Sei sulla pagina 1di 44

Verso un uso non sessista della lingua italiana

Imm.11

Scritto da:

Bernadette Hofer
Università di Vienna
Numero di matricola: a1203444

per la lezione di:

Sociolinguistica dell'italiano (L-FIL-LET/12)


Professoressa Giovanni Marina Alfonzetti
Università di Catania
Semestre invernale 14/15

1 Preso da: LOUISBACK.COM: Text und Kommunikation. Trovato su: http://www.louisback.com/geschlechtergerechte-sprache [scaricato:
09/02/2015].

1/28
1 Prefazione
Il motivo che mi ha portato a scrivere questa tesina nasce da un bisogno di voler usare un
linguaggio non sessista anche quando parlo italiano. Essendo forte sostenitrice del gendering in
tedesco e essendo una persona che senza esitare usa la dibattuta I-maiuscola per riferirsi sia alla
donna sia all'uomo nel tedesco, vorrei sapere di più sul gendering nell'italiano.
Nella prima parte della mia tesina mi si proponevano le seguente due domande:
• Come si potrebbe manifestare un uso sessista della lingua italiana?
• Quale iniziative vengono prese in Italia per promuovere un uso non sessista della lingua?
Prima di poter rispondere a queste domande mi pare utile iniziare con una introduzione teorica e
con spiegazioni di termini come “lingua”, “genere” e “sessismo linguistico”.
Inoltre è il rapporto fra simbolismo e lingua che vuol essere esaminato in queste pagine in modo
sintetico. L'obbiettivo che mi propongo per questo lavoro è, dopo aver approfondito il tema, capire
in che modo un uso non sessista della lingua potrebbe o non potrebbe portare avanti l'idea della
parità di genere. Vorrei sviluppare una sensibilità maggiore per il collegamento fra comportamento
linguistico e comportamento sociale e cerco di presentare un immagine abbastanza bilanciata. Lo
considero importante includere sia opinioni di persone che vedono un nesso molto stretto fra
pensiero e lingua e sia quelli che parlano di un nesso di rilevanza minore.
Per la seconda parte della mia tesina ho scelto un approccio empirico, tramite il quale cerco di
ottenere un'idea generale del attuale gendering che viene usato nella realtà linguistica. Mi voglio
focalizzare in questa seconda parte soprattutto sulle desinenze al femminile dei titoli professionali e
l'uso dei quali sui giornali e nel parlato. L'intera ricerca empirica si terrà su una scala molto limitata
e per questo gli oggetti d'analisi saranno solamente due giornali, la Repubblica e il Giornale, e
l'analisi sul parlato sarà condotta su un campione molto ridotto. Inoltre sono le atteggiamenti verso
un uso di tale desinenze al femminile che mi interessano e che cerco di raccogliere tramite un
sondaggio su facebook e tramite interviste.
Nella seconda parte della mia tesina le domande sono principalmente queste:
• Fino a quale punto le desinenze al femminile per titoli professionali vengono usate?
• Quale ragioni sostengono un uso o non-uso di tale desinenze?
È ovvio, che una tesina tale, non potrà approfondire e chiarire in modo sufficiente tutte queste
domande. Pur nonostante vorrei provare di non presentare solamente idee comuni e superficiali ma
cerco di entrare in profondità ove possibile e mi metto l'obiettivo di essere più pronta dopo questa
tesina nelle discussioni sul gendering e sapere di più su i suoi implicazioni.

2/28
2 Parte teorica
Che cosa è una lingua
“La lingua [...] è un sistema simbolico di segni che associa espressione fisica (significante) e
contenuto (significato) in singole unità” (ROBUSTELLI 2000:2). Il contenuto di una lingua è
determinato dalla necessità dei parlanti di esprimersi e cioè “significare” fatti della realtà extra-
linguistica con simboli del sistema linguistico. La rappresentazione fonica e quella grafica
dipendono dalle convenzioni morfofonetiche della lingua oggetto. L'uso concreto di essa presenta
abitudini, tradizioni, ecc. che sono prodotti da secoli storici. La lingua muta in continuazione dando
sempre luogo a innovazioni. Mentre il lessico tramite l'introduzione di neologismi soddisfa molto
velocemente questo bisogno di innovazione linguistica, la sintassi e la morfologia sono molto più
lente e restie a cambiare (cfr. ibid). “L’italiano, per esempio, come molte altre lingue distingue sul
piano formale tra genere femminile e genere maschile, e ciò obbliga a fare riferimento ad una
distinzione di tipo sessuale anche quando essa non è pertinente per quello che si sta dicendo”
(ibid:2-3).
Nel suo Corso di linguistica generale De Saussure aveva definito il rapporto fra significante e
significato come arbitrario escludendo ogni riferimento alla naturalità o una necessità di qualsiasi
genere. Nella filosofia post-strutturalista negli anni '60 e '70 l'arbitrarietà del segno è stata ripresa
con un'enfasi sulla profonda immotivazione che caratterizzerebbe il linguaggio. Erano in particolare
Derrida e poi anche Foucault che piegavano questa nozione di arbitrarietà e cercavano la legalità
interna e immanente al linguaggio piuttosto che il suo rapporto con il mondo. I filosofi post-
strutturalisti dunque hanno fatto l'arbitrarietà del segno proprio il punto d'appoggio per la loro
ricerca. Riflettendo sul linguaggio nel suo complesso l'immotivazione dello stesso come constatato
dai strutturalisti, i post-strutturalisti la vedevano proprio come una minaccia che avrebbe dato
legittimazione alla mancanza del significato sul legame del pensiero con il mondo (cfr. ZAMBONI
in MARCATO (a cura di) 1995:53-56). La linguista Julia Kristeva “afferma con molta chiarezza che
c'è un limite nel modo in cui la linguistica strutturalista parla del linguaggio: essa non ha preso in
considerazione i processi di produzione del linguaggio e si è limitata a studiarlo come sistema già
dato, che lei chiama 'simbolico'“(ibid:56). Questo simbolismo del sistema linguistico spesso non
viene considerato, però è esattamente il nucleo del tema lingua e genere. È importante vedere da
una parte le ripercussioni del simbolismo sulla lingua e dall'altra l'effetto della lingua stessa sul
simbolismo. Si deve perciò focalizzare sullo stretto intreccio fra simbolismo e lingua invece di
vedere la lingua come un sistema chiuso (cfr. BAZZANELLA 2010:3).

3/28
Che cosa si intende con genere nella linguistica
In opposizione al termine “sesso” il termine “genere” o in inglese gender si riferiscono al sesso
come costruzione sociale. Più delle differenze biologiche vengono focalizzati relazioni di potere che
sono collegati al sesso biologico e che si sono sviluppati nell'arco storico trovando anche
rappresentazione nella lingua odierna (cfr. BAZZANELLA 2010). “Genere’ negli ultimi decenni
[...] viene usato in luogo della parola ‘sesso’ per denotare la costruzione di un’identità, maschile o
femminile, certamente legata al sesso naturale, ma determinata da variabili sociali” (LURAGHI e
OLITA 2006:13).
Quando si parla del nesso di lingua e gender si possono distinguere diverse categorie del genere:
grammatical gender-marking, lexical gender e social gender. Con il grammatical gender-marking si
intende processi in cui parole vengono marcate tramite mezzi morfologici, forme pronominiali, ecc.
in genere. Lexical gender si riferisce alla distinzione lessicale per il sesso del referente come
succede per esempio in italiano con le parole “genero” e “suocera”. Il social gender è legato ai ruoli
che vengono attribuiti – spesso a base di stereotipi – al sesso femminile e al sesso maschile. Anche
se il social gender può tante volte rappresentare la realtà, è anche esso costruito in base
all'interazione sociale. La critica espressa dai gender studies riguarda il rapporto fra genere,
stereotipi e lingua e l'evidente considerazione dell'inferiorità della donna accompagnata da una
generale priorità dell'uomo. La donna viene spesso ridotta a oggetto sessuale e questo anche in paesi
che, a livello istituzionale, affermano di aver raggiunto pari opportunità (cfr. BAZZANELLA
2010:1-2). “Il genere non è soltanto una categoria grammaticale che regola fatti puramente
meccanici di concordanza, ma è al contrario una categoria semantica che manifesta entro la lingua
un profondo simbolismo” (VIOLI 1986:41).
Interiorizzare una consapevolezza per l'identità di genere e cercare di sviluppare una certa
sensibilità per residui ideologici di stampo androcentrico che si concretizzino sia sul piano lessicale
che morfosintattico sono precondizioni per evitare usi della lingua che possono essere percepiti
come sessisti (cfr. ROBUSTELLI 2000:1).

