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Uno sguardo alla psicologia della musica

Mentre la pedagogia è interessata allo studio dei metodi e dei comportamenti nell’insegnamento, la
psicologia si occupa dell’analisi dei processi di carattere percettivo, cognitivo e affettivo che si
accompagnano alle esperienze della frui- zione e della produzione della musica.
1.2.1 Un po’ di storia
Anche se negli scritti di varie epoche si trovano considerazioni di carattere psicologico riguardo alla
musica, solo nell’Ottocento, grazie al Positivismo e alle prime ricerche in ambito acustico, abbiamo una vera
trattazione della psicologia della musica. Hermann von Helmholtz spiega nella sua Die Lehre von den
Tonempfindungen (Teoria delle sensazioni sonore come fondamento della teoria musicale, 1863) le leggi
che regolano il timbro, la consonanza e la dissonanza, in relazione ai limiti percettivi dell’orecchio umano.
Un notevole passo in avanti viene fatto, poi, grazie alle teorie di Carl Stumpf, che teorizza la percezione
musicale come frutto di una totalità di sensazioni.
Un contributo importante alla psicologia della musica viene sicuramente fornito dalle teorizzazioni
della Gestalt. Secondo gli studiosi di questo movimento, gli stimoli sonori ai quali siamo esposti non sono
riprodotti singolarmente, in forma isolata, e successivamente sommati e messi insieme, ma sono colti come
insiemi di elementi organizzati in totalità significative (gestalten). Solo successivamente alla percezione
avviene nel soggetto un processo di strutturazione dei dati sensoriali acquisiti, che vengono organizzati
soggettivamente in base alle leggi:

▪ di prossimità: elementi vicini sono raggruppati insieme;


▪ di buona formazione: si tende a completare una figura incompleta;
▪ di continuità: gli elementi che vanno nella stessa direzione sono assimilati;
▪ di somiglianza: gli elementi affini vengono classificati e posti in relazione tra loro.

Tutti questi punti sono alla base della moderna psicologia della percezione e a essi si riallacciano vari
studi posteriori. Gli anni della Gestalt possono essere considerati gli albori dello sviluppo della psicologia
della musica, ma purtroppo con l’avvento del nazismo in Germania molti teorici furono costretti all’esilio in
America, dove la Gestalt si trasformò in altre teorie.
Oltre Atlantico, infatti, la psicologia della musica conosce il suo massimo sviluppo, ma con
caratteristiche e connotati completamente diversi da quelli che aveva avuto in Europa. Nel contesto culturale
americano, orientato al pragmatismo, ci si allontana velocemente dallo studio dei processi cognitivi per
avvicinarsi sempre di più all’osservazione dei comportamenti. Nasce il Behaviorismo, una corrente di
pensiero orientata allo studio del soggetto nel proprio contesto sociale e culturale. Questa nuova corrente
introduce ben presto l’attenzione ai problemi dell’apprendimento, dando luogo a una vasta letteratura sulle
attitudini musicali e a un acceso dibattito sulla natura innata o acquisita del genio musicale. Di conseguenza,
ci si preoccupa di quantificare l’intelligenza con l’elaborazione di batterie di test psicoattitudinali volte,
appunto, alla misurazione del quoziente intellettivo dei soggetti.
Dopo la seconda guerra mondiale, accanto all’evolversi delle teorie comportamentiste, si assiste alla
nascita di un nuovo filone di studi, quello della semantica musicale. Essa studia i significati simbolici che
vengono attribuiti alla musica e le modalità attraverso le quali il soggetto attribuisce un senso a ciò che
ascolta. Secondo i teorici di questa corrente, la musica è fruita sia in modo affettivo che intellettivo: le
emozioni che essa suscita sono frutto della comprensione delle relazioni sintattiche e formali dell’opera.
N
Nella seconda metà degli anni Sessanta si sviluppa il filone della psicopedagogia che si riallaccia in
molti casi alle ricerche di Jean Piaget sull’evoluzione dell’intelligenza e si propone di studiare le varie fasi
dell’apprendimento del bambino in modo tale da poter elaborare dei programmi di studio adatti a ogni fase
della sua vita. Molti studi mettono in evidenza le particolari capacità musicali dei bambini, che già all’età di
2/3 mesi sono capaci di distinguere i diversi toni della voce, a 4/6 mesi sanno localizzare spazialmente i
suoni. Intorno ai 6 mesi, poi, si manifestano le prime “lallazioni” e il tentativo di unirsi al canto materno,
mentre solo in un secondo momento compaiono le vocalizzazioni e i primi tentativi di intonazione di
intervalli. Nei primi tre anni di vita il bambino sperimenta le proprie capacità musicali, giocando con le
sillabe e cercando di intonare canti in forma di salmodia, mentre a 3 anni i bambini sono in grado di imparare
un canto per imitazione e di differenziare gli intervalli. Solo dopo, intorno ai 6/7 anni, si sviluppa il senso
tonale e verso i 9 anni una certa sensibilità armonica.
All’analisi delle condotte musicali dei bambini dedica la sua attenzione François Delalande4. Le
condotte musicali sono degli atti elementari coordinati da una finalità. Le condotte si possono ricondurre a
tre finalità:
4
Le condotte musicali. Comportamenti e motivazioni del fare e ascoltare musica, Bologna 1993.
▪ ricerca di un piacere senso-motorio a livello gestuale;
▪ attribuzione di un significato simbolico all’oggetto musicale rapportato a un vissuto;
▪ soddisfazione intellettuale scaturita dal gioco di regole.

Lo scopo o la finalità che sta alla base del “fare musica” per Delalande è il divertimento che lui
definisce proprio come “gioco”. Secondo Delalande le condotte possono essere rapportate, allora, ai tre tipi
di gioco:

▪ il gioco senso-motorio;
▪ il gioco simbolico;
▪ il gioco di regole.

