ciò che avviene in ambito teologico avviene anche in ambito giuridico: sentendo la necessità di una sistematizzazione razionale del
patrimonio normativo e ciò avviene grazie al metodo dialettico aristotelico che consente di dilatare le norme di far sì che la norma ci dica
tutto quello che può dire, anche ciò che è nascosto sotto il dettato normativo; come dice bellomo il giurista crea una norma che nel corpus
non esiste come norma espressamente formulata ma che nel corpus è implicita e che va tirata fuori, va enucleata con un argomentazione
dialettica.
i giuristi(prima in francia e poi in italia) si insiste sempre di più sui modi arguendi in iure, ovvero i modi di argomentare il diritto, modi
frutto dell’applicazione della dialettica in ambito giuridico, modo già utilizzato nel periodo della glossa, ma con i commentatori prende
forza e viene usato più intensamente;
ad es. jacques de revigny cerca di rispondere alla domanda se il marito debba pagare gli alimenti alla moglie, ovvero se sussista un obbligo giuridico al
mantenimento della moglie→ per rispondere a tale domanda revigny osserva che nel corpus iuris civilis non esiste una norma che imponga al marito di
mantenere la moglie quando la dote è insufficiente, esiste però una norma che, anche quando manca la dote, impone al marito di pagare le
spese funebri per il funerale della moglie : Revigny, attraverso la dialettica, afferma che è pacifico che il marito debba di più alla moglie
quando è viva piuttosto che da morta, quindi se è pacifico che deve più alla moglie quando è in vita piuttosto che quando è morta, se deve
pagare le spese funebri della moglie a fortiori la dovrà alimentare a proprie spese quando è viva. Revigny riconosce l’obbligo degli alimenti
in virtù di un'applicazione di una norma che espressamente non afferma questo obbligo, ma che implicitamente, attraverso la dialettica,
afferma anche l’obbligo agli alimenti; se noi ci limitassimo a constatare esegeticamente ciò che dice il corpus iuris civilis, non potremmo
affermare che ciò che la norma dice attraverso una prima lettura, ma con il metodo dialettico si dilata l’ambito di applicazione delle norme.
nell’insegnamento universitario abbiamo un uso sempre più intenso e una conseguente rivalutazione delle quaestiones publice disputatae che
vengono travasate nelle materie principali e vengono inserite all’interno delle letture; nell’ultima fase della scuola della glossa abbiamo
un’attenzione a queste quaestiones, allora abbiamo che nelle letture principali prendono forma due tipologie di lecturae che fanno tesoro
del metodo dialettico:
a. le lecturae per viam quaestionum→ hanno al loro fondamento una rielaborazione delle quaestiones, le quali vengono rielaborate all’interno di
questo testo e dunque presentata ad un pubblico maggiore
b. le lecturae per viam additionum→ costituiti da materiali formati alluvionalmente
anche presso gli ultimi glossatori si percepisce l’importanza della dialettica aristotelica.
l’anello di congiunzione tra scuola della glossa e scuola del commento è rappresentato da una figura molto importante sia in ambito giuridico
che in ambito letterario, ovvero Cino da Pistoia: contemporaneo e amico di dante alighieri, è il traghettatore delle idee francesi in italia;
in sostanza vede in francia recepire quell'attenzione alla dialettica. che prende come novit fondamentale anche per la sua opera che lo
rende famoso e lo rende l’anello di congiunzione tra queste due scuole, la lectura super codice(1312):in quest’opera abbiamo una sorta di
contiguità con la scuola dei glossatori, perchè si parla di lectura, ma dall’altro lato, sin dalle prime pagine vediamo che la struttura
dell’opera è quella del commento; la lectura super codice ha un nome antico ma apre la strada al nuovo, con quest’opera si apre davvero un
nuovo indirizzo metodologico, e cino è consapevole di tale novità perché nel momento in cui è venuto a contatto con le opere degli autori
francesi ha capito l’importanza della dilatazione delle norme.
i commentatori chiamavano i glossatori antiqui, consapevoli di essere diversi da essi, ma erano anche consapevoli che il genere del commento era derivato
dalla glossa attraverso un processo di maturazione, che avviene nel quadro di una società che stava cambiando profondamente: la società in cui operano i
commentatori è diversa da quella del XII secolo in cui avevano operato i glossatori, nel periodo in cui si svilupperà il commento si hanno grossi
cambiamenti a livello politico-istituzionale, maturando nuove istituzioni politico sociali, le signorie→ passaggio dal comune alla signoria, fenomeno che
tra la fine del 200 e i primi anni del 300 coinvolse molte città dell’italia centro-settentrionale, tale passaggio fu favorito dalla forte conflittualità che si
venne a creare all’interno del comune la quale il comune non riuscì a governare, non essendo più una contrapposizione tra partiti e gruppi familiari, ma
fu una vera e propria lotta di classe che contrappose tra di loro le arti minori(artigiani) e il popolo minuto(piccola e media borghesia) e le arti
maggiori(mercanti) e il popolo grasso(aristocrazia, nobili): i cittadini di più elevata condizione economico-sociale, i magnati, dopo aver sconfitto la parte
popolare, offrirono il potere a un loro esponente, un solo signore, che quindi concentrava in sè tutta l’autorità e quindi amministrava tutto il potere: ad es.
a milano matteo visconti fu il capostipite dell’omonima signoria. di fatto con il passaggio dalla comune alla signoria si ha la conseguente distruzione delle
libertà comunali, prezzo che i cittadini accettarono in cambio della pace interna.
il potere signorile era un potere autonomo, quasi assoluto.
ulteriore passaggio, che avverrà sempre nel periodo dei commentatori, è quello della trasformazione della signoria in principato o ducato:
tale trasformazione si avrà quando alcuni signori riuscirono ad ottenere dal pontefice o dall’imperatore il titolo nobiliare facendosi
chiamare principi o duchi e di conseguenza.
oltre a questi cambiamenti si avrà un’evoluzione economica-sociale anche all’interno delle realtà comunali che non vivono la trasformazione
in signorie: i comuni saranno sempre meno legati al feudo e sempre più dediti ad attività imprenditoriali e commerciali, ciò farà sì che il
giurista, figlio dell’ambiente in cui opera, diventi anche un pratico, non è più solo un dottore universitario, ma anche un tecnico del diritto,
cioè capace di utilizzare le norme per regolare i nuovi rapporti sociali sviluppando delle metodologie giuridiche diverse rispetto a quelle dei
glossatori, perchè la glossa non era più adatta a rispondere alle nuove esigenze che l'esperienza comune del periodo richiedeva; non solo,
nel periodo dei commentatori, si modificano profondamente, rispetto all’epoca di irnerio e dei suoi successori, anche le concezioni
pubblicistiche, con la conseguenza che anche il concetto di sovranità presenta una metamorfosi sostanziale: nel 1300 e nel 1400 l’idea di
plenitudo o testatis si rappresenta in modo molto molto differente rispetto a due secoli prima; nel 1250, dopo la morte di federico II, si
ha la crisi dell’impero si ha un profondo rivolgimento che attraversa le istituzioni feudali e le istituzioni comunali, non solo, in seguito, si
perderà anche il senso della concezione comunitaria del diritto, ovvero le realtà europee diventeranno tra ,oro sempre più diverse e quindi
legate ad esperienze particolari: in Francia ad esempio si riuscirà a creare una monarchia sempre più nazionale contrapposta ad un impero
che ormai è diventato un’immagine molto sfumata e pallida.
tutti questi cambiamenti che si ebbero a livello europeo fecero sì che i giuristi eleaborassero delle nuove teorie incentrate su diverse
valutazioni del potere sovrano: ecco che quindi, mentre l’obiettivo dei primi giuristi, ovvero dei glossatori, era stato quello di attuare
un’unificazione legislativa con la costruzione di un ordine armonico(ordinatio ad unum del sistema di diritto comune), i giuristi del 1300, i
commentatori, di fronte a tante nuove realtà conflittuali si pongono soprattutto il problema di conciliare il diritto comune con i vari iura
propria: è infatti con i commentatori che il sistema delle fonti troverà la sua piena e conclusa integrazione e si apre la vera e propria epoca
del diritto romano come diritto sussidiario, prevalendo gli iura propria sullo ius commune( i diritti locali vengono applicati con precedenza
assoluta sul diritto comune ma vengono attirati dai giuristi dentro l’orbita interpretativa del corpus iuris).
se agli inizi del secondo millennio, la società medievale era stata disponibile ad accettare le affermazioni dei glossatori, che attribuivano una superiorità al
diritto romano, ora, di fronte a queste nuove realtà politiche che sono le signorie i principati e le monarchie, i giuristi hanno difficoltà ad accettare i
diversi schemi dei glossatori elaborati in un contesto politico e per esigenze nettamente diverse. → diritto come frutto della società del tempo.
il sistema di diritto comune subisce una sua prima trasformazione, l quale arriverà fino alle soglie delle codificazioni, fermo restando che
vi sono dei paesi che ancora oggi vivono secondo il diritto comune(come la repubblica di san marino)
questi cambiamenti interessano soprattutto i giuristi, che erano commentatori, ovvero tecnici del diritto molto più disinvolti dei glossatori,
capaci di adottare un nuovo metodo adatto alle nuove esigenze e aperto al pragmatismo.
