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I DANNATI DELLE ISOLE

Frammenti per la ricostruzione


della storia delle Egadi
di GINO LIPARI

Fu la rotta dei dannati quella che, sul finire del 1700, univa via mare
Napoli a Palermo. Nella città siciliana confluivano i più pericolosi criminali e i
cospiratori del Regno delle Due Sicilie. Sbarcavano da feluche e sciabecchi. 1
Incatenati, due a due, piede destro con sinistro. Portavano una catena di 16
anelli, lunga 4 metri del peso di Kg 16 e con l’estremo anello chiuso al polso del
piede e ribattuto sull’incudine. Erano i condannati a vita che il re aveva
destinato nelle carceri della Sicilia occidentale e che venivano ammassati, come
bestie, nel Castello di Mare di Palermo. 2 Lì, in attesa delle disposizioni della
Luogotenenza Generale, sostavano prima d’essere traslocati nei definitivi
luoghi di pena o per l’esecuzione capitale. 3 Erano, in buona parte, le piccole
isole siciliane 4 ad accogliere questi carichi umani. Luoghi rimasti per troppo
tempo disabitati. 5 Per le incursioni barbaresche e turchesche che avevano
tormentato, nei secoli, i mari di Sicilia. Le isole infatti erano divenute il covo dei
più pericolosi pirati del Mediterraneo. Questa fu una delle ragioni per le quali i
Borboni, non riuscendo a popolarle, le destinarono quali luoghi di pena. Già
all’epoca di Carlo III, alcuni tentativi per colonizzare queste terre avevano
prodotto risultati catastrofici. Ad Ustica 86 famiglie, emigrate dall’isola di
Lipari, furono catturate dai pirati e vendute come schiavi in Barberia. 7 da
Favignana 8 e da alcuni centri del trapanese, altre famiglie di contadini, allettate
da nuove terre da coltivare che la famiglia Pallavicino, 9 concedeva loro in
censo, emigravano verso l’estrema isola di Marettimo. 10 Nello stesso periodo i
Borboni sperimentavano un altro tipo di colonizzazione selvaggia che
interessava altre isole del Regno. Ponza e Ventotene diventavano luoghi ideali
per l’impianto di bagni penali per accogliere i condannati ai lavori forzati. La
situazione sociale del Regno era divenuta drammatica. La classe contadina era
enormemente vessata da inique imposizioni fiscali e nelle grandi città,
sovraffollate, le condizioni igieniche erano scarse tanto che furono causa di
epidemie che produssero un alto tasso di mortalità soprattutto infantile. Tale
situazione fu in parte anche causa di un incremento della criminalità con la
conseguenza che le carceri del regno straboccarono di detenuti. I Borboni, come
del resto altre monarchie europee, furono travolti dal grande ciclone della
rivoluzione dei lumi e dovettero fronteggiare una situazione che fu di difficile
gestione. La reazione messa in atto fu fra le più crudeli 11 ed a gestirla furono tre
esponenti della dinastia: Ferdinando I, Francesco I e Ferdinando II. Forche e
ghigliottine funzionavano in quasi tutte le città. Condanne ai ferri, ai lavori
forzati, torture, esilio e relegazioni divennero il deterrente alle rivolte che
scoppiavano in ogni città e mettevano in pericolo la stabilità del Regno.
Speciali Commissioni vennero attivate per il pronunciamento delle
sentenze. L’accusato, spesso senza alcun processo, ma per sola volontà reale
(merum imperium), veniva giustiziato entro ventiquattro o, nella migliore delle
ipotesi, veniva condannato al carcere a vita. La situazione carceraria del Regno
era divenuta fra le più disastrose d’Europa. Luce fioca, aria grave, puzzo
stomachevole e continuo, una volta bassa che pare ti caschi sul capo: nell’inverno vi si
agghiaccia, nella state pare di essere un forno. Scriveva a proposito Luigi
Settembrini che nel 1839 fu rinchiuso alla Vicaria di Napoli: Nella stanza numero
cinque noi non avevamo altro che i letti, una lucerna, un vase immondo: non una
seggiola, non un tavolino: il letto serviva per dormire , per sedere, per mangiare, per
scrivere, come in criminale. La finestra, volta a settentrione come le altre. Poi l’illustre
letterato così proseguiva: A questa finestra non si poteva stare, non solamente perchè
il sole nella state si riflette molesto dalle case dirimpetto, ma perchè dal carcere inferiore
saliva un puzzo stomachevole come di vescicante, un puzzo di carne umana corrotta, un
puzzo che non può aver altro nome che puzzo della Vicaria. Nel carcere inferiore erano
stivati gli uomini come bestie, nudi, lordi, senza neppure i farti dove giacere”. 12 Era
più che mai necessaria, nel Regno, l’attuazione di quelle riforme carcerarie tanto
evocate e reclamate, sul finire del 1700, dai riformatori del nuovo e vecchio
continente, ivi compreso l’italiano Beccaria, e che avevano dato vita, per dirla
con Foucault, ad una messa a punto di tutto un insieme di procedure per incasellare,
controllare, misurare, addestrare gli individui, per renderli docili e utili nello stesso
tempo. 13 Ma in questo grande dibattito i Borboni non fecero in tempo ad
inserirsi, per i continui rivolgimenti, malgrado quel piano di pulizia varato per
spazzare via dalle città sia la delinquenza che quei fastidiosi mendicanti e
straccioni che mostravano indecorosi spettacoli nelle vie della capitale del
regno. Poca cosa rappresentò infatti quel timido tentativo riformatore, che era
stato avviato dalla monarchia illuminata di Carlo, volta al risanamento di alcuni
istituti esercenti le opere pie e dell’amministrazione delle prigioni centrali. La
Corona dovette far fronte alle guerre e alle rivolte. Era il tempo in cui in Europa
e nelle Americhe, avveniva la traslazione dalle pene afflittive a quelle
correzionali. E si delineava nei sistemi carcerari moderni quella pratica
disciplinare, di ascetica memoria, quale unica forma essenziale del castigo. I grandi
architetti facevano a gara nel progettare strutture rispondenti al nuovo
dispositivo del Panopticon 14 che si andava affermando nell’architettura
carceraria con un indirizzo finalizzato tutto al controllo interno della prigione
spazio chiuso, tagliato con esattezza, sorvegliato in ogni suo punto, in cui gli individui
sono inseriti in un posto fisso, in cui i minimi movimenti sono controllati e tutti gli
avvenimenti registrati secondo il modello Aubun 15 e Filadelfia.16 Questo ultimo,
per la radicale tecnologia della solitudine, riceveva i maggiori consensi. Soltanto
nel 1815 i Borboni iniziavano una revisione dell’antica giurisprudenza
criminale. Il codice era direttamente ispirato all’esperienza francese di fine
secolo che aveva esteso anche al regno di Napoli la legislazione e il codice
penale francese. Rientrando a Napoli, Ferdinando, non abrogava le leggi
francesi, ma si limitava ad effettuare alcune modifiche in attesa che un’apposita
commissione compilasse successivamente il nuovo codice del Regno delle Due
Sicilie. Il nuovo strumento penale varato nel marzo 1819 aboliva in pratica le
antiche leggi romane, le costituzioni, i capitoli, le prammatiche, i reali dispacci e
tutte le consuetudini generali e locali in materia di giustizia.
Si abolivano anche le leggi e i decreti pubblicati dal Re dopo il suo
ritorno a Napoli e durante l’occupazione militare. Il codice 17 differenziava le
pene in tre categorie: quelle criminali, correzionali e di polizia. Nelle criminali
era contemplata la pena di morte eseguita con la decapitazione o con il laccio
sulle forche e con la fucilazione. Ma in entrambi i casi le pene dovevano
eseguirsi in luogo pubblico a differenza della fucilazione che era una
prerogativa militare. 18 La pena di morte rimaneva di monito e di pubblico
esempio. La liturgia dell’esecuzione del condannato era eseguita nel luogo ove
era stato commesso il misfatto. Il condannato veniva trasportato a piedi nudi,
vestito di giallo, con un cartello in petto nel quale, a lettere cubitali, era scritto
l’uomo empio. Il secondo grado della pena era l’ergastolo che puniva con la
reclusione a vita il condannato nella fortezza di un’isola. Il terzo grado della
pena era la condanna ai ferri. Un metodo questo che sottoponeva il condannato
a penose fatiche a profitto dello Stato. Questa pena si espiava nei bagni dove i
condannati strascineranno ai piedi una catena, o soli, o uniti a due, secondo la natura
del lavoro cui erano addetti. Un altro modo dell’espiazione della pena era quella
praticata all’interno dei presidi militari dove il condannato veniva adibito ai
lavori interni del forte, giogato con un cerchio di ferro nella gamba destra a
secondo dei regolamenti che disciplinavano l’esercizio dell'espiazione nei
diversi forti. La terza pena contemplata dal codice era la reclusione che in
genere andava dai sei a dieci anni: il condannato veniva rinchiuso in una casa di
forza ed adibito a lavori il cui profitto in parte andava a favore dello stesso. Le
altre pene consistevano: nella relegazione o nell’esilio. La prima da scontarsi in
sei o dieci anni e veniva attuata con il trasporto del condannato in una piccola
isola dove era libero, ma tenuto sotto stretta osservanza militare. Nell’esilio dal
Regno, che poteva essere perpetuo o temporaneo. Questo ultimo si compiva in
cinque anni e in casi ritenuti gravi in venti anni. Nell’interdizione dai pubblici
uffici, che escludeva il condannato da ogni ufficio e lo rendeva incapace al
compito di essere tutore o curatore, tranne che per i suoi figli. Altra pena
consisteva nell’interdizione patrimoniale, che arrecava il divieto di
amministrare il proprio patrimonio. Le pene correzionali, erano contemplate fra
la prigionia, il confino, l’esilio correzionale e le interdizioni a tempo. La
prigionia si espiava in una casa di correzione, ove il condannato, rinchiuso, era
costretto ad impegnarsi in uno dei lavori stabiliti il cui profitto doveva servire al
risarcimento del danno procurato. Il confino consisteva nella costrizione del
condannato a vivere in una località distante almeno sei miglia dal proprio
domicilio o dal luogo dove era stato commesso il delitto. L’esilio correzionale
consisteva nell’allontanamento del condannato dal proprio distretto, il cui
luogo prescelto doveva essere sempre di sei miglia distante dal luogo dove era
stato commesso il reato, dal proprio comune o dagli offesi o danneggiati.
L’interdizione a tempo consisteva nel vietare al condannato, da due a cinque
anni, secondo la gravità del reato, l’esercizio del voto o di elezione, di
eleggibilità, o impieghi pubblici, di un arte o mestiere, del permesso delle armi,
dell’accesso ad alcuni luoghi ed essere incaricato quale perito nei giudizi penali.
Le pene di polizia consistevano nella detenzione che si scontava nella casa di
correzione con la stessa forma espiata per la prigionia.
Il mandato in casa obbligava il condannato a dimorare nella propria casa
per un tempo da tre giorni a ventinove giorni. L’ammenda di polizia, non era
minore di carlini cinque nè maggiore di ventinove. A Palermo, Napoli e
Messina l’ammenda poteva ascriversi fino a cinquantanove carlini. Con
l’entrata in vigore del nuovo codice resisteva ancora come detto, e al primo
posto, la pena di morte per decapitazione, col laccio sulle forche e con la
fucilazione. La legge tuttavia contemplava la possibilità che la pena potesse
patirsi con modi speciali di pubblico esempio. Il carattere spettacolare della pena
non era ancora del tutto abrogata e conservava ancora l’antica liturgia
dell’esecuzione. La prigione tuttavia rimaneva al primo posto fra le pene
correzionali impartite ed era luogo dove i condannati dovevano lavorare per
ripagare i danni cagionati dal delitto. Erano considerati poi criminali, e puniti
con la pena di morte, coloro i quali compivano i misfatti più gravi contro la
religione, lo Stato, la famiglia reale e gli omicidi. Il nuovo codice emanato per il
riordino della giurisprudenza, non sempre era onorato. Il continuo stato di
guerra riattivava immediatamente i vecchi meccanismi dell’ancien regime
esercitati dalle speciali commissioni. Inoltre era inefficace nella disposizione
delle condanne a morte commutate dal re con il trasferimento del reo in uno dei
castelli delle piccole isole o nelle carceri strapieni di detenuti comuni. L’uso
della condanna a morte e delle pene afflittive, nel Regno delle Due Due Sicilie
veniva, tuttavia e gradatamente, superato grazie all’opera di Filippo Volpicella,
il quale nel primo trentennio dell’Ottocento pubblicò a Napoli il trattato su Delle
prigioni e del loro migliore ordinamento. L’autore considerava l’esilio e la prigionia
le uniche pene applicative per coloro che contravvenivano alle leggi. Il lavoro,
l’igiene, la classificazione dei detenuti, l’istruzione religiosa ed il silenzio
rappresentavano i cardini del nuovo sistema punitivo. L’opera di Volpicella
diventava così l’anello di congiunzione tra il dibattito europeo sulle pene e la
realtà meridionale. Nel Regno si avvertiva già la necessità di nuovi spazi
carcerari. Furono così edificate nuove strutture quali quella di Avellino (1832) e
di Palermo (1836), su disegno dell’architetto Giuliano De Fazio che sì s'ispirò sul
modello a raggi della prigione americana di Cherry Hill nello stato di Filadelfia
(1821- 1829). Per il resto poi si diede corso a tutta una serie di riattazioni dei
castelli, fortezze e degli ex monasteri, che erano già utilizzati come luoghi di
pena e dove, da qualche tempo, erano stipati senza alcuna classificazione, sia i
detenuti comuni sia quelli di opinione. La situazione era diventata caotica
soprattutto nelle piccole isole, dove si era venuta a creare una tripla
popolazione fatta di pescatori, contadini, condannati e militari addetti al
presidio per la custodia dei carcerati. La popolazione dei dannati, in queste
terre, così isolate e lontane dal Regno, consisteva di reclusi che marcivano nei
cameroni o nelle segrete in condizioni inumane o di relegati liberi, anche se
soggetti a restrizioni, in cerca di che sfamarsi. Era mista di delinquenti comuni e
dei più nobili spiriti del Risorgimento. Le isole di Pantelleria, Lampedusa, 20 e le
Egadi diventarono così luoghi tristemente famosi. Assai temute furono le
carceri dei castelli di Favignana e Marettimo dove i Borboni riutilizzarono
quelle antiche fosse e segrete che in passato furono usate dal Sant'Uffizio. 21
Erano strutture antiche e fatiscenti.
Quelle delle isole Egadi risalivano al XVI secolo. Erano i castelli costruiti
per disposizione del vicerè di Sicilia Don Ferrante d’Avalos, marchese di
Pescara. 22 I locali vennero edificati e riattati successivamente con il lavoro, a
basso costo, dei forzati dell’Inqusizione. 23 Le fosse e le segrete erano cavate nel
vivo della roccia e con il materiale di risulta si realizzavano le stanze e le cinte
murarie di queste fortezze chiamate in seguito di Santa Caterina e San Giacomo
(in Favignana) e di Punta Troia (in Marettimo). La descrizione di questi luoghi
di pena veniva riportata con puntigliosa esposizione da Salvatore Struppa, che
nel 1877 visitava le due fortezze di Favignana: Il castello è diviso in due piani;
l’inferiore è composto di un laberinto di segrete, di mude, di forni, di pertugi, di
stamberghe, di buche, di tombe; senza uno spiraglio di luce, umide, nere, senz’ordine,
alcune salienti o pensili, altre scavate nel calcare della montagna, e dove giacevano un
tempo ammucchiate centinaja di detenuti politici, gittati là dalla sbirraglia del Borbone
[...]. Le mura interne mettono a nudo le loro forme massicce, gli usci delle segrete si
sgretolano e si contorcono sotto l’azione dissolvente dell’umido che gocciola
continuamente, tal che ti sembrano cento boccacce nere, spalancate e bavose che fanno
la smorfia delle maschere antiche. Adesso non più quel brontolio di condannati, quello
strepitaccio di catene, di chiavistelli, di catenacci, di calci di fucile, di sciabole
strascinanti; non più quel grido prolungato e desolante delle sentinelle, quei comandi
brevi e a denti serrati dei tenenti di presidio, quelle figure melense dei soldati napoletani,
non più quelle voci cupe e fioche di canzonacce, di giuochi, di bestemmie, di gemiti, di
preghiere, di barruffe, di supplizio, di morte. A destra in principio d’un andito oscuro
v’ha una scala che conduce giù in una fossa orrenda, capace di dieci persone appena e
dove ve n’erano cumulate cinquanta, scavata nella roccia, a volta bassa e con un filo di
luce che viene a morire in quell’antro tenebroso. Quasi di rimpetto all’ingresso
dell’andito oscuro, ve ne ha un altro che similmente conduce, senza alcuna discesa, ad
un’altra sepoltura, priva affatto di luce, e dove furono intombati nel 1858 non pochi
messinesi, arrestati una sera in teatro e trasportati col piroscafo immediatamente al forte
di S. Caterina. A sinistra, all’angolo di prospetto che si presenta appena si esce
nell’atrio, v’ha una segreta nera come la morte, umida, fedita e dove è stato scritto col
carbone. Qui fu sepolto vivo lo sventurato ergastolano politico, Giovanni Nicotera 24
Questa poderosa reliquia della miseranda spedizione di Pisacane, giacque per molto
tempo in quella buca tremenda, dove forse colla mano ancor ferita vergò queste parole
che mi fecero rizzar le chiome: O tu che avrai la sventura di stare in questo luogo
preparati a soffrire tutti i tormenti. Sarai punzecchiato da migliaja di zanzare, oppresso
dal fumo; quando piove, vedrai sorgere l’acqua dal suolo; sarai afflitto da molti dolori a
causa dell’umidità che ti farà trovare tutto bagnato; sarai appestato dal fetore del vicino
luogo immondo. All’angolo destro, sullo stipite interno della stessa segreta, sotto
l’influenza d’una luce da fiammifero, lessi un’altra iscrizione carbonica, che dice «Per
qui si va nella città dolente», esclamò Maniscalchi quando venne a visitare questo luogo
e fece discendere al bagno S. Giacomo tutti i condannati che vi si trovavano. Dopo
qualche tempo vi si mandarono sedici disgraziati politici. Anche a quelle viscere
borgiane di Salvatore Maniscalco parve terribile questo luogo di pena; a vedere quelle
facce itteriche, quegli occhi iniettati di sangue, quelle fisonomie stravolte, quelle vittime
del delitto comune e del principio politico, rinchiuse alla carlona e asserragliate dentro
quelle mude acquose, fradice e purulente, quella jena si commosse, ebbe pietà, forse
gemette e nello slancio spontaneo della sua anima polluta, si ricordò di quelle sublimi
parole del divino Alighieri.
Nel muro di rimpetto a quel pertugio pieno di lombrici e d’immondezze, v’ha un
incavo capace di un uomo all’impiedi; era il posto della sentinella che faceva la guardia a
vista a quell’uomo temuto dalla tirannide. Ma quello che più attirò la nostra attenzione,
quello che più non dimenticherò in mia vita, quello che spesso viene a turbare i miei
sonni, la mia intelligenza, le mie passioni fu la vista di un luogo terribile che fa
raccapricciare anche al solo ricordarlo, la vista del trabochetto. Io aveva letto molte cose
intorno ai trabocchetti degli antichi castelli; sapeva che l’Inquisizione di Francia, di
Spagna, d’Italia, di Germania ne avea fatto molto uso e moltissimo abuso; sapeva che in
tutti i castelli medievali, nei vecchi manieri eretti dal nono al decimo quarto secolo, dagli
autonomi burgravi nei vasti territori renani, dai baroni italiani nei poderi delle
repubbliche, dai cavalieri di Francia, di Bretagna e d’Iberia, sui littorali bagnati
dall’Atlantico, vi aveva un sotterraneo carnefice dove si seppellivano uomini vivi per
non più rivedere la luce del sole; avevo appreso che in Germania vi sono tuttavia delle
camere sotterra piene di scheletri, di ossa e di polvere umana; non ignoravo la tradizione
di Giovanna II, Regina di Napoli, che facea piombare, i suoi poveri amanti in una fossa
oscura, che si apriva sotto i loro piedi per morirvi repentinamente, dopo essersi
abbandonata con loro alle più sfrenate lussurie; e molte altre cose io sapeva, […] ma
avere sotto i propri occhi un luogo cosiffatto, discendervi per mezzo d’una scala a piuoli,
studiarlo colla morta luce di un cerotto, analizzarlo, osservarne le astuzie, le malizie, le
perfidie, dire: sono dentro a un trabocchetto e se qualcuno rimettesse la cateratta alla
botola per cui sono disceso, io sarei spacciato; dire: in luoghi come questo morirono
migliaia di vittime del fanatismo religioso, della ragione di Stato, del furore di gelosia,
del tradimento e dello spergiuro […] oh l’è ben altro che correr dietro a delle vaghe
tradizioni, a delle aride notizie apprese nelle storie equivoche, a delle congetture
fantasticato sulle pagine d’un romanzo. In quel luogo tremendo tutto era acqua; le
pareti stillavano acqua, il tetto ne spremeva lo stesso, il terreno era ingombro di
calcinaccio verdastro e fangoso e al confine della volta granitica usciva l’estremità d’un
doccione, ostrutto artificiosamente, per isgocciolarvi dell’acqua a stilla a stilla, a onda a
onda, o riversarvela a catinelle, a seconda della volontà superiore che presiedeva alla
morte della vittima infelice. Quell’antro fa venire le vertigini, è una specie di gola
d’abisso, di tartaro, di bolgia maledetta; una specie d’in pace dei vivi, dove l’uomo si
annulla nell’ignoto, maledicendo l’ora e il giorno di sua nascita e il ventre di sua madre.
Quando uscimmo da quella buca, eravamo gialli come il zafferano, infreddati, ciechi,
lacrimanti e col capogiro nella mente. […] Nel piano superiore v’ha una serie di
cameracce a volta bassa tutte in macerie; stanze ov’erano istallati gli ufficiali e i soldati;
vi ha pure una cappella ov’erano detenuti dei preti e dove forse Gregorio Ugdulena 25 si
preparò alla versione della Bibbia, che non potette poi condurre a termine per gli
imbarazzi politici in cui si travolse. Non avendo più alcun angolo da visitare, ci
riposammo alquanto sul lastrico della piattaforma; indi a poco discendemmo le scale
lentamente e malinconicamente, e dando l’ultima occhiata a quel luogo scellerato che
m’avea di dolore il cor compunto, uscimmo dal castello turbati e frementi nel profondo
dell’animo. 26 L’altro carcere delle Egadi, più duro di quello già descritto dallo
Struppa, fu quello di Punta Troia a Marettimo, l’isola più lontana dalla costa
occidentale della Sicilia. Il piccolo castello sorge su di una protuberanza alta
metri 116 sul livello del mare e sporge sul mare all’estrema punta Nord-
Orientale dell’isola. Si raggiunge in barca oppure attraverso un sentiero che
scorre sotto la montagna e s’immette, a partire dalle ultime case del paese, in
una fitta vegetazione a macchia mediterranea. È accessibile soltanto dalla parte
orientale mentre sugli altri tre lati strapiomba in mare.
Questo forte venne convertito in carcere duro intorno alla metà del XVII
secolo e nel 1785 venne, dai Borboni, reputato ergastolo per i rei di Stato e
rimase in esercizio fino al 1844 cioè fino a quando: Ferdinando II, a bordo di una
corvetta eseguì una gita per ispezionare e controllare de visi le fortezze marittime della
Sicilia. Alcuni nostri vecchi pescatori, fino a pochi anni addietro, ci narravano che il
Monarca, con la sua bella nave, approdò sotto il forte di Punta Troia e chiamò sotto il
suo bordo alcune barche che pescavano in quei paraggi. Il Re, nel deplorare il disservizio
riscontrato nella fortezza di Punta Troia, si abboccò con quei pescatori e chiese loro
notizie circa l’assenza dei militari dal Forte. Quei poveri ingenui pescatori, ignorando di
parlare personalmente con la Maestà del Re, si narra che rispondessero evasivamente
assicurando che tanto il Capo posto quanto i soldati ivi preposti menavano più vita in
paese a gozzovigliare che al castello ad adempiere il loro dovere. Il Re giunto a Palermo
ordinò senz’altro l’abolizione del Castello di Punta Troia. 27 Migliore descrizione fece
ancora un testimone di quel tempo, Guglielmo Pepe 28 che, insieme ad altri, fu
rinchiuso nel castello di Punta Troia, (dalla fine del luglio 1803 al 31 settembre
del 1805) fino al 1° ottobre 1805 quando fu poi trasferito in quella migliore di
Santa Caterina in Favignana. Nel libro delle sue memorie, il generale calabrese,
raccontò la sua traduzione da Napoli fino alle Egadi: _L’isola di Marettimo,
collocata sul vasto ed arido scoglio, è posta dirimpetto alla città di Trapani, dalla quale
dista sol trenta miglia. Nella Punta della isola, che forma una roccia isolata, fu costruito
un piccolo castello per avvertire con segnali convenuti la presenza di quei legni
barbareschi che da più secoli molestavano il mare e le spiagge delle Due Sicilie. Sulla
piattaforma del castello, esposto a settentrione, erasi scavato nel vivo della roccia una
cisterna, la quale verso la metà del XVII secolo fu votata dell’acqua che conteneva, e
convertita in prigione affin di rinchiudervi un tristo giovine, il quale aveva ucciso
barbaramente suo padre, ma che per ragion dell’età troppo tenera non erasi potuto
condannare a morte. Poscia servì di carcere perpetua ad altri malfattori cui era stata
fatta grazia della vita. E finalmente nel 1799, sotto il governo di re Ferdinando, fu
riputato ergastolo ben adatto a’rei di Stato. Il primo di costoro ad esservi condotto fu il
Bassetti, generale della repubblica napoletana il quale, condannato a morte, denunziò la
fuga progettata da_ suoi compagni di carcere, e per questa infamia, ottenne che la sua
pena fosse commutata nella perpetua detenzione entro quell’ergastolo, donde uscì per
immeritata fortuna tosto che fu in Firenze conchiusa la pace tra la Francia e il re di
Napoli. Quando noi tre vi giungemmo, trovammo dentro quella fossa due altri
prigionieri, un cotal Tucci, novello Cagliostro, e quel tenente Aprile di Caltagirone 29 il
quale, come ho di già accennato, era fuggito da Castello Sant’Elmo col conte di Ruvo,
Ettore Caraffa, nel 1798. Scendemmo nella fossa per via d’una scala mobile di legno. La
fossa era larga sei piedi e lunga ventidue, ma di disuguale altezza, perchè la volta era
incurvata molto verso le due estremità, in modo che appena nel mezzo di essa potevasi
stare in piedi. Era poi così oscura da non potervisi leggere nè pure in pieno meriggio, e
facea mestieri tenervi sempre una lampada accesa. E siccome la bocca della fossa non
sipoteva chiudere con porta di legno, atteso che avremmo potuto morir soffocati per
mancanza d’aria, così avveniva che la pioggia vi cadeva, e l’umidità vi produceva
tant’insetti che il Tucci e l’Aprile ne noverarrono fino a ventidue specie diverse.
Giacevamo sopra un materasso recato con noi da Palermo, ed essendo cinque persone ivi
rinchiuse, la respirazione diveniva tanto difficile che _X..._ 30 e il Ricciardi 31 subito
vennero meno, e si riebbero non senza pena. Io non saprei più se mosso da amor proprio,
o da forte sentire, mi posi a declamare i versi che il Milton, nel primo libro del suo
Paradiso perduto, pone in bocca a Lucifero per confortare i suoi compagni:
Che però? se fu già perduto il campo, / Perduto il tutto ancor non è; l’invitta /
Volontate, lo studio di vendetta, / L’odio immortale, e quell’altier coraggio / Che mai
non si sommette e mai non cede, / E che l’altro è mai l’esser invitto? 32 Ma cosa erano
in realtà queste temute fosse? La fossa era un’aberrazione del concetto stesso di
prigione. È uno dei più tipici esempi testimoniali della tecnica punitiva dell’Ancien
Règime, quella tecnica che impiegava come luoghi di reclusione più frequenti le segrete,
i sotterranei, e le fortezze dall’aspetto di monumenti sepolcrali. Secondo questi dettami
di punizione i corpi dovevano essere mortificati nell’oscurità. L’inquisito od il
condannato doveva perdersi nell’oscurità e doveva ignorare ogni procedura che lo
riguardava. Il sotterraneo era il regno dell’arbitrio, della scelleratezza, il luogo in cui al
prigioniero non veniva garantito alcun diritto o dignità etica. 33 Ergastolo orribile, e
senza eguali in Europa era stata definita dal Pepe per le sofferenze patite nella
fossa del Marettimo da dove gli venne facile anagrammare in dialetto siciliano il
nome di Marettimo (in antico Maretimo) in Morte mia. Carcere assai più duro
dello Spielberg austriaco tanto che chiunque usciva da quella orrenda fossa,
malediva per sempre quell’isola: Forsal et hic olim meminisse juvabit declamava
un anonimo condannato che poi così scriveva: Non le gole fortunate, non quelle
custodite dalle tre suore esperiti, non le altre abitate dalle favolose Dee: ne le tutte, in
cui amenità di sito, feracità di suolo, pittoresche vedute, cristalline acque, condite
vapori, vezzose amarilli, si ammiravano, chiamo alla mente immaginazione nel prendere
la penna a vergar la carta del nome Marettimo: ma slancio l’occhio nel baratro degli
aborti di Madre Natura, e nei rottami del Diluvio di Deucalione, e pervenendo loro il
più mostruoso, quello e d’esso l’orrendo scoglio, di cui è parte. E come al mirar la
deformità della serpentata testa della figura vola di forco, in sasso lo Spettatore
cangiava: cosa ritratta non si potè lo stato attuale di questa Isola, come che essendo
lunga maggiore in mostrosità a quel capo di medusa, indirizzi atterrito, e senza langue
si rimane chi ardimentoso a guardarla, considerata si faccia. Saggi però si furon coloro,
che sapendo in cui applicar al valor della cosa, l’appellarono Marettimo. Poscia sciolta la
parola nei suoi elementi da il puro funesto anagramma di Morte Mia. Abbiasene quindi
quel rozzo embrion che appena con fugace occhio deliniar si pote. Eccolo. È la spietata
Isola una delle Egadi sorge nel mare, che lambisce il famoso Monte Erice, e che vide
vincitor il Gran Regolo sulle armi puniche. Al suo oriente lascia Levanzo e Favignana,
dalle quali si discosta altre a quindici miglia. La sua principale esposizione,
prevedendola dal castello, che l’è un punto tra i piccioli forti guarda Greco e Libeccio.
Un perimetro di miglia dodici ne cince la quadrilatera forma, che pettoruta sostiene alto
gioco di tranquilli monti, tra quali ve ne ha alcuno che per la pena la difficoltà di
ascenderlo è chiamato Montepassio, in dove da quattro anni dietro piazzata vi si è la
macchina telegrafica per corrispondenza da questa a Favignana e da quella al
Continente. Nuda il suda e cruda la faccia dell’Isola tutta repelle da se l’occhio
dell’osservatore, e gelosa di se stessa, non permette che legno s’avvicini, per conoscere le
sue coste è piè la batta per visitarne l’interno senza gravissimo periglio. In vero
tagliente, ed protuberanti, ed ammonticchiati scogli ne custodiscono la circonferenza
tutta, lungo la quale non vi è luogo, cui barchiello possa trovar asilo, quando Nettuno
ricusi di sostenerlo e bene spesso è arrivato, che a mano tremante si han dovuto tagliar
le sorti e correre alla discrezione del vento, per non urtare contra gli argini dell’isola, e
pagar il fio di essersi a lei accostato. Come altresì percorrendo la sua superficie, e non
s’incontra strada, e piccioli calle da reggere il cammino.
La mano dell’uomo non ha potuto tracciarvelo a vista dei rupestri macigni, che
avrebbe dovuto far crollare: dei profondissimi precipizi da coprire, dei spaventevoli
diruti ad arginare, tutti di tanto momento, che esternerebbero il genio, e la potenza
romana, se in vita chiar si potessero. Che però a carponi vi si cammina, e con la morte
d’appresso, poiché non vi è speranza di soccorso messo il piè in fallo: le cavalanche delle
Alpi sono più rare e meno pericolose di queste voragini, che forse diero a Dante la
originale idea delle sue trementi infernali bolge. E quando attraverso di tente pericoli si
abbia il coraggio, o la necessità di correrne il rischio, non vi è speme di rinfrescare le
stanche membra all’ombra di albero nella canicola, di bagnar le arse labbra al
serpeggiante rivolo o di ricoverarsi sotto ospitale tetto da copiosa pioggia. Oibò! acqua
salsa, come falso, e deserto è il suolo (tranne una sola fonte in tutta l’isola, che Pala si
appella) si è necessitato a tracannare o qualche grotta a guisa di fiera può aversi per
ricettacolo, non mai abituro. Prodica la natura in render singolare la mostruosità in
parola, gli ha dato un mare procelloso; e quell’otre de venti cantato da Omero, come
dono fatto da Eolo a Ulisse. Così chè le spaventevoli tempeste dell’uno e gli impetuosi
uragani dell’altro ne accrescono gli sempri eterni errori. Di opera si indegna fu tocco
Giove allorchè passò a rassegna le cose di quaggiù; e preso da raccapriccio volle
fulminarla. Ma le crudeli Deità del dovole che tutt’ora mancavan di funesto sito in cui
esercitar il loro acerbo impero si opposero ed impietrarono di averla per loro. Il gran
Padre contentolle, e tonante prescrisse che folta eterna nebbia avesse coverto ed
incombrata la orrenda balza per mai più vederla. Si detto, torse il sopraccigliato
maestevol occhio e perdutamente lasciolla nel più tristo e luttuoso abbandono.
All’annunzio dell’inesorabil troppo eseguito decreto la penna cade. Fatto a San Simone,
il Primo Dicembre 1843. 34 Durante il governo costituzionale napoletano si
delineava l’orientamento dell'abolizione di queste terribili fosse. Il decreto
legge, n° 81 del 22 Agosto 1820, firmato da Francesco Vicario generale e
controfirmato dal Ministro di Grazia e Giustizia Ricciardi, stabiliva i luoghi per
la espiazione dell’ergastolo e la soppressione definitiva dal sistema carcerario
borbonico dell’uso delle fosse. In questo decreto dal titolo: Regolamento per la
espiazione delle pene dell’ergastolo e della relegazione, si legge: La pena dell’ergastolo si
espierà ne’castelli della Favignana e del Marettimo, mentre la pena della relegazione si
dovrà espiare nelle isole di Ponza, Lipari, Ustica e Pantelleria. Poi all’articolo 11 del
decreto recitava: Tutte le fosse esistenti nel regno, che finora hanno servito come
luoghi di espiazione di pena, non potranno più essere addette a questo uso, e saranno
colmate. 35 Ma ciò rimase soltanto un sogno. Anche perchè, caduto il governo
costituzionale, i Borboni dovevano fronteggiare non solo le rivolte, ma anche il
minaccioso pericolo delle sette carbonare che si organizzavano in tutto il
territorio del regno. In Sicilia e a Trapani, in particolare, sorgevano diverse
vendite. In città le sette si diffusero ad iniziativa del poeta pistoiese Bartolomeo
Sestini (1792-1825), 36 che dopo aver attraversato la Calabria sbarcava nell’Isola
per organizzare al meglio la carboneria. Fondava sette anche nelle provincie di
Agrigento, Messina, Catania, Termini Imerese ed in altri piccoli centri siciliani. 37
La presenza di Sestini in Sicilia, diversamente dal passato, faceva germogliare il
seme antiborbonico nell’Isola. Le nuove sette contagiavano persino funzionari
dell’apparato statale, 38 il clero e buona parte dei militari. A Trapani un
funzionario della Secrezia, 39 Martino Beltrami, per non essere scoperto
carbonaro, si toglieva la vita.
Numerosi furono i notamenti emanati e diffusi dalla polizia e che
riguardarono ecclesiastici impiegati per sovrani ordini e destituiti in seguito dalle
rispettive cariche. Molti sacerdoti venivano rimossi dagli incarichi. L’epurazione
interessava non solo i religiosi residenti nelle città capovalle, ma anche coloro i
quali erano impegnati nelle piccole isole con incarico di cappellano delle carceri.
Don Giuseppe Canino col suo coordinatore Don Domenico Caligarsia venne
rimosso dall’incarico di Regio Cappellano del forte di S. Caterina di Favignana.
A Pantelleria, Don Agostino Ribera venne destituito dalla canonica della Chiesa
Madre dell’isola. Era anche in odore di carboneria Don Gaspare Nave, Regio
cappellano del castello di S. Giacomo in Favignana, poi amnistiato (come da
notamento) perché sedotto diede segni non equivoci d’essersi ascritto per timore di
perder la vita, quindi merita di godere della amnistia. 40 Malcontento serpeggiava
anche fra i militari che lesinavano il soldo per i continui ritardi nei pagamenti
operati dalla Secrezia, ma anche per l’antico odio e disprezzo reciproco che
covava all’interno dell’apparato militare dopo la ricostituzione operata da
Ferdinando, al tempo del suo rientro a Napoli. L’esercito si compose di quei
militari che erano rimasti a Napoli al servizio di Murat, e di quelli che avevano
seguito il monarca in esilio in Sicilia. 41 Naturalmente i corpi scelti dell’apparato
militare vennero affidati alla direzione di ufficiali borbonici discriminando così
quelli di estrazione murattiana. Si era così creata una doppia gerarchia di
ufficiali. Tale situazione paralizzava l’azione disciplinare che divenne in parte
una delle concause che favorirono poi la rivolta del 1820. Molti ufficiali del
nuovo esercito divennero carbonari e altri, in servizio nei forti, si prodigarono
nell’aiutare alcuni detenuti politici. Le spese sostenute per la restaurazione
avevano aggravato ulteriormente la crisi economica; l’imposizione dei dazi
rinfocolava il malcontento popolare. La Secrezia e le Pro-Secrezie spesso non
potevano neanche far fronte, per mancanza di danaro, al pagamento degli
impiegati dell’apparato statale, e non era neanche soddisfatta la spettanza del
sussidio e del vestiario ai detenuti. 42 Oltremodo non si corrispose il soldo
mensile spettante ai militari, 43 che inoltravano suppliche al Luogotenente
Generale di Sicilia per sollecitare le spettanze economiche. Disordini e ribellioni
si verificarono anche nelle piazze d’armi tra i militari a causa degli attrassati
pagamenti degli stipendi, mentre le spese per il mantenimento delle truppe
austriache veniva regolarmente corrisposto. 44 La Carboneria, trovava così
terreno fertile e si era consolidata ed infiltrata in tutti gli apparati dello Stato,
nell’amministrazione civile, nella magistratura, nell’esercito, fra il clero. 45 e
persino all’interno delle carceri.
Nell’aprile del 1820 la Polizia veniva a conoscenza delle relazioni
esistenti tra i detenuti del Real Arsenale di Palermo e quelli del bagno di
Trapani e di Favignana per un tentativo di fuga generale. Nel carcere di
Favignana la Polizia poi scopriva una setta. La popolazione carceraria nell’isola
aumentava di giorno in giorno. Nelle carceri era divenuta norma il rinchiudere
detenuti politici con quelli comuni. La disorganizzazione dell’amministrazione
carceraria contribuì a rinfocolare lo spirito carbonaro fra i detenuti di opinione e
fra quelli comuni.
In maggio 1825 il capitano Gaetano Orlando, comandante del forte di S.
Giacomo in Favignana, veniva avvertito dal relegato per opinione Giuseppe
Cervone 46 che i condannati al bagno in quel forte e i relegati nell’isola (oggi
diremmo i condannati a domicilio coatto) avevano stabilito un’associazione
settaria sotto il titolo di Carboneria Riformata. L’Orlando chiese allora un
rinforzo di truppa ed un aumento di custodia. 47 Visto l’allarme del Capitano, si
recava immediatamente in Favignana il Comandante della Valle e Piazza di
Trapani, il quale faceva eseguire delle perquisizioni nel bagno e nelle case dei
relegati e incominciava gli interrogatori. Il Cervone, mantenendo la prima
denuncia, aggiungeva d’aver saputo che capi della setta erano i condannati
Isidoro Alessi, villico di Palazzo Adriano, che funzionava da Gran Maestro, e il
suddiacono Vincenzo Pace da Trapani, che copriva la carica di oratore. Costoro
si riunivano nella chiesa del bagno per fare ricezioni d’individui. L’Alessi aveva
su tutti un’autorità incontrastata e puniva severamente coloro, che
commettessero mancanze. Si teneva egli in continua relazione col relegato
Giuseppe Ragusa da Sciacca, di condizione civile, il quale si recava spesso al
bagno, fingendo di dover conferire su privati interessi coll’Alessi. Questa nuova
setta erasi manifestata dopo l’arrivo nel bagno del condannato Francesco
Mento. Coloro che vi avevano aderito, venivano soprannominati Berrette storte
(coppule storti). Su queste prime indagini il Comandante proseguiva l’istruttoria.
Alcuni relegati (Cosmo Cambria da Palermo, sarto; Calogero Gattuso da
Ciminna, Calzolaio; Luigi Giunta da Piazza, paratore), il soldato Giuseppe
Ingrassia e il calzolaio Salvatore Campo per ottenere l’impunità fecero delle
spontanee dichiarazioni. Ammisero tutti l’esistenza della setta, ch’era
largamente diffusa nell’isola. Alcuni riferirono che due giorni dopo l’ultima
festa dei Morti, i condannati del bagno s’erano raccolti nella chiesa del forte a
dire alcune loro orazioni. L’Alessi aveva acceso le candele e tutti avevano
pregato con grande raccoglimento. Terminate le orazioni, Niccolò Saulle della
provincia di Salerno aveva detto: in suffragio dei nostri fratelli defunti! Il Cambria
depose di essere stato iniziato ai misteri della Carboneria nelle Grandi prigioni
di Palermo nel 1824 dal detenuto Salvatore Terzo da Monreale, sarto[...] Avviata
così l’istruttoria del processo, essa veniva proseguita nel mese successivo dal
Commissario di Polizia Giuseppe Albanese, al quale il relegato Andrea La
Rocca da Bordonaro, macellaio, riferiva che tutti i detenuti nei luoghi di pena
erano ascritti alla Carboneria e che quelli di Favignana avevano progettato la
fuga per il 13 giugno di quell’anno, sicuri dell’appoggio degli isolani e di molte
persone di Marsala o di Mazara. Si dovevano quindi recare in Trapani,
scarcerarvi i detenuti e rinnovare le stragi del 17 luglio 1820. [...] Con rescritto del
11 aprile veniva intanto creata una Commissione straordinaria, composta del presidente
Francesco Maggiore, dei giudici Francesco Saverio Piombo, Domenico Vinelli,
Giovanni La Cava e di Michele Fardella, funzionante da P.M. Innanzi a questa
Commissione l’Alessi ritrattava la dichiarazione fatta al Luogotenente generale e
deponeva su altre circostanze; sicché la Commissione giudicava quest’ultima
dichiarazione una studiata combinazione, in aperta ed assoluta contraddizione coi
risultati del dibattimento. Comparvero innanzi alla Commissione, riunita nella stessa
isola di Favignana, ben sessantasei individui imputati di associazione settaria sotto il
titolo di Carboneria Riformata. 48
Questa la lista dei processati dal titolo: Ministero Pubblico, presso la
Commissione straordinaria stabilita da R.R per gli incolpati de reati settari
nell’isola di Favignana:

