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IUXTA FLUMEN VULTURNUM 53

UN’INTERPRETAZIONE FUNZIONALE DEL PONTILE


VULTURNENSE E I CONFRONTI CON ANALOGHI
MANUFATTI IN ITALIA E IN EUROPA

Federico MARAZZI - Alessandro LUCIANO


(Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa, LATEM)

L’
analisi della stratificazione archeolo- lume).
gica induce a ritenere che, durante il Per quanto certamente più ampio dell’attuale,
IX secolo, alle strutture del recinto è tuttavia difficile definire le dimensioni del-
monastico che si affacciavano sul Volturno si l’alveo altomedievale, considerato che l’inda-
addossasse un sistema di passerelle lignee che gine archeologica della riva opposta non è
ha certamente funzionato nel corso del IX se- stata ancora affrontata2. A dispetto delle di-
colo e la cui distruzione è riferibile al mo- mensioni e di un fondale relativamente basso,
mento dell’incendio dell’881, ricordato dal come pare aver evidenziato lo scavo, vi è co-
Chronicon Vulturnense. munque la possibilità che questo tratto del Vol-
turno potesse essere solcato da piccole
Il pontile vulturnense. imbarcazioni nel tratto compreso fra le sor-
Organizzazione e struttura. genti e l’abbazia, ma non oltre, dato che poco
dopo il corso del fiume impegna una serie di
Il rinvenimento del pontile indica chiaramente rapite e piccole cascate per compiere il salto
come il fiume Volturno, la cui portata era nel di quota verso il basso, una volta lasciato il
Medioevo notevolmente maggiore rispetto ad plateau travertinico della Piana di Rocchetta. Il
oggi, fluisse proprio a ridosso dell’abbazia. sistema di banchinaggi lignei, inoltre, doveva
L’affaccio sullo specchio d’acqua doveva probabilmente servire a garantire l’accessibi-
esser reso ancor più suggestivo dalle lampade lità al monastero in ogni condizione, anche in
che illuminavano le passerelle lignee durante presenza di variazioni sensibili della portata
la notte, attestate da catenelle e materiali vi- fluviale. Va comunque detto che ci sfugge il
trei1. La cura dei particolari è evidenziata dal- dato dell’estensione complessiva delle ban-
l’intonacatura delle superfici murarie esterne, chine: in altre parole, non sappiamo se vi fosse
come attestano pochi lacerti ancora in situ e un collegamento diretto, su passerelle, fra le
diversi frammenti distaccatisi (vedere il contri- due rive del fiume, o se fosse sempre e comun-
buto di A. Frisetti sulle strutture murarie in que necessario l’uso di un’imbarcazione per il
questo stesso volume), ma anche dai materiali suo attraversamento.
rinvenuti nei crolli, soprattutto spolia: decora- Il pontile vulturnense, per quel che è dato sa-
zioni marmoree, colonnine, sectilia pavimen- pere, era costituito da un piccolo molo in mu-
tali e parietali, capitelli di riuso o ascrivibili al ratura a cui era annesso, poco più a
IX-X secolo (vedere L. Catalano in questo vo- settentrione, un vasto pontile ligneo (Fig. 1).
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Fig. 1: Strutture del porticciolo (ricostruzione tridimensionale di N. Abate). In evi-


denza: i due accessi all’abbazia, la bocca del canale e i lacerti d’intonaco sul muro
(non in scala). A scopo illustrativo, la cassaforma integra, in realtà vuota e coperta
dalla banchina D, risulta visibile, con il cementizio che la riempie.

Il primo, di forma pressoché quadrata, dava quello c.d. “degli ospiti”, si era accolti in que-
accesso agli ambienti del complesso abbaziale st’ultimo ambiente, a sua volta adiacente ad
riservati, stando alla tradizionale interpreta- un elegante cortile porticato (la c.d. “Corte a
zione, agli ospiti di riguardo in visita all’abba- Giardino”), ove si potevano trattare i più di-
zia (HODGES 1993/5) (per un recente versi affari entrando in contatto con l’abate o
inquadramento del cd. San Vincenzo Minore, con persone da questi delegate (Fig. 2). Il se-
MARAZZI 2014, pp. 55-90). Alla luce delle re- condo, posto pochi metri più a nord, porta in-
centi scoperte, si può perciò affermare che vece direttamente nel corridoio che separa i
questi pontili – direttamente adiacenti allo spa- due suddetti spazi dalla Chiesa Sud e che, alla
zio claustrale - fossero fruiti soprattutto da fine, girando a destra immette in un andito
parte di personalità di un certo rilievo (eccle-
siastiche e laiche), ma non si può escludere
che lo fossero anche da persone che interagi-
vano con la comunità per questioni di tipo più
ordinario, ad esempio per scaricare e/o cari-
care derrate e altro materiale da e per le cu-
cine. Tutti costoro, una volta attraversato il
Volturno e giunti sulle banchine costruite sulla
riva sinistra, avevano di fronte a sé diverse op-
zioni, alcune delle quali chiarite dallo scavo,
che ha riportato alla luce almeno tre accessi
agli edifici a partire dalle banchine (fig. 1).
Percorrendo il primo, aperto a ridosso del Fig. 2: Ricostruzione della cd. Corte a
muro che divide il refettorio monastico da Giardino.
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che, sottopassando la chiesa stessa, permetteva copertura (incannucciato, intelaiature lignee


