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1287 E DINTORNI

Ricerche su Castelseprio
a 730 anni dalla distruzione

a cura di

Marco Sannazaro
Silvia Lusuardi Siena
Caterina Giostra
1287 E DINTORNI
Ricerche su Castelseprio
a 730 anni dalla distruzione

Atti della Giornata di studi (Milano, 27 novembre 2017)

a cura di
Marco Sannazaro
Silvia Lusuardi Siena
Caterina Giostra

SAP
Società
Archeologica
Questa pubblicazione e la ricerca di cui è esito sono cofinanziate con i contributi dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore e della Regione Lombardia (Bando avviso unico 2017 Cultura – L.R. 25/16-art. 26 – aree archeologiche e siti iscritti
o candidati alla lista Unesco)

Comune di
Castelseprio

Redazione:
Filippo Airoldi, Elena Spalla, Università Cattolica del Sacro Cuore

Composizione e impaginazione:
Sonia Schivo, SAP Società Archeologica s.r.l.

In copertina:
Fibbia con decorazione a smalto, disegno ad acquarello di Remo Rachini

Le fotografie di scavo e dei reperti sono pubblicate con autorizzazione della


Sabap per le Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese

2017, © SAP Società Archeologica s.r.l.


Strada Fienili 39a - 46020 Quingentole (MN)
editoria@archeologica.it
www.archeologica.it

ISBN 978-88-99547-18-9
Sommario

 Saluti
Angelo Bianchi (Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia)
Giuseppe Zecchini (Direttore del Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’Arte)
Luca Rinaldi (Soprintendente SABAP per le Province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio, Varese)
Stefano Bruno Galli (Assessore all’Autonomia e alla Cultura. Regione Lombardia)
Cristina Riva (Consigliera delegata alla Cultura, Provincia di Varese)
Monica Baruzzo (SIndaco del Comune di Castelseprio), Massimo De Marchi (Assessore alla Cultura)

 Prefazione dei curatori

 Le prospettive di un ritorno a Castelseprio


Marco Sannazaro


 Castelseprio-Torba. Il sito Unesco: attività in corso e prospettive
Sara Matilde Masseroli

1287 e dintorni
 La lotta politica a Milano negli anni Ottanta del Duecento e la distruzione di Castelseprio
Paolo Grillo

 Le operazioni contro Castelseprio e le tecniche di guerra nella seconda metà del Duecento
Aldo A. Settia

 Armi e armature tra Duecento e Trecento


Marco Vignola

Dai conti del Seprio ai conti di Castelseprio. Una messa a punto con qualche restauro e alcune novità
Alfredo Lucioni


Tra XIII e XIV secolo. Produzione nell'area monetaria di Milano e sue attestazioni nel Seprium
Claudia Perassi, Alessandro Bona


 Manufatti del quotidiano: pietra ollare, ceramiche e vetri tra VIII e XIII secolo
Marco Sannazaro, Angela Guglielmetti, Marina Uboldi

La casa medievale
  Le nuove indagini nella casa medievale (campagna 2016)
Leonardo De Vanna


Le tecniche costruttive della casa medievale: analisi preliminare
Federica Matteoni

 Reperti metallici bassomedievali


Marco Vignola

 La placca altomedievale
Caterina Giostra

 Le monete
Alessandro Bona

 La pietra ollare e i reperti ceramici


Marco Sannazaro, Beatrice Bellicini, Chiara Pupella

 Pietra ollare: analisi dei litotipi


Roberto Bugini, Luisa Folli

 Pietra ollare: analisi delle incrostazioni carboniose


Sila Motella De Carlo, Cristina Corti, Laura Rampazzi, Lanfredo Castelletti


Due frammenti di Terra Sigillata Africana
Serena Massa

 Frammenti di ceramica invetriata monocroma ad impasto siliceo


Fabrizio Benente

I vetri
Sara Matilde Masseroli

Il Borgo

 Il borgo: indagini diagnostiche preliminari


Caterina Giostra, Micaela Leonardi

La chiesa di S. Paolo

 Nota storico-architettonica su San Paolo di Castelseprio


Luigi Carlo Schiavi

 La chiesa di S. Paolo. La storia di un cantiere, rilevamento e ricostruzione


Guido Guarato, Alessandro Zobbio


 Indagini archeologiche nell’avancorpo della chiesa di San Paolo a Castelseprio (2013-2014)
Francesco Muscolino, Emanuela Sguazza, Fausto Simonotti, Laura Breda
Armi e armature tra Duecento e Trecento

Marco Vignola*

1. Introduzione quadro generale, diventa invece molto più difficile scen-


dere nello specifico di una singola area. La forte mobilità
Descrivere l’evoluzione degli armamenti individuali in dei manufatti oplologici, spesso commerciati su lunghe
una precisa fase storica è un passaggio di non facile tratte, rende praticamente impossibile stabilire se un
soluzione, in precario equilibrio tra una serie di “distin- reperto individuato in una località sia stato anche pro-
guo” e rischiose semplificazioni. La documentazione dotto “in situ” o se piuttosto abbia viaggiato a lungo
disponibile per il nostro periodo di riferimento (seconda prima di essere disperso. La dicotomia tra luogo di rin-
metà del Duecento-primi decenni del Trecento), per venimento e luogo di produzione rimane pertanto sem-
quanto non avara come in altre epoche, non basta infatti pre presente, trovando soluzione soltanto nella mar-
a sgomberare il campo da ogni possibile ambiguità e a chiatura dei pezzi, che rappresenta una prova certa
dirimere ogni dubbio. Il XIII secolo, infatti, ci ha restituito dell’officina di produzione1. Discorso analogo, pur-
relativamente poche testimonianze archeologiche di troppo, vale anche per l’iconografia. La rappresenta-
ambito oplologico in contesti sicuri e ben sigillati (almeno zione di un determinato manufatto in un affresco, una
in Italia), mentre l’iconografia davvero fruibile risulta an- tavola o una miniatura dalla provenienza accertata, non
cora decisamente scarsa rispetto ai secoli successivi. risulta infatti sufficiente a certificarne l’impiego nella
A questa relativa penuria di testimonianze tangibili fanno stessa zona di produzione, perché entrano in gioco fat-
da contraltare i documenti d’archivio, che almeno nel- tori imponderabili come la cultura dell’artista, il quale
l’area di nostro interesse (l’Italia del nord) sono piuttosto poteva accedere a repertori più vicini al luogo della
abbondanti, sebbene gravati dal solito problema di sua formazione umana e professionale2.
fondo: dare un “corpo” alla lettera scritta non è sempre Specie nei periodi più avari sul piano iconografico ed
facile come vorremmo, essendo la materializzazione di archeologico, è dunque prassi abbastanza comune at-
questi lemmi astratti affidata ai soli manufatti e all’ico- tingere confronti da aree geograficamente e cultural-
nografia. Parlando di archeologia, in particolare, emerge mente distanti, i quali, sebbene utili a tratteggiare alcune
uno dei distinguo appena accennati: se della storia linee evolutive generali, non ci permettono tuttavia di
degli equipaggiamenti bellici è possibile tracciare un scendere fino allo specifico delle varianti regionali3. A