1) Isidoro Alessi di Nicolò, 37 anni di Palazzo Adriano, villico. 2) Don


Giuseppe Ragusa di Don Cirillo 41 anni di Sciacca, civile. 3) Don Nicolò Saulle
di Don Silvestro, 35 anni, di Pisciotta (provincia di Salerno), civile. 4) Cosmo
Cambria di Giuseppe, 26 anni di Palermo, sartore. 5) Giovanni Spina fu Stefano,
45 anni, di Palermo, barbiere. 6) Felice Pavia, fu Emanuele, 30 anni di
Pantelleria, calzolaio. 7) Pasquale Albano di Gaetano, 36 anni di Napoli,
falegname. 8) Giovanni Astorina fu Don Giuseppe, 54 anni di Palermo,
parrucchiere di donna. 9) Lorenzo Borgese fu Mariano, 40 anni di Polizzi,
calzolaio. 10) Onofrio Berardi di Luigi, 30 anni, di Mazzarino, polveraio. 11)
Bartolomeo Bruno fu Ignazio,44 anni, di Gibellina, calzolaio. 12) Don Antonio
Boscarelli, fu Don Francesco, 30 anni, di Corleone, commesso in quella
Ricevitoria. 13) Francesco Cirilla di Domenico, 32 anni di Cinisi, beccajo. 14)
Gaetano Catania fu Placido, 25 anni, di Troina, fabbricatore. 15) Vitaniano La
Canna di Nicolò, 38 anni di Catanzaro, gendarme reale. 16) Don Luigi
Cuntijano fu Don Antonio, 31 anni di Sessa (Terra Lavoro), ex tenente. 17)
Francesco La Corte fu Michelangelo, 40 anni di Palermo, giardiniere. 18)
Gioacchino Crocilla fu Calogero, 45 anni di S. Cataldo, scribente. 19) Antonio
Conigliaro, fu Francesco, 29 anni, di Carini, panettiere. 20) Giovanni Fragalà fu
Orazio, 37 anni di Campofranco, (non s’indica la professione). 21) Giuseppe
Falzone di Don Francesco, 41 anni di Pietraperzia, studente. 22) Giuseppe Di
Francio fu Giovanni, 46 anni di Caltagirone, panettiere. 23) Calogero Gattuso fu
Giuseppe, 30 anni di Ciminna, calzolaio. 24) Don Benedetto Gerardi di Don
Domenico, 40 anni di Partinico, possidente. 25) Stefano Giallombardo di
Luciano, 29 anni, di Borgetto, custode di bestiame. 26) Alessandro Giojcco di
Michele, 32 anni, di Colvello (Basilicata), villico ex militare. 27) Angelo
Gambino di Pietro, 40 anni di Carini, Bordonajo. 28) Stefano Incaviglia,
altrimenti Inglese, fu Vincenzo, 44 anni di Favignana, villico ex artigliere
littorale. 29) Giuseppe Ingrassia fu Giuseppe, 49 anni di Favignana, villico e
soldato di dotazione. 30) Domenico Iannelli fu Gaetano, 58 anni di Casteldaccia,
possidente. 31) Giuseppe Lombardo fu Francesco, 37 anni di Termini, fornaio.
32) Filippo De Lucia di Onofrio, 34 anni del Comune del Palco, giardiniere. 33)
Filippo Lombardo di Don Michele, 28 anni di Palermo, soldato del disciolto
battaglione Valle Palermo. 34) Rosario Minardi fu Ignazio, 49 anni di Modica,
campagnolo. 35) Saverio Mascari fu Paolo, 45 anni di Termini, padrone di
bastimento. 36) Simone Marino di Paolo, 25 anni di Sciacca, villico. 37) Gandolfo
Monteleone, fu Ignazio, 41 anni di Polizzi, borgese. 38) Cosmo Pellegrino fu
Giacomo, 29 anni di Messina, calzolaio. 39) Giuseppe Patti Beninghella fu
Michele, 41 anni di Favignana, villico ex artigliere littorale. 40) Don Vincenzo
Pace di Alberto, 33 anni di Trapani, suddiacono. 41) Giuseppe Lo Piccolo fu
Silvestre, 35 anni di Palermo, villico. 42) Matteo Russo fu Mariano, 30 anni di
Polizzi, villico. 43) Giovanni Roccaforte di Gaspare, 33 anni di Palermo, capraio.
44) Ignazio Scarcella di Marco, 47 anni, di Favignana, trafficante. 45) Antonio
Signorino fu Paolo,42 anni di Trapani, fornaio. 46) Giuseppe Gaetano Scala di
Vincenzo, 40 anni di Palermo, molinaio. 47) Rocco Soldano di Don Adamo, 34
anni di Piana dei Greci, falegname. 48) Giorgio Terranova fu Marco, 48 anni di
Ragusa, villico. 49) Michele Torrente fu Giacomo, 30 anni di Favignana,
marinajo. 50) Michele Zurlo fu Francesco, 46 anni di Delicato (Foggia), un
tempo militare. 51) Gaetano Mustica fu Don Giuseppe, 27 anni di Palermo, ex
caporale della 2° Compagnia Volontari Valle Palermo 52)Vincenzo Lanza di
Salvatore, 32 anni di Palermo, caporale del disciolto Battaglione Valle Palermo.
53) Baldassare Mazza fu Vito, 32 anni di Licata, pastaio. 54) Giuseppe De Luca
fu Gennaro, 33 anni di Favignana, falegname. 55) Giuliano Vitale di Faro, 31
anni, di Cinisi, suonatore di violino. 56) Don Salvatore Terzo fu Paolo, 43 anni
di Monreale, sartore. 57) Michele Umano di Ignazio, 40 anni di Gammichele,
fornaio. 58) Alberto Amico fu Francesco, 47 anni di Calatafimi, molinaro. 59)
Filippo Battiali fu Mastro Santo, 40 anni di Paternò, fornaio. 60) Michele
Bersaglia fu Michele, 41 anni di Palermo, venditore di caci. 61) Giuseppe
Tumminello di Rosario, 31 anni di Comiso, campagnolo. 62) Andrea La Rocca
fu Giovanni, 27 anni di Bordonaro, macellaio. 63) Luigi Giunta fu Gaspare, 40
anni di Piazza, paratore. 64) Michele Faja fu Innocenzo, 28 anni di Palermo,
zalataro. 65) Francesco Paolo Di Franco fu Ignazio, 42 anni di Nicosia, fornaio.
66) Giuseppe Tumminello fu Pietro, 41 anni di Cefalù, allora soldato. 49
Nel citato rescritto del 11 aprile si legge: La Commissione straordinaria
decida inappellabilmente, e la sentenza si esegua nel termine di ventiquattr’ore, senza
bisogno di attendere la sovrana risoluzione di S.M. La causa avveniva a porte
chiuse; e dopo il dibattimento, il 9 settembre 1829, la Commissione emise la sua
sentenza, con la quale, a voti unanimi, condannava: Isidoro Alessi, Giuseppe
Ragusa e Cosmo Cambria alla pena di morte col laccio sulle forche ed alla multa
di ducati tremila ciascuno (somma equivalente a 1.000 onze); Nicolò Saulle e
Michele Zurlo da Foggia, ex militare, che già si trovavano condannati
all’ergastolo, alla pena di morte e alla multa di mille ducati ciascuno, Francesco
Ciulla da Cinisi, beccaio, Vitaliano La Canna da Catanzaro, gendarme, e il
soldato Giuseppe Ingrassia al terzo grado di ferri per vent’anni; Giuseppe De
Luca da Favignana, falegname, Giovanni Spina da Palermo, barbiere, e Felice
Pavia da Pantelleria, calzolaio, al terzo grado ferri per anni ventiquattro; il
calzolaio Calogero Gattuso da Ciminna, Alessandro Gioscio da Calvello
(Basilicata), ex militare, e il suddiacono Vincenzo Pace, già recidivi, al quarto
grado di ferri per venticinque anni; Baldassare Mazza, pastaio da Licata, e
Giuliano Vitale da Cinisi, suonatore di violino anch’essi recidivi, al quarto
grado di ferri per anni vent’otto; inoltre Giuseppe Tumminello fu Pietro da
Cefalù, soldato, Michele Faja da Palermo, insalataro, Alberto Amico da
Calatafimi, mugnaio, e Giuseppe Di Franco da Caltagirone, panettiere, alla pena
del primo grado di ferri per sette anni; Giuseppe Tumminelli di Rosario,
campagnuolo da Comiso, già condannato all’ergastolo, ad una più severa
restrizione. Le sentenze contemplavano a tutti differenti pene pecuniarie e li
obbligava solidalmente al pagamento delle spese del giudizio a favore della
Regia Tesoreria. Giusto il sovrano rescritto, le sentenze di morte dovevano
eseguirsi entro le ventiquattro ore; bisognava però aspettare dieci giorni l’arrivo
del boia da Palermo.
Il 20 settembre il pubblico ministero Fardella rilasciava quest’ordine:
Dovendo la mattina di domani, che contano li ventuno del detto mese di settembre, alle
ore tredici, aver luogo l’esecuzione della decisione medesima, ordiniamo che Don
Giuseppe Galeotto, usciere presso la Commissione istessa, alle ore dodici di detto giorno
si rechi in abito nero completo, nel Castel San Giacomo di questa Isola, ove ritrovansi i
pazienti per i soliti esercizj spirituali; che li accompagni fino al patibolo, portando in
mano nel modo prescritto dalla Legge, la bacchetta nera, e che pratichi tutte le altre
incombenze al suo impiego inerenti, redigendo di tutto il corrispondente verbale. 50 Pur
essendo luoghi dove l’evasione era ritenuta impossibile, molti detenuti
riuscivano a scappare. La più clamorosa delle fughe fu quella messa in atto dai
detenuti del Castello di Santa Caterina in Favignana organizzata dal generale
Guglielmo Pepe. In caso di fuga dei carcerieri i militari addetti alla custodia
erano ritenuti responsabili e per questo venivano immediatamente incarcerati e
sospesi dal servizio. Mentre i militari che si prodigavano nel riacciuffare i
fuggiaschi venivano incentivati con incentivi in danaro. Il 26 Marzo 1811 Don
Pasquale Zucco, funzionario della Corte Capitanale Giuratoria, e Secreziale di
Pantelleria, veniva ritenuto responsabile della fuga di due individui. E perciò
S.M. ha comandato che il Zucco resti privo dell’esercizio dell’impiego e che sia mandato
nell’isola della Favignana, e stia libero, ma detenuto fino a nuova sovrana
determinazione. 51 Anni prima, il 4 luglio 1785, Giuseppe Corrado e Felice
Desiderio, di Lucera erano fuggiti dalla galera. Il re comanda che siano spediti con
la catena dei condannati nell’isola di Marettimo. 52 Il condannato Giovanni
Lastorina, di 32 anni, palermitano, nel febbraio del 1800, fuggiva dalla nave che
doveva trasportarlo in un carcere di Napoli. Riacciuffato, venne richiuso
all’arsenale di Messina. Da qui, il 14 marzo, fuggiva per la seconda volta.
Catturato a Palermo veniva condannato con un ulteriore aumento di pena e
rinchiuso nel castello di Favignana. Non rassegnato tentava ancora la fuga. Dal
camerone numero 5 del castello S. Giacomo in Favignana, la notte tra il 29 e il 30
Dicembre 1812, il Lastorina praticava un grosso buco nella muraglia poi con
una fune si arrampicava sul rivelino del castello da dove se la diede a gambe.
Inseguito dai militari del presidio, il Lastorina, si era rintanato sul campanile
della chiesa Madre dell’isola dove si spegneva l’ultima sua speranza. Catturato
definitivamente veniva rinchiuso in cella sotto stretta sorveglianza. 53 Un’altra
diserzione dall’isola di Favignana si verificava la notte del 15 gennaio del 1814.
Protagonisti otto condannati che riuscivano a rubare la barca del pescatore Vito
Rallo di Favignana che a sua volta chiedeva d’essere risarcito dall’erario per il
danno subito. 54 Il generale Guglielmo Pepe che era carcerato a Marettimo,
insieme a Gaetano Rodinò, tradotto nel castello di Favignana, organizzava la
fuga dei detenuti rinchiusi in quel forte. La fossa di Santa Caterina era la stessa
ove furono rinchiusi per circa due anni il principe di Torella, il duca Riario [...]
è posta nel fondo del castello, incavata nel sasso, umida, trista, ma spaziosa. Sta il
castello in sulla cima del solo monte altissimo che si erge in quell’isola affatto piana; e
pochi sono i giorni in cui quel monte non sia tutto coperto di nebbia. Il comandante del
forte della Favignana era ancor egli, come quello del Marettimo, un povero alfiere con
famiglia, e d’animo non cattivo quando non era brillo, e poco, colla profferta d’una
mercede mensuale, ottenemmo da lui immensi sollievi al nostro stato infelice. Potevamo
in alcune ore del giorno passeggiare nelle due piattaforme, e a piacer nostro scrivere a
chi volevamo e ricever libri.
Il cappellano del castello era un ottimo giovane, che pizzicava alquanto del
patriota, ed io, per vien meglio accattivarmelo, tolsi ad insegnare a un suo nipote le
matematiche elementari. Col mezzo del comandante e del cappellano feci, per via di
lettere, conoscenza col sig. Alberti, maggiore del genio, impiegato in Trapani, dond’egli
inviavami tutti libri ch’io desiderava, i quali potevano venire liberamente, atteso che nel
castello e nell’isola pochi eran coloro che sapevan leggere. Il mio buon genitore [...]
aveva dato ordine al banchiere Falconet in Napoli di spedirmi i libri da me con una
lunga nota richiesti. [...] Durante tutti tre anni della mia prigionia, studiai con
indefessa perseveranza, e mi astenni da due vizi comunissimi nelle prigioni, il ber vino
cioè, el fumar tabacco. E siccome a me non pareva né giusta, né probabil cosa che per
delitti politici, senza condanna regolare, dovessi rimaner lungo tempo prigione, così
confortavami collo studio, che solo potea se non distrarmi all’in tutto, alleviare almeno
di un tantino il peso delle mie disgrazie. Nonostante che in quella fossa di Santa
Caterina marcissero da venti condannati a’ferri per delitti comuni, non per ciò in tutto
il tempo che vi rimasi, fui menomamente distolto dalle mie assidue applicazioni. Era la
detta fossa di forma bislunga, ed avea da una banda in tutta la sua lunghezza un
intavolato simile a quello de’corpi di guardia, su di cui giacevano la notte que’poveri
disgraziati, i quali, ferrati a due a due, lavoravano poi il giorno ai bisogni del castello.
[...] Que’galeotti erano tutti rei di più omicidi, e quegli che essi riverivano qual capo, ne
avea commessi d’intorno a venti. A chi non è ignoto lo stato infelice delle Due Sicilie in
que’tempi, non recherà punto meraviglia che uomini coperti di delitti numerosi ed
enormi, non venissero condannati alla pena capitale. [...] Tutti que’forzati erano, verso
di noi, come tanti famigli rispettosi a’ loro padroni, sebbene uno solo fosse addetto a
servirci, mercè d’un piccol salario che da noi riceveva. Nel vederli così solleciti di noi, ci
pareva che dicessero tra loro: Questi due poveri giovani, forse cospirarono a distruggere
un governo iniquo e crudele, cagione delle comunioni nostre miserie? Rinchiusi nella
fossa sul tramontar del sole, passavamo tristissime notti, massime nell’inverno [...]
Eravamo già molto inoltrati nel 1805, e più di due anni erano trascorsi ch’io in si
tristissimo stato languiva col solo conforto che traeva dallo studio e da una certa
lusinghiera speranza, compagna fedele degl’infelici. [...] Più e più volte X.... ed io
pensammo di scappar dal castello, ma era difficilissima, anzi impossibil cosa il riuscirvi.
Un solo divisamento ci parve finalmente men degli altri improbabil, quello, cioè,
d’istigare i galeotti ad impadronirsi del forte per indi fuggirsene, e noi mostrare di non
aver presa parte a quel tentativo, qualunque ne fosse l’esito,e quindi, in grazia della
nostra apparente rassegnazione, ottenere carcere men duro nella Sicilia, ove la fuga poi
sarebbe divenuta agevole. X... che aveva dieci anni più di me, e presumeva altresì aver
senno e scaltrezza maggiore, opinava che dovessimo nascondere a que’forzati tutto il
netto de’nostri pensieri, e dire anzi che saremmo con esso loro fuggiti, per togliere così
ogni sospetto di tradimento. Al che io fermamente mi opposi, perch’essendo il governo
inteso più a rimprigionare i rei di Stato, che non i condannati per delitti comuni,
que’galeotti avrebbero trovata la nostra compagnia più pericolosa che utile [...] Quindi
risolvemmo di parlar con franchezza, promettendo segreto religioso, assistenza e denaro.
Capo di tutti i forzati del castello non era più il medesimo ch’era dentro la fossa, ma sì
bene un tale Sciaino, siciliano di famiglia alquanto agiata, uomo coraggiosissimo, e
condannato a vita per i suoi delitti. Ma che non può la fortuna? Essa fece allora assai
più di quello che giammai noi avremmo osato sperare. La presa del castello era
oltremodo ardua e rischiosa. Un solo colpo di moschetto avrebbe fatto immediatamente
mettere in moto tutta l’isola, né quel comandante avrebbe tardato a spedir tosto forze
bastanti a riprender il forte, o pure stringerlo di assedio, essendo già appostata una
sentinella di là dal ponte. Era per ciò necessario, senza far minimo rumore,
impadronirsene di sera. In quanto poi allo scender nell’isola bisognava che si fosse
trovato sulla spiaggia un battello da poterli tragittare in Sicilia, il che mi pareva un vero
sogno. Ma i galeotti, confortati dalla speranza e tenaci nel conservare il segreto, osavano
tutto perchè non avevano nulla da perdere. […] Il comandante del castello, dedito al
vino, e propenso a ricever doni da chi gliene poteva fare, permetteva a tutti i trenta
detenuti, tra forzati e rei di Stato, di girare per l’intero castello. Ora un giorno sul far
della sera si fece in modo che i soldati del presidio, favignanesi ed ordinati a forma di
milizie, si riducessero tutti in un corridore a bere vino stato ad essi regalato; e quivi
furono tostamente da noi chiusi. Il comandante fu preso dallo Sciaino, e le sentinelle
fuori il ponte da due galeotti compagni di catena, quivi usciti col pretesto di trasportarvi
immondizie. Due altri galeotti assaltarono la sentinella sulla piattaforma presso alla
campana. Ed ecco in un baleno tutti i forzati armati di fucile presi nel corpo di guardia.
Costoro fecero scender nella fossa il comandante, sua moglie e tutti quelli del presidio,
ed anche noi due prigionieri di Stato. A tutti posero indistintamente i ferri, e per
allontanare ogni sospetto di connivenza, tolsero a me un paio di stivali e qualche vestito.
E nell’atto ch’io li supplicava di usar più umanità verso il comandante, e di chiudere la
moglie almeno nelle proprie sue stanze, essi voltavansi verso di me minacciosi e sordi
alle mie preghiere, come già era stato fra noi convenuto. Ma, pertanto, alla scaltrezza
siciliana non isfuggi né che X.... ed io eravamo stati gli autori di quel fatto, né il motivo
che ci aveva indotti a far eseguire quella fuga. Dietro alla porta della fossa, che
chiudevasi con un cancello di ferro, i galeotti gettarono quanto più legname poterono,
affinché, se fossero giunti que’ del presidio a sferrarci, spendendovi tutta la notte,
sarebbero riusciti appena la mattina ad aprire la porta. Ciò fatto, essendo bene armati,
recaronsi a notte avanzata ad una spiaggia lungi dall’abitato, dove aveano innanzi sera
veduta una barchetta, che colà sogliono chiamare lautello, e trovatola, costrinsero
que’marinari a trasportarli in Sicilia. [...] Giunti in Sicilia, si fecero seguire da’
marinari del lautello affinché costoro non li denunziassero alla giustizia ed a’capitani
d’armi che aveano il carico di sterminare i banditi. Dopo scorsa lunga strada, il loro
capo Sciaino commise il fallo di liberare i marinari, i quali andaron tosto ad avvertire le
autorità più vicine. I forzati, già stanchi dal molto camminare, cui per lunga prigionia
erano divezzati, riposavansi, placidamente in un campo, quando, assaltati
all’improvviso da un capitano d’arme, tre rimasero morti, e gli altri furon tutti presi,
tranne lo Sciaino, il quale si rifuggì in casa d’un prete, donde gli riuscì d’imbarcarsi per
Genova. E passò di là a Milano ove, preso servizio da soldato, divenne sergente, poscia
uffiziale nell’esercito di Murat, bravissimo in guerra, e di savia e regolare condotta.
Indicibile fu la meraviglia degl’isolani della Favignana, nel veder la mattina le porte del
castello spalancate, e noi chiusi dentro la fossa. Il governatore dell’isola pose in arresto il
comandante di Santa Caterina e tutti i soldati cui era confidata la guardia del presidio.
Noi prigionieri di Stato fummo ringraziati e ben trattati per la buona condotta tenuta in
quella occorrenza, sebbene tutti gl’isolani e il comandante medesimo fossero
internamente persuasi che quella evasione fosse frutto del nostro consiglio. Fu in breve
aperto in Trapani un processo contro il comandante del castello e gli uffiziali del
presidio, e noi prigionieri di Stato fummo trasferiti a Trapani in una torre, che guarda il
porto di quella città, e ch’è collocata sopra un’isoletta chiamata la Colombaia. La nostra
prigione componevasi quivi di due stanze, ed eravam custoditi dal presidio con una
guardia giornaliera, comandata da un uffiziale sotto gli ordini del comandante del
forte.55
Il sacerdote Mario Zinnanti, ultimo regio cappellano dell’isola di
Marettimo e primo autore di una pubblicazione intorno alle isole Egadi,
descrivendo il castello di Punta Troia, parlava dell’esistenza della fossa-cisterna
all’interno di quel maniero e riportava la seguente notizia: il 29 giugno 1844;
tenne prigionieri in una angusta fossa i fervidi politici del tempo l’Arciprete Guglielmi
Vincenzo e l’avvocato Tucci Nicolò. Sì illustri personaggi, per un gioco di parole
malamente interpretate dai militari di guardia, i fratelli Carriglio al Comando di Pietro
Canino, furono scannati colla baionetta nella stessa fossa. 56 Sedici anni dopo,
Pietrino Duran di Marettimo, riportava lo stesso triste episodio, che datava al
1825: Nelle orribili prigioni borboniche di Punta Troia, stanchi di soffrire e perchè i
Borboni non vollero mai amministiarli, furono trucidati implorando libertà i due
cospiratori napoletani Avv. Nicolò Tucci e l’arciprete Vincenzo Guglielmi. Questi due
poveri infelici, nel 1825, per un semplice malinteso furono, dai fratelli Carriglio, militari
di guardia, favignanesi, comandati da certo Pietro Canino, anch’egli da Favignana,
scannati a colpi di baionetta dentro l’orrenda maledetta fossa. Così posero fine ai loro
giorni questi oscuri martiri, degni fratelli di Carlo Pisacane e di Attilio ed Emilio
Bandiera. 57 La diversità del tempo di questo accadimento riportato dai due
autori viene successivamente replicata da altri autori, in ordine di tempo,
Alessandro Cataliotti, il quale concorda con lo Zinnanti, scrive: Nel 1844 vi
penarono i fervidi politici del tempo: l’arciprete Guglielmi Vincenzo e l’avvocato Tucci
Niccolò. Si vuole che costoro per parole falsamente interpretate dai militari di guardia,
fratelli Carriglio, al comando di Pietro Canino, vennero trucidati a baionettate nella
stessa fossa il 29 giugno 1844. 58 Rino Maiorana, come il Duran narrava:
Nell’angusta fossa di questo carcere, dalla metà del 1600 fino al 1844 patirono le pene
dell’inferno sia pericolosi malfattori che ardenti politici come l’avvocato Nicolò Tucci e
l’arciprete Vincenzo Guglielmi, i quali, secondo quanto afferma lo Zinnati furono, per
un banale malinteso, trucidati a colpi di baionetta dai fratelli Carriglio militari di
guardia, al comando di un tale Pietro Canino. Tale triste episodio pare sia avvenuto
nel 1825. 59 A pasticciare ulteriormente la questione contribuivano altri due
autori. Gaspare Scarcella, che cambiava il luogo del delitto (Favignana invece
che Marettimo) e datava l’avvenimento di tre giorni antecedenti a quella
indicata dallo Zinnanti e scriveva: Il 26 giugno 1844 i fratelli Carriglio, comandati
da Pietro Canino, si macchiano di un crimine infame: uccidono l’arciprete Vincenzo
Guglielmi e l’Avv. Tucci rinchiusi nel castello di S. Caterina, per presunte offese
ricevute. L’evento fa parecchio scalpore, ma i colpevoli non verranno mai condannati
(delitto di Stato?). 60 L’altro autore, Gin Racheli, sul delitto consumato nella
fossa di Marettimo, asseriva: Nella cisterna di Punta Troia vennero trucidati a colpi
di baionetta, nel 1825, due cospiratori napoletani, l’avvocato Nicolò Tucci e l’arciprete
Vincenzo Guglielmi, rei di avere rivolto parole ritenute ingiuriose alle due guardie
favignanesi che li custodivano, i fratelli Carriglio. 61 Allo scopo di far luce su questo
episodio abbiamo iniziato la ricerca, setacciando i registri dello Stato Civile del
comune di Favignana e del sottocomune di Marettimo, nel tentativo di trovare
gli atti di morte relativi alle due vittime. Ma la ricerca è stata infruttuosa.
Nessun atto riguardava Tucci, né tantomeno Guglielmi. 62 Azzardare quindi
un’ipotesi circa la morte dei due infelici è stata per noi cosa ardua. Comunque
la occultazione della morte di alcuni detenuti doveva essere una pratica
frequente.
Nel registro degli atti di morte del comune di Favignana del 1846, un
altro sacerdote, Giuseppe Samperi fu Gaetano, di 56 anni di Mazzarino, che
scontava la condanna nel castello di Santa Caterina di Favignana, sulla
dichiarazione resa dai militari del forte allegata agli atti dello Stato Civile, si
legge: morto al di fuori del forte di Santa Caterina, alle ore 4 di mattina il giorno 31
marzo. 63 Forse questo religioso moriva in un tentativo di fuga, anche perchè alle
quattro del mattino che poteva fare un detenuto fuori del castello?
[Diversamente, secondo un elenco dell’ora cosiddetta “italica” di quel tempo, le
ore quattro del mattino corrisposero alle ore 22,45 di notte – n.d.r. S.A.]. Ma
questa rimane soltanto un’ipotesi dal momento in cui nell’atto non veniva citata
la causa della morte. Abbiamo verificato l’esistenza nelle carceri delle Egadi del
Tucci e del Guglielmi come accertato in un volume che riporta un folto elenco
dei detenuti di Favignana e del Castello di Trapani relativo al periodo 1801-
1807. Alla carta numero 177 64 compare per la prima volta il nome del sacerdote
Vincenzo Guglielmi di Andretta, a fianco è riportata la data d’ingresso nelle
carceri di Favignana: il 6 gennaio 1803, (ma è ignorata la data della condanna);
l’elenco riporta il termine della pena di fino alla morte cioè a vita. 65 Nella
precedente carta numero 163, risulta che Vincenzo Guglielmi era ricoverato
all’ospedale San Sebastiano di Trapani insieme ai detenuti: Giovanni Marzillo,
sacerdote Don Giuseppe de’Renuj, Giovan Battista Gentile, Don Salvatore
Caresi e Vincenzo Grammatico. In tale circostanza il sacerdote di Andretta
riceveva arretrati di sussidio pari a 36 grana. 66 In giugno del 1805, con molta
probabilità, il sacerdote Vincenzo Guglielmi conosceva ed incontrava
Guglielmo Pepe. I due, infatti, in tale periodo, risultano ricoverati entrambi
all’ospedale militare di Trapani, dove il Guglielmi riceveva il sussidio di 30
grana, mentre al generale si pagavano i corrisposti di due diversi pagamenti:
uno di 6 onze, 16 tarì e 10 grana e l’altro di 13 once e 8 grana, per una somma
complessiva di 19 onze, 16 tarì e 18 grana. Si trattava, verosimilmente, di sussidi
arretrati che il Pepe, trovandosi a Marettimo, non aveva potuto direttamente
incassare. Nella stessa carta, risulta ricoverato anche il detenuto Samuele
Quinci, proveniente dal castello di Punta Troia, il quale riceveva, così come il
Pepe, somma più cospicua di 24 onze e 7 grana. Nel luglio 1805, sullo stesso
registro figura, oltre al Pepe, Guglielmi e Rodinò anche Don Ferdinando Aprile
di Caltagirone che si trovava col Generale e Rodinò nella fossa del Marettimo.
Anche il luogotenente Aprile quindi lasciava, in tale periodo, quell’orribile
prigione per una più confortevole in Favignana. Da questa carta veniamo a
conoscenza che Ferdinando Aprile, dopo cinque giorni raggiungeva Rodinò e
Pepe nell’isola di Favignana, ma non nel castello di Santa Caterina. La data di
condanna riportata per Ferdinando Aprile è quella del 23 ottobre 1798, mentre
quella d’ingresso nelle carceri di Favignana è del 6 ottobre 1803. Per il
luogotenente di Caltagirone, dunque, dopo cinque anni trascorsi all’interno
della fossa di Marettimo, arrivava il trasferimento nell’isola di Favignana dove
non si ricongiunse più con i due ex compagni di fossa, Pepe e Rodinò, che in
tale periodo si trovavano rinchiusi a Trapani nella fortezza della Colombaia,
pur rimanendo in carico in quello di Favignana.
Nella lista della rivista dei detenuti di Favignana del 8 agosto 1805
figuravano Vincenzo Guglielmi e Ferdinando Aprile con Rodinò e Pepe,
quest’ultimi presenti con la nota che si trovano a Trapani. Nelle riviste
successive la situazione, di questi detenuti, non cambiava, almeno fino al 1°
maggio 1806, quando cioè Pepe e Rodino risultavano ancora in Trapani e
Ferdinando Aprile a Favignana, e non si riportava più in elenco il sacerdote
Vincenzo Guglielmi di Andretta. Nelle riviste successive non comparivano più
neanche i nomi di Pepe, Rodinò ed Aprile. Pertanto mentre il Pepe e Rodinò
venivano messi in libertà, verosimilmente, il sacerdote Vincenzo Guglielmi
veniva trasferito nell’isola di Marettimo, e nel contempo il tenente Ferdinando
Aprile lasciava definitivamente le Egadi per qualche altro carcere del Regno. Il
delitto, consumato nella fossa del Marettimo, di cui parla lo Zinnanti, si è
verificato dopo il 1 maggio 1806 e comunque al tempo in cui non era stato
ancora istituito lo Stato Civile, per cui, anche se nella imprecisione dei fatti,
dobbiamo dar credito al sacerdote Zinnanti che, per primo, del fatto ne
conservava memoria. Diversi erano i trattamenti tra i detenuti. Chi, in sostanza,
disgraziato era tale rimaneva anche nelle carceri. Tutti i detenuti dei castelli
delle isole venivano classificati in: presidiari, forzati, dispacciati e in relegati
detti anche desterrados. I primi erano coloro i quali avevano subito una
condanna, i secondi quelli condannati ai lavori forzati. I dispacciati erano in
genere i detenuti di opinione o coloro i quali venivano inviati nell’isola, senza
alcun processo, ma per sola volontà del re. I relegati erano coloro i quali si
aggiravano per l’isola, e che la sera rientravano all’interno del forte. I forzati
non godevano di alcun trattamento economico, avevano soltanto la cosiddetta
razione di remo che consisteva, in unica razione di 36 once di pane di peso alla
sottile, 6 once di fave, 8 once di legna ed un decimo di oncia di olio. Inoltre
ricevevano, oltre al vestiario, un supplemento di viveri (doppia razione) detto
del Caldajo durante le festività di Pasqua, Natale ed Epifania. Ai rimanenti era
somministrato giornalmente, oltre al pane, un sussidio, che in genere consisteva
nel pagamento giornaliero di tarì 1, se il relegato o carcerato era povero e di
civile condizione. Se invece era povero, ma di bassi natali, spettava soltanto 10
grana, che poi con dispaccio del 17 settembre 1800 il re aumentava di un
ulteriore 10 grana al giorno. Ai primi era corrisposto un sussidio di tarì 1 e
grana 10 al giorno, mentre ai secondi era accordato un aumento di grana cinque
portando il sussidio giornaliero a grana 15. Numerosi erano le suppliche inviate
al Luogotenente Generale di Sicilia dai detenuti o relegati che, per ricevere
l’aumento dovevano dimostrare, oltre la loro povertà, di avere avuto i loro
natali di civile condizione. 67 A tal scopo si rivolgevano, tramite, atto notorio, al
Regio cappellano del forte, il quale oltre a curare la vigna del Signore,
all’interno delle carceri, in defecto pubblici notai svolgeva compiti di notaio. Le
somme ai detenuti di Favignana e Pantelleria erano dispensate giornalmente
per il tramite del capo dei presidiari (capo custode), il quale effettuava in loco i
prelievi dalle rispettive Prosecrezie. Per l’isola di Marettimo, che non era sede
di Prosecrezia, il detenuto era costretto per il tramite del regio cappellano a
nominare procuratore persona di sua fiducia (in genere erano sacerdoti o
l’appaltatore dei viveri) che risiedeva a Trapani o teneva relazioni in detta città,
i quali potevano per loro conto riscuotere il sussidio presso l’officina secreziale.
Da un conteggio redatto dall’appaltatore dei viveri dell’isola di Marettimo si
riporta elencazione della distribuzione relativa a sussidi che si erogavano ai
detenuti del ramo politico nel castello di Punta Troia nel 1825. In merito si
corrispondevano 2 tarì al giorno ad ogni detenuto, mentre a quelli ammogliati e
con figli spettava un ulteriore aumento consistente di 1 tarì per la moglie e di
10 grana al giorno in più per ogni figlio a carico. Il foglio è intestato: Articolo.
Relegati Napolitani per motivi di Opinione. Elenco dei pagamenti fatti nell’anno 1825
agli infrascritti Relegati. Nell’ordine si trovano Don Carmine Curzio 68 con
moglie e tre figli al quale si corrispondevano nel mese di gennaio 4 onze, 19 tarì
e 10 grana, in febbraio 4 onze e 6 tarì, a marzo 4 onze 19 tarì e 10 grana, ad
Aprile 4 onze e 15 tarì, a maggio 4 onze 19 tarì e 10 grana, a giugno 4 onze e 15
tarì, a luglio 4 onze, 19 tarì e 10 grana, e ad agosto 4 onze, 19 tarì e 10 grana. Dal
primo gennaio al 30 novembre riscuoteva complessivamente 36 onze 13 tarì e 10
grana. Don Gennaro Petraglione percepiva nel mese di gennaio 2 onze e 2 tarì, a
febbraio 1 onza e 26 tarì, a marzo 2 onze e 2 tarì, in aprile 2 onze, a maggio 2
onze e 2 tarì, a giugno 2 onze, a luglio e agosto 4 onze e 4 tarì; in totale di 16
onze e 6 tarì. Don Ferdinando Giannone 69 con moglie ed un figlio incassava nel
mese di gennaio 4 onze e 4 tarì, a febbraio 3 onze e 22 tarì, a marzo 4 onze e 4
tarì, ad aprile 4 onze, a maggio 4 onze e 4 tarì, a giugno 4 onze, a luglio ed
agosto 8 onze e 8 tarì, per importo complessivo di 32 onze e 12 tarì. Don Nicola
Antonio Angeletti, otteneva in gennaio 2 onze e 2 tarì, in febbraio 1 onza e 26
tarì, in marzo 2 onze e 2 tarì, in aprile 2 onze, in maggio 2 onze e tarì 2, per
ammontare di 10 onze e 2 tarì. Don Antonio Leipnecher 70 a gennaio riceveva 2
onze e 2 tarì, a febbraio 1 onza e 26 tarì, in complessivo 3 onze e 28 tarì. Il
sacerdote Don Pasquale Barbieri e il sacerdote Don Domenico Santucci,
percepivano in gennaio 2 onze e 2 tarì, in febbraio 1 onza e 26 tarì, in marzo 2
onze e 2 tarì, in aprile 2 onze, in maggio 2 onze e 2 tarì, in giugno 2 onze, in
luglio e agosto 4 onze e 4 tarì, dal giorno uno al due settembre 4 tarì, per il
periodo, rispettivamente 16 onze e 10 tarì, ciascuno. Sacerdote Don Pietro
Gesualdi 71 otteneva per il mese di gennaio il sussidio di 2 onze e 2 tarì, per
quello di febbraio 1 onza e 26 tarì, in totale 3 onze e 28 tarì. Fra Guglielmo da
Mercogliano 72 incamerava in gennaio 2 onze e 2 tarì, in febbraio 1 onza e 26
tarì, in marzo 2 onze e 2 tarì, per somma complessiva di 6 onze. Vincenzo
Giannini a gennaio riceveva 2 onze e 2 tarì, a febbraio 1 onza e 26 tarì, a marzo 2
onze e 2 tarì, ad aprile 2 onze, a maggio 2 onze e 2 tarì, a giugno 2 onze, a luglio
e agosto 4 onze e 4 tarì, in complessivo 16 onze e 6 tarì. Paolo Giannini
conseguiva in gennaio 2 onze e 2 tarì, in febbraio 1 onza e 26 tarì, in marzo 2
onze e 2 tarì, in aprile 2 onze, in totale di 8 onze. Francesco Sgambati con moglie
e tre figli, incassava a gennaio 4 onze 23 tarì e 10 grana, a febbraio 4 onze e 6
tarì, a marzo 4 onze 19 tarì e 10 grana, ad aprile, maggio, giugno, luglio, agosto
non riceveva dal partitario di Marettimo nessun sussidio. Detta sussistenza gli
veniva erogata a partire dal 10 al 30 settembre, con 3 onze. In ottobre percepiva
4 onze 19 tarì e 10 grana, in novembre 4 onze e 15 tarì. Per tutto il periodo
riscuoteva 25 onze, 23 tarì e 10 grana. Don Adamo Raffaterra ad aprile riceveva
il sussidio di 6 onze e 20 tarì, a maggio 3 onze e 10 tarì. Dal giorno uno al venti
ottobre il partitario non gli ricompensava alcun sussidio.
Gli erogavano a partire dal 21 fino al 31 ottobre 1 onza 3 tarì e 6 grana, a
novembre 3 onze e 10 grana, complessivamente percepiva 14 onze, 13 tarì e 6
grana. Don Giuseppe Cervone, nel mese di luglio e agosto riceveva 4 onze e 4
tarì, in settembre 2 onze, in ottobre 2 onze e 2 tarì, in novembre 2 onze, in
complessivo di 10 onze e 6 tarì. Don Raffaele Censi otteneva sussidio dal giorno
10 fino al 30 settembre. Il totale riportato dal partitario era sempre di 1 onza e 10
tarì. 73 Ogni tre anni il detenuto aveva diritto a ricevere il vestiario a proprie
spese. L’amministrazione carceraria applicava la trattenuta del 10% sul sussidio
giornaliero di ogni detenuto per il prezzo del vestiario, di 36 once di pane di
peso alla sottile, 6 once di fave, 8 once di legna ed un decimo di oncia di olio. A
Marettimo, a differenza di Pantelleria e Favignana, all’interno del forte
funzionava una dispensa ad uso dei militari addetti al presidio dove vi
potevano accedere, per acquisti, anche i relegati e i detenuti. La dispensa
rimaneva aperta dal primo spuntar del sole fino al mezzo giorno senza
interruzione alcuna. Il comandante del forte obbligava ad alcuni detenuti o
relegati di trasportare i viveri del partitario fino al castello, anzi che debba
obbligare con le rispettive scorte militari alternativamente a quattro esiliati di più minor
tempo al trasporto delli detti viveri per essere di regia pertinenza. 74 I viveri per la
dispensa che si acquistavano trimestralmente a Marsala si trasportavano con la
regia felucca che collegava l’isola con la terra ferma. L’acquisto concerneva:
biscotto per cantara 4.49, vino in botti 4, maccaroni per cantara 3.3, fecola in
cantara 1, fave cantara 4, formaggio per cantara 1.53, oglio cafisi 14, per totale di
once 115. grana 11 tarì 13, riferita alla data del 30 settembre 1816. Il 19
Novembre la provvista constava: biscotto in cantara 5.47, vino nuovo 6 botti,
vino vecchio 1 botte, maccaroni per cantara 3.47, pasta fina rotoli 53, formaggio
per cantara 2, fave 6 salme, Olio 18 cafisi, in totale once 256, tarì 23 e grana 19. 75
Scarsa era l’attenzione del personale residente nei castelli da parte
dell’amministrazione. Numerose erano, infatti, le proteste inoltrate per via
gerarchica al comandante della Valle dagli ufficiali addetti al comando dei
presidi dei forti. Proteste piovevano per i cibi che spesso giungevano deteriorati
e spesso maggiorati nei prezzi. Ricorsi per la mancanza di acqua. 76 Reclami
persino da parte dei comandanti impossibilitati a eseguire il loro dovere nella
attuazione delle pene per mancanza dei ferri. 77 Se per i detenuti la vita in quelle
fortezze era assai penosa per i militari era difficile. In pratica le condizioni di
vita rispetto al periodo Spagnolo di questi luoghi non erano cambiate poi di
tanto. Aalizziamo alcuni aspetti dell’organizzazione. A Punta Troia in
Marettimo, si destinavano i detenuti politici ritenuti dai Borboni più pericolosi.
Le carceri, che erano nella parte interrata del castello, constavano di cinque
cameroni, oltre la fossa. Sopra la piattaforma che era stata edificata con i tufi di
Favignana, vi erano le stanze degli ufficiali, del cappellano e del corpo di
guardia. Nicola Antonio Angeletti 78 che dal 12 settembre 1822 fino al 1
novembre 1825 era rinchiuso nella fossa di quest’isola disegnava con estrema
precisione la pianta del forte riportando l’esatta ubicazione delle carceri , ivi
compresa la famigerata fossa. 79 Ai militari di presidio, così come agli ufficiali,
era concesso all’interno del castello abitare con le rispettive famiglie.80 Il
Governo borbonico, così come aveva fatto la corona di Spagna, mantenne in
servizio nel forte una regia levatrice per le necessità delle partorienti. 81
Era anche al servizio del castello il regio barbiere i cui compiti erano
anche quelli di praticare piccoli interventi chirurgici. Per le patologie ritenute
gravi, il paziente, sia che fosse militare o detenuto, veniva ricoverato
all’ospedale militare San Sebastiano di Trapani. Ma la degenza ospedaliera non
alleviava le pene del detenuto. Il paziente, infatti, anche nel luogo di cura
rimaneva incatenato e vincolato al puntale. Al regio barbiere inoltre era
demandata la funzione di medico legale. Egli costatava i decessi e ne redigeva il
relativo attestato di morte, la cui causa corrispondeva sempre a quella di morte
repentina. All’interno del castello, la vigna del Signore, era curata da un regio
cappellano regolarmente retribuito dall’Erario. Egli veniva coadiuvato
nell’ufficio da un cappellano. Il presidio militare e la custodia dei detenuti era
affidato ad un organico che oscillava da venti a trenta unità, al comando era
sempre preposto un ufficiale 82 che era coadiuvato da collega di grado inferiore.
V’erano due artiglieri, e un capo guardia che sovrintendeva a tre guardie
addette alla custodia dei detenuti o relegati, il resto del personale consisteva di
un caporale e una ventina di soldati. Completava la gerarchia tre guardie dette
di campagna il cui compito era quello di perlustrare, a piedi, l’intero territorio
dell’isola. I collegamenti con la terraferma venivano assicurati da una regia
felucca che provvedeva al trasporto dei detenuti, delle armi, munizioni e dei
viveri. L’imbarcazione era affidata ad un equipaggio composto da un capitano e
due marinai. L’approvvigionamento idrico del forte era assicurato dalle cisterne
che raccoglievano per il tramite di un catusato l’acqua piovana durante la
stagione delle piogge. Spesso pero le cisterne non riuscivano a soddisfare il
fabbisogno idrico degli abitanti del castello per mancanze di piogge o per le
continue perdite che si verificavano nelle tre cisterne. 83 Quando questi serbatoi
si svuotavano, il comandante disponeva il trasporto dell’acqua per uso potabile
a mezzo di botti. L’approvvigionamento idrico era effettuato sulla montagna di
Marettimo in contrada Pala, presso una fonte denominata della Mortilla. Per il
trasporto erano adibite due squadre composte in genere da forzati, una detta di
terra, l’altra di mare. La prima aveva il compito di trasportare le botti dalla
fonte fino all’imbarcadero dello Scalo di Mezzo sito alle falde della montagna.
Da qui imbarcate su barca a remi, si trasportavano a spalla d’uomo, all’interno
del forte, e del castello che sorgeva alla sommità della collinetta. Certamente
queste botti erano soggette ad un logorio continuo e spesso si rompevano. In
proposito si originavano delle controversie tra il comandante ed il regio segreto
di Trapani, il quale s’avvedeva a commissionarne sempre di nuove, dato che il
comandante attribuiva la continua rottura al mastro bottaio, incurante nella
costruzione di buona diligenza per l’uso a cui dovevano servire. Il Segreto
impegnatosi nell’inchiesta addebitava il prezzo delle riparazioni delle stesse ai
trasportatori non abbastanza attenti nel trasporto. Il comandante, temendo che
la tassazione a loro applicata potesse, nei successivi trasporti, indurli a motivo
di rifiuto, preferiva accollarsi l’onere delle riparazioni, considerato che il
trasporto non veniva più effettuato dai relegati che andavano scarseggiando per
il continuo sopraggiungere dei detenuti di opinioni, ma dai residenti dell’isola.
84 Molti, per le proprie idee, trascorrevano gli anni della loro giovinezza