Inizialmente il bambino ha un approccio sensoriale con la musica, successivamente simbolizza ciò che
ha appreso con i sensi e infine elabora delle leggi che regolano le sue esperienze.
Il panorama della ricerca psicologica, da quanto detto, è sicuramente composito, ma bisogna dire che
negli ultimi anni molta attenzione si sta prestando all’approccio cognitivistico. Verso la fine degli anni
Cinquanta, infatti, il Cognitivismo si affaccia sul panorama europeo con il proposito di studiare i sistemi di
elaborazione delle informazioni messi in atto dalla mente umana. Secondo questo approccio, almeno nelle
fasi iniziali il processo di elaborazione delle informazioni provenienti dall’esterno è molto simile a quello
dei calcolatori. Per quanto attiene alla psicologia della musica, naturalmente, l’attenzione si sofferma sulla
decodifica delle informazioni musicali da parte della mente umana. Il soggetto elabora in maniera complessa
gli stimoli sonori provenienti dall’esterno, raggruppandoli e formalizzandoli in schemi ben precisi. Per fare
ciò utilizza sia meccanismi innati, quindi non controllati cognitivamente, sia schemi mentali frutto dello
studio e della formazione musicale. Non ci si limita, quindi, a schematizzare solamente il materiale sonoro
incamerato, ma lo si modella a seconda della propria individualità. Alla luce di ciò, alcuni studiosi
introducono il concetto della grammatica interiore, cioè quell’insieme di regole che ognuno di noi possiede
e che ci permettono di decodificare l’evento sonoro. Secondo Ray Jackendoff e Fred Lerdhal 5, l’ascoltatore
è capace di dare un senso a quello che ascolta solo perché lo decodifica per mezzo delle regole che fanno
parte del proprio bagaglio culturale. Grazie all’intervento di questa specie di grammatica
generativa6 vengono colte le strutture che si trovano all’interno dell’evento musicale e si è capaci di ordinare
e categorizzare i suoni che si ascoltano.
5
F. Lerdahl, R. Jackendoff, Generative Music Theory and Its Relation to Psychology, in Journal of Music
Theory, XXV, 1981, n. 1, pp. 45-90.
6
La stessa di cui parla Noam Chomsky per la lingua verbale.
Tanti, e spesso frammentari, sono stati gli studi nell’ambito della psicologia della musica. Spesso questi
si sono basati su contesti molto sperimentali, che poco riflettono la realtà. Dall’esigenza di studiare i
comportamenti dell’ascoltatore e del musicista in situazioni più autentiche prende le mosse John A.
Sloboda7, che concentra la sua attenzione sui processi che riguardano le effettive pratiche musicali,
guardandole non solo dal punto di vista dell’ascoltatore (come è accaduto nella maggior parte degli studi in
psicologia della musica), ma anche dalla parte di chi produce materialmente la musica, e cioè dell’esecutore.
Interessante è la distinzione che Sloboda fornisce tra “acculturazione musicale” ed “educazione musicale”.
L’acculturazione si ha nel bambino fino ai 5 anni: egli dalla nascita incamera “informazioni” musicali,
esternandole come meglio può nei vari stadi del proprio sviluppo. È così, quindi, che a 5 mesi il bambino è
capace di percepire le melodie e riconoscerle, anche se trasposte, e a 9 mesi è capace di “cantare” attraverso
la famosa lallazione. Fino all’età di 5 anni il bambino imita ciò che ascolta, naturalmente con continui
miglioramenti. Dopo i 10 anni comincia la fase dell’educazione, per quei soggetti che hanno deciso di
trasformare le proprie conoscenze empiriche musicali in sapere organizzato consapevolmente. In questa fase,
allora, si affronta lo studio vero e proprio della musica.
1.3 Che cos’è l’educazione musicale?
Cosa intendiamo per “educazione musicale”? È la disciplina che si occupa dei fondamenti teorici
dell’insegnamento della musica e della relativa didattica. Nel panorama italiano questa disciplina è ricondotta alla scuola
dell’obbligo e agli studi pedagogici che si sono sviluppati in quest’ambito. Il concetto di educazione musicale ha
un’accezione molto ampia. Talvolta, infatti, questa disciplina può essere considerata come luogo delle ricerche e delle
teorizzazioni generali che riguardano l’insegnamento musicale (sovrapponendola, peraltro, alla pedagogia musicale); in
altri casi, più tecnicamente, essa viene considerata come la disciplina che raccoglie i procedimenti, le teorie e le tecniche
che permettono di realizzare un percorso concreto di insegnamento (sovrapponendosi alla didattica della musica).
L’orientamento attuale è quello di considerare la disciplina come l’insieme di tutto quanto si progetti e si realizzi nel
campo dell’insegnamento musicale. Concretamente, secondo la teoria curricolare, l’educazione musicale prevede gli
obiettivi da perseguire (ciò che deve essere appreso), i contenuti su cui operare, le metodologie attraverso cui raggiungere
gli obiettivi e la verifica dei risultati. Naturalmente, questi aspetti vanno perseguiti tenendo presente il contesto socio -
culturale nel quale si opera, le caratteristiche dei destinatari del messaggio da trasmettere (non tutti gli alunni sono uguali,
non tutti hanno gli stessi ritmi di apprendimento) e la natura dell’oggetto culturale (che cosa si intende per musica).
1.3.1 I metodi classici in educazione musicale
I fondatori dell’educazione musicale si riallacciano a quanto detto precedentemente. Jaques-Dalcroze, Willems,
Orff, Kodály condividono i principi pedagogici come la concretezza operativa delle attività, il riferimento agli interessi
e allo sviluppo socio-psicologico degli alunni e la necessità di formare gradualmente la sensibilità musicale. La finalità
dell’educazione musicale non è, quindi, l’ottenimento di un’abilitazione a fare musica, ma lo sviluppo della dimensione
interiore degli alunni, che attraverso la musica prendono coscienza del sé.
L’educazione dell’orecchio
Formare le capacità uditive, sotto tutti i punti di vista, è l’obiettivo primario di questo filone di studi. Il principale
esponente di questo movimento è sicuramente Émile Jaques-Dalcroze (1865-1950), tra le cui opere ricordiamo Le
rythme, la musique et l’éducation8. Secondo Dalcroze le prime esperienze musicali avvengono attraverso l’associazione
di stimoli sonori a movimenti del corpo, per cui sarà semplice per un bambino interiorizzare diversi tipi di ritmica
associandoli a vari movimenti del corpo. I destinatari della ritmica dalcroziana sono i bambini; essi, infatti, a differenza
degli adulti, percepiscono e traducono i suoni in movimenti in maniera non mediata. Essi, inoltre, provano interesse
generalmente per l’attività fisica, per cui sarà semplice e coinvolgente eseguire esercizi collegati agli stimoli sonori,
anche se non si è interessati alla musica. Il gesto alla base del metodo di Dalcroze è la marcia: in essa sono contenuti
tutti gli elementi del ritmo (tensione e distensione, tesi e arsi, regolarità e continuità). Dalla marcia si passa, poi, alla
corsa, ai movimenti delle braccia e della testa. Si parte da schemi rigidi, che via via vengono poi allentati fino ad arrivare
a una sorta di improvvisazione. Tutti questi esercizi vengono interrotti e ripresi grazie al comando vocale dell’insegnante,
che successivamente si può sostituire con uno stimolo sonoro. Solo partecipando in maniera globale all’evento sonoro
il bambino sarà capace di cogliere e interiorizzare le strutture musicali e in particolar modo la ritmica.
Infatti, come sosterrà anche Piaget, almeno nei primi anni dello sviluppo del pensiero non c’è distinzione tra atto
motorio e atto conoscitivo. Soprattutto nella fase della fanciullezza il soggetto conosce solo ciò di cui ha reale esperienza
empirica: di qui, quindi, l’associazione delle strutture musicali a gesti o movimenti. In questo modo il corpo diventa una
sorta di intermediario tra la teoria e la pratica musicale. Siccome ogni allievo reagisce agli stimoli secondo il proprio
vissuto e soprattutto secondo le proprie capacità, l’insegnante dovrà gradualmente innovare le proprie proposte e
adeguarle ad una situazione didattica sempre diversa. Questo stile di insegnamento si propone di fornire allo studente i
mezzi per superare autonomamente le difficoltà che gli si possono presentare, senza fornire soluzioni pronte all’uso.
L’educazione e l’armonizzazione del sistema nervoso è uno degli obiettivi del metodo. Esso è raggiunto tramite esercizi
basati:
8Ritmo, musica ed educazione, Milano 1925.