l’accesso alla chiesa di Epifanio; girando in- ecc.), come suggeriscono la buca di palo nel
vece a sinistra conduceva nel c.d. Vestibolo e, massetto pavimentale, laddove le mattonelle
di qui, alla Sala dei Profeti e quindi diretta- erano mancanti, e l’arco di porticciola o fine-
mente nel grande quadriportico centrale. Quasi stra rinvenuto in crollo, simile a quelli attestati
sicuramente, procedendo per qualche metro dalle fonti (Fig. 3). Il piano pavimentale è stato
ancora in direzione nord, doveva trovarsi un rinvenuto piuttosto sconvolto, trattandosi di
varco più ampio che doveva immettere sia nel una superficie parzialmente soggetta agli
corridoio poc’anzi ricordato, sia direttamente agenti atmosferici, interessata dalla subsidenza
davanti alla Chiesa di Epifanio. Non sappiamo dovuta all’azione erosiva delle acque del
se più a sud del tratto riportato alla luce (ad fiume e infine danneggiata dai danni inferti dai
esempio in direzione delle cucine) vi fossero crolli avvenuti al momento della distruzione
ingressi più ampi che potevano permettere di del monastero. D’altronde, com’è stato rile-
utilizzare le banchine anche per vere e proprie vato (A. Frisetti, in questo volume), il mas-
operazioni di carico e scarico di merci, anche setto preparatorio era scarsamente curato
se ciò è perfettamente plausibile. anche negli ambienti interni alla cinta mona-
Sui lati sud e ovest, il breve molo in muratura stica.
era chiuso dal perimetrale abbaziale mentre Le banchine laterali (D, E) erano costituite da
sui due rimanenti era affiancato da banchine travi a sezione quadrata, sulle quali erano si-
lignee (convenzionalmente definite D ed E), stemate, trasversalmente, le assi piatte for-
funzionali all’attracco di barche per lo scarico manti l’assito. Tali travi erano a loro volta
di persone e merci (fig. 1)3. sostenute da blocchi parallelepipedi di traver-
Il molo era fondato su una gettata di terra e tino sovrapposti, rozzamente sbozzati e legati
pietrame contenuti da concamerazioni lignee con malta, oppure da ritti in legno; gli uni e gli
ed era parzialmente pavimentato con matto- altri erano piantati in profondità dentro il letto
nelle fittili, le stesse impiegate negli ambienti limoso del fiume, sino evidentemente a rag-
monastici della fase carolingia. Probabil- giungere livelli di terreno più stabile ai quali
mente, era coperto e chiuso da pareti in mate- rimenare ancorati. Forse le banchine erano
riale deperibile forse dotate di qualche tipo di munite di coperture costituite da tettucci di te-
gole e coppi, di cui potrebbe costituire traccia
l’abbondante presenza di questo materiale
negli strati di crollo, che sembra troppo cospi-
cua per poter essere attribuita solo agli edifici
monastici retrostanti. In realtà, essi non dove-
vano riparare tutta la superficie delle banchine,
ma solo l’area prossima alle mura abbaziali,
come evidenziato chiaramente dallo scavo
della passerella D.
Nel tratto del pontile immediatamente a nord,
e cioè quello immediatamente antistante la c.d.
Chiesa Sud, le travi orizzontali a sezione qua-
drangolare, lunghe sino a 6 m. e spesse poco
più di mezzo metro, erano in alcuni casi incas-
sate direttamente nei muri del recinto mona-
stico e stabilizzate da ritti lignei ugualmente
Fig. 3: Il frammento ligneo rinvenuto in massicci, disposti lungo di essi, a breve di-
PZ e ricostruzione di una porta medie- stanza. Gli incassi erano costituiti da semplici
vale (da Coppola 2006). fori quadrangolari praticati nelle murature che
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si affacciavano sul fiume, ai quali in alcuni nell’area che precedentemente costituiva la


casi si giustapponevano piloni lignei di soste- navata della cd. Chiesa Sud, poi messa fuori
gno, a loro volta addossati alle superfici mura- uso al momento della sopraelevazione del-
rie (vedere il contributo di A. Luciano sulle l’edificio (HODGES 1993/5) (Fig. 4)4. L’in-
stratigrafie). Sul lato opposto, e cioè all’in- gresso al corridoio è oggi celato dalla presenza
terno dell’alveo fluviale, queste travi poggia- del Ponte della Zingara, ma doveva trovarsi
vano su pilastri in muratura o ritti lignei. Travi alle spalle di uno dei rientri “a dente di sega”
di uguali dimensioni, sovrapposte trasversal- delle murature abbaziali, in modo da essere ri-
mente alle prime in corrispondenza dei ritti li- parato dai venti e dai flutti del fiume.
gnei, creavano un’orditura sulla quale erano Presso questo accesso esisteva una sorta di
poggiate le tavole del piano calpestabile. Il guardiola, già intercettata al tempo dei primi
tipo di legno utilizzato in fase costruttiva, ne- scavi degli anni ’80 ed interamente riportata
cessario per sostenere carichi pesanti, era la alla luce in occasione della campagna che qui
quercia, tecnologicamente adatta a questo ge- si presenta (vedi ancora fig. 1).
nere di infrastrutture e facilmente reperibile in
loco (si vedano G. Gallo, G. Fiorentino e F.
Solinas in questo volume). L’olmo era invece Le tecniche costruttive
utilizzato per i pali piantati nel paleo-alveo,
quindi immersi costantemente in acqua, poi- Per edificare i muri del recinto abbaziale e le
ché questo genere di legno, come il larice, è annesse infrastrutture del pontile ci si avvalse
difficilmente soggetto a putrescenza. delle tecniche costruttive impiegate in ambito
Il pontile era quindi formato da tre banchine acquatico-portuale, note sin dall’Antichità. Un
accostate (come si osserva in Fig. 1), o da passo del De architectura di Vitruvio (3, 12)
quattro, secondo una differente ricostruzione; rappresenta una vera e propria fonte manuali-
quella di mezzo (B), più piccola delle altre, stica in merito (GROS 1997, pp. 523-795), seb-
dava probabilmente accesso diretto a un corri- bene non manchino altre descrizioni, benché
doio collegato ai locali, che erano stati ricavati più generiche, come quella Procopio di Cesa-
rea o di Flavio Giuseppe per la costruzione del
porto di Sebastos. I procedimenti descritti da
Vitruvio prevedevano l’impiego dell’opus
caementicium, il cui uso s’accompagnò alla
pietra da taglio a partire dal I secolo a.C.5.
La palificata presso il pontile, parallela e adia-
cente al muro d’affaccio sul fiume delle fab-
briche abbaziali, aveva la funzione di
proteggere le murature dallo sciabordio della
corrente fluviale. I mezzi-pali, serratamente
accostati, furono probabilmente conficcati nel-
l’alveo utilizzando dei battipali, macchine mu-
nite di pesanti magli in ferro azionati da
un’apparecchiatura nota come capra nelle
fonti medievali (Fig. 5). La capra era utilizzata
anche come macchina di sollevamento (Fig. 6)
ma era necessario che i carichi fossero forati
con buchi in numero pari, triangolari o ricurvi,
per consentirne la presa6. Incavi di questo ge-
nere, non a caso, sono stati rinvenuti sui bloc-
Fig. 4: I magazzini di San Vincenzo al chi più pesanti tra quelli rinvenuti sul
Volturno
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Fig. 5: Disegno di una macchina batti-palo.

Fig. 6: Disegno di una capra (da Encyclopèdie di Diderot e D'Alembert) e suo impiego
in un manoscritto medievale (da Coppola 2006).
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Fig. 7: Sistemi di sollevamento dei carichi e blocchi forati da PZ.

paleoalveo del Volturno (Fig. 7). Pali confic- Le casseforme rettangolari rinvenute sotto le
cati in suoli umidi per consolidare terreni in- passerelle del molo, e parzialmente inglobate
stabili e realizzare fondazioni su palafitta sono nelle fondazioni di questo, erano costituite da
ricordati anche da Vitruvio (3, 4, 2) ed attestati quattro pali verticali con incavi alloggianti assi
nel porto di Classe in epoca teodoriciana (AU- lignee, poste di taglio a formare le pareti della
GENTI et al. 2007, pp. 33-38). Per evitare le fratture, struttura. Poiché erano riempite da pietre le-
essi potevano essere rinforzati da ghiere me- gate da malta, dimostrano che il molo fu co-
talliche e puntazze in ferro, mentre gli inter- struito assecondando il metodo per “arcae”
stizi erano riempiti da carbone e fascine descritto da Vitruvio. L’architetto romano, in
compresse (Fig. 8)7. Esistevano anche mac- realtà, conosceva tre diverse tecniche idrauli-
chine in grado di tagliare i pali in acqua, come che: le primi due presupponevano l’esistenza
quella disegnata dall’architetto medievale Vil- di casseforme lignee in acqua, mentre la terza
lard de Honnecourt. prevedeva che blocchi in muratura fossero