* Università Cattolica del Sacro Cuore. territoriale, rende complesso stabilire quale percentuale dell’icono-
1 Il nodo dei marchi sulle armature milanesi, la cui analisi è indispen- grafia di un affresco sia ispirata alla cultura materiale del luogo di
sabile per l’attribuzione agli ateliers cittadini, è stato da me recente- produzione e quanta invece abbia seguito l’artista come suo bagaglio
mente affrontato in chiave monografica (VIGNOLA 2017). La parte mentale, maturato nei luoghi ove crebbe ed operò in precedenza.
introduttiva di questo libro, arricchita ed ampliata con riferimenti ico- 3 Che almeno nel Quattrocento esistessero degli “stili nazionali” è
nografici e una sezione sulle armi d’attacco, ha inoltre costituito il filo materia nota e affrontata con buoni risultati da una platea di studiosi.
conduttore del presente articolo. Distinguere tra un’armatura gotica tedesca e una italiana, per esem-
2 A titolo d’esempio possiamo ricordare il caso dei “frescanti” che pio, è cosa relativamente semplice. L’estrema penuria di esemplari
nel corso del secondo Quattrocento vagarono per il territorio ligure e superstiti, la sporadicità del repertorio iconografico (col rischio onni-
piemontese, disseminando con la loro arte le chiese di numerose lo- presente di maestranze itineranti, portatrici di stilemi lontani dal
calità rurali (CALDERA 2005). Il discorso delle maestranze itineranti, luogo di produzione dell’opera) e la difficoltà di tradurre in oggetto le
ben noto nel corso di tutto il medioevo e non solo in questo ambito parole degli inventari, sono tuttavia elementi che impediscono attual-
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tal proposito risulta illuminante l’esempio della Bibbia nei ranghi ci si adeguava a soluzioni più economiche
Maciejowsky, usata da molti studiosi come vero e proprio e ad armamenti più vetusti, magari affittati, ricevuti
cardine iconografico per la metà del XIII secolo: miniata come munizione o acquistati di seconda mano4. In
da maestranze francesi con incredibile minuzia, questo quest’ottica è dunque abbastanza ovvio che le armi
preziosissimo manoscritto ritrae quasi fotograficamente abbiano subito un’evoluzione costante per far fronte a
la panoplia del fante come del cavaliere, ma non sap- nuove minacce o per una progressiva opera di affina-
piamo quanti dei suoi dettagli possano automaticamente mento funzionale, atta a garantire il miglior risultato con
trasporsi nello scenario bellico dell’Italia del nord. il minimo sforzo per il combattente. Il XIII secolo segnò
Accogliendo questi limiti metodologici di fondo (attinenti un importante punto di svolta in questo processo evo-
al nostro ambito come a molti altri aspetti della cultura lutivo, perché vide l’introduzione di armamenti fino ad
materiale), nelle pagine seguenti si cercherà comunque allora ignoti sui campi di battaglia occidentali. Tra la
di delineare l’equipaggiamento individuale di fanti e fine del XII e l’inizio del XIII secolo, in particolare, nella
cavalieri sullo scacchiere dell’Italia settentrionale tra panoplia cavalleresca ai vecchi caschi a nasale, che
Duecento e Trecento, passando poi a trattare più nello lasciavano il viso sostanzialmente scoperto, si accostò
specifico la situazione milanese proprio negli anni della una nuova tipologia più protettiva, evolutasi nel corso
caduta di Castelseprio, fulcro cronologico del presente del Duecento dal casco a visiera al vero e proprio
contributo. “grand’elmo”: una sorta di bigoncia metallica composta
da numerose piastre rivettate le une sulle altre, il cui
uso, pur con significative variazioni morfologiche, con-
2. Le difese del guerriero tra la metà del XIII secolo tinuò fino alla seconda metà del Trecento5 (fig. 1). Nel
e i primi decenni del XIV: lineamenti generali grande elmo il volto del cavaliere, prima leggibile dietro
l’esigua difesa del nasale, tornava ad essere comple-
Per quanto la guerra venga oggi (e certamente non a tamente nascosto all’avversario, come già negli elmi
torto) vista in un’ottica sostanzialmente negativa, è tut- cavallereschi “a maschera” di epoca classica ed in
tavia indiscutibile che in passato, come oggi, la tecno- consimili esemplari alto medievali, tra i quali celebre è
logia militare abbia rappresentato il vertice delle capa- quello sassone di Sutton Hoo dei primi anni del VII se-
cità produttive in ogni contesto sociale. Sotto il profilo colo. Questa perdita d’identità individuale rese sempre
tecnico, i manufatti oplologici offrono pertanto una sin- più indispensabile lo strumento dell’araldica per rico-
tesi perfetta del “saper fare” di ogni stagione storica e noscere i cavalieri, i quali, sopra alle loro difese, presero
una testimonianza vivace del gusto estetico vigente, ad ammantarsi di vesti e blasoni variopinti, coronando
specie quando scendere sul campo di battaglia impli- gli elmi con vistosi cimieri.
cava anche uno sfoggio di rango e di prestigio. La “fe- Sul piano iconografico, il cosiddetto “Fregio dei Cava-
sta crudele” della guerra medievale si nutriva infatti di lieri” nel Palazzo dell’Arengo di Novara (fig. 2) testimonia
segnali che il pragmatismo tattico odierno ha decisa- una preziosissima panoplia cavalleresca “arcaica”,
mente abbandonato. Dalla ricchezza di un’armatura, connotata dalla presenza esclusiva di caschi a nasale
dai tessuti che l’accompagnavano, dalla qualità di una e di ampi scudi “a mandorla” di tipo normanno, con un
cavalcatura, si ricavava, un’indicazione precisa del insieme dove la maglia è l’armamento principale: si-
rango e del ruolo del combattente, secondo un codice tuazione non dissimile agli affreschi del battistero di
semantico perfettamente chiaro a tutti i contemporanei. Parma, che a mio avviso possono collocarsi in un me-
Ovvio pertanto che i più ricchi e doviziosi potessero desimo torno di tempo ed essere datati oplologica-
dotarsi di armi della migliore qualità, mentre in basso mente non oltre il primo quarto del Duecento6. Sinto-

mente un serio inquadramento per microaree. La differenza di stili genovesi per ogni mese di utilizzo; cfr. VIGNOLA 2003a, pp. 133-134.
non è una convenzione moderna, ma era ben presente in passato, 5 Una disamina attenta e più approfondita di tutte queste dinamiche
come dimostra il caso di Pietro de Ghixulfis, assunto nel 1467 da evolutive si trova in EDGE-PADDOCK 1996, pp. 50-65. Tra le varie
Innocenzo da Faerno per produrre difese per il busto all’italiana, alla disponibili in ambito italiano, una fonte iconografica molto dettagliata
tedesca, alla francese ed alla spagnola; cfr. VIGNOLA 2017, p. 89. per questi elmi è negli affreschi di S. Maria in Silvis, a Sesto al
4 Nella documentazione d’archivio i casi di locazione di armature non Reghena (PN).
sono rari. A titolo d’esempio, possiamo ricordare un atto di Giovanni 6 Una trattazione sistematica del nodo cronologico di questi due cicli
Giona di Portovenere del 10 settembre 1261, quando una donna andrebbe svolta in separata sede, con un articolo ad essa dedicato;
chiamata Marchesana locò a un certo Yuanus, osbergum unum fer- infatti, non ho ancora reperito qualche studio realmente esaustivo in
reum, furnitum cum capirreno et guantis sive cirotecis, et unum par chiave oplologica. Anche tenendo conto di quanto l’iconografia
caligarum ferri: in altre parole, una difesa in maglia completa da capo possa essere in ritardo sulla realtà del quotidiano, resta tuttavia il
a piedi, appartenuta al marito defunto. Yuanus, dal canto suo, dichia- fatto che un confronto calzante per il loro armamento risieda nel fre-
rava di servirsene in exercitu quod fit per Comune Ianue ad eundum gio della Porta Romana di Milano, costruita nel 1171. Parallelamente
in Romaniam (l’area del Mar Nero), offrendo una pigione di 3 soldi sono assenti le prime e più riconoscibili innovazioni duecentesche,
Armi e armature tra Duecento e Trecento 53

matico risulta il confronto con il “Ciclo di Ivano” del ca-


stello di Rodengo (fig. 3), dove gli armati già cingono
la testa cinta con caschi a visiera (di forma ancora ar-
caica rispetto al grand’elmo maturo) e reggono in mano
scudi triangolari o “scapezzati”, di forma già piena-
mente duecentesca.
Tornando alle difese della testa, fanti e cavalieri pote-
vano inoltre tutelarsi con cappucci di maglia, indossati
talvolta per doppiare i grandi elmi, oppure con dei
“cappelli di ferro”, dotati di tesa più o meno ampia e
dal coppo arrotondato, sempre presenti nell’iconografia
del periodo ed esplicitamente ricordati nel capitulum
ferri laborati et non laborati del 1340 (del quale si trat-
terà più diffusamente a suo tempo). I vecchi caschi a
nasale rimasero tuttavia in auge per tutto il Duecento
specie presso le fanterie, ma in qualche caso anche
come alternativa “leggera” nella panoplia cavalleresca.
Una soluzione ancora più ridotta era quindi offerta
dalle cervelliere, costituite da un semplice calotta sa-
gomata più o meno anatomicamente sulla scatola cra-
nica. Cervelliere e cappelli di ferro, con le dovute va-
rianti morfologiche, avrebbero superato indenni lo spar- Fig. 1. Abbazia di S. Maria in Silvis, Sesto al Reghena (PN);
tiacque del XVI secolo per essere ancora impiegati (http://www.lucabaradello.it/images/friuli/reghena_7395.jpg;
consultato il 21-02-2018).
nella prima età moderna e figurano abbondantemente
nel ciclo della Sala di Giustizia della Rocca di Angera,
ove scorrono le vicende di Ottone Visconti e della bat-
taglia di Desio. La presenza in questi importantissimi e arti del combattente rimase senza dubbio la maglia
affreschi di un casco a nasale (fig. 4), insieme ad un in ferro o acciaio; un vero e proprio indumento metallico
armamento meno maturo rispetto agli altri cicli cardinali confezionato intrecciando anelli di vario diametro, tutti
per il primo Trecento del Sant’Abbondio di Como (figg. chiusi da un rivetto (tutt’opera) o disposti a linee alterne
5-6) e di S. Caterina del Sasso a Leggiuno (fig. 7), mi di rivettati e di saldati per bollitura (mezz’opera), se-
spingerebbero a proporre per loro una datazione piut- condo un tipico schema di 4:18. Il suo principale van-
tosto arcaica, precedente alla proposta del Toesca taggio risiedeva nella flessibilità paragonabile a un nor-
che li collocava tra 1314 e 1316. In quest’ottica e in male tessuto e nella buona traspirazione garantita dalle
piena sintonia con le recenti ipotesi del Rossi7, sem- fessure degli anelli: per contro, pur risultando impene-
brerebbe infatti più logica un’epoca non eccedente la trabile ai colpi di taglio, l’energia trasmessa dall’arma
fine del XIII secolo e dunque prossima alla battaglia di avrebbe potuto generare fratture o contusioni nell’indi-
Desio del 1277 e alla distruzione di Castelseprio. viduo che la indossava. Per ovviare all’inconveniente,
Per tutto il bassomedioevo (e dunque ancora nel pe- la maglia veniva spesso calzata insieme a vesti imbot-
riodo in esame), la principale forma di difesa per corpo tite, che consentivano di distribuire più uniformemente

