che la leadership di costo si basa su grandi catene
produttive in cui prodotti sono tutti standardizzati, chiaramente se la domanda di mercato cambia,
un’impresa che pone in essere in questo modo la sua attività produttiva difficilmente riuscire ad adeguarsi
alle richieste di mercato. In questi casi esistono delle tecnologie computerizzate che consentono all’impresa
di cambiare la sua produzione senza però dismettere i costi fissi per sostenere i diversi, questo consente da
un lato di sfruttare i vantaggi connessi ad una leadership di costo ma anche quelli connessi alla
differenziazione.

- Un altro metodo che viene adottato per permettere all’impresa di acquisire entrambi i vantaggi è :
Il Total Quality Management è un approccio manageriale , nato in Giappone, centrato sulla qualità e
basato sulla partecipazione di tutti i membri di un'organizzazione allo scopo di ottenere un successo di
lungo termine attraverso la soddisfazione del cliente e benefici che vadano a vantaggio dei lavoratori e
della società. L'applicazione di questo metodo porta ad esaminare con spirito critico tutti i processi per
rimuovere gli sprechi e le attività che non forniscono valore aggiunto. Questo sforzo continuo verso il
miglioramento aiuta a ridurre i costi.

LEVE DIFFERENZIAZIONE/VANTAGGI SUI COSTI


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Chiacchio-Ambrosanio

È possibile distinguere diverse basi della competizione. Alcune possono determinare un vantaggio di costo,
altre un vantaggio di differenziazione.
1) Se ad esempio la base della competizione è la flessibilità, cioè la capacità dell’azienda di rispondere ai
cambiamenti delle esigenze di mercato (ad esempio Zara, che è in grado di rispondere a variazioni di stili e
di moda) può essere considerato come una base su cui fondare un vantaggio di differenziazione o di costo
nel caso in cui si abbiano dei macchinari automatizzati che permettano di modificare la produzione senza
dismettere i costi fissi.
2) L’innovazione può anch’essa essere considerata come una base su cui fondare un vantaggio di costo e/o
di differenziazione, in quanto un’innovazione può anche portare alla differenziazione del prodotto ma
contestualmente ridurre i costi (ad es. di produzione).
3) La base di accesso ai canali consiste nella capacità dell’azienda di governare e presidiare i canali
distributivi. (leadership di costo)
4) La base customer targeting consiste nella capacità di individuare segmenti di clienti “non soddisfatti”
dalla concorrenza. (differenziazione)
5) La base varietà/complementors consiste appunto nella capacità dell’azienda di avere un ampio
assortimento (Benetton, Zara, Ikea) (differenziazione)
6) La base scala/esperienza è chiaramente una base che determina un abbattimento dei costi, ma
l’esperienza può determinare anche un vantaggio di differenziazione (se ad esempio un’azienda innova
continuamente, matura esperienza in questa attività riducendo i costi per implementarla ma
contemporaneamente grazie all’innovazione genera differenziazione).
7) La base customer experience consiste nella capacità di produrre “una certa esperienza al consumatore
nei punti vendita” che può generare un vantaggio di differenziazione.
8) La base standard proprietario consiste nella possibilità di avere uno standard tecnologico di riferimento
di proprietà con cui il prodotto funziona (come Sony con la Playstation, o Microsoft per i PC) e quindi la
diffusione dello standard determina un vantaggio competitivo (suppongo di differenziazione).
9) La base dominant exchange è la priorità di accesso alle risorse, come Google con la ricerca, Amazon per
gli acquisti elettronici (vantaggio di differenziazione/leadership di costo).

LEVE DEI VANTAGGI DI COSTO: ECONOMIE DI SCALA & ECONOMIE DI ESPERIENZA


Uno dei vantaggi di costo che l’azienda può ottenere è relativa alla capacità di sfruttare delle economie di
scala, cioè:
LE ECONOMIE DI SCALA: sono le economie derivanti dalle dimensioni operative e quindi dalla capacità di
sfruttare meglio i sistemi operativi dell’azienda rispetto ai concorrenti. (riguardo produzione, marketing,
logistica, ricerca e sviluppo, Finanza e così via).
Fare economia di scala significa consentire un abbassamento del costo unitario medio di produzione al
crescere del volume di produzione. Il concetto può essere applicato a qualsiasi attività della catena del
valore dell’impresa, ad esempio: in ambito di distribuzione del prodotto, nel caso vendessi sia pasta che
sughi pronti, di utilizzare lo stesso camioncino per portare entrambi i prodotti diminuendo così il costo
unitario medio della distribuzione stessa. Le economie di scala interne all'impresa si suddividono in
economie di scala interne tecnologiche e economie di scala interne di gestione. Nella categoria delle
economie di scala tecnologiche interne all'impresa è possibile distinguere quelle di breve periodo e di lungo
periodo.

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Chiacchio-Ambrosanio

ECONOMIE DI SCALA:
ECONOMIE DI SCALA TECNOLOGICHE DI BREVE PERIODO

Per quanto riguarda le economie di scala di breve periodo esse vengono definite come statiche poiché vi è
invariabilità dei costi fissi che permette attraverso un aumento del volume di attività, di ridurre il costo
medio unitario.
Nel grafico su esposto:
Sull’asse delle ordinate è rappresentato il costo unitario medio mentre sull’asse delle ascisse il volume di
attività o grado di utilizzazione della capacità operativa di un dato sistema operativo. Questo grafico dice
semplicemente che al crescere del volume di attività e, quindi, dello sfruttamento del sistema operativo il
costo unitario medio deflazionato si riduce. Qualora la capacità disponibile dovesse essere sfruttata al
massimo, i costi medi unitari di output per livelli maggiori di utilizzazione della capacità operativa
incominciano a risalire per effetto delle diseconomie organizzative. Per diseconomie organizzative si
possono intendere quelle situazioni in cui: considerando ad esempio come costo fisso un macchinario,
all’aumentare della quantità sicuramente aumenteranno i costi variabili ovvero dovrò impiegare più
energia, dovrò impiegare più operai eccetera. Mentre per quanto riguarda il macchinario, visto che esso
viene sfruttato al massimo, possono esserci dei guasti e quindi abbiamo dei costi relativi alla manutenzione.
Queste situazioni possono comportare un aumento del costo medio unitario di produzione e per questo la
curva tenderà ad un certo punto a crescere.

ECONOMIE DI SCALA TECNOLOGICHE DI LUNGO PERIODO

Ora le considerazioni che abbiamo fatto in precedenza circa l’incapacità dell’impresa di modificare la
capacità dei sistemi operativi e la composizione dei costi fissi nel breve periodo non valgono nel lungo
periodo. Di fatti , le economie di scala di breve periodo sono dette statiche mentre quelle di lungo
periodo dinamiche. Nel lungo periodo l’impresa ha quindi la possibilità di decidere di sostituire il

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Chiacchio-Ambrosanio

macchinario comprandone un altro tecnologicamente più avanzato esso costerà di più ma produrrà
anche di più. Impianti di dimensioni maggiori, generalmente, prevedono un livello maggiore di
meccanizzazione e automazione, e, quindi, un maggiore assorbimento di costi fissi (che quindi riduce il
costo unitario). Congiungendo i costi medi unitari minimi di ciascuna curva di costo di “breve periodo”,
corrispondente ai sistemi operativi di capacità via via maggiore, si ottiene quella che gli economisti
definiscono curva del costo medio unitario di lungo periodo o curva di pianificazione : Tale curva evidenzia
le riduzioni del costo medio unitario minimo di output che si otterrebbero operando con sistemi operativi
di capacità via via maggiori. La curva in questione si definisce di pianificazione perché consente di
pianificare quanto l’impresa dovrà investire nel lungo periodo. Ad esempio, come illustrato in figura, la
differenza [𝐶𝑚𝑖𝑛1– 𝐶𝑚𝑖𝑛2] misura la riduzione del costo medio unitario minimo di output che l’impresa
potrebbe ottenere passando dal sistema con capacità operativa 𝐶𝑃1 a quello avente una capacità operativa
maggiore 𝐶𝑃2. Dato il settore e lo stato tecnologico 𝐶𝑃5 costituisce la capacità operativa “ottima” in
quanto essa consente di produrre al costo medio unitario più basso, tale dimensione viene definita
“dimensione ottimale minima”. La maggior quantità prodotta in corrispondenza della dimensione ottimale
minima bisognerebbe capire se permette di sfruttare al meglio l’effetto scala di lungo periodo e se è
effettivamente vendibile sul mercato. In realtà per cercare di vendere con la maggior quantità sul mercato
si potrebbe optare per un abbassamento di prezzo visto che comunque il miglior sfruttamento delle
economie di scala hanno consentito l’abbassamento del costo, a tal proposito ci si potrebbe però sempre
chiedere se nonostante l’abbassamento del prezzo si riescono considerando l’elasticità della domanda, a
vendere tutta la quantità prodotta in più. La risposta a ciò e che la scelta più conveniente non sarà la
dimensione ottimale minima ma bensì una quantità prodotta inferiore che permetta da un lato di sfruttare
maggiormente le economie di scala e di soddisfare il mercato in maniera coerente con quanto richiesto
dalla curva di costo poiché quest’ultima grazie a quella determinata capacità operativa riesce a essere
venduta completamente sul mercato. Una volta raggiunta quella che è la dimensione ottimale minima,
l’impresa potrà solo replicare quel livello di capacità produttiva, e quindi costituire una capacità operativa
multipla di 𝐶𝑃5 (2𝐶𝑃5, 3𝐶𝑃5, ecc.). Trovandosi però invariato il livello di costo medio unitario (𝐶𝑚𝑖𝑛5) fino
ad un ipotetico nuovo salto tecnologico (macchinario ancora più avanzato sul mercato) che gli consentirà di
ridurre ulteriormente la curva del costo medio unitario; oppure decidere di aggiungere una nuova linea di
produzione (ciò permesso dalla possibilità di sfruttare le economie di impianto per le quali: in molti settori
industriali è stato dimostrato empiricamente che al raddoppio della capacità produttiva consegue un
aumento dell’investimento meno che proporzionale, cioè soltanto di 2𝛼 , dove l’esponente α è compreso
tra 0,6 e 0,8. Ciò significa, praticamente, che ad un aumento del 100% della capacità produttiva di un
impianto dovrebbe corrispondere un aumento del costo per investimenti che va dal 52% all’74%;).
Come accade nelle economie di scala di breve periodo, anche le economie di scala di lungo periodo sono
un concetto applicabile per tutte le altre attività della catena di valore di Porter (non solo quindi per la
produzione ad esempio nel campo della distribuzione una strategia che consente di sfruttare le economie
di scala di lungo periodo potrebbe essere quella di acquistare un camion più grande)
Tali economie di scala interne tecnologiche di lungo periodo possono essere dovute a:
- Diversi rapporti costi fissi/costi variabili. Impianti di dimensioni maggiori, generalmente, prevedono un
livello maggiore di meccanizzazione e automazione, e, quindi, un maggiore assorbimento di costi fissi (che
quindi riduce il costo unitario) rispetto a quelli variabili;
- Differenti rendimenti tecnico-economici (c.d. economie di esercizio). Impianti di dimensioni via via
maggiori, e quindi dotati di tecnologie più evolute, presentano un grado di “efficienza tecnico-economica”
superiore. Pertanto, “a regime”, i costi unitari di esercizio sono più bassi rispetto a quelli che si avrebbero
con impianti di dimensioni minori;
- Differenti variazioni dei costi di investimento rispetto alle variazioni della capacità produttiva (c.d.
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Chiacchio-Ambrosanio

economie di impianto spiegate poco fa).


- Adozione di diversi criteri di organizzazione e gestione della produzione.
Combinazioni produttive di capacità maggiori possono consentire di aumentare i livelli di efficienza grazie
all’impiego di sistemi di organizzazione e gestione dei processi operativi (si pensi ai sistemi computerizzati
di programmazione e controllo della produzione), il cui costo non sarebbe economicamente giustificabile in
presenza di impianti di dimensioni minori.

ECONOMIE DI SCALA INTERNE DI GESTIONE

Fino ad ora quando abbiamo parlato di economie di scala abbiamo sempre considerato quest’ultime con
l’aggettivo “interne”, questo per sottolineare che sono economie di scala che l’azienda gestisce. Poi
abbiamo le così dette economie di scala esterne chiamate anche economie di scala gestionali che
afferiscono alle attività non operative ma, appunto, gestionali come la finanza, il marketing, R&S e così via.
Nell’ipotesi in cui l’azienda abbia più unità operative in cui funzionano perfettamente le economie di scala
tecnologiche (rappresentate dalla curva gialla del grafico) quando questa curva è piatta (cioè quando lo
stato della tecnologia non mi consente di ridurre il costo medio unitario minimo, cosicché l’azienda può
solo “moltiplicare” la capacità operativa ottima, il 𝐶𝑃5 del grafico precedente e il CPo di questo grafico) la
curva delle economie di scala di gestione (curva rossa) continua a declinarsi. Questo perché sfruttando le
economie di scala tecnologiche permettono all’azienda di acquisire maggiore dimensione che si traduce in
un maggior potere contrattuale che porta quindi a far diminuire i costi delle attività manageriali ad esempio
nell’ambito della finanza con una maggiore dimensione l’azienda acquisisce un potere contrattuale nei
confronti della banca superiore e, quindi, può spuntare un costo del denaro inferiore .Un altro esempio può
essere dato dal marketing, in quanto aumentando la gamma produttiva nel momento in cui, ad esempio, si
va a contrattare per l’acquisto di spazi pubblicitari, la maggiore dimensione determina ancora una volta un
maggior potere contrattuale e, quindi, la possibilità di poter spuntare un costo di pubblicità inferiore.

ECONOMIE DI ESPERIENZA : Le economie di esperienza costituiscono un concetto diverso dalle


economie di scala. L’esperienza è associata al concetto di curva di apprendimento (learning curves) cioè il
costo che si riduce all’aumentare dell’apprendimento. L’Impresa acquisisce esperienza (diventa più brava a
fare quello che fa) siccome lo fa in misura maggiore. Questo le consentirà di impiegare meno risorse per
porre in essere lo stesso livello produttivo . Ciò non accade solo nell’ambito della produzione ma anche ad
esempio nell’ambito della gestione delle risorse umane o nell’ambito della distribuzione . La BCG (Boston
Consulting Group) studiando proprio il settore dell’aereonautica si rese conto che passando da un
quantitativo di produzione ad un altro più elevato (considerato dalla BCG come il doppio) il costo di
produzione di ogni aeroplano si abbassava dal 10% al 30% dovuto al fenomeno dell’apprendimento, cioè il
fenomeno connesso al miglioramento delle abilità del personale determinato da un “ripetersi” delle azioni
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Chiacchio-Ambrosanio

su una scala più elevata. Quando questo fenomeno fu analizzato, fu analizzato con riferimento esclusivo
all’area produttiva e quindi con riferimento ai soli costi di produzione. Successivamente ci si rese conto che
questo fenomeno è riscontrabile anche in relazione a tutte le altre attività della catena del valore aziendale.
Proprio per questo le curve di apprendimento (learning curves) vennero denominate curve di esperienza
(experiences curves).

- Una delle cause dell’esperienza possono essere considerate le stesse economie di scala, cioè l’aumento
dei volumi di attività.
- Un’altra ovviamente è connessa all’apprendimento delle risorse umane.
- Un’altra ancora può essere considerata la possibilità di organizzare il lavoro in maniera più efficiente, cioè
più aumenta l’attività più la stessa è organizzata in maniera efficiente.
--------------
Quindi in definitiva, grazie all’esperienza man mano che il volume di attività aumenta il costo unitario
medio deflazionato di quell’attività si riduce. In particolare viene considerato il volume di attività cumulato
(come già detto inizialmente il BCG nell’analizzare le curve di apprendimento supponeva che il volume
raddoppiasse.)
Da un punto di vista grafico, in corrispondenza di volumi di attività cumulati le curve d’esperienza hanno
una pendenza (inclinazione) diversa (100%, 90%, 85%, 80%, e così via).
Tale pendenza esprime il tasso di apprendimento, ovvero la riduzione percentuale determinata nel costo
unitario medio deflazionato ogni qual volta l’esperienza o il volume di produzione aumenta.
Consideriamo la curva con un tasso dell’80%. Questo 80% vuol dire che passando dal volume 𝑉𝐶𝑂1 al
volume 𝑉𝐶𝑂2 (supponiamo da 10 a 20) il costo unitario medio deflazionato passa da 𝐶1 a 𝐶2 dove 𝐶2 è pari
all’80% di 𝐶1 (quindi se 𝐶1 è 100, 𝐶2 è 80), passando da 𝑉𝐶𝑂2 a 𝑉𝐶𝑂3 (supponiamo da 20 a 40) il costo
unitario medio deflazionato passa da 𝐶2 a 𝐶3, dove 𝐶3 è l’80% di 𝐶2 (quindi se 𝐶2 è 80, 𝐶3 è 64), e così via.
Nella curva del 100% l’esperienza è pari a 0, ciò significa che all’aumentare dei volumi i costi unitari restano
costanti. Quindi:
La circostanza in cui i costi restano costanti è quando l’effetto dell’esperienza è pari a 0. Ciò avviene in caso
di attività completamente automatizzata dal momento che le macchine per definizione “non possono
accumulare esperienza”, cioè una volta che la macchina viene impostata su un certo livello produttivo lo
stesso resta costante.
La pendenza della curva di esperienza varia da settore a settore, da azienda ad azienda, da attività ad
attività, e così via. Vi sono degli studi che calcolano qual è il tasso di esperienza da settore a settore.

LEGGE EMPIRICA DELL’EFFETTO ESPERIENZA

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Chiacchio-Ambrosanio

L’indagine empirica svolta dalla BCG è stata sintetizzata in una formula. Questa formula permette di capire
quale sarà il costo unitario medio deflazionato futuro , che si ottiene per effetto dell'esperienza.

𝑪𝒊𝒋𝑸𝒕+𝟏 rappresenta il costo unitario deflazionato dell’i-esima unità di output della j-esima attività data
una quantità di output cumulata al tempo t+1 (cioè quanto costa l’i-esima unità di output di una certa
attività j in un tempo futuro) e corrispondente ad una quantità cumulata prevista di output pari a 2Qt, cioè
pari a due volte la quantità al tempo t (nell’impostazione originale della funzione della legge di esperienza
definita dalla BCG si fa riferimento ad volume doppio della quantità cumulata iniziale).

Questo costo unitario è pari al prodotto tra 𝑪𝒊𝒋𝑸𝒕 che rappresenta il costo unitario deflazionato dell’i-
esima unità di prodotto data una quantità di output della j-esima attività cumulata al tempo t pari a Q, e
(𝑸𝒕+𝟏/𝑸𝒕) −𝝀 , dove 𝑄𝑡+1 è la quantità cumulata di output prevista al tempo t+1 e pari a 2Q, 𝑄𝑡 la quantità
cumulata di output di base al tempo t pari a Q, e λ il coefficiente di elasticità della funzione dipendente dal
settore.

Questa formula se mostrata su scala logaritmica: il rapporto (𝑪𝒊𝒋𝑸𝒕+𝟏/𝑪𝒊𝒋𝑸𝒕) ovvero il costo medio
unitario deflazionato (che esprime la pendenza della curva di esperienza 80%, 90% e così via, che abbiamo
visto in precedenza) è esprimibile come un valore k dato e che ovviamente sarà minore o uguale di 1 dal
momento che esprime una percentuale. Da ciò consegue che k è uguale a ( 𝑸𝒕+𝟏/𝑸𝒕 ) −𝝀 .
Poiché abbiamo detto che per ipotesi 𝑄𝑡+1 è 2𝑄𝑡 e Qt è pari a Q , il rapporto tra i due termini sarà pari a 2.
Da ciò consegue che 𝑘 = (2) −𝜆 .

Esprimendo questa relazione in chiave logaritmica significa che 𝑙𝑜𝑔𝐾 = −𝜆𝑙𝑜𝑔2. Da ciò deriva che
𝜆 = − ( 𝑙𝑜𝑔𝑘 /𝑙𝑜𝑔2 ). Grazie a questa relazione, conoscendo k e supponendo che esista quella relazione tra
le quantità, è possibile calcolare λ per ogni valore di k. Oppure conoscendo λ è possibile calcolare k, cioè la
pendenza della curva di esperienza.

L’utilità principale di questa relazione (legge) è data dal fatto che prevedendo una certa quantità cumulata
nel futuro posso definire quale sarà il costo unitario medio futuro più basso per effetto dell’esperienza. Con
questa informazione potrei fissare oggi un prezzo più basso che non produce profitto cosicché posso essere
più competitivo, ma produrrà profitto in futuro quando i costi unitari diminuiranno sulla base di questa
previsione di volumi maggiori.

DIFFERENZA ECONOMIE DI SCALA ED ECONOMIE ESPERIENZA:


Nelle economie di scala anche una sola unità in più determina una riduzione dei costi unitari, invece
maturare l’effetto esperienza comunque un certo quantitativo sarà necessario. Quindi l’effetto esperienza
a differenza dell’effetto scala non è un processo continuo ma è un processo discreto, cioè funziona “a
balzi”). Ovviamente l’effetto esperienza deve essere assecondato dall’azienda, nel senso che la capacità
dell’organizzazione di motivare il personale costituisce una delle determinanti principali dell’effetto positivo
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Chiacchio-Ambrosanio

che l’esperienza produce sui costi unitari.

QUOTA DI MERCATO-PROFITTABILITA-ESPERIENZA

(In un mercato in cui ci sono più imprese che sfruttano le economie di esperienza, quelle con l’esperienza
maggiore (A) , avranno un il costo minore e, di conseguenza, con una marginalità più elevata rispetto al
prezzo corrente medio di mercato. Mentre ci sono aziende (D) che avendo poca esperienza, soffriranno
delle perdite perché che hanno costi superiori al prezzo medio e quindi tenderanno ad uscire dal mercato
nel lungo termine. Se l’azienda D esce dal mercato, le vendite dei prodotti di quell’azienda vengono
ovviamente assorbite pro-quota (in funzione della forza competitiva, cioè della quota di mercato) dai
concorrenti C, B ed A. Se ad esempio A ha una quota di mercato del 50% e D che vendeva 5000 pezzi esce
dal mercato, prevedibilmente A vedrà aumentare le proprie vendite per 2500, cioè in proporzione della
quota di mercato. In tale situazione l’azienda A che presenta la marginalità maggiore potrebbe adottare
delle strategie di prezzo anche molto aggressive per far uscire dal mercato

VANTAGGIO DI COSTO DI UN NUOVO ENTRANTE CON CAPACITA’ DI IMITAZIONE

Consideriamo l’azienda A che è posizionata su un certo livello di costo unitario di prodotto deflazionato
corrispondente ad un certo livello di volume di produzione cumulato. Supponiamo che ci sia un nuovo
entrante B che però non apporta un’innovazione tecnologica, ma semplicemente imita la tecnologia
dell’azienda già presente sul mercato (incumbent) (ciò è evidenziato dal fatto che le rette sono parallele,
quindi la pendenza è la stessa e, quindi, la variazione di costo unitario di prodotto al variare del volume di
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Chiacchio-Ambrosanio

produzione cumulato è identica). B utilizzando la stessa tecnologia quindi utilizzando risorse e competenze
già disponibili ed impiegate dall'azienda A, riesce a posizionarsi su una curva di esperienza più bassa
rispetto a quella di A , avendo la stessa inclinazione di quella sulla quale si muove quest'ultima. In questo
modo a parità di volume di produzione cumulato l’azienda B riesce ad annullare il vantaggio di costo basato
sull’esperienza di A o di altre imprese consolidate.

VANTAGGIO DI COSTO DI UN NUOVO ENTRANTE CON TECNOLOGIA AVANZATA

Se invece il concorrente B nuovo entrante porta una nuova tecnologia più avanzata che ha un tasso di
apprendimento maggiore (si produce lo stesso bene ma l'organizzazione della produzione è posta in essere
in maniera tale che la curva di esperienza sarà più inclinata e con una pendenza maggiore). Avendo una
tecnologia che consente di capitalizzare più rapidamente gli effetti dell’esperienza, potrebbe accadere
anche che l'impresa B produce meno dell'impresa A ma riesca a muoversi su curve di costo più basse ed
avere costi medi unitari di produzione più ridotti.

DIFFERENZIAZIONE
Quando parliamo di “differenziazione competitiva“ parliamo di differenziazione dei prodotti rispetto al
cliente. Differenziare infatti vuol dire posizionare nella mente del consumatore il sistema di offerta
dell’impresa come differente rispetto a quella dei competitors. Tra i vantaggi di una strategia di
differenziazione rispetto ad una strategia di leadership di costo abbiamo:

• la possibilità di ottenere un “Premium Price“ (prodotti con il prezzo più alto nell'ambito di una certa
categoria di prodotti) : l’impresa può estrarre valore dal cliente stabilendo un prezzo elevato
siccome il cliente è disposto a pagare in più in quanto percepisce il prodotto differenziato rispetto
agli altri.
• La leadership di costo è facilmente imitabile a differenza di quella di differenziazione per cui il
vantaggio competitivo ottenuto grazie ad una strategia di differenziazione è più sostenibile rispetto
al vantaggio competitivo ottenuto grazie alla strategia di leadership di costo.

Elementi centrali di differenziazione sono sicuramente l'immagine e la rassicurazione; l'aumentare la


comodità di utilizzo e di acquisto di quel determinato prodotto oppure instaurare un sano e duraturo
rapporto acquirente-venditore (quindi non soltanto elementi tangibili ma anche intangibili).

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Chiacchio-Ambrosanio

Per contro però abbiamo che la strategia di differenziazione rispetto alla leadership di costo è più costosa
infatti occorreranno maggiori investimenti in marketing, pubblicità, in innovazione, ricerca e sviluppo,
risorse umane per far percepire al cliente il prodotto differenziato.

• La strategia di differenziazione focalizzata: vuol dire che l’impresa decide di agire su un solo segmento di
mercato concentrandosi su una determinata tipologia di clienti. Es: Ferrari.
L'impresa può decidere di focalizzare per funzioni d'uso della clientela; su specifiche categorie di clientela;
per area geografica; sulla base di richieste specifiche su una determinata fase del processo produttivo; per
livello di servizi (ovvero il prodotto in sé non viene percepito come differenziato dal cliente ma viene
percepito differenziato il livello dei servizi annessi a quel determinato prodotto).

L'impresa come far scegliere tra una strategia di leadership di costo e una strategia di leadership di
differenziazione?
Possiamo in questo caso distinguere tra fattori interni e fattori esterni:
FATTORI ESTERNI:
- La dimensione del mercato: (Esempio: se il mercato è abbastanza piccolo non è conveniente utilizzare una
strategia di leadership di costo visto che essendo piccolo non consente un importante sfruttamento delle
economie di scala o di esperienza)
- La tipologia di settore in cui l’impresa opera (Esempio: se si opera nel mercato di lusso, si potrebbe anche
pensare di adoperare una strategia di leadership di costo ma in questo caso il mercato che richiede che si
adotti una strategia di leadership di differenziazione)
Vi sono anche caratteristiche esterne come le condizioni del mercato che influenzano le scelte strategiche
delle imprese ad esempio: se ci si trova in un mercato dove i beni sono molto fungibili tra loro, all’impresa
converrà maggiormente puntare su una strategia di leadership di costo.
FATTORI INTERNI:
Caratteristiche come: le risorse le competenze possedute e la struttura dei costi vanno quindi ad
influenzare le scelte strategiche dell'impresa.

INCIDENZA DELLA STRUTTURA DEI COSTI SULLE SCELTE STRATEGICHE:


Per un’impresa che presenta una struttura di costi caratterizzata da una maggiore incidenza di costi fissi
rispetto ai costi variabili è meglio optare per una strategia basata sul costo e sui prezzi piuttosto che una
strategia di differenziazione. il BEP potrà essere raggiunto solo con un volume di produzione elevato
rispetto all’azienda con bassi costi fissi , a cui sarà richiesto un volume di produzione più. Allo stesso tempo
l’azienda con più costi fissi presenta un margine di contribuzione più elevato e quindi una leva operativa più
elevata (quindi maggior rischio industriale), cioè una maggiore variazione di reddito operativo al variare del
volume di produzione (in positivo e negativo), mentre l’azienda B presenta un margine di contribuzione più
basso e, quindi, una leva operative minore.
Da ciò consegue che se A una volta raggiunto il BEP aumenta il proprio volume di produzione/vendita
l’impatto di tale variazione sul profitto è più che proporzionale, mentre se B una volta raggiunto il BEP
aumenta il proprio volume di produzione/vendita l’impatto di tale variazione sul profitto è meno che
proporzionale (vale lo stesso discorso in caso di diminuzione del volume di produzione/vendita). Quindi per
le aziende che hanno una struttura dei costi molto orientata verso i costi fissi optare per una strategia di
volumi e, quindi, per una strategia di prezzo più competitivo per aumentare questi volumi conviene, ciò sia
per raggiungere più rapidamente il BEP (e quindi abbattere il maggior rischio industriale che si ha) ma
anche per ottenere una variazione più che proporzionale del reddito operativo all’aumentare dei volumi.
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Chiacchio-Ambrosanio

Mentre per le aziende che presentano una situazione opposta, quindi meno costi fissi, optare per una
strategia di prezzi bassi per aumentare i volumi conviene meno perché l’impatto sui profitti sarà meno che
proporzionale, cosicché sarà maggiormente conveniente puntare su una strategia di differenziazione e,
quindi, su un prezzo più elevato.
Ad esempio ciò è quel che accade con i biglietti aerei, il prezzo dei biglietti aerei se vengono acquistati due
settimane prima sarà inferiore rispetto a se acquistati il giorno prima questo perché i primi biglietti devono
coprire almeno la quantità e il fatturato di Breakeven point ma una volta raggiunto questo obiettivo
l’impresa avrà la possibilità anche di alzare i prezzi dei biglietti.
Formula BEP (a quantità) : CF / Margine di contribuzione unitario ;
BEP ( a fatturato) : CF / Margine di contribuzione %
( Grado di leva operativa: indica la reazione del reddito operativo al variare dei volumi di vendita. Esso
dipende da diversi fattori tra cui la struttura dei costi. Sei un’azienda a elevati costi fissi ha una struttura
rigida e quindi rischiosa, infatti se il fatturato si contrae di molto anche il reddito operativo si contrae di
molto. Sei un’azienda elevati costi variabili ha una struttura più flessibile e meno rischiosa siccome se il
fatturato si contrae, si contrarranno sua volta anche i costi legati adesso con un minor impatto sul reddito
operativo.)
FORMULA: Analiticamente il GLO si calcola moltiplicando la quantità con il margine di contribuzione
unitario ( Q x (Pu-Cvu) ) , il tutto rapportato al margine di contribuzione totale ( Q x (Pu- Cvu) )meno i costi
fissi (- CF). Da questa relazione riemerge quello che abbiamo detto in precedenza: se si considera
un’azienda del tipo A con alti costi fissi il GLO è più alto dal momento che il denominatore ha un sottraendo
che è rappresentato dai CF, che nell’ipotesi considerata sono più elevati (se ad esempio il GLO è pari a 1,50,
ciò significa che se la quantità prodotta-venduta aumenta dell’1% il reddito operativo aumenta dell’1,5%);
mentre se si considera un’azienda del tipo B con bassi costi fissi il GLO è più basso dal momento che il
denominatore ha un sottraendo CF che questa volta è più basso (se ad esempio il GLO è pari questa volta a
0,70, ciò significa che se la quantità prodotta-venduta aumenta dell’1% il reddito operativo aumenta del
solo 0,7%). Quindi riemerge che in questa seconda ipotesi enfatizzare sui volumi non è la strategia più
consona rispetto al primo caso.

