Leggi attentamente il seguente testo e poi presentane un breve riassunto e commentalo.
MODA Tutti ci parlano dei danni che uomo e ambiente stanno subendo a causa dell’inarrestabile e vertiginoso ciclo di magliette e gonne e sottovesti; della dipendenza crescente da outfit appena impacchettati, che incarnano la promessa di apparire migliori e differenti; della tendenza a gettare il vecchio nel cassonetto (dell’immondizia o degli abiti usati). Insomma, è ormai noto che l’industria della moda sia tra i principali responsabili del cambiamento climatico. Per anni una delle notizie online più diffuse è stato il dato (oggi in gran parte smentito, ma ancora ripetuto da molti) secondo cui il settore della moda sarebbe il secondo maggiore inquinatore del Pianeta. Il disastro della fabbrica tessile di Rana Plaza, nel 2013, ha generato un aumento dei controlli nell’ambito dello sfruttamento della manodopera a basso costo per marchi di moda diffusi a livello mondiale. Nello stesso periodo, marchi sia di lusso sia di massa hanno imparato a usare in modo fluente (e fiorito) il linguaggio della sostenibilità, facendo a gara a chi più riduce le emissioni di anidride carbonica. Tutto questo avveniva prima della pandemia, che ha provocato un crollo nel settore. Negozi hanno fallito, atelier hanno spento le luci, industrie tessili hanno abbassato le serrande, ordini per gli indumenti autunnali sono stati cancellati, e le spedizioni primaverili sono state rifiutate nelle piattaforme di carico dei grandi magazzini. Mentre tragedia e paura si diffondevano nel mondo, e ci si preparava a resistere in casa, i vestiti diventavano l’ultimissimo dei problemi. Al contempo, trapelavano storie di operai tessili in paesi lontani sottoposti a ristrettezze disperate, a mano a mano che le perdite si propagavano lungo la filiera. Secondo qualche previsione era finalmente giunto il momento per l’industria di affrontare il sistema da essa stessa creato: ci trovavamo alle soglie di un nuovo inizio. Stilisti, rivenditori e giornalisti si dichiararono d’accordo: forse, dicevano, è ora di svegliarsi. Non essendo riusciti a modificare i nostri modelli di sovraproduzione, consumo eccessivo, ribasso dei prezzi e sprechi, la natura lo sta facendo per noi. Forse dovremmo cogliere la palla al balzo e resettare il sistema in modo più razionale. Eppure in questi giorni non si parla che dell’atteso Great Unmasking, quando abbandoneremo le mascherine e ci ritroveremo tutti a fare festa come fosse il 1921 – vestendoci di conseguenza. Il breve clamore suscitato da una riforma delle vendite e delle stagionalità si è spento. Tutta quell’energia sociale repressa era anche, a quanto pare, potenziale energia di shopping. Da come verrà esercitata capiremo se quelle proposte si concretizzeranno sul serio. Il problema è che ora, proprio come le etichette dei saldi ci persuadono ad acquistare un capo a cui altrimenti rinunceremmo, il fatto che un vestito derivi da poliestere riciclato o da bucce d’arancia si aggiunge ormai ai fattori di seduzione.