all’interno di queste carceri.


Alcuni con l’avvento delle truppe garibaldine riacquistavano la libertà,
altri vi morirono, fra i quali: Antonio Tucci, Vincenzo Guglielmi, Giuseppe
Cervone, Ferdinando Giannone, Carmine Curzio di anni 60, Domenico
Tabernacola di anni 31, Basilio Giugno di anni 31, Pasquale Nicolosi di 23 anni,
Silvestro Milatto di 26 anni, Giuseppe Calcagno di 32 anni, Giuseppe Daitano di
26 anni, Letterio Compagno di 37 anni, Carmelo Vena di 39 anni, Cataldo
Miglianio di 31 anni, Antonio Barberi di 30 anni, Giuseppe Saitta di 24 anni,
Saverio Gullo di 22 anni, Antonio Lo Presti di 24 anni, Alessandro Savarino di
50 anni, Giuseppe Cupra di anni 48, Salvatore Bonanno di 23 anni, Giuseppe
Pusuno, Domenico Casano di 54 anni, Giuseppe Spina di 25 anni, Pietro Desti
Oriales di 40 anni, Andrea Parisi di 31 anni, Giovanni Lo Greco di 23 anni,
Sacerdote Giovanni Montenero di 87 anni, Carmelo Silvestri (galeotto) di 33
anni, Ignazio La Spina di 28 anni, Sebastiano Caprino di 35 anni, Stefano
Cammarata di 96 anni, mesi 4 e giorni 8, Giuseppe Gentile di 33 anni, Sac.
Giuseppe Samperi di anni 56, Francesco Di Stefano di 33 anni, Salvatore La
Barbera di 29 anni, Giovan Battista Capitano di 80 anni, Salvatore Ardizzone di
27 anni, Pietro Centonze di 31 anni. 85 Fra i personaggi più noti del
Risorgimento italiano erano rinchiusi e relegati dai Borboni, a Favignana
Trapani Marettino e Pantelleria: Nicolò Botta, Gregorio Ugdulena, Giovanni
Nicotera, il marchese Corleto Riario, Giuseppe barone di Poerio, il duca Diego
Pignatelli, Giuseppe Abbamonti, il matematico Vincenzo Porta. A Marettimo
soffrivano oltre Guglielmo Peppe, Nicola Antonio Angeletti, il tenente
Ferdinando Aprile, Nicola Ricciardi, l’avvocato Nicolò Tucci, il sacerdote
Vincenzo Guglielmi, l’avvocato Carmine Curzio, Antonio Leipnecher, Nicola
Antonio Tucci. Non solo questi marcivano nei castelli. Lunghe sono le liste dei
nomi dei detenuti sconosciuti i cui nomi e cognomi rimanevano scritti soltanto
su antiche carte d’archivio non essendo incisi in nessun marmo, ma che
contribuivano con il loro sacrificio alla causa del Risorgimento italiano. Si
trattava di quegli uomini oscuri di cui nel 1912 parlava Benedetto Croce:
Confesso che sono sempre vivamente attratto dalle vicende di quegli Italiani che ebbero
parte nei rivolgimenti accaduti tra la fine del secolo XVIII ed i primi decenni del
seguente, e vennero sbalzati da una regione all’altra d’Italia, o da un paese all’altro
d’Europa, e persino del Nuovo Mondo [...]. Le vite di questi uomini seducono altresì la
mia immaginazione con ciò che hanno di drammatico e sovente di romanzesco, e talvolta
(a causa delle strane mutazioni politiche cui andarono soggetti) di ironico.86
Anche la nostra immaginazione, sedotta nel corso della ricerca, inizialmente
mirata su una storia intorno ad una di queste isole, Marettimo, inciampò, per
così dire, su quegli interminabili elenchi di nomi di detenuti comuni e politici,
passati in rivista nelle carceri delle isole, scritti su uno sciupato registro del
fondo Secrezia, conservato nell’Archivio di Stato di Trapani. 87 Si tratta di un
libro che riporta a partire dal 1801 fino al 1808 i nomi dei detenuti nei castelli di
Trapani e Favignana rivisitati mensilmente in rassegna. In questi elenchi sono
anche riportati i nomi di quei detenuti che, al momento della rivista, erano
ricoverati all’ospedale militare San Sebastiano di Trapani. Il documento,
rappresenta una sorta di libro paga, sul quale, il maestro di Secrezia annotava i
pagamenti dei sussidi giornalieri spettanti ai detenuti.
Altri registri e in particolare quelli che si conservavano nei castelli, dove i
comandanti militari annotavano il carico e lo scarico dei detenuti (detti
filiazioni) di quelle carceri, non siamo riusciti a trovarli.
L’insorgimento del 1860, permise ai rivoltosi d’assaltare i castelli e luoghi
di pene, per liberare i detenuti e con molta probabilità gli archivi esistenti
venivano distrutti. Dal registro menzionato abbiamo tuttavia stralciato alcuni
nomi di condannati a vita delle carceri di Favignana. Molti di questi erano già
in carcere sin dal finire del ‘700 quali: Pasquale Aprile, condannato il 21 giugno
1798. Antonio Arraffa, 8 ottobre 1792, entrava nel carcere di Favignana il 30
novembre 1792. Sacerdote Don Giovanni D’Acquino di Napoli, (manca la data
della condanna) entrava il 23 agosto 1801. Gaetano Puglia di Napoli, 16 maggio
1796 entrava il 17 marzo 1787 per disposizione reale. Don Luigi Guerra di
Napoli, 30 giugno 1795, entrava il 17 agosto 1795. Sacerdote Don Francesco
Mastrolilli di Napoli, segregato per ordine reale il 17 ottobre 1786, entrava il 18
marzo 1787. Don Domenico Laudi di Napoli, 10 gennaio 1795 entrava il 17
agosto 1795. Andrea Majella di Napoli, 28 aprile 1790, ammesso il 12 agosto
1790. Don Antonio Garaffa di Napoli, 6 ottobre 1792 a vita, entrava il 30
novembre 1792. Domenico Calariello di Napoli, 21 giugno 1801, entrava il 12
luglio 1801. Pasquale Salvia di Napoli, 11 marzo 1783, entrava il 3 aprile 1782.
Antonio Spinelli di Napoli, 10 giugno 1796, entrava il 1° luglio 1796, Giulio
Ferraiolo di Nocera, 23 agosto 1792, entrava il 22 ottobre 1790. Don Rosario
Sciaino 88 di S. Angelo, 10 giugno 1797, entrava il 24 ottobre 1798. Nicola Corsini
di Benevento, 12 maggio1779, entrava il 18 luglio1788. Pasquale D’Agostino di
Chiusano, 15 ottobre 1794, entrava il 1° novembre 1794. Leonardo Gaudio di
Napoli, 26 dicembre 1792, entrava il 30 marzo 1793. Angiolo Valentino di
Monteforte, 1 ottobre 1792, entrava il 28 novembre 1792. Gioacchino Ardizzone
di Palermo, 18 settembre 1801, entrava il 22 ottobre 1801. Don Carlo Giordano
di Trapani, 7 dicembre 1799, entrava il 5 gennaio 1790. Don Alessandro
Pignalver di Reggio Calabria, 8 luglio 1802, entrava il 28 agosto1803. Don
Vincenzo Medina di Napoli, 8 luglio1803, entrava il 28 agosto 1803. Don Nicola
Ricciardi di Foggia, condannato a 27 luglio 1803, entrava a 7 settembre 1803,
condannato di Real ordine. Sacerdote Don Francesco Tedesco di S. Giovanni in
provincia di Catanzaro, condannato a 27 maggio 1804 per real disposizione,
entrava a 26 luglio 1804. Francesco D’Ambrosio di Palazzo in Matera
condannato dalla Vicaria 2 agosto 1805, entrava a 10 ottobre 1805. Giuseppe
Rocao Caputo di Fiorenza in Matera condannato 2 agosto 1805, entrava a 10
ottobre 1805. Francesco D’Adria di Matera condannato dalla Vicaria a 2 agosto
1805, entrava 10 novembre 1805. Giuseppe De Laurentis di […] in Cosenza
condannato dalla Vicaria a 22 luglio 1805, entrava a 20 novembre 1805.
Vincenzo Guglielmi di Montefusco condannato a 26 ottobre 1802, entrava a
maggio 1803. 89 Giulio Ferraiolo di Nocera condannato dalla Giunta di Guerra a
22 ottobre 1790, entrava il 22 ottobre 1790. Carlo D’Amore di Foggia
condannato dalla Gran Corte Criminale a 4 aprile 1791, entrava a marzo 1795.
Salvatore Bruno di Chieti condannato a 4 agosto 1795, entrava a 23 febbraio
1796. Gaetano Puglia di Napoli condannato a 16 maggio 1786, entrava il 17
marzo 1787.
Duca Don Carlo De Maio di Napoli condannato a 3 luglio 1798, entrava
l’11 agosto 1798. Don Domenico Laudi di Napoli condannato dalla Suprema
Giunta a 30 giugno 1795, entrava a 17 agosto 1795. Don Stefano Botta di
Corleone condannato a 22 ottobre 1792, entrava a 4 aprile 1792. Pasquale
Castelli di Napoli, condannato a 8 ottobre 1792, entrava a 21 giugno 1798.
Antonio Spinelli di Napoli, condannato a 10 marzo 1796. Don Gaetano Botta di
Corleone, condannato a 22 ottobre 1792, entrava a 4 aprile 1802. Pasquale
D’Agostino di Chiusano condannato a 15 ottobre 1794, entrava il 2 novembre
1794. 90 E poi, tanti, ma tanti fogli sparsi fra le numerose buste della Secrezia e
dell’Intendenza presso l’Archivio di Stato di Trapani di cui ne pubblichiamo
alcuni. Il resto e fino al 1848, ivi compreso il periodo della relegazione nelle
isole di Favignana e Pantelleria fino alle soglie dell’Unità d’Italia, andranno a
far parte di un lavoro più organico intorno alle carceri delle isole della provincia
di Trapani.