Un’impresa che presenta un’incidenza di costi fissi maggiori rispetto a quella dei costi variabili, potrà
sfruttare rispetto dell’impresa dove invece l’incidenza dei costi fissi è minore, maggiori effetti scala qualora
riesca a produrre ma soprattutto vendere la quantità necessaria. Si ritiene quindi che per quelle imprese
che sfruttano le leadership di costo si possa venire a creare una sorta di circolo virtuoso che consenta
all’impresa una serie di vantaggi:

IL CIRCOLO VIRTUOSO:
Il rapporto causa-effetto (o circolo virtuoso) quota di mercato-vantaggio competitivo mostra appunto la
relazione tra questi due elementi. Quanto più aumenta la quota di mercato dell’impresa ovviamente
aumenta il volume cumulato delle attività (i volumi produttivi aumentano, si fa più marketing, più logistica,
e così via). Aumentando il volume cumulato delle attività aumentano le economie di scala e di esperienza,
ciò determina come sappiamo una riduzione del costo unitario medio deflazionato. Questa riduzione può
condurre a due scelte strategiche:
- Ridurre il prezzo grazie alla riduzione di costo, quindi scaricare la riduzione di costo sul prezzo. Ciò accade
evidentemente quando l’azienda si trova in una situazione di stress competitivo, quindi tale strategia le
permette di migliorare la posizione competitiva di prezzo;
- Aumentare il margine di profitto, cioè scaricare la riduzione di costo non su un prezzo inferiore ma su un
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Chiacchio-Ambrosanio

profitto maggiore mantenendo gli stessi prezzi. Questa marginalità superiore potrà essere utilizzata per la
distribuzione di dividendi oppure per il miglioramento del sistema di offerta facendo investimenti in
comunicazione, sul brand, sul miglioramento dei rapporti con i canali distributivi (aumentando ad esempio i
premi di vendita), sul miglioramento del prodotto-servizio, e così via. Tutto ciò può determinare un maggior
vantaggio competitivo di differenziazione. È inoltre possibile porre in essere una combinazione delle prime
due scelte, andando a scaricare il minor costo in parte sul prezzo e in parte sui margini e investimenti sul
sistema di offerta, ottenendo un vantaggio cumulato differenziazione-costo/prezzo. Ovviamente la scelta
tra le varie strategie dipende dalla specifica situazione competitiva dell’impresa. Qualora la scelta dovesse
essere compatibile con questa situazione presumibilmente ciò condurrà ad un ulteriore aumento della
quota di mercato che riattiva il circolo virtuoso.

STRATEGIA OCEANO BLU


Il contributo più importante al concetto di innovazione strategica è stato quello di due autori francesi che
hanno elaborato la “strategia oceano blu“ o “strategia di innovazione di valore”. Per oceano blu si i fa
riferimento ad un mare povero di pesci che metaforicamente rappresenta un mercato formato da poche
imprese. Secondo gli autori le imprese dovrebbero cercare di creare degli oceani blu , dove l’obiettivo è
aggirare la competizione creando un nuovo contesto competitivo formato da poche imprese.
Le imprese dovrebbero quindi evitare i cd oceani rossi ovvero mercati iper competitivi , con tantissime
aziende che cercano di rubare alle altre imprese piccole frazioni di quote di mercato.
Per porre in essere questo tipo di strategia è necessaria la cd innovazione di valore che consente di
superare il trade off tra costi e differenziazione: andando ad innovare ma contenendo i costi. (questo
concetto è diverso dalla differenziazione in quanto in questo ultimo caso ci si riferisce alla fattispecie in cui
ad un prodotto già realizzato dall’impresa si aggiunge una particolarità tale per cui il prodotto viene
percepito differenziato).
Per creare questa strategia l’impresa deve individuare un target di clienti abbastanza ampio (altrimenti si
avrebbe una nicchia di mercato) che si pensa non siano ancora pienamente soddisfatti.

Per sviluppare il concetto di innovazione di valore gli autori sfruttarono due strumenti :il quadro strategico
e il framework delle quattro azioni.

Il quadro strategico è uno strumento da utilizzare preventivamente siccome permette di capire le


condizioni del settore prima dell’innovazione di valore.
Esso è un piano di assi cartesiani su cui sono collocate due variabili: sull’asse delle ascisse abbiamo i fattori
competitivi del settore mentre sull’asse delle ordinate abbiamo un’unità di misura che varia di caso in caso.
(A seconda dell’azienda che stiamo analizzando)

Successivamente si andrà ad utilizzare il “frame work delle quattro azioni”. Questo strumento, partendo
da fattori competitivi di successo, target e bisogni che si vogliono soddisfare, andrà a determinare una
nuova curva del valore. Si andranno a scegliere quali azioni di eliminazione (fattori che se eliminati lasciano
il target indifferente) riduzione (fattori non determinanti che possono essere ridotti anche in misura
considerevole) aumento(Fattori che coerentemente col target devono essere aumentati siccome
quest’ultimo non è pienamente soddisfatto) e creazione ( fattori non presenti ma che sarebbero graditi dal
target)dovranno essere attuate.
ESEMPIO CIRC DU SOLEIL
Il proprietario del circo ha ottenuto successo proprio grazie ad una strategia di innovazione di valore.
Il Cirque du soleil ha creato un tipo di offerta diversa, assimilabile ad uno spettacolo teatrale cambiando
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Chiacchio-Ambrosanio

quindi anche il target, non rivolgendosi più a bambini e famiglie ma a un pubblico prevalentemente adulto.
creando un sistema di offerta coerente con il bisogno e il target contenendo i costi.
Per quanto riguarda il quadro strategico sull’asse delle ascisse poniamo tutti i fattori competitivi che
consentono di avere successo all’interno del settore circo come ad esempio prezzo, Star internazionali,
animali ecc. Sull’asse delle ordinate abbiamo l’unità di misura che varia, con riferimento ai fattori scelti
sull’asse delle ascisse, in base al circo che stiamo analizzando.
Assegnando a ciascun fattore la sua unità di misura coerente con il circo analizzato si otterranno tre diverse
curve di valore: quella del Cirque du Soleil, quella dei circhi locali e quella del circo leader (ringling bros).
Per quanto riguarda il frame work delle quattro azioni possiamo dire che le azioni poste in essere sono
state le eliminazione degli animali la riduzione dei clown e delle Star, aumento del prezzo (in maniera
coerente al target), creazione di una trama (tutte le esibizioni sono legate tra di loro attraverso una trama
scelta)

LA MATRICE DI ANSOFF

La matrice di Ansoff si utilizza per capire le strategie di crescita di un’impresa. La matrice indica che le scelte
dell’impresa possono essere modellate in termini di scelte di prodotto (prodotto attuale o prodotto nuovo)
o di mercato (mercato attuale o mercato nuovo.)

N.B (lettura matrice forma a C)


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Chiacchio-Ambrosanio

1, 2 e 3 sono strategie espansive in quanto la 2 tende a migliorare la penetrazione del mercato, la 1 tende
ad assegnare a nuovi prodotti le stesse missioni, la 3 tende a definire nuove missioni per gli stessi prodotti.
La 4, che è la strategia più complicata, tende a dare a nuovi prodotti nuove missioni e, quindi, a
diversificare. La strategia n° 1 è una strategia di livello SBU che coinvolge direttamente il marketing e la
R&D perché si vanno a creare nuovi prodotti (R&D Research and Development) per soddisfare bisogni che
già sono soddisfatti (Marketing). Le strategie 2 e 3 sono strategie orientate al vantaggio di marketing
perché con con la 2: gli stessi prodotti si va a lavorare sugli stessi target di clienti penetrando meglio quel
tipo di mercato e con la 3: a quegli stessi prodotti vengono assegnate nuovi missioni e quindi si va ad
operare su target di clienti diversi.

1. Quando ricorre un prodotto attuale e il mercato attuale la strategia seguita dall’impresa viene definita di
‘penetrazione del mercato’ in cui l’impresa può aumentare le vendite mantenendo fissi costi o aumentarne
il prezzo; migliorando la competitività del prezzo, la penetrazione dei canali distributivi, migliorando il
servizio al cliente, ampliando l’assortimento dei prodotti in lunghezza e in profondità, ecc.
2. Dove ricorre l’introduzione di nuovo prodotto ma il mercato è sempre lo stesso l’impresa sta
perseguendo una strategia di sviluppo del prodotto.
3. Dove ricorre invece un prodotto attuale ma inserito in un mercato nuovo l’impresa sta perseguendo la
strategia di sviluppo economico, cerco cioè di vendere lo stesso prodotto in un mercato differente in cui
per differente non si intende soltanto dal punto di vista geografico ma anche di clienti diversi eccetera.
4. Dove ricorre un nuovo prodotto e anche un nuovo mercato l’impresa sta perseguendo una strategia di
diversificazione.

2° MATRICE DI ANSOFF
Concentrandoci sulle strategie di diversificazione possiamo parlare della 2° Matrice di Ansoff (Allargata)

Diversificazione: con diversificazione si intende l’aggiunta di un nuovo business, di un nuovo sistema di


offerta quelli già esistenti presso l’impresa.
Diversificare consente da un lato una riduzione del rischio: l’impresa entra in più business in modo tale che
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Chiacchio-Ambrosanio

se un business va in crisi ce n’è un altro che magari è più florido. (base tecnologica di base correlata)
Al giorno d’oggi però vista l’elevata competizione e dinamicità entrare in un nuovo business potrebbe
addirittura aumentare il rischio di impresa: perché non si è in grado di sostenerlo.
Tuttavia i nuovi prodotti potranno avere una base tecnologica correlata a quella attuale:
Ad esempio: quando Samsonite dalla valigeria è passata alle calzature entrambe realizzate in pelle;
o una base tecnologica non correlata , quindi completamente nuova:
Ad esempio: se dalle valigie fosse passata a fare, ad esempio, gli elettrodomestici è chiaro che la base
tecnologica sarebbe stata completamente nuova.
Le nuove missioni possono essere utili per i clienti dello stesso tipo di quelli precedenti, per la stessa
impresa che quindi diviene cliente di sé stessa, per clienti di tipo analogo o, infine, per clienti
completamente nuovi.
1) Se l’azienda realizza nuovi prodotti indipendentemente dalla base tecnologica, ma va a servire gli stessi
clienti soddisfacendo nuovi bisogni la diversificazione è di tipo orizzontale. (Se supponessimo di essere
un’azienda automobilistica : produzione di moto/scooter)
2) Se invece l’azienda realizza nuovi prodotti indipendentemente dalla base tecnologica, ma va a servire sé
stessa è chiaro che siamo di fronte ad una strategia di integrazione verticale (che quindi è una forma di
diversificazione). (riprendendo l’esempio di prima: produrre anche le componenti delle auto)
3) Se l’azienda crea nuovi prodotti indipendentemente dalla base tecnologica e va a servire clienti di tipo
analogo la diversificazione si dice concentrica. (Produrre: macchine aziendali/agricole)
La stessa diversificazione la si ha anche se l’azienda realizza prodotti nuovi con base tecnologica correlata
ma va a servire clienti completamente nuovi. (produrre: autobus)
4) Infine se l’azienda realizza non solo prodotti completamente nuovi in quanto la base tecnologica non è
correlata, ma va a servire anche clienti completamente nuovi la diversificazione di dice conglomerata.
(produrre: motori aerei)

Motivi sulla diversificazione:


1. L’eccesso di risorse rispetto al business in cui si opera: se il mercato in cui l’impresa opera è saturo ed
avendo raggiunto una quota di mercato già molto elevata le risorse dell’impresa per quel mercato sono
sprecate e quindi questo la spinge a diversificare. O a base tecnologica correlata: lo stesso macchinario che
produce brioche o anche produrre pane.
O tecnologia non correlata: se si ha tanta liquidità oltre a poter produrre computer si può produrre anche
acqua minerale.
2. I business originali non essendo più in grado da soli di garantire la crescita dell’azienda spingono la stessa
ad entrare in nuovi business e quindi a diversificare: questo accade soprattutto quando un’impresa è leader
di un determinato mercato, e questo business va in crisi.
3. Sfruttare strategie orizzontali in nuovi business
4. E sfruttare competenze e capacità in business emergenti con un’alta intensità di crescita: ovvero
l’impresa vede che c’è un business in forte crescita e pensa che sia inutile continuare ad insistere solamente
nel business in cui già opera.
RISCHIO ALLA DIVERSIFICAZIONE: aumenta quanto più il nuovo business è distante da quello in cui già si
opera.

Modalità per entrare in un nuovo business:


1. acquisire delle imprese già presenti in quel determinato business acquisendo tramite quest’ultime le
conoscenze e le competenze necessarie per poter diversificare.

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Chiacchio-Ambrosanio

2. stringere accordi con delle imprese senza acquisirle ponendo in essere una strategia basata sulla
collaborazione: questa soluzione presenta come vantaggio una drastica riduzione dei costi per
l’acquisizione di risorse e competenze che non si posseggono.
3. L’impresa organizza da sola l’attività produttiva necessaria per quel business.

INTEGRAZIONE VERTICALE & OUTSOURCING


Dal punto di vista del management l’impresa deve scegliere fra make or buy in relazione a delle valutazioni
riguardanti prettamente il costo, cioè quindi in base alla convenienza di se realizzare beni all’interno o
all’esterno dell’impresa stessa. L’impresa in base a ciò, configura un modello di business la cui componente
di valutazione è il costo e quindi mette a confronto quanto costa ricorrere alla produzione interna o a
quella esterna e quella che richiede il costo più basso diventa la strategia da seguire.
Secondo Williamson quando l’impresa si rivolge al mercato (all’esterno) deve includere nei suoi costi oltre
al prezzo del prodotto anche i costi di transazione (ovvero tutti quei costi che l’impresa deve sopportare
per cercare i fornitori, gestire le relazioni ecc.). Quindi se i costi di transazione sommati ai costi di mercato
sono superiori rispetto i costi di produzione interna allora l’impresa opterà per la produzione interna e
viceversa.

L’integrazione si verifica quando un’impresa assume il controllo di uno stadio di produzione o di


distribuzione adiacente rispetto al campo in cui già opera infatti l’aspetto qualificante di questa strategia è
l’integrazione di attività non simili ma strettamente collegate all’attività principale.

Possiamo distinguere l’integrazione verticale in :

1. integrazione a monte che si verifica quando un’azienda decide di assumere il controllo di uno
stadio antecedente del percorso di creazione del valore ad esempio un’impresa che produce vestiti
decide di produrre anche tessuti.
2. integrazione verticale a valle che si verifica quando un’impresa si proietta in avanti verso i mercati
di collocamento finale dei prodotti cioè entra in un mercato più vicino a quello di acquisto finale ad
esempio un’impresa che produce vestiti decide di acquistare i negozi all’interno dei quali vendere i
propri vestiti.

Tra le due l’integrazione più rischiosa è l’integrazione a valle in quanto implica un cambiamento dei clienti
finali e dei concorrenti-> riprendendo l’esempio dei vestiti inizialmente i clienti finali erano i distributori
(che diventano concorrenti ) mentre con l’acquisizione di negozi i clienti diventano i consumatori.

Tra gli aspetti positivi dell’integrazione abbiamo:

1. lo sfruttamento di economie di scala comportando una riduzione del costo medio di produzione
2. Crescita di dimensioni che porta ad avere più potere all’interno del mercato
3. Maggiore controllo delle attività.

Tra gli aspetti negativi dell’integrazione verticale abbiamo la rigidità che rappresenta un rischio in quanto
l’impresa in un mercato in continuo cambiamento trova difficoltà ad adattarsi e quindi rischia di essere
fuori dal mercato.

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Chiacchio-Ambrosanio

Opposta alla strategia di integrazione verticale vi è la strategia di outsourcing. Le imprese che decidono di
fare outsourcing sono quelle imprese che si rendono conto di non avere tutte le competenze necessarie per
poter sopportare una politica strategica di integrazione verticale.

I vantaggi e ciò che conduce a ricorrere all’outsourcing:


1. Vantaggi di costo: sfruttando le economie di scala dei soggetti esterni con cui si collabora in quanto più
specializzati.
2. Flessibilità: in casi estremamente competitivi e dinamici è più percorribile la strategia dell’outsourcing.
3. Focalizzazione sul core business: le imprese tendono a mantenere all’interno le attività critiche sulle quali
si ritiene di possedere competenze distintive e ad analizzare ciò che può essere svolto con maggior capacità
da altri attori del sistema competitivo.

PIANO DI MARKETING
Viene svolto a livello funzionale.
È articolato in :
1. Situation analysis: può essere effettuata sia un’analisi interna (per stabilire i punti di forza e debolezza
rispetto ai concorrenti) sia un’analisi esterna (individuare eventuali minacce e le opportunità)
Si articola in:
1)ANALISI: Vengono svolte diverse analisi sia di tipo interno che di tipo esterno:
INTERNE
- analisi della performance attuale: cioè vedere gli andamenti di fatturato, costi ecc
- posizione competitiva e dei fattori chiave di creazione di valore per i clienti: quali sono i fattori su cui
l’azienda deve agire per ottenere vantaggio competitivo

ESTERNA
- analisi della domanda di mercato e delle tendenze : stabilire se la domanda di mercato sta crescendo, è
stabile ecc
- Analisi dei bisogni dei consumatori
- Analisi dei concorrenti: capire come operano i concorrenti andando ad esempio ad analizzare I loro
prodotti
- analisi dell’attrattività del settore

INTERNA ED ESTERNA
- analisi della quota di mercato: è un tipo di analisi che può essere considerata sia interna che esterna
perché si rapportano le vendite dell’azienda con il totale delle vendite complessive
Tutte le precedenti analisi permettono di poter effettuare l’analisi SWOT che stabilisce :
-Forze: le fonti uniche del il vantaggio competitivo su cui il piano di marketing deve focalizzare l’attenzione
-Debolezze: le circostanze che limitano la performance
-Opportunità: le potenzialità che bisogna sfruttare per migliorare la propria profittabilità
-Minacce: i fattori che nel presente e nel futuro potrebbero limitare o impedire la performance

2. STRATEGIE DI MARKETING
Le strategie business possono essere impostate anche a livello di singola attività.
La Strategia di marketing, in particolare, è una strategia che si basa sul vantaggio che l’azienda riesce ad
ottenere su una specifica attività della catena del valore, cioè l’attività di marketing (quindi è una strategia
a livello di attività), ma ciò non toglie che un’unità di business possa fondare la propria strategia e il proprio
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Chiacchio-Ambrosanio

vantaggio competitivo su questa specifica attività, cosicché può essere considerata anche una strategia
competitiva a livello SBU.
I vantaggi competitivi che è possibile perseguire con questa strategia sono:
- vantaggio di quota di mercato leader, cioè l’azienda lavora per avere una quota di mercato assoluta più
alta delle altre aziende, come la Lines che nei prodotti dell’assorbenza ha una quota di mercato del 70%,
questa tipologia di vantaggio ovviamente porta ad un automatico vantaggio di costo rispetto ai concorrenti
(anche se i prodotti Lines sono premium price, cioè presentano un prezzo più alto, cosicché l’azienda in
questo modo e in questo caso riesce a scaricare questo vantaggio di quota sul profitto anziché sul prezzo);
- vantaggio di linea di prodotto, cioè l’azienda lavora sull’ampiezza, sulla lunghezza e sulla profondità
dell’assortimento, come Barilla che ha tante linee di prodotto (pasta, biscotti, sughi ecc., ampiezza), queste
linee sono lunghe (tante tipologie di prodotto per ogni linea, si pensi alle diverse tipologie di pasta, biscotti
ecc.), inoltre per ogni tipologia di prodotto vi sono diverse varianti (profondità);
- vantaggio di presidio dei canali distributivi, quindi avere un’alta copertura numerica e/o ponderata;
- vantaggio di costi di marketing, come Easyjet e Ryanair che puntano molto sull’abbattimento dei costi
commerciali e di marketing.
Gli elementi che compongono la strategia di marketing sono:
- la strategia di market targeting, cioè definire i segmenti di mercati che si intende servire che, a sua volta,
dipenderà dall’attrattività dei vari segmenti di mercato definiti nell’analisi della situazione; il grado di
attrattività è a sua volta influenzato da una serie di fattori come lo sviluppo prospettico della domanda,
l’intensità della competizione nei segmenti, l’accessibilità dei segmenti e così via.
Si possono impostare diverse strategie di marketing sulla base della segmentazione del mercato ovvero
fare:

- mass-market strategy, cioè andare sul tutto il mercato in maniera indifferenziata, oggi è difficile trovare e
implementare con successo una strategia del genere;
- large-segment strategy, cioè andare ad operare sul segmento più grande;
- adjacent-segment strategy, cioè operare sul segmento più grande e su quelli adiacenti, come Nike che
opera sulle scarpe ma poi anche sull’abbigliamento sportivo;
- multi-segment strategy, cioè andare a lavorare su tutto il mercato suddividendolo nei vari maggiori
segmenti;
- small-segment strategy, cioè una strategia focalizzata su un segmento di mercato;
- niche-segment strategy, cioè una strategia focalizzata su una nicchia del segmento di mercato.
- Sub-segment strategy, che va a stratificare il mercato nei vari sub-segmenti e per ogni segmento adotta
una strategia differente.
- strategia di posizionamento vs concorrenti nel settore, di prodotto-marca, cioè definire come competere
sui segmenti di mercato prescelti; Per definire questo aspetto bisogna ragionare sulla value proposition e
quindi cercare di conferire al prodotto-marca un posizionamento distintivo, unico e chiaro nel sistema
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Chiacchio-Ambrosanio

percettivo e cognitivo del consumatore rispetto ai prodotti-marche concorrenti avendo riguardo ai fattori
chiave di scelta di acquisto del target di clienti.
- obiettivi di performance e investimenti, quindi definire gli obiettivi di fatturato, di margini di profitto, di
investimenti che si vogliono compiere in innovazione di prodotto, canale, comunicazione, ecc.; quindi
sostanzialmente bisognerà costruire dei conti economici previsionali.
- obiettivi di quota di mercato, cioè definire qual è la quota di mercato che si intende ottenere.

Dopodiché sulla base di queste informazioni si definirà in termini operativi la strategia di marketing come si
implementa (decisioni di marketing mix): quale prezzo, quale prodotto, quali canali, quale comunicazione.

3. Piano di performance: (performance intesa come economico-finanziaria) si definisce il budget, in cui le


scelte strategiche vengono traslate in fatturati, costi, profitti ecc
4. Piano di esecuzione: vengono definiti quali sono i tempi di realizzazione delle azioni chiave di marketing
(ad esempio stabilire quando lanciare il nuovo prodotto oppure quando aprire punti vendita)
5. Monitoraggio: fase necessaria per porre in essere eventuali aggiustamenti. Vengono effettuati dei test
per capire ad esempio se il brand piace, se è memorizzabile ecc

POTENZIALE DI MERCATO
Riferendoci sempre al primo step della pianificazione strategica (analisi della situazione) qui affrontiamo un
punto dell’analisi esterna. In particolare l’obiettivo è capire qual è il nostro mercato.
Per l’azienda in una logica di marketing: il mercato è rappresentato dai consumatori. Ma non solo i
consumatori attuali ma i consumatori in target, cioè i consumatori che hanno il potenziale per acquisire
quel tipo di prodotto.
(Per potenziale di mercato (non assoluto ma come concetto generale) ci si riferisce a quella parte di
mercato costituita da soggetti potenzialmente interessati a determinati prodotti/servizi.)
Il concetto di potenziale di mercato assoluto è proprio questo cioè la massima opportunità economica che
un dato mercato è in grado di offrire. Tale opportunità si configura allorquando:
- ogni cliente in target del prodotto-servizio lo impiega effettivamente;
- ogni cliente in target utilizza il prodotto servizio in ogni occasione d’uso possibile;
- ogni qualvolta il prodotto-servizio è utilizzato lo è nella quantità ottimale (dose ottimale).
Più l’azienda è in grado di sviluppare questi 3 aspetti maggiore sarà la possibilità del mercato di
raggiungere il proprio potenziale assoluto.
Più precisamente il potenziale di mercato al tempo t (𝑷𝒐𝒕𝑴𝒌𝒕𝒕 ) è pari al prodotto tra il numero di
consumatori totali al tempo t (𝑵𝑪𝑻𝒕 ), al totale delle occasioni d’uso al tempo t (𝑶𝒕 ) e alla dose piena al
tempo t (𝑫𝑷𝒕 ). Si precisa “al tempo t” perché chiaramente ogni elemento considerato non è statico ma
dinamico e di conseguenza lo stesso potenziale di mercato può variare nel tempo.
Ciò può avvenire per diversi fattori (tecnologici, sociali, innovativi ecc.).
-Esempio: quando le compagnie aeree hanno capito che c’era un segmento di mercato formato da clienti
che non usava l’aereo per questioni economiche e che c’era la possibilità di rivolgersi a questa tipologia di
clienti mutando il modello di business, diventando low cost. Facendo ciò hanno sostanzialmente
incrementato il potenziale di mercato su quel business.

Per aversi un mercato è innanzitutto necessario che vi siano consumatori che abbiano interesse verso una

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categoria di prodotti. Tuttavia questa condizione non basta. Per aversi un mercato è necessario che
quell’interesse sia “disponibile”, cioè che ci siano le condizioni soggettive (ad esempio disponibilità
economica) e oggettive (ad esempio di accesso, se un consumatore non ha il canale distributivo nella sua
zona chiaramente non può accedere al prodotto) da parte del consumatore per “soddisfare”
quell’interesse. Se ciò si verifica questo mercato viene definito mercato potenziale disponibile qualificato.
Il potenziale di mercato disponibile qualificato per i beni e servizi di largo consumo è dato dal
prodotto di:

1) (𝑵𝒕 ) = Il numero di clienti che vive nell’area geografica di cui si vuole stimare il potenziale e che
potrebbe acquistare il prodotto in quanto interessati ( la % del target group calcolata in relazione al numero
di clienti)
2) (𝑷𝒕 ) = % di coloro che non hanno impedimenti soggettivi ed oggettivi all’acquisto del prodotto (es.:
reddito o altri aspetti soggettivi, impedimenti di accesso all’offerta);
3) (𝑶𝒕 ) = n°max di occasioni d’uso del prodotto o servizio nell’unità di tempo (2 volte al gg per 365 giorni);
4) (𝑫𝑷𝒕 ) = dose piena, massima quantità di prodotto utilizzabile per ogni occasioni di consumo.

Un altro esempio ma questa volta relativo a beni e servizi durevoli, come le lavastoviglie.

Il potenziale di mercato è dato dalla somma tra la domanda di primo acquisto (𝑫𝑶𝑴𝑷𝑨𝒕 ) cioè la domanda
di attrezzaggio, e la domanda di sostituzione (𝑫𝑶𝑴𝑺𝑶𝑺𝑻𝒕 ) cioè quella che sostituisce un bene durevole
che è sottoposto ad un processo di obsolescenza, guasto ecc.
La domanda di primo acquisto è dato dalla stima di costituzione nuovi nuclei familiari al tempo t (𝑵𝑵𝑭𝒕 )
moltiplicato per un primo tasso di conversione % dei nuovi nuclei familiari che si stima acquisteranno il
bene in questione al tempo t (𝑻𝑪𝒕 𝟏 ), il tutto sommato per il prodotto tra i non utilizzatori storici all’anno t
(𝑵𝑼𝑺𝒕 ) e il secondo tasso di conversione % dei non utilizzatori che si stima acquisteranno il bene in
questione all’anno t (𝑻𝑪𝒕 𝟐 ).
La domanda di sostituzione è data dal prodotto tra il numero di nuclei familiari all’anno (Nx) e la
percentuale di nuclei familiari in possesso del bene considerato o che non hanno impedimenti economici e
tecnici all’uso del prodotto (𝒑𝒕 ), meno le unità del prodotto attualmente in uso (𝑼𝒖𝒔𝒐𝒕 ), sommato il
numero di prodotti che è stato venduto n anni prima dove n corrisponde alla vita tecnica utile del prodotto
in questione (𝑼𝒔𝒐𝒔𝒕𝒕 ).

La Domanda effettiva o primaria è cioè quella che dipenderà dall’ammontare complessivo degli
investimenti in marketing di tutte le aziende del business.
La domanda primaria di mercato è data dalla sommatoria delle vendite di tutte le aziende al tempo t (∑
𝑸𝒊𝒕 𝒏 𝒊=𝟏 ). E’ data dal prodotto tra gli utilizzatori effettivi al tempo t (𝑼𝒆𝒇𝒇𝒕 ), le occasioni d’uso effettive
al tempo t (𝑶𝒆𝒇𝒇𝒕 ) e la dose piena effettiva al tempo t (𝑫𝑷𝒆𝒇𝒇𝒕 )

GRAFICAMENTE: Il Potenziale assoluto di mercato e la domanda primaria sono rappresentabili


graficamente , in un grafico appunto in cui sull’asse delle ordinate sono rappresentate le vendite e sull’asse
delle ascisse gli investimenti in marketing (InvMktg) compiuti dalle aziende che operano nel business
esaminato, cioè investimenti in comunicazione, in lancio di nuovi prodotti, in canali distributivi ecc.
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Chiaramente maggiori saranno i consumatori in target che effettivamente impiegheranno il prodotto,


maggiori saranno le occasioni d’uso in cui quel prodotto verrà utilizzato (ipotizzando n occasioni d’uso
massime) e più vicina sarà la quantità utilizzata alla quantità ottimale più la curva delle vendite sarà
asintotica verso quel mercato potenziale.

- Il gap di potenziale al tempo t (𝑮𝒂𝒑𝑷𝒐𝒕𝒕 ) è dato dalla differenza tra il Potenziale di mercato meno la
Domanda effettiva o primaria (𝑸𝒕 ).
Oltre alla domanda primaria, è possibile individuare una Domanda d’impresa o Domanda secondaria:
(𝑸𝒊𝒕), quantità vendute dall’azienda i-esima al tempo t) che è data dal prodotto tra:
La quota di mercato dell’azienda i-esima (𝑸𝑴𝒊 ) e la domanda primaria (𝑸𝒕 ).
Inoltre possiamo individuare anche un Potenziale di mercato dell’impresa che sarà funzione degli
investimenti totali dell’impresa non solo in marketing ma anche in termini di strutture produttive.

Gap concorrenziale : La distanza tra domanda secondaria e domanda primaria e indica quanta parte del
mercato è in mano dei concorrenti.
Gap di potenziale della specifica azienda : rispetto al potenziale mercato: è dato dalla differenza tra il
potenziale assoluto di mercato e la domanda secondaria.

È possibile individuare diverse tipologie di gap che nel complesso determinano il gap di potenziale.
Ci sono delle cause di questo gap che vengono definite di primo livello, nel senso che riguardano la
struttura del mercato, quindi esterna rispetto alla singola impresa.
I gap correlati alle condizioni relative alla domanda:
- il gap dei non utilizzatori (no user gap) che rappresenta i potenziali clienti in target ma non utilizzatori, ad
esempio clienti golosi di nutella ma che non l’acquistano perché sono a dieta; dato dal differenziale tra gli
utilizzatori potenziali e gli utilizzatori effettivi;
- il gap di occasioni d’uso (light user gap), determinato dai consumatori che impiegano il prodotto
limitatamente ad alcune occasioni rispetto a quelle potenziali, dato dal differenziale tra le occasioni
complessive potenziali e le occasioni in cui effettivamente il prodotto viene utilizzato;
- il gap di uso leggero (light usage gap), cioè ridotta quantità di prodotto nella singola occasione d’uso,
dato dal differenziale tra la dose ottimale e la dose effettiva.