▪ sulla reazione rapida, cioè sulla realizzazione rapida di un’azione musicale in seguito a uno stimolo uditivo,
visivo o tattile;
▪ sull’incitamento, cioè sull’utilizzo di energia per “incitare”, appunto, un’azione fisica, senza perdere il tempo
(ritmo);
▪ sull’inibizione, cioè sempre sull’utilizzo dell’energia, ma questa volta per bloccare un’azione fisica rimanendo
sempre nei canoni ritmici.

Questi esercizi presuppongono un’attenzione e una partecipazione dell’allievo senza eguali. La ritmica rapp resenta
solo la prima fase del metodo dalcroziano; seguono, infatti, il solfeggio cantato e l’improvvisazione strumentale. Passare
dal movimento al solfeggio non sarà difficile: basterà solamente sostituire l’esecuzione di un gesto corporeo con un
suono. Infine l’improvvisazione passa dal corpo al canto e in ultimo allo strumento (pianoforte), attraverso esercizi di
ritmica e di riconoscimento dell’altezza dei suoni.
Attraverso il ritmo, il bambino acquisisce la padronanza del proprio corpo e questa è la premessa per lo sviluppo
dell’immaginazione e di una propria autonomia di pensiero.
Anche Edgar Willems (1890-1978) parte dall’educazione dell’orecchio prima di arrivare a una vera e propria
educazione musicale. Sebbene egli parta dalle premesse dalcroziane, il suo metodo presenta delle differenze e dei risvolti
psicologici. Per questo autore9 è fondamentale, prima di accingersi allo studio di uno strumento, lo sviluppo della
musicalità, che si traduce nel riconoscimento del movimento sonoro (suoni alti e bassi), del ritmo e dell’aggregazione di
suoni semplici in suoni composti. Attraverso l’esercizio, quindi, sarà necessario affinare in ogni allievo innanzitutto le
capacità musicali. A differenza di Dalcroze, che usava come fonte sonora per i suoi esercizi il suono del pianoforte,
Willems si avvale di tutta una serie di piccoli strumenti e oggetti sonori, come sonaglini, campanelle, fischietti e anche
ogni tipo di piccolo strumento che in modo artigianale gli allievi erano capaci di costruire. Per Willems anche il rumore
è un oggetto di primaria importanza. La musica, allora, è fatta dall’unione di ritmo, melodia e armonia che sono associati
alla vita fisiologica, affettiva e mentale del bambino.
9
L’orecchio musicale, Padova 1975.
L’educazione dell’orecchio per Willems è l’obiettivo primario da perseguire. Per lui le facoltà uditive si dividono
in:

▪ ricettività sensoriale-uditiva, che riguarda la comprensione oggettiva di altezza, intensità e timbro;


▪ sensibilità affettivo-uditiva, che riguarda l’ascolto soggettivo, con particolare riguardo alla melodia,
considerata come strettamente dipendente dall’emozione;
▪ intelligenza uditiva, attraverso cui si compie una sintesi concettuale delle esperienze sensoriali e affettive.

Per Willems, molto importanti sono i concetti di altezza, intensità e timbro. Egli suggerisce esercizi di affinamento
dell’orecchio, finalizzati al riconoscimento perfino del sedicesimo di tono.
L’intensità (forte/piano) è facilmente riconoscibile dal bambino, che è circondato continuamente da stimoli che
gliene permettono il riconoscimento. Il timbro non ha un forte valore educativo, ma anche a questo elemento sono
dedicati degli esercizi prettamente di classificazione dei suoni attraverso la descrizione verbale.
L’educazione dell’orecchio parte, allora, innanzitutto dalla sperimentazione del materiale sonoro e solo in un
secondo momento si arriva alla consapevolezza dell’ascolto.
In un periodo di disinteresse quasi assoluto per l’educazione musicale in Italia e cioè negli anni Trenta e Quaranta,
assume importanza il metodo di Laura Bassi (1883-1950), che fonda sulla formazione dell’orecchio e sulla ritmica il
suo metodo rivolto ai bambini della scuola dell’infanzia. La Bassi non utilizza solo l’attività fisica e il movimento per
far interiorizzare le strutture musicali, ma fonda il suo esperimento pedagogico 10 sull’associazione dell’evento sonoro
alle parole, ai disegni e alla grafica, al fine di sollecitare nell’alunno un’esperienza completa, libera e immaginativa della
musica. Nel suo metodo, grande importanza assume la capacità di simbolizzare la musica, anche se parliamo di una
scrittura molto semplificata. Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
10Esposto in Gioco e movimento nella prima educazione musicale, Milano 1940.

Per l’applicazione del metodo occorrono:

▪ un pianoforte;
▪ cinque pupazzetti rappresentanti padre, bambina, cagnolino, nonno e gru;
▪ lavagne e colori;
▪ piccoli strumenti a percussione (tra cui tamburelli, bacchette, triangoli, gong, maracas e piatti).

I pupazzetti servono a esemplificare le durate dei suoni che stanno alla base del ritmo, sul riconoscimento e
l’interpretazione del quale è basato il metodo. Per illustrare queste durate, allora, si fa un parallelismo con il camminare.
Il padre (cioè l’adulto) cammina a passi “normali” per cui sarà associato al quarto (1/4), la bambina, che è più piccola,
fa due passi mentre il padre ne fa uno e quindi sarà associata all’ottavo (1/8). Il cagnolino, che è ancora più piccolo della
bambina, fa passi più piccoli e veloci, per cui sarà associato al sedicesimo (1/16). Il nonno, invece, cammina più
lentamente, per cui mentre il padre fa due passi, il nonno ne fa uno solo: la sua figura sarà associata alla metà (1/2); la
gru, infine, che si muove molto molto lentamente, è associata all’intero (4/4): un suo passo corrisponde a due del nonno
e a quattro del padre. Grazie a queste associazioni, i bambini possono “vedere” concretamente degli elementi che in
realtà sono puramente astratti. Inoltre, camminando, possono sperimentare empiricamente le durate. A queste durate
vengono anche associate delle sillabe, in modo tale da poterle riprodurre graficamente.

