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UGO FOSCOLO.

Ugo Foscolo nacque a Zante nel 1778. Costretto fin da giovane ad allontanarsi dalla sua patria,che
rimase sempre nel suo cuore come luogo mitico della memoria, sede dell’ innocenza e della
bellezza, della felice protezione materna e della patria vera, si sentì esule per tutta la vita, strappato
da un mondo di ideali classici in cui era nato e cresciuto, tramite la sua formazione letteraria e il
legame con la terra dei suoi antenati. La sua vita fu caratterizzata da viaggi e fughe, a causa di
motivi politici (militò nelle forze armate degli stati napoleonici, ma in maniera molto critica, e fu un
oppositore degli austriaci, a causa del suo carattere fiero e dei suoi sentimenti repubblicani), ed egli,
privo di fede religiosa in quanto intellettualmente formatosi alla scuola
degli Illuministi più materialisti, ed incapace di trovare felicità nell'amore di una donna, avvertì
sempre dentro di sé un infuriare di passioni. Alla morte del padre, si trasferì con la famiglia a
Venezia: aveva 14 anni aveva fatto pochissimi studi e non conosceva la lingua italiana. Qui si gettò
subito nella vita della società e nelle letture, facendosi una cultura classica e contemporanea e
mettendo in circolazione le sue prime poesie. Politicamente era attratto dagli ideali della
Rivoluzione Francese e dalla personalità di Napoleone, che gli sembrava essere l’interprete di
quegli ideali, destinato a diffonderli in Europa e in Italia. Frequentando il salotto aristocratico si
innamorò di Isabella Albrizzi; Foscolo aveva 18 anni e la donna non fu insensibile a quella
passione, che si consumò in pochi giorni ma che lasciò nei due un’amicizia che durò tutta la vita.

LE POESIE-CARATTERISTICHE. Il corpus di poesie di Foscolo è piuttosto esiguo; esso è


composto da 12 sonetti e 2 lodi( A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica risanata),
poiché mira all’essenziale. Nel 1802 esce una prima edizione delle poesie, composta da 8 sonetti e 1
lode. Nella primavera del 1803 esce l’edizione Milanese nella quale vi è l’integrazione di una
seconda lode e altri 3 sonetti. Nell’autunno del 1803 esce l’edizione definitiva nella quale viene
aggiunto il sonetto 10° ( In morte del fratello Giovanni). I temi presenti in questi sonetti sono
quelli  tipici foscoliani come quello dell'esilio, della patria greca, delle illusioni,
degli affetti familiari e il presagio della tomba illacrimata, dell’amore.

ALLA SERA. Sonetto pubblicato a Milano nella primavera del 1803. Il tema è la sera, vista come
immagine della morte, la «fatal quiete», cioè una dimensione cosmica atemporale, ma anche la pace
dell'anima. Per questo motivo è molto cara al poeta. Ma affine a questo, emerge dalla poesia anche
un altro tema fondamentale: il sofferto rapporto tra il desiderio di pace del poeta e il senso
angoscioso della vita che lo travaglia. La sera è descritta quindi da Foscolo sia come portatrice di
bei tramonti estivi, accompagnata da venti leggeri, sia come foriera di atmosfere invernali,
tenebrose e nevose, ma in entrambi i casi la sera è sempre desiderata, perché essa ispira i più intimi
pensieri, le più segrete aspirazioni. Il poeta esprime il dolore e la tristezza della sua condizione, in
attesa della sera come momento di pace e di riflessione, anche sui temi della morte. L'attende con
ansia per placare angoscie e incertezze, come momento di liberazione e di pace. La sera ha il potere
di placare l'anima ribelle e guerriera che lo agita e di donargli un momento di riposo, liberandolo
dalla tristezza della giornata. Questo sonetto segue lo schema rimico ABAB ABABA CDC DCD, vi
sono le allitterazioni dei suoni chiari delle vocali e ed i nelle quartine, e quelle dei suoni cupi delle
vocali o ed u delle terzine. Il lessico è altamente letterario, costruito con parole auliche e poetiche;
molte di queste latinismi (reo, aere, secrete, torme, cure) che danno al sonetto una forma
neoclassica, mentre i sentimenti espressi sono decisamente romantici. La poesia è composta da
periodi paratattici e ipotattici. Nelle quartine i periodi son più ampi e complessi, il tono è solenne,
l’andamento è disteso, mentre nelle terzine i periodi sono più corti e concitati, vi è una maggiore
soggettività, il ritmo è incalzante, si focalizza sulla sua esperienza personale.

IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI. Questo sonetto è stato aggiunto per ultimo
all’edizione definitiva dell’autunno del 1803. È noto anche come “Sonetto 10°”. Il motivo
occasionale di questo sonetto fu la morte del fratello dell’autore, Giovanni Dionigi, nel dicembre
del 1801, che si è suicidato a causa di debiti di gioco. Il sonetto segue lo schema rimico ABAB
ABAB CDC DCD, evidente è l’allitterazione delle consonanti t,r e d e delle vocali o ed e. Ci sono
periodi sintattici in prevalenza paratattici con poche subordinate. Da notare nelle quartine l’uso
alternato di un gerundio e un participio alla fine di ogni verso: i gerundi stanno ad indicare una vita
sofferta (fuggendo,gemendo), mentre i participi indicano la morte (caduto,seduto). I temi principali
sono: la morte del fratello,l’esilio,il motivo della giovinezza stroncata,gli affetti familiari, il culto
della patria, il culto della tomba (la tomba del fratello Giovanni diventa il centro degli affetti della
famiglia del poeta che idealmente si raccoglie su di essa); una figura importante è quella della
madre, poiché l’autore la utilizza come intermediario tra lui ed il fratello, in quanto, non potendo lui
stesso tornare di persona a visitare la tomba del fratello, la madre rappresenta colei che può andare a
piangere sulla toma del defunto e portare ad esso le parole del fratello lontano.

AUTORITRATTO DI FOSCOLO. Pubblicato per la prima volta nel 1802 a Pisa, Foscolo non
disconosce i suoi difetti (si dice anzi “di vizi ricco e di virtù”), Il poeta si descrive, presentando il
suo aspetto fisico e il suo carattere: ha la fronte alta, solcata da rughe, i capelli rossi, i denti bianchi,
un corpo proporzionato; si veste elegantemente; agisce velocemente; ha un carattere impulsivo e
tenace, è sempre in lotta con il destino. Foscolo chiude il componimento affermando che solo con la
morte potrà trovare la fama e il riposo, tema che ricorre in tutti i sonetti. Tuttavia questi versi furono
modificati nell'ultima riedizione, in cui scompare la parola "fama". In quest'opera si manifesta la
necessità per Foscolo di autorappresentazione poetica. Modello di questo sonetto è il componimento
autobiografico di Vittorio Alfieri il Sublime specchio di veraci detti.

LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS.

E’ considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana, nel quale sono raccolte le


lettere che il protagonista, Jacopo Ortis, mandò all'amico Lorenzo Alderani, che dopo il suicidio di
Jacopo, le avrebbe date alla stampa corredandole di una presentazione e di una conclusione. L'idea
dell'opera risale al 1796 quando Foscolo, nel suo Piano di studi dove tentava di dare una
sistemazione organica alla sua cultura, nominava un romanzo dal titolo "Laura, lettere"(si può già
notare dal titolo la sua intenzione di voler scrivere un romanzo epistolare) che si ispirava al suo
amore per Isabella Albrizzi. Il primo Ortis vide l'inizio della pubblicazione a Bologna nel1798 ma
venne interrotto a causa della guerra contro gli Austro-russi alla quale Foscolo partecipò. L'editore
volle che l'opera venisse completata e la affidò ad un certo Angelo Sassoli facendola poi pubblicare
nel 1799 cambiando il titolo con Vera storia di due amanti infelici e modificandone alcune parti
sia per farla accettare al grosso pubblico, sia per evitare il sequestro della censura.
Nel 1801 Foscolo, dopo aver sconfessato l'edizione del Sassoli, riprese l'opera e la pubblicò
a Milano. In seguito il romanzo veniva stampato prima a Zurigo nel 1816, con l'aggiunta di una
lettera polemica contro Napoleone, alcune modifiche più che altro di forma e una interessante
"Notizia bibliografica", e in seguito a Londra nel 1817(ultima edizione). Il romanzo si ispira alla
doppia delusione avuta da Foscolo nell'amore per Isabella Roncioni che gli fu impossibile sposare e
per la patria, ceduta da Napoleone all'Austria in seguito al Trattato di Campoformio. Il romanzo ha,
quindi, chiari riferimenti autobiografici. Nella forma e nei contenuti è molto simile a I dolori del
giovane Werther di Goethe. Tuttavia, la presenza del tema politico, assai evidente nell'Ortis e
appena accennato nel Werther segna una differenza rilevante tra i due libri. Inoltre si avvertono la
presenza dell'ispirazione eroica di Vittorio Alfieri e l'impegno civile e politico del poeta in quegli
anni.