Tuttavia vi sono anche cause di secondo livello che riguardano condizioni interne all’impresa, cioè a scelte
aziendali relative alle leve del marketing mix (prodotto, distribuzione, prezzo, comunicazione, packaging
ecc.).

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Entrambi i livelli del gap sono interrelati nel senso che un gap di non utilizzatori o di occasioni può essere
determinato da un gap di comunicazione (non comunico tutte le possibili occasioni d’uso, il consumatore
“non conosce” il prodotto per insufficiente comunicazione)

QUOTE DI MERCATO
La quota di mercato può essere considerata come uno strumento diagnostico, nel senso che se è analizzata
bene consente di avere delle informazioni importanti ai fini della decisione strategica ed operativa che
l’azienda deve fare nel mercato di riferimento. Analizzare la quota di mercato, significa effettuare l’analisi
per capire qual è il potere di mercato che l’azienda ha attraverso i suoi brand . La quota di mercato
(market share) è definibile come il rapporto tra il volume di vendite dell’azienda i sul prodotto/marca j e
la sommatoria delle vendite di tutte le aziende del mercato di riferimento di quel prodotto.

I principali indici o metriche che permettono di calcolare le performance di mercato oltre alla stessa quota
di mercato (MSI) sono la MDI (indice di sviluppo del mercato) e l’SDI (indice di sviluppo della quota di
mercato)
1) L’indice di sviluppo della quota di mercato (SDI) : rapportando la quota di mercato attuale e la quota di
mercato target.
2) l’MDI (Market Development Index) cioè l’indice di sviluppo del mercato (cioè il tasso di sfruttamento
del mercato oggi rispetto al potenziale) dato dal rapporto tra la domanda primaria corrente di mercato
(DPCM) e il potenziale di mercato (MP).

Diversi sono gli scenari che possono verificarsi in base a questi indici, come:
1) Vi è la circostanza che il mercato nella sua globalità cresce perché cresce l’MDI (e quindi la domanda
primaria) e l’SDI resta immutato, il che vuol dire che l’azienda aumenta i suoi volumi di vendita ad un tasso
pari alla crescita del mercato stesso e quindi riesce a “mantenere” la sua quota. Infatti se non riuscisse ad
incrementare i propri volumi ad un tasso perlomeno pari al tasso di crescita del mercato l’azienda vedrebbe
erosa la propria quota a vantaggio dei concorrenti, quindi l’SDI si sposterebbe a sinistra;
2) Il caso in cui l’azienda a parità di domanda primaria (che quindi non aumenta) aumenta la propria quota
di mercato e quindi il proprio SDI; (e viceversa)
3) Quello in cui il mercato aumenta il proprio sviluppo perché aumenta la domanda primaria e
contemporaneamente l’azienda aumenta il proprio SDI perché riesce a crescere in termini di volumi ad un
tasso superiore rispetto al tasso di crescita del mercato nel suo complesso;

Per calcolare la quota di mercato è innanzitutto necessario definire l’oggetto di riferimento, che può essere:
- la famiglia di prodotti, cioè l’insieme di prodotti che sono in grado di soddisfare un bisogno di base, ad
esempio tutti i prodotti alimentari;
- classe di prodotto, cioè un gruppo di prodotti all’interno di una famiglia che soddisfano una determinata
funzione, ad esempio i prodotti surgelati;
- la linea di prodotto, cioè un insieme di prodotti all’interno di una classe che presentano una correlazione
sotto qualche aspetto (prezzo, canale di vendita, modalità d'uso, target di clienti) es: primi piatti, secondi
piatti, dessert ecc..
- prodotto o tipo di prodotto, cioè prodotti di una stessa linea con una determinata forma, ad esempio i
cannelloni;
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- marca, il nome associato ad uno o più prodotti di una stessa linea;


- articolo o variante o referenza, in base al prezzo, dimensione, confezione ecc., ad esempio i cannelloni da
500 gr, pasta corta liscia, pasta corta rigata, Chiaramente maggiore è il livello di dettaglio maggiore sarà
complessa l’analisi e il calcolo.
MODI PER CALCOLARE LA QUOTA DI MERCATO:

La quota di mercato a livello consumer, si distingue in assoluta e relativa.

- La quota di mercato assoluta sul prodotto i-esimo dell’azienda j-esima è pari al rapporto tra le vendite che
l’azienda j-esima fa sul prodotto i-esimo e la sommatoria delle vendite del mercato di riferimento. Questo
indice come detto in precedenza si può calcolare a valori monetari correnti ,costanti e a quantità.

- La quota di mercato relativa è detta così perché il termine di paragone non sarà il mercato complessivo
ma un’altra azienda concorrente. È possibile distinguere due tipologie di indici:

1) il primo calcola la quota di mercato dell’azienda leader (L) del mercato, rispetto ai c.d. followers (F);

2) il secondo calcola la quota di mercato di una generica azienda j (non leader) rispetto alla leader del
raggruppamento competitivo o strategico

E’ importante non fermarsi al calcolo della sola quota di mercato assoluta ma di calcolare anche quella
relativa che ci permette di ottenere informazioni più dettagliate sui punti di forza e debolezza dell’impresa
rispetto ai suoi competitors. Inoltre il calcolo della quota relativa permette alle aziende di verificare quali
tra i propri prodotti dell’assortimento sono più forti e quali meno (c.d. analisi del portafoglio prodotti).

La scomposizione della quota di mercato calcolata o a quantità (calcolata a volumi di prodotto) o a valore:
E’ una tipologia di analisi con cui è possibile individuare dove è necessario o prioritario agire per
“migliorare” la quota di mercato, quindi sul numero dei consumatori, sulla fedeltà dei consumatori o
sull’intensità di acquisto degli stessi consumatori.

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La quota di mercato calcolata a volumi di prodotto , QUANTITA' (litri, quintali, numero di confezioni ecc.):

(𝑸𝑴𝒎) = La quota di mercato marca (m)


(𝑸𝒎𝒎) = quantità di marca (m) acquistata dai consumatori della marca (m) in un certo tempo
(𝑸𝒄𝒄) = la quantità complessiva di prodotto appartenente alla categoria (c) (a cui ovviamente la marca m
appartiene) acquistata dagli acquirenti di quella categoria (c) di prodotto
(𝑸𝒄𝒎)= la quantità di prodotto (a marca m e non) appartenente alla categoria (c) acquistata dagli
acquirenti della marca (m)
(𝑵𝒎) = il numero di clienti della marca (m) (include tutti coloro che almeno una volta hanno acquistato il
prodotto a marca (m) nell’unità di tempo considerata)
(𝑵𝒄) = il numero di clienti della categoria (c) a cui appartiene il prodotto a marca (m) e include tutti coloro
che almeno una volta hanno acquistato un prodotto di quella categoria di qualsiasi marca

La quota di mercato a livello consumer , calcolata a quantità la possiamo scomporre nel prodotto di tre
indicatori:

1) il tasso di copertura: (𝑵𝒎) / (𝑵𝒄) : è chiamato di COPERTURA: perché indica quanto il mercato è
coperto dal prodotto dell’impresa in analisi.
(Il numero di clienti della marca (m) (include tutti coloro che almeno una volta hanno acquistato il prodotto
a marca m nell’unità di tempo considerata) /
Il numero di clienti della categoria (c) a cui appartiene il prodotto a marca (m) e include tutti coloro che
almeno una volta hanno acquistato un prodotto di quella categoria di qualsiasi marca)
Quest’indice può variare tra 0 ed 1.

2) il tasso di fedeltà o esclusività (penetrazione orizzontale) : (𝑸𝒎𝒎) / (𝑸𝒄𝒎) : indica quanto del prodotto
il consumatore acquista rispetto alle altre marche.
(La Quantità di marca (m) acquistata dai consumatori della marca (m) in un certo lasso di tempo /
La quantità di prodotto (di marca m e non) appartenente alla categoria (c) acquistata dagli acquirenti della
marca (m) )

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Questo rapporto può essere = 1 o < 1:


- Se è = a 1 significa che tutti gli acquirenti del marchio m che acquistano quel prodotto non hanno
acquistato nessun altro marchio relativamente a quel prodotto, quindi la fedeltà è massima.
Ma questa è una situazione raramente irrealizzabile, fedeltà viene considerata soddisfacente quando
l’indicatore è superiore al 50%;
- Se è < di 1 più si avvicina a 0 più sono le quantità di prodotti di altri marchi appartenenti alla medesima
categoria che gli acquirenti del marchio m acquistano, e quindi più è alta l’infedeltà.

3) tasso di intensità (penetrazione verticale): (𝑸𝒄𝒎)/(𝑵𝒎) / (𝑸𝒄𝒄)/(𝑵𝒄) :


(è dato dal rapporto tra: La quantità di prodotto (a marca m e non) appartenente alla categoria (c)
acquistata dagli acquirenti della marca (m) /
il numero di clienti della marca (m) (include tutti coloro che almeno una volta hanno acquistato il prodotto
a marca (m) nell’unità di tempo considerata)
Tutto fratto il rapporto tra: La quantità complessiva di prodotto appartenente alla categoria (c) (a cui
ovviamente la marca m appartiene) acquistata dagli acquirenti di quella categoria (c) di prodotto /
il numero di clienti della categoria (c) a cui appartiene il prodotto a marca (m) e include tutti coloro che
almeno una volta hanno acquistato un prodotto di quella categoria di qualsiasi marca)

Questo tasso misura quanto intenso è l’acquisto del consumatore medio della marca m rispetto al
consumatore medio della categoria (c) a cui la marca (m) appartiene. Cioè individua non il consumo medio
della marca (m) ma il consumo medio della categoria merceologica.
Questo rapporto di due rapporti (o di due medie) potrà chiaramente essere >, = o < di 1:

- Se > di 1 significa che i consumatori del marchio m acquistano i prodotti appartenenti alla categoria
(quindi tutti i marchi compreso quello esaminato) con un’intensità superiore rispetto alla media di tutti i
consumatori dei prodotti di quella categoria (quindi i consumatori del marchio m vengono definiti in questo
caso high spending).
- Se è < di 1 il consumatore del marchio sarà (low spending) perché in media acquista con un’intensità
inferiore quella categoria di prodotto rispetto alla media di tutti i consumatori della categoria.
- Se è = a 1 significa che il comportamento di acquisto del consumatore del marchio m è perfettamente in
linea con il comportamento di acquisto della media del mercato di riferimento.

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Qui la Quota di mercato è calcolata a valore (in termini di fatturato) :


È uguale alla precedente ma si aggiunge Il tasso di selettività che ci dice quanto quella marca m è selettiva.
Ed è dato dal rapporto tra il prezzo medio della marca m (𝑷𝒎) e il prezzo medio della categoria di
riferimento (𝑷𝒄).
- il rapporto se > di 1 significa che la marca m sta utilizzando una strategia di premium price o di selettività,
quindi un prodotto selettivo (prezzo alto, qualità alta ecc.).
- Se è < di 1 la strategia punta su prezzi mediamente più bassi.
- Se è = a 1 i prezzi del marchio m sono perfettamente in linea con la media di categoria

- Un'azienda si definisce Price Leader : quando presenta un prezzo medio superiore rispetto al prezzo
medio del mercato di riferimento e lo si può constatare anche dalla differenza tra QM a valore e a quantità,
quando ovviamente la QM a valore è maggiore della QM a quantità.
- Un'azienda si definisce Price Taker: Se la quota di mercato a valore è inferiore alla quota di mercato a
quantità (o se il tasso di selettività fosse inferiore a 1). E ciò indica la posizione dell’azienda che è follower
dal punto di vista del prezzo di mercato.

QUOTA DI MERCATO A PENETRAZIONE

Se due imprese o due marchi A e B presentano lo stesso fatturato e le stesse vendite a quantità ma la prima
presenta un tasso di penetrazione o di copertura (quanti clienti ha ) maggiore della seconda si
deduce che i consumatori dell’impresa/marca A sono più leggeri (low users) rispetto ai consumatori
dell’impresa/marca B che sono più pesanti (heavy users) o alto spendenti. (ad esempio per
l’impresa/marca A ci sono 5 clienti che acquistano ciascuno un prodotto, mentre per l’impresa/marca B
ce n’è uno solo che ne acquista 5 di prodotti)

ANALISI STRATEGICA DELLA QUOTA DI MERCATO


Il calcolo delle quote di mercato di differenti aziende con i relativi tassi di copertura, fedeltà e intensità ci
permettono di porre in essere un’analisi strategica andando comprendere il tasso di rischio e il tasso di
profittabilità delle stesse.

Supponendo aziende con la medesima quota di mercato ma tassi differenti possiamo comprendere che :
Aziende con un tasso di copertura alto (numero di clienti) e un basso livello di fidelizzazione presentano :

• da un lato profittabilità bassa dovuta alla fedeltà bassa


• dall’altro un basso rischio dovuto al fatto che esistono numerosi clienti.

Aziende con un tasso di copertura basso (numero di clienti) ma altamente fidelizzati presentano:

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• da un lato un alto livello di profittabilità


• dall’altro un alto livello di rischio in quanto la perdita di parte dei clienti inciderà molto sul profitto

Se ci fermassimo all’analisi della quota di mercato assoluta non riusciremmo a leggere “in profondità” la
forza/debolezza di un’impresa su di un mercato, mentre se si confronta la situazione dell’impresa rispetto
ai competitors di riferimento è chiaro che si può capire con maggiore profondità la forza o debolezza
dell’impresa in esame.
Di fatti se considerassimo un impresa X che ha 2 prodotti-marchi che posseggono la stessa percentuale di
quota assoluta di mercato, sarà necessario integrare l’analisi della quota relativa così che:
Se nel caso la % di quota relativa fosse maggiore un uno dei due marchi-prodotti , quest’ultimo sarà
certamente da preferire l’altro, in quanto espressivo di una forza notevolmente superiore rispetto ai
concorrenti.

L’impresa Leader ha un vantaggio in termini di economie di scala molto forte rispetto ai concorrenti, che le
consente di abbassare il prezzo o di concorrere sul prezzo/o sulla profittabilità e quindi sulla capacità di
investimento.

FATTORI CAUSALI DELLE QUOTE DI MERCATO


È possibile approfondire ulteriormente l’analisi della quota di mercato andando a definire le sue
determinanti o i fattori causali.
5 sono gli elementi che possono quindi essere considerati come i fattori generatori della quota di mercato:
notorietà del brand; attrazione verso i benefici che il prodotto genera per il consumatore; prezzo
considerato accettabile; disponibilità del prodotto su determinati canali (distribuzione); positività
dell’esperienza del servizio.
COME SI PUO’ MIGLIORARE LA QUOTA DI MERCATO A LIVELLO CONSUMER?
Agendo sugli Indici: aumentando la copertura; creando e migliorando la fidelizzazione (attraverso sconti per
i clienti, particolari offerte, dando modo al cliente di provare il prodotto e creare una certa esperienzialità
positiva) ed intensificando gli acquisti.

QUOTA DI MERCATO A LIVELLO RETAIL


Per Quota di mercato a livello Retail si intende a livello di canale distributivo al dettaglio.
Per determinare le Vendite compiute in un certo tempo dal canale Retail (o Sell out) sono pari a:
allo stock iniziale al tempo t0 (𝑺𝒕𝒐𝒄𝒌𝒕𝟎), più gli acquisti effettuati nel periodo (o Sell in) dal canale, meno lo
stock esistente al tempo t1 (𝑺𝒕𝒐𝒄𝒌𝒕𝟏).

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È possibile con questi dati costruire un Indice di provvista del canale o di un singolo punto vendita
rapportando la giacenza in stock (cioè la giacenza media di magazzino nel periodo considerato) e il sell out
mensile.

Questo indice può esprimere sia andamenti fisiologici legati ad esempio alla stagionalità ma anche
andamenti patologici, se ad esempio è troppo alto in un certo periodo devo compiere delle verifiche per
capire perché le giacenze dei punti vendita sono così alte rispetto alle vendite.
Quindi è sostanzialmente un indicatore del livello di efficienza della marca su un certo canale distributivo.

- La quota di mercato della marca m nel canale Retail (𝑸𝑴𝒎) è data dalla quota nei clienti trattanti per la
copertura ponderata

1) QUOTA NEI CLIENTI TRATTANTI: La quota dei clienti trattanti misura la performance della marca m
presso i clienti retail che la trattano, nel senso, rispetto alle varie marche della categoria che questi punti
vendita acquistano e/o vendono quanto è presente la marca m?
Essa è data dal rapporto fra la quantità del marchio m venduta o acquistata complessivamente (𝑸𝒎𝒎) su
gli Acquisti Complessivi della categoria di prodotto “c” a cui “m” appartiene, da parte dei Clienti Retail che
vendono la marca m (𝑨𝑪𝑺𝒄𝒎);

2) COPERTURA PONDERATA: Indica l’importanza dei punti vendita in cui l’impresa è presente, calcolata in
base al peso degli acquisti o delle vendite che quei punti vendita trattanti la marca fanno rispetto al totale
dei punti vendita che trattano la categoria merceologica.
Essa è data dal rapporto fra gli Acquisti Complessivi della categoria di prodotto “c” a cui “m” appartiene, da
parte dei Clienti Retail che vendono la marca m (𝑨𝑪𝑺𝒄𝒎) su gli Acquisti Complessivi fatti da tutti i clienti
trattanti la categoria c (𝑨𝑪𝑻𝒄𝒄).

Su una matrice che ha sull’asse delle ascisse la quota dei clienti trattanti; sull’asse delle ordinate la
Copertura Ponderata, possiamo individuare quelle che sono le strategie più consone per il marchio
specifico relativamente alla distribuzione:
1) Se il marchio considerato ha una copertura ponderata alta e su questi clienti è anche performante

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(quadrante in alto a destra) questa è sicuramente la migliore condizione per l’azienda che quindi dovrà
cercare di consolidare la posizione competitiva in modo da “difendersi” dai concorrenti.
2) Se il marchio ha una copertura ponderata alta ma su quei clienti è poco performante (quadrante in alto
a sinistra) deve cercare di migliorare l’accettazione della marca presso i punti di vendita che la trattano per
aumentare il sell in e/o il sell out del marchio, quindi cercare di adattare il prodotto ai bisogni specifici dei
clienti di quel punto vendita, aumentare gli sconti dei sell in di questi punti vendita, aumentare i servizi nel
punto vendita come accollarsi i costi dell’instore promotion (ad esempio accollarsi i costi di una promozione
3x2) ecc.
3) Se il marchio ha una copertura ponderata bassa e nello stesso tempo è anche poco performante
(quadrante in basso a sinistra) dovrà creare la rete distributiva e poi investire per aumentare l’accettazione
del prodotto. Questa è la situazione peggiore in cui l’azienda si deve sostanzialmente reinventare.
4) Se il marchio ha una copertura bassa ma è molto performante su quei clienti (quadrante in basso a
destra) dovrà migliorare il portafoglio clienti acquisendo clienti più grandi o a più alto “traffico”.

La copertura ponderata può essere scomposta nel prodotto di 3 indici e grazie a questa scomposizione
l’azienda può in sostanza individuare dove deve agire per migliorarla:
1) la dimensione media del sell in dei punti vendita trattanti la marca m, dato dal rapporto tra gli acquisti
complessivi della categoria c a cui la marca m appartiene effettuati dai clienti della marca m (𝐴𝐶𝑆𝑐𝑚) e il
numero dei clienti della marca m (𝑛𝑚).
Questo indice può esprimere la tipologia dei clienti retail dell’azienda in quanto se è elevato
presumibilmente i clienti saranno gli operatori della GDO (che come si sa acquistano elevati volumi) se è
basso invece presumibilmente i miei clienti saranno piccoli dettaglianti;
2) la copertura numerica, data dal rapporto tra il numero di clienti trattanti la marca m (𝑛𝑚) e il totale dei
clienti della categoria c a cui la marca m appartiene (N), che quindi ci dice quanti dei punti vendita totali il
marchio copre;
3) l’indice di dispersione della clientela (inverso della concentrazione dei clienti), data dal rapporto tra il
numero totale dei punti di vendita trattanti la categoria (N) sul totale degli acquisti effettuati da questi
punti vendita nella categoria stessa (𝐴𝐶𝑇𝑐𝑐). Se questo indicatore va verso 1 c’è una forte distribuzione
(dispersione) se va verso lo 0 una forte concentrazione.

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COME SI PUO’ MIGLIORARE LA QUOTA DI MERCATO A LIVELLO RETAIL?


- Se si ha una copertura ponderata bassa: vuol dire che si ha una rete distributiva scarsa e quindi l’impresa
dovrà rivedere il proprio portafoglio clienti retail; estendere e migliorare la distribuzione.
- Se ha una quota di clienti retail bassa: L’impresa dovrà cercare di migliorare l’accettazione della marca
presso i punti vendita che la trattano per incrementarne gli acquisti/vendite; dovrà cercare quindi di
migliorare e adattare il prodotto ai specifici bisogni di quel punto vendita; Dovrà aumentare gli sconti sugli
acquisti di quei punti vendita; aumentare i servizi nel punto vendita: come accollarsi i costi degli instore-
promotion.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Per Costumer value proposition si intende stabilire il target di clienti, le preferenze, i bisogni che si
intendono soddisfare e come raggiungere il vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.
Ciò permette di creare un sistema di offerta ben definito: prodotto, prezzo, canale distributivo ecc.
Per capire se il consumatore effettivamente soddisfatto è necessario capire quale la Net Delivered
costumer value (NDCV) ovvero il valore netto consegnato al cliente cioè cosa il consumatore pensa che
l’impresa gli abbia consegnato rispetto alle sue aspettative, che dovrà essere superiore a quella dei
concorrenti. Questo permette di capire perché le aziende creano vantaggio competitivo. ( Dato dalla
differenza tra i Benefici totali – Costi totali percepiti dal consumatori).

CUSTOMER SATISFACTION ANALYSIS


Uno degli aspetti dell’analisi della situazione, come abbiamo visto, riguarda l’analisi dei bisogni dei
consumatori dal momento che il marketing deve gestire i rapporti con i propri clienti attuali ma anche
prospettici/potenziali (c.d. non clienti). Tale tipologia di analisi prende il nome di Customer Satisfaction
Analysis (CSA).
La Customer satisfaction è la percezione del cliente che, può coincidere o meno con la realtà, che il sistema
di offerta di un’organizzazione ha raggiunto o superato, in relazione con le aspettative circa l’insieme dei
benefici e costi rilevanti per il cliente ai fini dell’acquisto e della fruizione di quel sistema di offerta.
Essa è proprio la misura di quanto il sistema di offerta di un’organizzazione sia soddisfacente o meno per il
cliente.

Per calcolare la Customer Satisfaction Index è necessario determinare:


1) Un Valore atteso percepito (VAP) -> cioè quel valore che il cliente si attende di ricevere dall’azienda o
dalla marca nel momento in cui sta opzionando la scelta tra le diverse marche/aziende.
È dato dal rapporto tra i benefici (funzionali, emozionali, ecc.) attesi percepiti che la marca iesima è in grado
di procurarmi e i costi totali attesi percepiti della stessa marca i-esima (VAPi=BAPi/CTAPi).
Quindi nel momento in cui il consumatore andrà a compiere una scelta lo stesso formulerà tanti VAP quanti
sono gli “n” marchi dell’evoked set (cioè il set di marche evocato dalla nostra mente ritenute in grado di
soddisfare le aspettative) e ovviamente sceglierà quello superiore, cioè il più soddisfacente. Chiaramente
questo rapporto potrà essere uguale, minore o maggiore di 1.
Il consumatore sceglierà il marchio con VAP più elevato in condizioni di non asimmetria informativa o di
non in caso accidentale, si pensi ad un viaggiatore che necessariamente deve prendere un volo per
spostarsi ma che non ha prenotato il biglietto e quindi è obbligato ad acquistare il biglietto di una
compagnia che ritiene scadente (nell’ipotesi in cui sia l’unico disponibile), compagnia che in condizioni di
“normalità” non avrebbe ovviamente scelto.
La fase informativa e di valutazione che il consumatore compie prima di procedere all’acquisto in relazione
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al processo di acquisto e che corrisponde al tempo (t-1) è quella che determina il VAP.
Tale fase sarà più o meno lunga (ad es. per la complessità del prodotto, chiaramente se dovrò acquistare un
prodotto semplice la fase informativa e di valutazione sarà molto più breve di un prodotto complesso) ed è
influenzata da una serie di fattori:
- Scelte di marketing sul brand dell’impresa, quindi da tutte le azioni di comunicazione, pricing, canali
distributivi, servizio, prodotti, che quindi rappresentano nel complesso value proposition o la brand
promise (la promessa del marchio).
- Esperienza passata del consumatore su quella marca. Chiaramente se io ho un’esperienza positiva su
quel marchio è probabile che tornerò sullo stesso marchio (quindi ciò dovrebbe produrre un sistema di
fedeltà del cliente).
- Word Of Mouth ovvero il passaparola. Che ha una forte influenza nelle scelte di acquisto e può essere
fisico oppure Online tramite (social/forum)

2) Il valore d’uso percepito (VUP) è il valore che il consumatore si crea nel momento in cui ha acquistato e
sta utilizzando il prodotto. Si calcola sulla marca i-esima che abbiamo scelto rapportando
i benefici d’uso percepiti con i costi totali d’uso percepiti (VUPi=BUPi/CTUPi).
I costi d’uso percepiti si definiscono “totali” perché non ci riferiamo soltanto al prezzo specificamente
pagato, ma anche a tutta un’altra serie di costi. Tutta questa serie di costi diversi dal prezzo diventano
tanto più significativi al crescere della complessità del prodotto considerato (ad esempio se acquisto
un’automobile ci sarà il costo di manutenzione, costi di messa su strada, costi dei tempi di attesa
dell’automobile, costo di consumo, costi di rischio percepito).
Nel processo di acquisto il tempo T0 corrisponde al momento dell’acquisto e a destra, al tempo T1
corrisponde il VUP , la fase di vera e propria esperienza di consumo. Tale esperienza di consumo è la
manifestazione del rapporto che il consumatore genera con la marca e che determina la consonanza o
dissonanza rispetto alle aspettative di valore:
- la consonanza significa produrre customer satisfaction in quanto le aspettative sono state soddisfatte e
quindi vi è una convergenza tra VUP e VAP;
- la dissonanza si verifica quando vi è una differenza significativa tra VUP e VAP, tale differenza potrà essere
positiva quando VUP>VAP o negativa quando VUP<VAP.

Dopo tutto ciò si va a comparare il VUPi rispetto al VAPi (VUPi/VAPi) della specifica marca che ho scelto.
Chiaramente anche questo rapporto potrà essere maggiore, minore o uguale a 1, e questo rapporto in
termini tecnici viene definito come CSI (Customer Satisfaction Index).
Questo schema in definitiva ci consente di individuare e capire dove l’impresa può intervenire per agire sul
valore percepito sia in aspettativa sia durante la fase del consumo.
E’ possibile dire che il cliente è soddisfatto in due modi:
- Se il rapporto è >= ad 1 allora il cliente sarà soddisfatto. In questo primo caso scatta un elemento
fondamentale per il vantaggio competitivo: la fedeltà del cliente ovvero customer Lifetime value si tratta di
clienti che acquisteranno con assiduità.
Se sarà < 1 si produrrà insoddisfazione.
- Se VUP – VAP >= 0

La Customer Satisfaction come abbiamo detto, produce 3 elementi (gestionali e strategici) di fondamentale
importanza :
1. La fiducia del consumatore : un c.d asset immateriale

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Chiacchio-Ambrosanio

2. La fedeltà comportamentale del consumatore : quel comportamento di ripetizione nell’atto di acquisto


da parte del consumatore verso quella marca.

Questi due elementi determinano a loro volta degli elementi positivi importanti perché capaci di
influenzare i flussi di cassa attesi da parte dell’azienda ovvero:
- cross selling : cioè la tendenza del consumatore ad utilizzare tutta la gamma dei prodotti che l’azienda
offre a quel cliente. ad esempio Ryanair Che oltre all’acquisto del biglietto propone albergo, auto rental ecc
- costi di acquisizione di nuovi clienti bassi: siccome si sviluppa un WOM molto positivo rispetto all’azienda
e quindi investimenti da fare in comunicazione per convincere il consumatore di passare da una marca
all’altra saranno sicuramente più bassi
- trading up del cliente fedele: I consumatori soddisfatti tendono a cambiare più velocemente il prodotto
verso modelli più recenti o più dotati in termini di caratteristiche di quello stesso marchio e che hanno
prezzi più alti. Ad esempio smartphone Apple
- Minore sensibilità al prezzo del cliente fedele: il cliente fedele sarà meno sensibile all’incremento dei
prezzi
3. Customer equity: consiste nel valore del portafoglio clienti di un’azienda. La costumer satisfaction
permette di consolidare e rendere stabile nel tempo tale portafoglio.

INFLUIRE SUL VAP


Può accadere che il cliente modifichi il suo VAP a seguito di
1) Un’esposizione molto ampia nel punto vendita potrà modificare le aspettative perché nella nostra mente
potremmo non avere tutte le possibili informazioni o alternative.
2) Si svolgono una serie di attività che vengono chiamate instore promotion, cioè delle promozioni che
incidono sul denominatore del VAP (costo totale atteso percepito) riducendolo e quindi accrescendo il VAP.
3) sul punto vendita potrebbe intervenire la figura del venditore che potrebbe darci ulteriori informazioni
che riguardano il rapporto prezzo/caratteristiche del prodotto che vogliamo acquistare e che quindi
“colmano” quel divario informativo che il consumatore ha rispetto ai prodotti di una certa complessità.
- Potrebbe, quindi, accadere che il consumatore conferma l’acquisto del prodotto di quella marca che aveva
in mente o, piuttosto, modifica le sue aspettative di valore.
INFLUIRE SUL VUP
Per quanto riguarda l’agire sull’effetto percettivo che il marchio/prodotto realizza sul consumatore nella
fase di esperienza di consumo, risulta essere più complesso:
Ad esempio dopo una crociera effettuata l’azienda crocieristica può influenzare la percezione di quel
viaggio “rinfrescando” al consumatore le esperienze positive che lo stesso ha vissuto in quella fase,
inviando una mail o una lettera con cui si cerca di sostenere ex-post la scelta effettuata influenzandoli
cognitivamente che quella è stata un’esperienza positiva.

CLASSIFICAZIONE DI KANO SUI BENEFICI


Utilizzando La classificazione di Kano , i benefit di cui il consumatore va alla ricerca nei sistemi di offerta
vengono distinti in tre livelli:
- i benefici basic , che sono quelle motivazioni di acquisto implicite che il prodotto o il servizio deve
soddisfare, in altri termini non sono quegli elementi che fanno la differenza tra un prodotto e l’altro.
Ad esempio non si sceglie un viaggio aereo valutando la compagnia in base alla sicurezza del volo, o non si
sceglie una merendina Ferrero, Balocco ecc. sulla base del rischio alimentare;
- i benefici di performance, sono quelle caratteristiche che il cliente prende in esame in una fase ex-ante
l’acquisto per costruire il suo valore atteso percepito; che il cliente esprime in relazione alle sue conoscenze
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Chiacchio-Ambrosanio

sulle caratteristiche di quel bene o servizio che gli permettono di esprimere un giudizio più o meno preciso
rispetto alle differenze di quelle caratteristiche di un’altra marca.
- i benefici exciting (eccitanti), che il cliente ha difficoltà ad esprimere fin quando l’azienda non porta sul
mercato un prodotto che contiene quelle caratteristiche. Eccitanti perché l’azienda portando sul mercato
determinate caratteristiche accende la curiosità del consumatore che non “immaginava” di avere un
bisogno di quel genere.
Maggiore è la presenza dell’attributo exciting maggiore è l’effetto positivo sul grado di soddisfazione (più
che proporzionale) rispetto dell’attributo performance (proporzionale) e basic (meno che proporzionale).
Inoltre è chiaro che la competizione porta molti dei benefici di performance o eccitanti a diventare via via
basici: Ad esempio quando nell’automobile in passato furono inseriti l’ABS , l’airbarg e altri sistemi di
sicurezza, questi servizi (benefici) erano considerati eccitanti, infatti erano degli optional, invece oggi questi
stessi servizi sono di serie (anche grazie a diverse normative sulla sicurezza che li rendono obbligatori) e
quindi considerati benefici basic.