Che cosa è il sessismo linguistico


Nella linguistica si intende con il termine sessismo linguistico o in inglese linguistic sexism una
manifestazione della differenza sessuale nel linguaggio. Più concretamente questo termine si
riferisce a una differenza profonda nel linguaggio quando si rappresenta la donna rispetto all'uomo.
In Italia è stata Alma Sabatini che aveva rinforzato il dibattito con la scrittura del libro “Il sessismo
nella lingua italiana” pubblicato nel 1987 (cfr. ROBUSTELLI online).
Presupponendo una adattabilità indefinita della lingua si può arrivare alla tesi che qualsiasi lingua

4/28
permette a ogni individuo di esprimersi in modo del tutto soddisfacente. L'ipotesi generale però, che
si è sviluppata all'interno di diversi movimenti femministi, è che i nostri discorsi non sono ciò che
un parlante in piena libertà decide di dire ma sono determinati da ideologie e categorie fondamentali
che prendono forma nella nostra lingua (cfr. LEPSCHY 1989:62).
“Mentre gli uomini sentono che la lingua manifesta nello stesso tempo sia la loro condizione di
esseri umani sia la loro condizione di maschi, le donne trovano che la stessa lingua non corrisponde
ugualmente alla loro condizione specifica di donne e che perciò è inficiata anche la sua presunta
universalità umana” (ibid:62-63).
La questione del sessismo nella lingua si focalizza con un atteggiamento empirico su aspetti dell'uso
della lingua che rappresentano distinzioni ingiuste tra donne e uomini. L'importanza di un tale
atteggiamento critico e una maggiore attenzione verso una discriminazione sessista che si può
riflettere nella lingua, viene considerata fondamentale, visto che il linguaggio ha un ruolo decisivo
[…] nella costruzione sociale della realtà e, quindi, anche dell'identità di genere maschile e
femminile […]” (ROBUSTELLI online). Tale nozione si richiama a un concetto conosciuto come
“l'ipotesi Sapir-Whorf” nella quale viene espresso un nesso stretto tra lingua e pensiero. Anche se
B.L. Whorf ha creato qualche resistenza nella comunità dei linguisti con la sua idea di un rapporto
deterministico fra ragionamenti mentali e lingua, viene lo stesso considerato falso l'estremo opposto
di un nesso non evidente fra lingua e pensiero. “L'ipotesi generale è che la lingua non solo
manifesta, ma anche condiziona il nostro modo di pensare: essa incorpora una visione del mondo e
ce la impone” (LEPSCHY 1989:62). La lingua come mezzo comunicativo non rappresenta la realtà
ma è già un'interpretazione di essa incorporando una visione del mondo che nel processo discorsivo
manifesta e realizza. “[…] È perciò necessario che sia usata in modo non “sessista” e non privilegi
il genere maschile né continui a tramandare tutta una serie di pregiudizi negativi nei confronti delle
donne, ma diventi rispettoso di entrambi i generi (ROBUSTELLI online)”

3 L'asimmetria linguistica fra uomo e donna


nell'italiano
Nell'ambito anglo-americano il tema del sessismo nella lingua è stato discusso già negli anni 70,
diversi paesi occidentali seguivano e pubblicavano raccomandazioni per un uso non sessista della
lingua. Era il “linguistic turn” degli anni venti dell'ultimo secolo che aveva portato anche la
linguistica a focalizzare sull'uso della lingua e sulle differenze fra gender e sesso che si riflettono in
essa. La lingua come punto di riferimento ha assunto maggiore importanza in diversi ambiti
scientifici come nell'antropologia, nella filosofia e la critica letteraria. “Questo allargamento

5/28
interdisciplinare si lega alla prodigiosa influenza delle idee post-strutturaliste, che hanno
sottolineato la natura discorsiva, testuale, della vita sociale […]” (ROBUSTELLI online).
Era anche nel corso di queste ricerche post-strutturaliste che si è sempre diventati più attente al
discorso come main locus per la costruzione di significati e atteggiamenti linguistici sessisti. L'idea
sempre più diffusa è che in esso si rispecchia il sessismo molto di più che nella lingua di per sé. “Gli
sforzi riformistici a livello di parole, desinenze, etc., vengono visti oggi come limitati
e limitanti, come hanno provato anche i numerosi fallimenti, ormai riconosciuti, di introdurre
riforme profonde nei sistemi delle singole lingue” (ibid). La funzione di oscuramento si esplica
soprattutto su un livello morfologico, dove – come già menzionato nei primi paragrafi – il maschile
viene usato in modo generalizzante o il riferimento alla donna viene fatto usando una forma marcata
che enfatizza una forma deviante rispetto alla norma.
Le linguiste femministe in Italia hanno scelto maggiormente un approccio psico-analitico e
filosofico orientandosi verso il discorso di Luce Irigaray. “Il loro punto di partenza non è tanto il
sistema linguistico ma la lingua come espressione di una struttura presemiotica nella quale il
maschile funziona come esclusivo e nella quale la dualità di maschile-femminile viene velato. Il
femminile viene negato totalmente o viene presentato come ciò che è diverso, che non fa parte della
norma” (VON BONKEWITZ in MARCATO (a cura di) 1995:101). Il primo tentativo verso un
cambiamento linguistico e una maggiore cautela nell'uso linguistico, è stato fatto da Alma Sabatini,
la quale ha stabilito alternative non-sessiste per l'italiano. La linguista Tatjana von Bonkewitz ha
fatto un'analisi profonda di quattro libri scolastici della scuola media, cercando di verificare se le
autrici dai libri hanno rispettato il lavoro di Alma Sabatini e se il concetto di sessismo nella lingua
viene presentato. Dopo un'introduzione al lavoro di Alma Sabatini, tre ricerche sull'asimmetria
linguistica stanno al centro di questo terzo paragrafo.

Sabatini: Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana


Convinto che l'uso di un termine anziché un altro non è solo una scelta estetica ma comporta una
modificazione del pensiero, Sabatini ha scritto queste raccomandazioni per dare visibilità linguistica
alle donne e per suggerire un comportamento linguistico che si oppone al sessismo. L'autrice prende
spunto dal atteggiamento conservativo nei confronti dei cambiamenti linguistici che spesso si
incontra quando si parla del gendering. Anche se la lingua cambia in continuazione, perché è un
sistema molto dinamico che si deve sempre adattare alle necessità dei parlanti le quali se stesse
cambiano in modo continuo, spesso la richiesta per un uso non sessista della lingua viene riguardato
“contro la natura della lingua” oppure persino un attentato alla libertà di parola, perché sia
prescrittiva e perciò limitando la scelta della libertà. In modo del tutto contrario però neologismi –

6/28
che anch'esse rappresentano un cambiamento linguistico – sono accettati senza grido e non vengono
percepiti come “contro la natura della lingua” (cfr. SABATINI 1987:97-99). Sabatini ci ricorda con
le sue raccomandazioni però che i parlanti “[…] sono tanto attivi quanto passivi nei confronti della
lingua. Il processo di classificazione linguistica è dinamico perché la lingua ci offre sia le forme già
codificate sia una serie di operazioni che ci permettono di classificare nuovi contenuti o di
riclassificare la nostra realtà” (ibid:97). Oltre a ciò le raccomandazioni di Sabatini non vogliono
prescrivere un comportamento linguistico ma anzi sono proposte per incentivare la scelta linguistica
invece di limitarla.
Le Raccomandazioni di Sabatini consistono in liste di parole dove accanto alla parola che sia da
evitare si trova la proposta per l'alternativa. Le liste sono divise in tre gruppi, la prima focalizza sul
maschile neutro, la seconda sull'uso dissimmetrico di nomi, prenomi e titoli e l'ultimo sui nomi di
mestiere che mostrano una discriminazione verso la donna.
Riassumendo i suggerimenti di Sabatini, in un linguaggio non sessista sono da evitare:
• l'uso delle parole “uomo” e “uomini” in senso universale
• il maschile neutro parlando di popoli, categorie, gruppi, ecc.
• la precedenza continua al maschile nelle coppie oppositive uomo/donna
• parole come “fraternità”, “fratellanza”, e simili quando si riferiscono a donne e uomini
• l'accordo maschile del participio passato quando i nomi sono in prevalenza femminili
• citare le donne come categoria a parte
• la segnalazione asimmetrica di donne e uomini
• riferirsi alla donna con il primo nome e al uomo con il solo cognome o entrambi
• l'uso del titolo “signorina”
• l'uso del titolo “signora” quando può essere sostituito con un titolo professionale
• usare solo il maschile di nomi di mestieri
• usare al maschile nomi epiceni
• usare al maschile o femminilizzare con diversi suffissi come -essa nomi che hanno una
forma femminile regolare
• usare il modificatore “donna”
Sabatini non pretendeva di presentare una lista completa ma chiama questi tratti “la punta di un
iceberg, tutto da investigare” (ibid:122). “Quello che si ricerca è una riforma nel profondo dei nostri
simbolismi politici, culturali, estetici, etici, che si riflettono in quella apparente superficie o parte
emergente dell'iceberg che è la lingua” (ibid).

7/28
Tatjana von Bonkewitz: Sessismo nella grammaticografia e in libri
scolastici
Nella sua analisi sul sessismo nella lingua, von Bonkewitz ha analizzato quattro grammatiche. La
scelta ricadde una su quelle pubblicate prima della pubblicazione delle raccomandazioni di Sabatini
e un'altra che è stata scritta da una donna per vedere se cambiasse la sensibilità in confronto al tema
sessismo con il genere dell'autore. Tutte le quattro grammatiche erano in uso nelle scuole italiane
(cfr. VON BONKEWITZ in MARCATO (a cura di) 1995:99-100).
Nei libri scelti sono stati contati tutti gli esempi e le frasi delle autrici che non seguivano le
raccomandazioni di Sabatini. Il risultato che emergeva era che dal 1980 fino al 1993 non ci sono
stati grandi cambiamenti osservabili a proposito del tema sessismo nella lingua. L'autrice interroga
sull'effetto che un tale uso della lingua in modo discriminante potrebbe avere sulle ragazze che si
occupano di questi libri. “Gli esempi femminili non riportano una manager, una medica o una
presidente ma piuttosto la madre o le ragazze chiacchierone. Possibilità di identificazione positiva
per le ragazze, se ne trovano poche” (ibid:108).
Von Bonkewitz parla di una rigidità e un rifiuto di rinnovamento linguistico e di strutture
linguistiche che riflettono idee di 50 anni fa. Suppone l'installazione di un'istanza di controllo, che
potrebbe agire come punto di riferimento per autrici, ecc. a perché in modo da poter usare una
lingua non sessista.

