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Il Decadentismo può essere definito come un movimento culturale piuttosto vario che trova nella critica al
Positivismo e alla morale borghese un punto di coesione, esso caratterizzerà il gusto estetico, la produzione
artistica, in parte anche il costume, di alcuni paesi europei tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
Novecento.
Il termine “decadente”, coniato a Parigi verso il 1880, ha originariamente una valenza negativa. La critica
letteraria di fine Ottocento, ispirandosi alla morale borghese allora dominante, definì “decadenti” quei
poeti che esprimevano lo smarrimento della coscienza di fronte ad una civiltà considerata in declino, una
civiltà che dimostrava, nonostante l’ottimismo ipocrita, l’illusione dell’idea positivista di progresso
continuo. Scrittori e pittori che si riconoscevano nelle nuove idee si riunirono attorno ad una rivista
letteraria “Le Décadent” fondata nel 1886.
Il Decadentismo è un fenomeno complesso, non esiste, come per il Naturalismo o per il Romanticismo, una
poetica a cui far riferimento. Abbiamo piuttosto una diffusione di poetiche che possiamo raccogliere in due
distinti movimenti: il Simbolismo e l’Estetismo
Il Simbolismo fu una vera e propria corrente letteraria che ebbe la sua massima espressione in Francia negli
ultimi anni dell’Ottocento. Include poeti quali Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Mallarmé
L’Estetismo ha trai suoi maggiori rappresentanti Oscar Wilde in Inghilterra e Gabriele D’Annunzio in Italia.
Esistono due romanzi che vengono considerati il manifesto del decadentismo: A Rebours (Controcorrente,
1884) di Joris-Karl Huysmans e Il ritratto di Dorian Gray, 1891 di Oscar Wilde.
Nel romanzo di Oscar Wilde il protagonista è un giovane di eccezionale bellezza, che un amico pittore ritrae
in un quadro. Pur essendo ossessionato dall’idea di perdere la sua avvenenza, Dorian, avido di piaceri e del
tutto privo di inibizioni morali, non rinuncia a nessuna nefandezza. Per una sorta di magia, il passare del
tempo e le abiette esperienze della vita non degradano la sua perfetta bellezza, bensì il ritratto, che si
deturpa sempre più. Quando Dorian, colto da rimorsi e incapace di sopportare oltre l’immagine di
depravazione che il quadro gli riflette, colpisce il ritratto con una pugnalata, cade morto come se avesse
colpito se stesso; così, egli assume l’orrida fisionomia che il tempo e la sua vita sciagurata gli hanno
procurato, mentre il quadro torna allo splendore originario.
Sono riconducibili al Decadentismo anche il nascere di quelle che verranno definite “avanguardie”, ossia di
quei movimenti artistici che, pur nella profonda diversità di poetiche, mirarono alla sperimentazione di
nuove tecniche espressive, caratterizzate dalla rottura radicale con il passato. Sono le cosiddette
“avanguardie storiche” che si svilupperanno, nelle diverse forme d’arte fino agli anni ’30: il Futurismo,
l’Espressionismo, il Dadaismo, il Surrealismo.
IL DECADENTISMO IN ITALIA
Il Decadentismo si diffuse in Italia con un certo ritardo rispetto al resto d’Europa. Esso si espresse in
particolare nell’opera di Giovanni Pascoli (la poetica del “fanciullino”) e in quella di Gabriele D’Annunzio
(che probabilmente rappresenta il maggior esponente della cultura decadente italiana, se non altro per il
suo voler far coincidere arte e vita e per la sua completa adesione ai motivi dell’estetismo e de
superomismo). Il Decadentismo italiano presenterà spesso fenomeni di decisa reazione e di rifiuto dei
modelli europei. Tuttavia gli ambienti in cui tale rifiuto nasce hanno in comune con il Decadentismo la
cornice generale, vale a dire la sfiducia in qualunque certezza, l’individualismo, l’isolamento dell’artista
rispetto alla società
GIOVANNI PASCOLI
LA VITA
Giovanni Pascoli nacque nel 1855 a San Mauro di Romagna (Forlì),era il quarto genito di dieci figli. Il padre
amministrava una tenuta agricola e Giovanni crebbe in campagna, in una famiglia agiata. A otto anni entrò
nel collegio dei padri scolopi a Urbino, dove frequentò la prima liceo fin quando nel 1867, il padre venne
assassinato in circostanze misteriose; fu un delitto destinato a rimanere impunito e che sconvolse il sereno
nido familiare: la madre morì l’anno seguente e il fratello maggiore Giacomo si trasferì con il resto della
famiglia a Rimini. Giovanni riuscì a terminare il liceo e, grazie a una borsa di studio, a iscriversi a Bologna
alla facoltà di lettere. Partecipò alla vita culturale bolognese e venne a contatto con i circoli socialisti,
sposando la causa della giustizia sociale; la partecipazione a una manifestazione di protesta lo privò della
borsa di studio e Pascoli dovette abbandonare gli studi. Intensificò il suo attivismo politico dopo aver
conosciuto l’anarchico Andrea Costa; si impegnò nella propaganda in favore della Prima internazionale e
conobbe la prigione. Scarcerato, abbandonò la politica attiva temperando i suoi ideali. Ripresi gli studi, nel
1882 si laureò con una tesi sul poeta greco Alceo.
