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Arcipelago call center

ARCIPELAGO CALL CENTER

Capitolo primo: L’indagine sulla qualità della vita lavorativa nei call center: una prospettiva
integrata e multilivello

1. Elementi di pre-comprensione sul mondo dei call center

1.1. Lo sviluppo dei call center

Possiamo definire il call center come un centro ad alto contenuto tecnologico dedicato alla gestione
del traffico sia in entrata (inbound) che in uscita (outbound), adottato dalle aziende allo scopo di
aumentare l’efficienza e l’efficacia del rapporto con la propria clientela o con la propria utenza.

Il call center:

- è una delle maggiori fonti di nuova occupazione;

- è solitamente un impiego a breve termine;

- molte del lavoro creato da questi è destinato a sparire nel lungo periodo poiché tante delle
operazioni svolte potranno essere realizzate automaticamente;

- processo di delocalizzazione all’estero delle imprese (offshoring) per abbassare il costo del lavoro;

Quello di operatore telefonico è un classico esempio di lavoro precario professionalmente debole.

Nato negli anni 70 negli Stati Uniti si è diffuso in Europa a partire dagli anni 80. In Italia, invece,
dalla seconda meta degli anni 90.

Ritmi di crescita dei call center in Italia:

1993 700 addetti

2002 65.000 addetti

2005 220.000 addetti

oggi 350.000 addetti

Secondo Confcommercio i call center attivi sono 1967 e il fatturato complessivo supera i 4 miliardi
di euro.

Ragioni, secondo Alteri, che hanno indotto un’espansione così massiccia dei call center in Italia:

- liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni;

- crescente competizione tra le imprese;


- domanda di una qualità sempre più elevata di servizi;

- crescente consapevolezza da parte delle aziende dei vantaggi competitivi che derivano dalla loro
adozione.

Abbiamo vari tipi di call center:

- insourcing (o in house), quando il servizio è gestito internamente all’azienda, ha una mission


specializzata che è spesso quella della customer car (call center dedicati);

- outsourcing, offrono i loro servizi sul mercato (call center generalisti)

- cosourcing, combinazione dei primi due tipi di call center.

In base al grado di specializzazione dei servizi erogati, i call center possono suddividersi in:

- dedicati

- generalisti.

I call center possono essere differenziati in base alla mission dell’azienda di cui fanno parte; diversi
possono essere i tipi di mission:

- commerciale;

- pubblica utilità;

- customer acquisition, ossia aumentare il bacino di clienti;

- customer retention, ossia soddisfare i bisogni dei clienti già fidelizzati.

In base alle modalità di erogazione dei servizi all’interno dei call center questi ultimi possono essere
suddivisi in:

-inbound: servizi centrati sulla ricezione delle chiamate, come i servizi di customer care, help desk
tecnico e d’acquisizione d’ordini;

-outbound: servizi erogati tramite l’effettuazione di chiamate telefoniche da parte dei call center
verso l’esterno, come i servizi di telemarketing, recupero crediti, interviste per le ricerche di
mercato, sondaggi, etc. etc.

Lo studio più esteso che sia mai stato realizzato nei call center a livello mondiale ha coinvolto 2500
call center di 17 paesi, Italia esclusa, tramite appositi questionari. Dallo studio emersero alcune
tendenze che, seppur con un certo grado di variabilità, accomunano le partiche di gestione e
organizzazione della forza lavoro nei call center dei diversi Paesi coinvolti:

- il costo del lavoro rappresenta il 70% dei costi complessivi di gestione di un call center;

- circa un terzo dei lavoratori ha meno di un anno di anzianità di servizio;


- il tasso tipico di turnover nei call center si aggira intorno al 20%. Il costo di tale procedimento è
piuttosto alto; mediamente, infatti, il ricambio di un’unità di personale costa quanto il 16%
dell’intero pagamento annuale di ogni lavoratore;

- il 32% dei call center assicura un buon livello di qualità del lavoro, ma solo il 12% degli operatori
lavora in questi contesti. I call center con bassa qualità del lavoro sono complessivamente il 38%, in
cui lavora il 67% degli operatori;

- nei call center insourcing la qualità del lavoro è generalmente più elevata che nei call center
outsourcing;

- nei call center con alta qualità del lavoro il livello di turnover è generalmente molto più basso (9%
contro il 36%).

1.1. Il dibattito sociologico sui call center

Le ricerche finora condotte hanno evidenziato una rappresentazione ambivalente del lavoro nei call
center. Da una parte, gli studi realizzati nei diversi Paesi concordano nell’identificare nei call center
una delle maggiori fonti di nuova occupazione, dall’altra, palesano una numerosa serie di rischi
psicofisici e sociali connessi all’attività di operatore telefonico. Lo studio europeo dell’Ires Cgil,
diretto da Giovanna Alteri (2002), classifica i rischi legati a questo impiego relativamente a due
ordini di fattori:

- uno stress di natura psicofisica;

- uno stress derivante dall’ambiente di lavoro.

Al contrario dell’ambito giornalistico, su quello scientifico il lavoro nei call center è descritto da
variegate posizioni.

° In una prima posizione troviamo coloro che mettono in rilievo gli elementi che l’organizzazione
del lavoro nei call center ha in comune con la tradizione taylorista-fordista, assimilando i call center
a una fabbrica di servizi in cui a ogni macchina è assegnato un lavoratore, che giornalmente ripete
per centinaia di volte al giorno le stesse operazioni. Il lavoratore è impegnato in una sorta di
multitasking serializzato dove durante la conversazione utilizza terminali e tecnologie varie per
ricercare informazioni.

La centralità rivestita dall’interazione con il computer ha indotto alcuni autori a parlare di


taylorismo informatico.