Eva-Maria Thüne: Questioni di genere grammaticale e lessico femminile


Un'altra linguista che si occupava del sessismo nella lingua, facendo anche un paragone fra diverse
lingue europee, era Eva Maria Thüne. La sua ricerca si concentra principalmente sul rapporto fra
genere grammaticale e sessuale. “Generalmente la funzione del genere grammaticale consiste nel
garantire a livello sistematico la concordanza tra gli elementi del sintagma nominale. Nonostante il
genere grammaticale abbia una funzione linguistica puramente formale […] non si può negare una
certa coincidenza tra genere grammaticale e genere sessuale a livello semantico (cfr. THÜNE in
MARCATO (a cura di) 1995:113).
I risultati sul sessismo nella lingua italiana mostrano fra l'altro che sebbene l'italiano permette la
formazione produttiva di agentivi femminili usando desinenze già disponibili nella lingua, spesso
invece di quelli disponibili viene usato il suffisso -essa. La semantica di questo suffisso però porta
con se una connotazione dispregiativa sottolineando la derivazione dal maschile. In relazione alle
raccomandazioni di Sabatini, Thüne scrive anche dal modificatore “donna” come uno che sottolinea
il tratto [+femminile], mentre la modificazione con l'agentivo accentua il tratto [+professione] (cfr.
ibid.: 123-124).

8/28
Rispetto a von Bonkewitz, Thüne scrive nella sua conclusione di un cambiamento linguistico verso
la femminilizzazione dell'italiano. Constata una maggiore sensibilità verso il sessismo nella lingua
che sarebbe portata avanti soprattutto dalle raccomandazioni di Sabatini. “Usare oggi le forme del
maschile generico in caso di referenza femminile viene sempre di più considerato un fatto
linguistico marcato. Per quanto riguarda gli agentivi questo significa che non è più accettabile
pubblicare annunci per posti di lavoro senza riportare il testo con tutte e due le forme; lo stesso vale
naturalmente per qualunque testo in ambito pubblico (testi giuridici ecc.)” (ibid.:126).

Elisabeth Burr: Agentivi e sessismo in un corpus di giornali italiani


Anche Burr si riferisce proprio all'inizio del suo articolo a Sabatini e le sue raccomandazioni che
chiama “l'unica ricerca di rilievo (BURR in MARCATO (a cura di) 1995:142)” che riguarda la
questione dell'uso sessista della lingua italiana. Burr focalizzava nella sua ricerca l'uso degli
agentivi. Vedendo nei giornali lo specchio dell'italiano dell'uso medio e anche un modello di
comportamento linguistico, Elisabeth Burr ha basato la sua ricerca su un corpus computerizzato
della lingua sui giornali italiani.
Scrive degli agentivi “[...] come nomenclatura per la classificazione di persone partecipanti a
funzioni, posizioni, attività, titoli, ruoli, partiti politici o gruppi di tutti i tipi esistenti all'interno della
società […] (ibid.:143).” Spesso vengono usati solo quelli maschili anche per referenti femminili
oppure agentivi maschili vengono “femminilizzati” per sottolineare l'eccezionalità del fatto. Burr
chiama questo fenomeno un fatto della norma anziché del sistema linguistico. “La norma come
realizzazione collettiva, tradizionale e selettiva delle possibilità offerte dal sistema è soprattutto una
norma sociale, ossia uno specchio della visione vigente della realtà extralinguistica (ibid.:145).”
Analizzando il sistema linguistico si arriva alla conclusione che non è il sistema linguistico
dell'italiano che è in se sessista non offrendo possibilità per riferirsi con agenti adatti alla realtà
extralinguistica. Il sistema mette a disposizione una grande variazione per un'equa denominazione
di tutti gli agenti. Un'analisi del sistema mostra che gli agentivi stessi rappresentano radici nominali
senza genere, la specificazione avviene dopo e corrisponde al sesso del referente. “La norma è la
realizzazione tradizionale e socialmente determinata del sistema e rispecchia, attualmente, una
società androcentrica, dove l'uomo è gente e la donna sesso” (ibid.:155).
La conclusione che Burr trae dalla sua ricerca è che la situazione è ancora più grave di quando Alma
Sabatini ha pubblicato le sue raccomandazioni. Non è però la norma che rappresenterebbe il
problema causato in gran parte dal fatto che gli agenti femminili seguono il sesso dell'agente e sono
rari nell'uso di termini al maschile o di loro femminilizzazioni. Nonostante parli di un
peggioramento e un mondo androcentrico che si rispecchia nei giornali, a causa della mancanza di

9/28
presenza femminile. “Le loro presenze ammontano appena al 5,75% dei referenti. […] Non è vero
che [le donne] si nascondono dietro i termini al maschile; al contrario, non vengono prese in
considerazione. Le donne non fanno notizia (ibid.:156).”

4 Pensiero e linguaggio
Quando si vuole esaminare il legame tra pensiero e linguaggio mi sembra ideale partire da
Ferdinand de Saussure e le sue idee sull'arbitrarietà del segno che aveva definito nel Corso di
linguistica generale. Saussure scrive di un legame immotivato fra significante e significato e
esclude ogni riferimento alla naturalità o ad una necessità di qualsiasi genere. Quest'arbitrarietà
viene discussa e riformulata da diverse linguisti tramite Jakobson, Chomsky, Derrida e tanti altri.
Quello che ci interessa in queste pagine è il postulato dell'arbitrarietà del genere grammaticale, con
cui anche Patrizia Violi si occupava nel libro L'infinito singolare. Considerazioni sulle differenze
sessuali nel linguaggio (1986). In questo ultimo capitolo vorrei anche approfondire meglio il
legame fra pensiero e linguaggio, che già ho trattato in maniera marginale quando ho scritto del
“sessismo linguistico” e della sua definizione.

Patrizia Violi sulla non-arbitrarietà del genere grammaticale


“Il genere grammaticale può diventare motivato soltanto se è nel caso in cui la forma grammaticale
sia espressione di una valenza semantica profonda” (ZAMBONI in MARCATO (a cura di)
1995:57).
Per capire meglio il concetto della valenza semantica ci serve un riferimento a Julia Kristeva, che
postulava un limite nel modo in cui la linguistica strutturalista parla del linguaggio perché il
linguaggio viene solamente esaminato come sistema già dato a priori invece di esaminare anche i
suoi processi di produzione, che lei chiama processi “semiotici”. Scrive di un'ipotesi teorica
dell'esistenza del semiotico, con cui stabilisce che non è possibile pensare un semiotico che preceda
il simbolico, ma possiamo solamente cogliere gli effetti del semiotico a partire dal testo che ci sta di
fronte (cf. ibid:56). “Si tratta di processi pulsionali, caratterizzati da un ritmo e per questo già
'discreti', già dunque in forma minima significativi. Essi si collocano tra natura e cultura. Ad essi si
può fare riferimento quando si parla di piacere del testo (ibid).”
Violi e Kristeva parlano di conseguenza di un legame non arbitrario tra linguaggio e mondo, e come
altri linguisti dell'era post-strutturalista vedono il postulato dell'immotivazione che l'arbitrarietà
segnala, come un concetto pericoloso che blocca un riflettere sul linguaggio nel suo complesso e un
interrogarsi sul legame fra pensiero e mondo (cf. ibid:55).

10/28
Ritorniamo un'altra volta a Patrizia Violi e le sue idee sul genere grammaticale. “Se si assume […]
che la forma grammaticale esiste in quanto espressione di una valenza semantica profonda,
connessa ad un simbolismo del corpo che è iscritto nella lingua, anche il problema della percezione
che di tale simbolismo può esistere nella coscienza dei parlanti risulta posto in termini differenti
(VIOLI 1986:64).” Violi scrive anche dei casi in cui il genere delle parole si presenta casuale per il
parlante e parla di un investimento simbolico perso che non è più comprensibile per il parlante e
perciò lascia sembrare il genere come un'imposizione meccanica senza simbolismo, anche se in
fondo esiste un simbolismo profondo che aveva fatto associare questa parola a una certa categoria
linguistica (cf. ibid). Il genere grammaticale è perciò secondo Violi non solo una categoria
linguistica caratterizzata da piena arbitrarietà ma manifesta un profondo simbolismo dentro di se.

American Psychological Society: Distinguishing language from thought


Bowers, Vigliocco, Stadthagen-Gonzalez e Vinson delle università di Bristol, Wisconsin-Madison e
Rice University hanno pubblicato nel 1999 i risultati di una ricerca psicologica sul rapporto fra
linguaggio e pensiero. Al centro dell'indagine stanno rappresentazioni semantici e sintattici di parole
scritte e immagini correlati. Si parte della seguente idea delle decisioni semantiche e sintattiche: “In
the case of written words, lexical-orthographic codes have direct access to lemma representations
that encode syntactic information, whereas conceptual representations that encode various semantic
relations are contacted only via the lemma codes. In the case of objects, however, the perceptual
outputs feed directly into the conceptual system, which, in turn, accesses lemma (and then
phonological) representations (BOWERS et al 1999: 310-311). Tali caratteristiche del sistema della
produzione e comprensione hanno portato i ricercatori a presupposizioni che riguardano la velocità
delle decisioni semantiche e sintattiche per immagini e parole scritte. “Given that written words
have direct access to lemma codes, and given that syntax is directly associated with these lexical
representations, latencies to access the syntax of a noun should be shorter for words than pictures,
for which an extra step through the conceptual system is needed. By contrast, if syntax is
represented within a conceptual store, it might be expected that latencies to access this information
are similar for pictures and words (or perhaps slightly faster for pictures) (ibid:311).” Cercando di
falsificare queste presupposizioni i ricercatori si sono focalizzati sul genere grammaticale in
spagnolo e sul “count-mass-marking” in inglese. Dato la similarità strutturale dello spagnolo e
l'italiano mi sembra utile riportare i risultati di questa ricerca per ripensare la non-arbitrarietà del
genere grammaticale come descritto prima secondo Violi.
Come in italiano anche in spagnolo a ogni sostantivo viene assegnato o la forma maschile o quella
femminile. Si distingue fra sostantivi che hanno un genere naturale e sostantivi astratti. I primi

