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introduzione

L’ART BRUT
(Mar sul roche)

«L’arte non dorme nei letti che sono stati preparati per lei, fugge appena si pronuncia il
suo nome, ama l’incognito. I suoi momenti migliori sono quando si dimentica come si
chiama».

Jean Dubuffet (1901-1985)

L’«arte grezza», così è spesso tradotto il francese “Art Brut”, è la forma


d’espressione di persone che sono sfuggite ai condizionamenti culturali e al
conformismo sociale. ignoranti della tradizione, indifferenti alle critiche, unici
destinatari delle proprie opere, i creatori di Art Brut agiscono d’istinto.
Il termine è stato coniato per la prima volta da Jean Dubuffet, pittore e scultore
francese, uomo estremamente colto, di raffinata sensibilità, con una personale posizione
di tipo intellettualistico, tesa alla ricerca di un nuovo linguaggio della rappresentazione,
un linguaggio totemico, libero da ogni tipo di acquisizione culturale, imperniato sulla
creazione artistica e non già sul prodotto artistico, sull'atto del fare e non sul manufatto.
Una ricerca che egli conduce in situazioni estreme, fuori da ogni controllo, nel mondo
dei folli, o degli ignoranti, o dei primitivi.
Nel 1947 insieme ad Andrè Breton e Jean Paulhan crea la “Compagnie de l’art
brut” a Parigi, dove raccoglie centinaia di opere realizzate da persone sconosciute, non
formate artisticamente, spesso ricoverate in istituti psichiatrici, dando loro una visibilità
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che mai avrebbero potuto avere. Egli definisce questa arte come: “Lavori effettuati da
persone indenni di cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che
avviene negli intellettuali, abbia poca o niente parte, in modo che i loro autori traggano
tutto (argomenti, scelta dei materiali messa in opera, mezzi di trasposizione, ritmo,
modi di scritture, ecc.) dal loro profondo e non stereotipi dell'arte classica o dell'arte di
moda”.1
Nel 1964 pubblica il periodico omonimo, volumi monografici vengono dedicati
a questi artisti originali, mentre la collezione di opere si arricchisce ulteriormente
suscitando interessi sempre più vasti, fino a quando nel 1976 viene collocata nel
castello settecentesco di Beaulieu a Losanna in Svizzera, dove attualmente sono esposte
circa 5000 opere realizzate da quasi 500 artisti.
Il percorso teorico di Dubuffet è caratterizzato dal rifiuto verso la grande e
celebrata arte ufficiale, alla ricerca di una forma di espressione più pura, alla fine della
Seconda Guerra Mondiale, egli si reca a Losanna per intraprendere un’esplorazione
degli ospedali psichiatrici svizzeri alla ricerca di creatori tra gli internati, Dubuffet
incontra una ventina di persone tra conservatori di musei, medici, editori, scrittori e
artisti. La Svizzera si rivela una vera e propria miniera di creatori d’Art Brut, superando
le sue più rosee aspettative, egli si imbatte giorno dopo giorno in opere di sorprendente
qualità, eseguite da quelli che diventeranno le figure maggiori dell’Art Brut.
È necessario chiarire che non tutti i creatori che Dubuffet si accinge a riunire
sotto la bandiera dell’Art Brut provengono da ospedali psichiatrici e non tutti sono
malati di mente. Dubuffet considera l’ospedale psichiatrico come il luogo da cui iniziare
la sua ricerca di opere di creatori estranei al mondo dell’arte, egli rifiuta nettamente di
considerare la follia una discriminante, il criterio piuttosto si può individuare nella
marginalità degli autori, nella loro mancanza di formazione artistica, nella loro
creatività grezza. Egli distingue nettamente l’arte colta, prodotto della cultura
dominante, dall’arte selvatica, non educata, libera da ogni condizionamento culturale,
vera espressione dell’animo umano, immune da correnti intellettualistiche di moda,
reinventata totalmente nello stile, nelle tecniche e nelle scelte dei materiali. Egli inoltre
chiarisce che non solo l’arte dei pazienti psichiatrici rientra nella categoria di “Art brut”,
ma qualunque produzione artistica che abbia le caratteristiche di libertà da canoni
riconosciuti culturalmente, ribadendo il concetto della assoluta indistinguibilità tra