° In una seconda posizione troviamo coloro che colgono nel call center gli aspetti innovativi tipici
della new economy. Si sostiene che il call center è sempre meno una “fabbrica di servizi”

I call center vengono quindi considerati come “organizzazioni della conoscenza”

Si ritiene che i processi trattati dagli operatori siano basati su conoscenze.

In fine vi è °una terza posizione intermedia che opportunamente sottolinea la variabilità delle
condizioni di lavoro, in funzione di una serie di elementi strutturali relativi ai modelli organizzativi.

1.3. Le ricerche sullo stress lavoro-correlato nei call center


Nel 2002, l’Università del Massachussets ha condotto una ricerca somministrando un questionario a
un campione di 782 operatori di vari call center. Nel questionario gli operatori indicavano il livello
di stress lavorativo su una scala da 1 a 10. Circa 1/3 dei lavoratori ha risposto fornendo il punteggio
massimo, per una media generale pari a 7,9. I disturbi prevalenti segnalati sono stati stanchezza,
irritabilità, difficoltà del sonno e cefalea. Le cause principali dello stress sono state individuate dai
lavoratori nei tempi di risposta troppo stringenti, nella mancanza di un addestramento adeguato,
nello stretto controllo da parte del management, nella pressione del management sulla gestione delle
chiamate, nella mancanza di discrezionalità e autonomia nella gestione del lavoro. Circa un 1/3 dei
lavoratori ha, inoltre, dichiarato di aver fruito, nell’ultimo anno, di almeno due settimane di malattia
per uno o più disturbi da stress. Su quest’ultimo aspetto si è concentrata una ricerca condotta in 64
call center britannici. L’indagine ha preso in considerazione l’incidenza delle assenze per malattia
sul totale dei giorni lavorativi e le principali cause di queste malattie. Le assenze sono risultate
essere il 6,4%, a fronte di un dato medio nazionale del 4%. I sintomi psicofisici da stress lavoro
correlato sono posizionati rispettivamente al terzo e al quarto posto. Lo studio sulle condizioni di
lavoro nei call center più significativo è stato condotto dall’Health and Safety Laboratory
dell’Università di Sheffield. L’indagine ha preso in esame un campione di 1141 lavoratori di 36 call
center britannici differenti, costituito per il 74% da donne, con un età media di 34 anni e che lavora
nel call center da almeno 3 anni. Lo stress lavorativo è stato indagato attraverso la misurazione di 3
parametri:

-il benessere lavorativo

-la soddisfazione lavorativa

-il disagio mentale.

Il lavoro inglese ha cercato, inoltre, di mettere in luce se la situazione di stress accomuni


indistintamente tutti gli operatori di call center. Un primo fattore di differenziazione è legato alle
dimensioni del call center:gli operatori dei call center più piccoli tendono ad avvertire meno sintomi
di ansietà, depressione e tensione mentale rispetto a quelli di dimensioni medie e grandi. Un altro
fattore, seppur solo debolmente discriminante è risultato legato alla modalità di lavoro: i lavoratori
outbound evidenziano meno sintomi di stress e livelli più alti di soddisfazione. Inoltre, gli operatori
che risultano costantemente monitorati registrano livelli di stress più elevati rispetto a chi viene
controllato solo occasionalmente. Infine, chi ha uno script fisso da seguire nel lavoro ha manifestato
sintomi di malessere e una minore soddisfazione rispetto a chi può esperire una maggiore
discrezionalità nella gestione della chiamata. Uno studio condotto dalla Asl città di Milano su un
campione di 695 lavoratori di 10 call center, ha indagato lo stress lavoro- correlato, privilegiando i
disturbi della sfera psichica. Dall’indagine è emerso che il 94,4% dei lavoratori lamenta almeno un
disturbo. Molte delle ricerche italiane sono state poi condotte per iniziativa dell’Asl e dei
rappresentanti della sicurezza dei lavoratori all’interno di singoli call center che presentavano
particolari rischi per la salute. Tra gli elementi di criticità più spesso segnalati:

-sul piano ambientale: sovraffollamento, rumore, microclima, illuminazione;

-sul piano dell’organizzazione del lavoro: costrittività dei tempi e dei ritmi di lavoro;

-sul piano fisico-psicologico: preoccupante incidenza del tabagismo e dell’uso di psicofarmaci.

2. Prospettiva e disegno di ricerca

2.1. Gli obiettivi dell’indagine


2.2. La qualità della vita lavorativa nei call center: un concetto emergente

2.2.1. Origini e definizione del concetto

La qualità della vita lavorativa può essere definita come la misura in cui i lavoratori avvertono che
la situazione lavorativa soddisfa una serie di loro bisogni personali connessi a motivazione,
benessere psicofisico e soddisfazione.

2.2.2. La multidimensionalità del concetto di qualità della vita lavorativa

-La qualità delle condizioni di lavoro: comprende tutti quegli aspetti delle condizioni di lavoro che
possono essere concepite come graduabili e riferibili univocamente al soddisfacimento di un
bisogno del lavoratore. Può essere a sua volta scomposta nella qualità delle condizioni d’impiego
più direttamente legate ai vincoli contrattuali e nella qualità delle condizioni organizzative.

-La qualità dell’ambiente fisico-relazionale: ambiente di lavoro considerato nelle sue componenti
ergonomiche, tecnologiche e relazionali.

-Il disagio lavorativo: concetto multidimensionale, rapportabile all’insieme dei rischi fisici, socio-
psicologici e di frustrazione del proprio sistema di aspettative legati alle condizioni di lavoro.

Gli aspetti del benessere/disagio lavorativo indagati sono stati i seguenti:

1. soddisfazione lavorativa; 2. stress lavoro-correlato; 3. alienazione.