IL SISTEMA DI OFFERTA:
Il sistema di offerta ci permette di capire su cosa bisogna lavorare per costruire e monitorare la customer
satisfaction; non è altro che la proposta unica di valore che si intende offrire ai clienti e questo sistema di
offerta deve essere in grado di trasformarsi in effettivo valore per il cliente (Costumer Satisfaction).
Dei modelli che ci permettono di rappresentarli sono i Modelli di Kano
- Per quanto riguarda il modello relativo alle imprese produttrici di prodotti fisici.

Le componenti sono:
L’essenza del sistema è data dal c.d. core benefit (beneficio centrale)
1) I benefici correlati a quel prodotto (benefici product related) che si distinguono in due macro categorie: i
benefici di performance, e i benefici simbolico-esperienziali.
2) Il processo, cioè tutte le attività di accesso e di fruizione del prodotto da parte del cliente.
3) L’elemento delle relazioni e le persone, che è relativo al personale di contatto, la facilità di contatto, i
tempi e la qualità di risposta da parte dell’azienda, il sito web e gli altri clienti. Inoltre i clienti che hanno già
usufruito del bene/servizio potranno giocare un ruolo positivo o negativo a seconda del tipo di passaparola
che faranno;
4) mix di elementi product related, cioè tutto ciò su cui noi possiamo intervenire in termini di marca,
confezione, la varietà dell’assortimento, il pricing e tutte le altre caratteristiche correlate al prodotto.
- Mentre per quanto riguarda il modello relativo alle imprese produttrici di servizi (che si differenziano dai
prodotti ovviamente per l’intangibilità che li caratterizza e che viene offerta al consumatore) ciò che varia è
l’essenza del sistema stesso caratterizzato dal SERVIZIO:
Il servizio offerto può essere distinto in due parti: di base e periferico.
1) Il servizio di base è rappresentato da quella parte che caratterizza l’azienda, quindi se vado in un

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Chiacchio-Ambrosanio

supermercato il servizio di base è dato dall’offerta di una gamma di prodotti in un certo luogo, in un certo
tempo e ad un dato prezzo, il servizio base di una compagnia aerea è ovviamente quello del trasporto.
2) I servizi periferici si distinguono in:
- servizi periferici necessari, cioè quei servizi che un’azienda deve necessariamente offrire affinché il cliente
possa usufruire dei servizi di base stessi, ad esempio in un centro commerciale un servizio di base
necessario è rappresentato dal parcheggio;
- servizi periferici supplementari (o a valore aggiunto), cioè quei servizi che fanno la differenza tra
un’offerta e l’altra, ad esempio se si va al ristorante (in cui un servizio periferico necessario potrebbe essere
quello della possibilità di prenotare) e quel ristorante organizza un percorso educativo del cliente circa i
prodotti che sta mangiando, cioè informare quali sono le caratteristiche dei prodotti che il cliente sta per
mangiare (luogo di provenienza materie prime, modalità di cottura ecc.), quel ristorante sta offrendo un
servizio supplementare o a valore aggiunto che quindi permette a quel ristorante di distinguersi dai propri
concorrenti.

Per quanto riguarda il discorso circa la costruzione della Customer Satisfaction è importante analizzare i
benefici e i costi del sistema di offerta, cioè che tipi o classi di benefici e di costi possiamo individuare.
I benefici possono essere distinti in:
- Benefici correlati al prodotto o al servizio:
i benefici correlati a quel prodotto (benefici product related) che si distinguono in due macro categorie: i
benefici di performance, cioè di risultato di quel prodotto nel soddisfare l’esigenza del consumatore sul
piano strettamente funzionale e quindi siamo in una sfera “razionale” del consumatore (ad esempio l’acqua
deve dissetare), e i benefici simbolico-esperienziali, cioè i benefici che “colpiscono” la sfera
emotiva/irrazionale del consumatore. Quando si lavora sui livelli di natura emotiva è perché probabilmente
si è arrivati al punto in cui tutti i benefici c.d. di performance sono diventati benefici basic, e l’unica leva su
cui si può agire per dare distintività ad un prodotto sono quindi i soli benefici simbolico-esperienziali.
ESEMPIO: Coca-Cola non ha mai lavorato sugli aspetti funzionali ma ha sempre lavorato su aspetti
simbolico-esperienziali fino al punto di diventare un c.d. brand iconico, sia perché diventò un elemento
della guerra, in particolare il segno dell’impegno americano sui fronti della 2° guerra mondiale, sia
successivamente come simbolo di fratellanza nella cultura hippy.
- Benefici connessi al processo di acquisto e d’uso del prodotto-servizio;
cioè tutte le attività di accesso e di fruizione del prodotto da parte del cliente. Un processo di acquisizione e
di uso di un prodotto può produrre dei benefici funzionali ed emozionali (velocità di scelta, ampiezza della
gamma, facilità di utilizzo del prodotto ecc.), ma può produrre anche dei costi percepiti in termini di la
valutazione di acquisto è difficile da fare, i punti vendita da raggiungere sono molto distanti.
ESEMPIO FUNZIONALE: Ad esempio: perché i punti McDonald’s stanno nelle principali città, stazioni,
aeroporti, centri commerciali ecc.? perché un prodotto che costa mediamente 5-6€ deve avere un costo di
accesso e di uso percepito dal consumatore estremamente basso, “deve stare sulla mia strada!”
ESEMPIO EMOZIONALE: (ad esempio lavorando sui profumi del luogo di acquisto e stimolando, quindi,
l’olfatto, come molti supermercati che fanno in modo che quando il consumatore passa vicino, ad esempio,
allo scaffale del caffè c’è un aroma di caffè che viene fuori che li stimola sensorialmente all’acquisto del
prodotto
- Benefici di relazione; sono relativi al personale di contatto, la facilità di contatto, i tempi e la qualità di
risposta da parte dell’azienda, il sito web e gli altri clienti. Inoltre i clienti che hanno già usufruito del
bene/servizio potranno giocare un ruolo positivo o negativo a seconda del tipo di passaparola che faranno;
- Benefici di immagine, cioè se un’immagine di marca è positiva e quindi crea valore di marca ciò è un
beneficio perché per il consumatore è sinonimo di sicurezza, affidabilità ecc.;
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Chiacchio-Ambrosanio

- Benefici di dismissione, cioè un prodotto che non crea problemi nel momento in cui il consumatore dovrà
liberarsene o che presenta un valore maggiore rispetto ai prodotti di altre marche;

I COSTI
I costi che il consumatore percepisce di sostenere nel momento in cui acquista un prodotto-servizio
possono essere distinti innanzitutto in costi monetari diretti, costi monetari indiretti e costi non monetari.
In particolare:
- Costi finanziari di acquisto (prezzo di acquisto prodotto-servizio) (P) , che è l’unica variabile sicuramente
certa; - Costi informativi, cioè i costi di ricerca delle informazioni. Infatti il consumatore prima di effettuare
un acquisto importante probabilmente andrà alla ricerca di informazioni per comparare i prodotti ed è
quantificabile dal tempo (si parla infatti di Ct, cioè di costo di tempo) impiegato per compiere tale attività.
Se una marca su suoi siti, sui vari media online e offline ha poche informazioni per il consumatore sarà un
“costo maggiore” andare alla ricerca di tali informazioni “difficilmente” reperibili;
- Costo di reperimento/accesso del prodotto (Ct), anche qui abbiamo un costo di tempo, cioè il tempo
necessario affinché il consumatore possa usufruire del prodotto;
- costi di apprendimento (Ct)
- costi di esercizio (Cg), Cg sta per “costo di gestione”. Il costo di esercizio quantifica quanto costa al
consumatore tenere e gestire quel prodotto come un elettrodomestico, automobile ecc.;
- costi di conversione (Cg), cioè i costi di passaggio da una tipologia di prodotto ad un’altra. Questo è un
costo che riguarda ad esempio i prodotti industriali come può essere un macchinario e quantifica ad
esempio quanto costa far passare il personale dall’uso di una macchina ad una macchina nuova (che
ovviamente sarà il prodotto su cui inciderà questo costo, perché è quello che vado ad acquistare);
- costo di eliminazione (Cg), cioè il costo necessario per dismettere il prodotto;
- costi di obsolescenza (Cg), vi sono prodotti che infatti diventano più obsoleti degli altri come nel caso
degli smartphone o anche di Gilette in cui si verifica un aumento del costo di obsolescenza percepito dal
consumatore. Invece nel campo delle automobili vi sono marchi che tengono più nel tempo rispetto ad
altri, ad esempio tra Audi e Alfa Romeo quest’ultima ha un design che va più incontro all’obsolescenza
perché più aggressivo e sportivo rispetto ad Audi che invece punta su un design più classico e tradizionale;
- costi psicologici o di rischio percepito (Crp), cioè più quella marca è considerata affidabile relativamente
al prodotto considerato minore sarà il costo di rischio percepito da parte del consumatore.

Il NDCV quindi non è altro che il rapporto o la differenza tra la sommatoria delle tipologie di benefici e la
sommatoria delle tipologie di costo visti in precedenza, che potrà essere maggiore, uguale o minore di 1.

ATTRIBUTI
In relazione alla misurazione della Customer Satisfaction, quando parliamo di costi e benefici noi
consideriamo degli attributi che qualificano il sistema di offerta, quindi cerchiamo di misurare questi
attributi in termini di contenuto che essi danno alla customer satisfaction.
Non tutti gli attributi di costo/beneficio hanno la stessa importanza, ed è possibile misurarli attraverso una
scala detta ‘Scala di Likert’ basata su una quantificazione dell’importanza da 1 a 5:
- attributi estremamente importanti (5);

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Chiacchio-Ambrosanio

- molto importanti (4);


- importanti (3);
- poco importanti (2);
- per nulla importanti (1).
Esempio attributo considerato importante per l’impresa ma poco importante per il consumatore: il
packaging di un prodotto che al cliente indifferente ma per l’impresa dal punto di costi di materiale o per
il trasporto ha molto peso.
Esempio attributo considerato importante per il cliente e che l’impresa a volte trascura è il servizio di
post-vendita. Ad esempio quello che riguarda il servizio di garanzia dei prodotti tecnologici , siccome non
costituisce fonte di ricavo per l’impresa.
FASI (albero Customer Satisfaction)
1) La prima procedura è quella di creare dei focus group: è una metodologia di indagine utilizzata nelle
ricerche di marketing di tipo qualitativo che si avvale dell’intervista di gruppo per raccogliere sul campo
informazioni riguardo i benefici e costi che sembrano esser emersi dalla discussione relativa ad un dato
oggetto di indagine, sotto la guida di un consulente che, attraverso l’uso di domande dirette, cerca di
cogliere le dinamiche di comportamento e di motivazione del gruppo.
2) Una volta individuati gli attributi di costo e di beneficio andiamo a costruire il questionario che sarà
sottoposto ad un campione di consumatori di una certa numerosità. Il questionario deve innanzitutto
individuare L’importanza relativa di ogni attributo sia di beneficio che di costo, di conseguenza la domanda
deve essere formulata con riferimento generico (se parlassimo del settore bancario ad esempio) a qualsiasi
filiale bancaria. (Quindi la domanda sarà del tipo “con riferimento a qualunque filiale bancaria, quanto sono
importanti per Lei le seguenti caratteristiche …”)
3) L’altra informazione necessaria è il valore d’uso percepito. Di conseguenza questa volta il questionario
dovrà essere impostato avendo ad oggetto la specifica banca. (indichi in che termini ritiene di essere stato
soddisfatto dall’uso dei servizi bancari della banca)
4) L’ultimo dato di cui necessitiamo è il valore atteso percepito. Quindi la domanda dovrà essere del tipo
“specifichi le sue aspettative di soddisfazione che hanno motivato/motivano/potrebbero motivare
l’acquisto “, anche in questo caso ovviamente per ogni attributo di costo e di beneficio.

SUCCESSIVAMENTE
1) Il questionario verrà erogato ad un campione costituito da un numero “n” di consumatori e chiaramente
non ogni consumatore risponderà con la stessa “misura”, quindi per ogni attributo bisognerà calcolare la
media delle importanze attribuite. Per calcolare la media dobbiamo moltiplicare la misura dell’importanza
per la frequenza con cui quella misura è stata data, per poi dividere il risultato così ottenuto per il numero
dei consumatori che compongono il campione.
2) Ora dobbiamo misurare il VUP. Per misurare il VUP dobbiamo innanzitutto definire qual è il beneficio
d’uso percepito complessivo e il costo totale d’uso percepito sulla specifica banca.
Per misurare il BUP dobbiamo per ogni attributo calcolare la media per poi ponderare quella media con
l’importanza che i consumatori danno a quello specifico attributo.
Ponderando il valore ottenuto per l’importanza dedotta dal primo questionario (generico) il valore
ponderato di questo attributo è dato dal prodotto di questi due valori.
Lo stesso calcolo si farà con gli altri attributi di beneficio e di costo con l’attenzione però che per gli attributi
di costo la scala è rovesciata, nel senso che il valore 1 rappresenta la massima soddisfazione mentre il
valore 5 rappresenta la minima soddisfazione (o massima insoddisfazione). Ma ciò è rilevante solo ai fini di
concetto, ma dal punto di vista strettamente di calcolo l’iter resta invariato.
Sommando tutti i valori ponderati dei benefici otterrò il BUP.
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Chiacchio-Ambrosanio

Sommando tutti i valori ponderati dei costi otterrò i CTUP.


Per ottenere il VUP basterà rapportare questi due valori.
3) Ora dobbiamo calcolare il valore atteso percepito. Il procedimento è esattamente lo stesso ma,
ovviamente, si utilizzeranno i dati raccolti con riferimento alle attese dei clienti nei confronti della specifica
banca.
Sommando tutti i valori ponderati dei benefici otterrò il BAP.
Sommando tutti i valori ponderati dei costi otterrò i CTAP.
Per ottenere il VAP basterà rapportare questi due valori.
4) Il Customer Satisfaction Index è dato dal rapporto tra VUP e VAP.
E’ possibile dire che il cliente è soddisfatto in due modi:
- Se il rapporto è >= ad 1 allora il cliente sarà soddisfatto. In questo primo caso scatta un elemento
fondamentale per il vantaggio competitivo: la fedeltà del cliente ovvero customer Lifetime value si tratta di
clienti che acquisteranno con assiduità.
Se sarà < 1 si produrrà insoddisfazione.
- Se VUP – VAP >= 0

LE MAPPE DI PRIORITA’
Uno strumento che ci permette di monitorare la customer satisfaction è la mappa delle priorità.
E serve per capire quali sono i fattori che rendono il cliente soddisfatto e quali meno. Tale mappa si
scompone in matrici che fanno riferimento a diversi fattori.
E’ detta di ‘PRIORITA’’ in quanto dalla lettura delle diverse matrici si possono analizzare le aree di
intervento prioritario o di rischio futuro o viceversa di impegno eccessivo da parte dell’azienda.
- Inoltre può essere utilizzata anche come comparative analysis ad un’impresa concorrente per valutare gli
eventuali gap della soddisfazione verso il diretto concorrente. E’ possibile costruirla con riferimento
all’intero sistema di offerta o in riferimento ai singoli attributi.

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Chiacchio-Ambrosanio

Tale mappa delle priorità è una matrice costruita considerando


1) sull’asse delle ordinate = abbiamo l’importanza relativa degli attributi, ossia i “pesi” di quegli attributi,
che partecipano al processo di creazione di valore per i consumatori. Come “elemento separatore” tra gli
attributi più importanti e gli attributi meno importanti potremmo calcolare una media o, se la nostra scala
di riferimento è con numeri dispari (ad esempio da 1 a 5), considereremo la mediana.
2) Sull’asse delle ascisse = è rappresentato un indicatore di Customer Satisfaction (CSI) ,
distinguendolo in CSI- Benefit based e CSI-Cost Based a seconda se l’importanza relativa riguarda attributi di
beneficio o di costo.

In base alla variabile del CSI: ogni attributo sarà “quantificato” in base al rapporto tra il valore d’uso e
atteso e quindi potrà essere maggiore, uguale o minore di 1.
I benefici maggiori di 1 saranno posizionati sulla destra sulla colonna dei “soddisfatti”, quelli minori di 1
sulla sinistra ossia nella colonna dei “non soddisfatti.
Per i costi vale esattamente il ragionamento opposto, quelli minori di 1 nella colonna di sinistra ma che
questa volta corrisponderà alla colonna dei “soddisfatti” e quelli maggiori di 1 nella colonna di destra ma
che questa volta corrisponderà alla colonna dei “non soddisfatti”, chiaramente perché se il valore d’uso del
costo è maggiore del valore percepito significa che il consumatore ha ridotto il suo livello di customer
satisfaction.
In base alla variabile riguardo all’importanza relativa: per maggior precisione si può calcolare una media o,
se la nostra scala di riferimento è con numeri dispari considereremo la mediana dell’importanza delle
valutazioni dei clienti.
Dopo aver capito come si posizionano gli attributi all’interno della matrice, si può analizzare cosa indicano i
4 quadranti sia nel caso dei benefici che nel caso dei costi.

Riguardo la matrice dei BENEFICI:


1) Se noi ci troviamo degli attributi di beneficio che sono posizionati sul quadrante in alto a destra perché
sono attributi che il consumatore ritiene essere importanti e in cui l’azienda sta performando bene (in
quanto quei benefici attesi sono stati soddisfatti o più che soddisfatti) possiamo definire questo insieme di
attributi come l’area della gestione efficace delle del valore e quindi sono necessariamente attributi da
mantenere.
2) Sulla parte in alto a sinistra abbiamo una scarsa performance dell’azienda su degli attributi che sono
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Chiacchio-Ambrosanio

estremamente importanti per il consumatore, quindi quest’area viene definita come un’area fortemente
rischiosa su cui l’azienda deve lavorare per migliorarli.
3) In basso a sinistra l’azienda è scarsamente performante su un attributo scarsamente importante per i
clienti, quindi non è un elemento prioritario nonostante l’insoddisfazione (?). Sono attributi che o sono
diventati poco importanti o sono attributi di nuova introduzione e quindi il magari il consumatore non ha
ancora fatto esperienza o conosciuto il beneficio di questo attributo.
4) In basso a destra l’azienda sta performando “troppo” su un attributo poco importante per il
consumatore, quindi potrebbe esservi un impegno eccessivo e, di conseguenza, sono attributi da
alleggerire. Potrebbe essere valutato uno “spostamento” delle risorse sugli attributi da migliorare.

Matrice COSTI:
Lo stesso discorso può essere fatto per i costi prestando attenzione al “capovolgimento” dei quadranti.
1) In alto a sinistra ora è riportata l’area di gestione efficace delle leve del valore : ed è il caso in cui il
costo d’uso percepito è minore rispetto al costo atteso quindi c’è soddisfazione in relazione ad un attributo
molto importante per i clienti.
2) In alto a destra ora è riportata l’area di attenzione rischio: e si ha in corrispondenza di costi d’uso
percepiti maggiori rispetto a quelli attesi e di conseguenza l’impresa deve agire per ridurli, in
corrispondenza di un attributo molto importante per i clienti.
3) In basso a destra: l’azienda è scarsamente performante su un attributo scarsamente importante per i
clienti, quindi non è un elemento prioritario nonostante l’insoddisfazione
4) In basso a sinistra si avrà : l’area di impegno eccessivo: e in questo caso il costo d’uso percepito è
minore rispetto al costo atteso percepito in relazione però di attributi non considerati importanti dal
cliente, e anche in questo caso l’impresa sta utilizzando troppe risorse su quell’attributo che invece
conviene utilizzare nell’aria dei parametri attenzione rischio.

LA MAPPA COMPETITIVA
Come abbiamo detto la mappa della priorità può essere impiegata anche per la comparative analysis con
specifici concorrenti dello stesso business, in questo caso si parla più propriamente di mappa competitiva.
1) Sull’asse delle ascisse viene posizionato il valore complessivo del CSI dell’impresa presa ad analisi.
2) Sull’asse delle ordinate viene comparato il nostro CSI con quello del concorrente, infatti si parla di
Comparative Customer Satisfaction Index (CCSI) ottenuto rapportando il mio CSI con quello del mio
concorrente. (quindi il rapporto potrà essere maggiore, uguale o superiore a 1).
Per ogni quadrante è indicato il grado di rischio o criticità che l’azienda esaminata presenta rispetto ai
concorrenti. ( la si può costruire solo in riferimento all’intero sistema di offerta )

1) Ci si ritroverà nell’Area di sicurezza se l’impresa ad oggetto soddisfa il cliente e quindi il CSI è maggiore
di 1 ed ha un CCSI superiore all’1, ciò vuol dire che si è più bravi del concorrente in quanto non solo si

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Chiacchio-Ambrosanio

soddisfa il cliente ma lo si fa anche meglio di lui.


2) Ci si troverà nell’Area di rischio futuro: in cui l’impresa non soddisfa il cliente ma si è comunque più bravi
del concorrente a farlo , ovvero quando il CSI dell’impresa sarà minore di 1 ma comunque maggiore di
quello del concorrente essendo che il CCSI è maggiore di 1 (ad esempio: 0,90/0,80).
Trovarsi in quest’area indica che l’impresa deve stare attenta in quanto anche se è più brava dei
concorrenti ha un problema di soddisfazione del cliente.
3) Ci si trova nell’ Area di rischio immediato: quando l’impresa soddisfa il cliente , ma i concorrenti sono
più bravi di lei a farlo, è il caso in cui il CSI è maggiore di uno mentre il CCSI è minore di 1.
4) Ci si trova nell’Area di maggiore criticità: quando non solo non si riesce a soddisfare il proprio cliente ma
il concorrente lo soddisfa anche meglio. Ovvero sia il CSI che il CCSI sono minori di 1.
LA MAPPA DELLA SINTONIA
E’ possibile costruirla con riferimento all’intero sistema di offerta o in riferimento ai singoli attributi.
Essa ci permette di capire se c’è sintonia tra quello che pensa il cliente e quello che pensa il dipendente.
Si costruisce ponendo:
- sull’asse delle ascisse il CSI
- sull’asse delle ordinate l’INDICE DI AUTOPERCERCEZIONE DELLA SODDISFAZIONE DEI CLIENTI DA PARTE
DEI DIPENDENTI. Tale indice si ottiene sottoponendo i dipendenti a un questionario.
1. in alto a destra abbiamo il quadrante di Convergenza positiva. Esso indica che sia l’indicatore relativo
all’autopercezione del dipendente sia quello relativo al cliente (CSI), diano un risultato superiore all’unità e
ciò significa che sia il cliente che il dipendente pensano che quest’ultimo stia lavorando nella maniera giusta
2. In alto a sinistra abbiamo il quadrante di Presunzione. In questo caso il cliente ha giudicato l’impresa
insoddisfacente a differenza del dipendente che si ritiene performante
3. In basso a destra abbiamo il quadrante della Modestia. È il caso in cui il dipendente pensava di non
essere performante su un aspetto che invece il cliente apprezza e si definisce soddisfatto.
4. In basso a sinistra abbiamo il quadrante della Convergenza negativa. Esso indica che sia il cliente che il
dipendente concordano sul fatto che quest’ultimo è scarsamente performante.

IL GAP
Uno step fondamentale relativo all’analisi del valore è cercare di individuare da dove provengono i Gap del
valore, cioè da dove si genera disvalore per il consumatore. Partiamo dal presupposto che una cosa è il
valore “generato” dall’azienda e altra è il valore “percepito” dal mercato.
1) Gap di sintonia (GS): dovuto al fatto che il Valore desiderato dai clienti ed il Valore programmato dal
management non coincidono. Questo può essere causato ad esempio da un errore commesso nelle analisi
da parte del management, dal fatto che alcuni bisogni del mercato non sono facilmente individuabili.
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Chiacchio-Ambrosanio

2) Gap di allineamento e/o di coinvolgimento (GA/C): inteso come il differenziale che c’è tra il valore
pianificato dal management e il valore recepito dal personale, cioè quanto il personale ai vari livelli ha
effettivamente interiorizzato quel valore pianificato che deve essere consegnato al mercato.
Esempio: sui tempi di esecuzione del servizio per una banca.
3) Gap di Progettazione e/o realizzazione (GPro/R): Una volta che il personale ha recepito il valore
pianificato dal management quando si va a progettare questo valore e ad incapsularlo in un sistema di
offerta e/o quando vado a realizzare effettivamente il prodotto o a prestare il servizio (quindi progetto e/o
realizzo il valore offerto dall’impresa) potrebbero sorgere degli errori di, appunto, progettazione e/o
realizzazione.
4) Gap di percezione (GPer): Una volta realizzato il sistema di offerta può accadere che il valore percepito
dal cliente sia completamente diverso. Ciò può accadere per una comunicazione sbagliata che non fa capire
al consumatore quali sono gli attributi che deve valutare, la concorrenza opera marcando questo
disallineamento, passaparola negativo, passata esperienza negativa del consumatore su quel brand ecc
Infine possiamo quindi individuare -> il Gap di valore complessivo:
che misura il livello di soddisfazione o di insoddisfazione è funzione di tutti i gap visti in precedenza:
Gap di valore = GV = f (GS + GA/C + GPro/R + GPer).
Una volta che numericamente questi aspetti li possiamo misurare è possibile individuare dove intervenire
per migliorare il Gap di valore e mantenere, sviluppare il livello di valore consegnato al cliente.

SEGMENTAZIONE DEL BUSINESS


La segmentazione del business è possibile realizzarla su vari livelli.
È possibile segmentare i business, La modalità con cui le aziende definiscono le proprie SBU costituisce una
modalità di segmentazione del business. È possibile macro-segmentare un mercato attraverso il modello di
Abell che rappresenta lo strumento per definire il business in cui opera un’impresa.

MODELLO DI ABELL (modello di macro-segmentazione)


Il modello di Abell, conosciuto anche come matrice tridimensionale di Abell, è uno strumento molto utile
per individuare l’area strategica di affari (ASA) ottimale per lo sviluppo del business di un’impresa. Lo
schema proposto nel modello di Abell aiuta l’impresa, in particolare, a posizionare il business all’interno di
un mercato in relazione a tre variabili: i clienti, i loro bisogni e le tecnologie di produzione disponibili. Nel
modello di Abell i criteri tradizionali di segmentazione, basati sul rapporto diretto fra prodotto e mercato,
lasciano il posto a una valutazione competitiva più ampia, che comprende anche il “come” vengono
soddisfatti i bisogni. Per questi motivi, si introduce il concetto di area strategica di affari (ASA):
Rappresentata su un sistema di assi cartesiani a tre dimensioni, l’area strategica di affari costituisce il
segmento del mercato nel quale l’impresa decide di operare. Ad essa si collegano le scelte aziendali
riguardanti l’approccio agli specifici bisogni dei clienti e a come tali bisogni saranno soddisfatti.

Ne consegue che l’azienda può operare in differenti ASA, ciascuna delle quali: è caratterizzata da una
- struttura economica e un obiettivo reddituale distinti;
- è influenzata da variabili esogene proprie (pensiamo all’evoluzione delle tecnologie);
- è scorporabile dalle altre attività aziendali.

Le tre dimensioni del modello di Abell:


1) clienti: Sono il target da servire, al quale l’azienda si rivolge proponendo il suo prodotto o servizio.
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Chiacchio-Ambrosanio

L’individuazione può avvenire usando parametri demografici, socio-economici, comportamentali o


geografici. La capacità di spesa, in particolare, può incidere in relazione alla necessità di accedere a
tecnologie costose per soddisfare lo specifico bisogno, o funzione d’uso. La domanda corrispondente è il
CHI.
2) La funzione d’uso
Sono gli specifici bisogni dei clienti che l’impresa intende soddisfare. E’ bene ricordare, infatti, che un
medesimo prodotto può assolvere funzioni d’uso differenti. Chi acquista un orologio da polso lo fa per uso
personale, oppure per regalarlo, o ancora perché è un collezionista. A seconda della motivazione, i criteri di
scelta cambieranno, pur se parliamo del medesimo prodotto. La domanda corrispondente è il COSA.
3) Le tecnologie
Sono il modus operandi, cioè le scelte tecniche attraverso cui l’azienda decide di soddisfare i bisogni. Con
riferimento all’esempio dell’orologio, l’azienda può decidere di realizzare orologi da polso a lancette,
digitali o moderni, come gli smartwatch, così da incontrare meglio i criteri di scelta dei clienti. Tutto ciò
impatterà sui costi di produzione, sui prezzi di vendita e sulle modalità di presentazione. La domanda
corrispondente è il COME.

- Costruzione del modello di Abell


Prima di tutto è utile ricordare che l’azienda usa la matrice di Abell nella fase di analisi e individuazione del
miglior modello di business. Scelti i criteri di classificazione e la segmentazione di clienti, funzioni d’uso e
tecnologie, si passa al loro posizionano all’interno della matrice. Fatto ciò, l’azienda delimita la sua area
strategica di affari più profittevole, combinando tra loro le diverse dimensioni. I punti che congiungono
l’intersezione formano un parallelepipedo, la cui grandezza e forma sono legate alla dimensione e
specificità del business. La forma, in particolare, permette di farsi un’idea immediata verso quale delle tre
dimensioni protende il maggior sviluppo

Tra le indagini dell’analisi della situazione vi è quella dei “bisogni dei consumatori”, che si articola in due
aspetti: l’analisi del comportamento di acquisto dei consumatori e la segmentazione dei clienti.

LA MICROSEGMENTAZIONE
SEGMENTAZIONE DEI CLIENTI
Per segmentazione si intende:
1) riconoscere una sufficiente eterogeneità di preferenze/esigenze/bisogni/comportamenti di
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Chiacchio-Ambrosanio

consumo/scelte nell’insieme dei clienti di riferimento.