facendoci riflettere su una cronologia piuttosto precoce. Se per il mittente (ROSSI 2011, p. 189). Il persistere dei caschi a nasale (per
Battistero di Parma si dovrebbe comunque pensare ad un’epoca quanto in un solo esemplare) e l’apparente mancanza delle barbute-
posteriore alla decorazione iniziata dall’Antelami (la data 1196 è bacinetti, che invece già compaiono nel Sant’Abbondio e in S. Cate-
ricordata su un’iscrizione sul Portale della Vergine), nel caso di rina, sembra corroborare la sua ipotesi. Per un excursus iconografico
Novara, almeno sul piano oplologico, un’anticipazione alla fine del con foto di altissimo dettaglio di alcuni dei cicli citati in queste
XII secolo del ciclo dell’Arengo andrebbe valutata con mente piutto- pagine, BOCCIA - ROSSI - MORIN 1979, pp. 22-31.
sto aperta. 8 Questo schema, valido come regola per tutta la maglia di produ-
7 Nella mia più recente monografia mi sono attenuto a questa data- zione europea, poteva subire delle variazioni dove si fosse reso
zione “tradizionale”, ma un esame più attento del ciclo (che era fuori necessario modificare le geometrie dell’indumento difensivo. Per la
dagli intenti di quella ricerca), mi ha spinto decisamente sulle posi- distinzione terminologica tra “mezz’opera” e “tutt’opera”, basata
zioni del Rossi. Lo studioso, in un’acuta analisi storico-stilistica ha sulle carte del Datini, si veda SCALINI 1996, pp. 183-185. Per una
proposto come termine ultimo per la realizzazione degli affreschi la descrizione dei caratteri tipici della maglia europea, EDGE 2004, pp.
morte del vescovo Ottone Visconti (m. 1295), che quindi non 16-25.
sarebbe stato solo protagonista nel ciclo stesso, ma anche suo com-
54 1287 e dintorni. Ricerche su Castelseprio a 730 anni dalla distruzione

Fig. 2. Fregio dei Cavalieri, Palazzo dell'Arengo di Novara Fig. 3. Ciclo di Ivano, Castello di Rodengo (BZ) (https://his-
(http://www.luzzanarestaurisrl.it/restauro-palazzi/item/152-bro- torytheinterestingbits.files.wordpress.com/2015/09/rodengo.
letto-arengo-novara#ad-image-2; consultato il 21-02-2018). jpg; consultato il 21-02-2018).

Fig. 4. Battaglia di Desio, Sala di Giustizia della Rocca Borro-


mea di Angera (VA) (http:// www. wikiwand. com/et /Desio
_lahing; consultato il 21-02-2018).

Fig. 5. Affreschi presbiteriali, Basilica di Sant'Abbondio,


Como (http://armourinart.com/15/252/; consultato il 21-02-
2018).

Fig. 6. Affreschi presbiteriali, Basilica di Sant'Abbondio, Fig. 7. Eremo di S. Caterina del Sasso, Leggiuno (VA) (https://
Como (http://armourinart.com/15/253/; consultato il 21-02- www.flickr.com/photos/diana-agostinelli/8741512401/; con-
2018). sultato il 21-02-2018).
Armi e armature tra Duecento e Trecento 55

il trauma da impatto9, come si osserva anche in molti uniche parti di lamiere chiaramente identificabili in con-
dettagli nel ciclo del Sant’Abbondio prima citato. La testi italiani provengono dal sito friulano del Castello
resistenza alle stoccate era invece garantita dalla chiu- della Motta, presso Savorgnano del Torre (Povoletto,
sura di ciascun anello, ma certamente contro punte UD; fig. 8)14 e presentano molteplici (e forse sorpren-
molto aguzze la tenuta non risultava perfetta, perché denti, data la distanza) analogie con quelle scavate nel
queste potevano insinuarsi tra i loro varchi senza quasi celeberrimo sito di Visby, in Gotland15.
incontrare resistenza10. Al netto di alcune limitazioni, Il principale pregio di queste difese, che potevano es-
la praticità della maglia la rese popolare presso mol- sere indossate sopra la maglia o da sole, dai cavalieri
tissime culture, facendone la forma di protezione più o dai fanti indistintamente, era quello di risultare impe-
longeva, con un arco di utilizzo continuativo di oltre netrabili alle punte delle spade e difficilmente perforabili
due millenni in varie aree del globo11. anche dai dardi scoccati dalle balestre portatili, risul-
Per la prima volta dopo secoli, nel corso del Duecento tando tuttavia più rigide e scomode da indossare per-
l’egemonia della maglia venne tuttavia messa in discus- ché meno traspiranti. La loro diffusione, comunque,
sione dalla comparsa sui campi di battaglia, a sud ed dovette procedere gradualmente a seconda delle aree
a nord delle Alpi, dei cosiddetti “armamenti corazzati”; geografiche. Già nel 1266, nella battaglia di Benevento
forma difensiva che ribaltava il concetto delle precedenti queste protezioni in piastra erano note agli uomini di
difese a scaglie e lamellari, portando l’elemento in pia- Manfredi, che infatti presero alla sprovvista i cavalieri
stra all’interno di un rivestimento in tessuto o in corame, francesi di Carlo d’Angiò, i quali seppero tuttavia ade-
al quale era assicurato tramite una serie di ribattini. Il ri- guare la loro scherma alla bisogna in tempi molto ra-
sultato visivo, dunque, era quello di una sorta di giubba pidi16. Pochi decenni dopo, sullo scorcio del secolo,
foderata di metallo, ove la presenza degli elementi gli armamenti corazzati erano ormai piuttosto comuni
interni risultava denunciata solo dalle teste dei ribattini sui campi di battaglia, avendo subito una progressiva
che fiorivano sulla superficie12. La loro prima menzione transizione dalla forma precoce del “lamiere”, confe-
documentaria, a quanto mi consta, risalirebbe al 1237, zionato con poche piastre di grandi dimensioni, a quelle
quando leggiamo che i cavalieri ezzeliniani della marca della “corazza” (coracia), dove gli elementi metallici
trevigiana erano già soliti proteggere il busto con delle erano più piccoli e numerosi per garantire una maggiore
lamerie; parola evocativa di una difesa in lamiera me- flessibilità all’insieme. Proprio questa versione più mo-
tallica, da allora ricorrente nelle carte d’archivio13. Le bile, evolutasi parallelamente al lamiere nella seconda

9 Un episodio interessante, in questo senso, lo incontriamo nei fatti 13 Per una più dettagliata analisi degli armamenti corazzati, qui
della Terza Crociata, in occasione della marcia di avvicinamento di impossibile per ragioni di spazio, si rimanda ad un mio contributo sui
Riccardo Cuor di Leone ad Arsuf, il 31 agosto 1191. Secondo il cro- “Quaderni Cividalesi”, nei quali si è fatto il punto dei ritrovamenti
nista Boha-ed-Din, infatti, le frecce lanciate dai turchi non avrebbero archeologici di questi manufatti in contesti di scavo italiani e propo-
arrecato nessun danno ai fanti nemici, perché costoro erano protetti sta una vasta rassegna documentaria: VIGNOLA 2009, pp. 145-172.
esternamente da una spessa giubba, sotto la quale indossavano una 14 Questi preziosissimi reperti sono attualmente esposti presso l’an-
cotta di maglia tanto robusta da risultare impenetrabile agli strali. Lui tiquarium di Povoletto, ma vengono purtroppo da un contesto di
stesso avrebbe notato, con stupore, come dalla schiena di alcuni primo Quattrocento, che raccoglieva una serie di manufatti metallici
fanti sporgessero molte aste di frecce infisse nella giubba; ma, nono- chiaramente residuali e defunzionalizzati, radunati in un deposito per
stante tutto, quegli uomini così duramente colpiti mantenevano il loro poi essere rilavorati. Le piastre rapportabili alla tipologia del lamiere
passo, illesi. Il fatto è più diffusamente narrato in OMAN 1924, vol. I, (e dunque di dimensioni più ampie di quelle designate nei documenti
pp. 309-310. Per quanto di epoca più tarda, queste vesti imbottite come coirace, o “corazze”), sono una decina e non costituiscono un
sono perfettamente raffigurate nel Sant’Abbondio di Como (figg. 5-6) insieme completo; cfr. VIGNOLA 2003b, pp. 189-192.
e in S. Caterina di Leggiuno (fig. 7). 15 Oltre a numerosi frammenti di difese in maglia di varia tipologia,
10 Per superare le difese degli anelli si svilupparono tipologie specifiche
questa grande fossa comune che raccolse i morti della battaglia com-
di punte. Stando alla classificazione del De Luca e del Farinelli, rientrano battuta nel 1361 ha restituito 25 coats of plates, tra i quali almeno 15
in questa categoria i tipi P, H, B1 e B2: DE LUCA - FARINELLI 2002, p. 479. potrebbero ricadere nella categoria dei “lamieri”, per le dimensione
11 Le difese in maglia pare fossero adottate per la prima volta dai degli elementi metallici che li costituiscono. Dato il contesto piuttosto
Celti, almeno tra IV e III secolo a.C. In Italia e nell’Europa occidentale marginale in cui avvenne la battaglia e la coesistenza con alcune forme
il loro impiego decadde nella seconda metà del ‘500, ma rimase in di difesa più evolute, è probabile che alcuni di questi insiemi fossero
auge nell’Europa orientale e in tutto il Medio Oriente. L’ultimo impiego già piuttosto vecchi quando vennero portati per l’ultima volta sul campo.
bellico ed operativo della maglia sarebbe stato in Tibet, ove fece Si veda a questo proposito la monumentale monografia del Thordeman,
parte della panoplia del combattente per tutto l’Ottocento; cfr. Enci- la quale, per quando risalente agli anni ’30 del XX secolo, risulta ancora
clopedia ragionata delle armi 1979, pp. 138, 200, 253. molto attuale in quanto a metodologia analitica: THORDEMAN 1939.
12 Il Termine “fiorivano” non è qui usato casualmente, giacché spe- 16 Di fronte all’impossibilità di vincere la resistenza delle piastre con
cie dall’inizio del Trecento non erano rari i ribattini in lega di rame con i fendenti, gli uomini di Carlo d’Angiò presero a colpire di stocco nei
teste sagomate a fiore, come nell’esemplare di placca di corazza tre- punti non difesi dalle piastre, come i varchi ascellari; cfr. OMAN 1924,
centesca: VIGNOLA 2017, p. 171, fig. 8. pp. 502-503.
56 1287 e dintorni. Ricerche su Castelseprio a 730 anni dalla distruzione