nel periodo dei commentatori, in caso di dissenso tra legge nuova e antica, la legge nuova non si piega più in favore della legge antica, ma si va a vedere
fino a che punto la legge antica può essere utilizzata per regolare i rapporti dati dalla nuova esperienza giuridica, e vedere fino a che punto tali rapporti
possono essere autonomamente regolati→ cambia l'atteggiamento del giurista di fronte al testo.
la scuola del commento: le basi di questa rivoluzione metodologica furono gettate, in italia, dagli ultimi glossatori e nel periodo dei post
accursiani; le prime grosse novità si ebbero in Francia:
nel 1235, papa gregorio IX autorizzò ad orleans l’insegnamento del diritto romano; l’insegnamento del diritto romano era invece stato
proibito dal suo predecessore, onorio III, per l’università di parigi con la bolla super speculam(1219). ad orleans prima del 1235 non vi sono
testimonianze che vi fossero state scuole di diritto romano, dopo tale data, intorno alla metà del 200, troviamo nomi di maestri legisti, già
allievi di bologna, sia francesi che italiani( i paesi della francia settentrionale invece videro il diritto romano sempre come ostile). è strano
che il diritto romano venga insegnato ad orleans, città francese che faceva parte dei paesi di diritto consuetudinario dove vigevano
consuetudini di origine germanico: questa stranezza si spiega con il fatto che la scuola di orléans era una scuola ecclesiastica: per l’alto
clero il diritto romano era molto utile sia ai fini degli studi canonistici sia ai fini della gestione della chiesa.
tra i maestri di questa scuola due spiccano per importanza:
1. jacques de revigny( circa 1230-1296): di questo maestro vengono ricordate soprattutto le lecturae su tutto il corpus iuris, e un
dizionario iuris con il quale cerca di ricostruire un’enciclopedia solo di diritto. a lui poi si deve la prima configurazione dello
stato come persona giuridica
2. Pierre de Belleperche (1250 circa-1308): discepolo di revigny, molto amato da cino da pistoia considerato il primo
commentatore, perchè si dice che cino abbia appreso il metodo del commento proprio da belleperche. anche lui è autore di
lecturae e di repetitiones, un nuovo genere che si stava affermando anche in italia, erano lezioni che venivano tenute fuori
dall’orario didattico, destinate ad approfondire l'esegesi delle leggi.
dall’insegnamento di questi due maestri affiorano le prime manifestazioni di approccio critico al testo, ovvero il genere del commento, che
quindi nasce in terra francese, ma che poi diventerà la gloria della scuola giuridica italiana, quindi l’adozione di tale nuovo metodo si fa
risalire alla scuola di orléans.
il genere del commento: tra scuola della glossa e del commento vi è continuità: perchè anche il commento è una tecnica scolastica di
reperimento del diritto che si pone come sviluppo e maturazione della glossa; le differenze più nette tra questi due metodi sono
principalmente differenze di tipo didattico, riguardando il diverso modo di leggere ed esporre il testo giustinianeo: la glossa era un
procedimento esegetico, essendo la spiegazione letterale di un frammento o parola o titolo, il glossatore, anche se va ad allargare le maglie
del testo, non le forza mai rimanendo sempre attaccato al testo; il commento è d’altro canto una trattazione sistematica: i commentatori,
attraverso l’utilizzo del metodo dialettico, vanno a scomporre la norma nelle sue parti strutturali, la ricompongono e la ricollegano al caso
pratico; a loro non interessa tanto il significato letterale della legge, ma la ratio legis , la ratio iuss che sta fondamento di quella
determinata legge o normativa. con i commentatori si ha una trattazione sistematica di norme e di istituti e non più esegetica. i
commentatori sono i costruttori di una dogmatica giuridica volta soprattutto ai casi pratici: mentre i glossatori traevano dal testo
giustinianeo la continua sollecitazione per la creazione di nuovo diritto, ai commentatori l'impulso per la creazione di nuovo diritto, non
viene dal testo, ma dalla realtà socio-politica esterna, il loro occhio è rivolto alla pratica→ cambia lo stato d’animo del giurista: alla venerazione del
glossatore, che sembra vivere nel modo stesso in cui la legge nacque, succede la critica fredda del commentatore, che va a sezionare e ricomporre a suo
modo il testo legislativo dal quale è ormai psicologicamente staccato. il commentatore non ritiene più come il glossatore che in caso di dissidio tra legge
antica e realtà debba essere la realtà a piegarsi, ma il commentatore cerca di vedere fino a che punto la legge antica possa essere utilizzata per regolare i
rapporti nati dalla nuova esperienza giuridica.
questa grossa differenza è riscontrabile anche formalmente nei due generi letterari:
pagina tratta dal digestum vetus libro primo frammento 9: la parte centrale scritt più grande rappresenta il testo del digesto, mentre le
scritte poste intorno al lato sono glosse marginali: ci fa capire come per il glossatore fosse importante l’elemento testuale non
distaccandosi dal testo.
il commento invece va oltre al testo stesso.
dall’italia questo genere si diffonderà nel resto dell’europa, tant’è che questo nuovo genere verrà chiamato anche mos italicus.
in italia il periodo più creativo del commento si ha tra gli inizi del XIV secolo alla prima metà del XV, in cui vi saranno esponenti grandissimi
che domineranno la storia giuridica:
1. cino da pistoia(1270-1336): colui che apre le porte al nuovo metodo, è la cerniera tra orleans e l’italia essendo l’importatore del
commento. la sua opera maggiore è il commentario sul codice e sull'inizio del digesto: non fu un’opera composta in cattedra, ma
un commentario in senso stretto: non nascono da una lettura scolastica, ma sono commentari che non si rivolgono agli studenti.
cino da pistoia fu anche autore di quaestiones, di consilia e di addictiones ovvero discussioni di fattispecie esemplari.
2. bartolo da sassoferrato(1314-1357): allievo di cino
3. baldo degli ubaldi(1327-1400): allievo di bartolo. oltre ad occuparsi di diritto civile e ad essere autore di molti consilia, si
occupò anche di materia feudale, e negli ultimi anni si dedicò al diritto canonico, segnando una svolta nella storia della
tradizione civilistica, essendo il primo tra i maestri di diritto civile a dedicarsi anche al diritto canonico e a trasformarsi in
giurista in utroque. commentò il primo e il secondo libro delle decretali, il liber sextus e le clementine
a loro seguiranno:
1. paolo di castro
2. filippo decio
in ambito canonistico:
1. giovanni d’andrea
2. niccolò tedeschi
i giudici tuttavia non scompaiono: una serie di soggetti sono esclusi dalla giustizia privata, tutti quelli che per condizione economica o per
rango sono esclusi dalla giustizia della società: per questi vi è la giustizia pubblica che non viene dal basso ma cala dall’alto dall’autorità
politica, che richiede obbedienza e irroga pene, assicurando in questi casi la vendetta dell'interesse pubblico leso
oltre all’idea della giustizia privata, c’è l’idea che il diritto sia unicamente un’offesa che importa più riparare che punire e atle riparazione si può giungere
attraverso una trattativa con l’aggressore→ si è parlato di giustizia penale negoziata.
non esiste un interesse diretto delle istituzioni politiche alla irrogazione di una pena, anche il potere politico vede le cose nella solita
prospettiva, preferendo la riparazione del pregiudizio.
entrambi i tipi di giustizia sono previste negli statuti comunali; sono tra la fine del 200 e gli inizi del 300 le cose cominciano a cambiare:
soltanto nel periodo successivo all’attività dei glossatori il diritto penale comincia a cambiare.
i giuristi in questo periodo erano in una posizione egemone nel mondo comunale anche a discapito del potere politico, il quale non crea
norme a differenza dei giuristi. compito dei giuristi è quello di produrre norme e garantire l’elaborazione delle stesse di fronte a
un’autorità pubblica praticamente assente.
come si comportano di fronte a ciò i giuristi?
i notai: le transazioni si fanno davanti ai notai, i quali donano agli accordi, con il timbro notarile , la fides. sono i notai che si adoperano
affinchè le parti giungano ad un accordo. prendono atto delle promesse reciproche con cui una parte perdona l’altra e si impegna a non
muovere più controversie e a non procedere alla reazione vendicativa; la parte che ha arrecato l'offesa offre una contropartita che consta
in una somma di denaro .sono stabilite anche delle conseguenze per la rottura della pace. nei formulari notarili dell’epoca compare sempre il
modello della pace o tregua da siglare( la carta pacis vel concordiae). i notai rivestono una particolare importanza, soprattutto quelli di
servizio pubblico.
i doctores:oltre ad essere disciplinate nelle leggi statutarie i doctores,nelle fonti giustinianee e in particolar modo nel codice, trovavano
una costituzione di giustiniano(2.4.18) che diventerà la sedes materiae per le riflessioni intorno al problema della giustizia penale
negoziata, si tratta di un passo che ammette le pratiche transattive in maniera estesissima: sono concepite per tutti i crimina capitalia,
tranne l’adulterio, ma non per i crimina publica.