2.3. Il modello di analisi: causazione multilivello della qualità della vita lavorativa

Oltre ad analizzare le connessioni tra i diversi aspetti che compongono la qualità della vita degli
operatori dei call center, l’indagine realizzata ha esplorato le loro relazioni con una specie di
proprietà indipendenti, inerenti a due diversi livelli di analisi:

-livello macro: i modelli e le pratiche di tipo organizzativo del call center entro il quale si è
inseriti(proprietà contestuali);

-livello micro: il sistema di vincoli e risorse professionali ed extra-lavorative individuali in cui è


immerso l’operatore telefonico(proprietà individuali).

L’ipotesi guida è che la qualità della vita lavorativa dipenda congiuntamente dalla qualità del
lavoro. I modelli e le pratiche organizzative sono stati ricostruiti, in ciascuno dei 21 call center
inclusi nel campione, nelle loro componenti strutturali. La qualità della vita lavorativa è in ipotesi
condizionata anche da una serie di variabili riferibili ai vincoli e alle risorse individuali di tipo
professionale. L’indagine ha controllato anche quali relazioni sussistessero tra la qualità della vita
lavorativa e la dimensione della vita sociale degli operatori esterna all’ambito più strettamente
occupazionale, nella consapevolezza dell’inestricabile intreccio tra vita di lavoro e vita privata. Si è
esplorato quali influenze il lavoro

avesse sulla progettualità esistenziale degli operatori di call center. Di specifico interesse è stato
analizzare come la qualità della vita lavorativa e l’insieme delle proprietà individuali incidessero
sulle prospettive e i progetti lavorativi degli operatori.

2.4. Il piano di campionamento


La ricerca è stata realizzata in 4 province italiane:

-Milano per il nord

-Roma per il centro

-Cosenza per il sud

-Catania per le isole.

Per la selezione del campione d’indagine si è proceduto attraverso una tecnica di campionamento
multistadio, che prevede stadi di campionamento diversi, in cui di volta in volta cambia l’unità di
campionamento. Al primo stadio si è proceduto a selezionare i call center secondo un criterio di
scelta ragionata e al secondo stadio gli operatori che avrebbero compilato il questionario d’indagine.
Per identificare i call center da includere nel campione ci si è avvalsi del riferimento congiunto a 5
proprietà che la letteratura segnala come fra le più rilevanti per differenziare le condizioni di lavoro,
e sono:

-la collocazione territoriale

-l’ampiezza della struttura

-la mission

-il tipo di compiti di richiesti

-collocazione rispetto all’azienda.

2.5. La progettazione degli strumenti di rilevazione

La nostra indagine vuole invece ricostruire come gli operatori percepiscano e valutino diversamente
le condizioni di lavoro nei call center in funzione di una serie di proprietà che pertengono alla
struttura presso la quale prestano la propria attività.

2.5.1. Il questionario

Gli operatori sono stati sottoposti a un questionario autocompilato, articolato in 56 domande.

Il ritiro è stato organizzato mediante appositi bussolotti capaci di preservare la privacy dei soggetti.

2.5.2. La scheda di contesto: i modelli e le pratiche di tipo organizzativo

Le aree problematiche in cui è stata articolata la scheda sono le seguenti:

- caratteristiche generali del call center;

- ruolo della committenza;

- requisiti e canali di accesso al lavoro nel call center;

- condizioni contrattuali e modalità lavorative applicate ai lavoratori;


- pratiche di formazione e aggiornamento;

- ruoli organizzativi;

- turnover aziendale;

- sicurezza sul posto di lavoro e misure di prevenzione dei rischi per la salute;

- obbiettivi e standard di efficienza/produttività

- misure di controllo;

- sistema di incentivi e sanzioni connesso alla produttività;

- modalità di gestione del lavoro (turni e pause);

- misure di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro degli operatori.

La scheda è stata compilata mediante intervista faccia a faccia, sottoposta a responsabili di call
center o a uno o più responsabili sindacali.

2.6. Gli approfondimenti qualitativi

L’indagine si è avvalsa di un approccio integrato nel senso di aver utilizzato strategie di ricerca che
coniugassero un livello macro e micro di analisi, sia nel senso di adottare, secondo un ordine
sequenziale, tecniche di rilevazione standardizzate (approccio quantitativo) e non standardizzate
(approccio qualitativo).

3. Il profilo socio-strutturale del campione

3.1. Le variabili contestuali

Il campione si divide pressoché uguali tra operatori che lavorano in call center generlisti (51%) e
dedicati (49%).

3.2. Le variabili individuali: la collocazione socio-culturale

Passando alla caratterizzazione del campione in ordine alle variabili individuali, il 70% è costituito
da donne. Dato che rappresenta strettamente le caratteristiche dell’universo nazionale dei call
center, dove si riscontra una netta prevalenza femminile.

L’età media degli operatori coinvolti nell’indagine è di 32 anni. Si tratta di un’età relativamente
elevata, il che costituisce un primo indizio di come per molti il lavoro nel call center non sia un
lavoro temporaneo, ma rappresenti un’attività svolta stabilmente, come emergerà più avanti
analizzando l’anzianità di servizio. In particolare, se il 21% ha un’età compresa tra 31 e 25 anni,
ben il 29% ha più di 35 anni.

Per quanto riguarda le strategie di reclutamento nei call center, invece, privilegiano i giovani, in
virtù della loro maggiore disponibilità al lavoro flessibile, della loro maggiore dimestichezza con le
nuove tecnologie e dei tempi di apprendimento relativamente più brevi. Da qui la percentuale del
28% di operatori con meno di 26 anni e del 22% di lavoratori con età compresa tra i 26 e i 30 anni.
I lavoratori nei call center hanno titoli di studio medio-alti, gli operatori con titolo di studio inferiore
al diploma (5%). La maggior parte del campione ha conseguito il diploma di scuola superiore
(52%), ma è rilevante la percentuale dei laureati, che costituiscono un quarto degli intervistati, un
18% di lavoratori è invece iscritto all’università.

