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Unicità della ragione – unicità del suo interesse
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Il significato della filosofia trascendentale si comprende in pieno
sommando le due istanze, teoretica e pratica. Una volta
determinato il limite dell’estensione della ragione, al suo interno
l’uomo è realmente libero
Volontà
Dipendente da moventi Dipendente da moventi puri
empirici
La volontà qui è allora il massimamente determinabile
Nel senso che essa può essere determinata da motivi tra loro
incommensurabili
E qui sta il punto: è questo allora che permette alla ragione pratica
di allargare il campo della ragione teoretica?
Ma cosa significa? La ragione teoretica non conosce nulla oltre
l’esperienza.
La ragione pratica conosce perfettamente i moventi pratici
empirici, ma li respinge in nome della sua libertà, se non
concretamente, almeno nell’intenzione
Fondazione della metafisica dei costumi
DEF. «Buono senza limitazioni è la volontà buona »
Incondizionata nella sua determinazione, appunto massimamente
determinabile in quanto capace di superare i limiti del sensibile
Vale a dire senza limiti nella sua applicazione
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a. Nell’individuo come eticità
b. Nello stato come diritto
Qui c’è un doppio senso: senza confini nel realizzarsi, e senza
condizionamenti esterni nel determinarsi
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L’oggetto sommo dell’eticità non è un oggetto reale, un qualche
bene materiale, oppure Dio o la felicità, ma la volontà buona in sé .
Buona incondizionatamente, quindi autonoma, non determinata da
un’oggettività esterna
Qui cfr. con Etica nicomachea
Qui si incontra il concetto del dovere. La volontà buona si
caratterizza per far emergere da sé il dovere, in presenza di certe
condizioni e limitazioni che ne costituiscono lo sfondo e lo portano
a manifestazione
In altre parole, il dovere è il senso ultimo dell’incondizionatezza di
una volontà buona, il modo della sua manifestazione, in quanto il
dovere, tradotto anche linguisticamente, significa ciò che non può
essere limitato. Nell’uomo, razionalità finita, esso si presenta
proprio perché razionale, ma si presenta contro le limitazioni di
una natura sensibile e finita, che ostacolano il raggiungimento di
una volontà buona
Da qui il dovere come imperativo
Tema del comando morale
Forma e giustificazione dell’imperativo
Realizzazione pratica del comando
Perché si ubbidisce al comando?
1. Interesse personale
2. Inclinazione al dovere
3. Dovere per il dovere
È chiaro che le prime due non valgono come moralmente buono
1) è del tutto soggettiva ed empiricamente condizionata (paura
delle conseguenze). Dipende dalle circostanze (presenza di un
potere coercitivo) – Hobbes - Locke
2) riporta la nostra attenzione alla interiorità del soggetto agente,
ma su elementi a loro volta contingenti
Può capitare oppure no di essere inclini al dovere
3) è l’unica che rivesta carattere morale
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2) e 3) rimandano entrambe alla soggettività. Quindi dov’è la
differenza? Bisogna ammettere che vi è una duplicità nel soggetto?
Tema irrisolto della ragion pratica
Ma qui si apre un problema
Riguardo alla 1), si può osservare che quel risultato lascia del tutto
fuori ogni possibilità che lo stato promuova in qualche modo il
bene nell’agire. Lo stato è l’empirico, alla Hobbes un calcolo
razionale-strumentale che deve essere pensato non razionalmente,
in senso kantiano, orientato a promuovere l’eticità del singolo,
bensì solo ad essere massimamente efficiente
Qui si può leggere la deriva strumentale della società nel ‘900 -
Scuola di Francoforte
Riguardo alla 2) le inclinazioni possono essere coltivate (ed ecco
l’importanza dello studio antropologico-pedagogico, che mostra
come Kant abbia ben in mente una condizione pratico-reale
dell’esistenza), ma non possono in alcun modo essere modificate
in altro da quello che la natura ci ha dato (lotteria naturale)
In base al principio metaetico adottato, rimane solo la 3) da
prendere in considerazione come fondazione della moralità
Ed è da qui, credo, che nascano le critiche la formalismo etico-
intenzionale di Kant: il soggetto disincarnato
Ma in realtà per Kant la morale non è separata dal mondo, per
esempio legge morale rivolta alle massime soggettive
La legge morale costituisce il motivo razionale determinante del
mondo
Da qui prenderà le mosse Fichte
Qui c’è però un altro motivo da prendere in considerazione. Se è
vero che la legge morale determina il mondo socio-politico, è
anche vero che in qualche modo finisce con il rideterminare se
stessa, dal momento che le massime a cui si rivolge sono a loro
volta espressione proprio di tale mondo socio-politico che essa
condiziona, sebbene razionalmente
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E qui entra in gioco la visione sia hegeliana che heideggeriana, di
uno sviluppo storico, ossia di un condizionamento storico delle
condizioni materiali dell’esistenza, del nostro essere sempre in un
mondo
HÖFFE, la volontà opera effettivamente in un mondo di condizioni
e fatti che la volontà stessa non può interamente abbracciare e
quindi prevedere nei suoi sviluppi.