11/28
stanno in correlazione con il sesso del referente. La rappresentazione concettuale sottostante spiega
il genere di tali sostantivi. Sostantivi astratti e sostantivi che si riferiscono ad oggetti però non hanno
un tale genere naturale ma uno che viene chiamato genere grammaticale cioè hanno un genere
arbitrario assegnato per ragioni linguistiche invece di ragioni extra-linguistiche. In diverse lingue
sostantivi di questa classe potrebbero avere diversi generi, come succede per esempio per la parola
“sole” che in italiano ha un genere maschile, in tedesco però uno femminile (“die Sonne”) (cf. ibid).
“It is important to note that the arbitrariness of the relation does not rule out the possibility that
syntactic information is coded within the conceptual system (ibid).” Gli autori notano che ci sia
tanta evidenza per una stretta relazione fra rappresentazione concettuale e genere grammaticale
come per esempio stabilito da Konishi (1993) o Violi prima, quanto per una separazione netta fra
genere grammaticale e informazione concettuale.
Per esaminare la velocità di decisioni sul genere di sostantivi presentati come parole scritte e come
immagini, i ricercatori chiedevano ai partecipanti di assegnare il determinante adatto ai sostantivi
pressando uno dei due pulsanti a scelta. L'ipotesi era che se il gender fosse rappresentato come
concetto, non ci sarebbe una differenza nella velocità dell'assegnare determinanti parole a immagini.
Se però, genere grammaticale e coscienza concettuale fossero rappresentati separatamente, i
partecipanti sarebbero più veloci nell'associare il gender a parole che a immagini, perché, come
spiegato già prima, si potrebbe saltare un processo cioè quello di arrivare dalla rappresentazione
dell'immagine a quella della parola per poi ricevere accesso all'informazione sul genere
grammaticale, che in quel caso, sarebbe direttamente coniugato al lessemo (cf.ibid).
Ventiquattro persone con madrelingua spagnola vennero incentivati di assegnare un genere
grammaticale a 15 sostantivi femminili e 15 maschili. Vennero presentati solamente sostantivi che
finiscono in -e o con un consonante, siccome a quelli finendo in -a (femminile) oppure -o (maschile)
l'assegnazione del genere grammaticale sarebbe stato troppo facile da effettuare in base alla
fonologia o ortografia della parola. Il risultato che si è mostrato era che i partecipanti erano molto
più lenti nell'associare il genere grammaticale ad immagini (883ms) che ale parole (816ms), che
sostiene l'ipotesi di una rappresentazione separata di genere grammaticale e rappresentazione
concettuale. La conclusione che i ricercatori videro da questo esperimento è quindi che “[…]
syntactic features such as grammatical gender […] are strictly linked to the lexical representation
for a word rather than to the corresponding concept. [...] The present findings provide some
empirical support for the widespread assumption that concepts and lexical representations (thought
and language) are represented separately” (ibid:314).

12/28
Cristina Biasini: Il soggetto come èntita linguistica
Biasini si occupava fra l'altro del nesso fra differenza sessuale e linguaggio, e cerca di esaminarlo
insieme al vocabolario sessuale italiano. Biasini inizia con un'illustrazione delle opzioni teoriche
che sono da considerare in quest'analisi e cita Berretta, che vede i fenomeni della variazione
linguistica un effetto che dev'essere interpretato come una costruzione culturale. Il lessico viene
perciò visto come mero riflesso semantico di una società e una cultura che assegna a uomini e
donne diverse posti in essa (cf. BERRETTA:1983 in BIASINI in MARCATO (a cura di) 1995:64).
“Spiegare un 'fatto' quale la scarsa assertività del discorso femminile con la posizione subordinata
delle donne nella cultura patriarcale non porta molto lontano (è come spiegare qualcosa non con la
sua causa, ma con un altro effetto di questa; […] [e] non aiuta a capire che cosa è davvero in gioco”
(BIASINI in ibid:65). Biasini parla di una necessità di integrare la teoria del soggetto come entità
essenzialmente linguistica con la teoria del soggetto come un'entità necessariamente sessuata.
Prende la teoria della filosofa Rosi Braidotti (1995) e la sua proposta della soggetività femminile
“nomade” che si costituisce su tre livelli. Il primo livello sta per le differenze tra uomini e donne, in
cui la donna viene vista come l'altro, fuori dalla norma in cui l'uomo si pretende universale. Il
secondo livello è quello delle differenze tra donne in tutte le sue pluralità. L'ultimo livello è quello
delle differenze all'interno di ognun donna, che in sé è da considerare un soggetto molteplice e
frammentato. Questo schema di Braidotti serve come una mappa, con cui si vuole enfatizzare la
complessità della differenza sessuale, che siano da considerare su diversi piani i cui sono collocati
sia nello spazio che nel tempo. “La mia ipotesi e che all'interno dello schema proposto, in ognuno
dei tre livelli, il linguaggio agisca come condizione di possibilità del costituirsi di una soggettività
sessuata e del suo articolarsi secondo le tre modalità citate” (ibid:66). Biasini vede uno stretto
collegamento fra linguaggio e differenza sessuale e parla di tale differenza sessuale come un'istanza
linguistica.
Per verificare questo rapporto stretto Biasini ha analizzato il vocabolario sessuale italiano e arriva a
una conferma totale del primo livello della differenza sessuale. Presenta esempi del lessico sull'atto
sessuale esaminando la loro valenza sintattica e il contenuto semantico. Un esempio dell'analisi
sarebbero i verbi e locuzioni verbali intransitivi, come “intingere”, “mettere il becco a mollo”,
“concedersi”, “darla”, “darsi” e “scopare”. Mentre i primi due di uso volgare ammettono soltanto
soggetti di sesso maschile, i seguenti tre ammettono soltanto soggetti di sesso femminile e
accentuano l'azione della donna come “una sorta di cedevole compiacenza” (ibid:67). Quelli verbi
come “scopare” che ammettono sia soggetti di sesso femminile come di sesso maschile sono o di
uso assoluto del transitivo o verbi di basso uso, poco espressivi, come “fornicare”.
Biasini si riferisce al secondo livello di Braidotti, e trova conferma della sua ipotesi all'interno del

13/28
campo semantico dal vocabolario sessuale che si riferisce agli organi sessuali femminili. Scrive di
una difficoltà enorme per una donna che tenta di esprimere la propria esperienza sessuale in modo
non volgare. Deve usare “parole che appartengono per lo più al registro volgare, e che sono anche
imprecise, povere; non rendono conto della complessa morfologia del corpo femminile, di cui
danno invece un'immagine rozza e semplificata” (ibid:68). Fuori del registro volgare rimangono a
disposizione solamente parole o di un registro scientifico o di un registro familiare-affettivo-ironico.
Biasini vede questo esempio come una conferma dei problemi che si possono incontrare al secondo
livello dello schema spiegato prima, e vede una quasi impossibilità per le donne di articolare la
soggettività femminile distaccandosi dal femminile del patriarcato (cf. ibid).
Passando al terzo livello della differenza sessuale, Biasini scrive di una sua ipotesi che sembra
essere la più promettente per mettere in evidenza la correlazione fra lessico e condizioni in cui si
articola la soggettività sessuata. Presenta l'esempio “avere le palle” e cerca di interpretare questa
espressione metaforica: “il senso che una 'persona' fornita di testicoli sia migliore (più corraggiosa,
più forte, più determinata) di una 'persona' priva di testicoli è un senso che parte dal significato
corporeo-sessuale codificato dal livello 1 il quale, per così dire, 'colonizza' il livello 3” (ibid:69).
Sembrerebbe cioè secondo Biasini che il linguaggio e l'articolazione della differenza sessuale in
esso guida in un processo di “deriva di senso” a un condizionamento negativo interiore, su un
livello inconscio, che corrisponde al terzo livello di Braidotti (cf. ibid).
Biasini conclude che è importante considerare gli usi linguistici non solo come atti deliberati ma
come azioni reciproche fra l'intenzionalità, il condizionamento dell'inconscio e quello del sistema
linguistico. Spesso possono perciò non essere altro che “formazioni di compromesso” (cf.ibid: 69-
70).

5 Conclusione della parte teorica


Per concludere questa parte della mia tesina voglio riportare un'altra volta la citazione di Lepschy,
che per me rappresenta – fino adesso - l'enunciazione chiave di questo lavoro: “L'ipotesi generale è
che la lingua non solo manifesta, ma anche condiziona il nostro modo di pensare: essa incorpora
una visione del mondo e ce la impone” (LEPSCHY 1989:62). Nel corso del mio studio per questa
tesina ho visto che non si può né vedere lingua e pensiero come qualcosa del tutto intrecciato né
come due concetti separati senza condizionamento.
L'indagine psicologica del giornale della American Psychology Society ci ha mostrato che si deve
agire con cautela nel gendering anche per evitare di vedere ovunque un uso sessista della lingua. È
soprattutto questo un punto che è spesso venuto fuori in discussioni sul gendering che affrontavo