GINO LIPARI
NOTE
1 Sciabecco, imbarcazione a remi. Così chiamata dal tipo di attrezzatura da pesca usata detta
sciabbica dall’arabo sabaka (rete). Feluca, imbarcazione bassa e veloce con due alberi a vela latina.
Archivio di Stato Trapani, d’ora in poi ASTPp. (ASTP Fondo Secrezia busta nr. 271 lettere
originali 1802-1805, lettera del Principe di Cutò diretta al Tribunale del Real Patrimonio ed al
Secreto di Trapani: Essendo qui arrivato da Napoli su di un sciabecco Palermitano il padre Vincenzo
Latronico dell’Ordine dei Minimi qual reo di gravi delitti condannato al fosso del Marettimo, ne prevengo
V.S. per corrispondergli gli alimenti a tenore dei sovrani stabilimenti. E nostro Signore la feliciti. Palazzo
li 19 ottobre 1803. Il Principe di Cutò).
2 Il Castello a mare, detto anche il Castellammare. Antica fortezza situata nel porto di Palermo.
Costruzione dovuta ad architetti arabi. Nel secolo XV venne accresciuta con un robusto corpo
di fabbrica. Era disposta sul lato sinistro della Cala, e guardando da terra, ora nello spazio
portuale a Sud-Est dell’attuale Via Cavour a Palermo.
3 Giuseppe Ricciardi, “Martirologio italiano dal 1792 al 1847, Firenze, Le Monnier 1860”. E
intanto i condannati a morte, stivati nei sotterranei delle castelle, si stavano, ad onta di quella terribile
aspettazione, non che tranquilli, sereni; poi una notte veniva lor rotto il sonno improvvisamente, ed eran
chiamati per nome, il che voleva dire che il boia mandava per esso loro.
4 La Sicilia è costellata da numerose piccole isole che, oltre ad Ustica e Pantelleria, formano tre
arcipelaghi: le Eolie (Messina) comprendono le isole: Lipari, Salina, Vulcano, Stromboli,
Panarea, Filicudi, Alicudi. Le Pelagie (Agrigento) comprendono le isole Lampedusa e Linosa. Le
Egadi (Trapani) comprendono le isole di Favignana, Levanzo, Marettimo e Formica. Poi vi sono
anche le isole dello Stagnone (Marsala Tp) che sono: Isola Grande o Lunga, Isola Santa Maria e
isola San Pantaleo, l’antica Mothia dei Cartaginesi.
5 Gaetano Nicastro, “La Sicilia occidentale nelle relazioni ad limina dei Vescovi della Chiesa
Mazarese, Istituto per la storia della Chiesa mazarese, Mazara del Vallo 1988”. Con queste
relazioni il vescovo informava il Vaticano sullo stato e sulla composizione della Diocesi. Dai
documenti è possibile rilevare la consistenza delle anime residenti nelle piccole isole dal 1590
fino al 1791. In Maretimi, a Favoniana parum distants, habet Animos sexsaginta, quarum triginta
communicant. In ea residet Cappellanus pro Sacramentorum ministerio, cui congrua merces ab eodem
Regio Patrimonio assignatur.
6 Numerosi erano in passato gli episodi dell’attività piratesca esercitata attorno alle isole Egadi
e che spesso compromettevano i rapporti diplomatici con le altre Nazioni. Non si contano gli
interventi diplomatici del Vice Ammiraglio di Trapani presso i pirati per la restituzione del
bottino. Nel 1283 Manuele Curlaspitum di Savona e Bonummeliorem di Arenzano, col pretesto
di guerreggiare contro i Pisani, predavano un’imbarcazione con tutto il suo carico e la
nascondevano fra le insenature delle Egadi. Il Re Pietro scriveva al Comune di Genova
chiedendo motivazione per la restituzione della nave con tutto il carico da parte dei due pirati.
Francesco Spinola svolgeva nelle Egadi un’intensa attività piratesca. Nel 1419 assaltava e
saccheggiava una nave catalana. Successivamente predava un’altra nave, ma era costretto a
restituire l’intero carico dietro l’intervento del Fardella vice ammiraglio di Trapani, poiché di
proprietà del Centurione Zaccaria II, principe di Ladislao e di Acaia. Nel 1443 il visconte di
Salluri, Antonio de Senis, predava una nave genovese di Afinara , con restituzione del carico
dietro pressione e intervento di due commissari inviati dal vicerè. Ed ancora nel 1445 al traverso
dell’isola del Marettimo, un gruppo di pirati biscaglini bloccavano e predavano una nave
veneta in rotta per Tunisi. Lo svolgimento di una qualsiasi attività economica nelle piccole isole
era impresa impossibile e rappresentava un grosso rischio. Per tale ragione venivano, con gran
sollievo della Regia Corte, spesso vendute o affidate ai baroni in cambio di servigi resi alla
Corona. Episodi di pirateria si registravano fino al primo ventennio dell’ 800.
7 Trasselli Carmelo, “Il popolamento dell’isola di Ustica nel secolo XVIII. Caltanissetta-Roma.
S. Sciascia Editore 1966”.
9 Romualdo Giuffrida, “I Pallavicino e le Isole Egadi”, in “La Fardelliana - Trapani, Anno I nr .1
Gennaio - Aprile 1982”. Nel XVII secolo alcuni dei mercanti genovesi, che operavano attorno
alle isole Egadi iniziavano la scalata per l’acquisto delle Isole. Il 1 settembre 1633 Gregorio
Brignone di Genova concedeva un prestito di scudi 13.333.44 alla Regia Corte. Il 26 novembre
1633 Giacomo Brignone prestava alla Corte la somma di 5.600 onze. Il 7 giugno 1634 acquistava
per 6.400 onze, pro persona nominanda, la Secrezia di Sciacca (Ag). Il 19 settembre 1634 prestava
alla Regia Corte 9.000 scudi. Mentre il 5 settembre 1634, rappresentato da Ottavio del Bono, per
7.000 onze annue prendeva a gabella le isole Egadi con le relative tonnare. Giacomo Brignone
concludeva poi l’affare per recuperare dalla tesoreria siciliana le consistenti somme di cui era
creditore per la fornitura d’alcune partite di armi. La continua necessità di sacar dinero da parte
del governo di Madrid, che pressava nei confronti del vicerè di Sicilia di mettere in vendita al
miglior offerente le isole Egadi, induceva il vicerè a vendere le Egadi. Così il 16 dicembre 1637 il
genovese Camillo Pallavicino acquistava per 75.000 onze, a titolo allodiale, le isole Egadi ed i
diritti sulla pesca del mare circostante. Il Pallavicino determinava tale affare di recupero dalla
Regia Corte, di certi crediti vantati, ed anche per trasformare quella grossa operazione
finanziaria in un vero e proprio investimento. Infatti il genovese otteneva dalla Regia Corte il
permesso che le Egadi venissero popolate e messe a coltura. Con apposito rogito Camillo
Pallavicino otteneva la concessione di poter dare a enfiteusi terreni delle Egadi e che per tale
enfiteusi si abbia a pagare a ragione di tarì uno per salma o meno, con intervento et licenza del Tribunale
del Real Patrimonio per far case et per fare vigna seu giardini a ragione di unza una la salmata da
cordiarsi con corda che solino cordiarsi le terri che si donano a seminare. Se per Favignana,
coll’avvento dei Pallavicini, iniziava l’era della ricostruzione e del rilancio economico altrettanto
non può dirsi di Marettimo che rimaneva deserta.
10 L’isola di Marettimo, l’antica Hiera sacra dei Greci. Geograficamente è posizionata a 37° 58 di
latitudine Nord ed a 12° 4 di longitudine Est. È la più distante dalla costa trapanese e la più
montagnosa delle isole Egadi, raggiunge i 686 metri di altezza con Pizzo Falcone, ha una
superficie complessiva di 12 km2 ed uno sviluppo costiero di 19 km. Dista da Trapani 21 miglia
e 70 da Capo Bon (Tunisia). L’isola è merlettata da numerose grotte marine ed è ricca d’acqua
potabile per i diversi fenomeni carsici che si verificano nelle cavità della roccia. Il paese si
estende sull’unico lembo di terra pianeggiante con due porticcioli utilizzati dai pescatori locali a
seconda dello spirare dei venti. È certamente una fra le più belle isole d’Italia, ricca di una
straordinaria natura. La flora dell’isola comprende circa 600 specie, di cui molte endemiche e
rare o presenti solamente nelle Egadi. In montagna vivono ancora, oltre i conigli, alcune
famiglie di mufloni, cinghiali e gatti selvatici. Il fondale intorno all’isola è prevalentemente
roccioso, le cui formazioni ricoperte da popolamenti sciafili o fotofili si alternano a praterie di
Posidonia su fondi marini misti sabbia-roccia che in alcuni tratti, grazie alla trasparenza delle
acque, superano la profondità di 40 metri. Tutti i fondali ospitano una ricca fauna, con
particolare abbondanza di pesci che ha determinato la vocazione degli abitanti di quest’isola. Fra
i monumenti più significativi l’isola annovera il Castello di Punta Troia, un edificio ad opus
reticulatum del periodo romano ed una piccolissima chiesa bizantina ubicati in località Case
romane ed il faro di Punta libeccio.
11 Gin Racheli, “Le isole minori della Sicilia, Giuseppe Maimone Editore, 1989”.
12 Luigi Settembrini, “Ricordanze della mia vita, Edizione Feltrinelli, Roma-Milano 1961”.
13 Michel Foucault, “Sorvegliare e punire, Nascita della prigione, Giulio Einaudi Editore,
Torino 1976”.
14 Il dispositivo Panoptico di Bentham predispone unità spaziali che permettono di vedere i
detenuti senza interruzione e di riconoscerli immediatamente. Con tale dispositivo veniva
rovesciato in pratica il principio della segreta di ascetica memoria dove il detenuto veniva
rinchiuso al buio e completamente isolato.
15 Il modello di Auburn prescriveva la cella individuale durante la notte, il lavoro ed i pasti in
comune, ma con la regola del silenzio assoluto.
16 Nel modello Filadelfia. La disciplina veniva ottenuta attraverso un particolare trattamento
psicologico e fisico del detenuto. Rinchiuso nella cella, per alcuni giorni, abbandonato a se
stesso, sprofonda in un’assoluta solitudine finché non chiedeva di lavorare o di avere dei libri.
Lavoro e libri si concedevano come favore, ma in caso di indisciplina venivano immediatamente
proibiti. Il detenuto godeva di un alloggio sano, era nutrito adeguatamente, ed assistito ma era
terribilmente infelice; di un’infelicità provocata da un castigo intellettuale che diffondeva nella
sua anima un terrore più profondo che non le catene e le percosse.
17 “Codice per lo Regno Delle Due Sicilie, dalla Real Tipografia del Ministero di Stato della
cancelleria Generale, Napoli 1819”.
18 “Statuto penale militare per lo Regno delle Due Sicilie, dalla Real Tipografia del Ministero di
Stato della cancelleria Generale, Napoli 1819”.
20 Pantelleria, isola di origine vulcanica situata alla latitudine Nord di 36° 44’00 e a 12° di
longitudine Est. Dista dall’Africa 74 km. È la più grande fra le piccole isole Siciliane. Ha una
superficie di 83 km2 L’altezza massima è costituita da Montagna Grande a quota 836 sul livello
del mare. Lampedusa, geograficamente è posizionata a 35° 30’ di latitudine Nord ed a 12° 30’00’
ha una superficie in km2 di 20,2.
21 Francesco Renda, “L’Inquisizione in Sicilia, Sellerio Editore, Palermo 1997”. L’autore a pag.
155 cita Di Blasi, “Storia cronologica dei vicerè” e La Mantia, “Origine e vicende
dell’Inquisizione in Sicilia”, riporta il documento Compendio de la causa de crimine laese majestatis
in primo capite cum conspiratione et convocatione populorum ad debellandum hanc urbem Panormi et
totum Regnum, ut in Republica converteretur... [...] La congiura fu poi scoperta perchè la moglie del
pittore Madione, previo impegno giurato che il marito sarebbe stato risparmiato, e che a lei sarebbe stata
assicurata una pensione di 20 scudi al mese per il mantenimento suo e dei nove suoi figli, rivelò tutto alle
autorità. Arrestati e rinchiusi nelle carceri segrete del Santo ufficio, e sottoposti a stringente tortura, i
congiurati confessarono il loro proposito, e Romano, Ferrara e Insirillo, come principali rei furono
condannati a morte, mentre gli altri complici, compreso il pittore Madione, furono segregati a vita
nell’isola di Pantelleria e in quella di Marettimo.
22 Giovan Francesco Pugnatore, “Historia di Trapani, prima edizione dall’autografo del secolo
XVI a cura di S. Costanza, Corrao Editore, Trapani 1984”. […] Si penzò eziando il vicere Pescara di
voler per ogni possibile via divertir in prima dall’isole Favignane i corsari, i quali quasi ogni giorno
intendeva aver, ora con pochi, et ora con molti, vasselli fatto a loro d’intorno qualche preda di legni
cristiani; e dapoi di ridurle a coltura, et a dar di sè frutto, sì come già un tempo facevano. Et inteso da
uomini esperti il modo di far l’una e l’altra di queste due cose, et avisato insieme dell’utile che ritrar si
poteva dalla pescagione del corallo e del tonno che farvi si averia potuto, fe’ primiermente compra di loro
dal barone che in feudo le aveva, per prezzo di quattromila scudi, con obligo di pagarnele il censo infin a
tanto che l’intiero prezzo dato gli avesse. E dopo che il Pescara ebbe compre l’isole Favignane mandò a
fabricar rocche e torri appresso a quei lochi vicine, ove fossero più opportune, per discoprir i corsari da
lunghe, et anco per caccianeli quindi, quando in tempo di fortuna, o di altro, vi si avesser voluto fermare
in modo che nè pescagione di tunno, nè di corallo, far vi si avesse potuto. E queste rocche furono nella
Favignana una a Tramontana, chiamata Santo Leonardo, a rimpetto alla quale si fa ora la tonnara,
un’altra pur a mezzogiorno di essa, dove si tiene l’ordinaria provisione del vitto di tutta la gente che quivi
è deputata, così alle guardie, come agli altri servigi delle cose che ogn’or si fanno. E queste due sono,
ambe, volte inverso levante; e la terza, che è la più grande, e Santa Caterina si chiama, fu locata in su’l
più alto colle dell’isola, onde ogn’intorno il mare da lontano si scopre. Fe’anco edificar a Marettimo
un’altra fortissima rocca, vicina alla cala di Santo Simone, tanto per difender quindi con artegliarie, e
l’acqua, e la stazione di vasselli, che sola quivi in quell’isola i corsari avere potevano, quanto per
assicurarvi la pescagione del corallo, la qual già vi si aveva di far dissegnato, sì come già vi era stata fatta
nel tempo assai innanzi passato. Chè, quantunque il corallo di questo loco non fosse pari di bontà a quello
che si pesca attorno a Bonagia, il qual è quello di cui Plinio parla dicendo che il corallo di Trapani è
lodatissimo, pure il vicerè dissegnava di mandarlo, così rozzo et inculto come dal mare si trae, in
Alessandria et in Lisbona, dove da’ mercanti a gran prezzo si compra per le cagioni che contate più
adietro si hanno […] Essendo da poi morto il Pescara, che le dette isole aveva comprato, la Corte Reale,
stimando assai il commodo della sicurezza che la fortificazione dei lochi predetti aveva alla navigazione
de’vasselli partorito, e temendo insieme che per la morte del detto Pescara la custodia loro venisse tosto ad
esser da’suoi eredi negletta, con ritornari naviganti cristiani a ricever indi quei danni di novo che vi
avevano già innanzi sentito, le ricomprò dagli eredi predetti, del modo che il Pescara avute le avea dal suo
barone, con rifargli di più le spese delle fabriche nove; e contanto oltre a ciò, e gli edifizj, e la gente di
guardia, essa Corte le accrebbe che omai il passo, che è fra le dette isole e Trapani, è tanto sicuro che non
n’è forse alcun altro in Sicilia che sia oggi men sospetto di corsari di quello.
23 ASTP, fondo “Arciprete di Favignana, anno 1765”. Nell’isola di Marettimo il rappresentante
della Inquisizione di detto anno era il Sacerdote e cappellano del Forte Melchiorre Alionora - Ex
actis mei D.Melchiorij Alionora Regius Cappellanus et Commissarius SS.ma Inquisitionij Regij Castri
Insula Maretimi ad deficientam. In Sicilia l’Inquisizione operò dal 1487 al 1782.
24 Il barone Giovanni Nicotera nacque a S. Biagio Calabro, giovanissimo combattè i Borboni, nel
1849 fu a Roma col Manara. Emigrò a Torino ove per vivere fece il copista a Stanislao Mancini.
Dopo l’infelice esito dei moti rivoluzionari di Sapri e di Ponza diretti dal Pisacane, nel giugno
1857 il Nicotera prigioniero fu condotto a Salerno, e il 19 luglio 1858 dalla Gran Corte Criminale
di Salerno fu condannato alla pena di morte. Lo stesso giorno sull’imbrunire il prigioniero, con
altri detenuti, fu imbarcato su di un vapore espressamente arrivato, che salpò alle ore 9 di sera.
Giunti a Favignana alcuni dei 66 detenuti coinvolti nel processo furono rinchiusi nel forte di S.
Giacomo, il resto, cioè quelli che parteciparono alla spedizione di Sapri, furono, per ordine
espresso di Ferdinando II, (soprannominato Re Bomba), trasportati al forte di S. Caterina, e
chiusi in una fossa scavata nella roccia, a volta bassa, ove penetrava appena un filo di luce dal
maschio della fortezza, nutriti di solo pane. Il Nicotera fu messo in un buco separato, detto
stanza del somaro, non potè stare disteso se non mettendosi a cavalcioni di un fosso posto nel
mezzo pieno di acqua limacciosa, che traboccò anche sul pavimento. Scorpioni, topi, zanzare a
migliaia e buio profondo. Una lunga panca di pietra servì da giaciglio accanto il luogo
immondo da cui colarono le feci degli altri prigionieri. Ivi stette 5 mesi, e fu ridotto a sì mal
punto che il comandante del forte ed il medico, spaventati per la febbre che lo consumava, per
la tosse ed i frequenti sbocchi di sangue, lo scongiurarono di supplicare il Re per la sua
liberazione, e il comandante lo incitò a scrivere la supplica che intestò di sua mano: alla Sacra
Reale Maestà Ferdinando II Re delle due Sicilie. Scriveva invece, ingiunse Nicotera, alla belva feroce
Ferdinando II, non ancora saturo di tormentare l’umanità. E lacerò la carta. Narra il Nicola Botta, che
col fratello Carlo, cospiratori con Spinuzza stette già da due mesi al bagno penale di S. Giacomo,
che la vita divenne per il Nicotera insoffribile, e che malgrado il suo carattere combattivo, la sua
tenace volontà e la fierezza, aveva persino tentato di uccidersi. Finalmente nel febbraio 1859 un
fulmine ruppe il tetto della cella, l’acqua inondò il buco, la sentinella tirò fuori il prigioniero, e
con gli altri Nicotera fu portato, più che condotto, al forte di S. Giacomo non potendosi reggere
in piedi, tanto i 5 mesi di tortura l’ebbero malconcio. Anche a S. Giacomo gli fu assegnata la
peggiore cella, il nr. 29. Il Direttore nel ‘91 al Mario Jessie Wite, che visitò il Bagno penale e la
cella del Nicotera, disse che quello fu un luogo di delizie in confronto all’altro da cui l’eroe fu
tolto semivivo. Tutto ciò conferma Botta scrivendo: Allora fu sottratto a quella morte lenta e lo
condussero ove io era. Il nr. 29 ebbe un piccolo cancello rispondente in faccia alla buca dove fu
rinchiuso il Botta. Nei momenti di dolore i 18 condannati politici, che furono nell’orrido carcere
di Favignana, non ebbero a conforto che la voce del Nicotera. Finché egli rimase a S. Caterina
non gli fu possibile comunicazione alcuna; a S. Giacomo invece, malgrado che una sentinella
armata stesse di notte alla porta della cella, ebbe modo di corrispondere cogli amici. I mille
partiti dallo scoglio di Quarto su due navigli il Piemonte ed il Lombardo, la prima comandata da
Garibaldi, e la seconda da Nino Bixio, l’11 maggio rasentarono l’isola di Favignana. Lassù sta il
povero Nicotera! esclamò Garibaldi, asciugando una lagrima. Egli quando il 16 maggio comparve
a Palermo essendo uscito per volere di Dio e per opera di Garibaldi, dall’infame ergastolo di
Favignana, dove il Borbone l’aveva condannato a penare finché il becchino non lo liberasse,
giallo come un popone vernino, con gli occhi verdi e la pelle attaccata alle ossa, ebbe a dire: Ero
a pigliar aria, quando cominciarono a vedersi i due vapori. Non avevano bandiera, né potevo immaginare
chi ci fosse a bordo; nonostante, sentii nel cuore un non so che, e una strana allegria mi prese. Poi, quando
poco dopo sentii il cannone, allora immaginai che legni fossero que’due vapori sconosciuti, e pensai subito
a Garibaldi. Il Nicotera svolse la sua azione nell’interesse dell’unità d’Italia. Fu Deputato,
Ministro dell’Interno, combattè virilmente il brigantaggio e la mafia siciliana. Si spense a 66
anni di età nel 13 giugno 1894.
25 Gregorio Ugudlena, nacque a Termini Imerese il 20 aprile 1815 ed ivi cominciò i suoi studi. A
16 anni fu professore provvisorio di matematiche, e 3 anni dopo titolare per concorso nel
medesimo collegio di Termini. A 18 anni vestì l’abito ecclesiastico. Nel 1843 fu professore di
lingua ebraica e di spiegazione della Santa Scrittura nell’Università di Palermo. Sopravvenuta la
rivoluzione del ‘48 fu membro del Comitato Generale e Vicepresidente di quello di Giustizia,
Culto e Sicurezza Pubblica. Fu mandato Deputato alla Camera dei comuni dall’Università di
Palermo. Dal Presidente del Governo di Sicilia Ruggero Settimo fu nominato Cappellano maggiore
del regno il 29 giugno 1848. Spenta la libertà, e ritornati i Borboni a tiranneggiare, rimase in
Sicilia per non abbandonare la madre vecchia e paralitica. Perdette l’ufficio di professore e fu
confinato a Termini prima, nell’isola di Favignana dopo, ivi dimorò due anni compresi i tre
mesi che stette rinchiuso nel castello di S. Caterina. E nella cappella del castello il 1° aprile del
1850 cominciò a scrivere la versione e commenti della Santa Scrittura (opera che non fu
completata). Giunse a Favignana il 12 gennaio 1850 ricevuto aspramente dal Giudice Pasquale
Garufi. Fu ospite per pochi giorni del Sacerdote Alfonso Amico, e da lui e dal fratello Ugo
Amico, che col permesso delle autorità civili e militari si sostituirono ai birri, fu accompagnato
nel forte di S. Giacomo, essendo già troppa tarda l’ora per la ascensione nel terribile castello di
S. Caterina dove pervenne l’ordine di rinchiuderlo. Lasciò il forte il 23 aprile1850 e partì
dall’isola il 14 gennaio 1852. Morì a Roma il 3 giugno 1872 dopo aver coperto importanti cariche
pubbliche, ed essere stato Ministro della Pubblica istruzione sotto la dittatura di Garibaldi nel
1860. 26 Salvatore Struppa, “Favignana memorie, Girgenti ,Tipografia Giornale di Sicilia, 1924”.
Un’altra descrizione del carcere favignanese di S. Caterina apparve sul giornale la Nazione di
Firenze l’8 dicembre 1876 a firma dell’allora direttore della Biblioteca Fardelliana di Trapani
Giuseppe Polizzi: Poichè del carcere del forte di S. Caterina s’è in questi giorni molto parlato e scritto a
proposito del processo Nicotera contro la Gazzetta d’Italia, non sarà di caro ai nostri lettori averne alcune
notizie precise. Chi ce la somministra è un testimone in quella causa, che non è né pretore, né impiegato
alla fonderia, come alcuni reporters hanno detto, ma è il cav. G. Polizzi bibliotecario alla Fardelliana di
Trapani, che il 18 luglio di quest’anno, ebbe a visitare quelle terribili prigioni allo scopo di scrivere,
com’egli intese, una storia di quella fortezza, ove tanti e tanti valentissimi scontarono in diverse epoche, e
sotto il governo dei Borboni di Napoli il peccato dell’amor di patria. Lasciamo la parola allo stesso Sig.
Polizzi: L’isola di Favignana (la Aegusa degli antichi) dovrebbe essere ritenuta come un santuario del
patriottismo siciliano, cioè dell’antico regno delle due Sicilie. Fra i tanti infelici liberali trascinativi dai
Borboni a domicilio coatto, cito il generale Topputi, lo Angioletti, Cerentani, Curzio, Ricciardi, il
benemerito Carlo Cottone Principe di Castelnuovo, i due fratelli Gregorio e Francesco Ugdulena, l’uno
insigne orientalista e archeologo e l’altro bravissimo grecista. Del forte e del carcere di S. Caterina in
ispecie ebbi a scrivere qualche mese fa, che converrebbe conservarlo come un monumento classico nel suo
genere, un monumento di barbarie. Era uno di quei carceri siciliani, che Gladstone dopo averli visitati
denunziò dalla Camera inglese all’Europa civile, e stigmatizzando il governo che li teneva disse che esso
era la negazione di Dio. Era mio compagno e guida in quel forte il mio buon amico Benedetto Angileri,
che fu testimonio delle sofferenze degli ultimi condannati politici, ivi raccolti e me ne dava un tristissimo
ragguaglio. La fortezza è elevata sul livello del mare 344 metri, a forma d’una piramide, coperta
spessissimo di folta nebbia. Passando attraverso il corridoio arcato vi si aprono ai lati due prigioni: una a
destra , quella di Giovanni Nicotera, a sinistra quella ove stettero rinchiusi i suoi 15 compagni, misero
avanzo della spedizione di Sapri. Penetrato nella prima delle due, la più orribile, col sacro orrore di chi
passa per un luogo, direi quasi, santificato dalla sventura e dall’amore di patria, in principio non vidi
nulla, tanto era il buio che regnava dentro a quella bolgia di Dante. Feci portare alcune candele, e al lume
di esse potei averne una completa idea. Sonvi in questa fossa due letti da campo o giacigli di pietra, larghi
all’incirca m 2,40; lunghi m 7,20 ; dal suolo alla volta lo spazio non è più alto di 4 m . Nelle mura dei
carceri trovasi scritte a lettere di carbone le iscrizioni che seguono, e che vi riscrivo nella loro più genuina
esattezza epigrafica. Nel muro, a sinistra del carcere: Fu questa tremenda/segreta dove giacque/Giovanni
Nicotera/vittima di quella infame dinastia/sbalzata più tardi dal trono/di Napoli per sua/cooperazione.
Evidentemente fu scritta dopo il 1860, postuma alla scarcerazione del condannato. Nel muro stesso è un
loculo per il lume. Di fronte, sull’altro giaciglio a destra, è quest’altra terribile epigrafe: Iddio liberi
uno/sventurato di/questo luogo che senza/il suo aiuto vi/trova morte! Vicino ad essa leggesi: Qui fu
sepolto vivo lo sventurato/ergastolano politico Giovanni Nicotera. Nella stanza stessa è quest’ultima e
tristissima iscrizione: O tu che avrai la sventura/di stare in questo luogo/preparati a soffrire tutti i
tormenti. Le due ultime sono di mano del Barone Nicotera, come mi assicurò egli stesso, a cui ne mandai
una copia trovandomi ultimamente in viaggio per l’Africa. Gli altri ricordi del mio taccuino si riferiscono
alle altre carceri di questa stessa fortezza, e che conto di pubblicare io stesso nel mio lavoro.
27 Eduardo Pietrino Duran, “Una perla in fondo al mare, Genova ,Tipografia Tredici, 1928”.
28 Guglielmo Pepe (Squillace 1783 - Torino 1855) generale, fratello di Florestano. Nel 1799,
iscrittosi nella milizia della Repubblica napoletana, combattè contro le orde del cardinale Ruffo
a Portici e a Napoli. Costretto all’esilio in seguito alla reazione, riparò in Francia, dove entrò
nella legione italiana che, agli ordini del Bonaparte, si accingeva alla conquista dell’Italia, e
combattè a Marengo (1800). Si recò poi in Toscana dove combattè contro i ribelli di Siena ed
Arezzo, e quindi a Napoli a congiurare contro i Borboni. Imprigionato fu rinchiuso nella fossa
dell’isola di Marettimo. Riavuta la libertà fu nominato maggiore da Giuseppe Bonaparte (1806)
che lo inviò a sedare una insurrezione in Calabria. Per il Murat combattè in Spagna. Nel 1818
tornati i Borboni a Napoli, ottenne il comando di una divisione. Ma scoppiati i moti carbonati
(1820), il Pepe, inviato a sedarli, si mise invece alla testa degli insorti entrando trionfalmente in
Napoli, e fu fatto comandante supremo dell’esercito. Sconfitto a Rieti (1821) dagli austriaci, fu
costretto all’esilio in Francia ed in Inghilterra dove rimase fino al 1848, divenendo molto amico
del Foscolo. Ritornato in Italia nel 1848, in occasione della prima guerra d’Indipendenza, ebbe
da Ferdinando II° il comando dell’esercito spedito nel Veneto contro gli austriaci. Sorpreso dai
fatti del 15 maggio mentre stava a Bologna, rifiutò di obbedire a Ferdinando che gli ordinò di
tornare indietro con tutte le truppe, e accettando l’invito del Manin, si recò a difendere Venezia.
Nominato generale in capo dell’esercito della Repubblica, si distinse nella difesa del forte di
Marghera, ma la sua azione fu molto criticata negli ultimi giorni della difesa della Repubblica.
Dopo la caduta di Venezia andò in esilio a Corfù, Malta, Genova, Parigi, dove scrisse le sue
memorie. Dopo il colpo di stato francese del 2 dicembre 1851 si recò a Torino, dove trascorse gli
ultimi anni.
29 Ferdinando Aprile nato a Caltagirone fu ufficiale dell’esercito borbonico. In servizio nella
fortezza Santelmo (Napoli) con il grado di luogotenente. Da carceriere divenne compagno di
fuga di Ettore Garaffa, conte di Ruvo che lo convinse ad abbracciare le idee rivoluzionarie. Il
giovane luogotenente nel 1795, con l’aiuto di una figlia di un ufficiale del presidio, il
luogotenente Aprile e il Conte si calarono con una corda dalle mura del castello. Il luogotenente
Aprile fu subito ripreso, mentre Ettore Garaffa si rifugiò presso amici a Portici di là poi
raggiunse Milano. Aprile invece fu condannato alla pena di morte che per grazia regia gli venne
poi commutata con il carcere a vita. Da Napoli fu trasferito il 23 ottobre 1798 nella fossa di
Marettimo.
30 Nel 1847, a Lugano, dalla Tipografia della Svizzera italiana venivano pubblicate le memorie
di Guglielmo Pepe. Nel suo racconto, il generale calabrese, parla di un compagno di sventura
che non potendone dire il nome, il chiamerò X….. È una X che fa seguire, e per una sola volta in
tutto il suo racconto, da cinque puntini. Quasi a volercene far intuire il nome, che volutamente
cela, anche perchè questi, in tale periodo si trovò cospirare contro i Borboni all’interno del
Regno. Poi il Pepe quando passa alla descrizione, lo indica con X… cioè una X e tre puntini. Un
numero, quello dei puntini, certamente congeniale all’ignoto patriota che il Pepe fa sapere
d’essere molto istruito nelle lettere, iniziato ne’primi gradi della massoneria. Noi, con artifizio
abbiamo sostituito alla X una R ed ai cinque puntini le lettere odinò, individuando così in X il
nome di Gaetano Rodinò di Catanzaro. Poi ci siamo resi conto che era azzardoso da parte nostra
sostenere l’eguaglianza X= Rodinò solo sulla base di alcuni puntini, probabilmente dovuti a
rifusi tipografici. Ma la nostra ipotesi poi venne confortata dalla analisi più attenta di un elenco
generale dei carcerati di Favignana relativo ad una rivista dei detenuti passata alla data del
maggio 1805. (In ASTp fondo Secrezia, busta nr. 447) Dal registro, che riporta gli elenchi, è stato
possibile conoscere la data della decisione reale che inviava il generale Pepe nella fossa del
Marettimo (20 luglio 1803). Abbiamo altresì rilevato la data della assunzione, cioè quella in cui il
Pepe viene rinchiuso nelle carceri di Santa Caterina in Favignana (28 agosto 1803). A conti fatti
dunque le due date ci hanno danno l’esatto tempo in cui Pepe rimase rinchiuso nella fossa del
Marettimo. A seguire poi il nome del Pepe, sul registro, c’è quello di Gaetano Rodinò che, fra gli
oltre 150 detenuti elencati, soltanto accanto al suo nome le due date coincidevano con quelle di
Guglielmo Pepe il che ci ha confortati circa la validità dell’eguaglianza X= Gaetano Rodinò.
L’eguaglianza X= Rodinò venne intuita anche se in forma dubitativa, da B. Maresca in
“Archivio Storico napoletano, VI, 1882 pagg. 263”. Ho ripetuto le parole stesse del Rodinò, perchè da
esse io m’induco a supporre che egli appunto fosse quel X... Gaetano Rodinò (n. Catanzaro 1775 m.
Napoli 1847) autore de Racconti storici, edito nel 1882 dalla Società Napoletana di Storia Patria.
31 Nicola Ricciardi di Foggia. Condannato a vita il 17 luglio 1803 e dichiarato nemico del
governo con ordine reale, venne inviato nella fossa di Marittimo, arrivò nell’isola il 7 settembre
1803. Il governo borbonico gli assegnò un sussidio giornaliero di 1 tarì e 10 grana. Era fratello di
Francesco Ricciardi, noto avvocato del tempo e giudice durante il governo di Gioacchino Murat.
Nel dicembre del 1802 arrestato, all’età di 36 anni, venne rinchiuso in una prigione del Castel
del Carmine a Napoli assieme al generale Guglielmo Pepe con il quale divenne compagno di
catena.
32 Guglielmo Pepe, “Memorie intorno alla sua vita e ai recenti casi d’Italia vol. 1° Lugano,
Tipografia della Svizzera Italiana, 1847”.
33 Franco Capponi, Nicola Antonio Angeletti,”Un patriota marchigiano da Napoleone a Porta
Pia, Negarine di S. Pietro in Cariano, Gabrielli Editore 1999”.
34 Biblioteca Fardelliana Trapani- manoscritto anonimo nr. 295 (già VII.g.1.Q.) VII , datato 1
dicembre 1823. Da noi, per la prima volta, pubblicato e attribuito ad un anonimo carcerato della
fossa di Marettimo. Il documento reca la data S. Simone, 1 dicembre 1823. S. Simone, in antico,
era il nome del Villaggio dell’sola di Marettimo oggi impropriamente chiamato con lo stesso
nome dell’isola.
35 “Collezione delle Leggi e de’Decreti Reali del Regno delle Due Sicilie. Anno 1820, semestre
II°, da Luglio a tutto Dicembre, Napoli, Dalla Real Tipografia del Ministero di Stato degli Affari
Interni nr. 81”.
36 Vincenzo Fardella di Torrearsa, “Ricordi su la Rivoluzione Siciliana degli anni 1848 e 1849
Sellerio Editore Palermo”. Secondo Fardella, Bartolomeo Sestini, autore del poemetto Pia dei
Tolomei fu un emissario inviato dalla carboneria napoletana e così lo descrive: Di statura media,
ben composto, non bello, ma di tratti regolari, con bruna e ricca capigliatura, occhi grandi nerissimi e
scintillanti, che insieme alla tinta buno-gialla del suo viso gli davano l’aspetto d’uomo malinconico e
pensieroso. Fu accolto in un crocchio d’amici, che riunia quanto di meglio, in fatto d’intelligenza e
d’istruzione, vi era allora nella mia patria.
37 Valentino Labbate, “Un decennio di Carboneria in Sicilia, Roma - Milano, Società Editrice
Dante Alighieri, 1909”. Sestini venne poi arrestato in Palermo nell’aprile 1819. Fu rinchiuso
nelle segrete e successivamente per interessamento di un tal Capecchi pistoiese il 20 luglio 1819
viene liberato. Il Re, infatti, il 23 giugno 1825 ordinava che si restituissero al Sestini tutte le robe,
il denaro, le cambiali, le cautele,i libri, e tutte le carte letterarie, qualora tra queste non vi fossero
produzioni sediziose o irriverenti per lo Governo di S. M. Sestini, il 19 1uglio 1825, si imbarcava per
Livorno sullo sciabecco del capitan Calogero Giardina, con l’impegno che non poteva ritornare
nei reali domini.
38 Con la venuta degli Austriaci che ristabilirono la restaurazione del governo borbonico preoccupò
molto gli ex capi dei carbonari, a Trapani nel convento dei padri cappuccini Martino Beltrani
Proconservatore della Secrezia di Trapani, con un colpo di pistola si toglieva la vita per paura di
essere arrestato con l’infamia di carbonaro. E qui torna alla mia memoria un doloroso episodio, che
assai contristommi allora, e del quale fui quasi spettatore. Qual tal Don Martino Beltrani, più innanzi
cennato, e che dissi dotato di mente non comune, avendo avuto, in tutto il corso della rivoluzione,
principali ingerenze, in Trapani, in tutte le pubbliche faccende, fu di quei che maggiore dolore risentirono
dello inatteso sparire delle libere istituzioni; e di viva immaginazione, comunque capo e sostegno d’una
famiglia, riputò sicura la sua perdita, e non altro scampo a maggiori sofferenze che la morte; e vi si
apparecchiò colla massima freddezza, e senza fare concepire il menomo sospetto ai suoi cari. Pochi
momenti prima di andarsi a tirare un colpo di pistola, che lo lasciò cadavere, al sommo della scala che
mette nel corridoio principale del Convento dei PP. Cappuccini, lo vidi conversare tranquillamente, e
direi quasi con ilarità, con alcuni suoi compagni, negli uffizi dell’antica Segrezia, che, tenendo il mio
buon genitore la carica di Secreto distrettuale, erano collocati in un quartiere sottostante alla nostra
abitazione. Sul suo tavolo d’uffizio trovossi una lettera diretta ad un mio zio, il Cavaliere Benedetto
Omodei di Reda, suo intimo amico, nella quale gli diceva che s’era deciso a porre termine alla sua vita, per
il mancato trionfo alla causa liberale, e per evitare le sicure tiranniche persecuzioni. Dopo sì triste
avvenimento circolò sordamente la voce che lo sventurato Beltrami fosse in corrispondenza col Rossaroll,
e che la non riuscita della sommossa in Messina avesse posto il colmo al suo turbamento, e lo avesse
deciso a togliersi la vita. Ma fu quella una voce incerta, e mai accreditata da alcuno de’suoi intimi.
Quell’inatteso suicidio commosse ed afflisse la popolazione. Vincenzo Fardella di Torrearsa , op. cit.
39 La Secrezia era l’organo periferico attraverso il quale avvenivano tutte le uscite e le entrate
dello Stato. Aveva sede nel capoluogo della Valle, mentre, in alcuni comuni, avevano sede le
Pro-secrezie, che dipendevano direttamente da quella distrettuale.
40 Valentino Labate, “Un decennio di Carboneria in Sicilia”, op. cit.
41 Antonio Morelli, “Michele Morelli e la rivoluzione napoletana del 1820-1821, Editrice
Cappelli Rocco S. Casciano 1969”.
42 ASTp fondo Secrezia, busta nr. 146: Corrispondenza con la Real Segreteria presso il Luogotenente
Generale 1823-1824. La busta contiene numerosi solleciti di pagamenti al Secreto di Trapani per il
nolo di legni per il trasporto di detenuti, riparazioni nei forti e delle spettanze ai detenuti: […]
bisogna pagare onze se e tarì 20 al Suddiacono D. Vincenzo Pace condannato nel fosso di San Giacomo in
Favignana per lo triennio del di lui vestito che incomincò a correre dal 17 settembre 1822 e che va spirare
a 16 settembre 1825.
43 ASTp fondo Secrezia, busta nr. 461 “pagamento alle truppe”.
44 ASTp fondo Secrezia, busta n. 461 “pagamento alle truppe austriache da parte della Secrezia
di Trapani”.
45 Archivio Storico Curia Vescovile della Diocesi Mazara del Vallo, Arm. nr.41 palc. NR.1 Pos.
NR.11 , Mons. Custo, Editti, Risoluzione Economica, 1816 – 1829. Alcuni sacerdoti fondavano
una setta denominata Repubblica e si davano il seguente:
REPUBBLICA, Procedura alla Cittadinanza/Pria che comincia alcun ad aprire i lumi alla luce
attenebrata da denza caligine di un dolce avvelato, esaminarsi è d’uopo se sia in istato di godere lo
emblema della libertà latina./Questa gemma è da depositarsi in chi è capace a ben custoderla./L’unico
de’nostri pensieri è l’oggetto delle nostre occupazioni si è il depositario di questa sublime vaghezza, e
questo fine da noi allo studio si attende di non sbagliare l’ammessione alla Cittadinanza, che uno schiavo
involontario brama ottenere./Questi, che dal suo nascere ha vissuto sotto la tirannide di un usurpatore
superbo dell’altrui ragione, è difficile ad un tratto abbandonare il sozzo fango in cui da tanto tempo ha
dovuto involgersi./La schiavitù sopra di esso ha fatto il callo, per cui si corre pericolo di una funesta
incostanza. Dall’osservanza dell’Officiale la pace dipende, e la tranquillità dello stato, ch’è il principio
della pubblica salvezza./Atteso ciò è da sapersi esser noi stessi all’Ente Supremo, alla patria, ed ai parenti,
trasgredendo l’uomo uno di questi doveri ha controvenuto della natura l’istinto, ha impugnato la
micidiale spada contro la sua stessa esistenza./ Non vi è dubbio, che l’Uomo nasce libero, ed a questa
libertà alza i suoi anni. Se dure ligacce annodassero il suo piede colla più oculatezza di sciogliersi
tenta./Un mortale ragionevole non è nel dritto dominare un altro suo simile, mentre tutti dallo stesso
principio abbiamo l’origine, ed ognuno di se stesso è Padrone./ Ma l’ambizioso distrugger volendo della
umanità i pregi, non solo che natura usurpa un dominio assoluto, abusando di quella fortuna, che il ceco
caso concede./ Conoscendo noi questa verità colla [sic] difendiamo l’innata libertà./ Così inculchiamo ai
nostri Officiali rigorosa vigilanza sul novello Cittadino ricevuto sotto l’Aquila nostra./ Sorvegliamo
inoltre che con ragione il delinquente di queste avvertenze dichiarato viene traditore, spergiuro alla
Divinità, e di niuno carattere ai doveri di Cittadino./Udito dunque il consenso del nostro Senato abbiamo
stabilito, e valorato quanto segue:
1 Articolo - Gli Officiali sono nella facoltà di rollare all’Aquila nostra quant’individui vorranno, e
potranno.
2 Articolo - Il Senatore viene promodalmente della stessa maniera obbligato sumere le funzioni di
Officiale.
3Articolo – Dell’involontario schiavo, che brama l’ammissione, dall’Officiale riconoscere devonsi
gl’indoli, la probità, la virtù, e l’onoratezza.
4 Articolo - Sia di rigore che non sia amesso alla nostra Aquila quello affascinato de’seguenti vizi: 1°
Ubriachezza / 2° Latrocinio / 3° Bugia.
5° Articolo - Lo sperimento sulla condotta dello schiavo involontario per l’ammissione repulsivo, si
lascerà alla prudenza, e zelo dell’Officiale.
6° Articolo - Esso verrà assistito da una Cittadinanza avente il nome di primo Cittadino da lui stesso
eletto.
7° Articolo - Sarà ricevuto lo schiavo nel luogo dall’Officiale determinato, il quale si chiamerà
Campidoglio./Entrerà dunque avvertito di giurare innanti una immagine del Crocifisso, a piede della
quale vi sarà un’Aquila, facendogli capire esser quella il simbolo della Repubblica.
8° Articolo - Il Crocifisso sarà inalberato sopra un’ara a tal uopo eretta.
9° Articolo - Lo schiavo verrà interrogato come segue/D: Involontario schiavo da noi che cerchi?/R: La
libertà de’Padri miei./D: E come viene a chiederla da noi?/R: Perchè la virtù qui mi condusse./D: Per
essere virtuoso bisogna conoscere te stesso?/R: Mi conosco essere nato libero, dandomi Iddio tal dono./D:
Dimmi chi ti ha tolta la libertà?/R: L’uomo ambizioso abusando del suo potere, e tiranno delle mire di
grandezza si fa signore della vita, e dei beni del suo simile. Giuro dunque la sconfitta di questi tiranni,