Fig. 8. Elementi di lamiere e corazza dal sito del Castello della


Motta, Povoletto (UD) (foto dell'autore).

Fig. 9. Simone Martini: Storie di San Martino, Basilica Inferiore


di San Francesco, Assisi (https://theredlist.com/wiki-2-351-
861-414-411-464-view-international-gothic-profile-martini-
simone.html; consultato il 21-02-2018).

metà del XIII secolo17, a cavallo di Duecento e Trecento busto e la testa, ma anche a irrobustire le protezioni
dovette conoscere una vasta e rapida fortuna: a titolo degli arti tramite schinieri e bracciali in “cuoio bollito”,
d’esempio, ad inizio Trecento le corace figuravano or- foggiati in cuoio spesso, indurito, stampato e non di
mai a centinaia sulle galee genovesi, quale munizione rado sbalzato, ai quali nella seconda metà del secolo
e armamento standard per i fanti di marina18. si affiancano forme primitive di schinieri in piastra. La
A livello iconografico, non sono purtroppo a conoscenza ragione di una simile piccola rivoluzione, che nel XIII
di opere italiane duecentesche ove questa tipologia secolo perfezionò l’assetto ottimale del combattente, è
sia riprodotta senza alcuna ambiguità e i suoi dettagli probabilmente legata alla sempre più capillare diffu-
tecnici risultino pienamente leggibili, come invece nelle sione della balestra come arma da getto, la quale, con
celebri “Storie di San Martino” dipinte ad Assisi da Si- la sua maggiore forza propulsiva e l’ausilio di cuspidi
mone Martini, che ci proiettano tuttavia verso il secondo dalle punte strette ed acuminate, permetteva ormai
decennio del Trecento19 (fig. 9). Per quanto in condi- troppo facilmente di forare la maglia di ferro, che re-
zioni di gravissimo degrado, un gruppo di placche an- stava comunque efficacissima contro i fendenti.
cora in connessione (scavato personalmente dall’autore Col passaggio da Duecento a Trecento non si vide un
di questo contributo) è stato restituito dal Castello di sostanziale cambiamento dell’insieme realizzatosi nei
Sacuidic a Forni di Sopra (UD) in strati ben sigillati e decenni precedenti. Sul torace e nelle corazze dei ca-
databili entro la fine del XIII secolo (fig. 8)20. valieri cominciarono a comparire alcune caratteristiche
In estrema sintesi, possiamo dunque sostenere che “catene d’arme”21 (ben visibili nell’arca di Azzone Vi-
nel corso del Duecento si sia verificato un generale sconti, scolpita da Giovanni di Balduccio, in San Got-
appesantimento della panoplia difensiva, proteso a tardo in Corte, 1339 circa: fig. 10), che collegavano al
doppiare le difese in maglia nei punti più vitali come il petto l’elsa della spada e del pugnale, onde impedirne

17 Una chiara testimonianza di questa fase di transizione si legge in permette una lettura perfetta e sostanzialmente fotografica della
un atto notarile genovese rogato dal notaio Bartolomeo de Fornari del panoplia del guerriero: VIGNOLA 2003b, p. 190, fig. 4.
1251, dove si legge della vendita di ben 12 coracias lamerias clava- 20 Le parti di corazza, infatti, sono state rinvenute sigillate dall’incen-
tas albas de clavibus doratis, al prezzo di 15 soldi e 7 denari cia- dio finale della struttura, che ne ha decretato l’abbandono (periodo
scuna: VIGNOLA 2009, p. 148. 2C): Sachuidic presso Forni Superiore 2008, p. 50.
18 FORCHERI 1974, pp. 113-114. 21 Enciclopedia ragionata delle armi 1979, p.117; NORMAN 1967, p.
19 Fuori dai confini italiani la più celebre e perfetta trasposizione ico- 27; EDGE - PADDOCK 1996, p. 74.
nografica di un lamiere duecentesco è quella del San Maurizio di
Magbeburgo: una scultura policroma dal raffinatissimo intaglio, che
Armi e armature tra Duecento e Trecento 57

la caduta accidentale nel pieno della mischia. Tale


consuetudine ebbe vita breve e già con la seconda
metà del secolo declinò, forse perché le catene, ab-
bastanza gestibili nel combattimento in sella dove i
movimenti erano giocoforza limitati, potevano rivelarsi
un impaccio al libero brandeggio nella scherma ap-
piedata. Le moffole di maglia, composte da anelli pic-
colissimi e simili ai moderni guanti da macellaio, co-
minciarono ad essere sostituite da guanti in scaglie
metalliche o ossee, più solidi delle precedenti, mentre
gli schinieri metallici soppiantarono le difese in cuoio e
col tempo si unirono a cosciali e ginocchielli, anch’essi
in ferro o acciaio, formando così il primo accenno di
arnese da gamba. Avambracci e cosce potevano poi
essere tutelate da elementi in cuoio rinforzato da stec-
che di ferro, antesignani delle difese in piastra soda
che gradualmente si diffonderanno nella seconda metà
del secolo22, quando si realizza il passaggio verso la
vera e propria armatura da uomo d’arme.
A livello di protezioni per la testa, nei primi decenni del
Fig. 10. Giovanni di Balduccio: arca sepolcrale di Azzone Vis-
Trecento assistiamo alla scomparsa pressoché gene- conti, San Gottardo in Corte (da VIGNOLA 2017, p. 172, fig. 9).
ralizzata del vecchio casco a nasale e alla nascita delle
prime forme di “bacinetto” o di “barbuta”. Il lemma ba-
zineto, già presente in un documento padovano del
128123, iniziò probabilmente a designare una forma In estrema sintesi, la prima metà del Trecento può es-
evolutasi dalla cervelliera e caratterizzata da un coppo sere descritta come una fase di progressiva sperimen-
appuntito, meno raccolta della cervelliera stessa. Con tazione tecnica, corrispondente al bisogno di appe-
l’avanzare dei decenni questo copricapo divenne sem- santire sempre più le difese, ma senza una traccia
pre più profondo e calante sulle orecchie, con una ca- della più tarda “visione organica” della panoplia, che
ratteristica teoria di forellini lungo il bordo per cucirvi nella prima metà del secolo restava concepita come
la farsata, ovvero l’imbottitura, raggiungendo le sue una serie di elementi sovrapposti alla maglia o ad essa
forme definitive poco dopo il 1350. Per questa fase complementari. La maglia stessa, d’altro canto, man-
cronologica, almeno a livello semantico, è a mio avviso tenne per tutto il Trecento il medesimo ruolo di prota-
piuttosto complicato distinguere tra bacinetti e barbute gonista già avuto nelle epoche precedenti, per quanto
e prova ne sarebbe che, come vedremo nelle pagine si assista ad un generalizzato accorciamento delle ma-
seguenti, il milanese capitulum ferri laborati et non la- niche fino al gomito e dagli anni ’50 l’armamento sia
borati non fa alcuna menzione dei bacinetti, citando ormai integrato da numerosi elementi in piastra, sempre
invece le barbute24. più coordinati l’uno con l’altro e progettati con visione