14/28
finora: la critica sull'esagerazione da parte della linguistica femminista. Spesso questo argomento
viene accompagnato da quello, che anche Sabatini ha descritto nelle sue raccomandazioni: “[...] vi
sono cose molto più importante per cui lottare, e per le quali quindi si devono serbare le energie“
(SABATINI 1987:99).
Mi sembra comprensibile che il sistema linguistico come ogni sistema presenta sia tratti inerenti al
sistema sia però altri che sono prodotti di processi semiotici. Non è da sottovalutare il soggetto
come entità linguistica di cui scrive Biasini. Sì, che il parlante ha a disposizione una vasta gamma di
risorse linguistiche che può usare in molteplici modi per esprimersi. Anche c'è da considerare che
deve affrontare dei limiti come ha mostrato fra l'altro la ricerca di Biasini per quanto riguarda il
lessico per riferirsi all'organo sessuale femminile. Questo mi pare un esempio molto chiaro del
condizionamento fra linguaggio e pensiero. Non ci troviamo in una posizione di piena libertà
quando parliamo ma i nostri discorsi sono determinati da ideologie e categorie che prendono forma
nella lingua. Perciò lo sforzo verso un uso non sessista della lingua non mi sembra uno spreco di
energie, anche perché condivido l'opinione di Sabatini che “[...] energie producono energie, se non
si perde di vista la globalità della questione” (ibid).
In questo lavoro ho cercato di delineare come un uso sessista si può manifestare nell'italiano e ho
anche riportato le raccomandazioni di Sabatini che sono fatti esattamente con l'obiettivo di evitare
tale. Dato il collegamento fra pensiero e linguaggio mi sembra più che solo utile usare le mie
energie per evitare un uso sessista del linguaggio. Parto da una consapevolezza che sia la realtà
extra-linguistica ha un effetto sul sistema linguistico come anche ha il linguaggio un effetto
notevole sulla stessa realtà, e su come la interpretiamo.
È certamente anche importante non dimenticare l'obiettivo principale verso un mondo caratterizzato
dalla parità di diritto per uomini e donne, e quello di rimuovere le cause e gli ostacoli socioculturali.
“[...] non è certo sostituendo in un'offerta di impiego funzionario/funzionaria al semplice
funzionario che garantiamo maggiore possibilità di accesso, riuscita e carriera alle funzionarie”
(BERRUTO 2004:125) però “la concatenazione tra presa di coscienza linguistica e coscienza
sociale e politica è molto stretta: non si può fare un'analisi della lingua, in questo senso, senza
partire da una consapevolezza femminista; viceversa, questa stessa coscienza viene approfondita e
ampliata dall'analisi della lingua e si concretizza attraverso il cambiamento linguistico” (SABATINI
1987:99).

15/28
6 Parte empirica
La seconda parte della mia tesina vuole focalizzare sull'uso delle desinenze al femminile dei nomi
professionali tramite un approccio empirico. Dopo una breve introduzione alla specifica tematica e
alle diverse posizioni nella discussione sul gendering, seguono un riassunto dei risultati raccolti
tramite questionario e interviste sull'uso e su opinioni associati con la declinazione al femminile
delle nomi professionali e un'analisi dell'uso delle desinenze nella Repubblica e nel Giornale. Per
motivi di tempo e spazio ho limitato la mia ricerca a quattro nomi professionali che mi sembravano
abbastanza rappresentativi e che sono “il ministro/la ministra”, “il sindaco/la sindaca”, “il
presidente/la presidente/la presidentessa” e “l'ingegnere/l'ingegnera”.

La posizione dell'Accademia della Crusca


L'Accademia della Crusca, come uno dei principali punti di riferimento per chi scrive e parla in
italiano, offre sul sito web una “consulenza linguistica”. Tale consulenza è a favore delle desinenze
al femminile e si riferisce esplicitamente a tutti i nomi professionali menzionati sopra.
La presidente dell'Accademia conferma sul sito che l'Accademia sostiene e consiglia l'uso del
genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali come la ministra, la presidente, ecc.
(cf. MARASCHIO 2013: online). Inoltre la presidente dell'Accademia rimanda in questo articolo a
Cecilia Robustelli e il suo “tema del mese” intitolato “Infermiera sì, ingegnera no” pubblicato il
marzo del 2013 sul sito dell'Accademia. Robustelli scrive dalla figura femminile svilita da un
linguaggio stereotipato e una rappresentazione linguistica della donna che preoccupa la comunità
scientifica internazionale. Accenna l'uso frequente della forma maschile anziché quella femminile
per i titoli istituzionali e nomi professionali e collega questo con un'ideologia androcentrica che
sembra essere fortemente rispecchiata nell'uso della lingua italiana. Robustelli descrive una
resistenza forte che prevede l'adattamento della lingua a nuove esigenze. Una resistenza di tipo
ideologico che viene però nascosto dietro argomenti linguistici. (cf. ROBUSTELLI 2013: online).
“Le risposte più frequenti adducono l’incertezza di fronte all’uso di forme femminili nuove rispetto
a quelle tradizionali maschili (è il caso di ingegnera), la presunta bruttezza delle nuove forme
(ministra proprio non piace!), o la convinzione che la forma maschile possa essere usata
tranquillamente anche in riferimento alle donne” (ibid).
Robustelli associa la mancanza di accordo di genere al fatto che la donna non sia pienamente
riconosciuta in questi nuovi ruoli che occupa. Chiama il linguaggio un mezzo indispensabile in
questo processo di emancipazione alla quale fine le donne faranno parte a pieno titolo del mondo
lavorativo in qualsiasi ruolo (cf. ibid.).

16/28
La posizione del governo italiano
La Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna prende anche
posizione nella discussione sul gendering nell'italiano. Sul sito ufficiale del governo si trovano
diversi articoli sul tema che parlano di workshop e tavoli rotondi che si occupano del linguaggio
declinato secondo il genere. In un articolo del 13 novembre 2014 in cui viene descritto l'incontro
intitolato proprio “Il linguaggio declinato secondo il genere” hanno partecipato fra altri anche
Cecilia Robustelli. Nel breve articolo vengono usate diverse forme al femminile: Cristina Giachi
viene chiamata la vicesindaca e Giovanna Martellia la consigliera. L'articolo conferma che il
Dipartimento per le Pari Opportunità “ha evidenziato l’importanza e l’urgenza di un rinnovamento
linguistico non discriminatorio anche nel […] Paese [d'Italia]” (DIPARTIMENTO PARI
OPPORTUNITÀ 2014: online).
Molto presente nella discussione sul gendering è soprattutto la presidente della Camera Laura
Boldrini. Un articolo sulla Repubblica del 6 marzo 2015 intitolato “Boldrini vuole il vocabolario al
femminile” parla della lettera ai deputati che Boldrini ha inviato proprio per insistere ancora una
volta sulla declinazione al femminile. Nella lettera Boldrini scrive del maggiore numero di donne
che coprono ruoli istituzionali prima riservati ai maschi e della da ciò nata necessità di adeguare il
linguaggio. “In questo senso […] desidero segnalare l'opportunità che negli interventi svolti nel
corso delle sedute dell'Assemblea e degli altri organi della Camera le cariche e le ruoli istituzionali
siano richiamati nelle forme corrette, ossia secondo il genere proprio della persona cui essi si
riferiscono” (BOLDRINI 5 marzo 2015: twitter).
Mara Carafagna, la parlamentare del Popolo della Libertà e di Forza Italia ha risposto su twitter alla
lettera di Boldrini e scrive “Cara Presidente @LauraBoldrini: il linguaggio è importante, ma le
priorità sono altre” (CARAFAGNA 6 marzo 2015: twitter). Sul suo sito Carafagna rivolge la parola
direttamente alla presidente Boldrini e pone l'enfasi sulle “vere emergenze del Paese e, di
conseguenza, delle donne, tra le quali certamente non si può contemplare l’uso degli articoli e dei
termini maschili o femminili per appellare 'i deputati' o 'le deputate', 'il ministro' o 'la ministro
(sic!)'” (CARAFAGNA 6 marzo 2015: online). Inoltre accentua il fatto che lei non si è mai sentita
discriminata o non rispettata dall'appellativo “il ministro” o “il deputato”. Conclude la sua lettera
con un richiamo allo “spirito unitario” per affrontare i problemi degli italiani tra cui “come ci si
debba chiamare dentro al Parlamento” al parere di Carafagna non si ritrova (cf. ibid.).

La posizione popolare
Un sondaggio condotto fra l'8 marzo e il 5 aprile 2014 a cura di Eva Provedel da Snoq Genova con
un campione di 411 persone sulla declinazione al femminile mostra che il 16,06% usa “sempre” la

17/28
desinenza al femminile mentre il 22,87% la usa “mai”. In mezzo si trovano il 27, 49% che usa
“spesso” la declinazione al femminile e il 33,58% che la usa “qualche volta”. Riassumendo il 56,4%
dei rispondenti usa poco o mai la forma adattata e dai commenti è emersa sia una confusione
profonda sull'uso delle desinenze al femminile che una forte resistenza da parte delle donne e degli
uomini quando si parla “della ministra”, “dell'ingegnera” e così via (cf. PROVEDEL 2014: online).
L'opinione popolare si rispecchia anche nei commenti sotto i post di Boldrini e Carafagna su twitter.
Fra quelli che supportano l'iniziativa di Boldrini (“Complimenti ha ragione! Le pari opportunita'
passano anche attraverso il linguaggio”, “complimenti per quello che sta facendo. e non si
preoccupi degli insulti che c'é anche chi (i più) apprezza il suo lavoro”) si trovano quelli che
condividono “le priorità” con Carafagna (“Irrilevante, superficiale, modaiolo, inutile. Ma andate a
lavorare!” “grande Mara prima gli italiani e la sostanza poi la filosofia...”) (cf. BOLDRINI 5 marzo
2015: twitter, CARAFAGNA 6 marzo 2015: twitter).

7 Sondaggio sulla declinazione al femminile


Per capire meglio le posizioni sulla declinazione al femminile ho concepito un questionario in cui
ho chiesto i partecipanti di tradurre nomi professionali dall'inglese all'italiano. L'idea era di cercare
a mantenere la spontaneità nel linguaggio senza influenzare le persone sulla scelta della forma. Per
evitare risposte non chiare che potrebbero essere risultato di una limitata conoscenza dell'inglese, ho
chiesto i partecipanti in una seconda parte del questionario di segnare con una croce la risposta per
loro giusta in una scelta multipla e di argomentare per la scelta di questa forma. In appendice si
trova aggiunto l'intero questionario come è stato presentato ai partecipanti online su facebook e
anche – in una versione stampata – da IKEA, all'università e da McDonald's.