▪ GRU = 4/4
▪ BUM = 2/4
▪ TA = 1/4
▪ TE = 1/8
▪ TI = 1/16

Con il disegno ritmico si può analizzare la rapidità di reazione alla percezione dei suoni e si può addirittura scrivere
un’intera frase musicale, fatta di proposta e risposta. Alle durate vengono associate diverse lunghezze del tratto grafico.
Due elementi caratterizzanti il metodo della Bassi sono la parola e il ritmogramma. La parola viene intesa come
portatrice di un suo proprio ritmo, infatti ogni parola formata da sillabe e accenti ha una durata ben precisa. L’insegnante
produce un ritmo con il tamburello e i bambini, in risposta, sono invitati a pronunciare delle frasi che hanno la stessa
durata metrica. Ancora, si può rispondere a una frase pianistica con una frase verbale che abbia la stessa scansione
ritmica. La parola può essere utilizzata, quindi, per far interiorizzare un certo ritmo, per procedere all’analisi della frase
musicale e per valorizzare la scansione sillabica.
Il ritmogramma è l’interpretazione grafica del ritmo di una melodia che deve essere tracciata contemporaneamente
alla sua esecuzione. È un esercizio grafico che parte dall’ascolto ripetuto di vari frammenti ritmici, che devono essere in
primo luogo interiorizzati attraverso la riproduzione gestuale. In questo modo si mette in relazione la durata dei suoni
con la lunghezza dei tratti grafici.
Questo tipo di disegno può essere di quattro tipi:

▪ libero: segno a zigzag continuato;


▪ inquadrato: all’interno di una figura geometrica;
▪ articolato: mano destra e sinistra si alternano nella costruzione della frase musicale;
▪ ornamentale: le due mani tracciano disegni simmetrici.

Il “fare musica”
Questo filone di studi è formato da tutti quei metodi che mirano allo sviluppo di un’attività prevalentemente
musicale, privilegiando la pratica musicale attiva e sollecitando la creatività sia attraverso la voce che attraverso l’uso
degli strumenti.
Il compositore tedesco Carl Orff (1895-1982) è stato uno dei maggiori esponenti di questa pedagogia del “fare
musica”. Egli elaborò un’originale metodologia (Schulwerk, cioè “lavoro scolastico”) illustrata nei suoi cinque libri
della Musik für Kinder (1950-1954).
Nella sua opera anche Orff risente dell’influsso del pensiero di Dalcroze, da cui eredita i presupposti fondamentali
quali la ritmica, il movimento e l’improvvisazione. Il suo nome, però, è legato a una particolare metodologia che prevede
l’utilizzo da parte dei bambini di piccoli strumenti (prevalentemente a percussione) molto vicini al corpo. Questa pratica
strumentale rende possibile l’educazione dell’orecchio e incoraggia il primo approccio dei bambini alla musica.
Attraverso questo metodo, Orff vuole ritornare a una forma di musica primordiale (“elementare”) e quindi a una fase in
cui voce, strumenti e movimento non sono ancora scissi. Questo tipo di musica non conosce grandi regole perché si
avvale soprattutto della ripetizione, non è tonale, poiché si basa sulla scala pentatonica, è prevalentemente corporeo e
quindi si addice completamente ai bambini. Al momento dell’istituzione della Günterschule, Orff considera basilare
l’adozione di un metodo sperimentale nel suo insegnamento, riassunto nell’utilizzo di un particolare strumentario,
composto da strumenti di elevata qualità tecnica ispirati a modelli antichi o orientali, che consentono l’immediatezza
dell’uso. Nel periodo che va dal 1948 al 1952 il metodo Orff attraversa una seconda fase. La radio bavarese, infatti,
chiede a Orff di scrivere dei brani che potessero essere eseguiti, con gli strumenti da lui proposti, da bambini di 8 -12
anni. In questa fase assumono molta importanza il canto folkloristico e il linguaggio, mentre vengono momentaneamente
trascurate l’improvvisazione e la ricerca timbrica. La fase più matura dello Schulwerk comincia con l’apertura
dell’Istituto Orff (1961) presso il Mozarteum a Salisburgo. I corsi attivati si rivolgono in parte ai bambini (a partire dai
4-6 anni) e in parte agli insegnanti.
Uno dei cardini del metodo Orff è quello di rendere il bambino protagonista dell’azione formativa, senza
inculcargli nozioni dall’alto, ma facendo in modo che egli le scopra e le interiorizzi attraverso l’esperienza guidata.
Questo può avvenire mediante i “giochi di ritmo” che vengono proposti; i principali sono:

▪ l’imitazione, che consiste nel riprodurre, imitandola, una sequenza ritmica ottenuta dal conduttore con il battito
delle mani;
▪ la memorizzazione del ritmo, che avviene grazie alla ripetizione degli esercizi ritmici;
▪ il canone ritmico, che consiste nel far ascoltare al conduttore una sequenza ritmica mentre egli sta riproducendo
un suono;
▪ le “domande-risposte”, una comunicazione non verbale basata sulla riproduzione di ritmi che vengono scanditi
in una specie di dialogo.

Lo strumentario Orff è costituito essenzialmente da semplici strumenti a percussione, scelti in base alla loro
immediatezza e al ruolo che possono avere nella formazione del senso ritmico nel bambino

L’aspetto più interessante di questo metodo sta nel fatto di rendere gli alunni protagonisti della loro formazione
musicale e di fare in modo che essi apprendano dalla pratica e non dal nozionismo. Grazie a questo metodo anche gli
insegnanti si sono resi conto della grande valenza educativa della musica nella scuola. L’insegnamento, in questo
metodo, è inteso come un gioco e come tale è accettato di buon grado dai bambini, che arrivano in età scolare già con
un grande bagaglio musicale, seppure empirico, da voler esternare.
Capacità di lettura e pratica corale
Questo terzo filone raccoglie le metodologie didattiche che mettono in primo piano l’importanza della capacità di
lettura a prima vista e della pratica corale. Uno dei maggiori esponenti di questa corrente è sicuramente Zoltán
Kodály (1882-1967). Insieme al suo amico e collega Béla Bartók, Kodály fu un profondo conoscitore della musica
tradizionale e popolare del suo paese, l’Ungheria, e grazie alla metodologia da lui sperimentata fu possibile rivoluzionare
l’insegnamento della musica, dall’asilo all’università.
Per quanto riguarda l’opera di Kodály non possiamo parlare di metodo ma solo di concetto, in quanto egli non
scrisse mai un trattato di pedagogia. Tuttavia, dagli esercizi e dagli articoli che scriveva, illustrando il suo pensiero,
possiamo risalire a una vera e propria metodologia, secondo la quale l’insegnamento della musica doveva basarsi su
alcuni principi di base. Possiamo quindi illustrare perfettamente il “concetto Kodály” analizzando i seguenti principi.