22 Per un rapido excursus sullo sviluppo trecentesco delle protezioni 24 Nel Dizionario Terminologico del Boccia, ancora oggi strumento
in piastra, BOCCIA - COELHO 1967, pp. 17-19: BOCCIA - ROSSI - MORIN ufficiale per la classificazione delle armi difensive dal medioevo
1979, pp. 13-15. all’età moderna, la distinzione tra bacinetto e barbuta appare in
23 La notizia è riportata in un lavoro del Nicolle, ma senza l’indica- realtà piuttosto fumosa. Alla voce barbuta si legge: “armatura della
zione di una fonte specifica, ragione per la quale non ho potuto veri- testa determinata dall’unione tra bacinetto e camaglio. Prese il nome
ficarla. Lo studioso, inoltre, sostiene una possibile origine bizantina dalla barbuta di maglia, quando si smise di indossare sopra e sepa-
per il bacinetto stesso, secondo la sua impostazione metodologica ratamente il bacinetto” (Armi difensive 1982, p. 25). Dall’interpreta-
(a mio avviso discutibile) che fa dipendere qualunque innovazione zione dello studioso parrebbe dunque che la distinzione tra le due
occidentale in campo bellico da qualche influsso orientale. Visto il tipologie risieda essenzialmente nella presenza di una “barbuta” in
fortissimo dinamismo degli ateliers occidentali, tuttavia, non maglia legata al coppo. Nel capitulum ferri laborati et non laborati
dovremmo affatto escludere che molte innovazioni si siano svilup- (trattato più diffusamente al termine di questo contributo; MOTTA
pate su base autoctona. La debolezza dello studioso sulla docu- 1914, p. 189), si parla tuttavia di barbute con e senza magia: se ne
mentazione italiana, d’altro canto, è dimostrata dal fatto che egli col- deduce pertanto che la presenza o meno della maglia non facesse
lochi la diffusione degli armamenti corazzati in Europa alla fine del alcuna differenza nella nomenclatura del pezzo, almeno nel lessico
XIII secolo, quando abbiamo visto come una prima menzione docu- milanese del 1340. Il termine bacineto nella seconda metà del Tre-
mentaria risalga almeno al 1237: NICOLLE 1999, p. 583. cento è tuttavia già ampiamente documentato, anche nella stessa
Milano; cfr. VIGNOLA 2017, p. 46.
58 1287 e dintorni. Ricerche su Castelseprio a 730 anni dalla distruzione

unitaria. Era ormai l’alba della vera armatura da uomo versata longitudinalmente, dal forte al debole, da uno
d’arme, che sarebbe nata da lì a pochi anni: quella sguscio più o meno ampio che aveva la funzione di al-
gabbia di acciaio lucente ancora oggi legata al nostro leggerire il ferro, conservandone tuttavia la robustezza.
immaginario di “guerriero medievale” per antonomasia, La forma della punta e l’ampiezza dei taglienti, sebbene
alimentato dagli esemplari rinascimentali e dal mai variabili da tipo a tipo, erano comunque sempre ispirate
esaurito onirismo romantico ottocentesco. al “colpo di taglio”, il quale poteva risultare devastante
contro un avversario disarmato, ma non ugualmente le-
tale verso un combattente protetto da un’armatura me-
3. Le armi offensive: lineamenti generali tallica. Tra gli infiniti confronti possibili per questo genere
di spada mi preme ricordare almeno il ciclo affrescato
Tra le armi d’attacco di ogni epoca la spada ha sen- nel Palazzo della Ragione di Milano, piuttosto lacunoso
z’altro rivestito un ruolo di protagonista, venendo mitiz- nel suo insieme, ma comunque di altissimo pregio per
zata fino ad assurgere a simbolo stesso di “cavalleria” la sua ubicazione nel cuore della città (fig. 11). Qui pur-
e di prodezza marziale25. Lame come Excalibur nel ci- troppo non appaiono elementi utili per la storia dell’ar-
clo arturiano e come Durlindana nel ciclo carolingio, matura, ma in compenso sono raffigurati scudi araldici
sono infatti permeate da un’aura quasi mistica che tra- triangolari ed almeno cinque spade nel loro fodero, tutte
scende di gran lunga il concetto di semplice “strumento chiaramente riferibili a questa tipologia espressamente
bellico”, finendo per rappresentare l’archetipo di questo votata al fendente. L’accuratezza della raffigurazione è
fenomeno di “trasfigurazione e simbolizzazione”. Con garantita dall’icastica resa dei pomi e specialmente dei
il consolidarsi dell’etica cavalleresca la spada venne foderi, che recano la cintura arrotolata intorno ad essi e
così ad assumere un ruolo fondamentale nel rito del- mostrano un sistema di legatura non molto dissimile da
l’investitura e fu in qualche modo sincretizzata in ambito quella funeraria di Fernando de la Cerda (m.1270), an-
cristiano. Le armi del cavaliere venivano benedette e il cora miracolosamente munita del fodero originale28.
suo brando, da bieco strumento guerresco, trasfigurava Sempre nel periodo in esame, a queste forme rimaste
in simbolo sacrale: memoria tangibile del suo impegno ben vive fino all’età moderna cominciarono ad affian-
in favore della giustizia. La vicenda di Galgano Guidotti carsi i primi stocchi (tipo XV class. Oakeshott), carat-
e della sua spada che, infissa nella roccia, si fece terizzati da lame a sezione di losanga e da una notevole
croce e simbolo devozionale, è in fondo la semplice rigidezza, nonché da punte decisamente penetranti e
conseguenza di questo sincretismo del manufatto bel- capaci di sfondare gli anelli delle maglie o d’insinuarsi
lico nel mondo del sacro. Le due leggendarie “Spade in qualunque varco scoperto.
di San Maurizio” (una a Torino ed una a Vienna, in Meno diffuse delle spade erano quindi le armi contun-
realtà di molto posteriori alla vita del Santo26), dimo- denti, la cui efficacia contro i combattenti bene armati
strano ancora in modo tattile come l’arma non venisse fu dimostrata dalle milizie fiamminghe nella celebre “bat-
sempre connotata ipso facto negativamente, ma la sua taglia degli sproni d’oro” (Courtrai, 1302), quando i mi-
natura potesse elevarsi in base all’impiego. Tra le cause cidiali “goedendag” (sorta di clave ferrate con una cu-
considerate più che degne, naturalmente, figurava la spide all’apice) fecero strage del fior fiore della cavalleria
protezione della Fede e dello stesso Pontefice, il quale francese. Per quanto di loro non mi risultino testimo-
non a caso elargiva i Pontificali (o stocchi pontifici) ai nianze iconografiche in ambito italiano, una certa fortuna
condottieri che si fossero distinti nella difesa della Santa la ebbero invece le “mazze flangiate”, dove la testa me-
Sede o della Cristianità27. tallica era rinforzata da lamelle verticali che permettevano
Riconducendo infine la spada alla sua natura materiale, di concentrare il trauma dell’impatto su una superficie
osserviamo come nella seconda metà del Duecento si assai ristretta. La diffusione di questa tipologia nella
mantenessero alcune delle caratteristiche più tipiche prima metà del Trecento è solidamente testimoniata per
dei secoli precedenti, quando l’azione principale portata via iconografica, come negli affreschi delle “Storie di
dal combattente era quella di fendente (tipi X-XIV class. Cristo” della collegiata di S. Maria Assunta a San Gimi-
Oakeshott). In queste tipologie la lama era infatti attra- gnano (anni ‘30 o ‘40 del Trecento) e nella lastra tombale

25 Per la classificazione tipologica delle spade medievali è ancora 27 Nel Museo Civico Medievale di Bologna, a titolo d’esempio, si con-
fondamentale il lavoro di Ewart Oakeshott, Records of the Medieval serva lo stocco pontificale donato da Niccolò V a Ludovico Bentivo-
Sword: OAKESHOTT 1991. glio nel 1455 (BOCCIA 1991, tav. IX, cat. 219). Un importante contri-
26 Per la spada di Torino: M AZZINI 1982, tav. XXV, cat. 123. Per buto sulla “cristianizzazione e santificazione” della spada è stato
l’esemplare di Vienna, che fino alla dissoluzione dell’Impero Austro- offerto dallo Scalini, cfr. SCALINI 2007.
Ungarico è stata usata per l’incoronazione imperiale: OAKESHOTT 28 La spada proviene dal convento de Las Huelgas a Borgos: OAKE-
1991, p. 56. SHOTT 1991, p. 70.
Armi e armature tra Duecento e Trecento 59

Fig. 11. Affreschi del Palazzo della Ragione, Milano. (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:


4841_-_Milano_-_Palazzo_della_Ragione_-_Fregio_affrescato_medievale_-_Foto_Giovanni
_Dall%27Orto,_13-June-2008.jpg; consultato il 21-02-2018).