Età Grado di istruzione

14-20
21-30 licenza
elementare
31-40
diploma
41-50
laurea
51-64

Èta e grado di istruzione dei partecipanti

18/28
In totale hanno partecipato 50 persone al questionario, 24 maschi e 26 femmine fra 14 e 64 anni.
Rispettivo all'età le persone si trovano in diversi livelli di formazione, anche se la maggiorità netta
ha completato il diploma come livello più alto.
Prima di entrare nelle prossime pagine nel dettaglio dei risultati del sondaggio, voglio riportare un
riassunto complessivo: Quasi di opinione unita erano le 50 persone nell'opinione sull'uso dei nomi
professionali “sindaca” e “ingegnera” che sono stati rifiutati da 48 persone. Già meno chiaro erano
le opinione sull'uso di “ministra” e soprattutto insicure erano le persone sulla traduzione di “the
president Laura Boldrini”, avendo tre possibilità che sembrano tutti essere abbastanza comuni.

'Il ministro' o 'la ministra'


Per la traduzione di “the minister Elena Boschi” è stato scelto per la maggior parte “Il ministro
Elena Boschi” e quindi è stato preferito l'uso femminile della parola con desinenza al maschile. Gli
argomenti prevalenti nella scelta della forma al maschile sono stati la correttezza grammaticale,
l'abitudine e il suono famigliare di “il ministro” in paragone a “la ministra”. In aggiunto è stato
spesso argomentato con la regola palesemente di natura linguistica che “alcune professioni si
indicano solo al maschile”.
Un partecipante che ha scelto la forma femminile ha risposto alla domanda perché: “per evitare
equivoci: il ministro è incinta? Non si può!” un altro ha semplicemente risposto “per indicarne il
sesso”.

La ministra

Il ministro

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50

'Il sindaco' o 'la sindaca' e 'l'ingegnere' o 'l'ingegnera'


Come accennato già nell'introduzione al capitolo i risultati nella traduzione di “major Rosaria
Stadarelli” e “engineer Giulia Longoni” erano ovviamente a favore della forma maschile. Solo 2
persone su 50 hanno scelto la forma al femminile.
Dalle due persone che hanno scelto “la sindaca” come forma preferita la stessa ha anche scelto

19/28
“l'ingegnera” usando lo stesso argomento per tutte le due forme: “perché è giusto usare la
desinenza femminile quando si parla di donne.” L'altra persona, un professore universitario, che ha
scelto “la sindaca”, l'ha scelta per ragioni di divertimento. Il professore chiama in un'intervista la
forma una “definizione divertente” e non ha specificato la sua scelta ulteriormente.
I ragioni che sono stati stabiliti a favore dell'uso di “il sindaco Rosaria Stadarelli” sono accanto alla
correttezza grammaticale e la familiarità del suono anche altri più forti come: “La sindaca non
esiste” “non sarebbe possibile l'utilizzo della parola sindaca”. Una dei partecipanti si trova in una
situazione di difficoltà linguistica e scrive “pur essendo una donna, la forma al maschile risulta più
'intonata'.” Un'altra persona argomenta che l'uso di “il sindaco Rosaria Stadarelli” “mi da più
autorità.”
Nella scelta fra 'l'ingegnere' e 'l'ingegnera' le risposte sono molto simili. La forma al maschile è stata
descritta come una “forma neutra” e “unisex” e viene ripetuta “la regola” che “nelle cariche si usa
la forma maschile.” Tra le due persone che hanno scelto “l'ingegnera” l'una mostra una certa
riflessione sull'uso di tale forme e l'altra, che non aveva scelta “la sindaca”, argomenta che
“l'ingegnera” “all'orecchio suona bene”.
Nel corso delle interviste con questionario da IKEA è nata una discussione molto interessante con
una partecipante che aveva scelta nella traduzione di “engineer Giulia Longoni” la forma “ingeniera
(!) Giulia Longoni.” Nella scelta multipla però aveva scelto “l'ingegnere Giulia Longoni”. Invece di
rispondere alla domanda del “perché” della scelta, persisteva che quella domanda fosse del tutto
“stupida” quasi spiegando che non c'è un “perché” siccome la risposta sia del tutto chiara e non da
mettere in discussione.

La sindaca L'ingegnera

Il sindaco L'ingegnere

0 10 20 30 40 50 60 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50

'Il presidente' , 'La presidente' o 'La presidentessa'


Nella traduzione di “the presidente Laura Boldrini” si è manifestato il disaccordo maggiore, anche
se “la presidentessa” risulta essere la forma meno scelta. “Il presidente” e “La presidente” vengono
in gran parte usati con gli stessi argomenti: “È la forma più conosciuta”, “È la forma più usata.”

20/28
Altri argomenti rafforzano la scelta con argomenti più profondi. Una persona argomenta per “la
presidente Laura Boldrini” in confronto a “la presidentessa Laura Boldrini” che “l'utilizzo
dell'articolo al femminile indica già il sesso del soggetto senza dover aggiungere la doppia 's',
un'altra persona sopporta la stessa opinione con l'argomento della “correttezza grammaticale”. Si
trova anche una spiegazione per l'uso di “il presidente Laura Boldrini” piuttosto che “la
presidentessa Laura Boldrini”: “perché corretto grammaticalmente, si potrebbe dire la
presidentessa da un'associazione, però della camera no.”
La forma maschile “il presidente” viene sempre usata con gli stessi argomenti elencati sopra
insieme con gli altri carichi come la correttezza e il suono. Una persona da soprattutto enfasi sul
fatto che la forma “riguarda la carica e non la persona.”

La presidentessa

La presidente

Il presidente

0 5 10 15 20 25 30

8 Analisi dell'uso della declinazione al femminile sui


giornali
Visto la forte resistenza verso la declinazione al femminile che è venuta fuori non solo nella ricerca
sul tema ma anche nel discorso con la gente sul campo, si pone la domanda delle origini di tale
disapprovazione. Siccome i media vengono considerati in qualche modo sia specchio che modello
delle abitudini linguistici, volevo analizzare l'uso dei termini elencati sopra e della declinazione al
femminile in due giornali perfettamente contrapposti. Dall'una parte ho scelto la Repubblica,
giornale di diffusione alta e di sinistra, e dall'altra il Giornale, un quotidiano pure di diffusione alta
però di destra e in mano alla famiglia Berlusconi.
La mia analisi si è estesa a dieci giorni, dal 28 marzo 2015 fino al 6 aprile 2015, focalizzandosi sui
giornali stampati nei giorni 28, 30, 31, 02, 03 e sulle edizioni web negli altri giorni. Visto la
mancanza di un archivio degli articoli passati con possibilità di ricerca avanzata sul sito ilgiornale.it,
la mia analisi delle edizione web si è concentrata quasi interamente sul sito di repubblica.it. Per il
paragone fra l'uso delle nomi professionali sui due giornali ho quindi usato solamente i risultati

21/28
della ricerca sulla stampa. In una lettura attenta dei due giornali ho trovato sulla Repubblica 28 e sul
Giornale 19 nomi professionali che si riferiscono a donne. Non ho limitato l'analisi alle stesse
cariche sulle quali mi avevo concentrato nel sondaggio ma ho incluso tutte le cariche nell'ambito
della politica. Questo era soprattutto necessario perché non ho trovato risultati per l'uso di
“ingegnere” o “ingegnera” con referente donna e solo una volta ho trovato il nome professionale
del “sindaco” che si è riferito sul Giornale con desinenza maschile a una donna.

Analisi del Giornale

Il Giornale

al femminile
47% al maschile
53%

Nomi professionali che si riferiscono a donne

Sul Giornale la carica del ministro è stato usato quasi interamente al maschile. Scrive il 31.marzo
“dell'ex ministro Cécile Kyenge” e il 02.aprile “del ministro della Difesa Roberta Pinotti”. Molto
interessante è che il 30.marzo in una descrizione di una foto viene usata la desinenza femminile al
plurale “la foto delle ministre Boschi e Madia.” Già a questo punto viene fuori che non esiste
nessuna costanza in usare o le forme maschili anche quando uno si riferisce a una donna o le forme
al femminile. Al contrario viene ovviamente scelto ad libitum o una o l'altra forma. Lo stesso fatto
vale anche per l'uso di “presidente”. Mentre per Laura Boldrini viene conseguentemente usata la
forma con l'articolo femminile “la presidente”, si scrive il 31.marzo “dal presidente di Fdi Giorgia
Meloni.” Il già accennato uso del “sindaco” si trova il 28.marzo “Letizia Moratti, ex sindaco di
centrodestra.” Disaccordo domina anche sull'uso di “segretario” o “segretaria”: si trova sia “la
sottosegretaria alla Cultura Francesca Barracciu” e “il sottosegretario NCD Simona Vicari.” Più
unità e chiaro sembra l'uso di “senatrice” che si trova due volte senza un controesempio. Una volta
si trova “la senatrice di centrodestra” e il 03.aprile si trova un riferimento a “Federica Chiavaroli,
senatrice abruzzese.”
In una conclusione sull'analisi del Giornale si può parlare di una quasi arbitrarietà nel scegliere sì o

22/28
no la declinazione al femminile anche se dominano le desinenze al maschile con il 53% sulle 19
parole trovate. Si è verificato anche l'osservazione di Burr della mancanza di presenza femminile
sui giornali. Era enormemente difficile trovare riferimenti a donne nell'ambito della politica e 19
riferimenti in 5 giorni di analisi mi sembra un numero molto limitato.