Certo, se è così (ed è così perché la finitezza della volontà lo
testimonia) allora non possiamo prendere l’azione come metro di
successo nella determinazione morale del mondo, poiché questo
non è interamente determinabile dalla mia volontà e dalle mie
forze.
In altre parole, la finitezza dell’uomo rende necessario trovare
altrove le condizioni della sua moralità (incondizionata), rispetto
a quel terreno in cui le limitazioni (che vanificano la moralità) si
manifestano, ovvero la natura.
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L’imperativo categorico e le sue travisazioni
Una dignità morale, anche alla ricerca della felicità, che si traduce
in motivi razionali
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Che sono in senso proprio essenzialmente linguistici di coerenza
interiore, poiché la ragione non può autocontraddirsi, e se lo fa
viene meno il suo carattere razionale. In altre parole, è
un’esortazione a riconoscere la propria natura razionale, e quindi
far dipendere l’agire da sé e non da motivi esteriori. La garanzia di
sfuggire alla propria individualità empirica è proprio il carattere
intrinsecamente incontraddittorio della ragione, che deve spingere
ciascuno a ricercare la formulazione etica coerente con questa
rigorosità linguistica interiore
Dal momento che l’imperativo categorico rappresenta la risposta
diretta alla domanda "cosa devo fare?", esistono tre livelli di
risposta pratica, in relazione all’estensione delle limitazioni che
adottiamo nell’organizzazione proposizionale della nostra risposta
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Questo vuol dire che, prima ancora che una prassi concreta, qui ci
troviamo di fronte ad un’aspirazione (regno dei fini) che
caratterizza non più l’individuo (risolto da 1) e 2)), ma l’umanità
nella sua totalità (2° forma dell’imperativo categorico)
Come affrontare il problema dell’astrattezza del principio? Con le
massime
Questo può essere il possibile procedimento
a. Noi agiamo in modi svariati, dettati dalle circostanze
empiriche
b. Di fronte al comando etico ci poniamo in una condizione di
riflessione razionale: "agisci eticamente" diventa "sii
razionale"
c. La forma di questa razionalità non può che essere
l’universalità (ragion pura), tradotta in chiave pratica
d. Questa traduzione assume l’aspetto della forma linguistica
della legge universale
Valore della soggettività e spazio aperto alla concretezza della
prassi
Come la legge di natura non dipende dalla specifica realtà
empirica, così la legge etica come massima universalizzata non
dipende dalle condizioni empiriche da cui noi partiamo per
costruire la proposizione linguistica dell’imperativo
Le massime
Qui c’è un parallelo con Hegel, perché anche lui afferma che
l’individuo vive una vita che tende all’universale. E questo
tendere, comune in entrambi, è quello che possiamo chiamare
ragione
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Kant-Hegel, vita dell’individuo come tendenza insopprimibile alla
razionalità
Qui si colloca il senso delle nostre massime individuali, del nostro
agire particolare, una comune direzione che deve farci
comprendere di essere accomunati a tutti gli uomini
Il nostro agire come un agire secondo ragione
Moralità delle massime e non delle regole
interiori
esteriori
Contingenti, e quindi mai di per sé valide universalmente
Soggettive, ma proprio per questo legate alla nostra costituzione
razionale
Il problema tra Kant e Hegel è che il primo non vede
nell’esteriorità alcuna traccia di una universalità razionale e
immanente, ma coerente con l’impianto trascendentale riconduce il
razionale al soggettivo, poi criticato da Hegel, Fede e sapere
HÖFFE, etica delle massime, pp. 171-73
L’imperativo categorico
Test dell’universalizzazione
Criticato perché annulla il benessere individuale = rigorismo etico
Come si può perseguire una morale che annulla l’individuo, di cui
si vorrebbe promuovere la moralità?