Fig. 12. Lastra tombale di Colaccio Beccadelli, chiesa di San Domenico, Imola (BO) (http://effi-
giesandbrasses.com/3806/3362/; consultato il 21-02-2018).

di Colaccio Beccadelli (Imola, 1341) (fig. 12), ma so- ove tra le spade più convenzionali è raffigurata una
prattutto (vista la contiguità territoriale con Castelseprio) giusarma: sorta di grande mannaia fornita di un gancio
nel Sant’Abbondio di Como, dove è ritratta in almeno che dal fondo del manico risaliva verso la mano (dat.
tre esemplari (fig. 5). Una derivazione più rara di questo 1171 c.). La giusarma, sebbene con alcune non margi-
genere di mazza, nota sempre per via iconografica29 e nali variazioni, rimase in uso nel corso di tutto il Trecento,
grazie ad un rarissimo esemplare nella Collezione Ode- come ci dimostrano un manufatto simile impugnato
scalchi, a Roma30, era interamente forgiata in una verga nella giottesca Cattura di Cristo degli Scrovegni (fig.
di metallo, senza legno e con le flange che si aprivano 16) e in un affresco di Bartolo di Fredi, nella Collegiata
dall’impugnatura fino all’estremità superiore. È inoltre di S. Maria Assunta a San Gimignano (a. 1367).
plausibile che in ambito peninsulare siano state utilizzate Scendendo ora dall’ambito delle armi lunghe da fianco
marginalmente le mazze a testa lobata, molto diffuse a quelle corte, la seconda metà del XIII secolo vide
nell’Europa dell’est e documentate sporadicamente an- l’introduzione di quella che sarebbe poi divenuta uno
che più ad Occidente, come nella bibbia Maciejowsky, dei “simboli” del Trecento italiano: la basilarda. Sua
nell’arazzo di Bayeux ed in alcuni siti del Regno Unito31: caratteristica principale era la presenza di un manico
forse proprio a questa variante potrebbe riferirsi lo stru- scatolato (ovvero, cavo all’interno) dalla tipica forma a
mento brandito da un combattente in un affresco due- H o I maiuscola, con guanciole in materiale organico
centesco del complesso templare di San Bevignate (legno, corno o osso) fissate al ferro tramite una teoria
(Monterone, PG), la cui testa nella resa dell’artista somi- di ribattini. La più antica raffigurazione di una basilarda
glierebbe piuttosto ad una sfera chiodata (fig. 14). attualmente documentabile, a quanto mi consta, si trova
Tra le armi manesche lunghe ricordiamo infine i “falcioni” negli affreschi del Palazzo Pubblico di San Gimignano
e le “giusarme”, il cui ferro si presentava con un solo attribuiti ad Azzo di Masetto e databili intorno all’ultimo
tagliente più o meno incurvato. L’impiego di questa ti- decennio del Duecento: qui infatti ne compare una per-
pologia si documenta in area milanese soprattutto grazie fettamente formata e sospesa alla cintura di uno dei
al fregio di Porta Romana, oggi allo Sforzesco (fig. 15), contendenti32, con lama presumibilmente a due fili

29 La prima raffigurazione iconografia di quest’arma sarebbe nell’al- puntualmente registrata anche dal Rossi, che però cade in una svista
legoria della fortitudo dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrove- a proposito del pugnale al fianco di Gugliemo di Durfort (m. 1289)
gni di Padova (fig. 13), mentre la più tardiva in una predella dipinta di nella sua lastra sepolcrale, il quale, fornito di pomo “a crescente”,
Giovanni Bartolomeo Cristiani, oggi conservata al MET di New York non ha alcuna parentela tipologica con le basilarde di San Gimi-
(pittore attivo tra il 1367 e il 1398: accession number 12.41.1–4). gnano (ROSSI 2012, p. 234). Apparentemente simile ad una basilarda
30 BOCCIA - COELHO 1975, figg. 39-40. è il pugnale brandito da un combattente negli affreschi di San Bevi-
31 Notizia del ritrovamento, con tutte le informazioni specifiche, è reperi- gnate (fig. 14), più antico del ciclo di San Gimignano, ma la man-
canza di dettaglio impedisce di coglierne i rivetti e pertanto di accer-
bile sul sito ufficiale “Portable Antiquities Schemes” (cons. 15-11-2017),
tarne la tipologia. La tematica della genesi di quest’arma è stata
ID LIN-871975. https://finds.org.uk/database/artefacts/record/id/62509.
recentemente trattata dal sottoscritto in una monografia digitale edita
32 DE BENEDICTIS 1995, pp. 62-63. La comparsa di queste basilarde è
dalla Bookstones di Rimini: VIGNOLA 2016.
60 1287 e dintorni. Ricerche su Castelseprio a 730 anni dalla distruzione

Fig. 14. Complesso templare di San Bevignate, Monterone (PG)


(http://www.italiamedievale.org/portale/tra-la-costa-la-citta-ed-il-contado-
castelli-domus-e-casali-fortificati-nel-lazio-templare/; consultato il 21-02-

Fig. 13. Giotto:Allegoria della Fortitudo, Cappella degli Scrovegni, Padova


(https://i2.wp.com/hadpratt.com/wp-content/uploads/2015/02/no-41-the-
seven-virtues-fortitude.jpg?ssl=1; consultato il 21-02-2018).

Fig. 15. Fregio di Porta Romana, Museo d'arte antica, Cas- Fig. 16. Giotto: Cattura di Cristo, Cappella degli Scrovegni,
tello Sforzesco, Milano (foto dell'autore). Padova (https: //it.wikipedia .org /wiki/ Bacio _di_ Giuda_
(Giotto)#/media/File:Giotto_di_Bondone_-_No._31_Scenes
_from_the_Life_of_Christ_-_15._The_Arrest_of_Christ_(Kiss_
of_Judas)_-_WGA09216.jpg; consultato il 21-02-2018).

(come si dedurrebbe dalla geometria del fodero) e dal- pediche: estremamente dettagliate, tuttavia, sono quelle
l’immanicatura ampia e ben formata, con un totale di raffigurate nel ciclo del Sant’Abbondio di Como, dove
18 rivetti. Un manico pertinente a questa tipologia, inol- la perizia dell’artista è giunta persino a restituire le geo-
tre, proviene dalla stessa Castelseprio, sebbene non metrie precise delle guanciole del manico, che gli con-
da contesti stratigraficamente sicuri e sigillati33, mentre ferivano una sezione ottagonale (fig. 5).
una lunga lama di basilarda a sezione triangolare è Se gli strumenti fino ad ora citati consentivano un in-
stata rinvenuta nel 1978 nello stesso edificio interessato gaggio ravvicinato nella mischia, per mantenere una
dalla campagna di scavo del 201634. Sul piano icono- maggior distanza dal nemico si ricorreva invece alle
grafico le attestazioni di basilarde sono innumerevoli armi in asta, costituite da un palo ligneo più o meno
ed un loro florilegio assumerebbe proporzioni enciclo- lungo e variamente ferrato, il cui panorama nel nostro

33 Il manico di basilarda in sede di pubblicazione è stato però 34 Per un’edizione di questo manufatto, si veda lo studio dei metalli di
descritto come immanicatura per coltello da cuoio: DE VINGO 2013, Castelseprio in questo stesso volume.
pp. 556-557, n. 4.4.4, tav. 10-5.
Armi e armature tra Duecento e Trecento 61

periodo di riferimento risultava ancora molto semplice


rispetto alla grande fioritura tardo medievale. A cavallo
tra XIII e XIV secolo, infatti, queste si limitavano a
poche tipologie fondamentali: gli spiedi o picche, le
scuri inastate (o “grandi asce” secondo il Troso), le
berdiche, le prime forme di ronca di derivazione con-
tadina e i coltelli da breccia. Gli spiedi, in particolare,
avevano ferri corti di sagoma triangolare, con taglienti
dallo sviluppo piuttosto limitato ed impiegati soprattutto
in azioni di punta, per sferrare violenti affondi. Del tutto
votate al fendente erano invece le grandi scuri inastate,
molto sviluppate in ampiezza e parenti strette delle
berdiche, che da esse differivano per il ferro meglio Fig. 17. Battaglia di Desio, Sala di Giustizia della Rocca Borro-
ancorato all’asta con una traversina addizionale alla mea di Angera (VA) (http://www.lombardiabeniculturali.it
base della lama: una rappresentazione preziosa di /architetture/schede/1A050-00476/; consultato il 21-02-2018).
questa scure inastata, ben visibile tra una selva di
spiedi, è leggibile in alcune scene affrescate nella
“Sala di Giustizia” della rocca di Angera (fig. 17). Per di un buon margine di potenza sull’arco. La loro spinta
quanto concerne le berdiche, oltre alle numerose evi- propulsiva, infatti, si affrancava dalla forza e all’adde-
denze iconografiche, un esemplare sostanzialmente stramento dell’arciere (che necessitava di un lungo ap-
integro si è conservato tra le rovine del Castello della prendistato), finendo per dipendere solo dal sistema
Motta a Povoletto (UD) e la sua somiglianza con l’ico- di caricamento e dalle dimensioni dell’arcone. A fronte
nografia testimonia ancora una volta la vena realistica di una maggiore complessità costruttiva, pertanto, le
di molti artisti35. Anch’esse votate al taglio erano infine balestre garantivano tempi di addestramento più brevi
le ronche inastate, dotate tuttavia di un uncino (analogo e più energia all’impatto, pur scontando una cadenza
a quello dello strumento contadino) che permetteva di di fuoco minore. Le versioni più pesanti e da posta,
agganciare l’avversario, particolarmente utili per di- che meglio attengono all’ambito della poliorcetica38,
sarcionare gli uomini a cavallo36; più rari risultano in- erano in grado di lanciare dardi di grandi dimensioni e
vece i coltelli da breccia (uno dei quali compare con con una tale forza da vincere la flebile resistenza della
molta chiarezza nel Sant’Abbondio di Como), simili ad maglia, suggerendo un appesantimento della panoplia
un regolare coltello di grandi dimensioni, ma dotato di con elementi in piastra, comunque insufficienti contro i
gorbia per l’inserimento dell’asta. dardi più grevi e potenti. Se per le cosiddette balestre
Per completare la nostra veloce panoramica sull’equi- de turno (massicce e devastanti) l’impiego da posta è
paggiamento individuale è infine necessario spendere fuori discussione, è invece probabile che le versioni
qualche parola sulle armi da getto più significative nel minori de duobus pedibus avessero un certo grado di
nostro periodo di riferimento: l’arco e la balestra. Il mobilità. La più comune in mano ai tiratori sui campi di
primo, sebbene ancora presente sui campi di battaglia battaglia, in ogni caso, era la versione manesca de
italiani, specialmente in mano alle milizie feudali, giocò streva, caricata ponendo un piede nella staffa (la streva,
tuttavia un ruolo di deuteragonista se paragonato alle appunto) e avvalendosi dell’ausilio del crocco39. I loro
balestre37, vere dominatrici della scena. Già dall’XI se- arconi tra Duecento e Trecento potevano essere co-
colo queste armi erano costituite da un teniere, un ar- struiti in legno massello o in un sofisticato lamellare di
cone e un meccanismo per il rilascio e potevano godere legno e corno (in questo caso nelle carte figuravano