Analisi della Repubblica

La Repubblica

39% al femminile
al maschile
61%

Nomi professionali che si riferiscono a donne

Sulla Repubblica il percentuale delle nomi professionali al femminile era più alto ma soprattutto era
anche più facile trovare articoli che si riferiscono a cariche prese da donne. Però come sul Giornale
non si trova nessuna continuità nella declinazione al femminile. Il 28.marzo si legge “dalla
segretaria Anna Canepa” e alcune pagine dopo “del segretario generale Patrizia Monterosso.”
Invece la carica del commissario si trova solo al maschile e si scrive “dall'altro commissario
Federica Mogherini” e “del commissario Margarethe Vestager.” In paragone al Giornale la carica
del presidente viene usata nella declinazione al femminile con l'articolo adattato in tutti gli esempi
senza eccezione come viene raccomandato da Sabatini.
Né sul Giornale né sulla Repubblica si trova la parola “presidentessa”. Comparabile
morfologicamente con la parola “ingegnere” si trova la parola del “tesoriere” e un riferimento “alla
tesoriera, Maria Rosaria Rossi.” Il 04.aprile si scrive “dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel.”
Disaccordo domina sull'uso di “ministro” e “ministra”: il 31.marzo la Repubblica scrive “le
aspiranti 'ministre' (fra virgolette!) di Area popolare sono tante” e lo stesso giorno si trova anche
un articolo con riferimento “al ministro Marianna Madia.” Mentre si parla il 02.aprile “dalla
Boschi, la ministra delle Riforme”, il giorno dopo si scrive “dal ministro Stefania Giannini.”

23/28
Espressione finale trova l'insicurezza nell'uso della declinazione al femminile in un articolo
pubblicato su repubblica.it il 04.aprile in cui si usa nello stesso articolo tutte le due forme
alternativamente: “E' lo stesso ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, a lanciare il grido
d'allarme [...]” Solo due frasi dopo si trova la forma al femminile: “E mentre le tasse universitarie
salgono la ministra comunica che […].”
La ricerca sulla versione online della Repubblica sostiene i risultati dell'analisi della versione
stampata e non porta tante novità. La confusione fra l'uso di “ministro” e “ministra” continua
mentre c'è accordo sull'uso “della presidente” tranne un esempio in cui viene rinunciata alla
declinazione al femminile: “il presidente del XI municipio Cristina Maltese.” Nella ricerca
sull'archivio si trovano né risultati per “la sindaca” né per “l'ingegnera”, il che può spiegare anche
l'avversione enorem contro il suono e la correttezza di quelle parole nelle risposte del sondaggio. In
una breve conclusione sull'analisi della Repubblica si può parlare di una maggiore attenzione all'uso
della declinazione al femminile in rispetto al Giornale, anche se non si lascia evidenziare nessuna
linea di guida – come potrebbero essere le raccomandazioni di Sabatini – che verrebbe rispettata da
tutti i giornalisti.

9 Conclusione finale
L'analisi dei giornali ha perfettamente rispecchiato la confusione sull'uso della declinazione al
femminile che è venuta fuori dal sondaggio. L'analisi sembra anche di sostenere la tesi accennato di
Burr, che le donne che fanno notizie sono in un numero molto inferiore degli uomini. Non sembra
però essere la norma che il sesso dell'agente viene concordato con tale, come viene descritto di Burr.
Anzi, il sondaggio e i discussioni che si sono creati nel corso delle interviste hanno rivelato una
forte avversione contro l'uso della declinazione al femminile per cariche gerarchicamente alti e in
particolare per “sindaco” e “ingegnere”. La maggiorità degli intervistati vede l'accordo di tale parole
come un intervento grave nella lingua italiana che comporterebbe il cambio di un sistema
linguistico, che viene in gran parte concepito come qualcosa concluso che si deve preservare nella
forma “naturale”.
Molto interessante è anche il fatto che non si vede nessuna differenza fra le opinioni a base del
genere della persona intervistata e uomini come donne vedono l'accordo in gran parte come
qualcosa sbagliato, che non è da concordare con le regole del sistema linguistico. Probabilmente
vantaggioso e soprattutto interessante nel sondaggio era la mia posizione come straniera che
sembrava chiedere consiglio ai italiani di come tradurre certe parole dall'inglese in un italiano
corretto. Quando chiedevo le persone di compilare il mio questionario quasi tutti mi spiegavano

24/28
l'impossibilità di usare la parola “ingegnera” che era ancora prima della “sindaca” la parola che
creava maggiore avversione. È stato continuamente sottolineato che la parola “ingegnera” non esiste
ed è talmente “brutta” dal suono che non si può sentire. Era persino una ingegnera che mi ha
spiegato che vuole essere chiamata “ingegnere” siccome si sentirebbe offesa e presa in giro se ci
fosse qualcuno che la chiamerebbe “ingegnera.”
Comparando la morfologia della parola “infermiere” con la parola “ingegnere” si vede però nessuna
differenza morfologica e quindi varrebbero le stesse regole grammaticale della concordanza con
l'agente. Mentre l'uso di “infermiera” è perfettamente accettato, quello di “ingegnera” sembra quasi
impossibile. Come osservazione a parte voglio anche notare che pure il controllo automatico
dell'ortografia su Word sottolinea la parola “ingegnera” rossa indicandone come sbagliata
grammaticalmente.
Pare che siano certe ideologie fortemente radicate nel pensiero dei parlanti che bloccano la
declinazione al femminile quando si parla delle cariche che in tempi passati sono stati occupati da
maschi soli. Visto il legame fra linguaggio e pensiero che ho specificato nei altri capitoli mi sembra
di una rilevanza enorme che i giornali dessero maggiore attenzione all'uso di un linguaggio che
rispetta tutti i due generi e che aiutassero con un linguaggio non sessista l'avanzamento verso un
mondo in cui uomini e donne non sono pari ma in cui hanno pari diritti. Sono convinta che il
rispetto verso le raccomandazione di Alma Sabatini da parte dai giornali comportasse una maggiore
approvazione di forme linguistiche che adesso potrebbero suonare “brutte” o “scorrette”.
Contemporaneamente l'approvazione delle forme possa sostenere che il ruolo della donna nelle
cariche che erano un tempo riservati ai maschi non è né da enfatizzare con una forma
femminilizzata ma neppure da ignorare o nascondere con una forma maschile.
Voglio sottolineare in un'osservazione finale che lo scopo di un linguaggio non sessista non
dovrebbe essere rendere più complicato o più artificiale il parlare o scrivere come succede per
esempio per il tedesco, in quanto vengono proposte asterischi e trattini in basso per includere nel
linguaggio anche persone che si riconoscono nel termine LGBT. Come già notato nella conclusione
della parte teorica è importante non perdere di vista la globalità della questione. Mi sembra però
necessario e giusto sbloccare l'uso di regole già inerenti al sistema e applicarle conseguentemente
per tutti gli agenti sia femmine che maschi che assumono una carica che può essere gerarchicamente
alta o bassa.

25/28
10Bibliografia
BAZZANELLA, Carla (2010): Genere e Lingua, Enciclopedia dell'Italiano. Trovato su:
http://www.treccani.it/enciclopedia/genere-e-lingua_%28Enciclopedia_dell%27Italiano%29/
[scaricato il 23 gennaio 2015].
BERRUTO, Gaetano (2004): Prima lezione di sociolinguistica. Roma-Bari: Laterza.
BOLDRINI, Laura (05/marzo/2015): #NonSiamoCosì Ecco la lettera che ho inviato a deputate e
deputati sul rispetto identità di genere nel linguaggio. Trovato su:
https://twitter.com/lauraboldrini/status/573436739773153280 [scaricato il 16 aprile 2015].
BOWERS et. al. (1999): Distinguishing language from thought, Experimental Evidence that
Syntaxis lexically rather than conceptually represented. In «Psychological Science», Vol.10(4),
pp.310-315.
CARAFAGNA, Mara (06/marzo/2015): Cara Presidente @LauraBoldrini: il linguaggio è
importante, ma le priorità sono altre. Trovato su:
https://twitter.com/mara_carfagna/status/573794540995407872 [scaricato il 16 aprile 2015].
CARAFAGNA, Mara (06/marzo/2015): Donne, Lettera aperta a Laura Boldrini: il linguaggio è
importante, ma le priorità sono altre. Trovato su: http://www.maracarfagna.net/2015/03/06/lettera-
aperta-a-laura-boldrini-il-linguaggio-e-importante-ma-le-priorita-sono-altre/ [scaricato il 16 aprile
2015].
DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITÀ (2014): Il linguaggio declinato secondo il
genere. Trovato su: http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/primo-piano/2513-il-linguaggio-
declinato-secondo-il-genere [scaricato il 14 aprile 2015].
LEPSCHY, Giulio C. (1989): Nuovi Saggi di linguistica italiana, in: Studi linguistici e semiologici,
vol. 29, Bologna: Il Mulino, pp.61-84.
LURAGHI e OLITA (a cura di) (2006): Linguaggio e genere, Grammatica e usi. Roma: Carocci.
MARASCHIO, Nicoletta (2013): La Crusca risponde: Il ministro o la ministra?. Trovato su:
http://www.accademiadellacrusca.it/it/comunicato-stampa/crusca-risponde-ministro-ministra
[scaricato il 13 aprile 2015].
MARCATO (a cura di) (1995): Donna e Linguaggio, Atti del Convegno Internazionale di studi
Dialettologia la femminile (Sappada-Plodn, 26.-30.06.1995), Padova: Cleup.
PROVEDEL, Eva (a cura di) (2014): Sondaggio Linguaggio e Stereotipi di Genere. Indagine
conoscitiva – esplorativa in rete. Trovato su: http://senonoraquando.ning.com [scaricato il 16 aprile
2015].
ROBUSTELLI, Cecilia (online): Il sessismo nella lingua italiana. Trovato su:

26/28
http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/femminile/Robustelli.html [scaricato il 23
gennaio 2015].
ROBUSTELLI, Cecilia (2000): Lingua e identità di genere. In «Studi Italiani di Linguistica
Teorica e Applicata», XXIX, pp.507-527.
ROBUSTELLI, Cecilia (2013): Infermiera sì, ingegnera no?. Trovato su:
http://www.accademiadellacrusca.it/it/tema-del-mese/infermiera-s-ingegnera [scaricato il 13 aprile
2015.
SABATINI, Alma (1987): Il sessismo nella lingua italiana, Roma (Commissione nazionale per la
realizzazione della parità tra uomo e donna). Trovato su:
http://www.funzionepubblica.gov.it/media/277361/linguaggio_non_sessista.pdf [scaricato il 23
gennaio 2015].
VIOLI, Patrizia (1986): L’infinito singolare, Considerazioni sulla differenza sessuale nel
linguaggio. Verona: Essedue.