1 wikipedia
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un’opera prodotta da una persona sana e quella prodotta da una persona malata di
mente.
Dubuffet si schiera con forza contro quegli psichiatri che continuavano a
classificare le produzioni grafiche dei malati mentali in base alle loro rispettive
patologie, egli ritiene negativo criminalizzare e discriminare la follia come qualcosa di
alieno e negativo, la follia sarebbe, invece, una risorsa preziosa e feconda per la
collettività. I suoi presupposti anticulturali consentono a Dubuffet di sviluppare una
posizione che anticipa di almeno un decennio gli argomenti dell’ antipsichiatria.
Le successive trasformazioni all’interno degli ospedali psichiatrici, sono un
segno della profonda evoluzione culturale che ha investito la società dagli anni sessanta
in poi. In italia si moltiplicano le sperimentazioni e le esperienze artistiche negli
ospedali psichiatrici, espressione emergente del movimento si ha a Trieste, dove un
gruppo di operatori, guidata da Franco Basaglia, si dedica insieme ai pazienti ad attività
creative finalizzate al miglioramento delle qualità espressive e comunicative dei
partecipanti. Il grande cavallo azzurro di cartapesta costruito dai pazienti è diventato un
simbolo della grande rivoluzione culturale e della riforma psichiatrica che vede
l’attuazione di servizi psichiatrici territoriali, e chiude definitivamente il capitolo dei
vecchi manicomi istituzionali.
Attualmente numerose organizzazioni, si dedicano alla promozione e alla
diffusione dell'arte prodotta dai pazienti psichiatrici, di seguito vengono citati alcuni
centri in Europa. 2

ATELIER ADRIANO E MICHELE


L’Atelier di pittura Adriano e Michele, attivo dal 1996 all’interno del Centro
Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro (Mi), è nato dall’incontro tra le esigenze
riabilitative di un istituto psichiatrico e la volontà di estendere i confini dell’arte ad un
territorio abitato dal disagio psichico.
Diverse figure professionali hanno contribuito alla sua nascita: il direttore medico Dr.
Giovanni Foresti, la storica dell’arte Bianca Tosatti, il grafico Luciano Ferro. Il pittore
Michele Munno ha dato vita al laboratorio sviluppando il potenziale creativo dei
pazienti e orientando le loro opere, sulla base di un giudizio estetico, all’interno del

2 Fonte: “DALLA CARTELLA CLINICA ALLA GALLERIA”atelier di creazione artistica per pazienti
psichiatrici e portatori di handicap, Conferenza del 5 aprile 2008 presso Clinica Psichiatrica di Belle
idée, Ginevra.
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sistema dell’arte. Le attività dell’Atelier sono coordinate dalla storica dell’arte Teresa
Maranzano e dall’educatrice Gabriella Vincenti, e sono volte a garantire il
funzionamento dello spazio lavorativo, seguire i percorsi riabilitativi dei pazienti
insieme al personale medico, curare i progetti espositivi che garantiscono visibilità alle
opere.

BLU CAMMELLO
L’Atelier Blu Cammello si trova nel suggestivo quartiere La Venezia di Livorno, al
centro delle attività culturali della città. Con i suoi laboratori e spazi espositivi,
rappresenta un luogo privilegiato per la creazione artistica di pazienti affetti da disagio
psichico o da handicap, che risiedono in famiglia, in case protette, o al Centro Basaglia.
Grazie alla direzione artistica di Riccardo Bargellini, diversi autori si sono fatti
apprezzare nel circuito delle Arti Outsider grazie alle numerose mostre cui hanno
partecipato, in Italia e all’estero. Blu Cammello è anche un centro di edizione di libri
d’arte e di produzione musicale. Una galleria propone regolarmente mostre con artisti
affermati , mentre nel giardino storico del Centro Basaglia è stato creato il Pac 180, un
parco d’arte contemporanea dove si svolge ogni anno una manifestazione aperta alla
pittura, alla scultura, alla musica e al video.