35 VIGNOLA 2003b, pp. 182-183, adoperato per caricare la balestra de streva, costituito da un gancio
36 Per un approfondimento sulle armi in asta, si rimanda al lavoro del appeso ad una robusta cintura. Per trarre la corda della balestra sino
Troso sulle armi in asta delle fanterie europee nel bassomedioevo, alla noce (o alla tacca d’arresto, nelle versioni più semplici e sprovvi-
ancora oggi principale strumento per la loro classificazione funzio- ste di noce rotante) era necessario che il balestriere ponesse il piede
nale: TROSO 1988. nella staffa, agganciasse la corda con il crocco e quindi distendesse
37 Un interessante contributo su archi e balestre nel bassomedioevo gamba e schiena, esercitando una forte trazione. Un’interessante
iconografia di questa procedura si trova in un Martirio di S. Seba-
(che sposa efficacemente analisi storica e dato archeologico, con
stiano di scuola tedesca (Wallraf-Richartz-Museum, Colonia), il
una classificazione tipologica delle cuspidi), è un articolo sulla diffu-
quale, pur datandosi intorno al 1475, ritrae le stesse operazioni di
sione delle armi da tiro nella Toscana meridionale: DE LUCA - FARINELLI
caricamento dei secoli precedenti (fig. 18). Alcuni crocchi, inoltre,
2002, pp. 455-489.
potevano essere dotati di un sistema di pulegge, in grado di ridurre
38 Per l’approfondimento di questo genere di balestre: LIEBEL 1998.
notevolmente lo sforzo compiuto dal balestriere: Enciclopedia ragio-
39 Il crocco (o crocho nei documenti) era il più semplice strumento nata delle armi 1979, p.119, voce “crocco”.
62 1287 e dintorni. Ricerche su Castelseprio a 730 anni dalla distruzione

come stambachine o de stambecho o de cornu), men- attivi almeno 100 maestri (fabri principales) abili in tale
tre per la diffusione dei flettenti in acciaio si sarebbe arte, ciascuno contornato di lavoranti (subiectos ope-
dovuto attendere il XV secolo40. rarios) dediti alla fabbricazione degli anelli (macularum
artificio mirabilli cotidie insistentes). Bonvesin cita quindi
un ulteriore dettaglio caratterizzante della produzione
4. Il guerriero bene armato nei De Magnalibus armiera milanese: il surplus era tale da permettere
Mediolani l’esportazione non soltanto verso le città confinanti (pro-
pinquas), ma anche verso mercati e località più lontane
Per una quasi fatale coincidenza, la distruzione di Ca- (longinquas).
stelseprio per mano milanese nel 1287 precede di un Il 1288, per quanto riguarda la manifattura delle armature
solo anno la stesura dei De Magnalibus Mediolani di a Milano, segna dunque uno spartiacque storiografico
Bonvesin della Riva; testo nel quale, oltre all’intento tra una “preistoria” di questa industria (il termine non
certamente encomiastico del letterato, appare con tutta pare fuori luogo, viste le sue proporzioni), segnalata da
evidenza sul proscenio della storia l’eccezionale rile- sporadici documenti d’archivio, e la sua fase più pro-
vanza dell’industria armiera milanese, vera e propria priamente storica, caratterizzata da una filiera produttiva
“motrice” in molti dei processi d’innovazione descritti e commerciale ormai consolidata, il cui sviluppo do-
nelle pagine precedenti41: vrebbe essere fatto risalire quantomeno alla prima metà
del Duecento, se non addirittura al XII secolo. Tra le te-
“Preterea in nostra civitate et eius comitatu flos est stimonianze indirette che precedono (e confermano) la
fabrorum et copia, qui cuiusque maneriei quotidie voce del frate cronachista, dobbiamo senza dubbio ri-
fabricant armaturas, quas quidem per alias civitates cordare un atto del 1264 nel quale Domenico del fu
propinquas et etiam longinquas in mirabili copia di- Moresco de Vellate di Milano si impegnava a fornire al
stribuunt mercatores. XXI. Loricarum enim fabri prin- genovese Giovanni Avincula un equipaggiamento com-
cipales ultra centesimum numerum terminum petunt; pleto per 25 cavalieri ed altrettanti cavalli, composto da
quorum quidem singuli subiectos quamplures con- osbergum, cohopertas equi, caligas et bragamentas
tinent operarios macularum artificio mirabilli cotidie ferri laborati et clovati ad reburso44. Si trattava, in buona
insistentes. Sunt quoque quam multi scutarii ed de- sostanza, di una panoplia di maglia integrale venduta
mum cuiusque generis armorum fabricatores, de al prezzo per ciascun combattente di 18 lire e 7 soldi di
quorum numerum nequequam facio mentionem” genovini (ragguardevole per l’epoca) e della quale si
Cap. V, XX-XXI)42. specificava anche il prezioso dettaglio tecnico della
clavatura, ovvero della chiodatura a chiudere gli anelli.
Il brano appare assolutamente denso di significati e Per quanto il documento non possa purtroppo assicu-
restituisce la misura di una manifattura armiera molto rarci la produzione indigena di queste merci, in filigrana
vivace, sulla quale certamente i Visconti poterono far a quanto narrato da Bonvesin sembrerebbe logico che
leva nel consolidamento della loro signoria. il milanese Domenico possa essersi rifornito proprio
Premesso che il termine classicheggiante lorica, stando nelle fabbriche cittadine. La gamma dei prodotti rea-
ad altri documenti del periodo, corrispondeva ad una lizzati dall’esercito di artigiani magnificato nei De Ma-
difesa in maglia mentre macula doveva significare gnalibus (ripresi e plagiato da Galvano Fiamma45, rife-
“anello”43, nella Milano di fine Duecento sarebbero stati rita non tanto alle botteghe, quanto alle schiere dei

40 L’uso del corno (stambeco) per nella costruzione delle balestre è non farò neppure parola” (Bonvesin da la Riva 2009, pp. 125,127).
già attestato in un atto genovese del 27 giugno 1201. Per una disa- 43 Questo è uno dei significati offerti dal Du Cange nel suo Glossa-
mina più approfondita sulle balestre da posta in ambito Genovese rium mediae et infimae latinitatis.
nel Duecento e sull’impiego del corno nella produzione degli arconi, 44 GRILLO 2001, p. 222.
VIGNOLA 2003a, pp. 114-122.
45 Anche il Fiamma specifica l’elenco delle armi prodotte: “…loricas,
41 Le testimonianze precedenti, pur non mancando, erano infatti sol-
thoraces, lamerias, galeas, galerias, cervelleras, collarias, cyrothe-
tanto sporadiche: VIGNOLA 2017, pp. 42-44.
cas, tybialia, genualia, lanceas, pilla, henses, pugiones, clavas et
42 Per la traduzione ci si rifà al recente lavoro di Paolo Chiesa: “…E
sunt omnia ex ferro terso et polito” (MOTTA 1914, pp. 188-189). Nel
poi nelle nostre città e nel suo territorio vi è abbondanza dei fabbri passo di Galvano rispetto a quello di Bonvesin si trovano esplicitati il
migliori, che ogni giorno fabbricano armature di ogni genere: i mer- senso dei ferreis cerebralibus, dal Fiamma restituito col più corrente
canti le vendono in numero incredibile nelle altre città, vicine ed cervelleras, e soprattutto dell’ambiguo decentissime coruscantes,
anche lontane. XXI. I fabbri maestri di bottega che producono che lui parafrasa in omnia ex ferro terso e polito. Quest’ultimo detta-
corazza superano il numero di cento; ognuno di essi ha alle sue glio è interessantissimo ai fini della ricostruzione dei processi produt-
dipendenze parecchi operai, che ogni giorno si dedicano alla mira- tivi, perché richiama nel primo Trecento all’abitudine di lucidare le
bile lavorazione delle maglie. Vi sono poi molti fabbri specializzati in piastre, forse già “a fondo specchio” come nel Quattrocento.
scudi, e molti fabbricanti di armi di ogni genere, del numero dei quali
Armi e armature tra Duecento e Trecento 63

combattenti milanesi) era infatti già così ricca nel 1288


da suggerire che solo un paio di decenni prima, nel
1264, non dovessero mancare le maestranze capaci
di gestire commesse così ingenti:

“...Non enim equitum solummodo, sed etiam pedi-


tum videres in bello decentes catervas in acie co-
ruscantibus armis, loricis, thoracibus, lameriis, ga-
leis, galeriis, ferreis cerebralibus, collariis, cirotecis,
tibialibus, femoralibus et genualibus, ferreis lanceis,
pilis, ensibus, pugionibus, clavis decentissime co-
ruscantes”. (Cap. V, XX)46.