▪ L’importanza della musica nella formazione dell’individuo: per Kodály l’insegnamento della musica deve
essere destinato a tutti gli individui, e quindi non deve essere solamente appannaggio di chi decide di studiare
uno strumento in maniera professionale. Lo studio della musica, infatti, permette all’individuo di formare la
propria personalità e metterla in relazione armonicamente con altri soggetti appartenenti all’ambiente in cui
vive. La musica, essendo rappresentata da segni, poi, ha un grande potere comunicativo, e aiuta già dalla
tenerissima età il bambino nel processo dell’astrazione dei concetti. Per questo l’educazione musicale dovrebbe
iniziare già nei nove mesi che precedono la nascita, poiché secondo Kodály durante l’infanzia è più facile
formare il buon gusto musicale.
▪ La scelta del materiale da utilizzare nell’insegnamento: il materiale da utilizzare deve essere sempre di
altissimo livello, ma comunque adeguato ritmicamente e melodicamente all’età e alla maturazione degli
studenti. Poiché ogni nazione ha una propria lingua, sarà necessario avvalersi di strumenti in lingua madre,
sottolineando così l’importanza della musica popolare.
▪ Il canto corale: lo scopo dell’educazione musicale è quello di avvicinare quante più persone è possibile alla
musica colta e di qualità. L’unico mezzo per raggiungere quest’obiettivo è far cantare le persone in coro: in
questo modo si avvicinano tantissimi individui in modo economico alla musica, poiché ognuno è in possesso
naturalmente dell’unico strumento che serve, la voce. L’esercizio di quest’ultima permette di educare e
sviluppare anche l’orecchio e di fare in modo che l’individuo entri in relazione con gli altri componenti del
coro. In questo modo si favoriscono anche processi di socializzazione.
▪ La diffusione dell’educazione musicale in tutti gli ordini scolastici: l’insegnamento della musica è compito
della scuola pubblica. Tutti, infatti, dovrebbero essere in grado di leggere e scrivere la musica, poiché, come
non è possibile una cultura letteraria senza saper leggere e scrivere, così non è possibile una cultura musicale,
anche se di base, senza conoscere almeno le regole basilari della scrittura e della lettura musicale. Per ottenere
buoni risultati è necessario avere dei maestri competenti, perché, come suggerisce lo stesso Kodály, “un cattivo
insegnante potrebbe uccidere l’amore per la musica per trent’anni” 11.

11Visszatekintés, Budapest 1982, vol. 1.


▪ 11
Visszatekintés, Budapest 1982, vol. 1.
▪ Le modalità di realizzazione del processo di insegnamento: per Kodály bisogna insegnare la musica attraverso
la musica. Questo significa che non si può pretendere di insegnare a leggere e scrivere le note in modo astratto,
ma per fare in modo che il bambino apprenda e interiorizzi gli insegnamenti bisogna renderli pratici. Per questo
sarà necessario educare attraverso la creatività e la partecipazione degli studenti all’apprendimento. Bisogna
partire dal particolare per arrivare al generale, applicare ciò che si sa già per arrivare a conoscere ciò che non
si sa ancora. Siamo di fronte, allora, a un processo di apprendimento induttivo, per il quale si parte dalle
conoscenze innate dell’alunno per arrivare a insegnargli i principi sui quali si fonda lo studio della musica.
Solo in un secondo momento si arriverà alla generalizzazione, e cioè all’associazione di un segno astratto a ciò
che si è conosciuto e fatto proprio empiricamente.
▪ Il supporto di mezzi didattici specifici: Kodály si avvale di alcuni strumenti mutuati da altre metodologie. Essi
sono:
▪ la chironomia, mutuata da Guido D’Arezzo, che presuppone la concretizzazione nello
spazio del nome delle note, che possono essere riconosciute a seconda dell’altezza della
mano;
▪ la solmisazione, secondo cui si indicano i gradi della scala mediante le sillabe. Una volta
interiorizzata la chironomia, si può passare alla solmisazione che corrisponde a un processo
astrattivo successivo;
▪ notazione ritmico-letterale: alla solmisazione si può accostare uno schema ritmico. Questa
notazione permette di connettere melodia e ritmo e conduce alla lettura dello spartito. Per la
sua immediatezza è più semplice della lettura del pentagramma ma è più difficile della
chironomia;
▪ il do mobile: utilizzando e mettendo in pratica i metodi precedenti si educa l’orecchio
all’ascolto di alcuni intervalli e rapporti sonori. In questo modo la musica non verrà
considerata come una successione di note, ma come un avvicendarsi di distanze precise tra
i suoni. Questo metodo è un valido aiuto per la lettura a prima vista: abbandona l’altezza
assoluta dei suoni tenendo conto solo dell’altezza relativa. Di conseguenza, tutte le scale
maggiori inizieranno con il do e le minori con il la. Grazie a questo sistema si abbandona,
quindi, l’impianto tonale e si usa un metodo che permette anche ai bambini di poter leggere
e intonare a prima vista una melodia;
▪ il pentatonismo: le scale pentatoniche, prive dei semitoni, sono alla base delle prime
esperienze musicali dei bambini, come le filastrocche e le ninne nanne. Permettono un
semplice allenamento dell’orecchio e una più facile intonazione degli intervalli.