CREAHM FRIBURGO
Dal 1998 il Creahm mette a disposizione di un gruppo di persone portatrici di handicap
un luogo di lavoro dove possano esprimersi in tutta libertà nel campo della pittura,
dell’incisione e della scultura. Una perfetta complicità tra gli animatori dell’atelier e gli
artisti permette a questi ultimi di familiarizzarsi con diverse tecniche e di trarne il piú
grande profitto. Grazie a questa relazione stimolante, ognuno di loro ha potuto
sviluppare un linguaggio personale e presentare con grande talento un mondo interiore
estremamente ricco e colorato. Dal 2007, il Creahm ha potuto estendere le sue attività a
tre giorni settimanali. Possiamo affermare con grande soddisfazione che l’atelier è
all’origine della formazione di dodici autori che sono oggi parte integrante della vita
artistica di Friburgo.
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CEC LA HESSE
L’Atelier La Hesse ha dato vita alle sue attività nel 1992 a Vielsalm, nella regione belga
delle Ardenne. Una équipe di artisti-animatori coordinata da Anne-Françoise Rouche
propone a persone affette da handicap mentale laboratori di diverse discipline: disegno,
pittura, incisione, scultura, ceramica, musica, danza, animazione video.
Tra i numerosi frequentatori, diversi autori hanno maturato il loro stile e seguono un
compiuto percorso di creazione artistica.
Nel 2006, accanto ai locali dei laboratori, è stata aperta una nuova struttura polivalente,
dotata di quattro sale espositive modulabili, un teatro, il deposito e l’archivio per le
opere, una biblioteca e uno spazio per le proiezioni. “La S Grand Atelier” rappresenta
anche un luogo di incontro tra gli artisti che lavorano quotidianamente al CEC e il
pubblico delle mostre, gli alunni delle scuole, e diversi artisti periodicamente invitati in
residenza per realizzare delle produzioni site specific.

KUNSTHAUS KANNEN
La Kunsthaus-Kannen si trova all’interno dell’ospedale psichiatrico Alexianer a
Münster, in Germania. È stata creata con l’obiettivo di promuovere il lavoro di pazienti
dotati di un talento artistico eccezionale. La loro creatività è incoraggiata e sostenuta fin
dall’inizio degli anni ’80. Con il materiale raccolto in piú di vent’anni di attività, la
Kunsthaus-Kannen ha organizzato numerose mostre in Germania e all’estero, e vanta
una collezione di circa 5.000 opere tra disegni, dipinti e sculture. Dal 2000, un nuovo
edificio di 300m² ospita i laboratori e gli spazi espositivi, ed è aperto a progetti, work
shop, incontri e conferenze legati soprattutto alle tematiche relative all’arte e alla
psichiatria. La Kunsthaus-Kannen è un luogo d’incontro e d’integrazione culturale per
tutti gli artisti.

CENTRO DI ATTIVITA' ESPRESSIVE “LA TINAIA” 3


Il centro La Tinaia, è situato presso l'ospedale San Salvi di Firenze, diretto da Giuseppe
Saraò, responsabile del M.O.M. Salute Mentale Adulti Distretto Firenze 2.
Prende il nome dalla sede iniziale, una piccola fattoria situata nel parco dell’ex ospedale
psichiatrico in cui ancora si trovavano dei vecchi tini. La Tinaia è nata nel 1975 per
iniziativa di Massimo Mensi e Giovanni Buccioni, infermieri/artisti non professionisti.

3 Fonte: Maria A. Azzola, “La tinaia alla Biblioteca di Scienze Sociali dell'Università di Firenze”
Edizioni Polistampa (2004)
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Sulla scia delle teorie antipsichiatriche dell’epoca, essi si proponevano di sottrarre i
pazienti più bisognosi di attenzioni alle strutture manicomiali. Ben presto La Tinaia è
divenuta uno dei pochi casi al mondo di comunità terapeutica in cui l’arte è praticata
liberamente e quotidianamente da un gruppo di malati mentali. In più, analogamente,
essa si impone, coincidenza assai rara, per il rilevante numero di pazienti di grande
statura artistica. E sono proprio le cifre stilistiche tipicamente brut degli artisti de La
Tinaia, unitamente a quelle provenienti da altri atelier psichiatrici italiani e esteri a
costituire un’ulteriore traccia per approfondire sia la specifica relazione esistente in
questa forma d’arte con la dimensione psichica provocata dalla malattia mentale,
l’emarginazione sociale, la medianità o l’isolamento carcerario, sia le ragioni delle
analogie con le sperimentazioni formali delle avanguardie.