accostati a questa sacra imagine che ti addita la giusta via.
10 Articolo - Il primo Cittadino, che non ha lasciato lo schiavo lo farà inginocchiare innanti l’ara
appoggiando la testa sopra la stessa, l’atro col petto, e col capo inchino rispettosamente pronunzia il
giuramento descxritto nel nostro Decreto colla stessa data d’oggi.
11 Articolo - Di allora in poi sarà considerato nostro Cittadino, e l’Officiale lo istruirà su quel che deve
sapere. Non è esso nell’obbligo sapere le persone de’Consoli, del Senato, degli Officiali, ne di Cittadino
qualunque, essendo bastante che ne sia avvertito in generale. Egli sarà di gordizione dell’Officiale che lo
riceve.
12 Articolo - Ogni Officiale, o Magistrato è incaricato per la esecuzione del presente Editto.
Oggi nel Campidoglio li 30 Novembre 1825/ Giulio Bruto C.le firmati Console Coriolano. /Repubblica/La
base fondamentale del Governo repubblicano si è la politica ch’è di più di ogni altro comentata viene da
noi, lo zelo dell’Officiale sarà l’unico mezzo a farne germogliare de’Cittadini tante piante fruttifere, che a
suo tempo daranno sostegno alla nostra patria gli saranno insinuati salutifori sentimenti, ed è dovere
dell’Uomo facendo conoscere se stessi, e che un tirannico impero usurpa il loro maggior pregio./ A tal
uopo abbiamo stabilito gli seguenti articoli, descrivendosi in primo le persone, che formano il Governo
della Repubblica./ I Articolo Sono eglino due Consoli di uguale potere, il Senato, ed altre Magistrature,
che ne sono le membra./ II Articolo Il Consolato, il Senato, le Magistrature qualunque Officialità di
Roma./ III Articolo Il Consolato, e le altre Magistrature, che sono il corso di un anno, non cambieranno,
finché la repubblica non distrugge la tirannide, n’assicura il buon ordine, e lo stato./ IV Articolo Gli
Officiali compresi nel Decreto de_ 30 Novembre 1825 vengono nominati Tribuni, che ne saranno eletti
quanto il bisogno n’esige, e verranno nominati./ V Articolo In tre classi sono gli schiavi involontari./ 1°
Schiavi totali./ 2° Semischiavi / 3° Schiavi liberi/ VI Articolo Non è tenuto reiterare il giuramento, colui
che legalmente giustifica sul progetto della Real libertà avendo altrove prestato./ VII Articolo Compresi
non sono nel precedente articolo i Costituzionali Dichiarati sono costoro costituzionali di terza classe./
VIII Articolo Punito sarà colla morte colui, che denunciare ardisce la repubblica eseguendosi
da’Magistrati, e Cittadini alla di lui cognizione ignoti./IX Articolo Qualunque controversia tra Cittadini
non fosse che dal Console determinata, o dal Magistrato da esso incaricato./X Articolo Il Tribunale
composto di Tribuno, Centurione, e Decurione, che hanno le loro funzioni dall’uno, e dall’altro
indipendenti./XI Articolo Il Centurione, ed il Decurione faranno al Tribuno in ogni settimana il rapporto
de’loro Coscritti. XII Articolo Ogni Cittadino che dovrà lagnarsi contro qualunque ammesso alla nostra
Cittadinanza ricorra a’Consoli per la giustizia/ XIII Articolo I trasgressori del precedente nono articolo
saranno puniti con pena ben vista a’Consoli./ XIIII Articolo Non si potrà contro qualsisia persona in
qualunque grave reato ricorrere all’Autorità del Tiranno, se non prima si dia avviso al Console, da cui
considerato, ed esaminato, si dichiara non poter decidere, e si concederà il conveniente permesso./
Repubblica/ La religione il vincolo essendo, che obbliga gli Uomini a mantenere quanto si è promesso, è il
metodo delle nostre azioni./ Nazione non è al Mondo, che non conosce un principio, da cui ebbe l’origine./
Da questo dipendere dovranno gli umani movimenti, che senza la di lui assistenza all’orlo corriamo dal
precipizio. Il giuramento dunque è l’essenziale, che non tradisce l’Uomo, l’affettuosa Madre, ch’è la
Repubblica attende da’nostri sudori la sua salvezza e la tranquillità comune./ Oh quante scelleraggini
non commette il Cittadino infedele deponendo il carattere di figlio, ha dimenticato i doveri, che ad esso lo
legano./ Opprobrio diverrà anche d’ogni rea malvagità./ I sassi stessi lo rimprovereranno dallo atroce
tradimento, ed ogni ombra vendicatrice gli sembrerà de’suoi spergiuri./ Col consenso unanime del nostro
Senato abbiamo stabilito e valorato i seguenti giuramenti./Per la Cittadinanza / I Art.o Giuro in nome di
Dio, e della SS.ma Trinità perpetua fedeltà alla repubblica, e prometto per la sua conservazione spargere
tutto il mio sangue, e Giuro qualunque persona regia, e mi costituisco nemico suo capitale./ Prometto
egualmente assistere e soccorrere tutti i miei Cittadini ne’loro bisogni. Giuro di non palesare a niuno i
nostri segreti, ed obbedire gli ordini tutti, che mi saranno dati dalle Autorità supreme comunicate, e di
non aver mai intervenuto, amicizia,rapporto o affinità veruna con persona dedita a servizio de’tiranni./
Mi sottopongo in fine in caso di spergiuro alla pena, che riportarono i figli di Bruto nel primo Consolato
di Roma./ II Art.o Dato il giuramento, l’Officiale funzionate lo esorterà ne’più soavi sentimenti di
energia, e zelo verso la patria. Per la dignita consolare/ III Art.o N: N: che per la grazia del Senato, e del
popolo sono stato promosso alla dignità consolare, giuro difendere, e custodire le leggi, e i dritti della
Repubblica, abbattere l’orgoglio de’suoi nemici, e di quei che vogliono opprimerla, vigilare sulla pubblica
tranquillità, e sul buon ordine, giuro finalmente l’integrità della giustizia./ Per le Magistrature Trini./ IV
Art.o N:N: Giuro eseguire, e fare eseguire gelosamente la legge me afidata, e gli ordini, ed aumentare
nomero di cittadini, e poterli ben dirigere.
46 Giuseppe Cervone, avvocato di Napoli, arrestato durante i moti del 1820 venne rinchiuso nel
carcere di S. Giacomo in Favignana quando nel maggio del 1825 svelò alle autorità dell’isola
l’esistenza di una setta carbonara all’interno del carcere. Per misure cautelative venne
allontanato dall’isola ed inviato a Marettimo dove vi rimane dal 1 luglio 1825 fino al 30
novembre dello stesso anno. La pena dell’ergastolo gli venne nel frattempo commutata in quella
della relegazione nell’isola di Favignana. Ma essendo stato coinvolto per affari di carboneria
venne tradotto nel castello di Terra di Trapani ove vi rimane fino alla morte che lo raggiunse il
30 gennaio 1827 all’età di 44 anni.
47 ASTp Fondo Secrezia, busta nr. 465. Sussistenza ai detenuti (fascicolo dei detenuti politici)
Forti di: Favignana, Marettimo, Colombaia, Castello di Terra, Formica anno 1825. A tale scopo la
Tesoreria Generale di Sicilia in data 22 Novembre 1825 inviava alla Secrezia di Trapani la
seguente lettera: Il ricevitore di Trapani pagherà al Comandante Tenente Cotto D. Giovanni onze
ventidue per le spese accese nella scoverta setta carbonica in Favignana.
48 Valentino Labate, “Un decennio di Carboneria in Sicilia”, op. cit.
49 Archivio di Stato Palermo, “Polizia 1835 Affari settari per le sette Valli, fascicolo 19, busta
207”.
50 Valentino Labate, “Un decennio di Carboneria in Sicilia”, op. cit. Ecco il verbale redatto
dall’usciere Galeotto il 29 settembre: Oggi il giorno di sopra alle ore dodici d’Italia, vestito di abito nero
completo, mi sono conferito in questo Castel San Giacomo, e propriamente nella Cappella del piano
superiore, dove ho rinvenuto i nominati Isidoro Alessi, Don Giuseppe Ragusa, Cosmo Cambria e Michele
Zurlo condannati alla morte, rispettivamente assistiti da varj Chiesastici, e custoditi dalla forza militare e
dal Capitan d’arme del Distretto don Niccolò Malato, e nel corpo di guardia di esso Forte, ove ritrovavasi
parimenti custodito dalla forza l’altro condannato a morte don Niccolò Saulle. Alle ore dodici e mezza si
presentò un corpo di gendarmeria, schierandosi sui cameroni coverti del cennato castel San Giacomo.
Alle ore tredici ed un quarto si estrasse dalla Cappella custodito dalla forza e coll’assistenza dei
sopraddetti Chiesastici il condannato Alessi, e si pose in cammino per le forche situate in luogo pubblico, e
propriamente sul rivellino del Forte San Giacomo; dopo pochi minuti giunse alle medesime, e dopo aver
adempito i debiti atti di Religione, subì la morte alle ore tredici e venticinque minuti. Alle ore tredici e
mezza sortì dalla Cappella il condannato Ragusa colla medesima scorta, e giunto al luogo del supplizio
subì la morte alle ore tredici e quaranta minuti. Quindi, e precisamente alle ore tredici e tre quarti, fu
estratto dalla Cappella il condannato Cambria, custodito dalla forza ed assistito dai Ministri della
Religione; giunto al luogo del supplizio, dopo pochi minuti subì la morte. Quindi si estrasse dal locale,
ove trovavasi, il condannato Saulle, e postosi in marcia alle ore quattordici giunse al luogo, ove trovatasi
piantata la guillottina, e propriamente nel piano al di dietro del cennato Forte, e dopo pochi minuti subì la
morte. E finalmente fu estratto dalla Cappella il condannato Zurlo, alle ore quattordici ed un quarto, e
subì la morte alle ore quattordici e venticinque minuti. L’esecuzione ebbe termine a detta ora, col massimo
buon ordine e con la maggior tranquillità. I cadaveri de’suddetti condannati Alessi, Ragusa, Cambria e
Zurlo furono consegnati dal capitan d’arme del Distretto, previo il ricevo, al secondo Cappellano del
suddetto Castel San Giacomo Sac. Don Giovan Battista Merigo e poiché il condannato don Nicolò Saulle
ricusò di accettare i soccorsi della Religione e mostrò segni non equivoci d’impenitenza, fu sepolto fuori di
Chiesa, in un luogo poco distante dal Castello medesimo, alla presenza del suddetto Capitan d’arme e del
Regio Giudice del Circondario.
51 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 291, “lettera del 7 marzo 1811 della Real segreteria al Secreto
di Trapani”.
52 ASTp, fondo Secrezia busta nr. 271, “lettera del 3 giugno 1803 del Principe di Cutò al
Tribunale del Real Patrimonio di Palermo”.
53 ASTp, fondo Secrezia NR.451 estratto per copia conforme dal libro delle filiazioni dei servi di
pena rilasciato dal comandante della Piazza Giuseppe
Rapalo il 19 giugno 1814
54 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 451, “lettera del 13 aprile 1815, del Comando militare di
Favignana al Marchese Antonio Fardella, Segreto di Trapani”.
55 L’isola della Colombaia è un antico forte situato all’imboccatura del porto di Trapani e venne
utilizzato dai Borboni come carceri vi erano cinque cameroni per i detenuti. In origine il forte fu
edificato dai Cartaginesi e prese il nome dalle colombe sacre alla Venere Ericina che ivi si
posavano. Venne utilizzato come carcere fino al dopoguerra. Attualmente vi è posizionato il
fanale rosso che indica l’entrata del porto.
56 Sacerdote Mario Zinnanti da Favignana, Primo Regio Cappellano Curato e Rettore della Real
Chiesa Perrocchiale dell’Isola di Marettimo, “Cenni Storici delle Isole Egadi”, op. Cit.
57 Edoardo Pietrino Duran, “Una perla in fondo al mare”, op. cit.
58 Alessandro Cataliotti, Favignana., memorie note ed appunti, 1924 Girgenti, Tip. L.Dimora
59 Rino Maiorana, “L’isola sacra, 1979, Trapani Tip. Corrao Spa”.
60 Gaspare Scarcella, “Favignana, la perla delle Egadi, Milano, Edizioni Europrint, 1970”.
61 Gin Racheli, “Egadi, mare e vita, Milano, Mursia 1979”.
62 Guglielmi Vincenzo di Andretta (si sconosce al momento nascita e morte). Sacerdote
extraparte della chiesa ricettizia di Andretta fu ardente rivoluzionario antiborbonico. Arrestato
dalla polizia il 13 ottobre 1798 venne processato dopo essere stato profferito dalla Giunta de’delitti
atroci degli ecclesiatici. Rimase in carcere fino all’avvento e proclamazione della Repubblica
napoletana. Assaporata la libertà combattè in difesa della giovane Repubblica. Con decreto del 2
febbraio 1799 emanato dal Comitato Militare della Municipalità Provvisoria, Vincenzo
Guglielmi si arruolò e venne inquadrato come soldato, nella Prima Compagnia della Guardia
Nazionale. Il generale Manthone, il 14 maggio 1799, istituiva Le Truppe di Linea di Fanteria. In
tale occasione Guglielmi, già inquadrato nel ruolo militare, assume il grado di capitano e viene
chiamato a far parte del Primo Battaglione della Seconda Legione. Entra a far parte della Milizia
repubblicana con l’incarico di Commissario per la democratizzazione di alcuni paesi dell’Irpinia.
Lascia la città di Napoli e si trasferisce ad Andretta, sua città natale. Nella città dell’Irpinia
assume l’incarico di Commessionato del Governo provvisorio. Nella piazza principale di Andretta
presenzia alla manifestazione giacobina della distruzione col fuoco del ritratto di Re
Ferdinando IV. Caduta poi la Repubblica napoletana, Vincenzo Guglielmi venne ricercato dai
Borboni per tutto del Regno. Braccato dalla polizia, diretta dal duca d’Ascoli, per il sacerdote di
Andretta non ci fu scampo. Catturato in Puglia venne incatenato e condotto a Napoli dove fu
rinchiuso nelle carceri del Castel Nuovo. Gravemente ammalato fu trasferito nelle carceri della
Vicaria in attesa delle disposizioni reali. Il 25 giugno 1802 il Re ordinava che il sacerdote
Guglielmi fosse condannato per tutta la vita nella fossa del Marettimo subito dopo che sarà nello stato di
partire. Ma l’esecuzione del dispositivo reale, a causa delle condizioni di salute del detenuto,
venne eseguito soltanto dieci mesi più tardi. Infatti il 6 giugno 1803 il sacerdote Vincenzo
Guglielmi fu rinchiuso non più nella fossa di Marettimo, dove era stato predestinato dalla
decisione reale, ma in quella di Favignana. Con molta probabilità in quel tempo la fossa di
Marettimo straboccava già di detenuti fra i quali vi erano il tenente Aprile e l’avvocato Nicola
Antonio Tucci, raggiunti poi, verso la fine del luglio 1803, da Guglielmo Pepe, Gaetano Rodinò
e Nicola Ricciardi. Vincenzo Guglielmi terminò i suoi giorni a Marettimo dove assieme a Nicola
Antonio Tucci di Napoli rimase, barbaramente ucciso a colpi di baionetta da due militari (si
sconosce la data di tale episodio). Vedi: “Nicola Di Guglielmo, Riflessi della Rivoluzione
francese e della Repubblica napoletana in Alta Irpinia, in Echi della Rivoluzione francese in
Alta Irpinia, atti delle Quarte giornate storiche Andrettesi a cura di N. Di Guglielmo, Associazione
Pro-Loco Andretta. Quaderni 4, Atripalda (AV), 1999, WM Group srl”.
63 ASTp , Favignana, Stato civile, registro degli atti di morte dell’anno 1844
64 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 447, “Forti: riviste detenuti Anni 1801-1807”.
65 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 447, “Forti: riviste detenuti Anni 1801-1807”.
66 L’unità di moneta in Sicilia era l’oncia o onza, che si divideva in trenta tarì, ciascuno di venti
grani, un grano in sedici piccoli o denari. Nel sistema napoletano l’unità di moneta era il ducato,
che diviso dieci carlini, dava dieci grani, ciascuno di dodici cavalli o calli.
67 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 272, ”lettera del Principe di Cutò al Segreto di Trapani”.
68 Carmine Curzio (Vibonati 1778 - Favignana 3 febbraio 1838) , avvocato. Figlio di Tommaso e
di Anna Furiati, sposò Elisabetta Tinghinni dalla quale ebbe tre figli. Accusato di appartenere
alla carboneria venne arrestato dalla Polizia di Napoli. Messo ai ferri, per disposizione reale, fu
poi da Napoli imbarcato alla volta di Palermo. Condannato a vita dalla giunta speciale fu
destinato per la fossa del Marettimo. Da Palermo fu reimbarcato per il Castello di Terra di
Trapani dove vi rimase alcuni giorni prima di raggiungere la più lontana delle isole Egadi. A
Marettimo divise la fossa, fra gli altri, con Nicola Angeletti, Antonio, Leipnecher, Ferdinando
Giannone e con Vincenzo e Paolo Giannini. Con l’ascesa al trono di Francesco I°, per alcuni
detenuti della fossa di Marettimo, la pena venne commutata dall’ergastolo in esilio ed in forza
del decreto del 16 agosto 1825 per altri in relegazione in un’isola. Fra questi beneficiari vi fu
anche Carmine Curzio che il 1 gennaio 1826 viene trasferito, come relegato, nell’isola di
Pantelleria dove vi rimase fino al 15 luglio 1835. In quest’isola Curzio riprese la sua attività
forense. Costui fa l’avvocato e dalle dispute trae il suo lucro, così scriveva in un rapporto del 24
ottobre 1827, diretto all’Intendente di Trapani, il vicario foraneo di Pantelleria, canonico
Giuseppe Almanza. Lo stesso sacerdote poi, il 31 gennaio 1828, aggiungeva fomenta gran disturbi
nelle famiglie per procacciarsi e sarebbe vantaggioso per questo Comune il mutargli esilio in altro luogo.
Egli divenne personaggio di spicco, non solo fra i relegati, ma anche fra gli abitanti dell’isola.
Per la sua cultura ed il carattere estroverso fu molto amato ed apprezzato dalla gente del luogo.
Ma furono molti anche coloro i quali lo odiarono per la sua intensa attività forense che secondo
le autorità locali costituiva motivo di turbativa dell’ordine pubblico. Così scriveva su Curzio il
Regio Giudice di Pantelleria D’Ajetti, il 15 luglio 1827, in una lettera inviata all’Intendente di
Trapani lamentando, fra l’altro, il considerevole aumento delle cause: Le novità arrivate alla di lei
cognizione e manifestazioni col di lei foglio de’22 giugno ultimo in ordine ai disturbi per riguardo a liti si
soffrono da questi isolani a cagione di alcuni detenuti di professione forenze. L’aumento rimarchevole di
cause specialmente presso cotesti Tribunali, che a me han fatto senso la natura di esse, combinandosi
coll’epoca del tempo mi fan ben persuaso. Nel 1829 a Pantelleria Curzio riceve la visita del figlio
Mario, anche lui avvocato. A Curzio le autorità dell’isola, per motivi di ordine pubblico, gli
avevano vietato di esercitare l’attività forense. Ma con l’aiuto del figlio egli continuò, malgrado
il provvedimento emanato dalle autorità, nella sua professione tanto che il comandante della
piazza di Pantelleria nel 1833 così scriveva all’Intendente: Questo relegato nonostante le
ammonizioni de’Superiori e gli ordini del Governo, che gli vietano l’esercizio di sua professione, prosiegue
ad intrigare, a mettere in campo ingiuste pretenzioni con danno degli stessi clienti a scrivere degli
anonimi, in modo che il Decurionato costretto a reclamare per la sua traslocazione, la quale anche per il
suo bene personale stimo essere necessaria. Mentre nello stesso anno un altro giudice, D. Girolamo
Carrera, scriveva: Prosegue ad intrigare il pubblico e le Autorità istanzato per la sua traslocarione, la
quale disposizione credo necessaria anche per il suo bene personale. Il 15 luglio 1835, Carmine Curzio
da Pantelleria viene trasferito nell’isola di Favignana dove il 3 febbraio del 1838 muore.
69 Ferdinando Giannone, fratello maggiore di Antonio (n. 1787) figlio del napoletano Stefano e
della tedesca Maria Witiemberg di Francoforte. Fu protagonista a Salerno nel giugno del 1820
durante il tentativo di far insorgere la cittadinanza per ottenere la costituzione. Alla fine del
governo costituzione i fratelli Giannonne vennero arrestati e Ferdinando assieme a
Michelangelo Curati fu rinchiuso nelle carceri di Favignana. Quando Ferdinando venne
arrestato, gli agenti di polizia, per appropriarsi dei piccoli orecchini d’oro che portava ai lobi,
non riuscendo ad aprirle, tentarono di tagliargli le orecchie. Venne poi trasferito nella fossa
dell’isola del Marettimo dove vi rimane fino all’agosto del 1825. La pena della carcerazione a
vita gli viene commutata in relegazione. Lascia Marettimo e viene rinchiuso, dalla fine di agosto
1825 fino ai primi maggio del 1826, nel Castello di Terra di Trapani, da dove il 5 maggio 1826,
viene inviato al domicilio coatto nell’isola di Pantelleria dove il 27 settembre 1829 moriva.
70 Leipinecher Antonio (Siracusa 28 luglio 1805 - Napoli 22 giugno 1850). Figlio di un ufficiale a
servizio del Borbone, ottenne, insieme a Mariano d’Ayala, un posto gratuito nel collegio
militare della Nunziatella, ma avendo manifestato idee politiche poco ortodosse, perdette quel
beneficio e, privo di mezzi, dovette abbandonare l’istituto militare.V enne rinchiuso nella
orribile fossa dell’isola di Marettimo. Liberato nel 1825 seguì la sua inclinazione e si diede alla
pittura che coltivò per sei anni, ma l’ardore battagliero dell’animo, lo sdegno della patita
espulsione lo trassero, più che alle tele e ai pennelli, alle emozioni roventi e brusche delle
congiure. Nel 1831 prese parte all’infelice spedizione di Savoia e, ricercato, trovò uno scampo a
Parigi, dove si arruolò come ufficiale nella Legione straniera. Dopo aver combattuto
valorosamente in Algeria, passò in Inghilterra, quindi nel Belgio, poi, nel 1835, di nuovo in
Francia, ove si sposò, e nel 1840, con la moglie, tornò in patria. Rimasto vedovo con due figli,
andò ad abitare con un suo zio, esercitando sempre la pittura e attendendo anche ad un negozio
di fiori. Nello stesso tempo non lasciò di cospirare. Nel gennaio 1848 partì da Napoli con sole
dieci piastre e, recatosi nel Cilento, prese parte molto attiva ai moti di quella regione che
contribuirono potentemente alla concessione delle franchigie costituzionali. Più tardi,
ripristinato il governo assoluto, continuò a partecipare alle trame rivoluzionarie. Accusato di far
parte della setta dell’Unità Italiana, nel gennaio 1850, venne arrestato nella propria casa (al vico
Sedile Capuano, nr. 10) e sottoposto a processo, insieme a Carlo Poerio, Luigi Settembrini,
Filippo Agresti e a numerosi altri liberali. Ma durante il dibattimento, verso la fine di Maggio
cadde gravemente infermo. II medici dichiararono che non era più in grado di lasciare il letto e
di recarsi in udienza: ciò nondimeno, dopo quattordici giorni di sospensione, il 17 giugno venne
trasportato alla Corte, tremante e sfinito, destando fra i suoi compagni e nell’uditorio profonda
pietà. Ma, interrogato, nulla dichiarò di poter rispondere, a causa della febbre, e solo aggiunse
che nell’ospedale non si era avuta la più piccola cura di lui. Aggravatasi la malattia, la mattina
del 22 giugno cadde in profondo letargo e dopo breve agonia spirò tra le braccia della sorella.
(Matteo Mazziotti, “Costabile Carducci e i moti del Cilento nel 1848, Roma Milano, Soc. Ed. D.
Alighieri”).
71 Gesualdo Pietro di Monteforte, sacerdote appartenente all’ordine religioso degli Agostiniani
scalzi, figlio di D. Baldassare. Soppreso in questi reali domini nel tempo della occupazione militare.
Frequenta egli i Sacramenti - così nel rapporto semestrale (dicembre 1825 giugno 1826) scriveva il
Vicario Foraneo dell’isola di Favignana all’Intendente di Trapani. Gesualdo figura negli elenchi
dei detenuti per motivi politici di Marettimo nel periodo compreso tra il 31 gennaio e il 2
settembre 1825. Dal 1 luglio al 31 dicembre 1826 figura assieme a Camillo Curati nella lista dei
relegati di Favignana. Nel 1830 appare fra quelli di Pantelleria. Aveva allora 43 anni. Venne poi
destinato a Favignana il 28 agosto 1825 (decreto16 agosto 1825). Nel 1828 veniva considerato
irrequieto per cui nel 1828 veniva trasferito nell’isola di Pantelleria.
72 Fra Guglielmo da Mercogliano, al secolo Guglielmo Del Giudice, di Napoli dal 31 gennaio al 2
settembre 1825 figura rinchiuso nelle carceri del Castello di Punta Troia a Marettimo. Al 31
gennaio 1825 fino al 31 marzo dello stesso anno figura alla Colombaia. Mentre il 31 dicembre
1825f igura, come relegato di opinione, nell’isola di Pantelleria. Dal 1 gennaio 1826 figura
relegato a Favignana dove vi rimane fino al 6 maggio 1826 quando passò in Roma d’ordine di S.E.
il Luogotenente Generale.
73 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 465 “sussistenza ai detenuti, fascicolo dei detenuti politici -
Forti di Favignana, Marettimo, Colombaia, Castello di Terra”. Fra le tante una: “Lettera del
Comando militare di Trapani del 5 settembre 1824 diretta al Segreto del Distretto di Trapani:
Signor Segreto, Il Comandante l’Isola del Marettimo con foglio del primo andante nr. 404 mi scrive così:
Il Detenuto Sig. Nicola Antonio Angioletti di natio romano,il quale mi reclama, non potendo essere nelle
circostanze di attendere quando giunse qui la liberanza del sussidio alla loro classe trovandomi presso di
me una copia non in forma del Contratto, che aveva l’affittatore passato della Dispenza Manuguerra, e
per esso Giannitrapani, rilevo nei primi periodi l’obligo che gl’incombe di ritirare egli istesso tutte le
somme che si pagano dalla Segrezia per qualunque individuo, ed impiegato di questa Piazza, nel finale
altro Periodo, con il quale si obliga quante volte venisse arretrato il pagamento della prefata Segrezia, sia
tenuto a credenzare a Soggetti in parola i generi che tiene in Dispenza, e conteggiarli. Tanto le sommetto
per osservarsi se lo stesso sia citato nell’attuale nuova obbliganza la quale credo di dover essere lo stesso.
Da tutti i rimanenti Detenuti, mi veggo esposto lo stesso, perchè in tutti i Reparti sono regolati
all’opposto di questo l’incorrotta giustizia di lei Signor Comandante mi fa sperare questo anetodo tanto
necessario sia posto nella regolarità e così obbliarsi ad un Comandante di avere diariamente reclami, per
non dare retta a malevoli di dirsi mia (osc.....), quale credo da me si prattica tutto il regolare, e poi di
questo essenziale punto in scritto ed in parole dalla Segrezia non mi si è dato ascolto. Ed io ho l’onore
partecipando a Lei Signor Segreto acciò si compiaccia riferirmi l’occorrente sull’assunto per riscontrare il
Comandante dell’Isola anzidetta./ Il Tenente Colonnello Comandante /Giovanni Pucci.
74 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 170 “Elezione di distributore de’viveri del Marettimo a
favore della Regia Corte in persona di D. Pietro de Franchis e Filippo”.
75 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 170 “lettera del comandante di Marettimo al Secreto di
Trapani del 3 gennaio 1818” - Signor Segreto del Distretto, Mi vedo nella precisa necessità di spedire il
mio Signor Aggiutante Tenente D. Michele Candia, affine di consegnare nelle proprie di lei mani questa
mia ed insieme informarla col vivo della voce l’attuale infelice stato che trovasi questa Piazza di mio
carico per il motivo che sono a rassegnarla. Sono nove mesi che mi trovo in questo Comando, ed il tutto
detto tempo non mi è rimessa mai l’intiera chiamata di viveri da me fatta, per ammettersi in questa
dispensa di Regio conto, ma sempre mi è portato da questo Dispensiere D. Michele Sanna un picciolo
prontuario, e di pessima qualità, quale mi ha detto essendogli stato somministrato da codesta Segrezia;
poiché io non ho avuto veruna di Lei risposta da novi mesi in qua, e ne tan poco ho ricevuto metà di quei
pochi generi rimessimi alla fine facendo una limitata, e povera chiamata il giorno venti del p.p. Novembre
(dalla quale mi do l’onore acchiudere copia) partì per costà il Reggio Lautello barca addetta al servizio di
questa Piazza; e Lei Signor Segreto si compiacque ordinare a quel Pro-Segreto di Marsala di consegnare
secondo il solito detta chiamata di vivere, a qual effetto portatosi in Marsala il Reggio Dispensiere Sanna,
ed il Capitano Tortorici col detto suo Leudello, dopocchè fu sequestrato per il cattivo tempo in quella
spiaggia (nella quale perdette il suo battello) si ritirò alla fine in questa il giorno sedici del passato
Decembre; e dopo ventisei giorni che fu spedita: nel quale frattempo ci siamo veduti in estrema miseria per
la mancanza de’viveri, e sono stato obbligato consumare per quest’Individui il poco di frumento che
comprato avea per mio proprio commodo, in unità di un poco d’olio che ugualmente avea per mio uso, e se
(Iddio non voglia) il cattivo tempo perdurava altri pochi giorni, già eravamo giunti nel procinto di perire
dalla fame. Il Pro-Segreto di Marsala non ha eseguito i di Lei ordini, e non solo non ha voluto
somministrare la chiamata, e ci ha dato i què miserabili annotati generi, per il prezzo de’quali si è dovuto
obbligare D. Giuseppe Tortorici Capitano di questa Barca corriera; ma pure alle premure che si facevano
dal Dispensiere Sanna, facendogli vedere lo stato pericoloso di questa Piazza; gli ha risposto = che poco si
curava se periva Marettimo = Sua Maestà il Re Nostro Signore non ha mandato un Uffiziale Maggiore,
ed uno Stato Maggiore di cinque Uffiziali, due Cappellani, un Distaccamento di Dotazione di Favignana,
ed un altro di Linea in questa Piazza per perire dell’inedia, o per gastico d’alcun delitto, ma solo ci ha
comandato che io ed i miei Uffiziali con i Distaccamenti eseguissimo il suo Servizio in questa Isola, e
neppure che i Servi di pena fossero gastigati per fame, ma ordina ch’espiassero la pena con essere in queste
orribili carceri trattenuti. Se il Sig.Pro-Segreto è zelante de’Reali interessi, o per qualche sua particolar
veduta (a me occulta) pretende altre cauzioni dippiù delle prime; dovea a Lei, ed a me farne intesi, affinché
noi avessimo dato quei passi necessari per prevenire qualunque inconveniente potesse nascere per la
deficienza de’viveri. Perciò si potrà compiacere ordinare a quel Pro-Segreto di Marsala di consegnare
subito la provigione secondo la qui acchiusa chiamata, non avendo io veruna difficoltà a rendermene
garante e mallavandone de’Reali interessi, cioè per il prezzo e costo de’viveri che si consegneranno ma per
questa sola volta; e divengo a far ciò per il gran preciso bisogno che abbiamo de’viveri, essendocene
qualche rimasuglio per pochi giorni, ed il vino è totalmente finito; io dunque son pronto per questa volta
dar la cauzione asseconda si domanderà da Lei Signor Segreto, e com’era l’antica costumanza; poicchè
ammessa questa chiamata di generi nella Dispensa abbiamo circa tre mesi di provisione, fra il qual tempo
potrà Ella Signor Segreto far le premure presso S.E. il Ministro Ferreri per dell’istesso assunto. Si
compiace Ella Signor Segreto considerare, che dal giorno venti del p. Novembre fin oggi che sono circa
due mesi il mare è stato sempre aggitato, e toltone un sol giorno che da Marsala il Lautello potè venire in
questa Isola: di poi non è stato possibile poterci più accostare: dunque questa dispensa deve avere almeno
tre mesi di provista per riserva, oltre quella che serve per il giornaliero consumo. Ridolfo Mirabelli”.
76 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 170 “lettera di protesta del comandante del forte di
Marettimo per la mancanza d’acqua del 27 Luglio 1818”. “Lettera per l’approvvigionamento dei
viveri del forte con relativa nota: Comandanzia della Piazza del Marettimo / Il Comandante della
madesima /Tenente Colonnello Ridolfo Mirabelli / Signor Segreto del Distretto, Sono a quattro mesi
arrivato in questa Piazza di mio carico ed ho il dispiacere (con grandissimo destrimento, ed interesse di
questi poveri Individui) vedere i pochi generi di vitto che in questa Regia Dispenza si vendono di pessima
qualità, e spesso di alcune specie di così soffrirne la totale deficienza; come accadde in questa ultima
chiamata che li detti generi di bocca ci sono stati rimessi da costà peggiori di quelli che altre volte ci ha
rimesso Marsala. Ella Signor Segreto si compiace dirmi con sua datata 16 cadente, che alla qualità
de’generi risponderne deve chi viene spedito a farsene la consegna, e della conservazione de’medesimi ne
deve rispondere l’incaricato di questa Dispenza; ed in fine mi fa colla stessa sentire che se io credo avere
un dritto a far che siano di buona qualità i generi che qui si vendono potrei vegliare acciò che si adopri in
questa ogni possibile cura per conservarli in buono stato. Per il primo punto debbo significarle che
procrastinandosi sempre da Marsala la chiamata de’generi, in modo tale che facendosi la chiamata oggi
appena si ricevono li sudetti sopra dieci giorni, viene a restare del tutto vuota la dispenza, ed in
conseguenza obbligati dalla necessità per la premura che si ha della sollecita ammissione de’detti generi,
non si può mai fare una fiscalizazione sulla qualità, altrimenti per quest’altro tempo che ciò richiederebbe,
si vedrebbero spesso in pericolo questi individui a perire dalla fame, tanto vero che questo Incaricato
Signor Sanna è stato spesso obbligato con sua perdita a comprare de’generi: Per il secondo posso
assicurarle che questo Dispenziere ha tutta la cura, ed esattamente bada a conservare gelosamente questi
generi di pessima qualità. Su l’ultima proposizione poi, di Ella mi fà appartenente al canto mio, rispondo
che l’esatto disimpegno del Real servizio, quello dello Stato, ed il badare al bene pubblico, non sì da me
mai trascurato; onde potrà riflettere che la mia gran vigilanza, che spendo pri la buona conservazione
de’generi; non può affatto far si, che quei che sono pessimi, diventar ponno di buona qualità. Mi dò il
piacere quindi, Signor Segreto di avvolgere la nota di quei generi abbisognevoli al più per il 15
dell’entrante Agosto, affin di benignarsi con tutta premura dare le sollecite prevenzioni a quel Regio Pro-
Segreto di Marsala, per far si che approntasse li sudetti, conforme da me sono stati espressi in essa
acchiusa nota a quella persona incaricata, che da me seriamente si spedirà per osservare la qualità come
anco da questo Amministratore Economico si manderà altro Soggetto per doversi consegnare li medesimi:
La prego in fine che Ella si benigna a dare uno sguardo alla nostra posizione, e vedrà che il mancarci
questi pochi, ed ordinarj cibi immediatamente siano nel rischio di perdere la vita, poicchè questa Isola è del
tutto deserta, e non somministra verun soccorso al sostentamento umano. Ridolfo Mirabelli. Nota delli
viveri che abbisognano per la nuova provista da levarsi da quella Città di Marsala al più tardi per li
quindici dell’entrante mese di Agosto del corrente anno 1817 per uso degl’Individui che appartengono a
questa Real Piazza del Marettimo cioè: Vino Botti dieci... B.tti 10/Biscotto quintali sei... Q.li 6/Pasta ad
uso di Napoli quintali tre... Q.li 3/Pasta vermicelli quintali tre.. Q.li 3/Pasta per brodo,detta
Intagliatella ... Q.li 2/Fave Salme otto ... Salme 8/Olio quintali due, e Kili cinquanta... Q.li
2,50/Formaggio quintali due.. Q.li 2/Caciocavallo quintali uno .. Q.li 1/Mirabelli.
77 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 270, “lettera di richiesta di ferramenti del colonnello
Micheroux, comandante la Piazza di Trapani al Secreto”.
78 Angeletti Nicola Antonio, nato a Sant’Angelo in Pontano (allora nella delegazione di Fermo
ed ora in Provincia di Macerata) il 5 giugno 1791 da Giuseppe ed Anna Rosa Leoni. Nel 1811 si
arruolò volontario nell’esercito del Regno Italico del Vicerè Beauharnais a cui le Marche erano
state annesse. Nel 1812 e 1813 partecipò con la Grande Armata di Napoleone a diverse battaglie
in Germania (sull’Elba, a Lutzen, a Bautzen, a Lipsia, ecc.); ferito due volte in combattimento, fu
promosso ufficiale. Nel 1815 si arruolò nell’esercito di Gioacchino Murat che, dopo alcuni
successi, fu sconfitto a Tolentino dagli Austriaci. Finito il sogno murattiano, tornò al paese
natale, ma implicato nei moti carbonari di Macerata del 1817, fu costretto alla fuga oltre il
confine del Tronto riparando in Abruzzo. Nel 1820 era nel Regno di Napoli, dove il governo
costituzionale permetteva ai fuoriusciti marchigiani di organizzare tentativi insurrezionali nello
Stato Pontificio. Nel febbraio 1821 partecipò, assieme ad altri esuli e rivoluzionari, ad un
tentativo d’invasione dello Stato Pontificio che fallì per il sopraggiungere dell’esercito austriaco
diretto a Napoli. Nel marzo 1821 si arruolò, col grado di capitano, nell’esercito del Governo
Costituzionale napoletano che, al comando di Guglielmo Pepe , tentò di opporsi agli Austriaci
nella battaglia di Rieti. Dopo l’entrata degli Austriaci in Napoli, tentò di raggiungere un porto
per imbarcarsi alla volta della Grecia, dove pensava di arruolarsi con le schiere dei patrioti
ellenici che combattevano per la loro indipendenza contro i Turchi. Il 22 maggio 1821 venne
arrestato dalla Polizia borbonica a Messina assieme ad un suo compagno, certo Ignazio Bregoli,
e gli vennero trovate addosso carte e diplomi carbonari. Il 25 luglio 1821 fu frustato
pubblicamente per esempio a Napoli, in Via Toledo, perchè Carbonaro. Espulso dal Regno di
Napoli sotto pena di morte in caso di ritorno venne accompagnato alla frontiera e consegnato ai
gendarmi pontifici. Dopo alcuni mesi di carcere trascorsi a Roma, gli fu consentito, nella
primavera del 1822, di ritornare al paese natale. Munito di foglio di via pontificio, salì sulla
diligenza che da Roma andava ad Ascoli Piceno percorrendo la Via Salaria. Quando, dopo Rieti
e precisamente a Città Ducale, questa importante strada attraversava per una diecina di
chilometri un breve tratto di territorio napoletano, la Polizia borbonica effettuò un controllo dei
passeggeri, l’Angeletti venne riconosciuto e nuovamente arrestato. Egli venne accusato d’aver
contravvenuto all’ordine di non rientrare più nel Regno sotto pena di morte e di tentare di
ritornare per qualche congiura carbonara. Il 28 luglio 1822, il caso Angeletti fu discusso a Napoli
nel Consiglio dei Ministri del Governo borbonico che così decise: Il Consiglio è d’avviso di
mandarsi alla fossa del Marettimo. Il 31 luglio 1822, nel corso della seduta del Consiglio di Stato, il
Re approvò la decisione. Il 10 agosto 1822 s’ebbe l’ordine formale di tradurre il detenuto
Angeletti nell’isola di Marettimo. Il primo dicembre 1825, in seguito all’ascesa al trono di
Francesco I°, fu graziato e nuovamente espulso dal Regno delle due Sicilie. Dal gennaio 1826 al
dicembre 1846 fu esule in Francia. Il 26 dicembre 1846 potè rientrare in Italia in seguito
all’amnistia concessa dal nuovo Papa Pio IX. Nel maggio 1848 era nuovamente a Napoli dove
sin dal 10 febbraio era stata concessa la Costituzione. Nel 1849 fu al servizio della repubblica
Romana prima come Capitano comandante la Piazza di Latina e poi come Maggiore
Comandante la Piazza di Loreto. Accorse a Roma per l’ultima resistenza dei Repubblicani,
organizzata da Giuseppe Garibaldi, contro i Francesi dell’Oudinot e, dopo che Roma fu presa, ai
primi di luglio 1849, riparò ancora in Francia. Nel 1854 potè rientrare in Italia, vivendo però
ancora esule a Genova. Il 13 agosto 1860. Quando ormai Giuseppe Garibaldi ed i Mille avevano
conquistato tutta la Sicilia, il sessantanovenne Angeletti raggiunse le Camicie Rosse a Palermo e
venne nominato Maggio re comandante la Piazza di Messina. Nel settembre 1862, passato
nell’Esercito italiano, era in servizio effettivo presso il Comando Militare di Bologna. Il 19
dicembre 1865 venne congedato per raggiunti limiti d’età e fu messo in pensione. Morì a
Sant’Angelo in Pontano (Macerata), suo paese natale, il 25 giugno 1870. Per questa biografia
debbo ringraziare Franco Capponi di Monza, autore di libro biografico intorno alla figura di
Angeletti.
79 La pianta riproducente il Castello di Marettimo, disegnata da Angeletti fa parte della
collezione privata di Franco Capponi di Monza che gentilmente me ne ha inviato copia.
80 L’uso di far convivere i familiari con i militari nei castelli risale ad una concessione spagnola
ereditata anche dai Borboni. La consuetudine comunque risale al tempo dei Punici ed era un
espediente per aumentare l’aggressività degli addetti alla difesa in caso di assedio.
81 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 270 “Supplica di Ignazia Scaduto regia levatrice del castello
di Marettimo al Tribunale del Real Patrimonio del 13 aprile 1804”. La levatrice percepiva
dall’amministrazione il compenso mensile di unoncia.
82 In genere si trattava di ufficiali provenienti dai corpi sedentari.
83 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 170.
84 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 170 “lettera del comandante del forte del Marettimo al
Secreto di Trapani 9 settembre 1814”.
85 ASTP Stato Civile del Comune di Favignana Anni: dal 1818 al 1866
86 Abbiamo tratto la citazione di Croce dalla copertina di una recente pubblicazione su “Nicola
Antonio Angeletti di Franco Capponi”. Op. Cit.
87 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 447 “Forti, riviste dei detenuti 1801-1808”.
88 Rosario Sciaino. Si trattava dello Sciaino, capo dei detenuti comuni del castello di Santa
Caterina in Favignana che guidava la fuga dei detenuti progettata dal generale Pepe che così
raccontava di lui: il loro capo Sciaino commise il fallo di liberare i marinai, i quali andarono ad avvertire
le autorità.....tre rimasero morti, e gli altri furono tutti presi, tranne lo Sciaino, il quale si rifuggiò in casa
d’un prete, donde gli riuscì d’imbarcarsi per Genova. E_passò di là a Milano ove, preso servizio da
soldato, divenne sergente, poscia uffiziale nell’esercito di Murat, bravissimo in guerra, e di savia e
regolare condotta.
89 Con molta probabilità trattasi del Sacerdote Vincenzo Guglielmi che erroneamente viene
indicato di Montefusco e con date diverse.
90 ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 445.
DOCUMENTO N°1
ISOLA DI FAVIGNANA