27/28
11Appendice

28/28
Linguaggio

Come si chiamano le professioni delle donne (qui scritte in inglese) in italiano?


Maria Elena Boschi, profession: minister *

Rosaria Stadarelli, profession: mayor *

Laura Boldrini, profession: president *

Giulia Longoni, profession: engineer *

Quale forma hai scelto nella traduzione? *

La ministra Elena Boschi

Il ministro Elena Boschi

Un'altra forma

Perchè hai scelto questa forma? *

Quale forma hai scelto nella traduzione? *

La sindaca Rosaria Stadarelli

Il sindaco Rosaria Stadarelli

Un'altra forma

Perchè hai scelto questa forma? *

Quale forma hai scelto nella traduzione? *

La presidente Laura Boldrini

La presidentessa Laura Boldrini

Il presidente Laura Boldrini

Un'altra forma

Perchè hai scelto questa forma? *


Quale forma hai scelto nella traduzione? *

L'ingegnera Giulia Longoni

L'ingegnere Giulia Longoni

Un'altra forma

Perchè hai scelto questa forma? *

Dati personali *

Grado di istruzione (livello completato più alto)

Età

Sesso

Pagina vuota

» Redirection to final page of Sondaggio Online


Linguaggio

Vedi solo le 350 risposte, che corrisponde al massimo del prodotto attivo. Tuttavia, ci sono ancora risposte. Per vedere tutte le risposte, è necessario di aggiornare il
prodotto.
Le risposte dei partecipanti vengono sempre memorizzate, anche se il massimo è stato raggiunto.

1. Maria Elena Boschi, profession: minister *

Numero di partecipanti: 21

- ministro
- Ministro
- ministro
- il ministro
- ministro
- Ministro
- ministro
- ministro
- Ministro
- ministro per lenriforme costituzionali
- ministro
- La ministra
- ministro
- ministra
- Ministro
- la ministra
- ministro
- Ministro
- Ministro
- Il Ministro
- il Ministro
2. Rosaria Stadarelli, profession: mayor *

Numero di partecipanti: 21

- sindaco
- Sindaco
- sindaco
- il sindaco
- sindaco
- Sindaco
- sindaco
- sindaco
- Sindaco
- sindaco
- sindaco
- Il sindaco
- sindaco
- sindaca
- sindaco
- sindaco
- sindaco
- Sindaco
- Sindaco
- Il Sindaco
- il Sindaco
3. Laura Boldrini, profession: president *

Numero di partecipanti: 21

- presidente
- Presidente
- presidentessa
- la presidente
- presidente
- Presidente
- presidente
- presidente
- Presidente
- presidente della camera dei deputati
- presidente
- La presidentessa
- presidentessa
- presidentessa
- presidente
- la presidente
- presidente
- presidentessa
- Presidente
- La Presidente
- la Presidente
4. Giulia Longoni, profession: engineer *

Numero di partecipanti: 21

- ingegnere
- Ingegnere
- ingegnere
- l'ingegnere
- ingegnere
- Ingegnere
- ingegnere
- ingegnere
- Ingegnere
- ingegnere
- ingegnere
- Ingegnera
- ingegnere
- ingegnera
- Ingegnere
- l'ingegnere
- ingegnere
- ingegnere
- Ingegnere
- ingegnere
- l'Ingegnere
5. Quale forma hai scelto nella traduzione? *

Numero di partecipanti: 21

4 (19.0%): La ministra Elena


Boschi
La ministra Elena Boschi: 19.05%
17 (81.0%): Il ministro Elena
Boschi

- (0.0%): Un'altra forma

Il ministro Elena Boschi: 80.95%


6. Perchè hai scelto questa forma? *

Numero di partecipanti: 21

- perché fondamentalmente trattasi di un sostantivo "neutro"


- Perché è quella corretta
- é corretta
- perché il femminile di ministro non esiste
- Perché è la forma più corretta nella lingua italiana
- Perché lo standard non prevede femminile per il sostantivo ministro
- perché é la forma corretta, penso.
- abitudine
- Mi risultava più corretta all'udito
- perché ricordo che i nomi di mestiere dono al maschile
- unisex
- Perché all'orecchio suona bene
- mi sembra corretto utilizzarlo al femminile
- perché è giusto usare la desinenza femminile quando si parla di donne
- Perché la forma corretta prevede, per le professioni, l'utilizzo del maschile
- per indicarne il sesso
- per formazione
- E' la forma corrente
- Per nessuna ragione particolare, credo sia quella più utilizzata.
- Perchè per questa professione non esiste nella lingua italiana la forma al femminile
- Wikipedia e il dizionario della lingua italiana riportano questo termine.
7. Quale forma hai scelto nella traduzione? *

Numero di partecipanti: 21

1 (4.8%): La sindaca Rosaria


La sindaca Rosaria Stadarelli: 4.76%
Stadarelli Un'altra forma: 4.76%

19 (90.5%): Il sindaco Rosaria


Stadarelli

1 (4.8%): Un'altra forma

Il sindaco Rosaria Stadarelli: 90.48%


8. Perchè hai scelto questa forma? *

Numero di partecipanti: 21

- perché fondamentalmente trattasi di un sostantivo "neutro


- Perché è quella corretta
- é corretta
- vedi sopra
- Perché è la forma più corretta nella lingua italiana
- Perché lo standard non prevede femminile per il sostantivo sindaco
- perché é la forma corretta, penso.
- suona meglio
- Mi risultava più corretta all'udito
- idem sopra
- unisex
- Perché all'orecchio suona bene
- secondo me sindaca non ha un bel suono nella lingua italiana
- perché è giusto usare la desinenza femminile quando
- corretta prevede, per le professioni, l'utilizzo del maschile
- perché pur essendo una donna,la forma al maschile risulta più "intonata"
- per formazione
- E' la forma corrente
- vedi sopra
- Perchè per questa professione non esiste nella lingua italiana la forma al femminile
- Wikipedia e il dizionario della lingua italiana riportano questo termine. P.s. La sindaca non si può sentire!
9. Quale forma hai scelto nella traduzione? *

Numero di partecipanti: 21

9 (42.9%): La presidente
Laura Boldrini

5 (23.8%): La presidentessa
Laura Boldrini Il presidente Laura Boldrini: 33.33%

La presidente Laura Boldrini: 42.86%


7 (33.3%): Il presidente
Laura Boldrini

- (0.0%): Un'altra forma

La presidentessa Laura Boldrini: 23.81%


10. Perchè hai scelto questa forma? *

Numero di partecipanti: 20

- perché fondamentalmente trattasi di un sostantivo "neutro


- Perché è quella corretta
- é corretta
- vedi sopra
- Perché è la forma più corretta nella lingua italiana
- Perché lo standard non prevede femminile per il sostantivo presidente
- perché é la forma corretta, penso.
- abitudine
- Mi risultava più corretta all'udito
- idem sopra
- unisex
- Perché all'orecchio suona bene
- mi sembra corretto utilizzarlo al femminile
- perché è giusto usare la desinenza femminile quando
- corretta prevede, per le professioni, l'utilizzo del maschile
- l'utilizzo dell'articolo al femminile indica già il sesso del soggetto senza dover aggiungere la doppia "s"
- per formazione
- E' la forma corrente
- vedi sopra
- Perchè è più corretto dire la presidente piuttosto che presidentessa
11. Quale forma hai scelto nella traduzione? *

Numero di partecipanti: 20

2 (10.0%): L'ingegnera Giulia


Longoni
L'ingegnera Giulia Longoni: 10.00%

18 (90.0%): L'ingegnere
Giulia Longoni

- (0.0%): Un'altra forma

L'ingegnere Giulia Longoni: 90.00%


12. Perchè hai scelto questa forma? *

Numero di partecipanti: 20

- perché fondamentalmente trattasi di un sostantivo "neutro


- Perché è quella corretta
- é corretta
- vedi sopra
- Perché è la forma più corretta nella lingua italiana
- Perché lo standard non prevede femminile per il sostantivo ingegnere
- perché é la forma corretta, penso.
- abitudine
- Mi risultava più corretta all'udito
- idem sopra
- unisex
- Perché all'orecchio suona bene
- ingegneria non ha un bel suono nella lingua italiana
- perché è giusto usare la desinenza femminilr quando
- corretta prevede, per le professioni, l'utilizzo del maschile
- per evitare "stonature"nella pronuncia.
- per formazione
- E' la forma corrente
- Credo che ingegnera non esista. Ingegnere si può applicare ad entrambi i sessi senza problemi.
- Perchè per questa professione non esiste nella lingua italiana la forma al femminile
13. Dati personali *

Numero di partecipanti: 20

1. colonna
Grado di istruzione (livello completato più alto) - diploma
- Maturità linguistica
- diploma
- maturità scientifica
- maturità scientifica
- Diploma di istruzione secondaria superiore ad indirizzo scientifico
- università
- scuola superiore
- Terza Media
- diploma liceobscientifico
- laurea specialistica
- Liceo scientifico
- laurea magistrale
- scuola secondaria superiore
- Laurea in giurisprudenza
- diploma
- specialistica
- maturita linguistica
- Master
- quinto anno di università
Età - 31
- 22
- 19
- 25
- 20
- 25
- 24
- 21
- 14
- 23
- 26
- 29
- 28
- 24
- 33
- 26
- 29
- 43
- 30
- 25
Sesso - femminile
- Femminile
- femmina
- F
- femmina
- maschile
- maschio
- maschile
- Femminile
- maschile
- maschile
- Maschio
- m
- femminile
- f
- f
- femminile
- femminile
- M
- femmina

Potrebbero piacerti anche