Fig. 8: Ghiere metalliche di rafforzamento dei pali e macchina disegnata da Villard de


Hannecourt (inizi XIII secolo) (da Coppola 1996).
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Fig. 9: Le tre tecniche vitruviane.

prefabbricati in un contesto asciutto, e succes- fondo (anche se talvolta esso è attestato da


sivamente affondati mediante espedienti basati travi poste trasversalmente), era formata da
sulla forza di gravità (Fig. 9). un’ossatura di pali montanti piantati nel suolo
L’utilizzo di casseforme in un contesto alto- (destinae) e travature trasversali fissate ad essi
medievale non sorprende, se si considera che (catenae), sostenenti paratie. All’interno della
il sistema vitruviano era ricordato nel codice struttura veniva quindi gettato il cementizio
490 della Biblioteca Capitolare di Lucca (fine che, riempiendola tutta, espelleva l’acqua. Le
VIII-inizi IX secolo) (CAFFARO 2003) e impie- casse non erano costruite direttamente sul fon-
gato nella costruzione del ponte quattrocente- dale ma normalmente calate dall’alto, mentre
sco di Cahors e, in epoca medievale, di una i fondi erano ripuliti e appianati con rastrelli.
banchina a Venezia e di alcuni pontili a Ge- Completate le fondazioni, si costruivano
nova8. A San Vincenzo al Volturno fu utilizzata quindi le murature del molo sporgenti dall’ac-
la prima delle tre tecniche, comunemente detta qua, talvolta ricorrendo sempre alla tecnica
a “cassaforma inondata”: “…si debbono affon- della cassaforma.
dare e bloccare arche tenute insieme da mon- Il fatto che a San Vincenzo alcune delle arche
tanti di quercia e tiranti trasversali; poi, nel siano state rinvenute intatte o parzialmente di-
vano interno, (lavorando) dalle traversine, si sgregate, unitamente al mancato riscontro di
deve livellare e pulire il fondale e gettare la pozzolana, che secondo l’indicazione di Vitru-
malta… mischiata al pezzame di pietra, finché vio consentiva, mista a 1/3 di calce, di garan-
lo spazio tra le paratie non sia riempito di cal- tire la migliore tenuta, suggerisce l’utilizzo di
cestruzzo”9. In sintesi, la cassaforma, priva di una tecnica simil-vitruviana, cosiddetta “co-
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struzione in solo legno”. In questo caso, le cas-


seforme erano riempite con materiale costi-
pato non cementizio o pseudo-cementizio,
implicando la tenuta perenne del legno, che
nell’opera cementizia cessava la propria fun-
zione col tiro della malta10. Se per alcune delle
arche si seguì il procedimento completo, per
altre si ricorse ad un sistema più sbrigativo,
appoggiando alle prime, a seconda delle esi-
genze, tre, due, o una sola paratie. Questo si-
stema, semplice, economico e di facile
applicazione, consentiva il progressivo avan-
zamento delle costruzioni e fu spesso impie-
gato. Nei porti romani, non è raro riscontrare
Fig. 10: Paratie accostate in PZ e con- paratie congiungenti pilae cementizie, che de-
fronto con le pilae di Cosa. terminavano casseforme sbrigative entro cui

Fig. 11: Le arche riconoscibili in PZ e i relativi riempimenti (disegno di A. Frisetti rie-


laborato dall’autore).
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colare il cementizio, come a Cosa (Fig. 10)


(FELICI 1998).
Lo spesso strato di argilla rinvenuto sulla cas-
saforma integra di San Vincenzo potrebbe aver
avuto la funzione di sigillarla. L’impiego di ar-
gilla è documentato nella seconda tecnica de-
scritta da Vitruvio, quella della “cassaforma
stagnata”; utilizzata generalmente in assenza
di pozzolana, prevedeva l’impermeabilizza-
zione di un recinto (septio) di paratie raddop-
piate11. È indicativo che la cassaforma meglio
conservata, tra quelle vulturnensi (I), non fosse
stata, come le altre, riempita da materiale
pseudo-cementizio, quantunque conservasse
un accumulo di malta, soprattutto in conside- Fig. 12: Ipotesi di come si sarebbe confi-
razione del fatto che quella ad essa solidale (II) gurata la cassaforma V se ultimata.
contenesse pietrame e malta costipati (Fig.
11). Sebbene scarsamente conservata, un’altra del corso fluviale, comuni in questi contesti,
arca priva di materiale cementizio, ma conte- avrebbero richiesto tale variante rispetto al
nente malta, si trovava sotto la banchina orien- progetto iniziale.
tale (VII). La repentina interruzione delle Sulla scorta di queste considerazioni, si può
indagini archeologiche nel 2008, non consente ipotizzare quali siano state le tappe seguite nel
di spiegare quest’anomalia, ma la sistema- processo di costruzione per arche che, a diffe-
zione delle passerelle lignee proprio sopra le renza di quello classico, sembrerebbe aver
due arcae porterebbe ad ipotizzare che il pro- comportato la costruzione di casse diretta-
getto originario dei monaci, che doveva evi- mente in acqua. Dapprima si piantavano i pali
dentemente essere quello di creare un molo in angolari di tutte le arche che s’intendeva rea-
muratura più esteso, fosse stato variato in lizzare e, successivamente, si sistemavano le
corso d’opera per motivi tecnici. In alternativa, paratie di chiusura. Il riempimento pseudo-ce-
si potrebbe pensare che le casseforme più mentizio interessava dapprima la cassaforma
esterne, comunque indispensabili per creare più esterna, in questo caso la II, più esposta
aree di secca retrostanti, non fossero state col- alle correnti, per poi avvicinarsi ai muri.
mate poiché la presenza delle soprastanti ban- Ad una prima sistemazione, che non preve-
chine non rendeva calpestabile quella che deva l’esistenza delle banchine, è possibile si
avrebbe dovuto costituire la loro superficie. riferissero i tre elementi di colonna rinvenuti
Una variazione di progetto, tuttavia, meglio lungo la passerella D, grosso modo alla stessa
giustificherebbe la circostanza che proprio quota della cassaforma. I due fusti lisci, vicini
l’ingombro della cassa VII fosse parzialmente tra loro, dovevano essere utilizzati come pic-
occupato dai sostegni in travertino. La stessa chi di carico nelle operazioni di movimenta-
situazione interessa la cassa V, di cui peraltro, zione delle merci e delle persone, mentre la
come per la VI, si conservano solo i quattro colonnina integra avrebbe potuto fungere, gra-
pali angolari, senza che siano mai state acco- zie alla presenza del capitello, da bitta di anco-
state ad essi le paratie laterali (Fig. 12). Siamo, raggio12. Pur trovandosi in asse con la putrella
quindi, in presenza di alcune casseforme non settentrionale, infatti, questi elementi difficil-
ultimate, al posto delle quali si decise poi di mente avrebbero potuto contribuire a soste-
affondare pile di dadi in travertino, anche in nerla, trovandosi ad una quota più bassa, a
posizione più avanzata, verso il centro del meno di non ipotizzare un loro sprofonda-
fiume. Probabilmente, variazioni idrografiche mento dovuto a modifiche idrografiche del-
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Le modalità d’impiego del legno