In realtà Kant indica il perseguimento del benessere, ma vuole
fondarlo razionalmente. Il test è appunto un atto fondativo,
ovvero la manifestazione concreta della nostra razionalità, la
capacità di creare una forma linguistica di massima che, a
prescindere dalle condizioni empiriche in cui viene formulata, non
entra in contraddizione con se stessa
Ora, l’atto fondativo, in ottica criticista, ricade sul soggetto, e
questo vuol dire che l’attenzione all’obbligatorietà non ricade solo
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sugli altri (per es. lo stato, la religione, ecc.), ma anche e
soprattutto su di sé.
Perfezione morale di sé
Felicità degli altri
Non si può andare contro la propria volontà = non si può volere
senza tener conto della ragione
Ed è proprio questo concetto che ci assicura l’apertura della
volontà anche alla ragione
Sulla base del postulato della natura razionale/libera della volontà.
Volontà come massimamente determinabile
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L’autonomia della volontà
L’imperativo categorico e l’autonomia della volontà sono
questioni connesse
Problemi 1 e 2 della ragion pratica –> un principio come
l’imperativo categorico non può comandare se non una volontà in
sé libera
Qui abbiamo così l’indagine sulle condizioni a priori della
moralità.
In primo luogo vanno eliminati i moventi empirici , in quanto non
universali (utilitarismo)
Legalità legiferante
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Questo è un punto importante, poiché se la forma legiferante è il
razionale, ne viene che la razionalità non ha solo una funzione di
guida, ma anche di motivo agente, è un motore di matrice
aristotelica, e quindi deve essere intesa essa stessa parte costitutiva
del soggetto empirico che concretamente agisce
La forma legiferante delle massime è la stessa libertà
trascendentale definita nella ragion pura come indipendenza da
ogni causalità naturale
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Bisogna però chiedersi cosa veramente giudico, se l’azione in sé o
la connessione tra azione e legge?
Quindi nella dimensione dell’agire morale l’uomo non perde
contatto con la quotidianità del suo agire concreto
Ed è infatti nella quotidianità che l’uomo si imbatte nella
dimensione della propria libertà
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Il c onc e t to r azi onal e d i di r i t to
1) Il concetto di ragione
La nostra intrinseca razionalità, ovvero la capacità fondativa di
operare senza condizionamenti empirici
2) La libertà esterna nella convivenza
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Ovvero l’efficacia della libertà della nostra volontà
(nell’intenzione) di operare anche nei rapporti tra individui, a
loro volta razionali e liberi
Il concetto di diritto ha due aspetti determinanti
Questi due aspetti determinati sono chiaramente costituiti dalla
unione di un elemento normativo 1) con uno descrittivo 2)
Con il che si rifiuta tanto l’arbitrarietà della determinazione
positiva del diritto, che non tenga conto della dimensione
morale/razionale dell’uomo, quanto dalla parte opposta, la pretesa
del diritto e dello stato di insegnare la virtù ai cittadini, anticamera
di ogni totalitarismo
Il diritto deve rendere possibile la convivenza di persone prima di
ogni esperienza
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tramuta in esterna, oppure l’esterna è qualcosa di diverso, libertà
mediata dalle forme del diritto?
Questo però non vuol dire che Kant proponga un’idea morale del
diritto, ovvero una coincidenza del diritto positivo con la moralità
del singolo. Il diritto deriva direttamente dalla ragion pura pratica,
la quale si sa che comanda la pura forma universale della legge
In altre parole, mi sembra che diritto sia lì dove avviene una
trasposizione dell’universalità che noi avvertiamo individualmente
nelle nostre intenzioni in ambito esteriore, di modo che la
apparente coercizione dell’agire, determinata dal diritto, non sia
altro che la conformità del carattere impositivo delle leggi
positive con il comando della ragione pratica, il quale è ratio
cognoscendi della nostra stessa libertà
La proprietà
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Difficoltà della sua definizione.