Un altro punto di forza del metodo di Kodály è sicuramente l’importanza che viene data al canto popolare, con
l’utilizzazione a fini didattici del patrimonio etnofonico raccolto insieme a Béla Bartók. Egli infatti dedicò buona parte
dei suoi anni alla raccolta, allo studio e alla catalogazione del patrimonio musicale ungherese, salvandolo così dall’oblio
e permettendogli di rinascere.
Gli autori e le metodologie fin qui analizzati sono sicuramente i fondatori dell’educazione musicale moderna, ma
certamente le problematiche oggi aperte da questa disciplina sono molteplici. Alle proposte fin qui esaminate va
sicuramente riconosciuto il merito di aver illuminato gli studi successivi su numerosi aspetti oggi considerati alla base
dell’insegnamento, tuttavia i nuovi approcci alla materia pongono problemi e interrogativi nuovi. Un ruolo sempre più
importante assume oggi la didattica (in generale, ma anche della musica), intesa come esperienza che mette al centro
della sua attenzione l’individuo e il contesto nel quale vive, ma anche l’ambiente multiculturale che caratterizza le classi
di una società ormai multietnica.
I metodi fin qui illustrati considerano la musica strettamente come oggetto culturale, legata quindi all’arte, e
soprattutto hanno un’idea presupposta di quelli che potrebbero essere i bisogni dei destinatari dell’insegnamento.
Partendo da questi limiti, che i metodi “classici” hanno dimostrato di avere, in Europa e negli Stati Uniti si muove
la ricerca più recente, che presta la sua attenzione alle diverse tradizioni musicali, amplia il campo delle esperienze
educative e valorizza soprattutto la creatività dello studente. Egli, infatti, al centro del processo conosci tivo, viene
continuamente stimolato a produrre criticamente le proprie posizioni. Questo tipo di approccio non si basa su un metodo
prefissato, ma si adatta ai nuovi contesti che la società propone continuamente. Per assecondare quindi le nuove tendenze,
sempre di più questa metodologia si preoccupa di istruire l’alunno a manipolare i suoni anche attraverso le nuove
tecnologie, grazie, ad esempio, all’utilizzo di programmi di sinterizzazione al computer. Questa metodologia “aperta”
ha lo scopo di promuovere l’insegnamento della musica non staticamente, ma adattandosi anche ai mezzi che il progresso
propone negli anni.
1.3.2 Gli anni Sessanta in Italia
Fino agli anni Sessanta non si può parlare in Italia di educazione musicale, a parte isolati tentativi, peraltro poco
valorizzati, come quello citato di Laura Bassi. Questa scarsa o nulla attenzione nei confronti dell’educazione musicale è
dovuta soprattutto al fatto che la disciplina non era oggetto di studio scolastico, tranne che negli istituti magistrali e nelle
scuole di avviamento12, dove peraltro era insegnata nozionisticamente e con esclusiva attenzione al canto corale di brani
patriottici e religiosi. Il grande valore educativo della musica era pressoché sconosciuto in ambito scolastico.
12Fino al 1963.

Alla musica si faceva cenno anche nei programmi del 1955 della scuola elementare, ma se ne affidava
l’insegnamento alle stesse maestre “onniscienti” che non avevano alcuna formazione in merito. Nelle scuole materne 13,
invece, sembra si presti più attenzione alle problematiche legate all’insegnamento della musica, a tal proposito nel 1969
vengono forniti gli Orientamenti dell’attività educativa, che sono specchio del nuovo dibattito pedagogico che si stava
affacciando nel panorama scolastico italiano.
13Oggi scuole dell’infanzia.

Le date più significative della storia dell’educazione musicale in Italia sono:

▪ il 1963, anno in cui entrarono in vigore i programmi d’insegnamento nella scuola media dell’obbligo, con
l’introduzione della musica nel piano degli studi;
▪ il 1979, anno in cui furono revisionati i programmi di cui sopra con il passaggio da una a due delle ore di
insegnamento della musica in ciascuna classe;
▪ il 1985, anno in cui sono stati emanati i nuovi programmi della scuola elementare, con la presenza nel curricolo
dell’”educazione al suono e alla musica”;
▪ il 1999, anno in cui vengono ricondotti a ordinamento i corsi a indirizzo musicale nella scuola media, fino ad
allora “sperimentali”;
▪ il 2010, anno in cui viene istituito il liceo musicale e coreutico;
▪ il 2011, anno in cui si introduce nella scuola primaria 14 la cultura e la pratica musicale, con particolare
riferimento alla formazione del personale a essa destinato.
14
Ex scuola elementare.
Per quanto riguarda i programmi del 1963, essi furono certamente importanti perché segnarono finalmente
l’ingresso della musica nell’istruzione, ma a tale disciplina ancora non venivano riconosciuti quei caratteri formativi che
oggi diamo per scontati. La pratica musicale si fermava esclusivamente al canto e alla ritmica, senza presupporre alcun
tentativo di stimolo alla creatività negli alunni. Proprio a questo tema dedica la sua attenzione Boris Porena, il quale
nella sua Musica prima15 ha svolto numerose e significative esperienze sulla base di un progetto di “composizione per
tutti”. Attraverso il recupero di strutture come l’identità, la somiglianza, l’equivalenza, l’opposizione, sommerse dalle
convenzioni culturali, egli presuppone la possibilità della riscoperta dei modi della produzione musicale.
15
Musica prima. La composizione musicale: uno strumento della pratica culturale di base nella scuola e sul territorio,
Treviso 1979.
Raccogliendo l’eredità dei classici dell’educazione musicale, possiamo dire che l’orientamento attuale vuole al
centro del processo di insegnamento la creatività dell’alunno, che non ha bisogno di grandi conoscenze per “comporre”
la musica, ma può farlo a tutte le età anche con mezzi molto rudimentali.

Struttura dell’IO
I fattori che influenzano la strutturazione mentale dell’IO sono la rappresentazione mentale che la
persona ha di sé, i valori del contesto sociale di appartenenza, i vincoli delle situazioni che si presentano
al soggetto.
Il soggetto che ha una personalità ben strutturata ha una rappresentazione mentale di sé positiva e
consapevolezza delle proprio caratteristiche, delle proprie capacità e dei propri valori. E’ in grado di
adattarsi e affrontare i cambiamenti. Una personalità ben strutturata ha capacità di Problem Solving

TEORIE DELL’ APPENDIMENTO


Costruttivismo vede l’apprendimento come un processo che trae origine dai bisogni del discente. La
motivazione condiziona sensibilmente il processo di apprendimento. Lo sviluppo cognitivo, relazionale e
relazionale non può prescindere dal contesto ambientale di appartenenza, inteso anche come ambiente
sociale e culturale.
Piaget sostiene che “l’ontogenesi ripete la filogenesi” (lo sviluppo del singolo ripercorre lo sviluppo
della specie). Introduce il concetto di struttura mentale e di schemi di funzionamento del pensiero nella
elaborazione delle sensazioni sensoriali. La conoscenza è un processo di Assimilazione e
Accomodamento.
Vygotsky ritiene che l’origine del linguaggio è sociale. Le parole esprimono il pensiero, il pensiero
riflette su sé stesso e può produrre idee elaborando nuovi schemi logici.