L’abbondante utilizzo del legno nel pontile


vulturnense non sorprende, se si considera che
si trattava di un materiale da costruzione molto
impiegato nell’Alto Medioevo e che costituiva
una valida alternativa alla pozzolana romana,
oramai fuori produzione, ed in ogni caso
adatto al tipo di manufatto che s’intendeva
edificare14.
Per l’assemblaggio delle singole componenti
si ricorse a sistemi differenti. Quello degli in-
castri, particolarmente diffuso in epoca ro-
mana, è documentato da una sola trave, munita
di foro quadrangolare (Fig. 14). Come dimo-
strano alcuni esempi nord-europei, travi lignee
Fig. 13: Corda legata alle strutture d’ap- così foggiate erano piuttosto comuni e varia-
prodo a Marsiglia. mente utilizzate, talvolta anche per stabilizzare

Fig. 14: Trave con incastro da PZ, pontile di Puck (a sinistra) e bastione da Wolin (a destra).

l’alveo fluviale. i pali su superfici orizzontali, come documenta


Un’ultima considerazione riguarda i piloni li- il bastione dell’emporio polacco di Wolin, sul-
tici che sostenevano le putrelle dei pontili, per l’Odra (BOGUCKI 2012, pp. 90-93). Gli ele-
la sistemazione dei quali si ricorse alla sovrap- menti che si trovavano in acqua erano forse
posizione di dadi di travertino legati da malta. congiunti mediante un sistema che non si di-
La mancanza di pozzolana, in epoca altome- scostava molto da quello delle mortase e te-
dievale, evidentemente ostacolava la costru- noni, solitamente impiegato nella cantieristica
zione di piccole pilae in cementizio, navale; lo suggerisce il ritrovamento di nume-
ampiamente documentate nei porti romani13. rosi cavicchi lignei, uno dei quali chiaramente
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Fig. 15: Alcuni dei cavicchi rinvenuti in PZ e sistema di assemblaggio con mortase e
tenoni.

acuminato (Fig. 15)15. Istituendo un confronto


con i documenti iconografici medievali che si
riferivano alle impalcature, è possibile sup-
porre che gli elementi lignei non a contatto
con l’acqua fossero legati da corde o da fasce
di pelle. Le seconde sono attestate in gran nu-
mero nello scavo (vedere A. Di Giovanni in
questo volume), ma non abbiamo prove che
servissero per effettuare legature, sebbene una
di esse si presentasse più sottile delle altre,
quindi ben adatta allo scopo (Fig. 16)16. Per le
legature si dovette fare ricorso ai nodi normal-
mente impiegati in marina, rinsaldati da cunei
lignei (nei registri contabili inglesi essi erano
definiti come warrokis o warrokes), che ave-
vano la funzione di tendere al massimo le
corde; diversi esemplari sono stati rinvenuti
nel corso dello scavo. I chiodi metallici, in-
vece, dovevano essere utilizzati per effettuare
fissaggi che non prevedevano il contatto con
l’acqua17.
La messa in opera del pontile monumentale
seguiva i modelli abitualmente impiegati nel
Medioevo e documentati dalle fonti iconogra-
fiche relativamente alle impalcature cantieri- Fig. 16: Legature con nodi marinareschi e
stiche. Esse prevedevano l’impiego di presunto laccio in cuoio da PZ.
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ghezza massima delle travi orizzontali (6 metri


ca.) non è casuale se si considera che il sistema
di costruzione trilitico non consentiva di co-
prire luci più ampie. L’ossatura doveva essere
comunque stabilizzata dai piloni lignei e da sa-
ette oblique, attestate da travi crollate in modo
diverso rispetto alle altre. Un lungo elemento,
inoltre, poggiava sulla mensola della muratura
e, fungendo da diaframma tra pietra e legno,
doveva forse attutire le pressioni esercitate dai
carichi sul piano del pontile. Sistemi di trian-
golazione finalizzati a stabilizzare le strutture
sono attestati anche in altri contesti europei,
come a Puck e Jelling (Figg. 17, 14), e rappre-
sentati nel progetto di costruzione di un ponte
Fig. 17: Ricostruzione di un pontile a Jel- realizzato da Villard de Honnecourt (Fig. 18),
ling. dove pure si riscontra una struttura lignea, con
elementi lunghi ca. 6-7 metri per luci di 16-17,
elementi di supporto verticali (montanti o per- agganciata ad un muro a grossi blocchi (COP-
tiche), collegati da travi orizzontali (correnti). POLA 1996).
Questa orditura supportava il piano di calpe- Alcuni pali verticali non erano solidali con le
stio costituito da tavolati adagiati su elementi strutture del pontile. Quelli più grossi, a se-
trasversali, di cui si sono trovati frammenti, a zione quadrata, è possibile facessero parte di
loro volta poggianti sui correnti (travicelli). A macchine di sollevamento, mentre i più pic-
S. Vincenzo, in particolare, si adottò il tipo coli, circolari e realizzati con un legno diverso,
d’impalcatura comunemente detto “a una fila erano utilizzati per l’attracco delle imbarca-
di montanti”, con correnti alloggiati in aper- zioni e, forse, per veicolare il loro traffico,
ture quadrangolari della muratura. La lun- come documentato anche a Comacchio e

Fig 18: Progetto di ponte di Villard de Hannecourt e sua ricostruzione ipotetica (da
Coppola 1996).
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Fig. 19: Il presunto reimpiego a San Vincenzo e lo scafo riutilizzato a Marsiglia.