In considerazione anche della giovane età, la maggior parte degli intervistati è nubile/celibe (57,7%,
di cui circa un terzo non ha un partner), solo il 6,2% è convivente, mentre i soggetti coniugati, per
lo più donne, rappresentano il 30,3% del campione e il restante 5,8% è costituito da
separati/divorsiati o vedovi. Il 28% del campione ha già avuto almeno un figlio.

3.3. Le variabili individuali: la collocazione all’interno del call center

Analizzando le variabili più connesse all’inquadramento degli operatori all’interno dei call center,
emerge un 29% di casi che vi lavora da meno di un anno e del 18% che presta il proprio servizio da
un tempo compreso tra un anno e due, un quarto del campione presta il proprio servizio da più di
sette anni, tra quattro e sette anni il 12% e tra due e quattro anni il 18%.

Si conferma dunque che per una cospicua quota del campione quello all’interno del call center non
è un lavoro transitorio.

Con riferimento alle modalità di erogazione del servizio, il traffico in entrata prevale su quello in
uscita (57% di operatori inbound vs. 32% outbound). Vi è poi un 11% che svolge a rotazione servizi
inbound e outbound.

Capitolo quarto: La qualità delle condizioni di lavoro

1. La qualità delle condizioni di impiego

Il call center era appropriatamente considerato simbolo di flessibilità e di precarietà lavorativa, ma


con il passare del tempo, in misura progressivamente crescente, sta assumendo consistenza nell’area
dell’impiago stabile.

Metà degli operatori del campione inquadrati con contratto a tempo indeterminato (50,9%).

I lavoratori con contratto a termine rappresentano il 24% del campione. Nel restante 25,1% rientra
una varietà di rapporti cosiddetti atipici, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di contratti a
progetto.

Roma è quella in cui più frequentemente gli operatori sonon inquadrati conn contratto a tempo
indeterminato (61%), Catania più delle alte si avvale di contratti a tempo determinato (31,1%),
Cosenza e Milano più frequentemente a collaborazioni occasionali (rispettivamente 43,9% e
38,9%).

I lavoratori a tempo indeterminato sono prevalentemente impiegati nei servizi inbound.

Al contrario i servizi outbound si avvalgono massicciamente di operatori inquadrati con contratti di


lavoro temporanei (80%), con una netta predilezione per i rapporti di collaborazione atipici (64%)

Tra i call center che presentano una maggiore quota di lavoratori stabili figurano quelli dedicati
(54,8% vs. 48% dei generalisti), di grandi dimensioni (59,2 vs. 36% dei call center di media
ampiezza) e che hanno sede presso l’azienda madre (60% insourcing vs. 49% outsourcing vs.
36,2% cosourcing).

Circa un quinto degli operatori con contratto a tempo indeterminato sente di aver trovato nel call
center una risposta soddisfacente alle proprie aspirazioni di realizzazione professionale (sostenitori
convinti).

Tra i lavoratori a termine e atipici invece si distinguono quelli in attesa di migliori condizioni di
lavoro o studenti opportunisti oppure più in generale, lavoratori di natura extra-lavorativa (realizzati
conciliati).

Un lavoratore a tempo indeterminato su quattro sta cercando attivamente un nuovo lavoro.

L’età media degli operatori impiegati con contratto a tempo indeterminato è di 33 anni.

Poco più di un operatore su cinque è stato inserito direttamente con un contratto a tempo
indeterminato. Il 31% ha invece acquisito un contratto stabile, a seguito di un primo ingresso da
lavoratore a termine. Tutti i lavoratori temporanei sono accomunati da una continuità in regime di
instabilità lavorativa che investe il 48,1% degli operatori intervistati.

Gli orari ridotti (short time) rappresentano la modalità meno diffusa (26,5%), mentre le quote di
lavoratori part-time, con un orario mediamente compreso tra le 5 e le 6 ore giornaliere (38%) e di
operatori con un impegno a tempo pieno (35%). Gli orari ridotti si concentrano tra i lavoratori
temporanei mentre quelli inquadrati a tempo indeterminato lavorano tendenzialmente più ore.

L’orario di lavoro non costituisce motivo di insoddisfazione all’interno dei call center.

Più della metà degli intervistati percepisce una retribuzione netta che non supera gli 800€ e solo un
quinto del campione supera la soglia dei 1000 euro. Si tratta di una retribuzione che si colloca molto
al di sotto de salario medio nazionale. Generalmente, i lavoratori con contratto a tempo determinato
e ancor più i collaboratori atipici guadagnano sensibilmente meno rispetto ai lavoratori a tempo
indeterminato.

Le retribuzioni risultano tendenzialmente migliori nella provincia di Roma, dove il 62% degli
operatori guadagna più di 800€, mentre nelle province di Cosenza e Milano, la stessa percentuale è
più bassa (31,2% per Cosenza e 37,1% per Milano). Catania assume invece una distribuzione dei
salari molto prossima a quella del campione complessivo. Nei call center generalisti si viene pagati
meno che nei call center dedicati, dove il 30% degli operatori percepisce più di 1000€ (a fonte del
9% dei generalisti). Tra i call center dedicati sono quelli di pubblica utilità a offrire le retribuzioni
mediamente più elevate.

Nei call center in modalità insourcing quasi la metà degli operatori guadagna più di 1000€.

Nei call center in outsourcing la povertà dei salari è determinata dal maggior numero di lavoratori
cui viene applicato il contratto a progetto.

Prevalentemente gli operatori ricevono uno stipendio fisso (60%), ma c’è anche chi viene pagato in
relazione al numero di ore (20,7%) o al numero dei contatti telefonici andati a buon fine (5%) e c’è
infine una quota di lavoratori stipendiata con una modalità mista (14%).

