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I PRINCIPI FONDAMENTALI sono un preambolo solenne, ma i costituenti rifiutarono questo termine

per i primi 12 articoli, perché non sono una semplice dichiarazioni di intenti. I principi fondamentali non
sono suscettibili di revisione costituzionale. Secondo la gerarchia i principi sono all’apice e costituiscono una
guida per interpretare le altre norme. I principi fondamentali non sono solo i primi 12, ma ce ne sono altri in
tutta la costituzione.
L’Art.1 indica la forma di governo, il principio democratico, il principio lavorista. Il termine “repubblica”
viene dal latino e vuol dire “che è di tutti e nessuno la può sfruttare per fini personali”. Secondo il principio
democratico la sovranità appartiene al popolo. La democrazia può essere rappresentativa, gli elettori
scelgono chi deve governarli e questa è una forma di democrazia indiretta, cioè che il cittadino delega i
rappresentanti; diretta gli elettori possono esercitare il potere legislativo. Ci sono tre istituti di democrazia
diretta: il referendum (abrogativo o confermativo) , l’iniziativa legislativa (proposta di legge da parte di
500'000 elettori), e la petizione (documento per chiedere provvedimenti legislativi); partecipativa possibilità
di far valere le proprie opinioni sulle questioni pubbliche. Secondo il principio lavorista l’Italia è una
Repubblica fondata sul lavoro, inteso come fatica impegno e anche passione
L’Art.2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, cioè quelli che non possono essere oggetto di
revisione costituzionale, sono indisponibili intrasmissibili, irrinunciabili e imprescrittibili. Questi sono
espressi dalla Costituzione ma ci sono anche quelli che emergono. I diritti naturali spettano all’individuo
dalla nascita, e questi non sono concessi dallo Stato, ma controlla che vengano rispettati. Nell’art. si cita il
termine uomo e non cittadino perché comprende tutti. Riconosce questi diritti sia nell’uomo considerato
come singolo, sia considerato nella collettività. La Pira e Basso, membri della prima sottocommissione,
individuarono un duplice fine per i diritti inviolabili, sia assicurare l’autonomia e la dignità della persona, sia
promuovere la solidarietà sociale (base per la convivenza sociale)
L’Art.3 tratta il principio dell’uguaglianza e dice che le persone sono uguali nella dignità sociale e nella
soggezione di legge. La nostra costituzione afferma che il Presidente della Repubblica non è responsabile
degli atti commessi durante la sua camera, mentre il Presidente del Consiglio dei Ministri, e i Ministri,
anche al termine della carica sono sottoposti alla giurisdizione ordinaria. Il principio dell’uguaglianza dice
che non si possono trattare allo stesso modo situazioni diverse, e non si possono trattare diversamente
situazioni uguali. Il secondo comma è una sorta di conseguenza del primo infatti prevede che lo stato debba
rimuovere gli ostacoli in modo tale da garantire pari opportunità a tutti.
Il primo comma dell’art.4 vede il lavoro come un diritto dell’uomo e impiega lo Stato a promuovere
politiche economiche e sociali, il secondo comma invece vede il lavoro come un dovere dell’uomo.
L’art.5 riconosce l’unità e l’indivisibilità della repubblica. La costituzione prevede e riconosce il
pluralismo locale attraverso le autonomie locali. “riconosce” perché identifica le autonomie locali,
“promuove” perché si impegna a potenziare il pluralismo territoriale. Secondo l’art.114 i comuni, le
province, le città metropolitane, le religioni sono enti autonomi poiché sono dotati hanno uno statuto proprio
e sono dotati di un poter normativo, sono rappresentativi perché i cittadini risiedono nel territorio e
eleggono i rappresentanti, sono enti territoriali poiché hanno un’autonomia di entrata e di spesa.
L’Art. 6 prevede l’obbligo di tutelare le minoranze linguistiche, supportando il principio dell’uguaglianza.
Da una parte hanno individuato la necessità di tutelare le popolazioni che parlano altre lingue in territorio
italiano e dall’altra reagire alla discriminazione e ai torti inflitti. Per queste minoranze la lingua ufficiale è
comunque l’italiano
L’Art.19 prevede il diritto di professare la propria fede religiosa e farne propaganda, ovvero convertire altre
persone alla propria fede e il diritto di praticare il culto purchè non si tratti di riti contrari al buon costume
L’Art.8 dice che la religione cattolica è posta sullo stesso piano delle altre religioni. Nello statuto albertino
le altre religioni erano solo tollerate, e la cattolica, in quanto religione dello stato italiano, era riservato un
trattamento diverso. Il secondo comma dice che le altre religioni hanno il diritto di organizzarsi secondo i
loro statuti, purchè non vengano contro lo Stato. Il terzo comma stabilisce che i rapporti tra lo stato e le
religioni non cattoliche siano regolati mediante una legge ordinaria. L’Italia è uno stato concordatario in
quanto riconosce un trattamento particolare per la chiesa cattolica.
L’Art. 7 dice che lo Stato e la Chiesa hanno finalità diverse, lo Stato ha finalità civile, la Chiesa ha finalità
spirituale. Entrambi hanno ordinamenti giuridici separati e autonomi. Alla chiesa è riconosciuta parità nei
confronti dello stato. Il secondo comma dice che i rapporti tra stato e chiesa sono regolati dai patti
lateranensi che non sono suscettibili di revisione costituzionale. Nel 1870 la conquista di Roma e dello stato
Pontificio, e l’annessione al Regno d’Italia, provocò una frattura tra lo Stato e la Chiesa. Nel 1871 lo Stato
firmò la Legge delle guerentige, con il quale dava privilegi allo stato, ma allo stesso tempo imponeva delle
limitazioni. Questa legge non fu accettata dal papa che nel 1847 emanò il decreto “non opportuno” con il
quale vietava ai cattolici di collaborare con lo Stato e di partecipare alla vita politica. Nel 1929 la Chiesa
stipulò con il regima fascista i patti lateranensi i quali contenevano i seguenti documenti: un trattato
internazionale che conteneva il riconoscimento dello Stato e della Chiesa come 2 stati indipendenti e
sovrani, un concordato con il quale venivano disciplinati la condizione giuridica della Chiesa e l’esercizio
della religione cattolica in Italia. Questo riconosceva una serie di privilegi ai sacerdoti cattolici, una
convenzione finanziaria stabiliva alcuni impegni finanziari dello Stato nei confronti della Chiesa. Il
concordato del 1929 aveva confermato il carattere confessionale della chiesa. Questo rapporto tra Chiesa e
Stato è entrato in crisi dopo la caduta del fascismo. Negli anni 1970 l’approvazione di alcune leggi laiche ha
accentuato il carattere non confessionale dello stato. Nel 1984 furono firmati gli accordi di palazzo Madama
da Craxi e Casaroli. E stabilirono la sostituzione del concordato del 29 con un nuovo concordato; non era più
in vigore il principio in base al quale la religione cattolica era l’unica religione di stato; e l’abolizione di
alcuni privilegi economici a favore dei ministri

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