2) E individuare dei sottogruppi , ovvero segmenti, caratterizzati da specifiche similarità all’interno del
sottogruppo che rappresentano elementi di differenziazione all’esterno tra i diversi gruppi. (in termini di
bisogni/esigenze/preferenze/comportamenti di acquisto/scelte come età, benefit perseguito, fasce di
prezzo, variabili psicografiche)
I segmenti individuati devono essere:
1) Misurabili, in quanto se non lo sono non hanno valore, quindi deve essere possibile ad esempio
individuare quanti clienti ci sono, qual è il valore medio degli acquisiti che si fanno e quindi da ciò
individuare il valore complessivo del segmento e così via;
2) Accessibili, cioè un segmento di mercato deve essere raggiungibile altrimenti non ha valore, nel senso
che devono essere individuabili i soggetti appartenenti al segmento e tali soggetti devono essere
raggiungibili con specifici mezzi di distribuzione, comunicazione ecc.,
3)Importanti/rilevanti, i vari segmenti individuati devono avere un’ampiezza e un livello di assorbimento di
volumi sufficiente, un prezzo minimamente remunerativo e un ciclo di vita del segmento minimamente
lungo;
4) Praticabili, questa variabile è strettamente collegata alla specifica impresa e quindi alle specifiche risorse
di cui l’impresa dispone e consiste appunto nella coerenza di quel segmento con queste risorse e con le
caratteristiche dell’impresa o del brand che il mercato riconosce;
5) Differenziati dal punto di vista della risposta alle azioni del marketing mix, quindi ben delineati rispetto
agli altri segmenti.
È possibile individuare diverse variabili in funzione del quale può essere implementato il processo di
micro-segmentazione. Ed è possibile distinguerle in due principali gruppi:
1) Quelle che afferiscono alle caratteristiche strutturali del consumatore
2) e Quelle che afferiscono al comportamento di acquisto e di consumo del consumatore
Le prime si classificano in variabili geografiche, demografiche e psicografiche.
- Le variabili geografiche prendono in considerazione principalmente il luogo di residenza del consumatore:
area (centro, sud, nord ecc.), dimensione del centro (quanti abitanti), tipologia del centro (centro rurale,
metropolitano, cittadino ecc.) e regione (Campania, Lazio, Lombardia ecc.).
- Le variabili demografiche sono le più utilizzate (le tradizionali): età, sesso, dimensione nucleo familiare
(da ciò ad esempio emergono i diversi formati di pacchi di merendine, dolci, acqua ecc.), ciclo di vita
famiglia (tipica classificazione fatta nei villaggi vacanze esempio: coppie, giovani, famiglie con figli ecc),
reddito, occupazione, istruzione, religione, razza, nazionalità.
Riguardo queste ultime due:
-vantaggio è che è un tipo di segmentazione semplice da operare e poco costosa siccome molto spesso i
dati vengono presi dall’INSTAT
-svantaggio non permette di capire il comportamento del consumatore
- Le variabili psicografiche e riguardano: la classe sociale di appartenenza, lo stile di vita (orientamento con
il mondo che ci circonda) e la personalità. Oggi queste variabili assumono molta più importanza, infatti
nelle economie moderne molto spesso le persone non ricercano più che semplicemente un prodotto sia
funzionante, ma che il prodotto-marca possa essere assimilata ad “una persona”, persona che ha uno stile
di vita, una personalità e appartiene ad una classe sociale, cosicché chi acquista possa immedesimarsi nei
valori che quel prodotto rappresenta. (Ad esempio L’Orèal ha come motto “perché tu vali”, con ciò vuole
comunicare che i propri prodotti immedesimano una donna ambiziosa (personalità).
Esse afferiscono ad un tipo di segmentazione che viene svolta da imprese che raccolgono dati dagli istituti
di ricerca (in termini di stile di vita: liberale, radicale, conservatore; o di personalità e di classe sociale).
Questo tipo di segmentazione è importante perché consente all’impresa di capire come pubblicizzare il
71
Chiacchio-Ambrosanio

proprio prodotto. (se l’impresa realizza prodotti per bambini andrà a pubblicizzare il prodotto su un canale
non guardato prevalentemente dagli adulti)
Quest’ultime costituiscono le variabili a priori;
Le variabili a posteriori invece che sono quelle in cui prima si scopre la lettura comportamentale e lo stile di
vita del consumatore per poi capire effettivamente quale potrebbe essere il comportamento di acquisto e
di consumo. Esse sono appunto:
- Le variabili di comportamento: segmentano il mercato sulla base del comportamento di acquisto e di
consumo del consumatore: occasioni d’uso; vantaggi ricercati (c.d. benefit segmentation, qualità, prezzo,
servizio ecc.); intensità d’uso, fedeltà di marca; atteggiamento verso il prodotto (entusiastico, positivo,
indifferente, negativo, ostile).ecc
-vantaggio: la possibile sicurezza che il sistema di offerta che predispone sulla base di quel comportamento
poi sarà soddisfacente

-svantaggio: costoso perché richiede la raccolta di dati relativi al comportamento dei consumatori
SEGMENTAZIONE IN BASE AI BISOGNI PERCEPITI
Vi sono mercati però per cui non avrebbe senso prendere come variabile di segmentazione l’età o il sesso
come per il mercato dei computer, per questi ad altri mercati la segmentazione potrebbe essere fatta in
base ai bisogni espressi dei consumatori e per definirli e necessario fare un’indagine di mercato. L’elemento
negativo è sicuramente dato dai costi elevati di quest’indagine e che questo tipo di segmentazione è
limitata all’innovazione difatti il consumatore non può ben sapere i benefici derivanti da un prodotto
innovativo perché il prodotto ancora non esiste.

TARGETING
Una volta individuati gli n segmenti bisognerà compiere una scelta: qual è o quali sono i segmenti di
mercato su cui operare. (Con che tipo di sistema di offerta) : il c.d. targeting.
Esistono diverse tipologie come:
-MARKETING INDIFFERENZIATO: È il caso in cui l’impresa anche se si sono manifestati diversi segmenti di
mercato che corrispondono a diversi comportamenti, decide di realizzare un unico sistema di offerta
perché magari ritiene che la differenza tra i comportamenti non giustifica la predisposizione di diversi
sistemi di offerta. (Harley Davidson, che è un brand che non si rivolge ad un segmento specifico; o Coca-
Cola prima che introducesse Light; Zero ecc)
-MARKETING DIFFERENZIATO: È il caso in cui l’impresa dopo aver segmentato il mercato decide di
realizzare un sistema di offerta per ogni segmento individuato. Un classico esempio è quello degli Shampoo
Pantene. Il vantaggio di questo tipo di marketing è che tende ad aumentare la probabilità di acquisto del
prodotto, come svantaggio è che presenta degli aggravi in termini di costo.
-MARKETING CONCENTRATO: È il caso in cui l’impresa dopo aver segmentato il mercato decide di
realizzare un sistema di offerta per uno specifico segmento. Un esempio di marketing concentrato è quello
degli Shampoo di Clear (tipo shampoo antiforfora). Il vantaggio è che molte volte c’è un ritorno positivo in
termini di immagine: cioè il cliente avendo avanti un prodotto specializzato percepisce che l’impresa risulta
essere all’avanguardia e quindi vi sarà per essa un ritorno di immagine; lo svantaggio è che è un tipo di
marketing molto rischioso in quanto l’impresa si fonda su un unico sistema di offerta.
-MARKETING One-to-One : l’azienda dialoga con il singolo cliente. (maglia di lusso personalizzata)

FASI DEL TARGETING


Per scegliere un segmento di mercato (targeting) una prima variabile da considerare è:
1) Il grado di attrattività di quel segmento. Un segmento è attrattivo quando è in grado di generare una
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Chiacchio-Ambrosanio

performance economico-finanziaria interessante, ed è determinato da diversi elementi:


- Intensità della concorrenza;
- Redditività, cioè la marginalità che presenta;
- Tasso di crescita, ovviamente se il segmento è in fase di maturità sarà poco attrattivo;
- Accessibilità, cioè raggiungibilità con specifici mezzi;
- Potenzialità ad ampio spettro, cioè possibilità di avere più funzioni d’uso alternative con lo stesso
prodotto, ad esempio quando la Meliconi ha introdotto il proteggi telecomando con quella tecnologia (una
particolare gomma) ha ampliato con la medesima tecnologia le funzioni d’uso utilizzandola per altri
prodotti (proteggi fili, guanti da sicurezza ecc.).
Una volta definita l’attrattività del segmento per poterlo scegliere bisogna considerare i fattori d’impresa,
in particolare:
2) Coerenza con le competenze;
3) Coerenza con l’immagine e il brand equity;
4) Coerenza con le scelte strategiche a livello di SBU.

POSIZIONAMENTO COMPETITIVO DELLA MARCA/SISTEMA DI OFFERTA


L’impresa una volta che ha scelto quali sono le caratteristiche che il prodotto deve avere per soddisfare un
certo tipo di target, essa deve cercare di posizionare la marca/il suo sistema di offerta nella mente del
consumatore.
Con il posizionamento competitivo della marca, si colloca quindi la marca nel sistema percettivo e
valutativo del cliente (sistema di scelte e di preferenze, aspirazioni, valori nascosti) permettendo così di
differenziarla in base ai fattori più significativi per il cliente e che meglio rappresentano questo suo sistema
di valori e percezioni. Se ad esempio per il consumatore i fattori principali su cui valuta il caffè sono l’aroma
e l’origine del caffè, l’azienda dovrà cercare di posizionare il suo prodotto rispetto a quei due fattori.
Il posizionamento aiuta la marca ad occupare nel tempo un posto distintivo sul mercato e nella mente del
consumatore. Ciò a sua volta aiuta a mettere in atto delle operazioni di brand extension del brand, cioè
lavorare con lo stesso marchio su altri prodotti conferendo nella mente del consumatore gli stessi attributi
sul nuovo prodotto grazie al posizionamento della marca nella mente dello stesso consumatore.
Ad esempio: Geox che è passato dalle Scarpe all’abbigliamento associando lo stesso attributo “prodotto
che respira”
Questo è il motivo per cui quando si pensa ad un marchio lo si associa ad un attributo specifico, esempio
Volvo-Sicurezza, in quanto l’azienda ha lavorato proprio su quel fattore.
Il posizionamento richiede decisioni in quattro aree chiave:
- Mercato di riferimento, cioè qual è il settore merceologico e il consumatore target; (Esempio Dash:
Detersivi per bucato in lavatrici)
- Ambiente competitivo, cioè chi sono i concorrenti diretti e indiretti; (Marche premium come Dixan, Bio
Presto)
- Punto di differenza, cioè in cosa si differenzia dai concorrenti; (Lava più bianco)
- Punto di parità, cioè in cosa è pari con i concorrenti. (Rispetto colori, Profumo, Prezzo)

BRAND POSITIONING STATEMENT


Il brand positioning statement si può definire:
1) o posizionando il proprio marchio su una componente valoriale come un insight:
Di fatti, il posizionamento di successo di un brand e una campagna pubblicitaria di successo sono spesso
costruiti su un insight, ciò il fattore più profondo che spinge il consumatore all’acquisto e che deriva dalla

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Chiacchio-Ambrosanio

vita effettiva dei consumatori; significa cogliere un comportamento e un bisogno nella vita di un
determinato gruppo di clienti. Se il brand riesce ad interpretare quei comportamenti e soddisfare quei
bisogni riuscirà a trovare spazio nella mente dei consumatori e nelle loro preferenze di acquisto.
Esempio: Magnum con la frase “l’indulgente che è in ognuno di noi”, fa riferimento al fatto che noi siamo
indulgenti con noi stessi quando trasgrediamo. Tuttavia affinché questa indulgenza si giustifichi è
necessario che la trasgressione sia soddisfacente.
2) Oppure sottolineando i benefit del brand, cioè la ragione per cui il cliente dovrebbe credere al brand e i
valori e la personalità che quel brand va ad incarnare e rappresentare.
Esempio: Dove: in cui il Benefit: “è che non secca la mia pelle come i normali saponi; la rende soffice e
morbida, aiutandomi a sentirmi più femminile” ; Reason to believe: “Contiene 1/4 di crema idratante”;
Valori e Personalità: “Femminilità, autorealizzazione”.

PROCESSO DI POSIZIONAMENTO DELLA MARCA


MAPPE DI POSIZIONAMENTO : MAPPA DI PREFERENZA E MAPPA DI PERCEZIONE
1) si parte dall’individuazione degli attributi che sono rilevanti per l’acquisto ( quest’ultimi possono essere
quelli utilizzate per la segmentazione sulla base dei benefici attesi, quindi raccolti da ricerche e indagini).
2) La seconda fase riguarda il considerare una elaborazione statistica che, mediante un’analisi fattoriale,
consente di individuare quali sono le variabili o le meta variabili (ovvero variabili che sintetizzano altre
variabili) che meglio riescono a spiegare i differenti comportamenti di acquisto dei consumatori in base alla
loro differente percezione dei prodotti in funzioni di esse. Quest’ultime non devono essere positivamente
correlate;
Ad esempio in relazione ai farmaci, due variabili possono essere l’effetto intenso o blando che provocano o
i pochi o molti effetti collaterali che possono provocare. Per quanto riguarda gli yogurt due variabili
possono essere il grado di dolcezza e l’aspetto salutistico. (altre variabili: in base al segmento target:
maschi-femmine; In base al prezzo: alto/basso)
3) Ipotizzando che quest’analisi fattoriale ha dato luogo a due/tre variabili o meta-variabili : l’ultima fase
riguarda l’elaborazione della MAPPA DI PERCEZIONE : una mappa percettiva è un mappa che
permette di stabilire “come il consumatore percepisce il posizionamento delle marche rispetto a quei
fattori/attributi chiave”. La visione della mappa permette di analizzare le distanze tra i vari prodotti ed
elaborare un'adeguata strategia marketing, analizzando le debolezze di un prodotto già presente sul
mercato e le eventuali opportunità di riposizionamento.
4) Attraverso la cluster analysis (che è un’altra procedura statistica) è possibile poi costruire all’interno delle
mappe di percezione le c.d. MAPPE DI PREFERENZA, cioè le mappe che permettono di rappresentare
degli aggregati di consumatori che manifestano preferenze per determinati attributi.
Ed in base ai segmenti di mercato che si vengono a creare, è possibile individuare e posizionare quali
sono le marche ideali per quei consumatori.
(Permette ad un’impresa di capire quali sono i segmenti più vicini al proprio sistema di offerta)
Rischio del riposizionamento: un riposizionamento ha successo quanto più è vicino alle proprie risorse e
competenze. Con riposizionamenti troppo netti il cliente può avvertire incoerenza verso l’impresa e
diffidare.
Se ci si bassasse solo sulle preferenze dei consumatori quale sarebbe il rischio? Che non si tenga conto della
concorrenza.

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Chiacchio-Ambrosanio

COMPORTAMENTO IN FASE DI ACQUISTO


Vi sono 3 teorie che cercano di spiegare il comportamento di acquisto dei consumatori definendo il
“perché” gli stessi acquistano.
1. TEORIA DEI BISOGNI
Il cliente quando decide di acquistare un determinato prodotto/servizio parte da un bisogno e a questo.
Tanti autori hanno dato interpretazioni su quali sono i bisogni che il cliente esprime , tra i contributi più
importanti, riscontriamo sicuramente quello fornito da Maslow con la "piramide di Maslow":
L’autore definisce il bisogno come la manifestazione di motivazioni fisiologiche, personali o sociali che
nascono da una discrepanza tra situazione desiderata e situazione effettiva.

Tra i bisogni considerati da Maslow, i bisogni fisiologici e bisogni di sicurezza sono soddisfatti in quasi tutte
le comunità organizzate mentre i bisogni di stima e di autorealizzazione dipendono da un certo tipo di
percorso personale posto in essere dal soggetto.
Kotler identifica il bisogno come una categoria generica abbastanza stabile nel tempo di ciò che si vuole
soddisfare. Kotler inoltre accanto al concetto di bisogno, associa quello di desiderio , che è lo stimolo con
cui l'individuo cerca di risolvere il bisogno; se tale desiderio si esprime nell'acquisto o anche in un acquisto
potenziale, il desiderio stesso si trasforma in domanda di mercato ➔ di conseguenza "la domanda non è
altro che /'espressione con la quale si manifesta nei desideri mentre il desiderio rappresenta fa modalità
con cui l'individuo vuole risolvere il problema relativo al bisogno non soddisfatto". Chiaramente affinché il
desiderio si trasformi in domanda sono necessarie tutta una serie di situazioni relative alla persona del
cliente (se io ho il bisogno di spostarmi e voglio comprare una Ferrari, tale desiderio non si trasformerà mai
in domanda di mercato se non ho le possibilità economiche).

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Chiacchio-Ambrosanio

2. TEORIA DELLE MOTIVAZIONI


La teoria delle motivazioni prende come riferimento appunto le motivazioni che sono alla base del
comportamento di acquisto dei consumatori, associando al concetto di bisogno quello di valore.

CATENA MEZZI-FINI
Il metodo dell’analisi della catena- mezzi fini è un modello concettuale volto ad interpretare il processo
decisionale dei consumatori mettendo in relazione la conoscenza del prodotto con la conoscenza di sé.
La "catena mezzi-fini" permette all’impresa di dedurre una serie di informazioni da utilizzare nel momento
in cui crea il suo prodotto, attraverso l’analisi del comportamento del cliente.
Essa collega le caratteristiche del prodotto (i mezzi, cioè gli attributi) agli obiettivi di ordine generale (i fini,
cioè i valori terminali).

Il principale motivo per cui i consumatori acquistano una marca piuttosto che l’altra è relativa al
soddisfacimento di una componente valoriale. Il consumatore va alla ricerca di una serie di caratteristiche
che il prodotto marca deve possedere e soddisfare, caratteristiche che hanno un livello crescente di
astrazione. Queste caratteristiche che guidano il consumatore verso la scelta possono essere distinte in 3
gruppi: attributi, benefici (consequences) e i valori (values). Questi 3 gruppi come si vede sono composti da
diversi elementi che a loro volta sono distinguibili in due aree principali: l’area che afferisce alla conoscenza
del prodotto e l’altra che afferisce alla rappresentazione che il consumatore vuole di sé stesso.
Alla conoscenza del prodotto afferiscono:
1) Gli attributi tangibili del prodotto di un prodotto (come peso e dimensione)
2) Intangibili (come sapore ed estetica), ciò ovviamente dipenderà dal tipo di prodotto che si sta
considerando. Gli attributi tangibili sono oggettivi, cioè la percezione e la soggettività del consumatore
ancora non intervengono. Tale percezione e soggettività iniziano a manifestarsi con gli attributi intangibili.
3)Gli attributi sia tangibili che intangibili generano delle conseguenze , esse possono essere funzionali
(d’uso) che afferiscono ancora al prodotto in sé. ( ad esempio più la racchetta e leggera ed è di maggiore
qualità, allora il tennista potrà giocare fornendo elevate prestazioni )

Alla rappresentazione che il consumatore vuole di sé stesso afferiscono:


1) le conseguenze psicosociali che già riguardano il consumatore quale singolo soggetto. Con le
conseguenze psicosociali in particolare si entra nell’area di pura percezione del consumatore. Quindi
l’azienda deve cercare di capire come il consumatore percepisce o interpreta quegli attributi e adeguare gli
attributi del prodotto in base a queste interpretazioni;
I benefici che a loro volta rappresentano i valori strumentali e questi a loro volta determinano i valori
terminali.
2) Il valore terminale rappresenta gli obiettivi centrali di vita e/o o lo stato psicologico che il consumatore
mira a raggiungere.
• Esempio: nel caso della pubblicità della coca-cola (quella dove si esclama "stappa la felicità"), il valore
terminale che si vuole comunicare al cliente come valore soddisfatto con tale prodotto è sicuramente
quello relativo alla gioia/piacere/stimoli.
• Esempio: qualche anno fa la stessa coca-cola trasmetteva una pubblicità con tante persone abbracciate; è
chiaro che in questo caso il valore terminale che si vuole comunicare al cliente come valore soddisfatto con
tale prodotto è quello relativo ai "rapporti umani".
• Esempio: lo slogan della Barilla "dove c'è Barilla, c'è casa" ha lo scopo di comunicare, come valore

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Chiacchio-Ambrosanio

terminale soddisfatto, al cliente quello relativo ai "rapporti umani".

3) I valori strumentali rappresentano invece le modalità di condotta preferite dal consumatore per
raggiungere i valori terminali.
3. TEORIA DEL COMPORTAMENTO DI RISPOSTA
Per effettuare l’analisi su come il consumatore acquista, distinguiamo le risposte del consumatore dal
processo di acquisto.
Le risposte del consumatore rispetto a delle azioni dell’azienda in termini di scelte di marketing o anche da
stimoli che provengono dal contesto che vive sono di 3 tipi: cognitiva, affettiva e comportamentale.
1) La risposta cognitiva afferisce allo stato della conoscenza che il consumatore ha di una marca.
2)La risposta affettiva (o attitude) è l’atteggiamento che un consumatore ha verso una determinata marca.
3) La risposta comportamentale riguarda l’azione concreta del consumatore, cioè ciò che fa nei confronti di
quella marca (se acquista, quanto acquista, se ripete l’acquisto ecc.).
Queste tre risposte sono idealmente in una sequenza: si presume che innanzitutto si conosca il prodotto,
sulla base di questa conoscenza si genera una certa affettività/atteggiamento/sentimento, e infine sulla
base di questo atteggiamento può maturare la scelta o la non scelta del prodotto-marca.
Da ciò emerge che molto spesso le azioni di marketing delle aziende non sono direttamente finalizzate a far
acquistare il prodotto (una promozione del 20% su un acquisto è un’azione diretta di questo tipo) ma sono
mirate a far conoscere il marchio (risposta cognitiva) e a far maturare un atteggiamento positivo verso il
marchio (risposta affettiva).
LA RISPOSTA COGNITIVA
Come si è detto in precedenza la risposta cognitiva misura lo stato di consapevolezza/conoscenza
(awereness). Per un’azienda infatti è importante conoscere l’intensità e la qualità della conoscenza del
proprio marchio, infatti come ovvio che sia se il consumatore non conosce il marchio è molto difficile che
acquisterà un prodotto afferente a quel marchio.
La notorietà del marchio misura appunto lo stato della conoscenza, e quindi la riposta cognitiva, cioè
“quanto il brand è presente nella mente del consumatore”.
Esistono 2 livelli di notorietà:
1) il primo livello c.d. notorietà – riconoscimento (recognition), che è la notorietà “stimolata”, cioè quella
notorietà che ha luogo quando il consumatore vede il marchio o il simbolo del marchio e lo riconosce;
2)- il secondo livello c.d. notorietà – ricordo spontaneo (recall). In quest’ambito è possibile distinguere:
- la TBM (top brand of the mind) cioè la prima marca che viene in mente al consumatore in una certa
categoria di prodotto e
- la share of the mind cioè quanto quel marchio complessivamente occupa nella mente dei consumatori.
A differenza del caso precedente qui la notorietà non è stimolata ma spontanea, cioè quella o quelle
marche (in ordine di ricordo) che al consumatore vengono in mente spontaneamente quando viene citata
una certa categoria di prodotti (ad esempio auto sportive=Ferrari, crema di cioccolato spalmabile=nutella,
smartphone=Apple, Samsung, Huawei ecc.).
Per calcolare gli indici di notorietà bisogna compiere un’intervista in cui ad ogni intervistato si chiede di
mettere in ordine di notorietà diversi marchi. Quindi possiamo distinguere 4 livelli di notorietà della marca:
la prima marca ricordata spontaneamente (TBM); marca ricordata spontaneamente (in una certa % di
consumatori, quindi Share of the mind); marca riconosciuta sotto stimolo (recognition) e infine marca
sconosciuta. (rappresentati su piramide dalla sconosciuta alla più conosciuta)
I 3 indici che vengono calcolati sono:
- il NOT_LPR (notorietà livello di primo ricordo TBM) che è calcolata individuando quanti degli intervistati

77
Chiacchio-Ambrosanio

hanno citato il marchio come primo, il marchio che ottiene il punteggio maggiore sarà il TBM.

- il NOT_LSR (notorietà livelli successivi di ricordo SOTM) che è calcolato individuando quanti consumatori
hanno citato il marchio al 2°, 3° e 4° posto.

- il NOT_BRT (notorietà brand recall totale) che è calcolato individuando quanti consumatori hanno
semplicemente ricordato quel marchio (indipendentemente dalla posizione). Ed è dato dalla somma dei
primi due.

PER MIGLIORARE IL LIVELLO DI NOTORIETA’


Per migliorare il livello di notorietà la leva del marketing principale è quella della comunicazione, non
necessariamente la classica pubblicità ma anche con comunicazioni in-store (cioè all’interno del punto
vendita, a ridosso del punto vendita ecc.).
LA RISPOSTA AFFETTIVA
La risposta affettiva abbiamo visto che misura l’atteggiamento del consumatore verso la marca. In sostanza
tale risposta affettiva misura quanto il consumatore ritenga che quel prodotto-marca presenti gli attributi
che egli stesso considera rilevanti per acquistarlo.
MODELLO COMPENSATIVO A’ LA FISHBAIN
Il modello che viene utilizzato per compiere tale misura è il modello compensativo di Fishbain , cioè il
metodo di calcolo del prezzo basato sul valore percepito. In particolare, che dice che per misurare
l’atteggiamento del cliente, bisognerà verificare, rispetto ad una serie di attributi che caratterizzano il
sistema di offerta, quale atteggiamento i clienti hanno verso questi singoli attributi. E’ detto compensativo
perché: compensa le percezioni poco positive di alcuni attributi con delle percezioni molto positive di altri).
Alla base del modello bisogna precisa che si guarda al sistema di offerta come ad una sorta di “paniere di
attributi”.
E questo l’atteggiamento verso la marca j del consumatore k-esimo è dato da

dalla sommatoria dei prodotti tra l’importanza (Weight) che il consumatore k dà all’attributo i-esimo (con i
da 1 a n) relativa alla categoria di prodotto a cui la marca j appartiene (ovviamente ogni categoria di
prodotto avrà degli attributi più o meno importanti), per la valutazione (Score) che il consumatore k dà di
quell’attributo i sulla marca j. Normalmente le scale di valutazione sono 1-5 o 1-7.
Bisogna precisare che l’individuazione degli attributi rilevanti con il relativo peso avviene mediante una
ricerca su pochi consumatori high spending, mentre poi lo score viene individuato su un maggior numero di
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Chiacchio-Ambrosanio

consumatori.
DETERMINAZIONE PREZZO MARCHIO X (esempio preso dal Francesco Battaglia)
Per definire il prezzo di un marchio X bisogna effettuare un’analisi sui concorrenti e conoscere il prezzo
della marca di un competitor di riferimento e il valore percepito da parte dei suoi consumatori. (per marca
di riferimento si intende presumibilmente quella più vicina al marchio X in termini di valore percepito o
anche la marca leader del settore). Conoscendo ciò basterà effettuare una proporzione Pa: Pb= Va:Vb,
quindi rapportare il valore della marca X sul valore della marca di riferimento e moltiplicare il tutto per il
prezzo della marca di riferimento. [(4,55/4,15)𝑥2,55= 2,80)]. Il prezzo ottenuto è detto prezzo di
indifferenza, ovvero il prezzo massimo che la marca X dovrebbe porre, o anche il prezzo massimo che il
consumatore è disposto a pagare quel marchio. Se il prezzo effettivamente applicato sarà più alto, si rischia
di perdere nel medio termine quote di mercato perché il rapporto valore percepito-prezzo sarà sfavorevole,
ma se sarà più basso il rapporto è favorevole per il consumatore e si potrà porre in essere una strategia di
penetrazione (il range sarà tra 2,55 e 2,80 considerando il valore percepito), altrimenti l’alternativa è di
tramutare in profitto tutto il differenziale di valore che si riesce ad ottenere praticando esattamente il
prezzo di indifferenza.
CALCOLO DIFFERENZIAZIONE
Se l'obiettivo per l'impresa è capire su quali parametri agire per differenziarsi dai concorrenti, l'impresa
dovrà chiedersi in quale attributo si riscontra la maggiore differenza tra clienti, per far ciò ci si avvale del
calcolo della differenziazione: La differenziazione quindi è misurata come la deviazione standard della
distribuzione del punteggio per ogni caratteristica; l'indicatore che normalmente viene utilizzato per
misurare la differenziazione è la varianza e ci permette di misurare qual è l’attributo dove si riscontrano
maggiori differenze di percezione.
Vi un ulteriore parametro la determinanza che è un parametro di sintesi in quanto mischia il valore
dell'importanza con

quello della differenziazione; essa si ottiene moltiplicando il valore del'importanza con il valore della
differenziazione. Essa ci da la possibilità di capire non solo quali sono i parametri più importanti ma anche
quali sono i parametri che, essendo importante, presentano maggiore differenziazione. Essa fa quindi
riferimento alle qualità più importanti sulle quali è possibile differenziare le marche valutate. (E’ possibile
calcolare la determinanza ponderata andando a percentualizzare il valore della determinanza)
METODI NON COMPENSATIVI
Accanto a questo metodo compensativo, esistono altri metodi definiti metodi non compensativi;
normalmente questi mezzi non compensativi sono utilizzati insieme al metodo compensativo in maniera
però complementare visto che molto spesso il metodo non compensativo serve per arrivare a quelli
compensativi
1) Modello disgiuntivo: il consumatore decide di considerare solamente le marche migliori rispetto ad una
o più singole caratteristiche non tenendo conto delle performance delle altre caratteristiche. Il
consumatore sceglie quel prodotto-marca che supera inerente a quegli attributi più importanti, il valore
minimo ritenuto accettabile (in genere questo valore è la media dei punteggi dati a quegli attributi).
2) Modello congiuntivo: il consumatore stabilisce un minimo accettabile per ciascun attributo e verranno
considerato solo le marche in cui tutti gli attributi raggiungono almeno quel livello.
3) Modello lessicografico: l'individuo opera in maniera sequenziale cioè ordina le caratteristiche del
prodotto partendo dalla più importante, va a comparare quella più importante e sceglie la marca che
presenta il valore più alto e a parità scenderà sul secondo attributo più importante.
Quali sono le strategie per cambiare l'atteggiamento dei clienti?
1) Una prima cosa che si potrebbe fare è modificare il prodotto (ad esempio per quanto riguarda la qualità
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Chiacchio-Ambrosanio

realizzo il prodotto in pelle e non più in plastica;


2) Si potrebbe attirare l'attenzione su attributi non considerati incidendo cioè sulla percezione (ad esempio
pubblicizzare meglio il prodotto mettendo in risalto lo stile che magari non viene considerato dalla
clientela);
3) Si potrebbe ancora modificare l'importanza relativa gli attributi (ad esempio potrebbe fare una pubblicità
mettendo in risalto che la prima cosa da guardare quando si compra la borsa è l'ampiezza della gamma)
4) Si potrebbe ancora modificare le opinioni nei confronti sia dello marco sia dei concorrenti (in relazione
alla modifica dell'opinione nei confronti dei concorrenti si potrebbero effettuare delle pubblicità
comparative fornendo una serie di dati che mettono in risalto che il prodotto mio migliore rispetto al
prodotto di miei concorrenti).