Sono i call center di Roma e Catania a garantire più frequentemente uno stipendio fisso.
I call center di pubblica utilità si confermano in grado di assicurare migliori condizioni retributive,
tanto che nel 72% dei casi retribuiscono gli operatori con stipendio fisso. Il lavoro all’interno
dell’azienda che eroga il servizio (insourcing) configura anche sotto questo aspetto un
inquadramento contrattuale più garantista.

2. La qualità delle condizioni organizzative

In relazione ad aspetti significativi della cultura organizzativa, agli operatori è stato chiesto di
esprimere le proprie valutazioni, che in questo paragrafo saranno analizzate del punto di vista
descrittivo e in funzione di una serie di variabili contestuali discriminanti.

2.1. Autonomia nella gestione dei tempi di lavoro

Un primo aspetto particolarmente rilevante della vita lavorativa all’interno dei call center è il livello
di autonomia nella gestione del lavoro. Vari autori classici attraverso le loro riflessioni sociologiche
sottolineato come quello dei call center sia uno dei contesti organizzativi in cui al lavoratore è
lasciato un margine più basso di discrezionalità.

Il lavoro è fortemente irreggimentato entro sistemi omologanti che prevedono l’utilizzo di script
fissi da utilizzare nella gestione del rapporto con il cliente e la mancata possibilità di cambiare i
metodi di lavoro.

Il campione, in realtà, evidenzia sotto questo profilo le situazioni in cui viene riconosciuta
un’elevata autonomia agli operatori e quelle in cui il livello di discrezionalità concesso dall’azienda
in relazione ai vari aspetti indagati risulta decisamente basso. Questo già contribuisce a tratteggiare
un quadro diversificato delle condizioni di lavoro nei call center. Oltre all’impossibilità diffusa di
modulare la propria presenza nel call center in modo conforme alle proprie esigenze, elementi di
criticità si hanno anche con riferimento alla gestione autonoma dei ritmi di lavoro.

A livello strutturale, l’autonomia dipende fortemente dalle dimensioni del call center. Nei call
center più piccoli, considerando il numero limitato di lavoratori, è probabilmente più facile gestire
l’organizzazione del lavoro, garantendo una maggiore partecipazione degli operatori alla gestione
dei turni, degli orari e dei ritmi di lavoro.

Nelle province del Sud, caratterizzate da una minore competitività della forza lavoro, ai lavoratori
viene riconosciuto un livello più basso di autonomia nella gestione dei tempi di lavoro.

Gli operatori che lavorano in call center in houseavrebbero dovuto presentare condizioni di lavoro
relativamente migliori e emerge che il loro livello di autonomia è generalmente più contenuto
rispetto ai lavoratori in outsourcing.

In particolare sono i call center dedicati commerciali, che generalmente lavorano in insourcing, a
evidenziare i livelli più bassi di autonomia per i propri lavoratori.

Altra variabile strutturale che incide significativamente sul livello di autonomia è la modalità di
lavoro. La gestione delle chiamate in uscita (outbound) risulta garantire un livello di autonomia più
alto rispetto alla modalità inbound.

Nel lavoro inbound c’è la necessità di dover smaltire le code di chiamate in entrata, con una
conseguente minore possibilità di gestire autonomamente i ritmi di lavoro.
2.2. Pressione lavorativa

E’ stato valutato anche il livello di pressione cui sono esposti gli operatori.

La pressione sui lavoratori si esercit per lo più attraverso le misure di controllo delle performance.
Nei call center è infatti generalmente previsto un monitoraggio elettronico che consente al
supervisor di sapere in tempo reale il numero e il tipo di chiamate, la lunghezza della
comunicazione, la frequenza delle pause, i tempi di attesa dei clienti, il numero di chiamate perse e
trasferite. Ai controlli elettronici si aggiungono poi i controlli di “qualità” diretti, svolti in sala dal
supervisor e/o dai team leader.

In poco più della metà del campione prevale la sensazione di un significativo livello di pressione
lavorativa.

Il livello di pressione risulta essere maggiore nei call center commerciali, dove la mission è volta
alla ricerca di un profitto, sottopone gli operatori a stringenti forma di controllo e a ritmi di lavoro
più serrati. Se circa il 55% degli operatori dei call center commerciali avverte un livello di pressione
alto/medio-alto, solo il 40% degli operatori dei call center sociali si attesta sullo stesso livello di
criticità.

La pressione è fortemente legata all’intensità con cui il modello organizzativo prevede che gli
operatori subiscano conseguenze negative per il mancato rispetto degli standard di
efficienza/produttività di volta in volta fissati.

Tab.

Lo smistamento automatico delle telefonate, senza tempi di attesa tra una chiamata e l’altra, con
frequenti solleciti dei responsabili alla chiusura delle chiamate, induce i lavoratori inbound a
segnalare un grado di pressione maggiore.

Per i soli lavoratori inbound, un aspetto che incide significativamente sul livello di pressione è
anche la frequenza delle pause di lavoro.

2.3. La valutazione delle forme di controllo

Il primo capitolo ha esposto la moltitudine di ricerche che hanno riscontrato un’associazione tra
esposizione a forme di controllo elettroniche e dirette delle prestazioni lavorative e l’insorgenza di
manifestazioni di disagio lavorativo.

Tuttavia esistono studi che mettono in evidenza risultati opposti.

Rendendo necessario chiedere il parere agli operatori stessi nel modo più oggettivo possibile per
evitare che le risposte degli operatori avessero necessariamente una valenza negativa. Essi infatti
potevano rispondere con il loro accordo o disaccordo.

Dai risultati si può sorprendentemente notare che le risposte da parte degli operatori siano state per
lo più a valenza positiva: la forma di controllo stessa, presente quotidianamente nella vita degli
operatori, è stata interiorizzata e approvata sia sotto forma di screening informativi, sia sotto forma
di supervisione diretta.