Disporre della proprietà come del proprio corpo, imponendo agli
altri un limite di spazio e di esercizio della libertà
Questo sembra fare della proprietà un’appropriazione
incondizionata, ovvero basata sul diritto del più forte. In effetti la
proprietà significa potere, e quindi in qualche modo impone una
determinata coercizione
Non è un caso che la proprietà sia stata ampiamente criticata dal
comunismo filosofico, intesa cioè come una sorta di furto, di
fronte all’affermazione di una comune proprietà di tutti
(Proudhon)
Di fronte a queste difficoltà, Kant ritiene di fondare la proprietà
come una realtà necessaria secondo ragione, quindi non legata a
motivi contingenti, ma secondo una riflessione razionale, fondata a
sua volta sulla libertà costitutiva di un ordinamento giuridico
razionale, cioè puro a priori
Ora, puro a priori vuol dire, in ambito pratico, libero. Ebbene la
proprietà viene determinata dal fatto che l’uso che un altro fa di
una mia proprietà lede la mia libertà garantita da una legge valida
a priori
Non solo, ma la mia proprietà non si limita a ciò che porto addosso
o uso ora, ma è un concetto intelligibile
Dal che ne segue che oggetto del mio arbitrio è ciò che io posso
usare ponendolo al servizio dei miei scopi.
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La libertà esterna non si può realizzare se non posso usare di tale
concetto di realizzazione di scopi, e quindi della proprietà ad esso
connessa.
La libertà fonda la proprietà, altrimenti ci sarebbero oggetto da
porre al servizio dei miei scopi, ma che nessuno è legittimato a
usare (autocontraddittorietà)
Critica Locke sul lavoro. Per ottenere qualcosa di mio con il
lavoro, bisogna che sia già proprietario di mezzi e materiali per
esercitarlo (es. terra).
Possesso terra come bene comune, su cui ognuno può esercitare
la proprietà con l’impossessamento. Questo sembra il diritto del
più forte
Qui invece sembra quasi tornare in mente Hobbes e Rousseau:
incondizionatezza della proprietà, che cerca Kant, diventa assenza
di proprietà
Il diritto pubblico
Diritto pubblico come fondamento dello stato di diritto
In questo senso lo stato diventa il garante della proprietà – Locke.
Libertà-proprietà –> stato-proprietà
La sicurezza giuridica è il fondamento razionale dello stato, basato
sulla libertà razionale
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In questo senso vi è una critica su Kant come difensore della
nascente società borghese-capitalista, fondando addirittura
razionalmente la libertà di impresa e di accumulo.
Sebbene si debba dire che Kant non pone solo la proprietà
nell’insieme dei diritti inalienabili, è certo che essa acquista un
peso rilevante nel discorso
Contratto
Idea della ragion pura pratica a priori, ovvero l’idea di stato che
una ragion pura pratica si forma
Non come è, ma come dovrebbe essere
Il fondamento dello stato è il contratto, il che fa di Kant erede e
sistematore del contrattualismo moderno
1. Hobbes, lo stato di natura come motivo razionale della
necessità dello stato
2. Locke, la proprietà e i diritti inalienabili
1. Montesquieu, divisione poteri
1. Rousseau, volontà generale
Stato di natura
Anche qui, di nuovo, si può anche pensare che si faccia ciò che si
deve fare (intenzione), quindi si agisce moralmente, ma senza
tener conto del corso del mondo
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In questo stato, però, i diritti mancano completamente di sicurezza,
ovvero ognuno fa valere il proprio diritto senza legalità. I diritti
perdono così il loro carattere giuridico. Sono in pratica degli
arbitrii, il cui risultato è la guerra hobbesiana
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Il problema può essere di ordine metodologico, nel confrontare un
elemento a priori, il contratto, con uno storico-empirico, lo stato
giuridico concreto nel quale ogni singolo uomo vive.
Il che tra l’altro mi sembra riproduca il contrasto tra l’intenzione
morale e l’azione pratico-reale
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Fi l osof ia de l la st ori a
e de l la re l i gio ne
Temporalità = storicità
Non a caso Kant stesso usa il termine "speranza", che implica un
ricorso alla dimensione della storicità, come apertura di senso,
destinazione e compimento dell’individuo
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Le condizioni a priori che fanno della storia uno svolgimento
razionale e sensato
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Il cosmopolitismo e la federazione è la proiezione di questo
contrasto di mediazione, ragionevole ma non concretizzabile
La speranza
Dio come oggetto di speranza ragionevole, cioè filosoficamente
fondata
Vedere critica di Weischedel
I postulati
Per essere morali non occorre la fede. Ad essa conduce la nostra
stessa moralità
La vita ha però bisogno di uno scopo ultimo come senso per il
nostro agire
Questo scopo (oggetto della ragion pratica) è il sommo bene
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