Classe18. talmente nelle operazioni di carico e scarico


A San Vincenzo è documentato un altro feno- delle merci o gettati intenzionalmente dai mo-
meno piuttosto comune negli approdi post- naci che non intendevano più servirsene.
classici, soprattutto in ambito fluviale, dove le È curioso che la maggior parte dei reperti or-
vecchie imbarcazioni erano sovente abbando- ganici sia stata rinvenuta nel riempimento
nate. Mi riferisco al riuso di frammenti navali della cassaforma integra (I), che ha intrappo-
in fase costruttiva, riscontrabile nella cassa- lato anche i reperti più piccoli e leggeri, al-
forma VII, la cui paratia orientale riutilizzava trove portati via dalla corrente fluviale (Fig.
un legno piuttosto spesso, con un rigonfia- 11). Considerato il ritrovamento di altri oggetti
mento presso il vertice meridionale19(Fig. 19). nel medesimo contesto (come la vetratina im-
Il cattivo stato di conservazione ne complica la preziosita dal volto di Cristo, due pettini, un
lettura, ma il frammento sembrerebbe ricon- laccettino forato in cuoio), sarebbe da esclu-
ducibile ad un elemento trasversale di un’im- dere che si trattasse di un deposito intenzio-
barcazione a fondo piatto. nale, preferendo l’ipotesi che il contenitore
vuoto abbia imbrigliato materiale gettato o ca-
duto accidentalmente nel fiume, e fluitato
Gli scarichi dalle acque. Proprio i reperti bioarcheologici,
che si configuravano come residui del pasto e
La vicinanza del fiume alle fabbriche abbaziali delle preparazioni alimentari, si depositarono
consentiva ai monaci di convogliare verso di sul fondo fluviale e nella cassaforma a seguito
esso, mediante canalette, le acque di scolo. Lo di un intervento di scarico volontario attra-
scavo ha consentito di rintracciare, sul para- verso le canalette20.
mento murario del recinto, gli sbocchi di un Il rinvenimento di grosse quantità di reperti in
canale in muratura e di uno in tubuli laterizi contesti portuali analoghi, depositati sul fondo
provenienti, rispettivamente, dalla Corte a degli specchi d’acqua, è piuttosto comune. Si
Giardino e dall’area del refettorio (vedere il vedano i reperti, anche in materiale deperibile,
testo di A. Frisetti in questo volume). In corri- rinvenuti a Classe, nonché gli abbondanti resti
spondenza di questi sbocchi, e lungo tutto il di commestibili e di contenitori presso le ban-
tracciato murario, adagiati sul paleoalveo flu- chine di Comacchio21.
viale, sono stati identificati i conoidi degli sca-
richi, contenenti significative presenze di
reperti organici ed inorganici e, sopra di essi,
accumuli con oggetti caduti durante i crolli,
scaraventati nelle acque durante il sacco
dell’881 d.C., oppure finiti in acqua acciden-
66 ALESSANDRO LUCIANO

La datazione del pontile e delle banchine cassaforma I, poiché la tipologia di vetro im-
piegato (natron) non è in uso nel Mediterraneo
La valutazione complessiva della cultura ma- oltre il IX secolo, sebbene sia anche possibile
teriale pertinente alle fasi di vita del portic- che, per la sua fabbricazione, sia stato fatto ri-
ciolo propone un quadro racchiuso corso a rottame di vetro più antico (vedere in
nell’orizzonte cronologico del pieno IX se- questo volume Angelini et al.). Anche il
colo, con scarsa residualità di materiali ante- piombo, documentato negli scarichi di PZ è un
riori, presenti soprattutto sul fondale del materiale che, per quel che ad oggi è dato sa-
Volturno (us 17027), e percentuali modeste di pere, si riscontra a San Vincenzo quasi esclu-
frammenti più tardi all’interno dei crolli (so- sivamente in strati di IX secolo (vedere
prattutto nello strato 17016). sempre nel presente volume il testo di N.
Un valido terminus post quem per la costru- Abate). A questa fase, peraltro, risalgono le
zione di queste strutture è costituito da un mattonelle pavimentali del molo, tre delle
fondo di olla da fuoco annerito dal fumo (dia- quali iscritte, del tutto simili a quelle che si tro-
metro di ca. 11 cm.) cementato nel riempi- vano negli altri ambienti del San Vincenzo Mi-
mento della cassaforma II (us 17136), quindi nore, prodotte in loco tra la fine dell’VIII e la
pertinente al cantiere edilizio (Fig. 20). Pur- prima metà del IX secolo (vedere il saggio di
troppo, la mancanza di buona parte del corpo A. Frisetti sui laterizi nel presente volume)22.
e della totalità dell’orlo non consente una da- La bassa percentuale di lastre contrassegnate,
tazione precisa del manufatto, ma l’impasto, su questo pavimento, indica forse una minore
composto di argilla rossiccia, con inclusi pic- attenzione per uno spazio considerato comun-
coli e bianchi, trova confronti in analoghi re- que esterno al monastero. Se si accetta l’ipo-
cipienti vulturnensi (soprattutto con quelli ad tesi che “i laterizi privi di marca facessero
orlo modanato), datati proprio nell’ambito del parte di lotti di riserva destinati ad eventuali
IX secolo (analisi di L. Di Cosmo). Un termi- piccoli interventi di restauro” (A. Frisetti) do-
nus ante quem viene invece fornito, indiretta- vremmo dedurne che il molo sia stato costruito
mente, dalla vetratina di Cristo rinvenuta nella in un momento successivo, seppur di poco, ri-

Fig. 20: Il fondo dell’olla nello pseudo-cementizio dell’arca II.


IUXTA FLUMEN VULTURNUM 67

spetto agli altri piani del San Vincenzo Mi- dagata fosse oggetto, in misura maggiore ri-
nore, cosa peraltro confermata dal basso gra- spetto a quello settentrionale, di un innalza-
dino prodotto dalla differente altezza delle due mento dell’alveo dovuto ad insabbiamento.
superfici (Fig. 21). Un fenomeno del genere non era così raro, se
Olle da fuoco simili a quella rinvenuta nella a Dorestad si riscontra un progressivo avanza-
cassaforma II sono presenti nel butto di mate- mento in mare dei pontili, reso indispensabile
riale ceramico e fittile uuss 17130/17140. Si dalla necessità di guadagnare profondità e ga-
trattava di un accumulo piuttosto consistente, rantire alle imbarcazioni un approdo sicuro
poiché costituisce la metà circa di tutto il ma- (VAN ES-VERWERS 1980). Quest’ipotesi giusti-
teriale ceramico rivenuto in PZ, nonché dagli ficherebbe la variazione di progetto in fase co-
scarichi sottostanti il muro perimetrale. Nel struttiva che abbiamo ipotizzato, il cattivo
butto, tuttavia, i frammenti riconducibili all’at- stato in cui è stato rinvenuto il pavimento del
tività di cottura, olle in particolare, sono pre- molo, forse di tanto in tanto soggetto ad alla-
ponderanti (vedere L. Di Cosmo in questo gamenti, nonché la precoce chiusura dell’in-
volume); ciò forse dipende dal fatto di essere gresso al monastero in questo settore, ancor
localizzato presso il molo, quindi non lontano prima dell’assalto arabo, così come è stato
dalle cucine, mentre gli scarichi sarebbero da supposto nel corso delle precedenti ricerche.
relazionare a materiali da dispensa e trasporto Anche i rinvenimenti vitrei, fittili e metallici,
provenienti dai magazzini. Pur trovandosi compreso lo scudetto in rame RN 6162 (vedi
sotto i crolli, gli strati 17130 e 17140 si trova- l’analisi di N. Abate in questo volume) sem-
vano ad una quota relativamente alta, quindi brerebbero confermare, seppur più generica-
poco in profondità rispetto al pelo dell’acqua mente, l’appartenenza della cultura materiale
altomedievale. Tale circostanza porta ad ipo- ad un orizzonte cronologico di IX secolo.
tizzare che il settore meridionale dell’area in- Anche le murature che si affacciavano sullo
specchio d’acqua, sebbene di reminiscenza
classica, e forse riutilizzando materiali di quel-
l’epoca, dovettero essere impiantate in epoca
carolingia (fine dell’VIII-prima metà del IX
secolo), poiché l’opera a grandi blocchi si ri-
scontra in coevi contesti, sia all’interno del
monastero, sia altrove in area campano-laziale
(vedi A. Frisetti in questo volume).
Come suggeriscono soprattutto le evidenze ce-
ramiche, la distruzione del porticciolo an-
drebbe ricondotta all’incendio seguito
all’assalto arabo dell’881 che, peraltro, come
ricorda il Chronicon, ebbe come esito lo sca-
rico di materiali nel Volturno. La conferma va
ricercata nello stato di parziale carbonizza-
zione in cui versavano molte delle travi e degli
altri elementi lignei e negli strati di bruciato
rinvenuti nel corso degli scavi, quali l’inter-
faccia di distruzione 17063 (ceramiche datate
al IX secolo), l’us 17201 sulla pavimentazione
del molo, e la 17034 nel settore PZ2 (cerami-
che con confronti databili tra VIII e XI). Va
Fig. 21: Punto di contatto tra i pavimenti
peraltro segnalato che lo strato con carboncini
del molo e del cd. Refettorio degli Ospiti
17200, che sigillava la superficie pavimentale
di Riguardo.
68 ALESSANDRO LUCIANO