Risultati:
• 57% forma di controllo come guida orientativa nel lavoro • 52% forma di controllo come modo
per sollecitare la produttività • 43% forma di controllo come incoraggiamento della cooperazione

D’altra parte sono relativamente alte anche le percentuali di coloro i quali considerano tali forme di
controllo in maniera negativa.

Risultati:

• 43% forma di controllo vista come fonte di disagio • 43% forma di controllo vista come ostilità
nei confronti dei superiori • 36% forma di controllo vista come competizione tra colleghi • 28%
forma di controllo vista come intralcio nella conduzione del proprio lavoro

Possiamo dire che nel complesso con le informazioni ottenute il 40% associa alle forme di controllo
delle performance attributi negativi, l’11% attributi ambivalenti e il 49% positivi.

L’obbiettivo del monitoraggio delle performance è quello di stabilire il rendimento individuale o dei
team di lavoro.

Sono i call center più grandi a privare gli operatori della possibilità di mantenere un controllo
autonomo sulla propria attività, al contrario in quelli più piccoli risultano avere una forma meno
invasiva e automatizzata.

I call center dedicati commerciali determinano una percezione delle forme di controllo più segnata
da attributi negativi.

Nei call center di pubblica utilità, dove i controlli sono meno pressanti e maggiormente volti a
migliorare la qualità del servizio, la percezione è decisamente più positiva.

2.4. Conciliabilità tra vita lavorativa e vita privata

E’ stato chiesto agli operatori di valutare tramite una scala Cantril, variabile da 1 a 10, in che misura
una serie di aspetti legati al lavoro favorissero la possibilità di conciliare tempi di vita con quelli di
lavoro. L’unico aspetto considerato carente dalla generalità degli intervistati è la disponibilità di
servizi e opportunità come gli asili nido aziendali e la job rotation. La valutazione media
complessiva è inferiore 5 (insufficiente), per il 36% degli intervistati, è sufficiente per il 33% del
campione ed è buona per il 31% degli operatori.

La valutazione insufficiente si associa maggiormente ai call center di grandi dimensioni,


contribuendo ad avallare ancor di più l’ipotesi per cui al loro interno vi sarebbero una minore
attenzione al benessere dei lavoratori.

I call center di pubblica utilità risultano garantire un maggior livello di conciliabilità mentre quelli
dedicati commerciali si confermano anche in questo caso meno propensi a soddisfare i bisogni dei
lavoratori.

La provincia di Catania, si conferma essere tra tutte la meno sensibile alle esigenze dei lavoratori,
mentre in questo caso Cosenza si differenzia, ed è dopo Milano, la provincia che garantisce un
maggior grado di conciliabilità tra vita lavorativa e vita privata ai propri operatori.

2.5. La valorizzazione dell’attività svolta


Una dimensione di lavoro sottoposta alla valutazione degli operatori è la valorizzazione da parte
dell’organizzazione dell’attività svolta, attraverso l’espressione del grado di accordo con una serie
di affermazioni. Otteniamo che per di più della metà degli operatori (57,7%) il livello di
valorizzazione è insufficiente. Tuttavia non si evidenziano discriminanti forti tra i diversi tipi di call
center. Emerge una discriminante con riferimento all’unità territoriale: gli operatori di

Roma e Milano lamentano più degli altri condizioni di lavoro scarsamente gratificanti. Mentre sono
i lavoratori di Cosenza a beneficiare di un maggiore grado di valorizzazione dell’attività svolta.

3. Analisi integrata della qualità delle condizioni di lavoro: la relazione inversa fra garanzie
contrattuali e benessere organizzativo

Capitolo quinto: La qualità dell’ambiente fisico-relazionale

Per valutare la qualità della vita lavorativa degli operatori telefonici, assume un ruolo fondamentale
delineare come viene configurato l’ambiente entro il quale prende forma l’attività lavorativa nei call
center. L’ambiente lavorativo assume una configurazione di qualità variabile in funzione di una
serie di aspetti che rinviano da un lato alla morfologia degli spazi e a componenti di natura
ergonomica (ambiente fisico) e dall’altro a elementi che pertengono allo spazio relazionale che si
sviluppa in senso verticale (relazioni con i superiori) e orizzontale (relazione con i colleghi di
lavoro).

1. La qualità dell’ambiente fisico

La qualità dell’ambiente fisico e tecnologico è stata rilevata chiedendo agli intervistati di valutare,
su una scala Cantril da 1 a 10, una serie di aspetti riferibili agli spazi fisici, alle condizioni
ambientali e alle tecnologie utilizzate. Gli operatori apprezzano soprattutto quegli aspetti
dell’ambiente lavorativo legati alla tecnologia in uso e ai mezzi utilizzati per le chiamate; sono
invece giudicati ancora insufficienti gli aspetti legati alla qualità degli spazi fisici e delle condizioni
del luogo di lavoro, a eccezione dell’illuminazione e dell’ampiezza dei locali che invece superano la
sufficienza. Nel campione il livello medio calcolato sull’indice complessivo è pari a 5,6, il che
mette in luce nell’ambiente dei call center italiani, come l’attenzione prestata all’ambiente di lavoro
sia ancora piuttosto carente. Circa il 42% del campione fornisce, valutazioni che connotano
l’ambiente di lavoro in modo completamente negativo. Il 20% degli operatori ha valutato con
giudizio di eccellenza il proprio ambiente lavorativo.

Ricorrendo alla valutazione per livelli, si nota come la qualità dell’ambiente fisico sia considerata
insoddisfacente dalla meta del campione, mentre quella dell’ambiente tecnologico solo dal 34,5%
degli operatori.

1.1. I modelli organizzativi

1.2. Le pratiche organizzative

1.3. L’inquadramento degli operatori all’interno della struttura

2. La qualità dell’ambiente relazionale

L’organizzazione lavorativa di un call center si struttura in un complesso intreccio di figure


professionali organizzate secondo un modello piramidale, alla cui base si collocano gli operatori
telefonici. Poco al di sopra si posizionano i supervisori o team leader. Al livello successivo
troviamo figure manageriali. Al vertice della piramide troviamo il direttore generale.