Margherita Cinque 4
Figure femminili con vaso senza data tecnica mista cm 268x149 (collezione La Tinaia)

4 Fonte: Maria A. Azzola, “La tinaia alla Biblioteca di Scienze Sociali dell'Università di Firenze”
Edizioni Polistampa (2004)
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2 Arte e infanzia
2.1 Il segno primitivo

“L'espressione

Formulazione, in un codice specifico, di eventi registrati dalla Memoria organica, e di


cui ogni individuo porta in sé l'organo atrofizzato e i circuiti latenti che un esercizio
appropriato permette di rianimare.”

Arno Stern 5

Nel cuore di Parigi, per oltre quaranta anni, la figura di un educatore infantile
alquanto estroversa e bizzarra, si è dedicata ad un'attività molto avvincente, quella di
essere un “silenzioso testimone” dell'attività grafica di intere generazioni di bambini
creando un modello assolutamente originale: il “closlieu”, uno spazio libero, con le
pareti rivestite di fogli, dove i bambini possono tracciare segni in piena libertà,
utilizzando esclusivamente i colori e i pennelli messi a disposizione e condivisi da tutti i
partecipanti. Questo personaggio di nome Arno Stern, comincia il suo lavoro nel 1946,
in un istituto per orfani di guerra, facendo dipingere i bambini, intuendo subito il ruolo
primordiale del gioco. Successivamente apre un atelier nel quartiere Saint-Germain-des-
pres di Parigi a cui faranno seguito numerosi altri dislocati in ospedali, scuole e centri
sociali, ed in cui viene estesa la partecipazione a persone di tutte le età.

Durante questi anni ha potuto sviluppare uno “sguardo sensibile”, capace di


captare “tracciati nascosti”, ed acquisisce una forte familiarità con codici e segni
artistici, “topologia della faccia interna degli esseri, della quale essi stessi ignorano
l'esistenza vibrante”.

La sua definizione del concetto di “Formulazione”, intesa come manifestazione


di espressione complessa, originale e strutturata, s’ispira ad una nuova scienza, la
“semiologia dell'espressione” il cui studio s'interessa alle caratteristiche universali
dell'atto del tracciare, astenendosi da ogni interpretazione soggettiva.

Condizioni essenziali per permettere alla “Formulazione” di emergere sono la


disponibilità di un luogo privo d’influenze e pressioni, la presenza degli altri, non come

5 Arno Stern, “Homo vulcanus”, Edizioni Scientifiche Magi. pag,17


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spettatori, ma come compagni di gioco e la presenza di un praticien che non avendo
alcun ruolo di giudice, ma esclusivamente quello di servitore, mette il bambino (e
l'adulto) nelle condizioni ottimali per sentirsi libero di esprimersi.

Egli rileva come, a differenza di quanto avviene nelle nostre scuole e nella
nostra cultura, sia in realtà importante stimolare l'autonomia dell'individuo, e quanto lo
sviluppo personale sia legato all'esperienza sociale. Quello che avviene nel Closlieu,
permette all'individuo di realizzarsi “insieme agli altri” e non in un clima di
competizione.

Nel suo saggio “Homo vulcanus” Arno Stern affronta il tema dell’Espressione
come di una “scrittura selvaggia”, quella che le emozioni imprimono al gesto istintivo e
primordiale, prima che esso venga condizionato con varie tecniche espressive dal
sistema educazionale: ”L’Espressione è l'eco delle prime vibrazioni dell'organismo.
Esse sono state registrate e conservate, ma non c'è riflessione che possa accedervi, il
nostro linguaggio razionale non può farsene interprete”.