i crimina capitalia sono comportamenti illeciti che comportano come conseguenza lo spargimento del sangue, ovvero una sanzione afflittiva
di carattere corporale.
i giuristi cercano sin da subito di ragionare nella logica negoziale:
Rogerio→ un glossatore di terza generazione del 1100, la sua opera più nota è una summa codicis, incompleta, in cui viene trattata quella costituzione di
diocleziano: afferma che la possibilità di transarre deve essere preferita e quindi non è in contrasto con l’interesse pubblico alla punizione dei crimini
perché è preferibile che gli uomini restano in vita in virtù di un accordo concluso piuttosto che perdano la vita per una pena capitale.
i giuristi rifletterono a lungo sul tema riscontrando vari problemi:
- si chiesero che efficacia preclusiva avesse la transazione una volta siglata
- si chiesero se il patto transattivo si potesse estendere anche a terzi(alcuni ritennero che i terzi potessero accusare
nonostante la pace, altri come azzone o pino da medicina ritenevano invece che la transazione avesse sostanzialmente l’effetto
di una sentenza solutoria vincolando l’intera collettività potendoci tornare sopra soltanto in caso di collusione tra le parti a
danno dell’istituzione pubblica o di terzi privati
- si chiesero se fosse valida la pace compiuta dalla madre in nome di pupilli in caso di uccisione del padre
- si chiesero se la pace valesse anche per una sopravvenuta morte
- si chiesero che effetti avesse la pace su provvedimenti comunali come il bando→ i problemi nascevano anche dalla legislazione statutaria, nello
statuto di bologna si prevedeva che in caso di pace siglata il bando dovesse essere eliminato.
il dibattito dei giuristi a partire dalla seconda metà del 200 si inserisce in un panorama di modifica degli assetti della giustizia criminale.
precedentemente se durante un processo tra due soggetti, veniva constatata la validità della pace(che aveva effiacia non solo per i crimini
capitali ma anche per quelli per i quali l’accusatore aveva chiesto una pena sanguinis), il giudice doveva necessariamente chiudere il
processo
a. guido da suzzara:ciò viene affermato da guido da sazzarra il qule appunto dice che iil giudice deve chiudere il processo una
volta constata la validità della pace, ciò vale per tutti i crimini, anche per quelli in cui era stata richiesta l’irrogazione di una
pena sanguinis.
alla fine del 200 i governi cittadini avvertono che la giustizia penale è un elemento decisivo del potere del governo: i giudici quindi iniziano ad agire non
più aspettando l’accusa dai privati ma ex officio, e lo fanno per una vasta gamma di reati, aprono procedimenti e li riportano a termine anche se si ha una
sigla di una pace; si disinteressano del fatto che offeso e offensore hanno regolato i loro rapporti, reclamando l’esistenza di un interesse che va al di là di
quello privato, che va al di là dell’offesa e della parte offesa. ora chi commette un illecito non è visto più come danneggiatore della sola vittima ma anche
della cosa pubblica, e la cosa pubblica ha diritto di agire e di soddisfarsi attraverso una pena→ fenomeno che si verifica in italia a partire dal 1270 e che
mostra un elevato livello di precocità rispetto ad altre città europee.
Alberto da Gandino: per comprendere appieno il fenomeno è necessario parlare di alberto gandino in questi anni svolge la funzione di
giudice criminale; gli è attribuito un tractatus de maleficiis che almeno in parte compone quando è giudice a perugia nel 1286-1287, sarà
poi giudice di siena l’anno successivo, nel 1300 tornerà a perugia.
tale trattato si presenta come un testo aperto all’entrata di nuovo materiale in vista delle esigenze della pratica: il testo a noi conosciuto
quello dell’edizione del 1400 non è detto quindi che sia quello originario.
vi è anche una parte, de tormentis, relativo alla tortura, non scritta da gandino: la tortura è uno strumento istruttorio non è una pena, e
serve per quartare l’inquisito ma anche i testimoni per avere una confessione.
gandino è testimone di questo mutamento tant’è che in passo del tractatus dice una cosa illuminate: “oggi in relazione allo ius civile i
giudici dei podestà prendono trattano di qualunque procedimento penale per inquisizione e questo ritengono esse valido
secondo una consuetudine ormai radicata come ritiene guido da suzzara e come vidi comunemente praticare per
consuetudine per quanto si possa ricavare nonostante quello che si possa leggere nella compilazione giustinianea”.
nonostante la compilazione di giustiniano la pratica del magistero criminale è condotta in maniera oramai radicata nella pratica quotidiana.
il quadro di riferimento è completamente mutato: è maturata la figura del procuratore ex officio, il giudice si occupa di individuare le
tracce dell’illecito, attività che il giudice compie per ogni illecito penale.
e lo fa ancora in maniera diversa sulla scorta di una prassi che come in giustiniano è orientata al rito di carattere accusatorio, va quindi a scovare agganci
normativi nelle fonti giustinianee per la formazione di questo nuovo ordine giudiziario nel quale domina la giustizia di carattere pubblico→ giustizia di
carattere egemonico.
troviamo molti giuristi che attestano che ciò accade non solo per consuetudine, ma cercano agganci nelle fonti giustinianee per dimostrare
che questo mutamento è legittimo anche sulla base dello ius civile, sulla base del quale è pacifico affermare che così si chiede per la
pubblica utilità, o perché corrisponde all’utile pubblico che i crimini non rimangano impuniti.
si afferma il magistero punitivo: troviamo gli statuti comunali a fissare principalmente le sanzioni, i reati sono percepibili nelle cose, le
pena vengono invece modulate sulla base delle esigenze cittadini; si affermano nuovi illeciti simili a quelle che si trovano nelle fonti
giustinianee ma diverse: ad es. la baratteria ovvero il comportamento illecito dell’ufficiale pubblico.
con irnerio abbiamo a bologna la separazione tra diritto e retorica, che fa sì che il diritto sia una scienza autonoma; con i commentatori, il
diritto non ritorna ad essere un'arte liberale, ma è la dialettica che diventa ancella del diritto, essendo un suo strumento, a differenza del
periodo precedente in cui il diritto era schiavo della dialettica.
la scuole del commento copre il 1300-1400, anni nei quali fanno la loro comparsa i grandi commentari del corpus iuris civili e del corpus iuris
canonici; il principale esponente del commento è BARTOLO da SASSOFERRATO.
bartolo da sassoferrato(1314-1357): nonostante la sua precoce scomparsa, ebbe una fama enorme nella società basso medievale. si
laurea a bologna e insegnò a pisa e a perugia.
l’imperatore carlo IV lo nominò suo consiliarius e gli concesse 2 iure reservata maiestatis, ovvero dei diritti propri soltanto
dell’imperatore: il potere di legittimare i figli( anche nel periodo dell'ancien régime i figli nati al di fuori del matrimonio, non avevano alcun
diritto, tant’è che venivano chiamati “bastardi”, mentre i figli legittimi godevano di una posizione rilevante all’interno della famiglia; un
figlio naturale per poter avere tutti diritti che gli derivano dallo status di figlio doveva essere legittimato, altrimenti non sarebbe stato
considerato, tale legittimazione avveniva per grazia sovrana); il potere di concedere la venia aetatis: istituto corrispondente all’odierna
emancipazione. tale emancipazione a quel tempo doveva essere concessa dall’imperatore.
anche dopo la morte di bartolo la sua fama non diminuisce, ma anzi la sua fama oscura quella di ogni altro giurista. addirittura, l’opinio
bartoli diventa un qualcosa di obbligatorio per il giudice, sia nell’istituto della communis opinio, ma anche in alcuni provvedimenti regi, che
faranno la loro comparsa nell’età moderna, l’opinio bartoli era considerata vincolante.
vi è poi broccardo che esprime meglio di tutti l’autorevolezza di bartolo: nullus bonus iurista nisi sit bartholista , se si vuole essere un buon
giurista si deve seguire il pensiero di bartolo, il giurista deve essere un seguace della metodologia di bartolo.
questo continuo riferimento a bartolo come modello di riferimento ha fatto parlare dell’età basso medievale come un’epoca caratterizzata
dal bartolismo, essendo bartolo il modello a cui questi giuristi fanno riferimento.
fra le tante teorie di bartolo, di cui ancora oggi portiamo il segno nel nostro ordinamento e nella nostra cultura giuridica , ve ne sono
alcune fondamentali per il pensiero giuridico contemporaneo:
1. la teoria degli ordinamenti giuridici: tale teoria è importante non solo per la legittimazione degli statuti ma perchè parte dalla consapevolezza
della presenza nelle società umane della presenza di una pluralità di ordinamenti giuridici→ la teoria di santi romano ha degli echi di questa
teoria di bartolo. questa teoria consente a Bartolo di scrivere pagine contro alla tirannide perché bartolo dice che si deve fare attenzione
perché si possono annidare in molti ordinamenti del nostro tempo molte tirannie,teoria della tirannide;bartolo afferma che vi sono due
tipologie di tirannide:
- i tiranni ex defectu tituli→ tiranno che fa il colpo di stato
- tiranni ex parte exercitii→ soggetto che legittimamente è stato eletto alla carica e quindi ha avuto il consenso del populus e
tuttavia una volta che ha ottenuto il potere lo esercita non rispettando l’ordinamento e le prerogative degli altri organi
costituzionali
Per Bartolo i tiranni sono sempre tiranni e addirittura riesce a dire, in un’Italia che si avviava verso una diffusione sempre
maggiore delle signorie, che “oggi l’Italia è tutta piena di iranni”
L’altra riflessione che si ricollega a quella teoria è quella che porta bartolo a scagliarsi contro istituto della rappresaglia
istituto derivante dal diritto germanico ed è posto a tutela dei creditori di soggetti stranieri, con questo istituto in caso di
inadempimento dello straniero poteva domandare l’adempimento del credito ad altri connazionali del debitore
inadempiente.Bartolo scrive sulla necessità di superare questo istituto perché contrario sia al diritto romano che alle regole di
giustizia che regolano il rapporto credito debito. Federico barbarossa nella constitutio habita fissando i privilegi degli studenti
previde che in caso di studenti non si potesse fare una rappresaglia verso di loro questa constitutio prevedeva anche il tribunale
degli studenti.