Passato alla carriera accademica, insegnò prima a Bologna, poi a Messina, quindi a Pisa. Nel 1905 fu infine
chiamato dall’università di Bologna a succedere a Giosue Carducci nella cattedra di letteratura italiana.
L’ossessione di ricostituire il nucleo familiare lo spinse a riunire attorno a sé le sorelle Ida e Maria
rinunciando a sposarsi; Morì di cancro nel 1912 dopo avere vinto per la tredicesima volta il premio
dell’Accademia olandese.
LE OPERE
Il fanciullino [1897-1903]
La riflessione di Pascoli ruota tutta attorno alla figura cardine del «fanciullo eterno», la parte infantile
dell’uomo che ha un approccio conoscitivo con la realtà basato sull’intuizione e la spontaneità. Il
fanciullino riassume la nostra essenza in un tratto della nostra esistenza, ma il formarsi in noi di un io adulto
non comporta la sua scomparsa: pur messo a tacere, il fanciullino rimane parte integrante della nostra
personalità, quella che ci consente di stupirci e di sognare. Il fanciullino per Pascoli designa la sfera
irrazionale, dominata da fantasie ed emozioni: la visione poetica del mondo è diversa da quella elaborata
dalla ragione o dalla scienza. Il poeta è un «veggente» il cui sguardo non considera l’utilità pratica o
l’impatto sociale di oggetti e fenomeni, ma «ci trasporta nell’abisso della verità» celato spesso nelle cose
più umili. Siamo, evidentemente, in pieno Simbolismo.
La natura, oltre che una foresta di simboli, è per Pascoli un’orchestra di suoni; la natura ci parla, ma solo il
fanciullino è in grado di comprenderne la lingua. Tradotte in altre parole, le voci della natura diventano
onomatopee, il cui scopo tuttavia non è una resa realistica.Pascoli definisce il fanciullino come «l’Adamo
che mette il nome a tutto ciò che vede e sente»; dare un nome alle cose significa dare un nome alle verità
in esse celate; ma l’atto poetico del nominare è un atto di conoscenza.Lo sguardo del fanciullino non si
ferma però mai alla singola cosa infatti ogni oggetto è parte di un tutto ed egli sa scoprire «le somiglianze e
relazioni più ingegnose». A esprimere queste relazioni è deputata l’analogia, figura che mette in relazione
gli aspetti comuni fra le cose. l’analogia non collega due elementi di pari grado, ma sempre una parte con il
tutto dunque le grandi verità non devono essere cercate nelle grandi, ma nelle piccole cose.
Myricae [1891-1911]
La gestazione di questa raccolta fu lunghissima. I primi testi risalgono agli anni settanta; il titolo comparve
per la prima volta nel 1890 a raggruppare nove poesie pubblicate sulla rivista “Vita Nuova”.
Myricae è un termine latino usato per indicare le tamerici, umili arbusti comuni in area mediterranea,
impiegati dai contadini per accendere il fuoco. Per Pascoli simboleggiano il mondo umile delle piccole cose
legate alla terra; inoltre rappresentano un legame con il luogo natale San Mauro di Romagna.
Fin dall’inizio Pascoli suggerisce la chiave di lettura del libro, dominato dal tema funebre della rievocazione
dei lutti di famiglia ovvero la morte, nel giro di dieci anni, del padre, della madre e di tre fratelli. Ma la
dimensione privata assurge a visione del mondo, in cui al bene assicurato da madre natura si mescola il
male provocato dalla malvagità dell’uomo. Il nido è il grande modello attorno al quale ruota il mondo
poetico pascoliano. Esso è il luogo degli affetti e il rifugio contro la cattiveria degli uomini.
Poemetti [1897-1909]
Uscita in prima edizione nel 1897 e in seconda nel 1900, la raccolta dei Poemetti venne sdoppiata in Primi
poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909), costituenti comunque tema comune. Ritornano scenari consueti
come il mondo della campagna, il motivo funebre, il sogno di un’umanità più buona, affrontati però in
modo nuovo, con tono più solenne. Nei Primi poemetti abbiamo due sezioni dedicate alla semina e
all’inverno; nei Nuovi altre due, dedicate alla fioritura primaverile e alla mietitura; Veniamo così introdotti
in una società semplice e laboriosa, radicata nei ritmi e nelle leggi di natura, una società di cui Pascoli
rappresenta le modeste occupazioni come riti e opere d’arte.