Bruner ritiene limitante la teoria egli stadi evolutivi di Piaget ai fini di una reale conoscenza. Lo
sviluppo è dato dall’ambiente. E di come l’ambiente influisce sui processi cognitivi: individua tre
rappresentazioni (esecutiva iconica e simbolica). Alla base dell’apprendimento abbiamo il linguaggio e
primo input per l’apprendimento del linguaggio è la madre.
L’apprendimento deve essere fondato dalla scoperta e dalla motivazione.
Novak-Damiano definiscono le Mappe concettuali
Secondo Damino la conoscenza è data dalla organizzazione dei concetti.
Gowin rappresenta il processo di apprendimento con un modello a V. Al vertice c’è il problema, da un
lato abbiamo le metodologie da un lato l’a spetto teorico.
Morin contribuisce alle Indicazioni Nazionali, prendendo in considerazione l’aspetto unitario del sapere.
Gardner individua diverse forme di intelligenza, le intelligenze multiple. (linguistica, Logico-
matematica, musicale, naturalista,cinestetico-corporale,emotiva, introspettiva…..
Goleman spiega che la personalità è data anche dall’intelligenza emozionale. Le emozioni
contribuiscono alla costituzione della personalità del soggetto. Il soggetto è chiamato a gestire ed essere
consapevole delle proprie emozioni.

Normative sulla pratica dello strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado musicale

DM 8 settembre 1975- Corsi sperimentali di strumento nella regione Lombardia

DM 3 agosto 1979- estensione dei corsi sperimentali a tutta la nazione, da un minimo di tre ad un
massimo di cinque strumenti

DM 13 febbraio 1996 Inserimento della pratica strumentale nel progetto educativo della scuola
dell’obbligo

L 124/99 Riconduzione ad ordinamento dei corsi ad indirizzo musicale

Prove attitudinali

Programmazione

• DM201/99 allegato A
• Indicazioni Nazionali

Valutazione

• DM201/99 Allegato A

Normativa alunni in difficoltà

• L104/92 bisogni educativi speciali


• L170/2010 disturbi dell’apprendimento

Come intervenire su un alunno con disturbi emotivi

I disturbi emotivi possono manifestarsi in tutti gli individui di ogni età e interessano la sfera emotiva,
sociale e relazionale della persona. Il presentarsi di disturbi emotivi nell’alunno che pratica uno
strumento musicale influenza negativamente ed ostacola lo studio dello stesso. Generalmente si
manifesta sotto forma di ansia da prestazione: lo studente dubita delle proprie capacità, si sente
insicuro e prova vergogna nell’esibirsi di fronte ad altre persone. Occorrerà quindi che il docente
indaghi, anche con il supporto della famiglia e di esperti esterni a seconda dei casi, sulle possibili cause
che sono all’origine del disturbo. Ad esempio può manifestarsi un forte senso di inadeguatezza e di
incapacità nel proseguire verso gli obbiettivi stabiliti in alunni con disturbi dell’apprendimento o deficit
dell’attenzione. Sarà quindi opportuno che ogni alunno sia trattato con una azione didattica
individualizzata. Un importante aiuto per lo studente ad affrontare e gestire le proprie emozioni sarà
l’applicazione della metodologia d’insegnamento del “peer to peer”: sia che debba esibirsi da solo, sia
insieme ad altri, il suonare insieme e l’essere ascoltato da coetanei lo aiuterà ad affrontare il timore del
giudizio esterno e ad avere una visione oggettiva delle proprie capacità.
Il candidato illustri come intende affrontare problematiche legate ai talenti differenti tra gli allievi:
fisicità, intellettualità, emotività

Come mostrano le principali teorie dello sviluppo e del comportamento è necessario intervenire in
modo individuale su ogni alunno in modo da favorire lo sviluppo delle principali attitudini personali e di
intervenire in sostegno delle problematiche che possono manifestarsi. La teoria delle intelligenze
multiple proposta dallo psicologo H. Gardner spiega che ogni persona possiede e può sviluppare, se
incoraggiate, diversi tipi di intelligenza. Gardner individua inizialmente sette tipi di intelligenza:
linguistica, logico-matematica, corporea, musicale, interpersonale, intrapersonale; in seguito aggiunse
l’intelligenza naturalista e l’intelligenza esistenziale. Queste intelligenze sono innate e possono essere
tutte sviluppate con adeguato esercizio.

In base al proprio carattere e alle proprie attitudini, ogni alunno potrà incontrare, durante lo studio
dello strumento, diverse problematiche. La figura del docente sarà in questo caso essenziale per
guidare l’allievo alla risoluzione delle proprie difficoltà e al compimento dei traguardi proposti. Sarà
innanzitutto necessario indagare sulla natura della difficoltà incontrata e predisporre un adeguato
percorso per risolverla.

Nel caso di uno studente con difficoltà legate all’emozione, come l’ansia di doversi esibire, un aiuto
potrebbe essere quello di renderlo consapevole delle proprie capacità. Poterebbe iniziare registrando
dei video in cui suona, senza essere terrorizzato dal giudizio altrui in caso di eventuali errori. In seguito,
si proporrà di esibirsi con qualche amico, in modo da essere consapevole delle emozioni che si
sviluppano durante l’esecuzione e imparare a gestirle.

Nel caso di problematiche dovute a disturbi dell’apprendimento o bisogni educativi speciali, si dovrà
indagare sulla natura del disturbo, adottare le giuste misure dispensative e compensative e trovare
insieme allo studente le giuste strategie. Alcune, ad esempio, potranno essere il potenziamento delle
capacità di memorizzazione, la schematizzazione dei movimenti sugli strumenti, lo studio separato delle
diverse frasi musicali e la loro scomposizione in periodi più corti (periodi e incisi), ecc.

Problematiche dovute ad emozione e timidezza possono riscontrarsi anche in alunni migrati che ancora
non si sono pienamente integrati. In questo caso sarà opportuno evitare di metterli al centro
dell’attenzione, chiedere delle loro tradizioni musicali. Bisognerà offrire varie occasioni di
apprendimento insieme ai compagni, attendere che si sviluppi la sicurezza delle proprie capacità e
favorire l’integrazione con i compagni di classe. A quel punto si potrà affrontare il discorso didattico con
uno sguardo multiculturale più ampio.