2. Altro esempio è quello riguardante il diritto internazionale privato dove l’insegnamento di bartolo e` una pietra miliare sulla
quale si è poi costruito il diritto internazionale privato, in questo settore importante distinzione tra statuto personale e
statuto reale il primo riguarda lo status giuridico della persona umana mentre quello reale è ciò che riguarda i beni della
persona. Nel medioevo la situazione giuridica dello straniero era durissima perché lo straniero fuori dalla sua patria non aveva
alcuna protezione giuridica questo è espresso da un brocardo “extra territorium ius discenti impune non paretur” cioè quando si
e` all’estero il diritto non viene riconosciuto subito ma e`necessario un lungo procedimento affinché sia riconosciuto e
generalmente fuori dalla patria lo straniero non aveva una protezione giuridica. Bartolo tratta anche di questo e fa la
distinzione dicendo che lo status personale vale ovunque mentre, seguendo la persona stessa, ovunque questa si trovi, quando si tratta
dello statuto reale qui si deve osservare la legge/la disciplina in vigore dove i beni si trovano→ questa riflessione bartoliana sta alla base del
diritto internazionale privato.
i giuristi commentatori sono tantissimi: Fra tutti gli altri commentatori importanti che hanno caratterizzato la scuola del commento è
importante, oltre a Bartolo, ricordare Baldo degli Ubaldi, che morì precisamente nel 1400. Vi sono anche Giason di Maino, Paolo di Castro.
IL 400 GIURIDICO
La storiografia, per il ‘400, parla di prammatizzazione del diritto comune, intendendo che il centro del diritto comune si sposta dallo
studium generale, dell’università, allo studio del privato consulente o del causidico. Questa prammatizzazione è accompagnata, e
determinata, dalla presenza di due generi letterari che si diffondono notevolmente: il tractatus e il genere dei consilia. nel corso del 400,
come afferma cavanna, il centro di gravità della giurisprudenza dottrinale si sposta dallo studio generale, delle aule accademiche, allo
studio privato del consulente o del causidico. si passa dagli studia agli studi.
il motore propulsivo del diritto comune non è più nelle aule universitarie ma nella prassi forense, presso gli studi dei giuristi e degli
avvocati consulenti che il diritto comune trova il suo continuo adattamento all’esperienza giuridica del tempo.
a mano a mano che ci si inoltra nel tardo Trecento e si passa al Quattrocento i commentari sono sempre più prolissi, gonfi, si sviluppano
allora due nuovi generi letterari: il tractatus(inteso come monografia specialistica) e i consilia, generi che testimoniano questa
prammatizzazione
Il tractatus. Abbiamo già visto come Calasso riferisse il tractatus già ai giuristi post-accursiani, ma abbiamo anche visto che non era
veramente un trattato quello dei postaccursiani, con il ‘400 invece fa la comparsa il trattato vero e proprio, la monografia scientifica che è
volta a trattare in maniera specialistica un determinato tema. Il tractatus trata in forma specialistica, monografica e organica, un
determinato istituto, sia considerando le elaborazioni fatte dalla scuola dei commentatori e poi dai glossatori, e poi considerando anche la
relativa prassi. I trattati quattro e cinquecenteschi mettono insieme dottrina e pratica, che cercano di essere al passo coi tempi
sintetizzando questi due aspetti del diritto; individuando, cioè, come le tesi della dottrina vengano accolte o meno dal foro, e costituiscono
un mezzo di ammodernamento della scienza giuridica medievale. I trattati sono numerosissimi nel corso del ‘400 e nel secolo successivo
moli di questi passeranno nelle edizioni a stampa perché saranno ritenuti utilissimi per i giuristi del tempo. Il testo di gran lunga più
importante è quello del Tractatus universi iuris (i trattati di tutto il dirito), una raccolta voluta da papa Gregorio XIII fra il 1584 e il
1586, divisa in 18 tomi in folio, che accoglie trattati che vanno anche molto risalenti rispetto al tempo in cui fu redatta.
i consilia Altro genere letterario è quello dei consilia. Sono raccolte frutto dell'attività extrauniversitaria dei giuristi in veste di
consulenti (o delle parti o del giudice) nei processi, che quindi svolgono attività al di fuori della scuola sostenendo, talvolta, anche tesi
diverse da quelle sostenute nella scuola.
vi sono due tipi di consilia:
1. i consilia sapienti iudiciale: un parere che viene dato al giudice per risolvere la controversia. Al tempo i giudici erano dei politici
e non dei giuristi e quindi avevano bisogno della perizia di un giurista di riflessione per risolvere la controversia in punto di
diritto, i consilia erano dei parei che il giurista dava al giudice il quale altrimenti non avrebbe saputo risolvere la controversia.
Nel processo si crea una sorta di diarchia perché formalmente il processo è riconducibile al podestà, e quindi al giudice, ma
nella determinazione del contenuto della sentenza c’è anche da fare i conti con l'attività svolta dal consiliator. E tanto è vero
che nel momento in cui il consulente è investito dal giudice della questione la iurisdictio del giudice è sospesa: il giudice deve
attendere che il giurista dia il suo parere e sulla base di quello dare il giudizio.in questo tipo di consilia si tiene conto sia della
pratica ma anche della dottrina.
2. consilium pro veritate: è un consilium che viene dato per avvalorare le ragioni che una parte sta sostenendo dinanzi al giudice, quindi è per
definizione parziale. È una sorta di intervento richiesto e pagato ad adiuvandum causa di una delle parti. Il giurista avvalora le richieste di una
parte apportando la sua autorità→ il consulente opera come avvocato sostenendo le ragioni di una delle parti.
queste due tipologie portano ad atti diversissimi nei loro contenuti: un conto è quando il consulente dà un consilium al giudice, e viene fatto
per richieste di giustizia; un altro è quando il consilium è volto a mettere in luce certi aspetti che potrebbero giovare alla parte difesa e
oscurarne altri che potrebbero invece danneggiarla.
la produzione di questi pareri avrebbe richiesto quindi una distinzione tra i due consilia, distinzione che nella prassi non avviene, allora
questi consilia si mescolano non riuscendo più a distinguerli.
i consilia si diffondono, incidendo in questa prammaizzazione del diritto comune, si diffondono con i loro pregi e difetti: da una parte sono
continuamente aggiornati, dall’altra presentano il rischio di forzature giuridiche se il consilium è nato nell’interesse di una delle parti
giudicanti. Questo discorso del prammatismo viene esaltato dalla stampa e allora ecco che dal mondo accademico si levano delle voci
critiche nei confronti della letteratura consulente e nei confronti del modo in cui i consiliatores redigevano i loro consilia, rispondendo
spesso ad un aequitas bursali, quella del portafogli, non guardando alle esigenze di giustizia.
La critica più feroce ai consiliatores viene dal giurista Andrea Alciato, milanese, che ha vissuto gran parte della sua vita in Francia,
appartenente a quella corrente di pensiero contraria al bartolismo, cioè l’umanesimo giuridico. Secondo Alciato i consilia sono la causa della
decadenza della giurisprudenza del proprio tempo, la quale aveva corrotto i responsa dei giuristi romani: Anche i romani conoscevano i
responsa prudentium, ma, a differenza di questi, i consilia erano stati in grado di dire tutto e il contrario di tutto, arrivando alla
decadenza della giurisprudenza e divenendo responsabili dei problemi di quel sistema di diritto comune che si aveva in Europa al tempo.
Ma il diritto comune non poteva fare a meno dell'attività interpretativa dei giuristi pratici e di quelle attività dottrinali che erano le
raccolte di consilia. Allora cercò di difendere il bartolismo un autore più tardo di Alciato, Tiberio de Ciani (1509 – 1582) che risponde alle
critiche di Alciato, quando quest’ultimo era già morto.