Ferma restando l’attitudine del cronachista ad esaltare


con iperboli la sua città, è però incontestabile che le pa-
noplie da lui descritte corrispondano in pieno agli stan-
dard ottimali dell’epoca, per sommi capi già illustrati nelle
pagine precedenti. In particolare, tra i termini vaghi di
origine classica per designare le difese della testa, quali
galeis e galeriis, troviamo anche i più precisi ferrei cere-
brales; perifrasi per indicare quelle cervelliere appena
descritte e abbondantemente ritratte in alcune scene af-
frescate nella “Sala di Giustizia” della rocca di Angera.
Tra le difese del busto, il termine lorica è anch’esso
poco preciso e di mutuazione classica, ma come ab-
biamo visto indicava probabilmente una protezione in
maglia simile all’usbergo47. Il lemma thorax, invece, è
di più difficile decifrazione in rapporto alla panoplia e
potrebbe designare un armamento in piastre, cosa alla Fig. 18. Martirio di S. Sebastiano, Wallraf-Richartz-Museum,
Colonia (DE) (http://diletant.media/cold_arms/32555068/;
quale fa certamente riferimento il vocabolo lameria, già
consultato il 21-02-2018).
largamente discettato48. A completare la panoplia non
mancano nell’elenco i collari ed i guanti (cirotece), sem-
pre in maglia di ferro, nonché le protezioni per cosce già tutto il necessario per la difesa integrale del corpo
(femoralia), ginocchia (genualia) e tibie (tibialia), le umano, a tutto vantaggio delle truppe che si fossero
quali, citate separatamente, farebbero pensare non avvalse d’un equipaggiamento così aggiornato.
tanto alle semplici calze di maglia, ma ad un sistema Sul versante delle armi d’offesa, il testo cronachistico
almeno parzialmente in piastre o cuoio bollito, come si risente ancor più del precedente delle contaminazioni
osserva sulle gambe degli armati nel quasi coevo mo- del lessico classico: con ferreis lanceis, pilis, ensibus,
numento sepolcrale di Guglielmo di Durfort (c. 1289, pugionibus, clavis si designano in senso generico lance,
Chiostro dei Morti, Basilica della SS. Annunziata, Fi- giavellotti, spade, pugnali e mazze, armi che sappiamo
renze). In ogni caso, prestando fede a Bonvesin, la essere state impiegate in quegli anni, ma senza nes-
produzione armiera milanese a fine Duecento copriva suna indicazione più precisa sulla loro morfologia.

46 Si fornisce di seguito la traduzione del Chiesa, che tuttavia si comune a fine Duecento, ovvero una protezione in maglia per il busto.
discosta in qualche punto dall’analisi terminologica condotta nel pre- 48 Il Chiesa raccorda il lemma thorax con lameria, traducendo con un
sente lavoro: “…in battaglia infatti si possono vedere eleganti schiere ambiguo “piastre e lame di petto” (vedi nota precedente). Il termine
non solo di cavalieri, ma anche di fanti, con armi che brillano sul lameria, tuttavia, è chiaramente attestato nel corso del XIII secolo per
campo, splendenti nel riverbero di cotte di maglia, corazze, piastre e designare una difesa autonoma del busto, realizzata accostando o
lame di petto, elmi ed elmetti, cervelliere, golette di maglia, guanti, embricando piastre di ferro o acciaio. Thorax, inoltre, è qui sostantivo,
schinieri e cosciali, ginocchietti, lance, giavellotti, spade, daghe, non aggettivo, e ritengo pertanto che debba essere inteso come un
azze e scudi” (Bonvesin da la Riva 2009, p.125). manufatto ben distinto dalle lamerie. Il vocabolo “elmetto” al quale il
47 La ragione risiede principalmente nella panoplia più tipica a quei Chiesa ricorre, dovrebbe poi essere impiegato con molta cautela,
tempi, dove la maglia occupava una posizione centrale. Il classicheg- essendo riferito in tutta la bibliografia settoriale ad una specifica tipologia
giante lorica, usato anche da Astolfo nelle sue leggi, si trova in prima di protezione per il capo che si sviluppò solo agli esordi del XV secolo.
posizione nell’elenco e non può che designare la specie difensiva più
64 1287 e dintorni. Ricerche su Castelseprio a 730 anni dalla distruzione

Con il volgere del secolo e il passaggio al Trecento, ol-


tre alla testimonianza di Galvano Fiamma ricalcata su
Bonvesin, le fonti per il primo sessantennio tornano
purtroppo ad essere scarse. Risale tuttavia al 1340 un
interessante elenco di armi di fabbricazione milanese
estratto dal capitulum ferri laborati et non laborati, ri-
guardante quasi esclusivamente l’arte dell’armaiolo. In
questo prezioso compendio, fortunatamente scevro da
un lessico classicheggiante ed ermetico, vengono elen-
cate arma de ferro nova et de ferro vetera, le barbute
con e senza magia; i brazalles di ferro e di cuoio, le
corazze de proba, de media proba e de sorte; le cer-
velere nove et afaczate et desmasate: i capelli de ferro,
i gomedeti di ferro; le sgienere di ferro e di cuoio cum
cossironibus et zinogialis, le spade nuove e rotte e i
guanti di ferro. Nel documento, infine, si fa riferimento
all’acciaio da Cantù e Carate49. Anche in questo pas-
saggio incontriamo dunque tutte le parti di un arma-
mento completo, dalla testa (barbute, cervelere capelli
de ferro), al busto (corazze), alle braccia (gomedeti,
da intendersi come cubitiere, e guanti di ferro) fino alle
gambe (sginiere, cossironibus, zinogialis).
A livello iconografico una panoplia simile, oltre che nei
citati affreschi del presbiterio di Sant’Abbondio, anteriori
di circa un paio di decenni al capitulum, è raffigurata
(sebbene in una fase lievemente più matura) su un
consistente nucleo di arche sepolcrali di area lom-
barda, alcune delle quali oggi conservate presso il
Castello Sforzesco. Per esempio, in un rilievo campio-
nese recante una “Madonna col Bambino, guerriero e
Santi”, molto probabilmente risalente agli anni centrali
del Trecento50, il guerriero genuflesso ha il capo cinto Fig. 19. Maestro campionese: Madonna col Bambino, guerri-
da una barbuta con camaglio, mentre gli avambracci ero e Santi, Museo d'Arte Antica, Castello Sforzesco, Milano
(foto dell'autore).
sono coperti da un insieme misto di cuoio e stecche
metalliche (corrispondenti ai brazalles del capitulum).
Il busto, che inizia a denotare la globosità molto in nogialis) (fig. 19). Non ci è naturalmente dato di sapere
voga nel secondo Trecento, è logicamente guarnito se le tre sezioni relative alla gambiera citate nel capi-
da una corazza sovrapposta alla maglia, per quanto tulum avessero ormai raggiunto una perfetta articola-
la copertura del sorcotto lasci fin troppo spazio all’im- zione reciproca, o se l’insieme fosse ancora alluvionale
maginazione. Sulle gambe il guerriero sembra indos- come negli affreschi del Sant’Abbondio e S. Caterina
sare un insieme completo di arnese (comprendente del Sasso: un segno di una non perfetta maturazione
cosciale e ginocchiello, qui apparentemente già arti- della panoplia qui delineata ci risulta tuttavia dall’as-
colato al cosciale stesso) e schiniere, corrispondente senza dei petti di ferro nella lista51, essendo la difesa
all’altrettanto completa protezione per gli arti inferiori del busto del combattente ancora delegata alla sola
elencata nel testo del 1340 (sginiere, cossironibus, zi- corazza.

49 MOTTA 1914, p. 189. fata dal celebre insieme di Vogt Von Matsch di Churburg. BOCCIA
50 Il Boccia data questo stesso rilievo agli anni ‘50 del Trecento. 1989, pp. 196-202.
Rispetto all’arca di Giovanni di Balduccio (1339 circa), che pure 51 La diffusione dei petti d’acciaio in piastra soda o in doghe (come
manifesta un equipaggiamento più “alla tedesca”, le maniche della nel famoso “lamiere” di Churburg di Ulrich IV Von Matsch, si ebbe
maglia si sono accorciate e lasciano ben scoperti i bracciali ancora probabilmente dagli anni ‘60 del Trecento. Un famoso produttore in
a stecche metalliche, secondo uno schema in apparente sintonia col quegli anni era il Peragallo. Per una serie di petti d’acciaio esportati
testo del capitulum. È molto probabile che questa formula sia stata la da Milano ad Avignone nel 1383 e l’identificazione del marchio di
più in voga tra 1340-1360, precedendo immediatamente le prime questo artefice: VIGNOLA 2017, p. 216.
forme di armatura da uomo d’arme ormai vicina alla maturità, fotogra-
Armi e armature tra Duecento e Trecento 65

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