del corridoio accessibile dal molo, ha restituito ferri di cavallo.


un’epigrafe funeraria (RRNN 6166, 6168, Tra le altre cose, lo scavo ha consentito di ap-
6169) datata paleograficamente agli inizi del purare che il Ponte della Zingara non può risa-
IX secolo (vedere il capitolo a cura di D. Fer- lire ad età tardoantica o altomedievale, come
raiuolo in questo volume). sinora si supponeva (HODGES 1993/5), ma
Nel X, quando i monaci ritornarono alle sor- deve datarsi almeno alla fine del medioevo o
genti del Volturno dopo la parentesi capuana, all’età moderna, poiché le sue fondazioni ta-
il crollo del pontile ligneo doveva aver reso gliano gli strati di crollo che obliterarono le
inutilizzabile l’accesso che conduceva verso banchine lignee (Fig. 22). Ad una prima ana-
la Chiesa Sud e i sottostanti “magazzini” e, di lisi, i blocchi litici impiegati nella sua costru-
conseguenza, averlo occluso definitivamente. zione sembrano del tutto simili a quelli del cd.
L’altro ingresso (quello che introduceva nel Portico dei Pellegrini nel S. Vincenzo Nuovo,
cosiddetto refettorio degli ospiti di riguardo) per cui è possibile che ne condividano la data-
era forse già stato precedentemente sbarrato zione.
da un muro.
L’incendio del porticciolo ebbe come conse- Funzioni del pontile vulturnense e proposte
guenza anche il crollo parziale delle strutture di confronti
murarie, poiché dallo scavo emerge chiara-
mente che le travi furono schiacciate dal loro Le strutture lignee riportate alla luce lungo il
peso. Altri crolli, tuttavia, dovettero succedersi tratto del Volturno antistante la Chiesa Sud, il
ad un ritmo più lento, poiché nei loro livelli si c.d. Refettorio per gli Ospiti di Riguardo e il
riscontrano materiali ceramici più tardi, ricon- Refettorio comunitario hanno tutto il sem-
ducibili grossomodo al X secolo. Ad un pe- biante di un approdo fluviale di tipo portuale,
riodo relativamente tardo datano anche alcuni come molti confronti con altri contesti esplo-

Fig. 22: Gli strati di crollo visibili sotto la spalletta del Ponte della Zingara.
IUXTA FLUMEN VULTURNUM 69

rati in Italia e in Europa permettono chiara- dendo a ritroso) le gole di Colli e forse non
mente di constatare. Tuttavia, è evidente che, oltre la confluenza con il torrente Vandra.
in questo caso, di un “porto” vero e proprio Piuttosto, le strutture rinvenute dovevano fare
non poteva trattarsi, dato che il fiume poteva parte di un sistema di attrezzaggio dell’attra-
eventualmente essere navigato da piccole im- versamento del fiume, come si è già più volte
barcazioni in direzione della sorgente (quindi ricordato, collegandone le due sponde in pre-
per circa 2 km al massimo), ma non poteva es- senza probabilmente di uno o più punti di ac-
serlo in direzione della foce, oltre il mona- cesso all’area claustrale e in rapporto agli
stero, poiché, come si è già detto, il corso si spazi edificati in riva destra che, ipotetica-
rompeva subito dopo in rapide e cascatelle che mente, si può pensare fossero occupati da un
avrebbero reso impossibile la navigazione a burgus ospitante attività ausiliarie (anche di
qualsiasi tipo d’imbarcazione. tipo produttivo), le dimore dei collaboratori
È quindi possibile che esso sia stato utilizzato laici dei monaci e, forse, anche le strutture di
come vera e propria via di trasporto nel breve alloggio per ospiti e pellegrini.
tratto intercorrente fra le cave di travertino in- Inoltre, come sembra testimoniare il ritrova-
dividuate nella Piana di Rocchetta non lontano mento di ami da pesca (Fig. 23), i pontili lignei
dal corso del fiume e l’abbazia (Moscariello dovevano essere anche utilizzati per questo
2007), in modo da facilitare la movimenta- tipo di attività, ma certamente essi erano anche
zione di questo materiale verso i cantieri mo- parte di un sistema di interazione fra gli edifici
nastici, ma sicuramente non più di questo. Di e le acque che comprendeva la possibilità di
certo, i pontili lignei rinvenuti non poterono attingere direttamente all’acqua pulita (ad
mai essere il punto di arrivo di traffici di per- esempio nelle cucine) e di smaltire quella
sone e cose condotti sulla lunga distanza attra- sporca. Una volta che il fronte fiume del mo-
verso il corso del Volturno, la cui navigabilità nastero potesse essere esplorato in modo più
in risalita doveva interrompersi molto proba- esteso, si potrebbe capire in modo più chiaro
bilmente poco a monte di Venafro e comunque come questo sistema di attingimento alle
prima che il corso impegnasse (sempre proce- acque bianche e di eliminazione di quelle nere

Fig. 23: I presunti ami con galleggiante ed il laccetto in cuoio trovati in PZ. A destra:
miniatura con scena di pesca dal Pontifical de Guillaume Durand (XIV secolo).
70 ALESSANDRO LUCIANO

Fig. 24: Disegno ricostruttivo dell’insediamento di Comacchio.

Figg. 25: Strutture portuali di Classe.