Tiberio nel 1579 manda alle stampe una apologia pro jurisprudentis (apologia a vantaggio della giurisprudenza e dei giurisperiti). Tiberio
non nega che vi siano delle problematiche nella letteratura consulente e che vi siano anche degli approfittatori nell’esercizio della
professione del giurista, ma nello stesso tempo nota l’impossibilità di fare a meno del giurista per il concreto funzionamento del sistema
giuridico nel suo complesso,perchè è grazie all’interpretazione giuridiche contenute nei consilia che si il sistema si può adattare alle varie
esigenze emergenti nel corso del tempo. Se non si voleva ingessare l’ordinamento di diritto comune era necessario il continuo
aggiornamento del sistema fato dai giuristi consulenti, con pregi e difetti, che poneva il diritto in continua dialettica con gli iura propria, e
formava un diritto giurisprudenziale che poteva avere una sua funzione attraverso la mediazione di questi giuristi.
il trecento è il secolo d’oro del commento, e nel corso di questo secolo si verifica l’ulteriore fase interpretativa che porta a far sì che le opinioni dei celebri
giuristi si sostituiscono completamente al testo di legge commentato→ la lectura prevale sulla littera.
le autorità dei giuristi si sostituiscono così al testo: l’avvocato o il giudice guardano come il testo è stato letto dal famoso commentatore, il
testo vero e proprio assume così un’importanza meramente residuale, non si curano di ciò che il testo romano diceva effettivamente.
ciò però va bene quando vi sono soluzioni univoche, il problema sorge quando vi sono opinioni contrastanti, quando cioè le opinioni dei giuristi sono
dissenzienti tra loro; allora nel corso del 400, in quest’ottica di prammatizzazione, si comincia a verificare se su un determinato punto ci fosse una
coincidenza delle opinioni espresse dalle massime autorità dottrinali: nella prassi si era infatti affermata l'abitudine di ricorrere sempre più all argumentum
ab auctoritate. Questo sempre tenendo conto dell’idea che l’interpretazione del giurista sia un interpretatio probabilis, cioè che più di tutte si avvicina
dialetticamente alla verità, allora già nel 300 Baldo poteva sostenere che è temerario per il giudice discostarsi dalla communis opinio doctorum, perchè se
su una determinata controversia c’è il concorso univoco delle varie autorità dottrinale, il giudice può discostarsi da tali opinioni ma a suo rischio e
pericolo potendo ricorrere nella responsabilità, potendo essere valutato, alla fine del suo mandato, se ha correttamente svolto le sue funzioni. →
formalmente non vi è un’imposizione dell’opinio doctorum ma formalmente se ci si discosta da tale opinione se ne assumerà la responsabilità
Il ricorso all argumentum ab auctoritate serve sia per dare forza alle argomentazioni giuridiche dei causidici, sia serve ai giudici, perché
quelle decisioni se seguono l’idea del giurista autorevole tengono il giudice fuori da responsabilità.
La communis opinio doctorum nel ‘400→ Baldo degli Ubaldi diceva che è temerario per il giudice recedere dall’opinione comune dei giuristi. Nel ‘400
l’idea dell’opinione comune dei giuristi si fa sempre più importante. rimane però un problema: non si sa come si forma questa communis opinio, infatti
non vuol dire opinione unanime di tutti i giuristi in assoluto, essa quindi è determinata sulla base di 2 criteri:
1. la maggioranza numerica dei doctorum
2. l’autorevolezza dei doctorum→ a doctoribus qui pondere, numero et mensura sunt maiores
questi due criteri portavano molte volte all’affermarsi di una communis opinio diversa a seconda di quale criterio venisse seguito→ potevano quindi esserci
opiniones communes contra opiniones, generando ulteriore incertezza del diritto.
la communis opinio viene ben presto osservata come legge laddove la legge o la consuetudine mancassero, colmando le lacune del diritto.
era poi un modo di selezionare le varie autorità che si erano espresse sul corpus iuris civilis o canonici.
Quello che è certo è che l’opinio communis è uno strumento di certezza è la versione giurisprudenziale della legge, perché come la
legge vuole essere uno strumento di certezza del diritto, così la communis opinio è una sorta di selezione tra le miriadi di opinioni
dottrinali che potevano essere affermate in giudizio, volendo rispondere ad esigenze di certezza disegnando itinerari interpretativi che
possono fare da guida ai pratici del diritto. è un istituto che si colloca in un diritto controverso, però in assenza o nel silenzio della legge, è
l’unico istituto che consente di dare certezza nel diritto; è uno strumento endo-giurisprudenziale, che viene inventato all’interno della
giurisprudenza per limitare ed evitare l’incertezza del diritto.
questo strumento, che trova la sua completa definizione nel 400, espliciterà i suoi effetti per tutta l’esperienza del diritto comune,
essendo il miglio assestamento che la giurisprudenza giudicante può darsi per soddisfare esigenze di certezza.
il 400 è l’età della communis opinio→ i pratici del tempo hanno necessità di mettere ordine in tantissime autorità.
L’affermarsi dei grandi tribunali del Cinquecento. Andando avanti nella panoramica storica e quindi entrando nell’età moderna la
prammatizzazione prende altri indirizzi e si rivolge, sempre ad aspetti pratici, ma non più agli studi degli avvocati e ai consilia ma
all'attività delle supreme corti statuali, i grandi tribunali, che cominciano a fare la loro comparsa in tutta Europa e negli stati regionali
italiani.
l’età moderna porta a nuovi assetti sociali: il potere corporativo dei giuristi entra in crisi(assumono un’importanza meno caratterizzata
dall’autonomia) e ciò porta di conseguenza alla crisi delle raccolte di consilia non avendo più quella pregnanza nel sistema delle fonti che
invece avevano nell’esperienza basso medievale, i consilia vengono poi ad essere sostituiti dalle decisiones dei grandi tribunali, le quali
rispondevano, a differenza dei consilia, a un requisito di imparzialità, provenendo da organi giudicanti.
questi grandi tribunali hanno come caratteristica principale quella di essere formata da giudici che assommano in sè caratteristiche che nell’esperienza
bassomedievale erano separate, in cui iudex e sapiens erano due figure distinte, nei grandi tribunali la figura dello iudex e del sapiens coincidono in
quanto i giudici sono tutti addottorati in utroque iure(diritto civile e canonico) sono uomini di profonda conoscenza delle tecniche giuridiche e al
contempo sono anche politici di chiara fama che vivono nell’ambiente del governo conoscendo le esigenze politiche che vanno a giudicare, perché i
tribunali svolgono le funzioni giurisdizionali in funzione del sovrano, in sua sostituzione. → il politico deve quindi essere anche giurista e viceversa,
dovendo queste due qualità coincidere nella medesima persona.
Le decisioni che grandi tribunali sono più autorevoli rispetto ai consilia perché l’interpretazione del giurista era probabilis (che si avvicina
alla realtà), ma era pur sempre l’interpretazione data da un privato, mentre invece l’interpretazione dello iudex era necessaria e probabilis,
quindi se il grande tribunale dà una soluzione, quella soluzione ha una vis coactiva (forza vincolante), perché proviene da un soggetto
giudicante, dando vita così a un’intepretatio qualificabile come necessaria.
siccome poi tali tribunali si trovano al vertici dello stato col tempo tali decisiones assumono anche una vis generalis: nel 500 si afferma senza mezzi
termini che le decisiones hanno vim et speciem legis, ovvero hanno una qualche forza di legge perchè le decisiones avevano autorità ei confronti dei
giudicanti dei gradi inferiori e poi erano fatte da organi giudicanti che partecipavano del potere sovrano. → sono lo specchio reale di una verità perchè il
grande tribunale considerando un determinato fatto esprime la verità giudiziaria su quel determinato fatto.
quando poi dal 600 si parla di usus fori le consuetudini forensi che si formarono nei grandi tribunali, assumono un valore primario nel
sistema delle fonti del diritto; allora ecco che qui abbiamo una ulteriore spinta verso la prammatizzazione del diritto comune.
All'affermarsi dei grandi tribunali il diritto comune si configura come diritto giurisprudenziale, un diritto che vede la sua produzione nelle
mani della giurisprudenza consulente (dottrinale) ma anche, e soprattutto, giurisprudenza decidente.
l’espressione grandi tribunali si deve a Gino Gorla: con tale espressione si indicano delle corti al vertice dell’ordinamento, ma il
funzionamento delle diverse corti possono essere molto diverse da tribunale a tribunale, ci sono varie distinzioni tra tribunale
tribunale(come ad esempio quella tra senati e rote).