Egli si sofferma a spiegare come, gli studiosi d’arte, di pedagogia, di psicologia


siano così indottrinati e lontani dal comprendere l'essenza di questo concetto, e come
occorre un forte impegno e “disorientamento” per riuscire a restituire alle persone il
contatto con la funzione espressiva. Il segno, dunque, come linguaggio del corpo, come
manifestazione primitiva e universale che prescinde dalle diverse culture di provenienza
e che accomuna tutti gli uomini.

Diverse ricerche sono state fatte dall'autore, con popolazioni africane rimaste
isolate dalla cultura occidentale, per ritrovare segni comuni e tracce che hanno parlato
una lingua universale: “Sarebbe bene che tutti potessero vedere il bambino primitivo
davanti al suo foglio! Egli traccia senza avere un'idea predefinita, la sua mano è spinta
da una forza non addomesticata. Traccia e scopre, con rapimento, i segni che emanano
da una facoltà ignorata (... )La scrittura selvaggia, è quella che, in presa diretta, le
sensazioni imprimono al gesto prima che l'addomesticamento degli apprendisti grafici
non la devii da questa funzione per farne del disegno; e anche quella che rinasce
nell'uomo adulto (il bambino di ogni età) quando ritrova, in questo luogo, l'uso
primitivo delle sue facoltà. Allora io parlo di Espressione” 6 .

Non bisognerebbe mai chiedere ad un bambino: ”Che cosa hai voluto

6 op.cit.pag.23, 56.
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rappresentare?” Egli penserebbe che disegnare equivalga a tracciare l'immagine delle
cose. Non si dovrebbe elargire lodi per la sua bravura, finirebbe col disegnare quello
che gli altri si aspettano da lui. Occorre invece liberare l'Espressione da queste influenze
affinché diventi una formulazione piena, come “una lingua materna nel luogo in cui si
dischiude e non una lingua straniera balbettata un po' dovunque”.

Lo spazio del Closlieu, ricorda metaforicamente l'utero materno, silenzioso,


accogliente, un nido completamente isolato dall'esterno dove si disegna senza parlare, i
segni e i colori si susseguono, ogni bambino è perso completamente in quello che fa e,
quando il disegno arriva all'orlo del foglio e sembra volerne uscire, ecco che Stern
prontamente aggiunge un altro foglio bianco, un'altra puntina, con amorevole attenzione
asciuga una goccia che, prepotente, cola giù da una pennellata troppo abbondante. Con
discrezione e rispetto osserva il lavoro dei bambini senza intervenire.

Dopo un po' di tempo sembra quasi di sentirlo, quel sottofondo soffuso e


ritmato. Il battito del cuore viene fuori dai ritmi dei segni che si alternano ai colori, alle
sequenze che pian piano cominciano a manifestarsi, diverse per ogni bambino all'inizio,
ma capaci di “contaminare”, l'arancione del disegno di un bambino diventa la fiamma
del disegno del bambino vicino e poi il sole dell'altro, senza parlare, in una forma
comunicativa dove si scambiano emozioni.

Un giorno, a Montreal, durante un’attività svolta alla presenza di alcuni stagisti,


che volevano comprendere il modo in cui Stern entrava in rapporto con i bambini,
avvenne un episodio molto significativo: “Ebbi con un ragazzino uno strano dialogo
(...) ad un certo punto il suo pennello andò ad urtare una delle puntine che fissano il
foglio alla parete; subito con il mio coltello mi affrettai a toglierla e a spostarla per
permettergli di completare il suo tracciato! L'istante successivo, avvicinò il pennello
alla seconda puntina e io la scostai allo stesso modo. Poi sospirò, guardò verso la parte
alta del dipinto, l'angolo sinistro e spinse il suo tratto colorato nei pressi della terza
puntina, attendendo la mia reazione. E la stessa cosa si verificò infine con l'angolo
destro. Il tutto non durò che qualche istante e fu tra noi un vero dialogo, l'intensità del
quale venne percepita da tutto il pubblico” 7 .

7 op.cit.pag.80, 81.

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