Figg. 26: Strutture portuali di Classe. Fig. 27: Magazzini in zona Mele a Meta-
ponto.
IUXTA FLUMEN VULTURNUM 71

Fig. 28: Magazzini di Piazza Bovio a Na- Fig. 30: Avanzamento in mare dei pontili
poli. di Dorestad.
avesse funzionato nel suo complesso. tuito col sito di Comacchio, il cui approdo por-
Non mancano gli esempi di banchine fluviali tuale è stato portato alla luce in località Villag-
coeve a quelle rinvenute a San Vincenzo al gio San Francesco (fine VII-IX secolo) (Fig.
Volturno e con esse confrontabili dal punto di 24). Esso occupava un’area lagunare presso il
vista tecnico-esecutivo; ovviamente, la mag- Delta del Po e consentiva di raggiungere i due
gior parte di tali confronti s’istituisce con ri- isolotti separati da un grosso canale che costi-
trovamenti fatti presso siti in cui, tuivano l’antico abitato (GELICHI et al. 2012, pp.
differentemente dal nostro, sono stati riportati 169-206; GELICHI 2009, pp. 32-39; CALAON
alla luce veri e propri apprestamenti di carat- 2006, pp. 505-530). Un insediamento simile era
tere portuale. la Civitas Nova Heracliana (Cittanova). Stando
Dal punto di vista archeologico, il confronto all’aerofotografia, pare fosse di tipo lagunare,
più calzante per San Vincenzo, può essere isti- con canali navigabili ed opere di land recla-

Fig. 29: Ipotesi ricostruttiva del porticciolo vulturnense visto da Nord (N. Abate).
72 ALESSANDRO LUCIANO

mation a scopo agricolo (GELICHI 2007b). fine X e metà XI secolo, i pali avrebbero sup-
Strutture spondali e banchine in legno, lungo portato una banchina e costituito palificate
il canale principale, datano tra l’epoca tardo spondali utili a bonificare l’area (PLATT 1978, pp.
antica e altomedievale. 187-194).
Nel sito ravennate della Civitas Classis, for- A dispetto delle similitudini, tuttavia, a San
matosi attorno al canale portuale romano, le Vincenzo si riscontrano tecniche peculiari, che
infrastrutture, databili tra la metà del V e gli non trovano confronti in analoghi contesti por-
inizi del VI secolo, erano le costituite da ma- tuali, come l’impiego di sostegni litici sovrap-
gazzini, una strada basolata fiancheggiata da posti e di travi incassate direttamente nelle
portici, banchine sulla sua fronte (Figg. 25- murature, comuni invece in ambito cantieri-
26)23. stico. È evidente che la maestosità dell’ap-
Anche la compresenza di un piccolo molo in prodo, porta d’ingresso al magnifico

Fig. 31: Ricostruzione di pontile di Kau- Fig. 32: Canali al Podere Chiavichetta a
pang. Classe.

muratura affiancato da banchine e di un vero e


proprio pontile ligneo non è inusuale negli ap-
prodi altomedievali (Fig. 29)24. Pontili lignei
costruiti col sistema trilitico erano diffusi in
quasi tutti i contesti italiani e nord-europei,
come dimostrano, ad esempio, i casi di Co-
macchio, Dorestad e Kaupang (Figg. 30-31).
Strutture simili (IX-X secolo), sono state rin-
venute anche a Nogara, sul fiume Tartaro
(SAGGIORO, BROGIOLO 2008, pp. 58-63). Co-
mune è anche l’attestazione di canali di scolo
che convogliavano i rifiuti direttamente in
acqua, come a Classe (Fig. 32)25.
Strutture spondali di V-VI secolo, connesse
alla sistemazione degli argini e alla bonifica
dei terreni, soprattutto waterfront, sono state
rinvenute in diversi siti della laguna vene-
ziana, come Torcello, S. Pietro di Castello,
l’isola di S. Francesco del Deserto (GELICHI
2007) e, naturalmente, a Comacchio (Fig.
33)26. Fuori dall’Italia, si vedano i contesti lon-
dinesi: a St. Magnus House e Billingsgate, tra Fig. 33: Waterfront a Comacchio.
IUXTA FLUMEN VULTURNUM 73