Il Sacro regio consiglio di Napoli. Il Sacro regio consiglio di Napoli venne istituito da Alfonso il Magnanimo, in età aragonese, nella prima
metà del ‘400. Dal momento che veniva considerato come alter-ego del sovrano questo grande tribunale assunse sin da subito
un’importanza straordinaria, non solo dentro, ma anche fuori, dal Regnum. Nel 1509 il giurista napoletano Matteo D'afflitto compone una
raccolta delle decisiones di questo tribunale, con la quale dà testimonianza di una cultura giuridica di funzionari dicendo che molti dei
membri del tribunale erano stati funzionari regi che si erano formati nello studium generale napoletano; dall’altro lato Mateo, presentando
la raccolta delle decisioni di questo grande tribunale dice, senza mezzi termini, che il Sacro regio consiglio è un luogo autorevolissimo,
perché tanta e tale è l’autorevolezza del grande tribunale che chi si trova ad esercitare la funzione di avvocato è
intimorito dalla sua grandezza.
secondo nodo:
- Atteggiamenti di conformazione verso le politiche dei sovrani dell’età moderna;
- Atteggiamenti di conflittualità o ribellione verso le politiche dei sovrani dell’età moderna.
Da una parte c’erano dei tribunali che consentano agli atteggiamenti di accentramento che i sovrani del tempo andavano perseguendo,
mentre dall’altra ci sono altri tribunali che non hanno questo orientamento.
Esempi del primo tipo sono i tribunali fiorentino e romano; i Medici cercarono di uniformare il proprio dominio sulla Toscana e la rota
fiorentina si conformò alla volontà dei signori. Anche la stessa rota romana è sempre conforme al pontefice regnante, anche perché è il
pontefice che individua gli uditori di rota.
Esempi del secondo tipo sono il senato di Milano e i parlamenti francesi. Il senato di Milano è contrario alle politiche spagnole di
accentramento finalizzate a togliere autonomia e potere alla nobiltà milanese che di fatto esercita più poteri degli spagnoli a Milano, così
cerca di paralizzare l'attività degli spagnoli a favore del potere della nobiltà. Lo stesso fanno i parlamenti francesi, che sono organismi
giurisdizionali in contrasto con l’accentramento che il sovrano persegue come politica di raggiungimento dell'assolutismo.
Il terzo nodo:
- Minor spazio al potere discrezionale;
- Visione oracolare della giustizia. → incarnazione dell’equità
I grandi tribunali esercitavano i loro poteri in modo discrezionale, non essendo vincolato da alcuna limitazione, dà voce alla giustizia senza
bisogno di spiegarla (il senato di Milano iudicabat tamquam Deus). Il grande tribunale, essendo l’alter ego del sovrano, poteva esercitare i
poteri anche arbitrariamente nel senso deleterio della parola. Considerando i grandi tribunali dell’età moderna vediamo dei tribunali che
cercano di limitare il proprio potere discrezionale rimanendo fedeli ai propri precedenti o osservando le communes opiniones formate e
quindi hanno una tendenziale fedeltà ai propri precedenti, mentre altri esercitano la loro funzione in maniera molto più libera e hanno una
idea oracolare della giurisprudenza, e in questi frangenti l’interpretazione può divenire arbitraria.
Un esempio del primo tipo è rappresentato dalla rota fiorentina. Vedremo come la rota fiorentina si sia imposta una regola interna per cui
era vincolata dalle cosiddette binae iudicatae, che significa che quando vi erano due precedenti interni, che avevano risolto controversie
analoghe nello stesso modo, la rota, trovandosi di fronte per la terza volta alla stessa situazione non poteva che conformarsi ai precedenti
giudicati da essa stessa. Una volta realizzatosi questo usus fori la rota non poteva distanziarsi da questo.
Un esempio del secondo tipo è il Sacro regio consiglio di Napoli, che ha un’idea oracolare della giustizia. Siccome il tribunale è espressione
di equità allora questa equità deve essere valutata caso per caso senza che si debba guardare a come è stato deciso in passato un caso
analogo. Questi nodi problematici ci fanno capire come si costruisce il sistema di diritto comune nell'ultima parte della sua vita, un diritto
comune fortemente giurisprudenzializzato fortemente ius controversum, non certo nei suoi esiti, proprio perché riconosce ai grandi
tribunali una funzione di creazione del diritto.
ARBITRIO IUDICIALE
le corti hanno poteri amplissimi, derivati dal fatto che le corti si pongono sullo stesso livello del sovrano: la legge del principe è lacunosa,
non certa, e dunque l’intervento del grande tribunale investe tutti i campi del diritto. certamente questo arbitrio del grande tribunale,
questo fatto che il tribunale è libero di giudicare, verrà fatto oggetto di critiche durissime da parti degli illuministi. ma noi dobbiamo
considerare il grande tribunale è espressione del sovrano che assomma in sé tutti i poteri, e quindi il tribunale partecipa di questi poteri in
quanto alter ego del sovrano.
L'attività del grande tribunale nel momento in cui fa le veci del sovrano stesso (che per inerzia o perché è affaccendato in altre vicende,
non si occupa di giustizia) è tesa a colmare le lacune e svolgere l'attività equitativa che dovrebbe essere di diretta emanazione del
sovrano. L'attività del grande tribunale, per la sua stessa natura di potere giurisdizionale, esorbita dalla sfera giurisdizionale e si discosta,
con l’equità, dalla legge del principe, potremmo dire in termini moderni che il grande tribunale assume anche un potere legislativo. Il grande
tribunale contribuisce a creare diritto o perché si crea l’usus fori o perché si incide sull’opinione comune. Se il giudice successivo alla
codificazione sarà un mero applicatore della legge non possiamo pensare che anche il giudice di ancien régime sia un mero applicatore della
legge, perché molto spesso il grande tribunale deve inventare la legge, invenire nella società la regola. Il professor Petronio dirà che
soltanto con la codificazione si ha un giudice applicatore della legge, ma questa idea è molto recente nel tempo, prima le funzioni venivano
per forza esercitate con discrezionalità( è solo in regime di codificazione e di separazione dei poteri che si può ipotizzare un'attività del
giudice diretta all’applicazione della norma al caso concreto) . Gli eccessi dell’arbitrio ci furono ma in linea di massima era un sistema che
riusciva a funzionare.
Questo è il diritto comune che si trascinerà con moto tardo e pigro fino alle soglie della codificazione (Cavanna). Si è discusso molto se
questo sistema affermatosi e vissuto nel periodo dell’età moderna fosse un sistema legislativo o giurisprudenziale. Se si può parlare, per il
medioevo, di una natura sapienziale del diritto comune, in tutta l’età moderna questo ha il suo continuo aggiornamento nella giurisprudenza
consulente e decidente, sono i grandi tribunali che mandano avanti il sistema, e questo lo percepiamo anche negli odierni sistemi a diritto
vigente (Andorra e San Marino, dove il sistema è sempre aggiornato dalla giurisprudenza decidente, gli autori dottrinali sono pochi).
Questa caratteristica del diritto comune aveva i suoi difetti perché il diritto comune era uno ius controversum nascendo all’interno delle
controversie e la stabilizzazione giurisprudenziale era precaria e poteva essere messa in dubbio da argomentazioni dialettiche che ne
minassero la certezza; la battaglia per la certezza del diritto inizia nel ‘500 e si trascinerà fino ai nostri giorni. Secondo alcuni giuristi del
tempo la causa di tutte le problematiche relative alla certezza del diritto era nel modo di leggere le leggi romane fatte dai giuristi italiani,
nel bartolismo. Nel contesto generale del rinnovamento degli studi che si verifica con l’apertura dell’età moderna e va sotto il nome di
umanesimo abbiamo dei giuristi che criticano il bartolismo e sposano un nuovo modo di accostarsi ai testi romani che tenga conto delle
nuove considerazioni che si andavano facendo in ambito umanistico e che tenga conto di una nuova materia che viene posta in auge dagli
umanisti, la filologia.
L’UMANESIMO
L’umanesimo giuridico è quella corrente di pensiero che si concretizza con l’apertura dell’età moderna e che vede una nuova visione del
mondo incentrata sull’uomo. Questo significa che molte delle certezze medioevali vengono totalmente rivoluzionate e messe in discussione.
Primo fra tutti il ruolo della comunità, mentre l’uomo medievale è inserito nella comunità, non può fare a meno della comunità, l’età nuova
che si apre con l’umanesimo invece predilige l’individuo, si torna a una concezione dell’uomo in quanto tale e non in quanto soggetto inserito
nella comunità. Si torna a una visione individualistica e non comunitaria come quella del periodo medioevale. Si torna all’individualismo che
aveva caratterizzato l’età romana. Questa nuova visione dell’uomo che è al centro dell’universo ha come corollario anche quello della
riscoperta delle antichità classiche. Di fronte al medioevo che è visto come periodo buio abbiamo il rinascimento, cioè una nuova nascita di
quell’epoca antica che si era chiusa ormai da un millennio con la caduta dell’Impero Romano e che ora veniva ripresentata alla società del
tempo. Fra le varie certezze medioevali che crollano vi è anche quella del principio di autorità (ipse dixit). Nel medioevo esisteva in ogni
campo del sapere il principio di autorità, invece l’età moderna si apre con il metodo sperimentale, l’idea che la conoscenza si abbia a seguito
di percorsi logici che possono essere sperimentate. Nuovo modo di intendere la scienza basato sulla dimostrazione delle regole e dei fai
che si affermano.