Allo stesso modo l’azione didattica oltre ad essere di supporto degli studenti con difficoltà, si
interesserà allo sviluppo e al potenziamento di quelli particolarmente talentuosi. Non ci si servirà
soltanto di singole occasioni di apprendimento, ma di molteplici strategie didattiche e diversi momenti
di confronto delle proprie competenze, così da poter attuare percorsi didattici inclusivi per tutti gli
allievi.
Principali metodi e studi per strumenti a percussione

Rullante

Dato il gran numero di strumenti, l’approccio iniziale per lo studio delle percussioni generalmente
avviene con l’impostazione e la pratica del tamburo. Verrà spiegata non solo l’impostazione del
tamburo, ma anche l’impugnatura per qualunque strumento da suonare con due bacchette. Dal punto
di vista della lettura musicale invece sarà affrontato il discorso dei valori delle misure e delle figure
musicali. Tra i vari metodi di riferimento per l’approccio al tamburo troviamo i solfeggi ritmici di Dante
Agostini, gli studi di Antonio Buonomo o vari metodi progressivi di autori come Goldenberg, Delécluse,
Keune e Bohmof. Questi autori seguiranno la crescita musicale del discente e verranno integrati da
studi o brani solista per rullante. Ricordiamo in particolare i 12 studi e Test Claire di Delecluse, i 150
assoli di Willcoxon, gli studi di Vic Firth, e i 60 studi di Osadchuk. Dal punto di vista tecnico, appena la
sicurezza dello studente lo consentirà, verrà potenziato il profilo tecnico. Per conoscere le principali
tecniche e per sviluppare scioltezza e velocità nei movimenti si useranno metodi come Stick Control e
Accents and Rebound di G. L. Stone, i 40 rudimenti della Percussion Art Society, Master studies di J.
Morello o i vari metodi di Dom Famularo. Ricordiamo ancora Rhythm and patterns di Gary Chaffee e
Syncopation di Ted Reed, che affrontano diversi aspetti della lettura musicale del tamburo e della
batteria.

Tastiere

L’ approccio melodico sugli strumenti a percussione avverrà con le percussioni a tastiera.


Parallelamente al consolidarsi dei valori delle figure musicali verrà mostrata la corrispondenza dei suoni
delle piaste degli strumenti alle note sul pentagramma: si spiegherà come individuare le note sulla
tastiera prendendo come riferimento i “tasti neri”, come affrontare la pratica dello strumento e la
lettura dello spartito. Molto indicato per il primo approccio è il “metodo per percussioni a tastiera” di
Bohmof che in modo progressivo parte dall’esecuzione di poche note fino alla maturazione del rullo. Un
altro metodo affermato e” Modern School for Xylophone, Marimba and Vibraphone” di Goldenberg che
affronta subito la pratica del rullo e introduce studi per affrontare le varie tonalità, bicordi e arpeggiati
e progressivamente porta ad affrontare studi complessi e passi di repertorio orchestrale
particolarmente ostici.

Per la pratica a quatto bacchette i “5 solos for Anais” di Ruud Wiener per marimba sono un ottimo inizio
per apprendere i movimenti di questa impostazione. Per questa impostazione si passerà ben presto
dalla pratica di studi ad affrontare brani solistici per Marimba o Vibrafono in una letteratura nuova e
sempre in aggiornamento. Ricordiamo per il vibrafono gli studi di David Fridmann gli studi del libro
Dampening and Pedaling e la raccolta Mirror from Another, i brani di Ruud Wiener, alcuni importanti
brani solistici come Blues for Gilbert di Glentworth e Viridiana di Schluter e i concerti di Sejournee e di
Rosauro. Per la Marimba ricordiamo le composizioni solistiche di Sejourne, Zivkovic, Rosauro,
Smadbeck, Trevino.

Timpani Tra i principali testi per lo studio dei timpani troviamo Modern Method for Tympani di Saul
Goodman che spiega i fondamenti di questo strumento, propone esercizi per i cambi di intonazione,
studi da due a cinque caldaie e i principali passi orchestrali. Studi importanti per i timpani sono i 21 soli
di Vic Firth, le raccolte di 30 e 20 studi di Delecluse, e Gli 8 studi di Carter.

Accessori orchestrali

Per il repertorio di strumenti come il tamburello basco, il triangolo, la grancassa e i piatti sinfonici
troviamo il metodo scritto da Al Payson, le raccolte di passi orchestrali di R. Carrol e il metodo Cinellen,
grosse trommel un anderes di Hochrainer.

Batteria

Oltre ai metodi citati per lo studio del tamburo,


Impostazione generale delle impugnature e delle posture degli strumenti a Percussione Commentato [amd1]: erale

Presa delle bacchette (due bacchette)


Matched grip: La bacchetta viene tenuta tra l’incavo delle falangi dell’indice e il polpastrello del
pollice(fulcro). Le altre dita non stringono ma aiutano al controllo della bacchetta in base alla tecnica che
viene utilizzata (single stroke,finger control, press roll). In base alla direzione del palmo della mano
distinguiamo l’impugnatura in French grip (i palmi sono rivolti verso l’interno) o German Grip (i palmi
sono rivolti verso il basso). Nell’ impugnatura francese le dita collaborano al movimento della bacchetta
e dalla rotazione della mano sull’asse dell’avambraccio, nella tedesca la percussione è data dalla
rotazione del polso sul proprio asse.
Traditional grip: la bacchetta viene tenuta rovesciata sulla mano non dominante. Il fulcro si trova alla
base del pollice e la bacchetta è poggiata tra il medio e l’anulare. Il movimento della bacchetta è dato
dalla rotazione della mano sull’asse dell’avambraccio. La Mano dominante è impostata come nella
matched grip.
In tutte le impostazioni Il movimento parte dal polso. Quando necessario anche il resto del braccio
collabora al movimento. I principali tipo di colpo sono il Free stroke(polso), Moeller stroke (movimento
a frustra che coinvolge l’intero braccio).
Tecnica a quattro bacchette: Ogni mano impugna due bacchette. Quando suonano entrambe le
bacchette il movimento e dato dalla rotazione del polso, quando suonano singolarmente dalla rotazione
dell’avambraccio. Le principali impostazioni sono la Musser, la Burton e la Stevens.

Posizione seduta.
Gli strumenti che prevedono di essere suonati nella posizione seduta saranno posizionati in modo da non
creare tensioni nel corpo dell’esecutore. La schiena sarà dritta e le mani saranno ad un’altezza comoda,
creando nel gomito un angolo di 90°. Anche le gambe saranno in posizione comoda, evitando ogni tipo
di tensione, specie negli strumenti dove è previsto l’uso di pedali. Se possibile è opportuno utilizzare
sedute con altezze regolabili.
Posizione in piedi
Negli strumenti che non saranno suonati da seduti, i piedi saranno leggermente divaricati, in linea con le
spalle. Sulle percussioni a tastiera aiuteranno l’esecutore negli spostamenti sullo strumento con un
movimento “piede scaccia piede”, evitando di incrociare le gambe e garantendo la necessaria stabilità del
baricentro della persona. Nel suonare i piatti Sinfonici i piedi assumeranno la posizione tipica della
guardia della pratica marziale: in linea con le spalle, uno in avanti e uno in dietro. In questo modo si
eviterà che il peso dello strumento causi la fuoriuscita del baricentro del percussionista dalla propria base
di appoggio.

Per le impostazioni di ogni strumento sarà necessario discutere in modo specifico.

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