Trama
Jacopo Ortis è uno studente universitario veneto di passione repubblicana[3], il cui nome è nelle liste
di proscrizione. Dopo aver assistito al sacrificio della sua patria si ritira, triste e inconsolabile, sui
colli Euganei, dove vive in solitudine. Passa il tempo leggendo Plutarco, scrivendo al suo amico,
trattenendosi a volte con il sacerdote curato, con il medico e con altre persone buone. Jacopo
conosce il signor T., le figlie Teresa e Isabellina, e Odoardo, che è il promesso sposo di Teresa, e
comincia a frequentare la loro casa. È questa, per Jacopo, una delle poche consolazioni, sempre
tormentato dal pensiero della sua patria schiava e infelice. Un giorno di festa aiuta i contadini a
trapiantare i pini sul monte, commosso e pieno di malinconia, un altro giorno con Teresa e i suoi
visita la casa del Petrarca ad Arquà. I giorni trascorrono e Jacopo sente che il suo amore impossibile
per Teresa diventa sempre più grande. Jacopo viene a sapere dalla stessa Teresa che essa è infelice
perché non ama Odoardo, al quale il padre l'ha promessa in sposa per questioni economiche,
nonostante l'opposizione della madre che ha perciò abbandonato la famiglia. Ai primi di dicembre
Jacopo si reca a Padova, dove si è riaperta l'Università. Conosce le dame del bel mondo, trova i falsi
amici, s'annoia, si tormenta e, dopo due mesi, ritorna da Teresa. Odoardo è partito ed egli riprende i
dolci colloqui con Teresa e sente che solo lei, se lo potesse sposare, potrebbe dargli la felicità. Ma il
destino ha scritto: "l'uomo sarà infelice" e questo Jacopo ripete tracciando la storia di Lauretta, una
fanciulla infelice, nelle cui braccia è morto il fidanzato ed i genitori della quale sono dovuti fuggire
dalla patria. I giorni passano nella contemplazione degli spettacoli della natura e nell'amore per
Jacopo e Teresa, i quali si baceranno per la prima e unica volta in tutto il romanzo. Egli sente che
lontano da lei è come essere in una tomba e invoca l'aiuto della divinità. Si ammala e, al padre di
Teresa che lo va a trovare, rivela il suo amore per la figlia. Appena può lasciare il letto scrive una
lettera d'addio a Teresa e parte. Si reca a Ferrara, Bologna e Firenze. Qui visita i sepolcri dei
"grandi" a Santa Croce. Poi, portando sempre con sé l'immagine di Teresa e sentendosi sempre più
infelice e disperato, viaggia fino a Milano dove incontra Giuseppe Parini. Vorrebbe fare qualcosa
per la sua infelice patria, ma Giuseppe Parini in un ardente colloquio lo dissuade da inutili atti
d'audacia, affermando che solo in futuro e con il sangue si potrà riscattare la Patria, ma chi lo farà
rischierà a sua volta di divenire un tiranno; anche uccidere il tiranno è divenuto però inutile, benché
il popolo possa sperare ormai solo in questo. Inquieto e senza pace decide di andare in Francia ma,
arrivato a Nizza si pente e ritorna indietro. Quando viene a conoscenza che Teresa si è sposata sente
che per lui la vita non ha più senso. Ritorna ai colli Euganei per rivedere Teresa, va a Venezia per
riabbracciare la madre, poi ancora ai colli e qui, dopo aver scritto una lettera a Teresa e l'ultima
all'amico Lorenzo Alderani, si uccide, piantandosi un pugnale nel cuore. Segue una spiegazione
finale di Lorenzo sul destino di Jacopo, come quella iniziale.
TEMI. I tempi principali del romanzo sono: la morte, la paura di una sepoltura illacrimata (desidera
prolungare la sua vita nel ricordo delle poche persone che lo compiangono, ossia i giusti);
Il suicidio  va inteso come scelta dell'ultima libertà che il destino non può togliere, quindi assume
un alto valore spirituale, in quanto dimostra che nella vita sono essenziali gli ideali senza i quali
l'esistenza diventa priva di significato e di dignità. La patria è un altro motivo presente, peraltro
sacro al Foscolo. "Il sacrificio della patria nostra è consumato...": è un'affermazione scritta
nell'incipit  dell'opera, che condensa la delusione storica dell'intellettuale giacobino veneto (trattato
di Campoformio; delusione per la fine delle repubbliche democratiche del 1799). L'amore mostra
un dissidio già romantico fra natura e intelletto, fra passione e dovere (3 Dicembre-pag 64). Anche
il paesaggio, ora pittoresco, ora idillico, ora cupo riflette questo dissidio interiore. Le illusioni sono
invece viste in funzione consolatrice e come fonte di generose passioni (15 Maggio 1798-pag 106).

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