Si fa tesoro della filologia, di questa nuova materia intesa come scienza del linguaggio. L'attività filologica degli umanisti è un'attività che
attrae nella sua orbita tutte le discipline e non si limita a fare un “lavoro di nicchia”, attrae nella sua orbita tutte le discipline. Viene
definita una doctrina orbicularis, cioè una dottrina universale della quale ci si può avvalere per correttamente intendere tutte le materie.
La filologia aiuta ciascun professionista a fare bene il proprio mestiere. L’umanista non è un medico, un astronomo ecc, ma l’umanista con la
filologia insegna al medico a leggere un testo di Ippocrate o di Galeno, all’astronomo come di legge un testo di Tolomeo e al giurista come si
leggono i testi di Giustiniano.
L’umanista utilizzando questa scienza del linguaggio fornisce questi strumenti concettuali nuovi, delle chiavi di lettura nuove che possono
aiutare queste figure a svolgere la loro professione in maniera migliore. Addentrandoci dentro a questo umanesimo giuridico e andando a
considerare l’umanesimo nel diritto noi possiamo vedere alcune caratteristiche che contrastano profondamente rispetto alle concezioni
medioevali:
1. la secolarizzazione: i tesi del diritto romano non hanno più quell’aura di sacralità che avevano nel basso medioevo e vengono letti
come prodotti storici. Nel medioevo seppure questi tesi vengano interpretati creativamente avevano una dignità quasi sacra,
erano considerati dai primi glossatori come “caduti dal cielo”.Esempio di come veniva conservato il manoscritto del digesto a
Pisa: la littera pisana quando veniva conservata a Pisa veniva nella festa di san Ranieri ad essere esposta pubblicamente
mettendola su un altare con dei lumi accesi quasi si trattasse di una reliquia. Gli umanisti realizzano una sorta di
secolarizzazione, questi tesi non sono altro che documenti storici risalenti a molto tempo prima, sono opere tipicamente umane.
2. il crollo delle auctoritates: come viene meno nella filosofia e nella scienza in generale viene meno anche nel diritto. La communis
opinio, quel rimedio endo-giurisprudenziale che dava un po’ di certezza al sistema giuridico, era basata sull’autorevolezza dei
giuristi che avevano formato quell’opinione. Questo principio crolla e secondo gli umanisti ogni cosa deve essere dimostrata.
Questa critica verso l’auctoritas non significa rifiuto delle teorie del passato, ma semplicemente che tutto ciò che è stato
detto deve essere verificato sul campo e non dato acclarato una volta per tute. “Amicus Plato, amicus Aristoteles, magis amica
veritas” (seguo le idee di Platone e di Aristotele, però sono più amico della verità). L’umanista non disconosce il pensiero degli
antichi, ma questo pensiero deve essere vagliato di volta in volta alla verità. Se è sbagliato deve essere accantonato anche se lo
ha formulato il più grande filosofo di tutti i tempi.
3. Gli umanisti si fanno portatori di una nova methodus, di una nuova metodologia nell’ambito del diritto. Il bartolismo era
denominato “modo italiano di insegnare il diritto”. I giuristi dell’umanesimo giuridico invece facendo a meno di quel principio di
autorità propugnano una nuova metodologia che va sotto il nome di mos gallicus iura docendi perché i maggiori sostenitori di
questo metodo operano in Francia. Si sostanzia nel fatto che le fonti devono essere considerate in modo diverso da come
facevano i giuristi basso medievali, non c’è più spazio per il giurista creatore del diritto. Il mos gallicus è unito nel ritenere che
non c’è più spazio per una funzione creativa della interpretatio, che invece stava alla base del diritto comune. Essi dicono che si
devono salvare le fonti, ritengono che le fonti romane non possano essere adulterate dall’interprete, bisogna ricostruire il
diritto romano e poi semmai in seguito procedere a una interpretatio. La prima novità è che abbiamo un capovolgimento rispetto
al rapporto lictera lectura: se nel diritto comune, nel mos italicus, la lectura del giurista prevale sulla litera per cui il momento
di effettività prevale sul momento di validità, qui secondo gli umanisti la litera prevale sulla lectura, è la litera il faro al quale il
navigante interprete deve guardare. Quindi nel mos gallicus c’è una subordinazione del giurista al testo normativo, anticipando
certi comportamenti che si consolideranno nell’età della codificazione.
4. Un’altra novità che investe anche la sistematica giuridica. Abbiamo visto che il genere letterario che si consolida nel tardo
medioevo è il commento, poi abbiamo i trattati nella pratica e i consilia. Gli umanisti non si accontentano dei commentari e se
anche talvolta utilizzano questo genere letterario, hanno la necessità di una nuova sistemazione della materia giuridica. Per cui
si pone la necessità di ricollocare in maniera razionale ogni trattazione del diritto “ius in arte redigere” (l’esigenza di trattare il
diritto rispondendo a dei criteri razionali). Allora ecco che questi giuristi preferiscono tra i modelli che rinvengono nella
compilazione giustinianea le Istituzioni con la tripartizione in personae, res e actionis. Lo schema delle istituzioni può essere
utilizzato anche in età moderna per trattare con il diritto.
5. Un altro tratto caratterizzante questi giuristi che è espressione di una critica agli esiti del bartolismo, a quei problemi di
certezza a cui dà luogo il bartolismo: il mito della brevitas. I giuristi dell’umanesimo ritengono che il diritto possa essere
trattato senza fare quell’uso della dialettica che avevano fatto i commentatori. Bisogna racchiudere il diritto in opere brevi
facendo a meno dell’eccessiva dialettica e di quell’accumulo di citazioni che invece caratterizzano i commentari ottocenteschi.
Si deve rendere il dirito più comprensibile evitando l’accumulo di osservazioni dottrinali.
il giurista ora si trova subordinato al testo normativo: gli operatori del diritto prima producevano il diritto, il bartolismo era tutto
incentrato sulla funzione nomopoietica di questa interpretatio, nel bartolismo era ben chiara la prevalenza della lectura quale momento di
effettività sulla lictera, quale momento di validità, è il giurista che con la sua lectura crea il diritto. per gli umanisti la lictera prevale sulla
lectura, è il testo lo strumento principale del giurista, le interpretazioni sono cose in più, i guasti del sistema secondo gli umanisto sono
dovuti proprio alle interpretazioni i fonti di discordie date dai glossatori e dai commentatori.
con l’umanesimo nasce un’ideologia antigiurisprudenziale→ Si imputa alla giurisprudenza le criticità del sistema del diritto comune. Già gli umanisti
dicono che il problema degli attuali ordinamenti era rappresentato dalla farraginosità delle interpretazioni dottrinali. Senza interpreti molti problemi del
diritto secondo gli umanisti si risolverebbero.
l’umanesimo giuridico ha al suo interno varie sfaccettature, non è una corrente omogenea; abbiamo figure di giuristi che si distinguono
anche notevolmente negli atteggiamenti che hanno nei confronti del diritto romano. umanesimo giuridico è quindi una definizione
generalizzata per indicare una corrente di pensiero.
secondo il professor bellomo ci sono almeno tre indirizzi che possono essere notati nell’umanesimo giuridico,indirizzi giustificati graduando
la loro criticità nei confronti del diritto romano e del sistema del diritto comune così come si è affermato in italia:
1. indirizzo del filone ipercritico-radicale: Non solo critica i bartolisi, ma arriva addirittura a screditare la compilazione
giustinianea. Questo primo indirizzo che ha il suo corifeo in Francois Hotman. In un'operetta che egli manda alle stampe nel
1567 dal titolo “anitriboniano” si scaglia contro Triboniano e i redattori giustinianei che vengono da lui considerati come i
corruttori del diritto romano classico. La compilazione giustinianea è vista come una corruzione del diritto romano precedente
che distrugge e altera il vero diritto romano confondendo il patrimonio giuridico della romanità classica. Giustiniano viene
definito come ignavo e analfabeta e Triboniano è il suo malefico architetto. Questa corrente radicale vuole fare piazza pulita
del diritto romano e non solo della metodologia dei commentatori; secondo hotman tutto il diritto dovrebbe essere sostituito
dal sovrano da una propria raccolta di norme: Per il diritto moderno secondo Hotman non c’è spazio per il diritto romano, ma è
necessario un intervento del sovrano il quale deve redigere uno o due buoni volumi di norme semplici e chiare tutto il diritto
vigente in francia per porre fine al caos giurisprudenziale determinato dalle numerose interpretazione da parte dei bartolisti.
questa operazione avrebbe portato alla completa sostituzione del diritto romano con dei volumi scritti da sovrano comprensibili
a tutti perchè scritti in lingua francese perché sia più facilmente intellegibile. i glossatori e commentatori sono definiti da
hotman come infami e ingannatori, e i commentatori sono definiti come plebei, lixantes de lana caprina, pestes ingeniorum,
prestigiatores ecc. questo filone si pone in netta rottura con il sistema nato dai giuristi commentatori e glossatori, e anzi mette
in crisi il principio di validità delle norme giustinianee in quanto non hanno contribuito alla conservazione del diritto romano
classico.