2.1. La qualità delle relazioni con i superiori

Nella valutazione della qualità dell’ambiente da un punto di vista relazionale, un’importanza


specifica è rivestita da tutti quegli aspetti capaci di caratterizzare quale forma assumano le relazioni
che gli operatori stabiliscono con i ruoli gerarchici superiori. Per quanto la connotazione positiva
delle relazioni con i ruoli gerarchici prevalga (58%), è opportuno evidenziare che, la quota di
operatori che si dichiarano totalmente insoddisfatti sia quasi doppia rispetto a quella dei pienamente
soddisfatti. La percezione dell’attenzione prestata alle esigenze dei lavoratori diventa un elemento
di decisiva importanza per valutare la qualità delle relazioni verticali.

E’ stato valutato il livello di attenzione dei superiori al benessere dei lavoratori, nella percezione
degli operatori: i risultati di ciò rimandano una percezione tendenzialmente positiva dell’attenzione
mostrata dalla dirigenza; tuttavia, la percentuale degli operatori che lamenta un disinteresse intorno
al 40%.

Il 60% che condivide l’affermazione secondo cui i superiori hanno come unica priorità quella di
raggiungere risultati a qualunque costo. La soddisfazione delle relazioni verticali non risulta
dipendere affatto dalla retribuzione percepita dagli operatori; è precisamente l’impegno del
management a costruire il benessere organizzativo, discriminante in base alla quale i lavoratori

valutano i propri superiori.

2.1.1. I modelli organizzativi

Nei call center dedicati a servizi di pubblica utilità vi è una più diffusa tendenza a riconoscere al
management la qualità di stimolare la partecipazione e il benessere dei lavoratori.

Il rapporto con i superiori risulta essere influenzato anche dalla dimensione del call center: il 63,4%
degli operatori dei call center di medie dimensioni considera medio alta/alta l’attenzione dei
superiori al loro benessere, contro il 47% di quelli dei call center di grandi dimensioni.

2.1.2. Le pratiche organizzative

2.1.3. Variabili individuali e di inquadramento degli operatori all’interno della struttura

Il clima relazionale non dipende solo da elementi della cultura organizzativa e dai comportamenti
della dirigenza ma anche dalle caratteristiche individuali dei singoli operatori e dal loro
inquadramento all’interno delle strutture.

Il genere risulta avere una funzione discriminante: risulta infatti sovra rappresentata la percentuale
di donne che percepisce come soddisfacente il livello di attenzione dei superiori per il proprio
benessere (55% vs 44% degli uomini) mostrando una migliore capacità di adattamento delle donne
alle condizioni di lavoro nei call center. Come per la qualità dell’ambiente fisico anche per quanto
riguarda le relazioni con i superiori, le valutazioni tendono a peggiorare all’aumentare dell’anzianità
di servizio.

Sono proprio quei lavoratori che hanno fatto dell’operatore di call center una professione a lungo
termine (compiuti i 5 anni di attività) a lamentare più diffusamente una scarsa attenzione alle loro
esigenze. Un ulteriore conferma di come una maggiore permanenza nel call center incida
negativamente sull’ambiente relazionale, è data dal fatto che nei call center con un turnover basso,
aumenta la percentuale di lavoratori scontenti dei rapporti con i superiori (51%), rispetto a dove il
turnover è più alto (40%). Sono i lavoratori con contratto stabile a esprimere le maggiori riserve: il
54,9%

degli operatori con contratto a tempo indeterminato considera bassa o medio bassa l’attenzione dei
superiori contro il 41% dei collaboratori a progetto e il 37% dei lavoratori con contratto a tempo
determinato. Il risultato può essere interpretato in parte facendo riferimento al fatto che i lavoratori
con contratto a tempo indeterminato sono in genere quelli con una maggiore anzianità di servizio.

2.1.4. Aspetti legati alla qualità delle condizioni organizzative

La qualità delle relazioni con i superiori aumenta laddove le condizioni organizzative del lavoro
sono orientate a conferire agli operatori maggiori possibilità di gestire autonomamente i tempi di
lavoro e a sollevarli da forme di eccessiva pressione lavorativa.

Tendenzialmente, i lavoratori che considerano positivamente il ruolo svolto dalle misure di


controllo, ripongono più fiducia nei superiori. Il giudizio sui propri superiori è fortemente connesso
al livello di attenzione che la dirigenza è in grado di garantire nei confronti delle esigenze di
flessibilità dei tempi di lavoro. Dove il livello di conciliabilità lavoro- vita privata è considerato
soddisfacente, il 72% degli operatori valuta positivamente anche la cura prestata dalla dirigenza al
benessere dei dipendenti.

2.2. La qualità delle relazioni con i colleghi

L’ambiente relazionale è composto, oltre che dal rapporto verticale con i superiori, anche da quello
orizzontale dai colleghi. Dall’analisi emerge come la maggior parte delle relazioni che si instaurano
nei call center sia prevalentemente di tipo lavorativo: il 47% ritiene di avere un rapporto
superficiale con la maggior parte o tutti i colleghi. Nei rapporti lavorativi non si evidenziano
particolari situazioni di tensione o difficoltà: tuttavia le interazioni lavorative non denotano un
clima di particolare collaborazione e solidarietà.

2.2.1. I modelli organizzativi

La situazione migliore, come era emerso per le relazioni con i superiori, si conferma a Cosenza, ove
solo poco più di un sesto del campione considera insufficiente la qualità delle relazioni tra pari,
mentre a esprimere la stessa valutazione sono il 20% degli operatori intervistati a Catania, il 23,8%
di quelli milanesi e il 25,8% dei romani. Nei call center di pubblica utilità, dove erano migliori le
relazioni con i superiori, sono migliori anche quelle fra gli operatori.