LA RISPOSTA COMPORTAMENTALE
La risposta comportamentale riguarda la condotta effettiva del consumatore nei confronti della marca. È
l’ultima fase che consente di vedere il consumatore cosa fa nella fase di acquisto. Sulla base del
comportamento (supponiamo negativo) poi con la risposta cognitiva e/o con quella affettiva possiamo
risalire all’origine del perché di quel comportamento, e quindi individuare le leve su cui agire per
modificarlo. Ma lo stesso discorso vale anche quando il comportamento è positivo (cioè il consumatore
acquista) perché innanzitutto è sempre possibile migliorare agendo sulle medesime leve, ma soprattutto
quel comportamento potrà essere modificato dalla spinta competitiva dei miei concorrenti. Tale risposta
comportamentale è sostanzialmente misurata dai volumi di vendite e dalle quote di mercato.
Più precisamente oltre ad acquistare per l’azienda è fondamentale la ripetizione dell’atto di acquisto del
consumatore. Infatti il consumatore potrà anche aver acquistato sulla base di un buon valore percepito
atteso ma se non è soddisfatto dell’utilizzo chiaramente non ripeterà l’atto di acquisto, quindi si ritorna al
concetto di customer satisfaction e al suo monitoraggio per valutare la fiducia fedeltà-customer equity.
IL PROCESSO DI ACQUISTO
Il processo di acquisto riguarda un altro aspetto del “come” il consumatore acquista, ed è strettamente
legato alle risposte in quanto in base alle risposte dipenderà il processo. In particolare il processo di
acquisto tende a vedere gli stadi e il coinvolgimento psicologico attraverso cui il consumatore passa per
giungere all’acquisto finale e riguarda principalmente i prodotti “nuovi” o complessi, cioè quelli che il
consumatore non conosce o che non sono soggetti ad impulsività. Le fasi sono le seguenti:
1) la percezione del bisogno, che può essere stimolata dalle aziende scegliendo i momenti opportuni in cui
farlo (ad es. i multivitaminici vengono comunicati in autunno-inverno che è il periodo in cui si inizia
maggiormente a lavorare/studiare, cosicché si stimola la percezione del bisogno nel momento in cui il
consumatore effettivamente può avere bisogno di quel prodotto);
2) posto che il bisogno sia emerso, il consumatore inizia a ricercare informazioni sui prodotti che possono
soddisfare quel bisogno. Anche in questa fase l’azienda può influenzare il consumatore e quindi deve essere
presente,
3) dopo aver ricercato le informazioni il consumatore nella sua mente in maniera molto approssimativa
“costruisce” uno schema alla Fishbain, cioè valuta i diversi attributi che per lui sono più importanti
definendo quelle che sono le prestazioni dei vari marchi dell’evoked set su quegli attributi, e in questo
modo pone in essere un processo di valutazione delle alternative, ciò in maniera intuitiva non in maniera
“analitica”. Poi ovviamente potrà sbagliare, ma ciò lo potrà verificare nella fase post-acquisto.
Anche in questa fase l’azienda può intervenire condizionando psicologicamente il consumatore con una
comunicazione mirata ad evidenziare le prestazioni del marchio-prodotto sui vari attributi;
4) dopo questa valutazione il consumatore arriva sul punto vendita e decide cosa acquistare;
5) infine vi è la fase post-acquisto in cui il consumatore valuta il prodotto maturando il proprio valore
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Chiacchio-Ambrosanio

d’uso.
ESEMPIO UBER

Utilizzando le informazioni raccolte è possibile costruire una matrice definita:


Di coinvolgimento-apprendimento in cui possiamo articolare il processo di acquisto di diverse tipologie di
prodotti. In particolare ragioniamo su due macro variabili:
- il modello di apprendimento, cioè il consumatore nel suo processo di scelta che meccanismo di learning
sviluppa e che lo porta ad acquistare quel tipo di prodotto.
Questo apprendimento può essere intellettuale, cioè basato sulla ragione, sulla logica e sui fatti, o emotivo,
cioè guidato da emozioni, sensi ed intuito;
- il tipo di coinvolgimento cognitivo che il consumatore ha su quella scelta, che potrà essere forte e debole.
In particolare il coinvolgimento è tanto più basso quanto più si va verso scelte di routine e impulsive.
Possiamo individuare 4 processi:

1) LEARN, FEEL, DO : Comportamento di acquisto learning-based, cioè basato sull’apprendimento. Ciò


significa che si sta acquistando prodotti a forte coinvolgimento (per complessità tecnologica, per durata del
prodotto, per elevato prezzo, perché quel prodotto rappresenta “l’immagine riflessa” del consumatore (si
pensi ad un ragazzino che deve comprare delle scarpe e che per lui le Converse rappresentano anche un
modo di “essere” nel suo gruppo sociale)
Il modello di apprendimento è di tipo logico. Quindi il consumatore innanzitutto apprende dalle valutazioni
emerse (learn, quindi la risposta cognitiva) , poi matura la “risposta affettiva” (feel), cioè l’atteggiamento
maturato nei confronti dei vari marchi-prodotti, e infine “do”, cioè sceglie cosa acquistare;
2) FEEL, LEARN, DO: Se il prodotto continua a mostrare un forte coinvolgimento ma il modello di
apprendimento è di tipo emotivo, rientra nel “gruppo” dell’affettività. sono quelle situazioni di forte
coinvolgimento in seguito ad un elevato prezzo del prodotto (quindi il rischio percepito è molto elevato}. Il
processo è feel-learn-do cioè prima è l'atteggiamento della marca che condiziona il processo di acquisto.
(se ho un gioiello Bulgari e un altro gioiello di marca X, anche se quest'ultimo è più grande, a parità di
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Chiacchio-Ambrosanio

prezzo, si sceglierà sicuramente il gioiello Bulgari proprio perché l'elemento affettivo è più rilevante di
quello funzionale)
3) DO, LEARN, FEEL: in basso troviamo il debole coinvolgimento che se è associato ad una dimensione
razionale del modello di apprendimento che riguarda i prodotti routinieri, in cui l’acquisto è di impulso (do),
dopodiché sulla base dell’acquisto si apprende (learn) ad esempio la performance del prodotto (la pila si
scarica dopo 2 giorni, il fazzoletto si strappa facilmente ecc.), e ovviamente sulla base di questo
apprendimento si matura un atteggiamento (feel) su quel prodotto-marca;
4) DO, FEEL, LEARN: l’edonismo è relativo a prodotti in cui il consumatore agisce (do) d’impulso come i
routinieri, si produce un sentimento/emozione (feel) su quel prodotto acquistato (ad es. sapore), e infine si
razionalizza quel sentimento (learn). Quindi sono ovviamente prodotti a basso coinvolgimento e in cui il
processo di apprendimento è di tipo emotivo, si fa riferimento al prodotto rispetto ai quali non c'è una
programmazione nell'acquisto e quindi il cliente, nel vedere quel prodotto si sente di acquistarlo e lo fa.

Sulla base della matrice precedente in cui si evidenziavano i processi di acquisto è possibile posizionare ora
le varie tipologie di prodotti associati a quei processi. Possiamo distinguere 4 tipologie di prodotti:
1.2.- prodotti shopping/specialty in cui il coinvolgimento è alto ma che possono essere anch’essi a valore
oggettivo o soggettivo a seconda che il processo di acquisto sia di tipo razionale o emotivo;
3.4.- prodotti convenience a valore oggettivo o soggetivo, in cui quelli oggettivi si caratterizzano per il fatto
che il consumatore può verificare appunto oggettivamente la performance del prodotto (funziona/non
funziona); quelli soggettivi dipendono dalle “emozioni” di ciascuno (il sapore è un senso soggettivo).

1) assicurazioni sulla vita, assicurazione auto , lenti a contatto, elettrodomestici, carte di credito
2) auto familiare , auto sportiva, orologio di valore, occhiali, profumo, tappezzeria.
3) Lozione solare, Shampoo , rasoi usa e getta, carta igienica
4) Pizza, bevande ipocaloriche , cioccolatini , bibite, patatine
Esempio di imprese che sono passate da un tipo di prodotto ad un altro:
- Pringles (marchio di P&G) quando ha cercato di spostare questo prodotto dall’essere una semplice
“patatina” all’essere uno “snack”, e quindi spostare il marchio dalla nicchia dell’edonismo a quello dei
prodotti specialty a valore soggettivo, quindi a forte coinvolgimento.
- Invece Bic (sempre marchio P&G) cerca di incrementare il valore oggettivo dei propri rasoi usa e getta e
quindi di spostare il prodotto verso quelli ad alto coinvolgimento razionale (perché ad esempio è ritenuto
un rasoio usa e getta più affidabile ecc.).

MATRICE COINVOLGIMENTO - APPRENDIMENTO


Possiamo anche guardare un altro tipo di matrice che insieme al coinvolgimento considera la percezione
della differenza tra le marche, cioè marche che vengono percepite in modo differente e altre no.

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Chiacchio-Ambrosanio

1) FEEL , DO, LEARN: Quando c’è poca differenza tra le marche e c’è un forte coinvolgimento il
consumatore cerca di scegliere il prodotto che su un certo attributo lo gratifica di più, ad esempio quello
che costa di meno ecc., cioè cerca di ridurre la dissonanza, e su questo le imprese lavorano cercando di
mutare l’atteggiamento (feel) del consumatore verso il marchio che sarà quello che determinerà l’acquisto
(do) che poi a sua volta determinerà l’apprendimento, agendo sulla comunicazione con l’obiettivo di far
emergere la differenza del proprio marchio rispetto agli altri.
2) LEARN, FEEL, DO: Quando invece c’è una forte differenza tra le marche e il prodotto è a forte
coinvolgimento , l’acquisto sarà di tipo complesso, in cui il consumatore cercherà prima di apprendere
(learn), sulla base di quelle informazione maturerà un atteggiamento (feel) che determinerà l’acquisto (do).
In questo caso dal momento che il consumatore valuterà razionalmente il prodotto, l’azienda cercherà di
enfatizzare la performance su quegli attributi che ritiene essere fattori critici di successo nello specifico
business, bisognerà lavorare sulla comunicazione, sul posizionamento del brand, personale vendita (ad es.
se si vuole acquistare un televisore è chiaro che il personale vendita aiuta ad enfatizzare quegli attributi
chiave del televisore, soprattutto con i punti vendita di proprietà).
3) DO, FEEL, LEARN : Nell’acquisto abituale l’azienda dovrà lavorare sulla memorizzazione della marca, sulla
presenza nei canali distributivi (che dovrà essere massiccia) ecc. in quanto il prodotto è a basso
coinvolgimento e in cui le differenze tra i marchi non sono percepite.
In questo caso le variabili su cui agire sono quelle della promozione in termini di prezzo, distribuzione
massiccia e notorietà del brand.
4) DO, LEARN, FEEL: Nella ricerca di varietà il consumatore riesce a percepire la differenza tra i marchi, e
sulla base di quelle differenze orienterà i propri acquisti (voglio il frollino della Mulino Bianco perché è più
compatto, voglio il frollino del Balocco perché è più dolce ecc.), acquisti che però saranno a basso
coinvolgimento. In questo caso l’azienda cercherà di ridurre questa ricerca della varietà cercando di
“intrappolare” il consumatore nell’acquistare il proprio marchio attraverso attività di promozione,
distribuzione, notorietà e prezzo.

CATEGORIE DI ATTORI DEL PROCESSO DI ACQUISTO:


Possiamo individuare 5 categorie di attori che partecipano al processo di acquisto. Il contesto solitamente
individuato per stabilire questi 5 attori è la famiglia. Esistono però dei casi in cui più attori o tutti e 5
coincidano con un’unica persona ad esempio nel caso di acquisito di un bene strettamente personale.
È importante conoscere quali e quanti sono questi soggetti per capire a chi rivolgere la pubblicità. Le
strategie di marketing si modificheranno a seconda della presenza di più soggetti nel processo di acquisto.

1. L’iniziatore = È colui che fa nascere un bisogno. È il percettore del bisogno su cui l’azienda può lavorare
per far percepire quel bisogno.
2. Influenzatore = È colui che influenza la decisione perché magari è il leader all’interno della famiglia

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Chiacchio-Ambrosanio

oppure è il maggior esperto di quel prodotto all’interno della famiglia. Ad esempio l’acquisto della pasta
viene influenzata dalle scelte del marito e dei figli. Se l’azienda riesce individuare chi è L’influenzatore potrà
operare in maniera mirata nei suoi confronti con una specifica comunicazione.
3. Decisore = È chi decide sulla base delle alternative fornite dal iniziatore e/o L’influenzatore.
Normalmente coincide con chi ha la forza reddituale per prendere quella decisione quindi in una classica
famiglia sarà il padre o la madre. Ad esempio se consideriamo l’acquisto di una merendina il bambino
indirizza la madre verso determinati marchi ma chi deciderà quale acquistare non sarà il bambino ma la
madre o il padre.
4. Acquirente = È il responsabile di acquisto cioè chi materialmente acquista il prodotto secondo le
indicazioni dell’influenzatore e soprattutto secondo la decisione presa dal decisore .
5.Utilizzatore = E’ chi materialmente utilizza il prodotto che potrà essere diverso dall’acquirente e o il
decisore.

ESEMPIO = Ad una madre casalinga piace guardare la TV e si lamenta del fatto che la TV attuale sia datata.
Iniziatore = la donna
Influenzatore = vicini e/o amici
Decisore = moglie insieme a marito e figli
Acquirente = moglie e marito
Utilizzatore = la famiglia

La lunghezza del processo di organizzazione d’acquisto (intesa come susseguirsi tutti i soggetti) è collegata
al rischio percepito prima di acquistare il prodotto.
Maggiore sarà il rischio e più lungo sarà il processo ( ci saranno più attori) ;
Minore sarà il rischio e più breve sarà il processo (pochi soggetti).
La percezione del rischio varia a seconda del prodotto, infatti se ad esempio il consumatore intende
acquistare dei convenience goods sia la perdita finanziaria che rischio saranno bassi mentre nel caso in cui
si vogliano acquistare shopping goods oppure exellent goods il rischio percepito sarà maggiore.

ANALISI DELL’ATTRATTIVITA’
Per compiere analisi strutturale e della concorrenza a livello business (ci si concentra a questo livello in
quanto ragionare a livello corporate costituirebbe un lavoro poco utile e significativo dal momento che
un’impresa può operare potenzialmente in business profondamente divergenti tra di loro) è necessario
valutare il grado di attrattività del business e i fattori critici di successo.
A sua volta per compiere questa valutazione vi sono una serie di strumenti e di analisi che è possibile
utilizzare: il modello delle cinque forze di Porter, l’analisi dei fattori esterni, l’analisi dei raggruppamenti
strategici/competitivi e l’analisi della performance/posizione competitiva
IL MODELLO DELLE 5 FORZE DI PORTER
1) Il modello delle cinque forze nasce nell’ambito del ragionamento del paradigma SCP Visto che va ad
analizzare quali sono le forze che determinano la redditività media del settore e quindi l’attrattività. Porter
pone come forza di stesura del modello la concorrenza diretta del settore.
Diversi sono i fattori strutturali che condizionano le dinamiche competitive dei concorrenti diretti del
settore e sono:

• TASSO DI CONCENTRAZIONE: esso è il classico fattore strutturale che condiziona il modo di competere:
una concentrazione elevata (ovvero ci sono poche imprese che si dividono il mercato) è il presupposto della
bassa concorrenza fatta sul prezzo che determinerà una maggiore redditività e quindi una maggiore
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Chiacchio-Ambrosanio

attrattività del settore.


- Al contrario un indice di concentrazione e basso (ovvero ci sono tante imprese) porterà le imprese a
competere maggiormente sul prezzo, di conseguenza la redditività media del settore sarà bassa così come
l’attrattività dello stesso.

•TASSO DI CRESCITA DELLA DOMANDA: se aumenta il fattore tasso di crescita della domanda: la
competizione tra le imprese sul prezzo diminuisce, di conseguenza la redditività sarà più elevata così come
l’attrattività dell’intero settore.
-Al contrario se il tasso di crescita della domanda diminuisce: ci sarà una maggiore competizione tra le
imprese sul prezzo di conseguenza la redditività di misura così come l’attrattività dell’intero settore.

•LIVELLO DI DIFFERENZIAZIONE: Quanto più all’interno del settore il prodotto è standardizzato e quindi
poco differenziato: più probabilmente il prezzo si definisce sulla base dell’incontro tra domanda e offerta, la
competizione sarà più aggressiva, quindi e di conseguenza la redditività e l’attrattività del settore saranno
più basse.
-All’aumentare invece del livello di differenziazione, la leva prezzo verrà usata poco e di conseguenza su di
essa ci sarà una scarsa competizione e di conseguenza aumenterà la redditività così come l’attrattività del
settore. Esempio: il settore del lusso.

•CAPACITÀ PRODUTTIVE IN ECCESSO E BARRIERE ALL’USCITA: la capacità produttiva in eccesso si verifica


sostanzialmente quando il tasso di crescita domanda diminuisce (l’impresa può anche non presentare
capacità produttive eccesso in virtù del fatto che decide di produrre di meno).
- Se le caratteristiche strutturali del settore non permettono di ridurre la produzione come ad esempio nel
settore automobilistico dove una piccola pressione della produzione può aumentare i costi medi unitari in
virtù del non sfruttamento delle economie di scala, le imprese pur di produrre la stessa quantità decide di
abbassare il prezzo e ciò permette loro di evitare di avere capacità produttiva in eccesso.

Ciò porterà ad una maggiore competizione sul prezzo, di conseguenza la redditività media del settore e
l’attrattività del settore saranno più basse.

•STRUTTURA DEI COSTI: se i costi fissi incidono molto di più dei costi variabili, le imprese tenderanno a
condurre delle strategie di volume ovvero tenderanno a vendere quanti più prodotti possibili e per farlo
tenderanno a competere maggiormente sul prezzo, infatti saranno quasi obbligati a raggiungere quel
determinato Breakeven point perché altrimenti si troverebbe un’area di perdita: di conseguenza la
redditività sarà più bassa così come l’attrattività del settore.
------------------------
Oltre alla CONCORRENZA DIRETTA come forze abbiamo:
minaccia di nuovi entranti, minaccia di prodotti sostitutivi, potere dal lato dell’offerta e potere contrattuale
(dal lato della domanda della domanda e dal lato dell’offerta)

2) Minaccia nuovi entranti


È la minaccia delle imprese che, essendo all’esterno del settore in esame, possono decidere di entrarvi
perché capiscono che quel settore in cui vogliono entrare è più attrattivo. Esistono però degli elementi che
rendono difficile l’ingresso delle imprese in un determinato settore ovvero le barriere all’entrata.
Tali barriere possono essere:
1. Barriere legali: brevetti o concessioni necessarie per operare in quel settore come accade nel caso del
settore farmaceutico oppure il settore della telefonia mobile
2. Fabbisogno di capitale: un esempio di settore dove c’è un elevato fabbisogno di capitale è il settore della
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Chiacchio-Ambrosanio

produzione di energia elettrica mentre un settore in cui non è necessario avere a disposizione una grande
disponibilità finanziaria è il settore del turismo oppure un’attività legata ad Internet.
3. Know-how e fabbisogno di competenze: un settore dove è necessario un know how elevato è il settore
dell’high-tech mentre un settore dove il know how non rappresenta una barriera all’entrata è quello della
cancelleria.
4. Marca: un settore in cui la barriera marca è molto elevata è il settore di lusso
5. Canali distributivi
6. Possibili ritorsioni dei concorrenti: molto spesso accade che le imprese non entrino nel settore per le
possibili azioni da parte dei concorrenti sul prezzo oppure sui distributori con l’obiettivo di far preferire i
loro prodotti piuttosto che quelli dell’impresa entrante. Un esempio di impresa nota per essere molto
aggressiva è la Procter & Gamble (multinazionale americana di beni di largo consumo)
7. Economie di scala: esistono Dei settori che per loro natura richiedono, per le imprese che vogliono
entrarvi, di porre in essere particolari strategie di volume come ad esempio il settore automobilistico.

All’aumentare delle barriere all’entrata aumenterà l’attrattività del settore siccome le barriere all’entrata
tendono a ridurre il livello di competizione, (soprattutto sul prezzo) per cui si avrà un’alta redditività media
del settore che rende tale settore attrattivo.

Accanto al concetto di barriere all’entrata, esiste anche il concetto di barriere all’uscita: ovvero il grado di
difficoltà di uscita dal settore, cioè quanto è difficile uscire dal settore senza perdere troppo in termini di
costo. Se un’impresa ha fatto grandi investimenti per poter raggiungere adeguate economie di scala visto
che erano elevate le barriere all’entrata, uscire dal settore comporterebbe un costo eccessivo e quindi la
barriera all’uscita è molto elevata.

3) Minaccia di prodotti sostitutivi


Elasticità incrociata : (Quando due prodotti sono perfetti sostituti: L’aumentare del prezzo di A fa crescere
la domanda di B. La perfetta sostituibilità si ha quando il rapporto è >0)
I prodotti sostitutivi devono appartenere ad un settore differente dal prodotto che stiamo considerando
ma entrambi devono soddisfare lo stesso bisogno. Un esempio è il settore aereo e il settore ferroviario. Il
treno è un prodotto sostitutivo all’aereo ma entrambi soddisfano lo stesso bisogno, cioè il trasporto.
Per quantificare la minaccia di prodotti sostitutivi è necessario tenere in considerazione tre fattori:

1. Numero di prodotti sostitutivi: ad una maggiore presenza di prodotti sostitutivi corrisponderà una
maggiore minaccia
2. Propensione all’acquisto di prodotti sostitutivi: quanto più il prodotto sostitutivo soddisfa il bisogno, in
modo simile a come lo soddisfa il prodotto in questione, tanto più aumenterà la minaccia
3. Prezzo dei prodotti sostitutivi: quanto più il prodotto sostitutivo presenta un prezzo basso tanto più la
minaccia sarà elevata

Se ci sono molti prodotti sostitutivi l’attrattività del settore diminuisce perché tende ad aumentare la
competizione, anche se essa proviene da un settore differente rispetto a quello in cui si opera.

Potere contrattuale
In un settore in cui si è fornitori che clienti hanno un elevato potere contrattuale ciò andrà a ridurre il
margine di guadagno delle imprese e ciò si tradurrà in una minore redditività e di conseguenza in una
minore attrattività del settore.
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Chiacchio-Ambrosanio

4) Potere dal lato dell’offerta :


I fattori che consentono di misurare il potere contrattuale dei fornitori sono:
1. Concentrazione dei fornitori: all’aumentare della concentrazione dei fornitori (Meno fornitori)
aumenterà il potere contrattuale degli stessi, ciò ridurrà la redditività dell’impresa e di conseguenza
l’attrattività del settore
2. Importanza del prodotto da acquistare per la qualità del prodotto da vendere: se il bene o la materia
prima che l’impresa intende acquistare dal fornitore è di importanza fondamentale per la qualità del
prodotto da vendere questo aspetto andrà ad aumentare il potere contrattuale del fornitore nel momento
in cui si andrà a stabilire con l’impresa il prezzo di scambio.
3. Informazione sugli acquirenti: quanto più l’impresa conosce tutte le offerte di tutti i fornitori, tanto più il
potere contrattuale dell’impresa aumenterà e ciò si rifletterà in modo positivo sia sulla redditività e
sull’attrattività del settore
4. Minaccia di integrazione a monte o a valle: Nel momento in cui l’impresa ha la possibilità di prodursi da
sé la merce, questo diminuirà il potere contrattuale dei fornitori. Un esempio in cui è possibile minacciare i
fornitori ponendo in essere una strategia di integrazione verticale potrebbe essere un’impresa che produce
abiti che ha la possibilità di produrre anche i tessuti per la realizzazione di tali abiti.
5. Costi di riconversione: sono quei costi che l’impresa deve sostenere per poter passare da un fornitore
all’altro. Molto spesso accade che la relazione che si instaura tra fornitore e impresa va oltre il semplice
scambio della merce a fronte di denaro, infatti le due parti stringono una vera e propria alleanza che
apporti loro dei vantaggi. Nel caso in cui l’impresa decidesse di passare da un fornitore all’altro essa dovrà
sostenere dei costi di riconversione, siccome si andranno a perdere tutti i vantaggi che si avevano invece
con il vecchio fornitore. Nel momento in cui il fornitore si rende conto che all’impresa non conviene passare
ad un altro fornitore questo gli darà la possibilità di poter aumentare il proprio potere contrattuale fino ad
imporre all’impresa un prezzo di scambio. All’aumentare di questi costi di riconversione aumenterà il
potere contrattuale dei fornitori di conseguenza diminuirà la redditività e l’attrattività del settore.

5) Potere dal lato della domanda


I fattori che consentono di determinare il potere contrattuale dal lato della domanda sono gli stessi
analizzati in precedenza
1. Concentrazione dei clienti: quanto più i clienti sono concentrati (meno clienti), tanto più aumenterà il
loro potere contrattuale e questo andrà diminuire la redditività e l’attrattività del settore. Un esempio in
cui l’impresa subisce il potere contrattuale dei clienti è il caso in cui impresa si rivolge ai grandi distributori.
Nel caso della grande distribuzione però il potere contrattuale dell’impresa sarà bilanciato dall’importanza
del prodotto che l’impresa realizza per il grande distributore ad esempio se analizziamo la Barilla, così come
il grande distributore possiede un certo potere contrattuale, lo stesso potere contrattuale sarà posseduto
anche da Barilla perché il grande distributore non può, vista l’importanza e la notorietà del marchio Barilla
non avere la pasta Barilla.
2. Valgono poi tutti gli altri fattori visti dal lato dell’offerta.

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Per rappresentare” e/o calcolare il grado di attrattività di un settore partendo dal modello di Porter:
Bisogna prendere le 5 forze di Porter e per ogni forza viene individuato su una scala da 1 a 5 l’incidenza sul
grado di attrattività (attuale e futuro, che potrà spingersi fino ai 3-5 anni) e si può costruire un grafico di
spezzata.
È possibile anche dare un “peso” a ciascuna forza in base all’importanza che questa riveste nella
determinazione del grado di attrattività del settore. In questo modo è possibile calcolare un valore
ponderato per ogni forza, e sommando i vari valori ponderati è possibile ottenere una misura complessiva
del grado di attrattività del settore su una scala da 1 a 5.

MODELLO CO-OPETITIVE VALUE NET (modello delle 5 forze in una


prospettiva collaborativa)
Fattori di spinte (come la globalizzazione, l’iper-competizione, la dinamicità dell’ambiente) e fattori
abilitanti (come le tecnologie informatiche) stanno spingendo negli ultimi tempi le imprese a politiche di
outsourcing andando a creare la cosiddetta “impresa network. È possibile impiegare il modello di Porter in
una prospettiva diversa da quella conflittuale o competitiva classica: la c.d. prospettiva collaborativa.
In particolare i diversi attori del sistema del valore in un sistema competitivo moderno molto spesso
anziché operare con un gioco a somma zero (cioè c’è chi vince e c’è chi perde, come nel modello
tradizionale) cooperano tra di loro cercando delle forme di alleanza e di collaborazione tra di loro.
Nelle moderne economie può avvenire che :
1) o che specifiche aziende si alleano con i propri fornitori (che in una prospettiva tradizionale sono “in
contrasto” in termini di ricerca del maggiore potere contrattuale),
2) o con i propri clienti
3) soprattutto di tipo intermediario (ad es. accordi con una grande catena di distribuzione con cui si crea un
prodotto ad hoc per quella catena),
4) o con aziende che sono al di fuori del proprio settore e che possono essere considerati dei potenziali
nuovi entranti (e ciò può essere considerata sia come una modalità di diversificazione sia un modo per
“tenere lontano” quel potenziale nuovo entrante dal proprio business),
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Chiacchio-Ambrosanio

5) o infine con aziende produttrici di prodotti sostitutivi (anche questa può essere considerata come una
modalità di diversificazione ma, ovviamente, maggiormente correlata con il proprio business).
6) Inoltre molto spesso è possibile anche aggiungere una forma di collaborazione con la “sesta forza” , cioè i
complementors, andando sostanzialmente ad integrare l’offerta principale con servizi complementari.

CLIENTI (INTERMEDIARI E FINALI)

Per fare un esempio di questo modello analizziamo l’impresa Sony:


- Fornitori: la Sony pone in essere delle relazioni con i fornitori prevalentemente del sud-est asiatico e
questo le consente di possedere un fattore critico di successo grazie al basso costo della manodopera

- Clienti: In relazione alla Collaborazione con i clienti finali, molte volte vengono lanciate delle innovazioni e
vengono fatte provare a dei clienti che hanno la possibilità di poter esprimere le loro valutazioni e questo
rappresenta un elemento fondamentale per la Sony (ecco come il cliente partecipa all’organizzazione del
sistema)

- Complementors: potrebbe ad esempio capitare che la Sony volti a effettuare una collaborazione con
Microsoft (Che produce la Wii) per promuovere una campagna contro la pirateria. I complementors sono
quei soggetti che con la loro attività tendono ad integrare l’offerta dell’impresa e che insieme la rende
unica rispetto ad altre imprese.

ANALISI DELL’ATTRATTIVITA’ DEL SETTORE BASATA SUI FATTORI ESTERNI

Come detto un altro modello utilizzabile per analizzare il grado di attrattività di un settore è quello
dell’analisi dei fattori esterni che possono essere di 5 tipi: competitivi, economici e governativi, sociali,
tecnologici e di mercato. Ciò così come per il modello di Porter prendiamo i 5 fattori esterni e per ogni
fattore viene individuato su una scala da 1 a 5 l’incidenza sul grado di attrattività e si può costruire un
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Chiacchio-Ambrosanio

grafico di spezzata. È possibile anche dare un “peso” a ciascun fattore in base all’importanza che questo
riveste nella determinazione del grado di attrattività del settore. In questo modo è possibile calcolare un
valore ponderato per ogni fattore, e sommando i vari valori ponderati è possibile ottenere una misura
complessiva del grado di attrattività del settore su una scala da 1 a 5.

RAGGRUPPAMENTO STRATEGICO & RAGGRUPPAMENTO


COMPETITIVO
Analisi del settore del 3 grado: altro strumento che va ad approfondire l’analisi sull’attrattività è :
l’analisi dei raggruppamenti strategici o competitivi.

L’analisi dei raggruppamenti strategici è un’analisi che ci consente di leggere la struttura interna del settore
andando a valutare il comportamento competitivo di gruppi di aziende. Il raggruppamento strategico è un
insieme di imprese che adottano strategie o modelli competitivi simili, tendono ad avere delle quote di
mercato all’interno del raggruppamento simili, rispondono allo stesso modo agli eventi esterni e quindi
reagiscono in modo simile alle manovre dei concorrenti.
Nella prospettiva Porteriana il raggruppamento strategico è un livello intermedio di analisi tra il settore e
l’impresa e ci consente di capire perché delle imprese hanno successo: le imprese hanno successo (sempre
secondo Porter) perché scelgono il settore più attrattivo, scelgono il raggruppamento strategico più
attrattivo e sono in grado di implementare una strategia competitiva in maniera più efficace ed efficiente
delle altre aziende facenti parte del raggruppamento strategico. Diversi raggruppamenti strategici
all’interno di un settore hanno diverse strutture competitive (ciò è abbastanza ovvio alla luce delle cose
dette) e hanno diversi gradi di attrattività e accessibilità.

I raggruppamenti strategici vengono identificati costruendo le c.d. mappe dei raggruppamenti strategici e
per poterli definire e stabilire se due imprese fanno parte di uno stesso o di un diverso raggruppamento
strategico:
1) Bisogna innanzitutto andare a individuare quali potrebbero essere le principali imprese del settore;
2) Per andare poi ad individuare le variabili. Le variabili scelte devono essere le più importanti del settore e
che meglio esprimono le barriere alla mobilità. Inoltre, bisogna scegliere variabili che non sono
positivamente correlate tra loro.
3) Per poter collocare le aziende nel grafico bisogna determinare il grado di intensità con cui esse
soddisfano le variabili, analizzandole a livello comportamentale, l’influenza dei vari attori ecc
4) E in base a quest’analisi si collocano poi sul grafico.

Ciò che emerge è così anche la numerosità delle aziende che costituiscono quel raggruppamenti , quindi il
suo valore economico che determina il suo livello di attrattività. Quante più aziende ci sono in un

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raggruppamento tanto meno sarà attrattivo quel settore.

Le variabili possono essere:

- grado di specializzazione (ampiezza della gamma, ampiezza clienti serviti, aree geografiche
servite, ecc.);
- scelte riguardanti i canali distributivi.
- Integrazione verticale
- Strategia di prezzo (di scrematura o di penetrazione)
- Relazioni con altri attori del sistema di business

Le barriere all’entrata rappresentano un costo che deve essere sopportato da un’impresa che vuole
entrare in un certo settore industriale e che non è sopportato dalle aziende già operanti all’interno di tale
settore.

