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Selenia Marabello
Introduzione
1. Si pensi ai diversi e numerosi finanziamenti europei per interventi a contrasto della
violenza su donne e minori (cfr. la programmazione della Commissione Europea – DG
Giustizia, Libertà e Sicurezza denominata DAPHNE).
2. Il reato di stalking approvato dal D. L. 38/2009 è stato successivamente introdotto
dal cosiddetto decreto sicurezza D. L. 11/2009.
3. D. L. 14 Agosto 2013, n. 93, art. 1 che contiene alcune Disposizioni urgenti in materia
di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere recependo la definizione stessa
di violenza di genere che indica tutte quelle forme di violenza da quella psicologica e
fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al
femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.
4. La carta stampata ha documentato in questi anni gli omicidi e le violenze contro le
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donne che con cadenza pressoché quotidiana sono stati accertati in Italia, coniando una
terminologia per questa ampia gamma di reati che estende il significato di Femminicidio.
Anche la televisione ha dedicato spazi sul tema in talk show, produzioni televisive e pro-
grammi d’intrattenimento destinati a diversi segmenti e fasce d’età, sino a produrre un
programma televisivo, dal titolo Amore Criminale che, nello specifico, ricostruisce storie
di violenza nelle relazioni intime.
5. Istituito con il D. P. C. M n. 405 del 28 ottobre 1997, successivamente modificato con
il D. P. C. M del 30 novembre 2000 e del D. P. C. M del 30 settembre 2004, D. P. C. M del
primo marzo 2011 D.M. del 4 dicembre 2012. Fonte Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Dipartimento per le Pari opportunità, http://www.retepariopportunita.it/defaultdesktop.
aspx?page=27 (sito internet consultato in data 12/05/2016).
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6. Indagine sulla sicurezza dei cittadini promossa dalla commissione Multiscopo Istat
del 1998 si ritiene essere, proprio per la raccolta e analisi dei dati, la prima ricerca in Italia
sulla violenza contro le donne.
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7. La cooperativa DAERA dal 2001 al 2008 ha svolto, perlopiù in Sicilia, attività di for-
mazione e ricerca socio-antropologica. Il gruppo di lavoro era costituito prevalentemente
da antropologhe che si erano conosciute nel percorso di studi presso l’Università di Siena
e avevano svolto attività di ricerca sul campo in Italia, Ecuador, India e Ghana. Il lavoro
della cooperativa comprendeva l’ideazione e conduzione di attività formative con i servizi
socio-sanitari, referenti e funzionari enti locali e nelle scuole di diverso ordine e grado,
rivolte sia a studenti che insegnanti, sui temi della diversità culturale; educazione allo
sviluppo, cooperazione internazionale e consumo critico; educazione al genere, affettività
e sessualità; violenza contro le donne. Le attività della cooperativa includevano, inoltre, la
progettazione e il coordinamento di interventi di cooperazione internazionale decentrata
e, su bandi competitivi di istituzioni pubbliche di rilevanza nazionale, attività di ricerca
sociale e antropologica. In particolare la cooperativa ha svolto due ricerche nazionali:
la prima, qui analizzata, sulla violenza contro le donne e la seconda che verteva sulla
discriminazione dei migranti nell’impatto con il sistema giustizia italiano.
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8. I dati proposti si riferiscono prevalentemente, se pur non esclusivamente, alle at-
tività dell’unità di ricerca, coordinata da chi scrive, impegnata nella rilevazione dei dati
sui servizi socio-sanitari, ospedalieri e le forze di polizia.
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Gli operatori, molto più spesso gli infermieri che i medici, pro-
pongono alla donna che presenta segni di presumibile violenza
un colloquio che essi stessi definiscono rassicurante, in cui con
ironia e “modalità scherzose” si cerca di far dichiarare alle donne
di aver subito il maltrattamento. Qualora la donna non risponda
a questa strategia di relazione, il colloquio s’interrompe per evitar
di “forzare” l’utente. Le operatrici invece sembrano cercare un
colloquio più privato in cui agire le leve della confidenza, della
complicità e della “condivisone” del problema. Coloro che non
mettono in atto questo tipo di tattiche comunicative dichiarano
di indurre la donna a dire la verità affermando la validità delle
loro competenze professionali a dispetto delle dichiarazioni
mendaci delle donne-pazienti. Il mettere in dubbio le afferma-
zioni della vittima e il tono fermo con cui si evidenzia che certe
ferite o ecchimosi non possono esser frutto di quanto dichiarato,
vorrebbe dar uno scossone alle “donne intorpidite” dalla violenza
spingendole alla denuncia. Un’esigua minoranza di operatori ha
dichiarato di non tollerare i silenzi e le ragioni di alcune donne
che “giustificano” la violenza dei propri partner. Nonostante le
presunte buone intenzioni di questo tipo di interventi, va evi-
denziato che le strategie impiegate rispondono debolmente ai
bisogni delle donne dal momento che spesso, in questa pratica
di relazione, vengono sfidate o vittimizzate da un atteggiamento
compassionevole o giudicante (Marabello 2004: 66).
Conclusioni
pubblica che non ha avuto, come in altri paesi, uno sviluppo consi-
stente, alla mancanza di luoghi di confronto tra ricerca fondamentale e
applicata – tema su cui di recente si registra un cambiamento 11 – e alla
più generale debolezza delle discipline antropologiche all’interno delle
scienze sociali. D’altra parte l’antropologia applicata comporta impegni
e tipologie di lavoro diverse da quelle richieste in ambito accademico
così come altri tempi di realizzazione da quelli che ci si attende da una
ricerca fondamentale, l’uso integrato di strumenti e metodologie di
ricerca non squisitamente disciplinari, così come prodotti finali, quali i
report, che non hanno un valore scientifico riconosciuto e che, in modo
evidente, scontano un mercato editoriale italiano poco attento, in gene-
rale, ai prodotti della ricerca.
Il tema della ricerca sociale presupporrebbe riflessioni più ampie
e trasversali che includano sia quelle realizzate dentro le università,
che quelle applicate, spesso condotte al suo esterno, interrogandosi
su committenza e/o fondi di ricerca, rapidità e tempistica, condizioni
contrattuali e ruolo pubblico dei saperi e/o delle cosiddette scienze
sociali. Queste necessarie considerazioni sul ruolo della ricerca e della
relazione di questa con lo spazio pubblico e le società, non sono oggetto
specifico di questo scritto, dove invece si è tentato di rendere osserva-
bili/discutibili dati ed esperienze di ricerca provando a trovare terreni
di confronto pubblico e, dunque, di rielaborazione. Al contempo, si è
tentato, pur nella semplice narrazione di un processo di ricerca di por-
re l’attenzione sulle implicazioni che questo tipo di indagini portano
con sé, sulla dimensione socio-politica dell’impatto e delle aspettative,
sulla difficoltà, probabilmente a quel tempo più che oggi, di legittimare
i metodi e le ricerche etnografiche. Proprio la capacità di interpretare
l’esperienza (Fabietti 1999) e le imperfezioni (Piasere 2002) di chi conduce
le ricerche etnografiche senza indugiare nel narcisismo, assumendosi
le responsabilità che derivano dagli interventi di ricerca e azione, non
esime i ricercatori dallo sviluppare una capacità analitico-interpretativa
ad ampio spettro. Nelle ricerche antropologiche, necessariamente in
quelle di tipo applicato ma non esclusivamente, l’analisi critica verte
al contempo sui contesti sociali; sui processi storico-politici macro che
orientano le scelte tematiche, i finanziamenti e l’impiego dei saperi spe-
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