2. Indirizzo che non ha queste soluzioni rivoluzionarie perché è costituito da giuristi che non negano la bontà e l'utilità del corpus
iuris civilis, tuttavia notano come esso debba essere considerato sul piano della razionalità e della relatività storica. Necessità
di riconsiderare gli argomenti e riformularli in maniera nuova, gli argomenti contenuti nel corpus devono essere rivalutati sia
nella loro formulazione sul piano della razionalità e relatività storica. uno storico del diritto vincenzo piano mortari notò come
questo filone risponde a un’ideale umanistico che cerca l’armonia, va alla ricerca di un sapere semplice chiaro armonioso e ben
organizzato nella sua totalità e sistematicità, ovvero queste fonti devono essere armonizzate, devono rispondere agli ideali
armonici propri della nuova concezione umanistica: questi soggetti cercano di fare tesoro dell’ideale umanistico secondo il quale
il sapere deve essere organizzato in modo semplice, chiaro, armonioso e quindi deve essere trattato con una nuova sistematica
che risponda ai criteri armonici delle trattazioni degli umanisti. ad es. Nell'architettura di questo periodo gli umanisti cercano
di di riscoprire la perfezione delle forme romane, questa idea di perfezione delle forme e di armonia fa sì che si possa anche
costruire una città ideale. Pio II Piccolomini, papa senese umanista, crea addirittura la città ideale a Pienza dove si mettono in
pratica tutti quei criteri della buona architettura e della geometria delle forme che viene considerata garantendo un’armonia
tra gli edifici. Se riprendiamo questo discorso dell’armonia e lo proiettiamo nel diritto vediamo che ci sono dei giuristi che
cercano delle nuove armonie del corpus iuris civilis, che doveva essere smontato e rimontato secondo la nuova armonia storica.
Sono autori francesi soprattutto tra cui Budé, Donellus ecc.; vi è poi il savoiardo antoine favre scrive i rationabilia ad
pandectas opera destinata a evidenziare le opere razionali delle pandette che devono essere tenute di conto per un’esposizione
migliore di questi tesi.
3. Giuristi che studiano il corpus iuris civilis in modo nuovo. fanno proprie le acquisizioni culturali del periodo:Tengono conto della
filologia e soprattutto guardano al passato non per saccheggiare i testi e utilizzarli nella loro esperienza storica, ma guardano
al passato per ricostruire gli edifici culturali dell’antichità(prima greca e poi romana) si tratta di una lettura in chiave storica,
nella consapevolezza che questi tesi sono tesi di un’esperienza storica passata. Questi testi devono essere considerati nel loro
contesto nella consapevolezza che le leggi del passato non possono essere leggi del presente, erano testi di un'epoca
precedente e che devono essere riconsegnati ai romani: tali testi Devono essere studiati come si studia un testo di letteratura
latina o come si considera un’opera d’arte romana. Allora ecco che questo terzo indirizzo che ha il suo principale esponente in
Iacopo Cuiacio (1522 – 1590) può essere considerato l’iniziatore della scienza romanistica. Questi giuristi cercano di ricostruire
la grandezza dell'antichità romana e greca facendosi degli storici del diritto romano, leggono i testi del diritto romano in
chiave storica. A loro si deve l’edizione di foni che risalivano al periodo pre-giustinianeo e la ricerca di nuovi criteri editoriali
del corpus iuris civilis. un altro esponente importante è dionisio gotofredo(1549-1622): Gotofredo sarà il primo a fare
un’edizione critica del corpus iuris civilis, cioè cerca di ricostruire esattamente i tesi del digesto e del codice. Sarà un’edizione
senza glossa della quale non c’è bisogno. I giuristi del terzo indirizzo vogliono riconsegnare il diritto romano ai romani e
considerarlo come un fenomeno ormai esaurito di cui c’è più bisogno da un punto di vista culturale e non precettivo. Danno per
presupposto che si possa fare a meno del diritto romano perché negli stati assoluti del tempo il sovrano può rispondere alla
domanda di norme giuridiche che proveniva dalla società.
I giuristi umanisti che la sostengono si pongono in contrasto con il diritto comune, così come si era considerato in Europa. Hanno il loro
focolaio in Francia, ma vi sono personalità che aderiscono a questi principi dell’umanesimo giuridico un po’ in tutta Europa. Maffei parla di
una sorta di ideale triumvirato dei giuristi, ovvero tre capostipiti dell’umanesimo giuridico: Andrea Alciato(1492-1550), Guglielmo
Budé(1467-1540) e Ulrico Zasio(1461-1536). Oltre a questo triumvirato si possono anche notare alcuni umanisti in Spagna come Antonio
Augustin. Tuttavia, in questa lotta immaginaria tra mos italicus e mos gallicus occorre già dire che la meglio l’avrà il mos italicus e il
bartolismo, cioè a dire che le ragioni degli umanisti non scalfiranno il diritto comune e non metteranno in crisi il diritto comune. Rimarranno
come critiche e il diritto comune continuerà per la sua strada fino alla codificazione.
Difensori del diritto comune. Il diritto comune ha anche dei difensori che ritengono di credere in quel sistema giuridico che da secoli
riguardava tutta l’Italia. Uno di essi è Alberico Gentili, un giurista italiano originario delle Marche e laureatosi a Perugia. Questo giurista
poi per ragioni di fede(era protestante) è costretto ad emigrare in Inghilterra cosicché sarà professore a Oxford. Alberico Gentili nel
1582 manda alle stampe a Londra un’opera dal titolo “Sei dialoghi sugli interpreti del diritto”. In questa opera di propone in forma dialogica
di rispondere alle critiche che provengono dai giuristi del mos gallicus.
Prima di tutto egli fa una distinzione tra gli umanisti alciatei:
● I giuristi veri e propri come Zasio che criticano il mos italicus sapendo bene di cosa parlano→ con loro si può rispondere e ragionare
● I fanfletisti, i polemici→ polemica fine a sé stessa che non riguarda esattamente i mali in termini di diritto
Rispetto alle critiche che provengono dagli umanisti, improntati alla storia e alla filosofia, Alberico dice che queste due materie non sono
necessarie per il buon giurista, non vi è la necessità di essere cultori di queste discipline, non c’è bisogno di queste discipline. Infatti il
diritto è una scienza autonoma che non ha bisogno necessariamente della storia e della filologia, se ci sono ben vengano, ma non c’è la
necessità di uno studio obbligatorio di queste discipline perché altrimenti non si può essere buoni giuristi. Il diritto è una scienza autonoma
con i propri fondamenti epistemologici.
L’opera di Gentili va ad affrontare una critica molto diffusa tra gli umanisti, i quali criticavano i giuristi del basso medioevo di essere degli
ignoranti di laino, rivendicavano la necessità di riutilizzare il latino in modo elegante. Gentili risponde a questa critica con una domanda:
come avrebbe fatto Bartolo in quindici anni circa (durata della sua attività) a scrivere e commentare tutto quello che ha scritto e
commentato se fosse stato dietro all’eleganza della lingua latina? L’eleganza è un quid pluris, ma non è proprio dell’essenza del giurista.
Quello che conta davvero è che il giurista faccia il suo mestiere, ovvero rendere giustizia quando è richiesto. D’altra parte, dice Gentili,
anche i glossatori quando fanno delle interpretazioni che gli umanisti definiscono grossolane, molto spesso esse sono poste in essere
volutamente per creare nuovo diritto (interpretaio). Mentre il filologo ricostruisce il testo perché vuole il testo puro, il giurista deve
creare la veste giuridica, dare soluzione a casi non contemplati e questo lo può fare dilatando il testo romano, molto spesso in modo non
coincidente con le regole del testo.
C’è poi un’ulteriore risposta di Alberico riguardo una critica dirompente degli umanisti che richiedevano questa attenzione alla lettera del
testo e quindi richiedevano un’esatta ricostruzione del testo da commentare e prendere in considerazione, per il giurista il testo serve
così come è consegnato a lui dalla tradizione. Non si può fare un’operazione di ripulitura del testo perché altrimenti si scuoterebbero i
fondamenti della giurisprudenza. Tutte quelle attività di ripulitura del testo, di inquadramento storico del testo ecc richieste dagli
umanisti sono un accessorium rispetto al principale compito del giurista, che è altro rispetto a quello della ricostruzione esatta del testo.
Il compito del giurista è quello di rendere la norma utilizzabile nel contesto storico attuale.
i giuristi hanno il compito di comprendere la norma nella sua pratica funzionalità in modo tale che questa dia al giurista le strumento per
risolvere secondo giustizia il caso concreto.
hanno il compito di dare giustizia nel caso concreto e si servono dei tesi romani per come essi sono nel corpus iuris civilis. Gli umanisti
confondono l’accessorio con il principale. Allora ecco che Alberico Gentili difende il sistema di diritto comune, pur notandone i difetti,
perché è l’unico capace di rendere giustizia nell’età moderna. Questo non significa rifiutare in blocco le critiche degli umanisti.
gentili però allo stesso tempo che alcuni autori umanisti possono essere utilizzati dai bartolisti, ma il bartolismo resta un sistema
imprescindibile e necessario.