Possono essere:
• Esterne: impediscono l’ingresso;
• Interne: tutelano la posizione dei produttori già all’interno di un mercato.

Le barriere all’entrata generalmente sono:


• Economie di gestione
• Economie di scala (riduzione di costi)
• Economie di esperienza
• Fase tecnica/produttiva
• Approvvigionamento (economie di impianto e di impresa)
• Commercializzazione (distribuzione e produzione)
• Economie di apprendimento
• Economie di scopo (relazioni interne)
• Economie legate alle relazioni esterne
• Disponibilità di brevetti o know how
• Scarsa disponibilità di fattori produttivi
• Differenziazione dei prodotti
•Barriere strategiche (strategie di prezzo, strategie di marca, strategie distributive, ecc)
•Barriere istituzionali (mercati regolamentati, politiche protezionistiche create dai policy maker, ecc)
• Barriere Strutturali: fattori esogeni

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Le barriere alla concorrenza all’uscita possono essere create da:

• Vincoli sociali (impossibilità di fallire per salvaguardare l’occupazione)


• Vincoli economici (difficoltà di disinvestimento)

Si possono trasformare in barriere all’entrata, dissuadendo nuovi entranti.


In genere, le barriere possono essere annullate dall’esistenza di prodotti sostitutivi provenienti da altri
settori (concorrenza allargata).

Barriere alla MOBILITA’


Oltre alle barriere all'entrata ed all'uscita esistono un’altra tipologia di barriere che vengono definite
barriere alla mobilità, cioè le barriere che le aziende incontrano nel passare da un raggruppamento
strategico a un altro, quindi rappresentano le barriere “interne” al settore. Le barriere alla mobilità sono
importanti quanto sono importanti le barriere all’entrata in quanto ci consentono di capire quanto i vari
raggruppamenti sono protetti dal movimento delle aziende degli altri raggruppamenti e quindi
rappresentano tutte le difficoltà, i costi, le rischiosità che le aziende facenti parte di un raggruppamento
strategico incontrano nel voler passare in un altro raggruppamento strategico.

Se consideriamo le barriere all’entrata (BE, che possono essere alte e basse) e le barriere all’uscita (BU,
anch’esse possono essere alte e basse) possiamo distinguere 4 situazioni diverse.
Rappresentabili su una MATRICE:

1) alte barriere all’entrata e basse barriere all’uscita, in tale circostanza il raggruppamento sarà
caratterizzato da alta profittabilità e bassa rischiosità;

2) alte barriere all’entrata e alte barriere all’uscita, in tale circostanza il raggruppamento sarà
caratterizzato da alta profittabilità e alta rischiosità;

3) basse barriere all’entrata e basse barriere all’uscita, in tale circostanza il raggruppamento sarà
caratterizzato da bassa profittabilità e bassa rischiosità;

4) basse barriere all’entrata e alte barriere all’uscita, in tale circostanza il raggruppamento sarà
caratterizzato da bassa profittabilità e alta rischiosità;

Quindi le tipologie di barriere all’entrata e all’uscita possono essere impiegate anche per determinare il
grado di attrattività del raggruppamento strategico. Sicuramente il raggruppamento strategico più
attrattivo sarà il primo in cui la profittabilità è elevata e il rischio basso, mentre quello meno attrattivo è
l’ultimo dove accade esattamente l’opposto.

Dal punto di vista COMPETITIVO:


Introdotto da Rispoli: sono state mosse però delle critiche al modello dei raggruppamenti strategici in
quanto non si considerava l’ipotesi in cui le imprese appartenenti ad un medesimo raggruppamento
strategico non fossero in competizione tra di loro (perché ad esempio si rivolgono a mercati differenti) .
Ponendo l’attenzione anche sull’aspetto competitivo, da questa critica è stato realizzato un altro concetto
per raggruppare le imprese : il raggruppamento competitivo. Con questo concetto si vanno ad individuare
le imprese che operano nello stesso settore e sulla base di alcune variabili tendono ad essere tra di loro
concorrenti .

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La differenza tra raggruppamento strategico e raggruppamento competitivo è in relazione alle variabili


utilizzate : nel caso del raggruppamento strategico le variabili sono nell’ottica dell’impresa (ad esempio le
variabili come ampiezza della gamma ampiezza del mercato ) mentre nel caso il raggruppamento
competitivo le variabili sono nell’ottica del cliente (ad esempio la performance e il prezzo sono variabili)

• I risultati economico finanziari delle imprese facenti parte di un certo raggruppamento competitivo o
strategico dipendono principalmente da 4 fattori:
- dalle barriere alla mobilità del raggruppamento, maggiori sono le barriere alla mobilità e maggiore è la
“protezione” di quel raggruppamento e quindi la profittabilità;
- il potere contrattuale del raggruppamento rispetto ai fornitori e ai clienti;
- la vulnerabilità del raggruppamento rispetto ai prodotti sostitutivi e ai potenziali nuovi entranti, questo
secondo aspetto è strettamente legato al concetto delle barriere alla mobilità;
- l’intensità della rivalità con gli altri raggruppamenti. Sulla base di queste variabili è possibile definire il
grado di redditività e, quindi, di attrattività di un raggruppamento.

• All’interno di uno stesso raggruppamento competitivo o strategico una o più imprese riescono ad
ottenere delle performance economico-finanziarie migliori di altre.
Ciò dipende da 4 fattori:
- dall’intensità della concorrenza all’interno del raggruppamento;
- dalla dimensione delle imprese;
- costi di entrata nel raggruppamento, le aziende che entrano “dopo” nel raggruppamento competitivo
dovranno sostenere costi di entrata superiori rispetti ai “primi” entranti, oltre al fatto che i primi entranti
hanno già ammortizzato molti dei costi di entrata (es. iniziali investimenti) sostenuti, quindi hanno una
curva dei costi più bassa, hanno più esperienza, più economie di scala e così via;
- efficacia nell’attuazione della strategia, c’è chi a parità di strategia riesce a implementarla meglio degli
altri.

ANALISI DELLA PERFORMANCE/POSIZIONE COMPETITIVA


L’analisi della concorrenza può essere impostata oltre che mediante l’analisi del settore, analisi dei
raggruppamenti e delle 5 forze di Porter, anche sulla base di indicatori di bilancio.
Questa analisi consiste:
1) innanzitutto nell’andare ad individuare il posizionamento economico-finanziario delle principali imprese
per
2) poi andare a valutare i differenziali del vantaggio competitivo delle imprese sulla base delle performance
economico-finanziarie rilevate.

LA SCELTE DEL MARKETING MIX


Le scelte di marketing mix sono la naturale conseguenza del processo di analisi relativo alla scelta del target
e del posizionamento. Le scelte di marketing operativo diventano uno strumento con il quale l’impresa
riesce effettivamente a posizionare nella mente del consumatore il posizionamento che aveva previsto.

Quando ci riferiamo al prodotto, non ne parliamo in senso stretto ma ci riferiamo al sistema di offerta che
le imprese pongono in essere sul mercato, che è inteso come la sommatoria di elementi tangibili e
intangibili (ad esempio offerte che hanno sia una componente di prodotto che è una componente di
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Chiacchio-Ambrosanio

servizio). Nell’ambito dei prodotti che l’impresa crea, possiamo fare delle distinzioni:
- Gamma di prodotti: rappresenta l’insieme Dei prodotti offerti da un’impresa.
- Famiglia di prodotto: rappresenta tutte le classi di prodotto in grado di soddisfare un bisogno di base,
tipologia generica: i prodotti alimentari.
- Classe di prodotto: Sono un gruppo di prodotti all’interno di una famiglia che soddisfano una determinata
funzione.ad esempio i prodotti surgelati all’interno della famiglia dei prodotti alimentari.
- Linea di prodotto: È l’insieme dei prodotti all’interno di una classe accomunati tra loro da qualche aspetto
come la modalità d’uso, il prezzo ecc). Ad esempio prodotti surgelati come primi piatti , secondi piatti ,
dessert ecc.

Per migliorare il sistema di offerta l’impresa può intervenire prendendo decisioni riguardo la gestione del
prodotto sotto tre aspetti fondamentali:
- AMPIEZZA DELLA GAMMA: È dato dal numero di linee di prodotto che l’impresa realizza:
Ad esempio: Findus realizza: Bastoncini Findus, Sofficini Findus e Quattro salti in padella. Quindi in questo
caso ampiezza della gamma = 3.
- PROFONDITÀ DELLA GAMMA: È data dal numero delle varianti che una stessa linea presenta.
La dimensione del portafoglio è data dal numero di prodotti diversi, cioè dal numero totale di varianti.
Ad esempio: dei bastoncini la Findus propone quelli al merluzzo, tonno, salmone ecc.. (profondità = 3)
- LUNGHEZZA DELLA GAMMA: è determinata dal numero totale dei prodotti di tutte le linee.
Ad esempio: Bastoncini (3) ; Sofficini (4) ; Quattro salti in padella (2) = totale prodotti 9.
La lunghezza media della gamma è determinata rapportando il numero totale di prodotti di cui è composta
l’intera gamma (sommando quindi i prodotti appartenenti a tutte le linee), e il numero delle linee totale,
quindi fratto l’ampiezza.

- Quale potrebbe essere una strategia di ampliamento (category extension) (introduzione di una nuova
linea)?
Una modalità di ampliamento della gamma potrebbe essere ad esempio per un’impresa che produce
chitarre elettriche e classiche , quella di realizzare una linea di chitarre semi-acustiche.
- Quale potrebbe essere una strategia di estensione di una linea (line extension) (introduzione di un nuovo
prodotto nella stessa linea)?
Delle strategie di line extension potrebbero essere quella del trading-down (cioè un abbassamento della
qualità-prezzo mediante un nuovo prodotto) in cui l’azienda deve stare attenta a non banalizzare del brand.
Di fatti le aziende molto spesso per implementarla, optano per un nuovo brand (San Pellegrino usa il
marchio Guizza per i segmenti più bassi, Kimbo usa il marchio Kosè) o dei sub-brand (es. Emporio Armani,
Armani Jeans).
Oppure la strategia del trading up (realizzare un prodotto di qualità e prezzo più alto) ma con un brand che
però fino a quel momento ha realizzato prodotti di media-bassa qualità e prezzo ed il rischio è che il
mercato veda l’incoerenza e non acquisti il prodotto.
ESEMPIO BARILLA: Barilla con il brand Alixir voleva rivolgersi a un segmento salutista disposto a pagare un
prezzo maggiore per comprare prodotti innovativi e con valore aggiunto in termini di apporto nutrizionale,
ma è uscita dal mercato con perdite enormi. Barilla ha fondato la propria strategia competitiva sulla
produzione di prodotti salutistici destinati ad una nicchia di mercato ma un brand del genere offerto da
Barilla non è credibile né all’occhio del distributore né all’occhio del consumatore siccome Barilla è un
brand di massa.

Nel caso in cui la linea o la variante di prodotto non ha successo l’impresa può decidere addirittura di
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Chiacchio-Ambrosanio

ridurle, ciò succede quando si viene a creare confusione nella mente del cliente.
O può decidere di ridurre l’ampiezza e si mantiene fissa la profondità o viceversa.

MATRICE BCG
Quando un’impresa ha allargato la sua gamma di prodotti, ad un certo punto deve capire se esiste un
‘equilibrio di portafoglio-prodotti’, attraverso la costruzione della matrice BCG:

La matrice del portafoglio prodotti della BCG (Boston Consulting Group). E’ una matrice che ha l’obiettivo
di capire nell’ambito del portafoglio prodotti quali di questi prodotti richiedono investimenti (cassa) e
quindi di vedere se esiste un equilibrio finanziario del portafoglio.
L’asse delle ascisse rappresenta la quota di mercato relativa, essa esprime sia il grado di leadership e di
forza sul mercato (si è leader se superiore ad 1, altrimenti si è follower) esprime anche la generazione di
flussi di cassa positivi (in-flow) per l’azienda. Maggiore è la quota di mercato relativa, maggiori sono le
vendite e, quindi, maggiori sono i flussi di cassa positivi.
l’asse delle ordinate il tasso di crescita dei singoli business. Esso è dato dal rapporto fra (Vendite t –
Vendite t-1) / Vendite t-1. (concetto relativo perché se è alto o basso dipende al mercato di riferimento).
Può essere letto anche in termini di entità dei flussi di cassa negativi (out-flow) generati all’impresa, perché
in generale maggiore è il tasso di crescita del mercato maggiori sono gli investimenti che l’impresa deve
compiere per seguire quel tasso di crescita e non perdere quote di mercato a vantaggio dei concorrenti.
Queste due variabili determinano nel complesso l’entità dei flussi cassa (cashflow).

1.Star : Sono collocati nel quadrante in alto a destra. Rappresentano i prodotti che hanno una alta quota di
mercato relativa (quindi > a 1) e un alto tasso di crescita (con un tasso di crescita superiore alla media dei
mercati). Essendo business in crescita richiederanno liquidità (investimenti) ma essendo un business in cui
l’impresa ha un’elevata quota di mercato crescerà in maniera più che proporzionale rispetto al tasso di
crescita del mercato e quindi genereranno liquidità. Con questa tipologia di prodotti si dice che c’è
equilibrio finanziario perché essi si autofinanziano. (Per le star l’azienda deve porre in essere delle
strategie di crescita e sviluppo)
2.Cash Cows : Sono collocati nel quadrante in basso a sinistra. Rappresentano i prodotti che hanno quota di
mercato relativa alta (superiore a 1) ma un tasso di crescita basso rispetto alla media. Richiederanno poca
liquidità (pochi investimenti) ma genereranno i migliori flussi di cassa. (Per i Cash cows le strategie devono
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essere di mantenimento per fare in modo che la quota di mercato non scenda)
3.Question marks: (ENIGMA) Sono collocati nel quadrante in alto a sinistra. Hanno un elevato tasso di
crescita per cui richiederanno alti investimenti ma sono prodotti che hanno una quota di mercato bassa
(<1), e quindi l’azienda non è leader (o non ancora), e genereranno poca liquidità. Questa tipologia di
prodotti sono presumibilmente prodotti da poco inseriti e quindi rappresentano il futuro dell’azienda su cui
la stessa ha investito. (Per le question marks le medesime strategie di crescita e sviluppo devono essere
ancora più intense)
4.Dogs : Sono collocati nel quadrante in basso a sinistra. Sono quei prodotti con una bassa quota di
mercato e un basso tasso di crescita per cui richiederanno e genereranno poca liquidità. (come i Dodos)

E’ possibile effettuare un’analisi più approfondita della situazione dei prodotti di un’azienda considerando
nella matrice BCG altri 3 quadranti:
- I Dodos (fossili) rappresentano prodotti il cui mercato è in fase di decrescita e in cui l’azienda non detiene
neanche la leadership; (quota di mercato <1 ; tasso di crescita è negativo) (le strategie potrebbero essere
di disinvestimento ove sia necessario (infatti molte volte le aziende decidono di non disinvestire sui dogs
e sui dodos perché spesso sono prodotti con prezzo basso “da combattimento” o perché sono prodotti
con cui l’azienda pone in essere una competizione incrociata con i concorrenti e quindi servono solo per
“dare fastidio” ai concorrenti o perché sono prodotti complementari che vengono usati in rapporto ad
altri prodotti e su cui l’azienda non ambisce ad avere alcuna leadership e servono solo per fare
assortimento).
- I war horses (cavalli da guerra) rappresentano i prodotti in cui il tasso di crescita di mercato è negativo
(quindi decresce) ma in cui l’azienda è leader ( quota di mercato >1) (sui war horses le strategie devono
essere di mantenimento per fare in modo che la quota di mercato non scenda)
- Le marche/prodotti emergenti sono definiti così perché sono prodotti nuovi e quindi si trovano nella loro
fase di introduzione. Quindi il loro tasso di crescita è basso non perché il mercato è maturo (come accade
per i dogs e i cash cows) ma perché sono prodotti radicalmente nuovi e il mercato non li ha ancora
pienamente recepiti e conosciuti perché i consumatori sono pochi (il mercato è acerbo), ma ovviamente ad
un certo punto questo mercato potrebbe iniziare a svilupparsi. Questo è il motivo per cui vengono distinti
due “tipologie” di sviluppo basso di mercato. Per i prodotti emergenti è comunque possibile distinguere
quelli in cui l’azienda detiene la leadership e quelli in cui invece è follower.

Le war horses e le cash cows sono i prodotti che generano i maggiori flussi in entrata e che quindi
alimentano e sostengono la crescita dei prodotti emergenti e delle question marks affinché diventino delle
stars, ma finanzia in parte anche le stars che comunque necessitano di elevati investimenti.

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-Se i business sono tutti posizionati nei Cash Cows e nei War horses e poco nelle categorie dei Question
Marks e poche Stars, si manifesta un disequilibrio visto che tanti business producono liquidità e dal punto di
vista strategico non è positivo perché l’impresa non ha nessun business in crescita. In questo caso si dice
quindi che il portafoglio prodotti è obeso.
- Se invece i business sono tutti posizionati tra i Question Marks, mentre le Stars sono poche o addirittura
nessuna, le Cash Cows non ce ne sono e quindi non c’è autofinanziamento per le Question Marks, di
conseguenza l’azienda è costretta ad indebitarsi e quindi aumentano i costi e i rischi.
In questo caso l’impresa ha dei problemi di cassa e pertanto non c’è equilibrio e si dice che il portafoglio
prodotti è anemico.

CICLO DI VITA DEL PRODOTTO:


Quando si introduce un prodotto sul mercato esso tende ad avere in relazione al tempo un certo
cambiamento di vendite: nella fase introduttiva sono relativamente basse da ciò si passa ad una fase di
crescita caratterizzata da alte vendite, si prosegue con una fase di maturità dove le vendite si stabilizzano
per poi crollare nella fase di declino.si sta parlando appunto in linea generale poiché non tutti i prodotti
lanciati sul mercato hanno quell’andamento. Ad esempio i prodotti stagionali presentano una curva
ondulata poiché hanno dei picchi di vendite in estate e un forte ribasso in inverno. Molte imprese tentano
appunto di destagionalizzarli in quanto prodotti del genere non permettono all’impresa di sfruttare
economie di scala e di esperienza. Quelle che intendo farlo solitamente cercano di diversificare, cercando di
adattare gli impianti il personale alla produzione di altri beni.

FASE DI INTRODUZIONE:
Nella fase di introduzione le vendite sono relativamente basse accompagnate da costi molto elevati dovuti
dalla attività di produzione, da alti ammortamenti e altre spese di marketing e tutto ciò provocherà dei cash
flow negativi; chiaramente essendo il prodotto nuovo il mercato ancora non lo conosce e di conseguenza
tra le leve di marketing più importanti abbiamo quelli della comunicazione: l’obiettivo è infatti di creare una
domanda mediante l’informazione del mercato e l’incoraggiamento degli acquirenti alla prova.

FASE DI CRESCITA:
Chiaramente l’impresa riuscendo a sfruttare i primi effetti di scala, riuscirà a conseguire un abbassamento
dei costi e a far crescere la marginalità. L’obiettivo dell’impresa è quello di ampliare il mercato costruendo
un’immagine forte cercando di sostenere la fedeltà dei clienti. In questo caso la variabile più importante è
sicuramente la distribuzione visto che il prodotto deve arrivare a più clienti possibili. In corrispondenza di
questa fase vi è un aumento della concorrenza.
LA FASE DI MATURITÀ:
Dato che il mercato in questa fase risulta essere maturo l’impresa deve cercare di mantenere vivo il suo
prodotto non facendolo entrare nella fase di declino. In questo caso la variabile di marketing più
importante è sicuramente il prezzo in quanto qui in questa fase l’impresa riesce a sfruttare al meglio le
economie di scala e di esperienza avendo anche recuperato tutti gli investimenti fatti in precedenza.
Questa fase è quella che consente all’impresa di conseguire una maggiore redditività.
FASE DI DECLINO:
Nella fase di declino il tasso di assorbimento diventerà decrescente e cambieranno le preferenze dei
consumatori spesse volte perché il prodotto è diventato obsoleto. L’obiettivo strategico dell’impresa è
quello di rivitalizzarsi o uscire dal mercato; vi possono essere poi dei prodotti che non vanno mai in declino
come ad esempio i medicinali o i beni di prima necessità come il pane e l’acqua.
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CICLO DI VITA DEL PRODOTTO CON BCG


Possiamo integrare la matrice portafoglio prodotti con l’analisi del ciclo di vita del prodotto (CVP).
Il ciclo di vita del prodotto ci dice che ogni prodotto ha tradizionalmente un determinato percorso.
Da sottolineare che questo ciclo di vita riguarda principalmente prodotti specifici dal momento che le
marche spesso hanno dei cicli di vita estremamente lunghi.
1) Se sull’asse delle ascisse rappresentiamo il tempo e
2) sull’asse delle ordinate il tasso di variazione medio % delle vendite (T.V.M.) è possibile rappresentare il
ciclo di vita tradizionale/classico di un prodotto distinguibile in varie fasi:
1) - l’introduzione (I) che coincide con gli “emergenti” , in cui le vendite crescono , ad un tasso di crescita
del mercato basso perché il numero di consumatori che adottano il prodotto sono pochi , in quanto è
possibile che vi sia la concorrenza di prodotti di altre aziende o di prodotti “vecchi” della stessa azienda o
perché il prodotto è nuovo;
2)- la crescita (C), Se si possiede un’alta quota di mercato (quindi si è leader) in cui il tasso di variazione
delle vendite subisce un’impennata perché entrano sul mercato i c.d. pionieri cioè coloro che seguono i
primi adottanti nell’acquisto del prodotto, quindi il tasso di crescita di mercato è alto allora : il prodotto
sarà STAR; mentre se possiede una bassa quota di mercato (quindi si è follower) il prodotto sarà QUESTION
MARK.
3)- la maturità (M), dove il mercato cresce pochissimo, quindi il tasso di crescita di mercato è basso, se si
possiede una quota di mercato alta allora si è CASH COW altrimenti se bassa DOGS.
4)- il declino (D), dove il prodotto inizia ad avere un tasso negativo di (de)crescita delle vendite, se di quel
mercato si era leader allora sarà WAR HORSES altrimenti se follower DODOS.
Questo è un ciclo di vita “tradizionale”, specifici prodotti potranno avere anche un andamento
completamente diverso.

Inoltre può accadere che ad un certo punto possa sorgere una fase di rivitalizzazione (R), che determina
un’impennata delle vendite del prodotto. Ciò può accadere ad esempio lavorando sull’estetica, sul pricing,
sugli attributi funzionali (dando “nuova vita” al prodotto) ecc., o piuttosto l’azienda non fa nulla facendo
semplicemente comunicazione:
(si pensi a quello che è accaduto sui prodotti della dieta mediterranea come pasta e condimenti: nel
momento in cui gli americani hanno iniziato a parlare della dieta mediterranea come una dieta salutare il
tutto si è ripercosso sulle vendite di quei prodotti tipici che erano in fase di stallo).
Questa fase di rivitalizzazione può sorgere nella fase di maturazione, nella fase di declino o quando il
prodotto ormai raggiunge i minimi livelli di vendita.

IL PREZZO
Il prezzo può essere definito come la monetizzazione da parte del cliente del valore percepito dallo stesso
per acquisizione di un prodotto o meglio, in risposta al sistema di offerta offerto.
La sua determinazione è la risultante di una serie di metodi che ci danno alcuni range all’interno dei quali
l’impresa determina il prezzo più coerente con il proprio posizionamento e con la sua strategia.
I metodi di determinazione del prezzo si definiscono in base a tre variabili: costi, concorrenza e domanda.

I metodi di determinazione del prezzo collegati ai Costi:


1) PREZZO SOGLIA/MINIMO: PS= CVu
Deriva dall’esigenza base che il prezzo di un bene copra almeno i costi variabili unitari quindi sia almeno
uguale ad essi e rappresenta cioè quel prezzo al di sotto del quale l’impresa non può andare poiché
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Chiacchio-Ambrosanio

altrimenti rischierebbe di uscire dal mercato.

(il presupposto è che i costi fissi non siano insostenibili, lo si applica come scelta strategica per attivare i
clienti verso l’assortimento di prodotti dell’impresa: chiamati prodotti civetta. <-solo se te lo chiedono)

2) PREZZO TECNICO: PTE= CVu + CF/Q .


Esso è uguale alla somma tra i costi variabili unitari e i costi fissi unitari ottenuti rapportando i costi fissi
totali al totale delle quantità realizzate. Quindi in questo caso il prezzo copre tutti i costi necessari per
realizzare il prodotto.
(che tipo di strategia si può applicare con questo prezzo? Una volta raggiunto il BEP a seconda della
struttura dei costi dell’impresa o una strategia di differenziazione se Cv>Cf o di costo se Cf>Cv)

- si configura come una scelta strategica che l’impresa pratichi un prezzo di mezzo tra quello soglia e
quello tecnico. Ciò consente la copertura dei costi variabili unitari e una copertura parziale dei costi fissi
che l’impresa ha comunque la possibilità di ripartirli nel tempo. Ciò quindi consente di ridurre la rischiosità
dell’azienda e infine le dà la possibilità, successivamente raggiungimento del BEP, di praticare un prezzo che
supera di molto il costo unitario medio.

-questi primi due prezzi non permettono all’impresa di trarre profitto perciò possiamo parlare di altri tipi di
determinazione del prezzo collegati ai costi come:

3) PREZZO MARK-UP: 𝑷𝒎𝒖𝒑 = 𝑪𝒗𝒖 + 𝑪𝑭/𝑸 + 𝒎𝒓% ( 𝑪𝒗𝒖 + 𝑪𝑭/𝑸 )


Con questo metodo si va ad applicare una determinata percentuale di margine di ricarico (mark-up), che
indica la percentuale che si intende guadagnare, sul costo medio unitario:
Costo medio unitario + (mr% x costo medio unitario)
MARGINE DI RICARICO PERCENTUALE : Pu- Cvu / Cvu * 100
- Prezzo cost-plus (PCP): 𝑷𝑪𝑷 = 𝑪𝒗𝒖 + 𝒎𝒓%𝑪𝒗𝒖. Il prezzo cost-plus è uguale ai costi variabili più un certo
margine di ricarico (mr) applicato ai soli costi variabili;
4) PREZZO TARGET: 𝑷𝑻𝑨 = 𝑪𝒗𝒖 + 𝑪𝑭/𝑸 + 𝒓 𝒙 𝑲/𝑸 .
Detto anche metodo del profitto obiettivo, consente non solo di recuperare i costi fissi e variabili, ma anche
a generare una certa redditività per unità di prodotto, misurata dal tasso di redditività r che moltiplica
l’investimento totale (K) per unità di prodotto Q : (K/Q). Normalmente r coincide con il WACC (weighted
average cost of capital) e tende a coprire anche il rischio di impresa; il prodotto tra (r x K/Q) ci permette di
esprimere il guadagno che si può trarre dall’investimento.
- ALTRO PREZZO TARGET = PTE/ 1-mc . Un altro modo per definire il prezzo obiettivo è dato dal prezzo
tecnico fratto 1 meno il margine di contribuzione. Questo tipo di metodo è applicato principalmente dalle
aziende della distribuzione perché è molto rapido e semplice. (Il professor Testa ha chiesto perché è
considerato il metodo più rapido e semplice? Purtroppo nonostante sia stato chiesto più volte né il
candidato né il prof poi ha detto la risposta)

Ma oltre ai metodi di determinazione del prezzo collegati ai costi è importante far riferimento a quelli di
determinazione del prezzo in base alla domanda: poiché capire fino a quanto l’impresa può spingersi in
alto, è importante dato che spesso dalla percezione del cliente si risulta che egli è disposto a pagare molto
di più rispetto la marginalità che l’impresa pensa di ottenere ( ciò dipenda anche dal fatto che il cliente non
conosce i costi di impresa.)
LIMITE: essendo basato sui costi non tiene conto dei fattori esterni come la domanda e la concorrenza.
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Chiacchio-Ambrosanio

Metodo di determinazione del prezzo in base alla Domanda:


PREZZO OTTIMALE: 𝑷𝑶𝑽 = 𝑪 𝒙 ( Ɛ/Ɛ+𝟏 )
In questo caso viene utilizzata una componente ‘esterna’ all’impresa ovvero l’elasticità della domanda
rispetto al prezzo che appunto analizza come varia la domanda al variare del prezzo.
Difatti il prezzo ottimale di vendita è determinato dal prodotto fra i costi (C) che possono essere: in base a
se si tratta di una logica direct solo i costi variabili, o altrimenti se in logica full : sia costi fissi che costi
variabili, per Il coefficiente di maggiorazione.
Chiaramente vi possono essere prodotti a domanda elastica i prodotti a domanda rigida:
- prodotti a domanda elastica: sono quei prodotti dove le piccole variazioni di prezzo corrispondono a
grandi variazioni della domanda.
- prodotti a domanda rigida sono prodotti dove piccole o grandi variazioni prezzo corrispondono a piccole
variazioni della domanda.
In base al rapporto: ( Ɛ/Ɛ+𝟏 ), quanto più è alta l’elasticità della domanda al prezzo, e quindi quanto più la
domanda è sensibile, tanto più basso sarà il coefficiente di maggiorazione inerente al prezzo da poter
applicare, che sarà più vicino al costo: ciò per evitare di perdere quote di vendite.
E’ un prezzo che serve per orientare il management per capire quanto ci si può spingere per determinare il
ricavo.
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Il prezzo basato sulla concorrenza è il PREZZO DI MERCATO: che deriva dall’incontro tra domanda-offerta.
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PREZZO A’ LA FISHBAIN: : Pa: Pb= Va:Vb
Per definire il prezzo di un marchio X bisogna effettuare un’analisi sui concorrenti e conoscere il prezzo
della marca di un competitor di riferimento e il valore percepito da parte dei suoi consumatori. (per
marca di riferimento si intende presumibilmente quella più vicina al marchio X in termini di valore
percepito o anche la marca leader del settore). Conoscendo ciò basterà effettuare una proporzione, quindi
rapportare il valore della marca X sul valore della marca di riferimento e moltiplicare il tutto per il prezzo
della marca di riferimento. (Il valore percepito della marca X lo si determina attraverso il modello
compensativo alla Fishbain). Il prezzo ottenuto è detto prezzo di indifferenza, ovvero il prezzo massimo che
la marca X dovrebbe porre, o anche il prezzo massimo che il consumatore è disposto a pagare quel
marchio. Se il prezzo effettivamente applicato sarà più alto, si rischia di perdere nel medio termine quote di
mercato perché il rapporto valore percepito-prezzo sarà sfavorevole, ma se sarà più basso il rapporto è
favorevole per il consumatore e si potrà porre in essere una strategia di penetrazione, altrimenti
l’alternativa è di tramutare in profitto tutto il differenziale di valore che si riesce ad ottenere ( cioè la
differenza tra il prezzo del competitor e quello d’indifferenza) praticando esattamente il prezzo di
indifferenza.
Se il prezzo calcolato si trova al di sotto del prezzo tecnico (di pareggio) significa che l’impresa è in perdita
siccome il prezzo dell’impresa è inferiore al costo unitario medio. A questo punto l’impresa può agire o
modificando il prodotto (innovandolo mediante investimenti) ; o modificando la percezione che il mercato
ha di quel prodotto attraverso una comunicazione chiara degli attributi forti di quel prodotto.
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LA LEGGE DI MOORE:
Ha l’obiettivo di calcolare ex ante , in base alla variazione del prezzo , come deve necessariamente variare
la quantità venduta per mantenere inalterato il margine di contribuzione (il guadagno). Ci fa capire quindi
in che percentuale deve variare il volume di vendita per compensare un aumento o una riduzione del
prezzo: chiaramente se il prezzo si riduce le vendite dovranno aumentare mentre se il prezzo aumenta le

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Chiacchio-Ambrosanio

vendite potranno diminuire.