Piazza Favignana/Esercito di Sicilia/Disterrati/Estratto della Revista da me il Tenente


Colonnello Don Paolo del Cuvillo Commissario Reale di Guerra delli Eserciti di Sua Maestà.
Alli Disterrati della Isola di Favignana a Primo Novembre Mille settecento ottantacinque che
deve servire agli aggiusti ed avere che gli corrisponde nell’espressato mese.

Don Domenico del Vecchio, Domenico Benvinuto, Domenico Chirco, Giuseppe Ingenuaro, Don
Gioacchino Tazzotta, Giuseppe Valenti, Antonio Drò, Francesco de Marzo, Giuseppe di
Gregorio, Don Francesco Filio, Gaetano Evangelista, Don Antonio Colajetti, Giuseppe
Lombardo, Baldassare Gianvalvo, Andrea Lapis, Matteo Costantino, Carlo Castiglione, Rosario
Gianvalvo, Vincenzo Lunetta, Salvatore Romeo, Mario Grammicchia, Felipe Normando, Don
Paolo Seidita, Domenico Canino, Giacinto Dominici, Don Domenico Muscolino, Gennaro de
Luca, Epifanio Lodisi, Vincenzo Azzarello, Marco Antonio Costa, Don Vincenzo Pantaleo,
Antonio Russo, Giuseppe Ajello, Giovanni di Palermo, Benedetto Trombetta, Vincenzo
Panfalone, Nunzio di Natale, Mario Santo Stefano, Francesco Gagliano, Antonio Besano,
DonMariano Musmeci, Don Giuseppe Marchese, Giovanni Battista Auteri, Don Raffaele
Leone,Vincenzo Filiglioli, Francesco Lanza, Francesco d’Aula, Nicola Sulli, Giuseppe Geraci,
Giuseppe Tazzolino, Michele Barzellino, Chierico Don Bartolomeo Poma, Antonio Caronia,
Giuseppe la Rocca, Salvatore la Rosa, Francesco Gensaldi, Alberto d’Ippolito, Giuseppe
Castiglione, Vito Greco, Ippolito Ferrante, Nicola Bonarigo, Libertino Capobianco Burzella,
Giuseppe Rizzo, Francesco Rizzo, Gaspare Palazuolo, Gaetano Cavallaro, Nunzio Incannova,
Leonardo la Mantia, Ignazio Macaluso, Don Pasquale Zucco, Don Vincenzo Durante, Angelo
Casella, Nicola Antonio Ianni, Sebastiano Picorello, Antonio Aguanno, Salvatore Mute, Andrea
Domingo, Don Natale de Luca, Carlo Mammana, Antonio Provenzano, Filippo Marchese,
Ignazio Lo Cascio alias lo sgerro di Palermo, Antonio Colecca, Sebastiano Capotummino, Don
Andrea Inguagiato, Taddeo Sloc, Girolamo Scozzari, Pasquale Geraci, Giovanni Corduci, Don
Pietro Giacomo la Rocca, Gaetano Fiore, Pietro Privitera, Ignazio Giordano, Antonio Grifone,
Giacomo Taglianetti, Sacerdote Don Pietro Giacomo Galoppi.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 259/A carta 203) .

DOCUMENTO N° 2

Il Capitano Don Diego Fench, comandante dei Castelli dell’isola di Favignana certifica il 2
novembre 1785 che il Riligato Sacerdote Don Pietro Giacomo Galeppi proveniente dall’isola di
Pantelleria era giunto a Favignana la sera del 14 del mese di ottobre.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 259°, carta 229).

DOCUMENTO N° 3

Esercito di Sicilia, Piazza di Trapani, Isola di Favignana - Relegati detenuti nelli castelli di
Favignana: a 1 Dicembre 1790. Estratto dalla revista passata da me Tenente Colonnello Don
Paolo del Cavillo Commissario Reale di Guerra delli Eserciti di Sua Maestà alli Relegati della
Piazza di Trapani a primo Dicembre Millesettecentonovanta, che deve servire pell’aggiusti ed
avere che gli corrisponde nell’espressato mese dal fondo del Ramo Militare - Capi: Vincenzo
Martino, Vincenzo Calderi, Francesco Marzo, Matteo Costantino, Rosario Giannaldo, Domenico
Canino, Epifanio Lodisi, Marcantonio Costa, Nunzio Natale, Antonio Bausano, Francesco
Lanza, Giuseppe Geraci, Francesco Gensaldi, Alberto d’Ippolito, Giuseppe Rizzo, Gaspare
Palazzolo, Nicola Bonariga, Libertino Capobianco, Burzella, Nunzio Incannova, Francesco
Rizzo, Leonardo La Mantia, Ignazio Macaluso, Francesco d’Avola, Angelo Casella, Antonio
Aguanno, Andrea Domingo, Antonio Colecca, Girolamo Scozzari, Pasquale Geraci, Pietro
Paruno alias Zuppa, Santo Sinapoli, Francesco La Rosa Biancucci, Gaetano Fiore, Giuseppe
Giajmo, Don Stefano Botta, Santo Majorana, Francesco Messina, Carlo Mammana, Antonio
Augugliaro, Don Giovanni Cardosi, Paolo Mazza, Giuseppe Messina, Francesco la Bianca,
Giovanni d’Anna, Alessandro di Gregorio, Angelo di Pulizzi, Giovanni Curti, Giuseppe Bosco,
Andrea Puma. Ramo Politico: Don Giuseppe Marchese, Don Domenico Muscolino, Don Taddeo
Floc, Don Francesco Clementi, Giuseppe Foderà, Giuseppe Corso, Salvatore Autera, Gaetano
Avellone, Rosario Leonardo, Calogero Mineo, Salvatore Bosco, Gaetano Puglia, Paolo Zanghi,
Mario Russo, Gaspare Amato, Nicolò Bruno Crozza, Sigismundo Gulotta, Giuseppe Stazzone,
Lorenzo D’Oca, Don Vincenzo Grillo, Isidoro Cacciatore, Francesco Viola, Ignazio
Golino,Gaetano Vivieri, Vincenzo Francone, Don Simone Russo, Giuseppe Runzo, Vincenzo
Rossiglione, Matteo Calì, Giuseppe Pajo, Giuseppe Mangano, Don Pietro Natoli, Giuseppe
Russo, Giovanni Valente, Don Giorgio Matranga, Nicola Antonio Tucci, Paolo Nocera, Lorenzo
Gualonghi, Vincenzo Pane, Giuseppe Grazini, Ferdinando Chelazzi. Ramo di Marina: Giuseppe
Ingegnero, Biaggio Caputo, Alessandro Giordano, Pasquale Salvia, Giuseppe Rotolo, Domenico
Zambarello, Vito Zagarese, Cataldo Pelignone, Nicolò Caracciolo, Giacomo Farzo, Filippo Toro,
Filippo Colacchio, Girolamo Lamberti, Nicola Corsini, Zenone Artaje, Paolo Ventimiglia, Don
Francesco Silio, Don Antonio Calasetti, Sacerdote Don Pietro Giacomo Galeppi, Don Antonio
delMastro, Francesco Saverio Longo, Sabato Todaro, Nicola Anzelmo, Diego di Carlo,
Bartolomeo di Riccio, Giovanni Fascione, Gaetano Cincotta, Giuseppe Paladino, Paolo Miglio,
Francesco Mangi(ferro), Pietro Paolo Jacono, Mariano Lombardo, Marco Morelli, Nicola Fon,
Bruno Cario, Giacomo Antonio Nagro, Donato Maurizio, Giuseppe Petrone, Onofrio Spada,
Sebastiano Fabio, Agostino Caruso, Stanislao Mangeri, Francesco Cartuscallo, Antonio
Molinaro, Nicola Nicotra, Domenico Schipani, Lorenzo, Lorenzo Ajello, Nicola Giammarella,
Gaetano Favalli, Andrea Gatto, Angelo Mattano, Andrea Mussella, Pasquale Manzella, Angelo
Antonio Franchella, Antonio Mazzanti, Vincenzo Santini.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461).

DOCUMENTO N°4

Rivista del 1 Maggio 1791 Ramo Militare.


Desterrati: Matteo Costantino, Alberto d’Ippolito, Rosario Gianoaldo, Domenico Canino,
Marcantonio Costa, […] Di Natale, Giuseppe Geraci, Giuseppe Rizzo, Gaspare Palazzolo,
Libertino Capobianco Burzella, Nunzio Incannova, Francesco Rizzo, Leonardo La Mantina,
Girolamo Scozzari, Pasquale Feraci, Pietro Bruno alias Zuppa, Giuseppe Giajmo, Don Stefano
Botta, Gaetano Botta, Santo Majorana, Ignazio Macaluso, Francesco d’Avola, Carlo Mammana,
Michele Augliaro, Don Giovanni Cardosi, Francesco di Marzo, Epifanio Lodisi, Antonio Bojano,
Francesco Geusardi, Antonio Coleccha, Paolo Mazza, Francesco Lanza, Nicola Bonariga,
Andrea Domingo, Francesco la Rosa Bianacci, Francesco Messina, Angelo Casella, Antonio
Aguanno, Gaetano Fiore, Giuseppe Messina, Francesco La Bianca, Alessandro di Gregorio,
Angelo Pulizzi, Giuseppe Bosco, Andrea Puma, Damiano Leone. Ramo Politico: Don Giuseppe
Marchese, Don Giorgio Matranga, Don Francesco Paolo Clemente, Don Taddeo Sloc, Giuseppe
Todera, Giuseppe Corso, Salvatore Auteri, Rosario di Leonardo, Calogero Mineo, Salvatore
bosco, Nicola Bruno Grazza, Sigismundo Gulotta, Giuseppe Stazone, Lorenzo D’Oca, Isidoro
Cacciatore, Francesco Viola, Ignazio Golino,Vincenzo Francone, Matteo Calì, Giuseppe Lo Pojo,
Giuseppe Mangano, Giuseppe Ranzo, Giovanni Valenti, Gaetano Avellone, Don Vincenzo
Grillo, Don Simone Rosso, Paolo Zanghi, Santo Sinopoli, Giovanni Sinopoli, Giovanni Curti,
Giovanni d’Anna, Mario Russo, Gaspare Amato, Gaetano Oliveri, Gaetano Paglia, Vincenzo
Rossiglione, Nicola Tucci, Paolo Nocera, Lorenzo Gialchi, Vincenzo pane, Giuseppe Grazzini,
Ferdinando Chelazzi, Giacchino Impillizzeri, Pietro Zoria, Gaetano Genzaldi, Pietro Lombardo,
Giuseppe Turrisi, Giuseppe la Rocca, Pietro Alizari, Salvatore Gagliardo, Pietro Catrini,
Salvatore Monteleone, Vincenzo Villardita, Giuseppe Passantino, Giovanni Battista Capitano,
Giacchino Callarano, Girolamo Ragolia, Antonio Perrone, Pietro Curti, Domenico Bosco,
Carmine Vitellaro, Salvatore Allegra, Giuseppe Corpora. Ramo Marina: Biaggio Capuano,
Giuseppe Ingognero, Pasquale Salvia, Don Antonio del Mastro, Francesco Longo, Bruno Cajoro,
Giacomo Antonio Nigro, Donato Maurizio, Nicola Giammarella, Alessandro Giordano,
Domenico Zambariello, Vito Zagarese, Cataldo Palignone, Nicola Caracciolo, Giacomo Tarzo,
Filippo Toro, Girolamo Lamberti, Nicola Corsini, Zenone Artese, Sabato Todaro, Nicola
Anzelmo, Bartolomeo Riccio, Giovanni Fascione, Francesco Mancipinto, Giuseppe Pitrone,
Onofrio Spada, Sebastiano Fabbio, Domenico Schipani, Lorenzo Ajello, Angelo Mattano,
Antonio Molinaro, Agostino Caruso, Transilao Mageri, Francesco Cartuscollo, Giuseppe Rotolo,
Gaetano Cincotta, Mariano Lombardo, Filippo Colacchio, Pasquale Ventimiglia, Don Antonio
Calajatti, Francesco Silio, sacerdote Don Pietro Giacomo Galeppi, Diego di Carlo, Marco
Morelli, Nicola Nicotra, Gaetano Fanelle, Andrea Gatto, Giuseppe Paladino, Paolo Miglio,
Nicola Fox, Pietro Paolo lo Jacono, Andrea Majella, Pasquale Manzella, Angelo Antonio
Franchella, Antonio Mazzanti, Vincenzo Santuni, Francesco Falbo.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 445).

DOCUMENTO N° 5

Estratto dalla Rivista da me il Tenente Colonnello Don Paolo De Cuvillo Commissario di


Guerra degli Eserciti di Sua Maestà alli Disaterrati dell’Isola di Favignaa a primo Febbraio 1797
che deve servire pelli aggiusti ed avere che gli corrisponde nell’espressato mese dal fondo del
Ramo Politico. Giuseppe Corso, Isidoro Cacciatore, Ignazio Godino, Giuseppe Lo Pojo,
Giuseppe Ranzo, Gaetano Oliveri, Gaetano Puglia, Vincenzo Rossiglione, Pietro Zoria,
Giuseppe Turrisi, Pietro Curti, Carmine Vitellaro, Carmelo Palermo, Michele Faccianello, Don
Antonio […], Pasquale Brigueri, Giovanni Mistertta, Pietro Girgenti, Vincenzo Purpura, Don
Nunzio Barone, Paolo Urso alias Basisti, Giuseppe Geraci, Francesco La Bianca, (condannati
dalle Corti Baronali: Vincenzo Velardo, Vincenzo Rotolo, Paolo Colombo, Gaetano Di Fede,
Giuseppe Di Francisca, Giovan Battista Fisichella), Pasquale Geraci, Antonio Federico,
Baldassare Fernandes, Gennaro Camera alias Burgitella, Giuseppe Bevilacqua, Nicolò Artale,
Don Salvatore Lone, Salvatore Rubino, Vincenzo Pignatore, (condannati dalle Corti Vescovili:
Sacerdote Don Luigi Lonardo, Sacerdote Don Michele Penta), Giuseppe Ventura, Vincenzo
Sanfilippo, Paolo Genna, Vito Di Fatta, Sacerdote Don Salvatore Pampilonia, Don Stefano Botta,
Gaetano Botta, Pasquale Macani, Filippo Saulli, Alesi Pizatro, Pietro Rubino, Carmine Giunta,
Giuseppe Gaspare Strassi, Castrenze Mazala, Pietro Guarnotta, Gaetano Scorsone, Giovanni
Capizzo, Antonio Rubino, Vincenzo Cirino, Paolo Di Maggio, Don Gaetano Serico, Onofrio
Novara, Celestino Messina, Gaspare Lamia, Antonio Bargione, Vincenzo Francone, Don
Francesco Morello, Gerlando Miceli, Antonio Ajello.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 447).

DOCUMENTO N° 6

Estratto dalla Rivista da me il Tenente Colonnello Don Paolo De Cuvillo Commissario di


Guerra degli Eserciti di Sua Maestà alli Disaterrati dell’Isola di Favignaa a primo Marzo 1797
deve servire pelli aggiusti ed avere che gli corrisponde nell’espressato mese dal fondo del Ramo
Militare. Alberto D’Ippolito, Domenico Canino, Marcantonio Costa, Nunzio Di Natale,
Giuseppe Rizzo, Libertino Capobianco Purzel, Nunzio Incanuova, Francesco Rizzo, Leonardo
La Mantia, Girolamo Scorzari, Pietro Bruno alias Zuppa, Giuseppe Giaimo, IgnazioMacaluso,
Francesco D’Avola, Carlo Mammana, Francesco Di Marzo, Paolo Mazza, Francesco Lanza,
Nicola Ponariga, Andrea Domingo, Francesco Messina, Alessandro Di Gregorio, Angelo
Pulizzi, Giuseppe Bosco, Vincenzo Caradonna, Girolamo Boscarin, Don Ginnaro Fiore, Don
Giovanni Fiore, Nicola Camillo, Antonio Russo, Crescenzo Rega, Rosario Borgione, Michele
Steli, Vincenzo Urso, Giovan Battista Pennisi, Sebastiano Monaco, Don Domenico Landi, Don
Gaetano Landi, Luigi Guerra, Ignazio Rossiglioni, Gennaro Capo Mazza, Don Raimondo
Ribolla, Francesco Lauritano, Antonio Guadagno, Giuseppe Petruzzella, Michele Lona.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 447).

DOCUMENTO N° 7

Don Schimio De Bellicon, Capitano degl’Eserciti di Sua Maestà/Dio Guardi/e Governadore


proprietario dell’Isola e Castelli di Favignana, ed Marittima, Isola di Levanzo/certifica che il
Conte Don Michele Milano, Don Michele Valenti, Don Nicola Geraci, Don Carlo Angimeri, Don
Francesco Grimaldi, Don Franco Antonio Forio, Don Gaetano Lombardi, Don Giuseppe
Antonio Ferraro, Don Giovanni Ferraro, Don Giovanni Richichi, Don Giuseppe Albanese, Don
Domenico Rajo, Don Giuseppe Fronte, sacerdote Don Gaetano Menduri, Sacerdote Don
Domenico Morrara, Sacerdote Don Domenico Candò, Sacerdote Don Paolo Asturi, Sacerdote
Don Giuseppe Battaglia, Don Giuseppe Agrì, Don Franco Bolurgi, Don Federico Bolurgi, Don
Luigi Battaglia, Filippo Bolurgi, Don Giovanni Battaglia, Don Francesco Morelli, Don Pascquale
Caracciolo, Don Stanislao Ferrante, Don Francesco Bal, Domenico Pautari, Don Giuseppe
Trapani, Don Elia Cattone, Don Luigi Catizzone, Cavaliere Don Marcello La Buccetta, Don
Carlo Bosurgi, Federico Barilla, Don Vincenzo Suppa, Don Bernardo Gatto, Gaetano Amante,
Francesco Salimena. L’anzi nominati quaranta Inquisiti di Stato ai quali individualmente si deve
somministrare il diario sussidio di tarì due di Ramo Politico, esistono sino a tutt’oggi 30
Settembre 1799. (Erano arrivati a Favignana provenienti dalla Cittadella di Messina. Vengono
pagati il 1 ottobre 1799 dal Segreto Barone Morello).
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 445, carta 544 v. 545).

INQUISITI DI STATO CARCERATI NELL’ISOLA DI FAVIGNANA: 1799/1800

Canonico Don Demetrio Nava di Reggio, Canonico Don Giovanni Matteo Locoteta di Reggio,
Don Carlo Plutino di Reggio , Bartoluccio Melissari di Reggio, Don Vincenzo Plutino di Reggio,
Don Federico Genovese di Reggio, Don Antonio Genovese di Reggio, Don Rocco Minasi di
Reggio, Don Cirillo Minasi di Reggio, Parroco Don Giuseppe Crisarà di Reggio, Arciprete Don
Damato Pugliatti, Don Giuseppe Migliorini di Reggio, Don Gaetano Soriano di Palma, Don
Nicola Porco di Palma, Don Giuseppe Nesci di Polizzi, Don Franco Nesci di Polizzi, Don
Antonino Ferrante di Reggio, Don Vincenzo Musolino di Reggio, Don Domenico Morostati di
Reggio, Don Antonio Buccetta di Reggio, Don Diego Buccetta di ReggioDon Filippo Cappello di
Reggio, Don Domenico Suppa di Reggio, Don Giuseppe Piconieri di Reggio, Don Antonio Cilea
di Reggio, Don Filippo Borzomati di Reggio, Sacerdote Don Gaedano Meduri di Reggio (fu
ammesso il 23 marzo 1799), Sacerdote Don Domenico Marrara di Reggio, Sacerdote Don
Domenico Cundò di Reggio, Sacerdote Don Paolo Atturri di Majorato di Reggio, Sacerdote Don
Giuseppe Battaglia di Reggio, Don Giuseppe D’Aja Serci di Gaeta, Don Francesco Bosurgi di
Reggio, Don Federico Bosurgi di Reggio, Don Luigi Battaglia di Reggio, Don Frilippo Basurgi di
Reggio, Don Giovanni Battaglia di Reggio, Don Francesco Morello di Reggio, Don Pasquale
Caracciolo di Reggio, Don Stanislao Ferrantedi Reggio, Don Franco Baldi di Torino in Piemonte,
Don Domenico Pontari di Reggio, Don Giuseppe Trapani di Reggio, Elia Cottone di Reggio,
Don Luigi Catizzone di Reggio, Conte Don Marcello La Buccetta di Reggio, Don Carlo Bosurgi
di Reggio, Don Federico Barilla di Reggio, Don Vincenzo Suppa di Reggio, Don Bernardo Gatto
di Reggio, Contino Don Michelino Milano di Napoli, Don Vincenzo Grimaldi di Terminare,
Don Francesco Antonio Grio di Polistena, Don Gaetano Lombardo di Polistena, Don Giuseppe
Antonio Ferraro di Galatro, Don Giovanni Richichi di Pedardi, Don Giuseppe Albanese di
Fabrizio, Don Domenico Raso di Casalnuovo, Don Giuseppe Frantè di Perolato di Calabria, Don
Michele Valentise di Polistena, Don Nicola Geraci di Polistena, Don Girolamo Geraci di
Polistena, Don Carlo Angimeni di Lubrichi.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 445).

DOCUMENTO N° 8

Rivista del 1 Giugno 1800.


Giuseppe lo Pajo di Palermo condannato il 17 Settembre 1783 ammesso il 27 Settembre 1800.
Gaetano Puglia di Napoli condannato il 16 Maggio 1786 ammesso il 17 Marzo 1787. Giuseppe
Turrisi di Palermo condannato il 2 Dicembre 1790 ammesso il 15 Aprile 1790. Michele
Fascianella di S. Cataldo condannato il 30 Maggio 1791 ammesso il 21 Giugno 1791. Giuseppe
Mistretta di Naro condannato il 20 Maggio 1791 ammesso il 23 Novembre 1791. Pietro Girgenti
di Palermo condannato il 17 Settembre 1791 ammesso il 23 Novembre 1791. Don Nunzio
Simone di Castelvetrano condannato il 16 Dicembre 1791 ammesso il 4 Gennaio 1792. Giuseppe
Geraci Capizzi condannato il 20 Marzo 1782 ammesso l’8 Agosto 1783. Nicolò di Natale di
Palermo condannato il 17 Giugno 1793 ammesso il 25 Giugno 1793. Giuseppe Bevilacqua di
Palermo condannato il 17 Giugno 1793 ammesso il 25 Giugno 1793. […] Capizzi condannato il
15 Maggio 1782 ammesso il 20 Febbraio 1793. […] di Palermo condannato il 7 Gennaio 1793
ammesso il 20 Febbraio 1793. Vincenzo Pignataro di Napoli condannato il 15 Agosto 1793
ammesso il 2 Settembre 1783. Giuseppe […] di Catania condannato il 12 Settembre 1793
ammesso il 12 Maggio 1794. Vincenzo S. Filippo di Bronti condannato il 28 Agosto 1793
ammesso il 30 Maggio 1794. Don Stefano Botta di Corleone condannato l’1 Settembre 1788
ammesso il 7 Settembre 1788. Antonio Rubino di Palermo condannato l’8 Agosto 1795 ammesso
il 20 Agosto 1795. Vincenzo Cirino di Marsala condannato l’8 Agosto 1795 ammesso il 20
Agosto 1795. Onofrio Novara di Palermo condannato l’8 Marzo 1795 ammesso il 13 Luglio 1795.
Celestino Messina di Mineo condannato il 21 Febbraio 1795 ammesso il 13 Luglio 1795. Antonio
Borgione di Palermo condannato l’8 Agosto 1795 ammesso il 23 Agosto 1795. Don Francesco
Morello di Canicatti condannato il 22 Agosto 1792 ammesso il 14 Settembre 1792. Gerlando
Miceli di Palermo condannato il 17 Febbraio 1796 ammesso il 14 Marzo 1796. Antonio Ajello di
Palermo condannato il 17 Febbraio 1796 ammesso il 14 Marzo 1796. Pietro Miliano di
Caltagirone condannato il 17 Febbraio 1796 ammesso il 9 Ottobre 1797. Don Giuseppe Salviati
di Caltagirone condannato il 30 Aprile 1796 ammesso il 9 Ottobre 1797. Giuseppe Dominici di
Catania condannato il 20 Maggio 1797. Ludovico Cipolla di Palermo condannato l’8 Luglio
1797. Giuseppe Lo Bue di Palermo condannato il 3 Settembre 1796. Giuseppe di Santo di
Palermo condannato l’8 Ottobre 1796 ammesso il 9 Ottobre 1797. Gaetano Fodale di Palermo
condannato il 13 Ottobre 1796 ammesso il 9 Ottobre 1797. Domenico Patania di Palermo
condannato il 7 Maggio 1797 ammesso il 9 Ottobre 1797. Don Antonio Liuzza di Terranova
condannato il 7 Luglio 1797 ammesso il 9 Ottobre 1797. Arcangelo Ardizzone di Palermo
condannato il 14 Gennaio 1797 ammesso il 9 Ottobre 1797. Giovanni Arena di Palermo
condannato il 14 Gennaio 1797 ammesso il 9 Ottobre 1797. Duca Don Carlo di Majo di Napoli
condannato il 23 Luglio 1798 ammesso l’11 Agosto 1798. Giacomo Intravaja di Monreale
condannato il 23 Luglio 1799 ammesso il 26 Agosto 1799. Giuseppe […] di Pietraperzia
condannato il 12 Ottobre 1798 ammesso il 26 Agosto 1799. Francesco Mattina di Girgenti
condannato il 21 Luglio 1798 ammesso il 26 Agosto 1799. Don Gioacchino […] di Palermo
condannato il 3 Ottobre 1798 ammesso il 26 Agosto 1799. Antonio di Giorgio di Castelvetrano
condannato l’11 Luglio 1798 ammesso 26 Agosto 1799. Francesco Pappalardo Pedara, Giovanni
Longhi Torlane, Michele Lombardo di Trapani, Giuseppe Garofano di Castrogiovanni,
Ludovico Adragna di Marsala, Francesco Bonello di Palermo, Sacerdote Don Luigi Lombardo
Vizzini, Sudiacono Don Michele Penta Fontanarosa, Sacerdote Don Giovanni Battista
Giamonoretti, Calpestano Vincenzo Velardo Terra di Alia, Vincenzo Rotolo Terra di Alia,
Gaetano di Fede del Salento, Giuseppe de’Francisca Resuttana, Gaetano Abita Modica.
(AST Secrezia 447)

DOCUMENTO N°9

Esercito di Sicilia, Rigal Piazza di Trapani, Relegati e Rei di Stato Detenuti in Favignana li 31
Luglio 1814/Estratto della rivista passata per relazione del Governatore di Favignana Maggiore
Don Giuseppe Rapalo a 31 Luglio 1814 e formata da me sottoscritto Don Giuseppe Agraj
Commissario di Guerra degli eserciti di Sua Maestà con destino in questa Real Piazza, e luoghi
di suo reparto ai Relegati e Rei di Stato detenuti ne’castelli di Favignana per servire per gli
aggiusti ed avere che gli corrisponde nell’espressato mese dal Fondo del Ramo Politico. Don
Giuseppe Pappasodoro (con tarì 3 il giorno e il vestiario talare). Col soccorso di Tarì 1 e 10 grana
al giorno senza vestiario seguono: Don Francesco Moretto, Don Antonio Di Matteo,Giovan
Battista Boeria, Don Carmine Fioritta, Don Michele Lombardo, Don Francesco Gallitto, Don
Pasquale Patti, Don Gaetano Botta, Don Giuseppe Giordano, Don Bartolomeo Gervasi, Don
Antonio Tacona, Don Pietro Proto, Don Filippo Polizzi, Don Matteo Biondi, Don Giulio Xibilia,
Don Francesco Argento, Don Giuseppe Barone, Don Domenico Gentile, Don Leonardo D’Asaro,
Don Giovanni Guidotto, Don Antonio Marziante, Don Alfio Emanuele Pepe, Don Giuseppe
Meliti, Don Giovanni Montenero, Don Antonio Musso, Don Girolamo Cipolla, Don Pietro
Bertini, Don Franco Tornabene, Don Domenico Giudice, Don Giovanni Raccuglia, Don Antonio
Forti, Nicola Di Natale, Giacomo Intravaja, Cataldo Delce, Cosimo Di Simone, Calogiro Di
Giorgio, Santo Allotta, Pasquale Giacomazza, Giovanni Fiorillo, Gaetano Buffa, Melchiorre
Bruno, Ignazio Catarinicchia, Concetto Bucceri, Angelo Patricola, Antonino Navarra, Giuseppe
Russo, Rosario Rodino, Francesco Di Bianca, Alfio Petralia, Salvatore Morici, Domenico Longo,
Erasmo Anca, Giuseppe Burgarello, Giuseppe Milo, Vincenzo Daidone, Antonio Randazzo,
Antonino Palmieri, Francesco Serpotta, Mariano Massa, Caloggiro Cucchiara, Girolamo Vara,
Paolo Mulè, Michele Marsala, Tommaso Abbate, Giuseppe Fiandaca, Mario Di Benedetto,
Rosario Amenta, Giuseppe Barba, Gregorio Mannone, Salvatore Storaci, Apollonio Tummino,
Rocco D’Aquino, Mario Bambara, Giuseppe Apparo, Biaggio Biancola, Pietro
Giustiniano,Francesco Buda, Giuseppe Zuppardo, Carmelo Garrone, Giosano Minardi,
Vincenzo Greco, Carmelo Laudi, Giuseppe Tumino, Vincenzo Barbata, Giliberto Cannella,
Raffaele Melilli, Giuseppe Spedale, Domenico Palazzolo, Nicola Pumina, Fra Luigi di San
Giuseppe (senza soccorso), Pietro Ferrara, Sebastiano Accomando, Paolo Pendola, Pietro Bruno,
Gioacchino Lo Giudice, Giuseppe Zuppardo, Giuseppe Piscitello, Rosario Famà, Antonino
Licari, Andrea pillitteri, Giuliano Daidone, Giuseppe Salvaggio, Francesco Tomasi, Matteo
Zuppardo, Angelo Puma, Vincenzo Miceli, Giacomo Pisanti, Orazio Vernaccio, Cesare Ferrante,
Giuseppe Cascio, Giovan Battista Capitano, Nicolò Stanzione, Francesco Salemi, Don Gaetano
Bonanno, Francesco Paolo Ferrara, Croce Vitale, Salvatore Aleo, Paolo Ingarao, Benedetto
Rapisarda, Rosario Pidone, Antonio Macaluso, Giovanni Ferro, Don Bennardo Vanella (ottenne
il sussidio di Tarì 1 e Grana 10 al giorno), Don Ferdinando Masucci, Francesco Coniglio,
Giuseppe Morabito (allo Spedale), Don Giorgio Zappulla, Giuseppe Di Dio Lo Mulo. Col
soccorso di Tarì 1 e 10 Grana al giorno ed il vestiario seguono: Angelo Frazzitta, Giuseppe
Marino (ritornò dallo spedale a 8 detto), Saverio Munari, Gaetano Pannuccio, Giuseppe
Migliore, Pasquale Petrolito,Tommaso Anzaldi,Antonino Prasta, Gioacchino Scalici, Angelo
Sammartino, Pietro Palmisano, Angelo Casa, Giovanni Polito, Carmelo Guardalà, Gaetano la
Rosa, Pasquale Sentina, Giovanni Lombardo, Bruno Laganà, Vincenzo Scherma, Croce Venezia,
Epifanio Alessi, Gaetano Evangelista, Giosuè Ganci, Giuseppe Vella, Paolino Tona, Silvestro
Buffone, Bartolomeo Musachella, Giuseppe Drago, Rosario D’Azona, LeonardoRallo, Nicolò
Saporito, Gaspare Pantaleo, Domenico Lombardo. Rei di Stato: Civili con Tarì 1 e 10 grana al
giorno senza vestiario: Don Giuseppe Cristadoro, Don Francesco Antonio Spadea. Comune di
Grana 15 al giorno senza vestiario: Francesco Patricola. Ramo di Marina. Don Giovanni
Raccuglia (passò al ramo politico), Don Giovanni Lastorina, Don Vincenzo Marino, Vincenzo
Iacono, Andrea Farina, Filippo Cannizzo, Nicola tarantino, Nicola Spina, Mariano Carollo,
Michele Patrotta, Santo Garrario, Michele Chirco, Gaetano Affannato, Fedelke Giunta, Nicola
Luparello, Luigi Farucci, Marco Naso, Filippo Gagliano, Gaetano Guerrera, Francesco
Belluardo, Giuseppe Abate, Lucido De Vita, Francesco Arsena, Giovanni Catalano, Antonio
Piaridazzo 2°, Salvatore Scamaldi, Gaspare li Causi, Natale Li Vigni, Filippo Ferrantelli,
Cristoforo d’Anna, Giovanni Stabile, Salvatore Bongiorno, Francesco Luppino, Giovanni Abate,
Antonio Fulco, Antonio Cappello, Ignazio Mangiaracina, Salvatore Zerbo, Alessandro
Carnaccio, Vito Sciabica, Baldassare Omodei, Francesco Santarelli, Agatino Ajello, Fortunato
Polverenti, Giuseppe Santagati, Giuseppe Barile, Giuseppe Cipolla, Carmelo Di Guardo,
Domenico Pumia, Giovanni Tabone, Paolo Marino, Giorgio Carasa, Michele Gibilaro, Donato
Puglia, Giuseppe Lombardo, Pasquale Manzo, Francesco Mirto, Leonardo Zuppardi,
Nicolantonio Arena, Giuseppe Franchina, Vincenzo Venezia, Filippo Campisi, Andrea
Misuraca, Calogero Castellana.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461).