monastero di San Vincenzo iuxta flumen Vul- parare una cassa più alta di un cubito dell’altezza del-
l’acqua. Stuccarla all’esterno con pece e sego affinché
turnum, richiese il ricorso alla pietra da taglio non entri in essa l’acqua e sciolga la stessa calce e coloro
e a tecniche edilizie di stampo romano. Il sa- che ci lavorano dentro. Posta la cassa tra quattro navi,
pere tecnico delle locali maestranze, che ria- venga portata nel luogo dove è necessario, e vengano
ancorate affinché esse navi non si muovano nell’acqua.
dattarono sulla base delle loro necessità
Fatto poi il giusto rapporto di calce, una parte di arena
l’antico patrimonio di conoscenze ingegneri- e due di calce, si costruisca” (CAFFARO 2003).
stiche, fece il resto. 10
Un confronto nella banchina medievale di Venezia e
nel porto sommerso di Puck, nell’estuario della Vistola,
dove, in epoca vichinga (prima metà X-metà XIV se-
Note
colo), si ricorse a cassoni lignei grandi (mediamente 4x5
m.) o piccoli (2x2), riempiti da cortecce, rami, paglia e
1
Anche a Classe (scavi del podere Chiavichetta) è stato pietre (BOGUCKI 2012, pp. 102-105).
ipotizzato che le lucerne rinvenute nei canali fognari 11
Un esempio del secondo metodo, particolarmente
servissero ad illuminare il portico dei magazzini, lungo adatto alla costruzione di elementi indipendenti come
le banchine. Le catenelle sospensorie vulturnensi erano le pilae, si riscontra in una banchina del porto di Marsi-
del tipo semplice, privo di decorazioni, a differenza di glia (HESNARD 2004, pp. 175-204).
quelle rinvenute nel S. Vincenzo Maggiore, in un conte- 12
In realtà, l’attracco poteva avvenire anche per mezzo
sto sacro, quindi di maggiore importanza. di corde legate ad elementi lignei solidali col molo
2
Il restringimento del letto fu determinato proprio dai stesso, come si riscontra nel porto tardo-antico di Mar-
crolli delle mura abbaziali e si è accentuato in seguito siglia (HESNARD 2004, pp. 175-204) (Fig. 13).
alla costruzione della centrale idroelettrica alle sorgenti 13
Utilizzate per scopi differenti, le pilae romane erano
del fiume (vedere l’Introduzione di F. Marazzi). anch’esse edificate coi metodi vitruviani.
3
I muri del monastero non seguivano un andamento 14
In realtà, sebbene particolarmente diffuso in epoca
rettilineo, essendo la linearità spezzata da denti di sega post-classica, il legno, assieme al calcestruzzo, era uti-
disposti a distanze costanti, che avevano la funzione di lizzato anche in epoca classica. L’uso della pozzolana,
frenare l’impeto del corso fluviale e creare delle aree di invece, è documentato da Procopio e dagli scavi di
calma che consentisse alle barche di approdare in tutta Apollonia e Anthedon fino al VI secolo (BELTRAME 2012,
sicurezza (vedere testo di A. Frisetti in questo volume). pp. 266-267). Nell’Altomedioevo, accanto ai porticcioli
4
I magazzini, pavimentati con un acciottolato, furono in legno, una certa diffusione ebbero approdi più sem-
generati dalla costruzione di setti murari trasversali ai plici, come quelli londinesi di Queenhithe e Billingsgate
perimetrali della chiesa longobarda, ritenuta non più che, in epoca sassone, erano costituiti da sponde formate
utile a seguito della fondazione della Basilica Maior (MA- da rozzo pietrisco e legno, che innalzavano ed estende-
RAZZI 2014b).
vano l’area praticabile (HOBLEY 1986, pp. 18-20). Il porto
5
Sulle tecniche costruttive in ambito portuale: FELICI di Truso (fine VIII-inizi XI), presso il lago Drusen (Polo-
2008 e 1998; GIULIANI 2006, HESNARD 2004, pp. 186-201. nia), addirittura, non prevedeva costruzioni, poiché di-
6
La capra era composta di tre o quattro gambe oblique, versi relitti sono stati rinvenuti direttamente sulla
legate al vertice da una corda. Per sollevare carichi non spiaggia. Questa tipologia di ormeggio caratterizzava,
verticali era necessario che la macchina fosse collegata forse, anche la Dorestad di prima fase (BOGUCKI 2012,
da tiranti fissati nel terreno, mentre per quelli più pe- pp. 99-102) e, pare, ancora Genova nel pieno Medioevo,
santi si utilizzavano meccanismi a più pulegge. La tra- lungo la cd. Ripa (BIANCHI, MELLI 1996, pp. 63-65).
zione della corda avveniva a mano o per mezzo di L’alaggio su spiaggia, almeno fino al X secolo, era favo-
argani. Per legare i carichi si utilizzava solitamente il for- rito dal fatto che le barche erano solitamente di modesto
cipe, formato da due pezzi metallici montati su un asse tonnellaggio.
e fissati all’estremità da un uncino. Per l’imbracatura si 15
Oggetti di questo tipo sono stati rinvenuti anche a
utilizzava solitamente la fune spessa. Sull’argomento, Classe.
COPPOLA 2006. Macchine complesse erano particolar- 16
Le corde, nel corso del Medioevo, erano generalmente
mente diffuse nei cantieri d’ambito acquatico sin dal- costituite da una resina estratta dal tiglio, da fibre vege-
l’epoca romana, come la tractoria ricordata da Vitruvio tali (come la canapa), o da rami flessibili di salice o
nella costruzione dei ponti. quercia. Materiali in pelle sono piuttosto diffusi nei con-
7
La fila esterna di pali, a Comacchio, benché molto ser- testi archeologici di ambito portuale (si vedano Londra
rata, pare fosse consolidata da un graticcio in vimini. e Genova), ma solitamente impiegati per produrre o ri-
8
Nella città ligure, l’Arsenale fu edificato facendo uso parare calzature.
del legno in fondazione, con un accumulo di pietre le- 17
Sulla lavorazione del legno e i sistemi di fissaggio,
gate da malta e basate su una fitta palificazione lignea COPPOLA 2006, pp. 167-196.
(BIANCHI, MELLI 1996, pp. 63-65). Essa era inglobata in 18
A tal proposito, l’approdo in muratura lungo il Sile,
un riempimento di macerie funzionale alla produzione presso Treviso (tra l’ospedale dei Battuti e S. Pancrazio),
di un’ampia secca indispensabile alla costruzione della nel 1233 era munito di argano per il sollevamento delle
struttura. Cassoni lignei furono impiegati anche nelle ri- merci e il posizionamento nelle stive (COVINI 2010).
strutturazioni medievali del ponte romano di Londra, 19
Confronti negli approdi di Marsiglia e Wolin.
laddove è il London Bridge (THOMAS 2003, pp. 36-37). 20
I dati emersi confermano parzialmente quanto emerso
9
Il codice altomedievale lucchese, invece, ricorda: “Se nel corso delle indagini delle cucine (MARAZZI 2006, pp.
fosse necessaria una costruzione in acqua, si faccia pre-
74 ALESSANDRO LUCIANO

38-47). Fiorentino e Solinas, ma anche Carannante, CALAON D., 2006, Lo scavo di Villaggio San Francesco
hanno evidenziato, tuttavia, che i ritrovamenti delle cu- 1996 (COM 96). Le strutture portuali di Comacchio?,
cine offrono un quadro limitato rispetto alla dieta dei in F. BERTI, O. ORSI, L. RUFFONI (a cura di), Genti nel
monaci, poiché si sono sedimentati in un unico mo- Delta, da Spina a Comacchio. Uomini, territorio e culto
mento storico (autunno dell’881) e in relazione all’atti-
dall’Antichità all’Alto Medioevo, Catalogo della mo-
vità di preparazione dei cibi. Il materiale proveniente
stra, Ferrara, pp. 505-530.
dagli scavi del fiume, invece, rifletterebbe una situa-
zione protrattasi per un tempo più lungo, quindi ricon- CAMILLI A., 2006, Il cimitero delle navi, in A. CAMILLI,
ducibile ad attività variegate. A. DE LAURENZI, E. SETARI (a cura di), Pisa. Un viaggio
21
I materiali scaricati intenzionalmente nel Reno, presso nel mare dell’Antichità, Catalogo della mostra, Milano,
l’emporio olandese di Dorestad, furono invece utilizzati pp. 12-16.
per land reclamation (WILLEMSEN 2012, pp. 65-80; LEBECQ CESA BIANCHI A., 2006, La mostra: considerazioni su
2012, p. 12). un allestimento scenografico, in A. CAMILLI, A. DE
22
Plausibile è la datazione al IX secolo anche dei fram- LAURENZI, E. SETARI (a cura di), Pisa. Un viaggio nel
menti di tegole cementati, assieme al fondo del vaso, nel mare dell’Antichità, Catalogo della mostra, Milano, pp.
riempimento dell’arca.
33-34.
23
Sugli scavi del podere Chiavichetta: AUGENTI et al.
2007; MAIOLI 2003; MAIOLI 2001; MAIOLI, STOPPIONI 1987,
CERESA MORI A., 2003, Il porto di Mediolanum, in G.P.
pp. 33-55. L’area fu abbandonata tra VII e VIII secolo a BERLANGA, J. PEREZ BALLESTER (a cura di), Puertos flu-
causa del progressivo interramento del porto e della ces- viales antiguos: ciudad, desarollo e infraestructuras,
sazione dei traffici. Valencia, pp. 313-321.
24
Strutture in muratura associate a banchine lignee si ri- COPPOLA G., 2006, La costruzione nel Medioevo, Sa-
scontrano sul Baltico, ad Hedeby (LEBECQ 2012, p. 14), a lerno.
Bjorko, nel lago Malaren e a Gdansk (XII secolo). COPPOLA G., 1996, Ponti medievali in legno, Bari.
25
I canaletti di scorrimento classensi, foderati da assi li- COVINI N., 2010, Strutture portuali e attraversamenti
gnee, erano simili a quelli individuati nelle cucine vul- del Po: alcuni aspetti delle relazioni tra comunità, si-
turnensi.
gnori, e stato ducale longobardo (secolo XV), in A.
26
Come ha fatto notare A. Frisetti, banchine in muratura
associate a palificate sono state riscontrate anche a Tor-
CALZONA, D. LAMBERINI (a cura di), La civiltà delle
cello e nel sito monastico di S. Tommaso dei Borgo- acque tra Medioevo e Rinascimento, Atti del Convegno
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