1) All’aumentare del prezzo si dovrebbe avere una diminuzione della quantità domandata e quindi le
vendite potrebbero diminuire, quindi la formula ci dice qual è la contrazione massima delle quantità
vendute che l’azienda può sopportare per far sì che il margine di contribuzione in % non si riduca.
2) Al diminuire del prezzo si dovrebbe avere un aumento della quantità domandata, quindi la formula ci
dice qual è la quantità minima di crescita delle quantità vendute che l’azienda deve ottenere per far sì che il
margine di contribuzione in % non si riduca.
Al numeratore della formula, si ha la 𝜟% del prezzo a cui viene cambiato il segno, cioè in caso di variazione
negativa del prezzo , il risultato della formula sarà positivo in quanto le vendite aumentano, in caso di
variazione positiva del prezzo il risultato della formula sarà negativo in quanto le vendite diminuiranno.
Al denominatore abbiamo la somma tra due percentuali: il margine di contribuzione in % e la 𝜟% del
prezzo a cui non verrà, questa volta, cambiato il segno. Il tutto moltiplicato per 100 per esprimere questo
valore in percentuale.
È necessario che questa variazione teorica venga confrontata con una variazione “reale” di riferimento.
Questa variazione di riferimento è calcolabile grazie alla formula dell’elasticità, in particolare:
Ɛ = 𝜟𝒒/𝒒 / 𝜟𝒑/𝒑 = 𝜟𝒒/𝒒 = Ɛ 𝒙 𝜟𝒑/𝒑
Con questi calcoli, in funzione dell’elasticità della domanda, possiamo quindi calcolare la variazione che la
domanda realmente subisce per effetto della variazione del prezzo.
È chiaro che se la variazione delle vendite che l’azienda ottiene per effetto della variazione del prezzo data
una certa elasticità rientra nei limiti della variazione massima che l’azienda può sopportare (in caso di
aumento dei prezzi) o minima che deve ottenere (in caso di diminuzione dei prezzi), la variazione del prezzo
è accettabile, in caso contrario è necessario prestare attenzione.
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Come sappiamo, le classiche forme di mercato sono: concorrenza perfetta, monopolio e oligopolio.
1) Nel monopolio la libertà di determinazione del prezzo e assoluta.
2) Nei mercati dove vi è una forte concorrenza, quasi una concorrenza perfetta: le scelte di prezzo per le
imprese sono molto limitate. Quanto più i prodotti sono identici dal punto di vista della tangibilità, più il
parametro di scelta sarà il prezzo.

Un’altra scelta che l’impresa fa sul prezzo è la scelta di un prezzo di scrematura o di penetrazione del
mercato:
1) Il prezzo di Scrematura: consente di individuare una parte del mercato alla quale dedicare il determinato
sistema di offerta. Si mette in atto nel momento in cui si opera con un prezzo mediamente alto rispetto al
mercato, questa decisione si abbina con investimenti in comunicazione (che possono essere bassi o alti) per
cui quando abbiamo un alto prezzo e abbiniamo un alto investimento in comunicazione si parla di
scrematura rapida, mentre quando abbiamo un alto prezzo e un basso livello di comunicazione si parla di
scrematura lenta.
Si applica solitamente in corrispondenza di possesso di una ownership di proprietà.
L’impresa in questo caso potrà contare sul margine unitario molto più alto e pertanto possiamo collegare la
strategia di scrematura alla strategia di differenziazione.

2) Il prezzo di penetrazione: è un prezzo mediamente basso con il quale si cerca di raggiungere il maggior
numero di clienti. Dipende dalle economie di scala. Se si suppone che nel breve termine nessuno dei
concorrenti avrà la capacità di effettuare lo stesso investimento di impianti che ho effettuato io allora si
sceglierà una penetrazione lenta altrimenti si applicherà una penetrazione rapida.

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Chiacchio-Ambrosanio

-La scelta tra prezzo di penetrazione prezzo di scrematura si fa normalmente nella fase di introduzione del
ciclo di vita del prodotto, molto spesso però le imprese nella fase introduttiva pongono in essere una
strategia di penetrazione del mercato in quanto consente loro di ottenere grandi quote di mercato e
beneficiare del vantaggio di ‘first mover’. Ciò consente all’impresa di creare delle barriere all’entrata per i
nuovi competitors, mentre con la strategia di scrematura, Coprendo solamente una nicchia di mercato
potrà trarre grandi vantaggi solo da quella nicchia e non essendoci barriere gli altri concorrenti sono liberi
di copiare l’impresa ed entrare nel mercato. Vi sono alcune circostanze dove è addirittura obbligatorio
praticare un prezzo di penetrazione: si pensi al caso di un prodotto che utilizza un nuovo paradigma
tecnologico.

LA DISTRIBUZIONE:
Un canale distributivo può essere definito come l’insieme di attori che intervengono nel processo di
distribuzione fisica e giuridica di un prodotto dall’azienda che lo realizza al cliente finale. Quindi dal punto di
vista tecnico 4 sono gli attori che rappresentano nel complesso il canale distributivo. I due centrali ovvero
(wholesale + retail) in termini tecnici rappresentano gli intermediari commerciali, appunto perché
intermediano il processo di trasferimento del prodotto dal produttore al consumatore e sono, appunto,
rappresentati dai grossisti e dai dettaglianti.
Si è sottolineato che affinché un soggetto possa essere considerato “attore del canale distributivo” il
prodotto deve essere trasferito non solo dal punto di vista fisico ma anche giuridico, cioè ne diviene
proprietario. Ciò comporta che il rischio dell’invenduto farà capo all’intermediario e non al produttore o, in
caso di trasferimento al dettagliante, farà capo a quest’ultimo e non al grossista.
(Quindi ovviamente se l’azienda per vendere i suoi prodotti ad un grossista utilizza dei trasportatori,
quest’ultimi non fanno parte del canale in quanto il trasferimento dei prodotti avviene solo fisicamente (e
temporaneamente) ma non giuridicamente. Lo stesso discorso vale se l’azienda possiede una propria rete
di vendita diretta (RVD), cioè i venditori dell’azienda che fanno campagne di ordini, o in caso di rete di
vendita indiretta (RVI), cioè agenti, rappresentanti e tutti coloro che operano in autonomia o in supporto
all’azienda ma che non sono dipendenti.)
Funzioni degli intermediari:
- Mettere a disposizione il prodotto al cliente nel luogo giusto: permettono la cliente di recarsi ad un
punto vendita così da non doversi recare direttamente in azienda.
- Riduzione del costo di contatto: cioè se l’impresa dovesse contattare direttamente il cliente finale o i
retailers dovrebbe avere tanti contatti quanti sono i clienti o i retailers , ma se tra l’azienda e clienti
finali/retailers si interpone un altro intermediario, ovvero il grossista, è chiaro che l’azienda anziché avere
tutti quei contatti avrà contatti con uno o pochi intermediari.
- Possibilità di scelta (assortimento): Il cliente per alcune categorie di prodotto vuole avere la possibilità
di scegliere: questa possibilità di scelta l’impresa, gliela può fornire soltanto se si rivolge ad un distributore
che oltre a vendere il proprio prodotto vende anche altri prodotti.
- Economie di scala: Per effettuare la distribuzione, l’impresa si rivolge ad un intermediario che essendo
specializzato, sfrutta le economie di scala trasportando oltre che i prodotti dell’impresa anche prodotti di
altre imprese. Questo permetterà all’impresa di ridurre il costo medio unitario di distribuzione.
Possiamo distinguere diversi tipi di canale distributivo: i canali indiretti e i canali diretti.

1) I CANALI INDIRETTI: sono il canale di distribuzione lungo il canale di distribuzione corto:

- CANALE LUNGO è il canale dove tutti e 4 gli attori intervengono per porre in essere il proprio ruolo ed è
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costituito dall’impresa che si rivolge al grossista che a sua volta si rivolge al dettagliante che si rivolge al
cliente finale. (Setablu)
IMPRESA -> WHOLESALE -> RETAIL -> CLIENTE FINALE

- Nel CANALE CORTO l’impresa salta il canale grossista e si rivolge direttamente sul canale retail. Come
avviene con la grande distribuzione. (GDO) (Esselunga)
IMPRESA -> RETAIL -> CLIENTE FINALE

2) CANALE DIRETTO: Infine possiamo avere il canale diretto in cui l’azienda salta interamente
l’intermediazione commerciale per rapportarsi con il cliente finale, come avviene ad esempio con la vendita
online. (IKEA)
IMPRESA -> CLIENTE FINALE
- Ovviamente quanto più è lungo il canale tanto più sarà costoso, nel senso che il prezzo finale per il cliente
sarà più alto, in quanto ogni fase di intermediazione per svolgere il proprio ruolo richiede un margine.
Differenze retail - wholesale
È chiaro che i livelli di acquisto del grossista e del retail sono completamente diversi:
1) Il grossista acquista in quantità maggiori rispetto al dettagliante, per questa ragione il suo potere
contrattuale è elevato e gli consente di praticare prezzi più bassi. Inoltre il grossista, molto spesso, acquista
in confezioni che non coincidono con quelle che vengono vendute al cliente finale, ciò perché il suo cliente
è il dettagliante (ad esempio il grossista acquista Pallet di acqua imbottigliata, il dettagliante acquista
confezioni, il cliente finale acquista singole casse/bottiglie di acqua).
- Da ciò consegue che una delle funzioni del retail (oltre quello di rendere disponibile il prodotto in un certo
luogo e ad un certo prezzo) è anche quella di rendere disponibili i prodotti in un certo
formato/confezione/dimensione più appropriato al cliente finale.
TIPOLOGIE DI DETTAGLIANTI
Il problema per un’azienda non è soltanto quello di scegliere la lunghezza del canale, ma, supponendo di
aver scelto il canale corto, anche quello di scegliere quanti e quali dettaglianti utilizzare.
La scelta riguarda soprattutto il format distributivo in cui possiamo distinguerli sulla base di vari parametri:
superficie, localizzazione, comparto ( grogery o not grocery ), assortimento e il livello del prezzo.
- Grande Magazzino: la superficie è piuttosto ampia, tipicamente localizzato nel centro urbano
sostanzialmente è not grocery (abbigliamento}, l'assortimento abbastanza ampio e profondo mentre il
prezzo è tipicamente molto elevato. (La Rinascente)
- Supermercato: ha un superficie media, possiamo trovarlo sia nel centro urbano, in periferia ecc e vi è una
prevalenza di prodotti food. (Decò)
- Ipermercato: è dimensioni maggiori del supermercato ed ha una localizzazione extraurbana e tratta
grocery e not grocery. (Carrefour)
- Superette: che è un mini supermercato , presente soprattutto nei centri città. (Conad).
- Grande distribuzione specializzata, cioè i grandi magazzini organizzati per reparti in cui non vi è la
presenza di prodotti food (Leroy Merlin.)

Gli elementi sui quali l’impresa si basa per scegliere che tipologia di canale distributivo utilizzare sono 3:
- Caratteristiche del mercato: quanto più il mercato è vasto, tanto più all’impresa converrà adottare un
canale distributivo lungo in modo tale da ridurre il numero di contatti a cui rivolgersi (ad un massimo di 2-3
intermediari).
- Caratteristiche dei prodotti: ad esempio un prezzo elevato consiglia la scelta di un canale breve (questo

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per non incidere ancor di più con un aumento del prezzo stesso). Oppure se l’impresa ha un assortimento
scarso, le conviene scegliere un canale indiretto così che si dia la possibilità di scelta al cliente presso un
punto vendita fornito di prodotti suoi e non.
- Caratteristiche dell’impresa: nel settore del lusso se un’impresa possiede dei propri punti vendita,
converrà adottare un canale diretto. (integrazione)

STRATEGIE DI COPERTURA (STRATEGIE A LIVELLO RETAIL)


La copertura del mercato, permette di capire , in relazione alle caratteristiche del prodotto, quanto
quest’ultimo dev’essere presente sul mercato, attraverso i punti vendita. Si distinguono tre tipologie di
copertura del mercato:
- Copertura Intensiva: il prodotto deve essere presente nel maggior numero di punti vendita possibili.
Riguarda i Convenience qoods (ovvero i beni di largo consumo) che sono quei prodotti che se cliente si
trova davanti acquista, poiché non richiedono una spesa elevata e sono a debole coinvolgimento. (snacks,
shampoo)
- Copertura Selettiva: il prodotto deve essere presente in alcuni punti vendita selezionati.
Riguarda gli Shopping qoods, cioè quei prodotti dove il livello di spesa aumenta e dove quindi la
comparazione viene posta in essere dal cliente. (elettrodomestici)
- Copertura Esclusiva: il prodotto deve essere presente solamente in alcuni punti vendita che hanno alcune
caratteristiche di esclusiva del mercato.
Riguarda gli Excellent qoods, cioè quei prodotti per i quali è necessario un elevato livello di spesa e che
sono caratterizzati da un elevato rischio di acquisto; per motivo la comparazione è molto forte. (Capi d’alta
moda)
Per capire se l’impresa è stata capace di produrre il tipo di copertura che aveva in mente essa può utilizzare
due indicatori che sono:
- Copertura Numerica: si calcola ➔ N" intermediari raggiunti / N" intermediari trattanti.
Ad esempio, se quelli che vendono pasta sono 100.000 (denominatore) se con la mia marca di pasta
raggiungo 10.000 intermediari (numeratore); il grado di copertura numerica è pari al 10%.
- Copertura ponderata: si calcola ➔ Fatturato degl'intermediari raggiunti/ Fatturata degl'intermediari
trattanti. Che ti permette di calcolare l’importanza in termini di vendite che i punti vendita in cui il prodotto
è presente hanno.

STRATEGIE DI COMUNICAZIONE CON INTERMEDIARI (PULL/PUSH)


Nell’area delle strategie di comunicazione con intermediari, si distinguono due tipologie di strategie di
comunicazione: la strategia Pull e la strategia Push. L’intento è appunto capire come l’impresa,
l’intermediario e il consumatore comunicano:
STRATEGIA PULL: (pull: tirare) Consiste nel promuovere un prodotto/servizio direttamente sul cliente
finale, il quale viene attratto verso di esso. Scopo di questa strategia è incrementare la domanda; strumenti
principali sono la pubblicità e le promozioni.
STRATEGIA PUSH: (Push: spingere) Prevede la promozione di un prodotto o di un servizio spingendolo
verso il cliente finale attraverso gli intermediari, qui la persuasione riveste un ruolo di fondamentale
importanza.
- All'aumentare della complessità del prodotto è molto più probabile una comunicazione di tipo push
perché ci vorrà un soggetto che spiega al consumatore le caratteristiche;
- Se il prodotto è molto semplice (pacchetto di patatine) strategia consigliata è quella pull (infatti i prodotti
semplici vengono comunicati spesse volte mediante la pubblicità);
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Chiacchio-Ambrosanio

- inoltre la strategia push è anche idonea a quando vi è una certa dispersione dei clienti
- mentre nel momento in cui si vuole sostenere un minor costo rispetto alla vendita personale, è meglio
puntare su una strategia pull.
Nella maggior parte dei casi l'impresa cerca di utilizzare entrambi.

TIPOLOGIE DI CANALE DISTRIBUTIVO


I canali oltre ad essere distinguibili in lungo, corto e diretto, possono distinguersi in canali convenzionali e
canali verticali.
1) Il canale convenzionale è definito così in quanto ogni soggetto lavora indipendentemente dall’altro, cioè
non c’è un’alleanza o un accordo tra le parti.
2) Per controllare il canale le imprese pongono in essere i c.d. sistemi verticali di marketing (canali
verticali): Essi sono delle formule di collegamento lungo la filiera distributiva, tra produttore e distributore.
Normalmente si tendono a distinguere tre categorie di sistemi verticali di marketing: integrati, contrattuali
e controllati.

- I SISTEMI INTEGRATI: in realtà sono dei "finti-sistemi" in quanto l'impresa che produce il bene diventa
proprietaria del distributore. Il collegamento lungo la filiera deriva da una proprietà assoluta dell'impresa
sul distributore. (Gucci)
- I SISTEMI CONTRATTUALI: A volte il collegamento tra l'impresa che produce il bene-servizio e il
distributore, è passato su un accordo sancito da un contratto. Il distributore e il produttore stipulano un
contratto che consenta ad entrambe le parti di ottenere vantaggi; la formula contrattuale più importante
che regola questo tipo di relazioni è il franchising, poi abbiamo le unioni volontarie e i gruppi d’acquisto.
(Mc Donald)
- I SISTEMI CONTROLLATI: Il terzo tipo di sistema verticale di marketing è definito controllato in quanto in
alcuni casi il produttore controlla ed influenza in maniera determinante il distributore attraverso il suo
elevato potere contrattuale. (P&G - Procter & Gamble).

FRANCISING: è una delle tipologie di sistema verticale di natura contrattuale, in cui due attori:
franchisor e franchisee, si accordano per sviluppare una certa attività commerciale. In particolare il
franchisor concede al franchisee l’utilizzo del marchio e il franchisee deve vendere esclusivamente i
prodotti in assortimento del franchisor ad un certo prezzo imposto.
Per quanto riguarda i Vantaggi del Franchisee:
1) sicuramente un primo vantaggio è collegato al brand, cioè la possibiltà di usufruire di un marchio già
affermato;
2) La riduzione del rischio d'impresa in quanto si tende ad usufruire di una formula già utilizzata dal
mercato;

3) Un ulteriore vantaggio è che il franchisee viene fornito di tutti i prodotti, ha la possibilità di sfruttare la
formazione del personale proposta dal franchisor;
4) La possibilità di sfruttare migliori condizioni di prestito, visto che anche per la banca il rischio di impresa
si è ridotto;
5) Il franchisee ha la possibilità di accedere a tutta una serie di elementi come macchinari, attrezzature,
layout, che se volesse reperire da solo chi verrebbe a costare molto di più rispetto a quando stipula un
contratto di franchising in quanto il franchisor, grazie all’effetto network del franchising, può sfruttare un
effetto scala.

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Chiacchio-Ambrosanio

Per quanto riguarda I Vantaggi del Franchisor :


1) Egli grazie al suo network di franchising riesce a penetrare meglio il mercato;
2) ovviamente il franchisee per poter godere tutti quei vantaggi deve pagare il franchisor ( il franchisee a
seconda della tipologia del contratto di franchising, paga una certa fee di ingresso e successivamente una
royalty, ovvero una percentuale sul fatturato.
3) Più ampio è il sistema, più il franchisor potrà contare su ampie economie di scala, difatti un sistema a
rete del genere può funzionare solo se raggiunge un’ampiezza minima altrimenti si rischia di uscire fuori dal
mercato come avvenne a Blockbuster.

Date queste caratteristiche il franchising viene anche definita come una forma di quasi-integrazione
verticale o pseudo-integrazione verticale, perché l’azienda “madre” non sostiene i costi fissi e i rischi
connessi con l’avere propri punti vendita, ma questi costi fissi e questi rischi faranno capo agli affiliati.

2) Unioni volontarie:
Sono forme di integrazione verticale, regolate da uno statuto ed evidenziate da un marchio comune, fra
uno o più grossisti e commercianti al dettaglio i quali, pur conservando singolarmente la propria autonomia
giuridica e patrimoniale, si accordano dal punto di vista operativo al fine di organizzare in comune gli
acquisti ed alcuni servizi per lo sviluppo delle vendite e il miglioramento della produzione delle singole
imprese aderenti. I grossisti si accordano con i dettaglianti su vendite certe a prezzi inferiori, ridurre così il
rischio grazie alle vendite a loro destinate e la possibilità di acquistare maggiori quantità sfruttando al
meglio le economie di scala. ; (es: Proshop)

3) Gruppi di acquisto:
sono dei consorzi che si creano tra dettaglianti che, collaborando in gruppo, riescono a vantare agevolazioni
economiche in termini di approvvigionamento, derivanti dal maggior potere contrattuale nei confronti dei
fornitori ( sfruttando economie di scala ) e, saltando l'anello del grossista, giungono a proporre merci a
prezzi maggiormente concorrenziali. A questo si aggiungono i vantaggi conseguibili dallo sfruttamento del
marchio. Da questo punto di vista rappresentano la risposta del piccolo dettagliante al dominio della
grande distribuzione in quanto si riesce a competere sui volumi e quindi sui costi di acquisto. Inoltre è
possibile unire anche altre attività come la comunicazione, l’amministrazione e così via.
(es. Sigma, Conad, Crai)

Sempre di più le imprese tendono ad orientarsi per una distribuzione multicanale, cioè allo stesso tempo
utilizzare negozi di proprietà, franchising, la grande distribuzione e così via. Molto spesso le imprese optano
per una distribuzione multicanale perché ad ogni canale corrisponde un determinato target di clienti.
Un esempio di distribuzione multicanale è rappresentato da quelle imprese che vendono prodotti sia in
punti vendita fisici che su Internet.

COMUNICAZIONE
La comunicazione è sempre composta da un messaggio che viene veicolato da un mezzo, la scelta di
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Chiacchio-Ambrosanio

quest’ultimo dipende dal target a cui ci si riferisce. La comunicazione tra due soggetti prevede un'emittente
che codifica un messaggio e il soggetto ricevente lo decodifica, lo interpreta ed eventualmente da una
risposta.
Tra i diversi tipi di comunicazione esistenti (economico-finanziaria; istituzionale; organizzativa; Integrata:
che include tutte le tipologie di comunicazione dirette(contatto diretto con i clienti) ed indirette; indirette:
comunicazione di massa e passaparola tra clienti e non clienti)
Un ruolo importante lo ricopre la comunicazione di marketing.
La comunicazione di marketing prevede diversi modelli:

- COMUNICAZIONE DI MASSA: il cui classico esempio è la pubblicità. È un tipo di comunicazione che si


definisce one-to-many con cui l’impresa decide il messaggio e lo porta ad una grande quantità di persone.
La possibilità di feedback e l’Interattività da parte dei clienti è molto limitata, praticamente assente; i costi
da sostenere sono medio bassi (in termini di costo contatto).

- COMUNICAZIONE INTERPERSONALE: È la classica comunicazione fatta dall’impresa mediante un suo


rappresentante che si lega direttamente al cliente. Il suo vantaggio è rappresentato dalla maggior
percentuale che quel contatto di pubblicità si trasformi poi in rendita, si può dire infatti che questo tipo di
comunicazione risulta essere più efficace di quella di massa , ma prevede un livello di costo-contatto più
elevato. In questo caso la possibilità di feedback ed interazione elevata.

- COMUNICAZIONE TRAMITE INTERNET: essa rappresenta un nuovo canale di comunicazione che riesce a
mettere insieme l’efficacia della comunicazione interpersonale l’efficienza della comunicazione di massa.
Essa può essere sia What one, one-to-many, many to one e many to many (come avviene nelle chat o sui
forum). La comunicazione tramite Internet è più interattiva della comunicazione di massa, anche se il
feedback non è diretto. Dal punto di vista di costo-contatto, in molte circostanze è bassissimo, quasi nullo:
come inviare e-mail broadcast.

Per capire se la pubblicità ha funzionato oppure no: si potrebbe agire andando a misurare la notorietà,
poiché si può dire che la pubblicità funziona quando il cliente la riesce anche a distanza di tempo, ad
associare un determinato prodotto; e verificando il volume delle vendite.

FORME DI COMUNICAZIONE (COMMUNICATION MIX)


1) PUBBLICITA’
PROCESSO DECISIONALE DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA
Quando un’azienda necessita di una campagna pubblicitaria deve innanzitutto scegliere l’agenzia di
comunicazione. Questa scelta sarà fortemente influenzata dal tipo di comunicazione che si intende
implementare, cioè o attraverso i media tradizionali (tv, giornali ecc.) o una comunicazione non
convenzionale (online, social network, ecc.).
1) DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI GENERALI: Innanzitutto gli obiettivi generali delle pubblicità devono
essere coerenti con gli obiettivi strategici di vision e mission. Possiamo definire gli:
- Obiettivi cognitivi: aumentare la notorietà del prodotto e fare in modo che, quando il cliente associa ad
una categoria merceologica un determinato prodotto, associ il prodotto dell’impresa che stiamo
considerando.
- Obiettivi emotivo-attitudinali: Modificare l’atteggiamento del cliente nei confronti del prodotto: potrebbe
infatti capitare che il cliente conosce prodotto ma non gli piace e quindi la pubblicità all’obiettivo di far
cambiare idea al cliente.
-Obiettivi comportamentali: Quelli di aumentare le vendite del prodotto.
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2) DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI SPECIFICI: in questo caso l’impresa deve stabilire chi è il target che la
pubblicità deve raggiungere, quali sono i contenuti della campagna pubblicitaria e definire il budget
massimo di spesa:
La definizione di “quanto destinare” alla campagna pubblicitaria può avvenire diversi modi:
1) semplicemente ciò che residua lo si spende in pubblicità (budget residuo),
2) oppure quanto bisogna investire affinché le vendite possano raggiungere il BEP e quindi coprire gli
investimenti fatti in pubblicità (budget tecnico),
3) sulla base di una determinata percentuale del fatturato;
4) oppure prefissandosi dei budget obiettivi in termini di Occasioni di vista/Ascolto;
5) o il budget “parità competitiva”, cioè destinare tante risorse che mi permettano di raggiungere una
parità con i concorrenti.
3) BRIEFING: la trascrizione degli obiettivi generali e specifici, tramite relazione che verrà poi trasmessa
all’agenzia pubblicitaria che trasformerà in maniera creativa la modalità di comunicazione al cliente rispetto
però le decisioni prese dall’impresa.
4) CREAZIONE DELLA PUBBLICITÀ: Verrà definito il messaggio e i mezzi con cui comunicare (TV, radio,
Internet ecc); La pubblicità verrà realizzata.
5) VALUTAZIONE: essa valutata in termini di efficacia ed efficienza. (Notorietà/vendite)

Altre forme di comunicazione:


- PROMOZIONE DELLE VENDITE: È una forma di comunicazione in quanto rappresenta un modo per
convincere il cliente ad acquistare il prodotto: consiste nelle cosiddette offerte speciali; punti premio.
Spesse volte è una strategia posta in essere nella fase di introduzione del prodotto: si pensi al cosiddetto
sconto prova o al prezzo lancio. Spesso viene utilizzata per creare esperienza del cliente: proprio perché
una delle cose che influenza il valore atteso del prodotto è proprio l’esperienza pregressa del cliente: se
l’impresa fa provare il prodotto al cliente quest’ultima è soddisfatta, ci sarà un’elevata probabilità che
ripeterà l’acquisto.
- VENDITA PERSONALE: si manifesta quando l’impresa si dota di un venditore personale per raggiungere i
clienti; i classici tipi di prodotti per i quali si fa vendita personale sono i prodotti
- RELAZIONI ESTERNE: consistono in forme di comunicazione orientata a far conoscere l’impresa e i suoi
prodotti, a rafforzare la sua immagine nei confronti del pubblico. Per effettuare questo tipo di
comunicazione interviene l’ufficio relazioni esterne. Ad esempio nel momento in cui l’impresa lancia un
prodotto organizza una conferenza invitando esperti del settore con lo scopo di comunicare sicurezza al
cliente circa il nuovo prodotto.
- DIRECT & INTERACTIVE: piattaforme Internet con cui il cliente ha la possibilità di ascoltare non solo
l’impresa ma anche gli altri che prima di lui hanno fatto lo stesso acquisto: come sui forum.

PRISMA DI KAPFERER: (argomento assente sulle dispense e spiegato solo a lezione)


È un modello di branding che considera i seguenti elementi:
il contesto dell’emittente: considerando la personalità della marca (quindi il suo carattere) ;
le sue caratteristiche oggettive (cioè cosa offre)
Contesto del ricevente: considera la self image ( come il Target percepisce se stesso); E la sua immagine
riflessa (la marca che viene associata così al target)
Con questo prisma facciamo riferimento a come l’impresa vuole essere e vuole apparire nei confronti del
target. Si parla di:
- Esternalizzazione: cioè come l’impresa si pone nei confronti del target (ad es: Redbull con i suoi eventi di
coinvolgimento)
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- Internalizzazione: cioè i valori che l’impresa vuole trasmettere ai suoi consumatori ( ad es: coca-Cola:
felicità; fratellanza.)

LA COPY STRATEGY
La copy strategy è il cuore della strategia di comunicazione in quanto identifica la tipologia e le
caratteristiche del messaggio rivolto al consumatore.
La copy strategy richiede la definizione di quattro punti:
- Target group, cioè chi è il target di clienti a cui è rivolto il messaggio (casalinghe, uomini aperti, giovani
chiusi e così via);
- Promise, cioè la promessa centrale o unique selling proprosition che l’azienda attraverso il messaggio
rivolge al target group che il prodotto-servizio può portare al cliente ( si sostanzia spesso nel payoff la cioè
frase che accompagna il logo, ed esprime in maniera sintetica i valori che l’impresa vuole promettere al
consumatore). Tendenzialmente le aziende non modificano nel tempo la loro promise, magari la
rappresentano in maniera nuova con nuovi testimonial, con un linguaggio un po’ diverso ecc. ma quasi mai
la modificano, soprattutto dopo che si è affermata;
- Reason why? Rappresenta la motivazione per cui i consumatori dovrebbero credere a quella promessa,
molto spesso non viene inclusa nel messaggio pubblicitario ma viene trasmessa in formato cartaceo perché
richiede un approfondimento ulteriore;
- Tone, cioè il tono del messaggio che può essere scherzoso, serioso, mascolino, femminile, sensuale, e così
via. Ovviamente ciò dipenderà dal tipo di prodotto che si vuole comunicare.
ESEMPIO ROCCHETTA E ULIVETO:
PAYOFF: “acque della salute”
PROMESSA CENTRALE: “sono molto utili al tuo benessere e alla tua bellezza”
REASON WHY: Uliveto ti aiuta a digerire e a vivere in forma; Rocchetta ti depura dalle scorie ed elimina i
liquidi in eccesso.

GPR
Il (Gross Rating Point): è un indice quantità di pressione comunicazionale lorda (cioè al lordo delle
ripetizioni dell’ascolto e della vista) prodotta da un mix di veicoli pubblicitari su un determinato target
group, e che può essere anche uno degli obiettivi di una campagna di comunicazione.
Esistono diversi modi per calcolarlo:
1) rapportando l’audience (cioè i contatti utili lordi, cioè quanti contatti si hanno indipendentemente dal
fatto che una stessa persona può vedere e/o sentire quella comunicazione più volte) /
e il target group (cioè il numero di consumatori a cui è rivolto il messaggio) e moltiplicare il tutto per 100
2) Moltiplicando la frequency (cioè quante volte un consumatore target viene esposto a quel messaggio in
media) e il reach che può essere espresso in 2 modi: quota di pubblico obiettivo raggiunta da quel
messaggio; Numero di persone diverse che sono esposte almeno una volta all’annuncio pubblicitario in un
certo intervallo temporale.
3) l GRP è calcolabile anche andando a moltiplicare la frequency, il reach e l’impact : che misura il valore
qualitativo medio di una singola esposizione all’interno di un certo mezzo, l’impact è un valore compreso
tra 0e 1 e può essere misurata ad esempio con ricerche di mercato ai consumatori esposti al messaggio).
Calcolando il GRP in questo modo è possibile ottenere una misura ponderata della qualità di esposizione.

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