DOCUMENTO N° 10

31 gennaio 1815 Favignana Ramo Militare: Don Nicola De Blasi, Don Nicola La Carna, Don
Francesco Ponticello, Don Vincenzo Messina, Don Giovanni Caccamo, Don Pasquale Tirri, Don
Antonio Medici, Don Gaetano Costanzo, Don Nunziato Pizzurro, Don Domenico Sapienza, Don
Michele Damicella, Don Gaspare Piscopo, Don Paolo Maltese, Don Giulio Xibilia, Don Faro
Nania, Don Nicola Castronovo, Marcantonio Costa, Giuseppe Geraci, Libertino Capobianco,
Ignazio Macaluso, Leonardo Mantia, Giuseppe Petrozzella, Giuseppe Giajmo, Gaetano Di Fede,
Vincenzo Urso, Nicola Carciottolo, Felice Auteri, Nicola Pignatelli, Croce Piticchio, Calogero
Sanfratello, Rosario Lo Coco, Pasquale Signoretti, Giuseppe Maltese, Giovanni Maisano, Filippo
Marciano, Francesco Marsala, Calogero Messina, Salvatore Mantione, Pietro Morretta, Simone
Modica, Francesco Costa, Salvatore Carbone, Nicola Castronovo, Giuseppe Caruso, Giuseppe
Iacono, Michele Tomasello, Gervasio Agrusa, Francesco Rizzone, Giacomo Spuches, Matteo
Spada, Faro Nania, Simone Troia, Pasquale Vincitori, Carmelo Vaccarella, Nunzio Gentile,
Giuseppe Accardo, Pasquale Lo Bue, Mariano Monticello, Salvatore Salafia, Alberto Salato,
Diego D’Amore, Santo Galati, Biaggio Di Carlo, Margaritino Cannizzo, Giovanni Rizzotto,
Giovanni Fanara, Antonio Tropea, Salvatore Costanzo, Calogero Lo Vetere, Giuseppe Teri,
Nicolantonio Mastrantonio, Paolo La Grutta, Vito Messina, Angelo Spezzano, Giovanni
Maiorana, Michele Gallo, Angelo Manfrè, Michele Zurlo, Epifanio Turiano, Domenico
Pellegrino, Ramo Marina: Don Giovanni Lastorina, Don Vincenzo Marino, Vincenzo Iacono,
Andrea Farina, Filippo Cannizzo, Nicola Tarantino, Nicola Spina, Mariano Carollo, Michele
Petrotta, Santo Garrano, Michele Chirco, Gaetano Affannato, Fedele Giunta, Nicola Luparello,
Marco Naso, Luigi Farucci, Filippo Gagliano, Gaetano Guerrera, Francesco Belluardo, Giuseppe
Abate, Lucido De Vita, Francesco Arsena, Giovanni Catalano, Antonio Randazzo 2°, Salvatore
Scamaldi, Gaspare Li Causi, Natale Li Vigni, Filippo Ferrantelli, Cristoforo D’Anna, Giovanni
Stabile, Salvatore Bongiorno, Giovanni Abate, Antonio Furco, Antonio Cappello, Ignazio
Mangiaracina, Salvatore Zerbo, Alessandro Carnaccio, Vito Sciabica, Salvatore Omodei,
Francesco Santarelli, Agatino Ajello, Fortunato Polverenti, Giuseppe Santagati, Giuseppe Barile,
Giuseppe Cipolla, Carmelo Di Guardo, Domenico Puma, Giovanni Tabune, Paolo Marino,
Giorgio Cerasa, Michele Gibilaro, Donato Puglia, Pasquale Manzo, Giuseppe Mirto, Leonardo
Zuppardo, Nicolantonio Arena, Giuseppe Franchina, Vincenzo Venezia, Filippo Campisi,
Andrea Misuraca, Calogero Castellana, Giuseppe Luparello - Ramo Politico: Sacerdote Don
Giuseppe Papasodaro, Sacerdote Don Giovanni Montenero, Don Francesco Morello, Don
Antonio Di Matteo, Don Carmine Fioritta, Don Michele Lombardo, Don Francesco Galitto, Don
Pasquale Patti, Don Gaetano Botta, Don Giuseppe Giordano, Don Antonio Iacona, Don Pietro
Proto, Don Filippo Polizzi, Don Matteo Biondi, Don Giulio Xibilia, Don Francesco Argento, Don
Domenico Gentile, Don Leonardo D_asaro, Don Giovanni Guidotto, Don Antonio Musso, Don
Franco Tornabene, Don Domenico Lo Giudice, Don Alfio Emanuele Pepe, Don Gio: Batta
Boeria, Don Giuseppe Barone, Don Cataldo Delù, Don Antonio Palmieri, Don Antonino Forte O
Foti, Don Bennardo Vanella, Don Giovanniu Raccuglia, Don Francesco Schiattaregia, Don
Domenico Lombardo, Don Giorgio Zappulla, Nicola Di Natale, Giacomo Intravaja, Cosimo Di
Simone, Calogero Di Giorgio, Santo Arlotta, Pasquale Giacomarra, Giovanni Fiorillo, Gaetano
Butta, Melchiorre Bruno, Ignazio Catarinicchia, Concetto Brucceri, Angelo Patricola, Antonino
Navarra, Giuseppe Russo, Rosario Rodino, Francesco La Bianca, Alfio Petralia, Salvatore
Morici, Domenico Longo, Erasmo Ania, Vincenzo Daidone, Antonio Randazzo, Francesco
Serpotta, Mariano Massa, Calogero Cucchiara, Girolamo Vara, Paolo Mulè, Michele Marsala,
Tomaso Abate, Giuseppe Fiandaca, Mario Di Benedetto, Rosario Amenta, Giuseppe Barba,
Gregorio Mannone, Salvatore Storaci, Apollonio Tummino, Rocco D’aquino, Mario Bambara,
Giuseppe Aparo, Biaggio Biancola, Pietro Giustiniano, Francesco Buda, Giuseppe Zuppardo,
Carmelo Garrone, Rosario Riccardi, Vincenzo Graco, Carmelo Laudi, Giuseppe Tummino,
Vincenzo Barbato, Giliberto Cannella, Raffaele Mililli, Fra Luigi di San Giuseppe, Giuseppe
Spedale, Domenico Palazzolo, Nicola Gumina, Pietro Ferrara, Sebastiano Accomando, Paolo
Pennola, Pietro Bruno, Gioacchino Lo Giudice, Giuseppe Zuppardo 2°, Giuseppe Piscitello,
Rosario Famà, Antonio Licari, Andrea Pillitteri, Giuliano Daidone, Giuseppe Selvaggio,
Francesco Tommasi, Angelo Punza, Vincenzo Miceli, Giacomo Pisanti, Orazio Vernaccio,
Cesare Ferranti, Giuseppe Cascio, Giovanni Battista Capitano, Nicola Stanzione, Francesco
Salemi, Francesco Paolo Ferrara, Croce Vitale, Salvatore Aleo, Paolo Ingarao, Benedetto
Rapisardo, Rosario Pidone, Antonio Macaluso, Giovanni Ferro, Don Ferdinando Masucci,
Francesco Coniglio, Giuseppe Morabito, Giuseppe Di Dio Lo Mulo, Angelo Frazzitta, Giuseppe
Marino, Saverio Furnari, Gaetano Pannuccio, Giuseppe Migliore, Pasquale Petrolito, Tommaso
Anzaldi, Antonio Basta, Gioachino Scalici, Angelo Sammartino, Pietro Palmisano, Angelo Casa,
Giovanni Polito, Carmelo Guardalà, Gaetano La Rosa, Pietro Sentina, Bruno Laganà, Giovanni
Lombardo, Vincenzo Scherma, Croce Venezia, Epifanio Alessi, Gaetano Evangelista, Giosuè
Gangi, Giuseppe Vella, Paolino Tona, Silvestro Buffone, Bartolomeo Musachella, Giuseppe
Drago, Rosario D’Auria, Leonardo Gatto, Nicola Saporito, Gaspare Pantaleo, Salvatore Rosane,
Vincenzo Martines, Cristoforo Trovato, Alberto Scaturro, Ignazio Ribaudo, Domenico Romano.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N° 11

Esercito di Sicilia, Piazza di Trapani, Relegati Detenuti nei Castelli di Favignana. al 31 Maggio
1816. /Estratto della Rivista passata per Relazione del Governadore di Favignana Maggiore
Don Giuseppe Rapalo a’31 Maggio 1816, e formata da me Colonnello Don Luigi De Santier
Governadore della Real Piazza di Trapani, ed incaricato a sostenere in detta Piazza, e Luoghi di
suo Departo le vici di Commissario Reale di Guerra, a’Relegati Detenuti ne’Castelli di
Favignana, che servir deve per li aggiusti, ed avere, che gli corrisponde in detto Mese dal Fondo
del Ramo Politico. Civili di tarì 1.10 al giorno senza vestiario: Sacerdote Don Giovanni
Montenero, Don Francesco Morello, Don Antonio Di Matteo, Don Carmine Fioritta, Don
Michele Lombardo, Don Gaetano Botta, Don Pasquale Patti, Don Giuseppe Giordano, Don
Antonio Iacona, Don Filippo Polizzi, Don Marco Biondo, Don Giulio Xibilia, Don Francesco
Argento, Don Domenico Gentile, Don Leonardo D’Asaro, Don Giovanni Guidotto, Don Franco
Tornabene, Don Domenico Lo Giudice, Don Alfio Emanuele Pepe, Don Giovan Battista Boerio,
Don Cataldo Delù, Don Antonio Palmieri, Don Bernardo Vanella, Don Giovanni Raccuglia, Don
Giorgio Zappulla, Don Rosario Rodino, Don Ferdinando Masucci, Don Cosimo Di Simone, Don
Giuseppe Cantone, Don Giovan Battista Capitano, Don Giuseppe Grasso (fu posto al sussidio di
civile di tarì 1.20 al giorno per ordine del Gran Cuccherario Rossi de’25 Aprile 1818). Comuni di
Grana 18 al giorno ed il Vestiario: Giacomo Intravaja, Calogero Di Giorgio, Santo Arlotta,
Pasquale Giacomazza, Angelo Patricola, Antonino Navarra,Giuseppe Russo, Rosario Rodino,
Francesco La Bianca, Salvatore Morici, Domenico Longo, Erasmo Ania, Francesco Serpotta,
Mariano Massa, Calogero Cucchiara, Girolamo Vara, Paolo Mulè, Michele Marsala, Tommaso
Abate, Giuseppe Fiandaca, Mario Di Benedetto, Salvatore Storaci, Apollonio Tummino, Rocco
D’Aquino,Mario Bambara, Giuseppe Aparo, Biaggio Biancola, Pietro Giustiniano, Francesco
Buda, Giuseppe Zuppardo (in Trapani), Carmelo Garrone, Rosario Minardi, Vincenzo Greco,
Carmelo Laudi, Giuseppe Tummino, Vincenzo Barbata, Giliberto Cannella, Raffaele Mililli,
Giuseppe Spedale, Domenico Palazzolo, Nicola Gumina, Pietro Ferrara, Sebastiano Alcomanno,
Paolo Pennola, Pietro Bruno, Giuseppe Zuppardo 2°, Giuseppe Piscitello, Rosario Famà,
Antonio Licari, Andrea Pillitteri, Giuliano Daidone, Giuseppe Selvaggio, Francesco Tommasi
(era liberato ai 27 detto), Angelo Puma, Vincenzo Miceli, Giuseppe Cascio, Nicola Stanzione,
Orazio Vernaccio, Francesco Salemi, Francesco Paolo Ferrara, Croce Vitale, Benedetto
Ripisardo, Rosario Daidone, Antonio Macaluso, Giovanni Ferro, Francesco Coniglio, Giuseppe
Morabito, Giuseppe Di Dio Lomulo, Angelo Franzitta, Giuseppe Migliore, Giuseppe Marino,
Pasquale Perrolito, Tommaso Anzaldi, Antonio Basta, Angelo Sammartino, Angelo Casa,
Gioacchino Scalici, Pietro Palmisano, Giovanni Polito, Giovanni Lombardo, Carmelo Guardalà,
Gaetano La Rosa, Pasquale Sentina, Croce Venezia, Epifanio Alessi, Gaetano Evangelista,
Giosuè Gangi, Giuseppe Vella, Paolino Tona, Silvestro Buffone,Bartolomeo Musachella,
Giuseppe Drago, Leonardo Gallo, Nicola Saporito, Gaspare Pantaleo, Salvatore Rosone, Alberto
Scaturro, Ignazio Ribauto, Domenico Romano, Biaggio Lazzara, Francesco Allacchi, Gaetano
Salomone (morì all’Ospedale di Trapani ai 9 detto), Leonardo Di Marco, Giuseppe Alfieri,
Nicola Ripoli, Agostino Bentri, Giovanni Lena, Salvatore Patti, Salvatore Lo Re, Gaspare La
Grassa, Giuseppe Blandini, Giuseppe Bonomo, Rosario Cinquemani, Cosimo Di Carlo, Antonio
Ardito (posto in libertà al 3 detto per Ordine de’6 Marzo 1816), Luigi Inzerillo, Carmelo Riggio,
Alfio Petralia, Francesco Saccomanno, Cesare De Biasi (giunse in questa agli 8 detto), Onofrio
Verso Polito (giunse in questa ai 30 detto).
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N°12

Esercito di Sicilia, Real Piazza di Trapani, Disterrati Detenuti nei Castelli di Favignana li 30
Settembre 1816. Estratto della rivista passata per Relazione del Governadore di Favignana
Maggiore Don Giuseppe Rapalo a’30 Settembre 1816, e formata da me Colonnello Don Luigi De
Sandier Governadore della real Piazza di Trapani, ed Incaricato a sostenere in detta Piazza, e
Luoghi di suo Departo le veci di Commissario Reale di Guerra, a’Disterrati Detenuti ne’Castelli
di Favignana, che servir deve per li aggiusti, ed avere, che gli corrisponde in detto Mese del
Ramo Militare: Civili di tarì 2.10 il giorno senza il vestiario: Don Nicola De Blasi, Don Nicola La
Cerna, Don Francesco Ponticello, Don Vincenzo Messina, Don Giovanni Caccamo, Don
Pasquale Tirri, Don Antonio Medici, Don Nunziato Pizzurro, Don Domenico Sapienza, Don
Michele Damicella, Don Gaspare Piscopo, Don Faro Nania (passò all’Ospedale ai 22 detto), Don
Nicola Castronovo (ritornò da Trapani ai 2 detto), Marcantonio Costa, Giuseppe Geraci,
Albertino Capobianco, Ignazio Macaluso (ritornò da Trapani ai 2 detto), Leonardo Mantia,
Giuseppe Giajmo, Vincenzo Urso, Nicola Carcioffolo, Nicola Pignatelli, Croce Piticchio,
Calogero Sanfratello, Epifanio Turiano, Domenico Pellegrino, Rosario Lo Coco, Pasquale
Signorelli, Giuseppe Maltese, Giovanni Majasano, Filippo Marciano, Francesco Marsala, Pietro
Moretta, Salvatore Mantione, Simone Modica, Francesco Costa, Salvatore Carbone, Giuseppe
Iacono, Michele Tomasello, Gervasio Agrusa, Francesco Rizzone, Giacomo Spuches, Simone
Troja, Matteo Spada, Pasquale Vincifori, Carmelo Vaccarella, Giuseppe Accardo, Pasquale Lo
Bue, Mariano Monticello, Salvatore Salafia, Alberto Salato, Diego D’Amore, Santo Galati,
Margarito Cannizzo, Giovanni Rizzotto, Giovanni Fanara, Antonio Tropea, Salvatore Costanzo,
Calogero Lo Vetere, Giuseppe Teri, Nicolaantonio Mastrantonio, Paolo La Grutta, Vito Messina,
Angelo Spezzano (all’Ospedale) Giovanni Majorana, Michele Gallo, Michele Zurlo, Angelo
Manfrè, Giuseppe Coppola, Corrado Grienti, Salvatore Di Dio, Giovanni Cacciatore, Giovanni
Centonze, Gaetano Cottone, Cataldo D’Anna, Nicola Ventura, Stefano D’Angelo, Michele Brex,
Francesco Fisci, Antonio Calia, Antonio Lauria, Giuseppe Cammarata, Pietro Venturella,
Salvatore Bozzo o Rozzo, Corrado Piccione, Filippo Bologna, Onofrio Enea, Francesco Valenti,
Antonio Cacioppo, Giovanni Talluto (ritornò dall’Ospedale a 18 detto), Ignazio Arma
(All’Ospedale), Vincenzo Mirabile, Angelo Capraro, Francesco Montana, Gaspare Palazzolo
(Passò all’Ospedale ai 13 detto), Francesco Casa, Michelangelo Agrò, Francesco Aliseo, Gaetano
Castagna (giunse in questa agli 11 detto).(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N° 13

Mese di Agosto 1821 Castello di S. Giacomo in Favignana /Distribuzione di razione di pane


fatta a qui sottonotati presidiari per il detto mese di Agosto 1821: Ramo Politico: Santo Allotta,
Giuseppe Busio, Raffaele Rodinò, Giuseppe Trapani, Salvatore Morici, Mario Di Benedetto,
Pietro Bruno, Giulio Daidone, Orazio Virnucci, Croce Vitale, Giovanni Lombardo, Silvestro
Bozzoni, Alfio Petralia, Gaspare Centonze, Giuseppe Giacoloni, Vincenzo Calì, Giuseppe
Saccaro, Mario Cattarnoi, Domenico Garipoli, Vinvenzo Butto, Onofrio Chilemoni, Alessio
Robba, Rosario Ribaudo, Michele Stecca, Luciano Diprima, Santo Minnella, Matteo Pipitoni,
Filippo Tammelli, Leonardo Aparo, Salvatore Grego, Giuseppe Messina, Filippo Mendola,
Natale Orlando, Biagio Ripa, Antonio Orizzi, Vincenzo Galotta, Pietro Salerno, Giuseppe
Migliori, Giacomo Tripoli, Santo Zappalà, Antonio Raja Graparo, Filippo Miccichè, Vito
Palmeri, Francesco Lombardo, Salvatore Pisciotta,Pietro Bonventre, Paolo Biondo, Antonio
Canistra, Gaetano Lombardo, Giuseppe Ania, Antonio Bongiovanni, Marco Costa, Leonardo
Lamattia, Nicola Cacioppo, Vincenzo Pignatelli, Croce Piticchio, Calogero Sanfratello,
Domenico Pellegrino, Pietro Maretta, Simone Modica, Francesco Rizzoni, Pasquale Vincifora,
Salvatore Salafrica, Giovanni Fanara, Corrado Serbi, Giovanni Centonzi, Antonio Calia,
Francesco Montana, Giovanni Maisano, Rosario Lococo, Ignazio Macaluso, Matteo Spada,
Francesco Marsala, Onofrio Giglio, Antonio Celesti, Salvatore Bozzo, Giuseppe Losardo,
Vincenzo Talotta, Michele Giarrizzo, Vincenzo Margogliotto, Giuseppe Seguzo, Antonio Pavia,
Vincenzo Veni, Gaetano Roccanera, Antonio Di Manta, Melchiorre Bruno, Francesco Serpotta,
Giuseppe Fiandaca, Salvatore Storaci, Carmelo Landi, Giuseppe Spedale, Domenico
Palazzolo,Pietro Ferrara, Paolo Pendola, Rosario Famà, Rosario Pidoni, Francesco Coniglio,
Giuseppe Morabito, Giuseppe Di Dio Lo Mulo, Pasquale Petralito, Angelo Sammartino,
Antonio Rizzo, Giovanni Dalo, Giuseppe De Santis, Carmine Gardalà, Gaetano La Rosa,
Pasquale Sentina, Gaetano Vangelista, Giuseppe Vella, Paolino Latona, Leonardo Gallo,
Giuseppe Drago, Nicola Saporito, Gaspare Pantaleo, Alberto Scaturro, Salvatore Patti, Carmelo
Riggio, Carlo Fedele, Epifanio Alessi, Alfio Bonaccorsi, Bartolomeo Caruso, Francesco
Schichitelli, Antonio Spampinato, Giuseppe Garofalo, Francesco La Costa, Carmelo Pirillo,
Apollonio Tummino, Saverio Tamarciano, Giuseppe Tumminello, Diego Coppola, Giuseppe
Falzoni, Rosario Pirello, Giuseppe Provenza, Settimo Franzotta, Pietro Anardo,Giuseppe
Gammino, Emanuele Inglese, Giovanni Restuccia, Giovanni Scolo, Angelo Gambino, Giovan
Battista Russo, Giuseppe Tranconta, Saverio Gambino, Mario Lauria, Baldassare Castelli,
Giacomo Boscaglia, Filippo Pilardo, Leonardo Giarrotta, Antonio Latino, Michelangelo Catania,
Baldassaro Marino, Eugenio Conti, Placido Galiano, Giuseppe Mazzola, Giuseppe Lopiccolo,
Gesualdo Gerra, Domenico Tripoli, Giovanni Fragalà, Salvatore Crivello, Giuseppe Calì,
Giuseppe Corso, Francesco Manivagli, Raffaele Meli, Giuseppe Zisa, Vincenzo Rallo, Giacomo
Funara, Francesco Locascio, Giorgio Pugliaca, Ignazio Furnari, Gaetano Rizzo, Rocco Fanara,
Bartolomeo Mamiagli, Salvatore capasso, Salvatore Sparti, Pasquale Lepre, Salvatore
Ardizzone, Serafino Rinaldi, Giuseppe Pirroni, Alfano Schiavo, Rocco Mameri,Nicola Ripoli,
Ferdinando Giordano, Giovanni Cintola, Girolamo Salerno, Antonio Tripi, Francesco Stornelli,
Vincenzo Martinez, Antonio Collura, Antonio Corso, Salvatore Mantione, Francesco Costa,
Michele Tummasino, Giovanni D’Agrusa, Giacomo Spuches, Simone Troia, Mario Monticello,
Diego Damore, Alberto Salato, Marco Cannizzo, Giuseppe Auteri, Nicola Mastrantonio, Paolo
Lagrotta, Giuseppe Coppola, Corrado Piccione, Giovanni Cacciatore, Gaetano Guttoni, Cataldo
D’Anna, Michele Rex, Antonio Zaunia, Giuseppe Cammarata, Pietro Venturella, Onofrio Enia,
Francesco Valenti, Antonio Cacioppo, Vincenzo Mirabile, Michelamgelo Dagra, Francesco
Aliseo, Gaetano Castagna, Vincenzo Urvo, Luigi Terrasi, Domenico Ciulla, Litterio Gerbino,
Benedetto Palladino, Giuseppe Langara, Calogero Dimajo, Vincenzo Arcadipani, Pietro Barone,
Cesare Di Piazza, Michele Larocca, Pietro Fretto, Rocco Genco, Stefano Rosoni, Michele Zurro,
Vincenzo Veli, Vincenzo Sangregorio, Baldassaro Pittinato, Isidoro Alesio, Alfano Artino,
Gaetano Albanesi, Giuseppe Broccoleri, Antonio Cabasino, Antonio Corvoraso, Antonino
Campo, Francesco Cacioppo, Angelo Graparo, Rosario Episcopo, Costantino Fastigiani,
Francesco Celo, Domenico Iannello, Vincenzo Impastato, Giuseppe Locoro, Antonio Messina,
Giuseppe Garofalo, Francesco Marchiano, Vincenzo Manno, Marco Patti, Antonio Brunetti,
Salvatore Preula, Nicola lamia, Francesco Polito, Antonio Scapis, Francesco Celfo, Ignazio Trirè,
Filippo Vitale, Gaetano Barbera,, Bartolomeo Bruno, Gerardo Lovecchio, Stefano Ragusa,
Antonio Ajello, Francesco Morabito, Sebastiano Cassarino, Giuseppe Esposito, Vito Garofalo,
Stefano Lamia, Vito Mangogna, Girolamo Nocerino, Antonio Patti, Vincenzo Quarta, Giuseppe
Guarrasi, Giuseppe Vetrano, Giovanni Naro, Giuseppe Cordio, Vito Mannone, Mauro Paglinea,
Michele Chiarenza, Francesco Palmeri, Gaetano Ferruggia, Giovanni Orecchia, Giuseppe
Marrtinez, Rosario Romeo, Domenico Rosato, Cosimo Passantino, Orazio Larocca, Raffaele
Impiruglia, Vito Antonio Nicolicchia, Giovanni Simonelli, Michele Avanzato, Antonio Losecco,
Vincenzo Losecco, Giovan Battista Losecco, Gioacchino Losecco, Gioacchino Dimiceli, Francesco
Terillo, Gaspare Morreale, Simone Impolito, Antonio Candulo, Ciriaco D’Ancore, Venerando
Rimando, Paolo Mauro, Vito Calcagno, Salvatore Domeniano, Biaggio Bella, Domenico
Parmizzo, Giuseppe Capobianco, Salvatore Boncoraglio, Angelo Biondo, Salvatore Campanella,
Ignazio Giufrida, Biaggio Candio, Luigi Arena, Carmelo Siciliano, Martino Sciacca, Andrea
Arini, Giovanni Randazzo, Giovanni Macaluso, Salvatore Volo, Giovanni Caruso, Giuseppe
Grasso, Michele Napoli, Francesco Marino, Croce Venezia, Carlo Leone, Onofrio Mordino,
Matteo Ciambella, Giuseppe Broccia, Giuseppe Costadura, Saverio Minardi, Raffaele Peres,
Paolo Grammatico, Salvatore Buongiorno, Giuseppe Pugliese, Giuseppe Salvaggio, Antonio
Macaluso, Sebastiano Amodeo, Filippo Abanagli, Alberto Capobianco, Epifanio Turciano,
Giuseppe Accardo, Salvatore Palumbera, Giuseppe Bonavia, Giuseppe Lopinto, Mario
Almanzo, Giuseppe Di Stefano, Giuseppe Pirroni, Francesco Siragusa, Domenico Longo,
Giuseppe Zuppardo, Francesco Saleoni, Angelo Franzitta, Angelo Casa, Antonio Alotta,
Tomaso Aniello, Nicola Guerrera, Nicola Masi, Nicola Milisenna, Antonio Alessi, Francesco
Coletti, Caloggero Cocchiaro, Tintaro Culicchia, Giuseppe Spedaliero, Giusto Giuele, Giuseppe
Marino, Salvatore Corleone, Caloggero Adamo, Domenico Giambellaro, Diego Mangiapanelli,
Francesco Paolo Ferrara, Filippo Bologna, Nicolò Zacco, Vito Messina. (ASTp, fondo Secrezia,
busta nr. 461)

DOCUMENTO N° 14

Castello di S. Caterina in Favignana


Stato nominativo de’Condannati esistenti in questo Departo che ricevono l’intiera razione di
pane , fave, olio e legna durante il mese di Agosto 1821. Onofrio Caponetti (morì all’Ospedale di
Trapani a 23 Luglio 1821). Gaspare Li Causi, Pietro Capra (passò all’Ospedale di Trapani al 25
agosto 1821 ), Antonio Mazzola, Vincenzo Rizzo. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N°15

Castello di S. Caterina in Favignana agosto 1821


Stato nominativo de’Servi di pena esistenti in questo departo appartenenti al Ramo Politico che
ricevono il solo pane: Francesco Allacchi, Vincenzo Luparello, Francesco Casa, Leonardo De
Leonardis, Francesco Miranda, Diego Di Giovanni, Giovanni Majorana, Angelo Manfrè,
Giuseppe Saua, Nicola Culicchia, Giuseppe Marsala, Nicola Ventura, Salvatore Di Dio, Felice
Federici. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N°16

Castello S. Giacomo Favignana. Distribuzione fatta dal giorno 14 Febbraio a tutti li 17 detto di
una Razione di pane per ciascheduno dei quì sottonotati Individui: Giorgio Fusco, Pietro
Ciumebella, Francesco Milano, Giovanni Calamara, Vincenzo Comuto, Giuseppe Castelli,
Nicolò Raimondo, Giuseppe lo Presti, Luigi Giojosa, Giovanni Battista Tumminello, Giuseppe
Massa, Andrea Calasciura, Vincenzo Capodieci, Girolamo Monaco, Gaetano Moncagna,
Giuseppe Moncagna, Stanislao Moscè, Vincenzo Pagano, Giuseppe Adragna, Gioacchino la
Lumia. 28 febbraio 1821, per sudetto periodo vengono erogate complessivamente n° 8 razioni
pane. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N°17

Castello S. Caterina 1 Marzo 1821. Stato nominativo de’Servi di pena esistenti in questo Departo
appartenenti al Ramo Politico che ricevono il solo pane: Francesco Allacchi, Vincenzo Luparello,
Francesco Masino, Francesco Casa, Leonardo de Leonardis, Francesco Mitanta, Diego di
Giovanni, Giovanni Majorana, Angelo Manfrè, Giuseppe Saccà, Nicola Culicchia, Giuseppe
Marsala, Nicola Ventura, Salvatore di Dio, Felice Federici. Per un totale di 420 razione di pane
di once 24 a razione per n° 28 razioni ad ogni detenuto. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N° 18

Febbraio 1822 S. Giacomo Ramo Politico: Santo Allotta, Rosario Rodinò, Giuseppe Trapani,
Salvatore Morici, Mario Di Benedetto, Pietro Bruno, Giuliano Daidone, Croce Vitale, Giovanni
Lombardo, Silvestro Bozzoni, Alfio Petralia, Gaspare Centonzi, Mario Catarasi, Domenico
Garipoli, Nicolò Buttò, Onofrio Chillemi, Alessandro Robba, Rosario Ribaudo, Luciano Di
Prima, Santo Minella, Matteo Pipitoni, Filippo Iannelli, Leonardo Aparo, Salvadore Greco,
Giuseppe Messina, Filippo Mendola, Natale Orlando, Biaggio Ripa, Antonino Prizzi, Vincenzo
Gulotta, Pietro Salerno, Giuseppe Migliore,Antonino Tripi, Santo Zappalà, Antonio Craparo,
Filippo Miccichè, Vito Palmeri, Francesco Lombardo, Salvadore Pisciotta, Pietro Bonventre,
Paolo Biondo, Antonio Luca Cannistrra, Gaetano Lombardo, Girolamo Ania, Antonio
Bongiovanni, Marcantonio Costa, Leonardo La Mantia, Nicola Cacioppo, Nicola Pignatelli,
Croce Cuticchio, Caloggero Sanfratello, Domenico Pellegrino, Pietro Maretta, Simone Modica,
Francesco Vizzoni, Pasquale Vincifera, Salvadore Salafrica, Giovanni Fanara, Corrado Lenti,
Giovanni Centonzi, Antonio Calia, Francesco Montana, Giovanni Maisano, Rosario Lo Coco,
Ignazio Macaluso, Matteo Spada, Francesco Marsala, Onofrio Giglio, Antonino Petesti,
Salvadore Bozzo, Giuseppe Lo Sardo, Vincenzo Gulotta, Vincenzo Vecci, Antonio Pavia,
Gaetano Boccanera, Antonio Di Manta, Gaetano Castagna, Melchiorre Bruno, Francesco
Serpotta, Giuseppe Fiandaca, Salvadore Storaci, Carmelo Landi, Giuseppe Spedale, Domenico
Palazzolo, Pietro Ferrara, Paolo Cendola, Rosario Famà, Rosario Pidoni, Francesco Coniglio,
Giuseppe Di Dio Lo Mulo, Pasquale Petralito, Angelo Sammartino, Carmelo Guardalà, Gaetano
La Rosa, Pasquale Sentina, Gaetano Vangelista, Giuseppe Vella, Paolo La Tona, Leonardo
Rallo, Giuseppe Drago, Nicola Saporito, Gaspare Pantaleo, Alberto Scaturro, Salvadore Patti,
Carmelo Riggio, Carlo Fedele, Epifanio Alessi, Alfio Bonaccorsi, Francesco Scicchitelli, Antonio
Spampinato, Francesco La Corte, Carmelo Zerilli, Apollonio Tummino Salvino Damiani,
Giuseppe Tummino, Diego Coppola, Giuseppe Falzoni, Rosario Pivallo, Giuseppe Provenza,
Letterio Frazzitta, Giuseppe Tumminello, Giovanni Restuccia, Giovanni Scollo, Angelo
Gambino, Gio:Batta Russo, Giuseppe Tramonte, Saverio Gambino, Mario Lauria, Baldassaro
Castelli, Giacomo Boscaglia, Leonardo Garraffa, Antonio Latino, Michelangelo Catania,
Baldassaro Marino, Eugenio Conti, Giuseppe Mazzola, Giuseppe Lo Piccolo, Gesualdo Cerra,
Giovanni Fragali, Sebastiano Caruso, Giuseppe Gulli, Giuseppe Corso, Salvadore Crivello,
Francesco Manciagli, Saverio Capasso, Pasquale Lepre, Salvadore Ardizoni, Giuseppe Pirroni,
Stefano Schiavo, Nicola Ripoli, Ferdinando Giordano, Giovanni Centola, Francesco
Palmeri,Girolamo Salerno, Francesco Stornelli, Vincenzo Martines, Antonio Collura, Antonino
Corso, Salvadore Mantione, Michele Tummasello, Gesualdo D’Agrusa, Giacomo Spuches,
Simone Troia, Mario Monticello, Diego D’Amore, Alberto Salato, Benedetto Palladino,
Margantino Cannizzo, Giuseppe Auteri, Nicola Mastrantonio, Paolo La Grotta, Giuseppe
Coppola, Corrado Piccioni, Giovanni Cacciatori, Gaetano Cuttoni, Cataldo D’Anna, Michele
Brex, Giuseppe Cammarata, Pietro Venturella, Onofrio Ania, Francesco Valenti, Antonio
Cacioppo, Vincenzo Mirabile, Michelangelo D’Agrò, Francesco Aliseo, Vincenzo Urso, Luigi
Terrasi, Domenico Ciulla, Litterio Gerbino, Giuseppe Zangara, Calogero Di Majo, Vicenzo
Arcadipani, Pietro Barone, Cesare Di Piazza, Michele La Rocca, Ciro Manninna, Pietro Fretto,
Rocco Genco, Stefano Ruponi, Michele Zurro, Vincenzo Veli, Vincenzo Sangregorio, Baldasaro
Pettinato, Pietro Accardi, Isidoro Alessio, Stefanoantino, Gaetano Albanesi, Giuseppe
Broccoleri, Antonio Cabasino, Antonio Calvaruso, Antonino Campo, Francesco Cacioppo,
Angelo Graparo, Rosario Episcopo, Francesco Gelo, Vincenzo Impastato, Giuseppe Lo
Coco,Antonio Messina, Giuseppe Garofalo, Francesco Marchiano, Vincenzo Manno, Antonio
Brunetti, Salvadore Cendola, Nicola La Milia, Francesco Polito, Antonino Schepis, Paolo
Mauro,Ignazio Trivè, Filippo Vitale, Gaetano La Barbera, Bartolo Bruno, Geraldo Del Vecchio,
Stefano Ragusa, Antonino Ajello, Francesco Mirabile, Sebastiano Cassarino, Vito Garofalo,
Giuseppe Garofalo, Stefano Lamia, Vito Mangogna, Girolamo Nocerino, Antonino Rizzo,
Giuseppe Guarrasi, Giuseppe Vetrano, Giovanni Naro, Giuseppe Cordio, Vito Mannone, Mauro
Pagliuca, Giovanni Dato, Salvadore Chiarenza, Gaetano Ferruccia, Giovanni Brecchia, Giuseppe
Martines, Antonino Romeo, Orazio La Rocca, Raffaele Impiraglia, Vito Antonio Nicolicchia,
Giovanni Scimonelli, Michele Avanzato, Vincenzo Lo Secco, Gioachino Lo Secco, Giovanni
Battista Lo Secco, Gioachino Di Miceli, Francesco Zerilli, Gaspare Morreale, Scimone Ippolito,
Giuseppe Grasso, Antonio Candullo, Ciriaco D’amore, Venerando Rinaudo, Salvadore
Damiani, Vito Calcagno, Biagio Betta, Domenico Panizzo, Giuseppe Capobianco, Salvadore
Boncoraglio, Angelo Biondo, Luigi Arena, Carmelo Siciliano, Martino Sciacca, Andrea Arini,
Giovanni Caruso, Giovanni Macaluso, Salvadore Volo, Michele Napoli, Croce Venenzia,
Onofrio Mordino, Matteo Cianciabella, Giuseppe Costadura, Saverio Minardi, Raffaele Peres,
Paolo Grammatico, Salvadore Bongiorno, Giuseppe Pugliese, Domenico Rosato, Andrea
Incandela, Nicolò Guartana, Guglielmo Chiseo, Nicola Aliotta, Giuseppe Canino, Francesco
Casa, Giuseppe De Santis, Giovanni Randazzo, Giuseppe Saccaro, Andrea Spagnuolo,
Francesco Paolo Costa, Antonio Patti. Ramo Marina: Fedele Giunta, Gaetano Guerrera, Antonio
Randazzo, Salvadore Scamardi, Salvadore Zerbo, Giuseppe Luparello, Tommaso Muratore,
Simone Cusimano, Antonio Lombardo, Filippo Ferrantelli, Salvatore Tramuta, Francesco
Santarelli, Giovanni Tabboni, Donato Puglia, Giovanni Siragusa, Vincenzo Venezia, Carmelo
Rizzo, Mario Platania, Girolamo Cadetta, Diego Piazza, Salvadore Scaduto, Nicola Luparello,
Giovanni Di Caro, Francesco Baluardo, Salvadore Piamonte, Giuseppe Buchicchia, Vincenzo
Sanfilippo, Baldassaro Maniscalco, Francesco Mirto, Andrea Farina, Antonino Montana,
Margantino Ajello, Fortunato Polvidenti, Leonardo Luppardo, Biaggio Di Mauro, Filippo
Campisi, Caloggero Castellana, Giovanni Battista Alastra. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N° 19
Detenuti rinchiusi alla data del 14 febbraio 1821 nel castel S. Giacomo di Favignana che erano
destinati all’isola di Marettimo: Giorgio Fusco, Pietro Giumebella, Francesco Milano, Giovanni
Calamara, Vincenzo Comuto, Giuseppe Castelli, Nicolò Raimondo, Giuseppe Lo Presti, Luiggi
Gioiosa, Gio: Batta Tumminello, Giuseppe Massa, Andrea Calasciura, Vincenzo Capodieci,
GirolamoMonaco, Gaetano Mongagna, Giuseppe Mongagna, Stanislao Nascè, Vincenzo
Pagano, Giuseppe Adragna, Giacchino La Lumia. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 461)

DOCUMENTO N° 20
ISOLA DI MARETTIMO:
Relegati nell’Isola di Marettimo agosto 1757 Don Joseph Gioben, Don Ector Capece, Don
Francisco Millan, Don Alonzo Flanva, Don Pedro Natoli, Philipe Stallone, Joseph Serao,
Manoliano Lo Jacono, Pedro Impellizzeri, Antonio Raguglione, Sacerdote Pietro Ruggieri,
Vincente Izzo. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 58)

DOCUMENTO N° 21
Relegati nell’Isola di Marettimo al 10 Ottobre 1788. Col sussidio di grana 10 al giorno: Nicola
D’Ischia, Lorenzo Fallacchio, Domenico Giordano, Nicola Nicotra, Giuseppe Di Nunzio,
Giuseppe Cucci, Barnardo Carpentieri, Andrea Tufano, Pietro Angrisano, Filippo Curcio,
Vingenzo Lungo, Pasquale Di Lenzi, Ottavio Cirillo, Onerio Polidoro, Calogero Sampitello,
Marco Morelli, Giuseppe Rizzo, Nicolò Fox (dal 9 Agosto venne ricoverato al San Sebastiano di
Trapani) (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 443)

DOCUMENTO N° 22

Don Carmine Forte Azarin Tenente degli Eserciti di Sua Maestà e Comandante proprietario del
Real Castello ed Isola del Marettimo Certifico qualmente da Don Antonio Incagnone qual
procuratore del Partitario de’Viveri di questo Real Castello Don Natale DajDone sono stati
diariamente soccorsi li trentatre forzati e rilegati esistenti in questo Castello alla raggione di
Grana dieci al giorno per ciascheduno giusta l’elemosina che li passa Sua Maestà. In tutto il
corso dell’espirante mese e cioè: Nicola D’Ischia, Lorenzo Fallacchio, Domenico Giordano,
Giuseppe Di Nunzio, Giuseppe Cucci, Bernardo Carpinteri, Andrea Tufano, Pietro Angrisano,
Filippo Curcio, Vincenzo Longo, Pasquale Di Lucia, Ottavio Cirillo, Onofrio Polidoro,
Domenico De Franco, Michele Malatesta, Sebastiano Picarielli, Raffaele Andretta, Angiolo
Santoro, Arcangelo Oliveri, Felice Mustari, Santo Vitelli,Pasquale Fontanarosa,Vincenzo
Chiusano, Giovanni Cornacchia, Giovanni Ripa, Antonio Giacobbe, Vincenzo Calabrese,
Giuseppe De Santis, Don Carlo Giordano, Calogero Sanfratello, Giuseppe Rizzo, Giuseppe
Castiglione, Nicolò Pignatelli. E perchè consti dove conviene dono il presente sottoscritto di
proprio pugno e munito col solito suggello. Marettimo 31 Dicembre 1790. Comandante, il
Tenente Carmine Forte Azarin (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 443)

DOCUMENTO N°23
Relegati e forzati esistenti nell’isola del Marettimo al 31 Gennaio 1791. Nicola D’Ischia, Lorenzo
Fallacchio, Domenico Giordano, Giuseppe Di Nunzio, Giuseppe Cucci, Bernardo Carpentiere,
Andrea Fasano, Pietro Angrisano, Filippo Curcio, Vincenzo Longo, Pasquale Di Lucia,
Ottaviano Cirillo, Onorio Polidoro, Domenico De Franco, Michele Malatesta, Sebastiano
Picariello, Raffaele D’Auretta, Angiolo Santoro, Arcangelo Oliveri, Felice Mustari, Santo Vitelli,
Pasquale Fontanarosa, Vincenzo Chiusano, Giovanni Cornacchia, Giovanni Ripa, Antonio
Giacobbe, Vincenzo Calabrese, Giuseppe De Santis, Don Carlo Giordano, Calogero Sanfratello,
Giuseppe Rizzo, Giuseppe Castiglione, Nicolò Pignatelli. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 443)

DOCUMENTO N° 24
Don Carmine Forte Azarin Tenente degli Eserciti di Sua Maestà e Comandante proprietario del
Real Castello ed Isola del Marettimo, certifico qualmente da Don Antonio Incagnone qual
procuratore del Partitario de’Viveri di questo Real Castello Don Natale Daidone sono stati
diariamente soccorsi li trentatrè forzati e rilegati esistenti in questo Castello alla raggione di
grana dieci al giorno per ciascheduno giusta l’elemosina che li passa Sua Maestà. In tutto il
corso dell’espirante mese e cioè: Giuseppe Cucci, Pietro Angrisano, Filippo Curcio, Vincenzo
Longo, Pasquale Di Lucia, Domenico De Franco, Angiolo Santoro, Arcangelo Oliveri, Santo
Vitelli, Pasquale Fontanarosa, Vincenzo Chiusano, Giovanni Cornacchia, Giovanni Ripa,
Antonio Giacobbe, Vincenzo Calabrese, Giuseppe De Santis, Don Carlo Giordano, Calogero
Sanfratello, Giuseppe Castiglione e Nicolò Pignatelli. Questi in tutto il corso del mese, e
Melchiorre Renda, Carmine Messina, Nicolò D’Ischia, Lorenzo Fallacchio, Domenico
Giordano,Giuseppe Di Nunzio, Andrea Tufano, Michele Malatesta, Ottavio Cirillo, Onofrio
Polidoro, Sebastiano Picariello, Raffaele D’Andretta e Felice Mustari, questi ultimi tredeci
soccorsi per via del Capitano di questa Real Feluca sino al giorno due del cadente mese che
furono dallo stesso consegnati nella cittadella di Messina. E perchè consti dove conviene, dono
il presente sottoscritto di proprio pugno e munito col solito suggello. Marettimo 30 Settembre
1791/Comandante Il Tenente Carmine Forte Azarin. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 443)
DOCUMENTO N° 25

Distribuzione del Presti fatta alli sottoespressati forzati e Presidiarj da Don Andrea Li Volsi a
Michele Angelieri di questa Real Dispenza per tutto il mese ottobre 1797. Ramo Marina:
Francesco Vulla di S. Elia in Nocera condannato a vita il 12 febbraio 1796 dalla Vicaria Delegata
entra il 1 maggio 1796. Santo Vitelli d’Orsogna in Chieti condannato a vita il 17 agosto 1790
dalla Gran Corte di Napoli, entra il 17 novembre 1790 Giuseppe Nobile di Potenza in Matera
condannato il 17 febbraio 1796 dalla Vicaria Delegata entra il 1 maggio 1796. Domenico
Panunleo di Montenero in Lucera condannato il 12 febbraio 1796 dalla Vicaria Delegata entra il
1 agosto 1796. Giuseppe Maroncelli condannato il 7 Novembre 1793 con Real Dispaccio, entra il
14 agosto 1795, Pietro Buchicchio di Ariano Montefusco condannato il 9 luglio 1796 con Real
Dispaccio entra il 3 ottobre 1796. Donato Cirino di Riposto, condannato in dicembre 1796 dalla
Giunta con Real Dispaccio entra il 13 marzo 1796. Luigi Di Pietra di S. Giano Prov. Chieti,
condannato il 5 dicembre 1795 dalla Giunta di Guerra con Real Dispaccio entra il 3 maggio
1796. Alsazio Pugliellidi di Frattola nell’Aquila condannato il 13 luglio 1796 dalla Vicaria entra
il 3 ottobre 1796. Antonio Bartolo di Apici in Montefusco condannato il 1 agosto 1792 dalla
Gran Corte della Vicaria entra il 17 settembre 1792. Giuseppe Maraj d’Agata di Puglia
condannato il 26 luglio 1795 dalla Delegazione in Lucera entra l’11 marzo 1796. Giuseppe
Buchicchio d’Ariano Montefusco, condannato il 13 luglio 1796 dalla Vicaria, entra il 3 agosto
1796. Giovanni Romano di Aversa Provincia Terra Lavoro condannato il 23 gennaio 1796 dalla
Giunta di Guerra, entra il 13 marzo 1796. PaoloTortorelli di Verzano in Salerno il 13 dicembre
1793 dalla Gran Corte Delegata entra il 18 novembre 1794. Matteo Di Leo di Ebboli in Salerno
condannato il 19 dicembre 1793 dalla Gran Corte Delegata entra il 13 ottobre 1794. Matteo
Mariano di Castelvedere in Montefusco condannato il 1 ottobre 1795 dalla Gran Corte Delegata
entra il 1 maggio 1796. Alessandro Santamaria Nantrale Montefusco condannato il 26 giugno
1795 dalla Vicaria Delegata entra il 1 maggio 1796. Angiolo Santoro di Monteacuto Cusenza
condannato il 22 giugno 1790 dalla Gran Conte Vicaria entra il 10 novembre 1790. Carlo
Uncino di Nautrale in Montefusco condannato il 26 gennaio 1796 dalla Gran Corte Vicaria
entra il 1 maggio 1796. Nicola Cerla di Lango in Montefusco condannato il 26 gennaio 1796
dalla Gran Corte Vicaria entra il 1 maggio 1796. Antonio Macellaro di Campagna d’Eboli
condannato il 30 febbraio 1797 dalla Giunta di Guerra entra il 2 novembre 1797. Giuseppe
Zucchetta di Monteaceto in Cusenza condannato il 30 gennaio 1797 dalla Giunta di guerra
entra il 22 marzo 1797. Pasquale Russo di Foggia in Lucera condannato il 30 gennaio 1797 dalla
Vicaria, entra il 27 marzo 1797. Niccolò Maria di Foggia in Lucera condannato il 20 gennaio 1797
dalla Vicaria entra il 27 marzo 1797. Domenico La Forgia di Foggia in Lucera condannato il 30
gennaio 1797 dalla Vicaria entra il 27 marzo 1797. Rocco Cesareo d’Eboli in Salerno condannato
il 13 novembre 1793 dalla Gran Corte Delegata entra il 13 novembre 1794. Giacomo Resto di
Cavino di Terra Lavoro il 1 settembre 1791 dalla Gran Corte Vicaria il 20 febbraio 1792.
Giovanni La Vecchia dello Spineto in Lucera condannato il 24 agosto 1797 dalla Delegazione
Straordinaria entra il 18 ottobre 1797. Francesco Paladino di Greci condannato il 27 luglio 1797
dalla Delegazione Straordinaria entra il 18 ottobre 1797. Samuele Quinci di Trivento in Lucera
condannato il 23 luglio 1795 dall’Avvocato fiscale in Lucera entra il 18 ottobre 1797. Antonio
Paulella di Montesovalso in Montefusco, condannato il 28 agosto 1797 dalla Delegazione
Straordinaria, entra il 18 ottobre 1797. Ramo Militare: Don Carlo Giordano nato in Trapani,
condannato il 7 novembre 1789 da Real Ordine , entra il 7 gennaio 1790. Nicola Antonio Tucci
di Napoli, condannato il 29 gennaio 1796 dalla Gran Corte di Palermo il 13 marzo 1796. Niccolò
Pignatelli di Palermo, condannato il 16 ottobre 1785 dalla Gran Corte di Palermo il 2 settembre
1790. Ramo Politico: Giuseppe Garrettone, senza filiazione, condannato il 7 luglio 1796 a
disposizione Reale, entra il 3 novembre 1796 (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 445)

DOCUMENTO N° 26

Ramo Politico: Aprile 1809. Don Nicola Ricciardi, di Foggia in Lucera, condannato a 17 Luglio
1813 a vita durante. Entrò a 7 Settembre 1813, condannato di Real Ordine (a tarì 1.10 al giorno).
Sacerdote Don Francesco Tedesco, di S. Giovanni in Fiore di Catanzaro, condannato a 27 Marzo
1804 per Reale Disposizione. Entrò a 26 Luglio 1804, condannato di Real Ordine. Francesco
D’Ambrogio, di Palaga Matera, condannato a 2 Agosto 1805 vita durante. Entrò a 10 Novembre
1805, condannato dalla Gran Corte della Vicaria. Guglielmo Rocco Caputo, di Fiorenza in
Matera, condannato a 2 Agosto 1805, vita durante. Entrò a 20 Novembre 1805, condannato dalla
Gran Corte della Vicaria. Francesco D’Andria, di Merenza in Matera, condannato a 2 Agosto
1805 vita durante. Entrò a 10 Novembre 1805 condannato dalla Vicaria. Giuseppe De Laureatis,
di Roccanova in Cosenza, condannato a 22 Luglio 1805, vita durante. Entrò a 20 Novembre
1805, condannato dalla Vicaria. Giuseppe Basisci, di Marcellinova in Catanzaro, condannato a
27 Settembre 1802 vita durante. Entrò a 10 Novembre 1805, condannato dalla Gran Corte della
Vicaria. Giovanni Bruno, di Feriore in Catanzaro, condannato a 27 Settembre 1802, vita durante.
Entrò a 10 Novembre 1805, condannato dalla Gran Corte della Vicaria. Antonio Monaco, di
Migliano Terra Lavoro, condannato a 24 Marzo 1803 vita durante. Entrò a 10 Novembre 1805,
condannato dal Tribunale di Campagna. Francesco Colabella, di Curati. Condannato a 14 Aprile
1802, Vita durante. Entrò a 20 Novembre 1805, condannato di Real Ordine. Saverio Michele
Damiani, di Palazzo in Matera, condannato a 2 Agosto 1805 vita durante. Entrò a 17 Gennaio
1806 condannato dalla Gran Corte della Vicaria Saverio Capasso, di Terra Lavoro, condannato a
2 Settembre 1806, vita durante. Entrò a 2 Maggio 1807, condannato dalla Vicaria di Messina.
Don Alessandro Pignalverd, di Reggio condannato a 8 Luglio 1803 Detenuto per Real
Disposizione. Entrò a 9 Novembre 1807, condannato di Real Ordine de’15 Ottobre 1807 nel
Marettimo. Domenico Garipoli, di Augusta, condannato a 17 Settembre 1804 per anni
venticinque. Entrò a 23 Settembre 1807, condannato dal Consiglio di Guerra. Don Giammaria
Ramon, di Napoli, condannato a 11 Luglio 1808 per Real Disposizione. Entrò a 25 Luglio 1808,
condannato di Real Ordine. Ramo di Marina: Giuseppe Buchicchio di Ariano Montefusco,
condannato dalla Gran Corte della Vicaria il 13 luglio 1796, vita durante, entrò il 3 novembre
1796. Domenico Sacco di Bunino in Salerno condannato dalla Gran Corte della Vicaria il 7
settebre 1802, vita durante, entrò il 15 gennaio 1803. Giuseppe Pizzella di Frattamaggiore Terra
lavoro, condannato dal Magistrato di Polizia il 10 lugl. 1805, vita durante, entrò il 10 novembre
1805. Antonio Marino di Pepolamazza Montefusco, condannatodal Tribunale Delegato il 18
gennaio 1805 vita durante, entrò il 10 novembre 1805. Luca Di Simia o Simone di Pepolamazza
Montefusco, condannato dal Tribunale Delegato il 18 gennaio 1805 vita durante, entrò il 10
novembre 1805. Salvatore Di Michele, di Pepolamazza Montefusco, condannato dal Tribunale
Delegato il 18 gennaio 1805, vita durante, entrò il 9 novembre 1805. Vincenzo Mancini di
Genzano in Matera, condannato dalla Gran Corte della Vicaria il 20 novembre 1804 vita
durante, entrò il 10 novembre 1805. Antonio Iuliani di Carniola Stato Imperiale condannato
dalla generale Giunta di Guerra il 7 gennaio 1803 vita durante entrò il 16 novembre 1805.
Saverio Mastromatteo, di Vico in Nocera, condannatodalla Gran Corte della Vicaria il 16 aprile
1795 per anni venti, entrò il 20 novembre 1805. Gabriele Galia di Salemi, condannato il 29
gennaio 1796 vita durante, entrò il 20 novembre 1805. Donato Maurizio di Ariello in Chieti
condannato dalla Real Camera di Santa Chiara il 3 giugno 1789 vita durante entrò il 17 gennaio
1806. Pasquale Frungillo di Nocella in Montefusco condannato dalla Gran Corte della Vicaria il
27 maggio 1795 vita durante entrò il 4 marzo 1807. Luciano Caporale di Castel Vetri Montefusco
condannato dal tribunale di Montefusco il il 24 agosto 1801 vita durante, entrò il 1 giugno 1807.
Luigi Scalone di Montemanaro Montefusco condannato dal Tribunale di Montefusco il 24
agosto 1804 entrò il 1 giugno 1807. Antonio La Rocca di Napoli, condannato per omicidio dal
Pronditore di Guerra di Messina il 18 aprile 1803 vita durante entrò il 1 giugno 1807. Francesco
Matarese delle Noci in Trani, condannato dalla Gran Corte della Vicaria il 16 maggio 1803 per
anni dieci, entrò il 27 aprile 1809 (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 447)

DOCUMENTO N° 27

Relazione de’Relegati del Ramo Politico esistenti in questa Piazza di Marettimo passati in rivista
a primo Luglio 1817 per il decorso mese di Giugno. È uniforme alla Rivista passata in detto
giorno mese ed anno da me sottoscritto Tenente Colonnello de’Reali Eserci di Sua Maestà (Dio
Guardi) e Comandante della Piazza del Marettimo colle funzioni di Commissario di Guerra
Ridolfo Mirabelli Comandante Civili con sussidio giornaliero dei servi di pena di Tarì 1.10 al
giorno escluso di vestiario: Don Gioacchino Ardizzone, Don Gaetano Ardizzone, Don Antonio
Di Francisci, Don Alessio Di Amore (in Trapani), Don Paolo Pizzurro, Don Leoluca Leonardi,
Don Antonio Medici (Il novello condannato Medici entrò a 30 decorso giugno proveniente da
quel Castello di S. Giacomo di Favignana per disposizione della Giunta pel Destino
de’condannati delli 25 Giugno 1817). Comuni, con Sussidio giornaliero de’Servi di pena di
Grana 13 al giorno ed il vestiario: Francesco D’Ambrosio, Saverio Michele Damiani, Saverio
Capasso, Domenico Garipoli (Il condannato Domenico Garipoli levato per essere passato oggi
soccorso per cambio del sudetto Medici in quel sudetto Castello di S. Giacomo per disposizione
della prelodata Giunta de’25 Giugno 1817), Pasquale Lepre (in Trapani), Diego Di Giovanni,
Gaetano Enea, Rocco Di Benedetto, Gaetano Lombardo, Francesco lo Magro, Giovanni Cintola,
Calogero Cucchiara, Samuele Freda, Vincenzo Pantaleo, Tindaro Colicchia. Relazione
de’Condennati del Ramo di Marina esistenti in questa Piazza di Marettimo passati in rivista a
primo Luglio 1817 per il decorso mese di Giugno. È uniforme alla Rivista passata in detto
giorno mese ed anno da me sottoscritto Tenente Colonnello de’Reali Eserci di Sua Maestà (Dio
Guardi) e Comandante della Piazza del Marettimo colle funzioni di Commissario di Guerra.
Ridolfo Mirabelli Com.e (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 270)

DOCUMENTO N°28

Isola di Marettimo giugno 1820 Ramo Politico: Don Gioacchino Ardizzone di Palermo
condannato il 18 settembre 1801 entra il 6 luglio 1809. Don Antonio De Francisci di Palermo
condannato il 4 aprile 1816 entra il 1 maggio 1817. Don Antonio Medici di Palermo condannato
il 13 ottobre 1809 entra il 1 luglio 1817. Diego Di Giovanni di Paceco condannato il 21 febbraio
1813 entra il 13 settembre 1813. Francesco D’Ambrosio di Palazzo Matera condannato il 2
agosto 1805 entra il 10 novembre 1805. Rocco Di Benedetto di Napoli condannato il 30 agosto
1814. Entra il 23 settembre 1815. Samuele Freda di Caposele Napoli condannato il 2 settembre
1815 entra il 25 febbraio 1817. Francesco Miranda di Napoli condannato il 4 settembre 1818
entra il 21 settembre 1818. Nicola Saverio Colitri di Pani in Lucera condannato il 5 ottobre 1791
entra il 2 luglio 1819. Leonardo De Leonardis di Aquila condannato il 25 aprile 1819 entra il 18
febbraio 1820. Ramo Marina: Giuseppe Pirrella di Fratta Maggiore condannato il 10 luglio 1805
entra il 10 novembre 1805. Antonio Mastrari di Calabria condannato il 25 ottobre 1809 entra il 17
aprile 1810. Felice federici di Boscoreale Napoli condannato il 25 marzo1818 entra il 2 luglio
1818. Giuseppe Cortese di san Giovanni in Fiore condannato il 15 luglio1818 entra il 29 luglio
1818.Domenico Costa di Mileto in Catanzaro condannato il 15 luglio 1818 entra il 25 luglio 1818.
Giovanni Lettetti di Milano condannato il 15 luglio 1818 entra il 25 luglio 1818. Rocco D’Assi di
Montemessala in Lecce condannato il 15 luglio 1818 entra il 25 luglio 1818. Samuele Pacelli di
Postiglione condannato il 15 luglio 1818 entra il 25 luglio 1818. Raffaele Brandi di Napoli
condannato il 15 luglio 1818 entra il 25 luglio 1818. Rocco Marciano di S. Giuseppe Catanzaro
condannato il 15 luglio 1818, entra il 25 luglio 1818. Giuseppe Marzano di Fondi Provincia
lavoro condannato il 17 marzo 1815 entra il18 febbraio 1820.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 74)

DOCUMENTO N° 29

Isola di Marettimo Anno 1825. Ramo Politico: Don Samuele Freda di Capo Solo, condotto il 2
ottobre 1815, arriva a Marettimo il 25 febbraio 1817. Don Baldassare Cattano di Caltabillotta,
condotto il 18 giugno 1806, arriva a Marettimo il 8 ottobre 1823. Francesco D’Ambrogio di
Palazzo (Matera), condotto il 21 agosto 1805, arriva a Marettimo il 10 ottobre 1805. Rocco Di
Benedetto di Napoli, condotto il 30 agosto 1814, arriva a Marettimo il 23 settembre 1819.
Giuseppe Valenti di S. Maria La Catola (NA), arriva a Marettimo il 23 settembre 1819. Nicola Di
Virgilio di Aversa (NA), condotto il 4 luglio 1820, arriva a Marettimo il 20 settembre1822.
Francesco Spinelli di S. Paulino (NA), arriva a Marettimo il 20 Aprile 1822. Angelo Forcella di
Chiusano (NA), arriva a Marettimo il 20 apri.1822. Tommaso Di Fazio di Molfetta (BA), arriva a
Marettimo il 20 aprile 1822. Pasquale Intrigo di Prata, arriva a Marettimo il 26 maggio 1823.
Michele Grippi di Borgetto (PA), condotto il 17 giugno 1818, arriva a Marettimo il 10 Agosto
1823. Mario Giamporcaro di Palermo, condotto Il 16 marzo 1824, arriva a Marettimo il 8 maggio
1824. Vincenzo Santoro di Palermo, condottoil 16 marzo 1824, arriva a Marettimo il 8 maggio
1824. Michele Pacella di Postiglione, condotto Il 24 ottobre 1819, arriva a Marettimo il 1 giugno
1824. Pasquale Lepre di Minizzano, arriva a Marettimo il 20 giug. 1824. Domenico Di Benedetto
di Marsala, condotto il 24 giugno 1823, arriva a Marettimo il 1 ottobre 1824. Don Domenico
Battimeli di Scala condotto 7 ottobre 1793 arriva a Marettimo 6 agosto 1825. (ASTp, fondo
Secrezia, busta nr. 465)

DOCUMENTO N° 30

Articolo: Relegati Napolitani per motivi di opinione. Elenco de’pagamenti fatti nell’anno 1825
agl’infrascritti Relegati: Don Carmine Curzio, Don Gennaro Petraglione, Don Ferdinando
Giannone, Don Antonio Leipinecher, Sacerdote Don Pasquale Barbieri, Sacerdote Don
Domenico Santucci, Sacerdote Don Pietro Gesualdo, Fra Guglielmo da Mercogliano, Vincenzo
Giannini, Paolo Giannini, Francesco Sgambate, Don Adamo Raffaterra, Don Giuseppe Cervone,
Don Raffaele Censi. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 465 )

DOCUMENTO N° 31

1825 nel Marettimo, Gli infrascritti Detenuti nel Forte di Marettimo per misure prese dalla
Polizia di Napoli, come imputati di delitti d’Opinione, dichiarano di aver ricevuto dal Signor
Marchese Don Antonino Fardella Ricevitore Provvisorio del Distretto di Trapani, presente Don
Salvatore Volleri Controlloro Provvisorio, e Don Nicolò Fiorentino, Maggiore la somma di Onze
sedici e grana dieci, meno onza una e tarì dieci e grana uno, che si rilascia pel 10 per 0/0 a
queste per loro rispettivo sussidio [...] giusta lo stato rimesso dalla Giunta conofficio de’3 marzo
1823: Don Carmine Curzio con Moglie, e tre Figli. Don Gennaro Petraglione. Don Ferdinando
Giannoni con Moglie e due Figli. Don Nicola Antonio Angeletti. Don Bartolomeo Milone con
Moglie. Don Antonio Leipnecher.
(ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 465. I nominativi sono stati stralciati dalle diverse apoche
firmate dai detenuti durante l’anno 1825)

ISOLA DELLA COLOMBAIA

DOCUMENTO N° 32

Real Piazza Colombaia Stato nominativo de’ Forzati esistenti nel mese di Settembre 1821.
Antonio Matoli, Giuseppe Perrone, Michelangelo Fricia, Ciriaco D’Aprici, Mariano Cordio,
Nicolò Girlando, Domenico Di Vittorio.
Ricevono complessivamente 210 razioni di pane, fave, legna ed olio. (ASTp, fondo Secrezia,
busta nr. 462).

DOCUMENTO N° 33

Notamento de’ Condannati esistenti nel Bagno della Colombaja a tutto oggi li 14 Novembre
1821 che sono creditori del Vestiario. Presidiari: Pasquale Anzalone, Giuseppe Corselli,
Francesco Cupani, Giuseppe Bramatelli, Pasquale La Corte, Carmelo Manto, Giuseppe Villano,
Vincenzo Toscano,Antonino Nuoca, Carmelo Tantillo, Michele Denaro, Giovanni Caruso,
Francesco Minneci, Bartolomeo Abbate, Vincenzo Minardi, Giuseppe Buscaino, Simone
Buscaino, Giuseppe Salerno, Onofrio Palmisano, Domenico Di Vittorio. Forzati: Giuseppe
Perrone, Michelangelo Triscia, Antonino Mutalè, Ciriaco D’Apiu. Sussidiari: Antonino Russo,
Antonino Fiorito, Salvadore Denaro, Camillo Lo Piccolo, Lorenzo Venetucci, Michele Fascia,
Andrea Catalano, Benedetto Tumminello. Ho ricevuto n° trentadue vestiarj completi per
distribuirli ai sopradetti individui, Angelo Vega il comandante del Forte. Visto il Comandante
la Valle Principe di Aci. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 143)

DOCUMENTO N° 34

Stato nominativo dei Condannati che han diritto al richiamo del dieci per 0/0 lasciato Gennaio
1825 a tutto li 31 Maggio detto Anno. Classe Relegati Civili: Don Ferdinando Campano, Don
Raffaele Pepe, Don Mariano Ferrara, Don Bernardo Talamo, Don Gabriele Soler , Don Gaetano
Di Chiara, Don Michele Patti, Don Luigi Maltese, Don Francesco. Classe Relegati Presidiari:
Don Francesco Patitari, Giuseppe Buscaino, Andrea Catalano, Giuseppe Corselli, Giovanni
Caneso, Lorenzo Penitucci, Giovanni Palmieri, Ignazio Mortellaro, Pietro Virzì, Francesco
Lombardo, Ciriaco D’Apire, Salvatore Cinque, Don Gaetano Colao, Andrea Misurani. Individui
passati al Castello di Terra. Civili: Don Giuseppe Rao, Don Giuseppe Bruno, Don Angelo
Curatolo. Presidiari: Giuseppe Tagliavia, Bartolomeo Abate, Antonio Ponzo, Ludovico
Giacobbe, Luciano Caracoglia, Vincenzo Bongiovanni, Giovan Battista Palazzolo, Agrippino Di
Blasi, Francesco Fiuntara, Francesco Oliveri,Nicolò Gugliotta, Aurelio Federico. Individui
passati a Favignana. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 243)

DOCUMENTO N° 35

TRAPANI

Piazza di Trapani. Esercito di Sicilia. Disterrati. Estratto della Revista da me il Tenente


Colonnello Don Paolo del Cuvillo Commissario Reale di Guerra delli Eserciti di Sua Maestà.
Alli Disterrati della Piazza di Trapani a Primo Novembre Mille settecento ottantacinque che
deve servire agli aggiusti ed avere che gli corrisponde nell’espressato mese. Capo: Gaspare
Sanna. Gaspare Guarino, Giuseppe Occhipicca, Carlo Lunetta, Don Leopoldo Moccia, Don
Raffaele Galice, DonVincenzo Russo, Francesco Lanza, Santo Cammarata, Paolo Riolo, Mario
Consolo, Carmine Messina, Vito Aiola, Melchiorre Renda, Giovanni Francesco Lepidi, Leonardo
Basilico, Paolo Genna, DonVincenzo Durante, Nunzio Incannova, Libertino Capobianco,
Salvatore la Rosa, Giuseppe la Rocca, Don Domenico Fina, Nicola Bonarigo, Gaetano Cavallaro,
Don Giovanni Laines. È Uniforme alla Revista da Infrascritto in detto giorno mese ed anno
espressato (ASTp, fondo Segrezia busta nr. 259/A - carta 202).

DOCUMENTO N° 36

Esercito di Sicilia, Piazza di Trapani Relegati detenuti nelli castelli di detta Piazza: a 1
Novembre 1790. Estratto dalla revista passata da me Tenente Colonnello Don Paolo del Cavillo
Commissario Reale di Guerra delli Eserciti di Sua Maestà alli Relegati della Piazza di Trapani a
primo Novembre Millesettecentonovanta, che deve servire pell’aggiusti ed avere che gli
corrisponde nell’espressato mese dal fondo del Ramo Politico: Don Leopoldo Moccia, Sacerdote
Don Francesco Mastrolilli, Nicola Mastrandrea, Don Domenico Rina, Don Pietro Giacolorocco,
Don Domenico di Miceli, Antonio Ajello, Giuseppe Di Maggio, Gioachino lo Bue, Giuseppe
Zuccarello, Salvatore Scibilia, Calogero Messinese, Calogero Corsini, Francesco Spagnolo,
Giovanni Incannila, Girolamo Sacco, Domenico Collura, Vito Calserano, Nicola Gregna,
Baldassare Rizzo, Michelangelo d’Ippolito, Salvo Basilicò, Giuseppe lo Bosco, Filippo Paglio,
Vincenzo la Marca, Gioachino Schifano, Giovanni Bellino, Benedetto Cordaro, Giovanni
Palermo, Nicola Giajmo, Michele Palermo, Michele Buttiglia, Mario Modica, Giovanni Scardino,
Gaetano Costa, Epifanio Cumbo, Antonio Mussomeci, Cruciano Mangiafriddo, Rossario
Leonardo, Giuseppe Palazzo, Salvatore Nicosia, Giuseppe Merlo. (ASTp, fondo Secrezia, busta
nr. 259/A - carta 202)

DOCUMENTO N° 37

A 1 Maggio 1791 Disterrati Fondo Ramo Militare: Filippo Lo Cascio, Francesco Paladino, Marco
Rizzotti, Gaetano Oliva, Paolo Riolo, Giulio Ferrajolo. Ramo Politico: Don Leopoldo Moccia,
Sacerdote Don Francesco Mastrolilli, Don Nicola Mastrandrea, Don Domenico Fina, Don Pietro
Giacomo La Rocca, Domenico di Miceli, Antonio Ajello, Giuseppe di Maggio, Giacchino lo Bue,
Giuseppe Zuccaro, Salvatore Scibilia, Calogero Messinese, Calogero Corsini, Francesco
Spagnuolo, Giovanni Incannila, Girolamo Sacco, Domenico Collura, Vito Calzerano, Nicolò
Gregna, Baldassare Rizzo, Michelangelo d’Ippolito, Salvo Basilicò, Giuseppe lo Bosco, Filippo
Paglio, Vincenzo la Marca, Giacchino Schifano, Giovanni Bellino, Benedetto Cordaro, Giovanni
Palermo, Nicola Giajmo, Michele Palermo, Michele Bottiglia, Mario Modica, Giovanni Scardino,
Gaetano Costa, Epifanio Cumbo, Antonio Musomeci, Cruciano Mangiafriddo, Rosario
Leonardo, Giuseppe Palazzo, Salvatore Nicosia, Giuseppe Merlo, Domenico Magazzeni,
Giuseppe Piguetti, Antonio Palioti. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 202)

DOCUMENTO N° 38

Estratto dalla Rivista da me il Tenente Colonnello Don Paolo De Cuvillo Commissario di


Guerra degli Eserciti di Sua Maestà: alli Disaterrati della Piazza di Trapani a primo Febbraio
Mille settecento novantasette che deve servire pelli aggiusti ed avere che gli corrisponde
nell’espressato mese dal fondo del Ramo Militare. Giulio Serrajolo, Giuseppe Silanos, Santo
D’Elia, Cristofaro Chiarenza, Santo Bucolo, Mario Frincilla, Vincenzo La Lamia. (ASTp, fondo
Secrezia, busta nr. 202)

DOCUMENTO N° 39

Estratto dalla Rivista da me il Tenente Colonnello Don Paolo De Cuvillo Commissario di


Guerra degli Eserciti di Sua Maestà: alli Disaterrati della Piazza di Trapani a primo Febbraio
Mille settecento novantasette che deve servire pelli aggiusti ed avere che gli corrisponde
nell’espressato mese dal fondo del Ramo Politico. Don Leopoldo Roccia, Sacerdote Don
Francesco Mastrolilli, Don Pietro Giacomo La Rocca, Gioacchino Lo Bue, Benedetto Cordaro,
Nicola Giugno, Michele Palermo, Don Antonio Garaffa, Nicola Guerino, Antonio Marchione,
Carmelo Macca, Giulio Mangialardo, Cataldo Tornabene, Gaetano Strano, Luigi Lo Bue,
Giuseppe Armaretta, Carmelo Ventura, Sebastiano Pulgato, Simone Occhipinti, Pietro La
Chiana, Vincenzo Pesce, Carmelo Chimenti, Giuseppe Saccone, Giuseppe Accardo, Giuseppe
Blandi, Rosario Blandi, Marco Morreale, Francesco Piccolo, Francesco Bonafede, Don Giuseppe
Raccuglia. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 202)

DOCUMENTO N°40

Castello di Terra in Trapani, Rivista al 21 Maggio 1821. Previti Francesco, Orefice Antonio,
Ballarò Salvatore, Daula Michele, Marino Leonardo, Crispi Filippo, Frasconaro Gaetano, Fruga
Francesco, Darini Simeone, De Stefano Giuseppe, Casabianca Giuseppe, Cubbia Giacomo,
Buonincontro Pasquale, Iannella Giacomo, Dafidi Nunzio, Caponetto Antonio, Pagano
Tommaso, Don D’Agrusa Benedetto,Don Russo Antonio, Don De Vincenti Giuseppe, Faja
Michele, Vetrano Giovanni, Nuccio Pietro, Galetti Giuseppe, Sciacca Giuseppe, Barone
Vincenzo, Catalano Filippo, Bertolino Francesco, Passalacqua Nicolò, Montalbano Felice,
Riposto Antonio, Blandini Giuseppe, Risuto Giuseppe, Geraci Vincenzo, Barba Domenico,
Furnari Ignazio (passato in Favignana il 28 maggio 1821), Episcopo Rosario (passato in
Favignana il 6 maggio 1821), Grasso Giuseppe, Fiorino Eugenio (pervenuto da Favignana il 22
maggio 1821), Pisone Pietro, Pata Stefano, Fontagauzi Baldassare, De Padova Leonardo, Don
Burgione Antonio, Don Rinaldo Francesco, Don Cardinale Giuseppe, Don Poggi Francesco, Don
Mercurio Francesco, DonBallo Vincenzo (concedato il 21 maggio 1821) (ASTp, fondo Secrezia,
busta nr. 243)

DOCUMENTO N° 41

Stato nominativo dei servi di pena esistenti nel Castello di Terra a’quali compete il vestiariio.
1821 novembre FORZATI: Lorenzo Cascino, Giovanni Battista Bellomo, Matteo Rizzo,
Giovanni Magrì, Gaspare Santonica, Domenico Garraffa, Caloggerro Vanaro, Salvatore Giunta,
Sabato Marrocchiello, Giuseppe Urso.Venuti di recente: Giuseppe Borrello (venuto da
Favignana), Giuseppe Cantavaspra, Niccolò Cusa, Francesco Di Bella (presentato
volontariamente), Francesco Previti, Antonino Orefice, Michele D’Aula, Giuseppe Rizzuto,
Leonardo Marino, Filippo Crispi, Francesco Fruga, Gaetano Fiasconaro, Simone Darini,
Giuseppe De Stefano, Giacomo Iannella, Tommaso Pagano, Giuseppe Di Vincenti, Michele Faja,
Giovanni Vetrano, Pietro Nuccio, Giuseppe Galletti, Giuseppe Sciacca, Vincenzo Barone,
Filippo Catalano, Francesco Bertolino, Felice Montalbano, Antonino Rizzuto, Mario Amaro,
Leonardo Di Padova, Alberto D’Amico, Giuseppe Ardito, Giovanni Barresi, Rocco Di Gioia,
Giovanni Martines, Giuseppe Scauzzo, Giuseppe Blandini, Giovanni Camirri, Giuseppe Marino,
Gaspare Gaglio, Galogero Restivo, Giovanni Trapani, Giovanni Ferrantelli. ( ASTp, fondo
Secrezia, busta nr. 143)

DOCUMENTO N°42

1821 - Stato nominativo dei servi di pena i quali son passati da questa Real Piazza in altri
Departi, o che sono morti o licenziati: Passati nell’isola di Pantelleria: Onofrio Geraci, Costanzio
Alfano, Giuseppe Casabianca, Giacomo Cubbia, Pasquale Bonincontro, Nunzio Defede,
Salvatore Fantauzzi. Passato in Favignana: Antonio Patti. Morì: Salvatore Bollarò. Fuggì:
Antonio Caponetto. Licenziato: Niccolò Passalacqua. Niccolò di Milo, Maggiore Visto il
Generale Comandante la Valle, Principe di Aci. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 143)

DOCUMENTO N°43

Vestiario: 1821 novembre. Forzati: Giuseppe Pirrone, Antonino Mutoli, Michelangelo Fricia,
Ciriaco D’Apici, Giovanni Magrì, Gaspare La Monica, Lorenzo Cascino, Onofrio Gervasi,
Castrenzo Alfano,Giovanni Battista Bellomo, Matteo Rizzo, Antonio Patti, Giuseppe Urso,
Domenico Giarraffa, Calogero Vaccaro, Salvatore Gumina, Giuseppe Marino, Sabbato
Marrocchiello. Presidiari: Pasquale Ansalone, Antonio Fiorito, Vincenzo Lo Rico, Salvatore Di
Naro, Camillo Piccolo, Giuseppe Corselli, Francesco Capani, Antonio Russo, Giuseppe
Brancatelli, Pasquale La Corte, Carmelo Manto, Giuseppe Villano, Vincenzo Toscano, Vincenzo
Minardi, Lorenzo Venitucci, Michele Fricia, Antonino Meula, Carmelo Tantillo, Michele di
Naro, Giuseppe Buscaino, Andrea Catalano,Giovanni Caruso, Simone Buscaino, Giuseppe
Salerno, Rocco Di Gloria, Francesco Minneci, Antonino Di Gregorio,Giovanni Barresi, Benedetto
Tomminelli, Onofrio Palmisano, Domenico Vittorio, Bartolomeo Abbate, Leonardo Marino,
Francesco Pruiti, Antonino Orefice, Salvatore Bollaro, Michele D’Aula, Giuseppe Rizzuto,
Leonardo Marino, Filippo Crispi, Francesco Fruga, Gaetano Frasconaro, Simone Darini,
Giuseppe Di Stefano, Giuseppe Casabianco, Giacomo Gubbia, Pasquale Boni...., Giacomo
Iannella, Nunzio De Fidi, Baldassare Fontacone, Leonardo de Padova, Tommaso Pagano,
Antonino Caponetto, Michele Faja, Giovanni Vetrano, Pietro Nuccio, Giuseppe Galletti,
Giuseppe Sciacca, Vincenzo Barone, Filippo Catalano, Francesco Bertolino, Nicolò Passalacqua,
Felice Montalbano, Antonino Rizzuto, Giuseppe Blandini. (ASTp, fondo Secrezia, busta nr. 143)

GINO LIPARI

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