2.2.2. Pratiche organizzative

2.2.3. Variabili di inquadramento degli operatori all’interno della struttura

All’aumentare dell’anzianità di servizio si fanno sentire maggiormente gli effetti negativi di un


lavoro stressante e monotono e questo influenza negativamente l’intero clima e quindi anche le
relazioni coi colleghi. La qualità del rapporto coi colleghi risente anche della durata dell’orario di
lavoro. Gli operatori che lavorano più di 30 ore settimanali indicano una qualità delle relazioni più
bassa rispetto a chi lavora meno ore.
2.2.4. Aspetti legati alla qualità delle condizioni organizzative

Anche l livello di autonomia concesso agli operatori nella gestione dei tempi di lavoro e il livello di
pressione esercitata su di essi incidono sulla qualità delle relazioni tra colleghi. Influenza
positivamente tali relazioni la capacità, da parte dell’azienda, di riconoscere e valorizzare il lavoro
svolto dagli operatori. La qualità dell’ambiente di lavoro non influenza positivamente solo le
relazioni coi superiori ma anche l’intero clima organizzativo, e quindi anche le relazioni tra
colleghi.

3. Analisi integrata dell’ambiente fisico-relazionale

Capitolo settimo:Stress lavoro-correlato: fattori di rischio per la salute psicofisica

Obbiettivo di questo capitolo è registrare il livello di stress lavoro-correlato percepito dagli


operatori del call center e proporre una topografia dei fattori che facilitano una condizione di scarso
adattamento dei soggetti rispetto alle richieste del lavoro.

Nell’economia della ricerca, sono state messe a punto due barriere di item allo stesso scopo di
rilevare l’entità dello strain degli intervistati. La prima è tesa alla registrazione di uno scarso
adattamento dell’operatore nei termini di una sofferenza emotiva e cognitiva rispetto alle
caratteristiche del lavoro(stress psichico). La seconda si concentra, invece, sugli effetti più
propriamente fisici che la pressione lavorativa può determinare nell’organismo(stress fisico).

Al fine di registrare la risposta sono state utilizzate sia una scala di frequenza assoluta che relativa.

1.Stress psichico

Il concetto di stress psichico descrive una sofferenza emotiva e cognitiva sperimentata


dall’intervistato in relazione allo svolgimento del proprio lavoro. Il 32% degli operatori afferma di
avere, almeno una volta a settimana, le idee confuse e la testa pesante a fine giornata e il 15% soffre
di tale disturbo ogni giorno. Ritroviamo, tra l’altro, alti livelli di stanchezza. Alta percentuale è
presente anche tra coloro che affermano di sentirsi “vuoti” a fine giornata.

Ciò nonostante, gli elementi stressogeni del call center non risultano avere ricadute incisive sulla
vita degli operatori al di fuori del lavoro. Solo il 12% dichiara di sentirsi, almeno una volta a
settimana, facilmente irritabile fuori dal lavoro e il 16% di sentirsi poco disponibili a comunicare
con gli altri a fine giornata.

Possiamo, invece, osservare come lo stress costituisca un elemento caratterizzante nella vita
professionale di più della metà dei soggetti coinvolti dalla ricerca(57%). A una prima analisi, lo
strain risulta associato alla mission del call center a cui afferiscono gli operatori. Bassi livelli di
stress sono, infatti., più rappresentati fra quanti lavorano in aziende che propongono servizi di
pubblica utilità; viceversa, un livello più alto contraddistingue coloro che lavorano nei call center
commerciali.

Possiamo, inoltre notare, come il livello di stress psichico dipenda anche dal numero di pause a
disposizione degli operatori. Altrettanto influente è la presenza di sanzioni per il mancato
allineamento agli obbiettivi di produttività aziendale, determinanti per descrivere la pressione
lavorativa che incide sul benessere degli operatori. Oltretutto, è interessante notare come risultino
maggiormente stressati gli operatori sottoposti a valutazioni sui risultati complessivi
del proprio team di lavoro: probabilmente, ciò deriva dalla frustrazione del dover rispondere degli
errori e dell’inefficienza degli altri membri.

Altrettanto importante è sottolineare che un’anzianità di servizio prolungata contribuisce a


determinare un disagio maggiore; allo stesso tempo, più aumenta l’orario di lavoro settimanale,
maggiore è la probabilità di sperimentare livelli di strain elevati. Non si riscontrano, invece,
differenze significative mettendo a confronto operatori che offrono servizi inbound rispetto a quelli
outbound.

Inoltre, minori livelli di stress contraddistinguono gli operatori con contratti a tempo determinato e
soprattutto progetto. La stabilità contrattuale, sembra, infatti, associata generalmente a tutti gli
indicatori di disagio lavorativo. Possiamo, quindi, notare come l’autonomia professionale
costituisca una condizione capace di rendere maggiormente sopportabile l’esposizione a ritmi di
lavoro serrati e a frequenti controlli delle prestazioni. A tal proposito, proprio la pervasività delle
forme di controllo, mirata esclusivamente alla standardizzazione delle procedure e ad accrescere i
profitti, è uno dei fattori più influenti nell’attivazione dello stress psichico. Di fatto, quanto più il
monitoraggio delle performance è rappresentato come elemento penalizzante nello svolgimento
delle proprio mansioni, tanto più aumento lo strain percepito. Gli operatori che riconoscono un
livello insufficiente di conciliabilità esperiscono più frequentemente uno stress psichico elevato.
Inoltre, possiamo constatare come una consistente percentuale di intervistati che valutano
negativamente il proprio ambiente fisico di lavoro manifestano intensi sintomi di stress.

2. Stress fisico

Analizzando i dati raccolti si può evidenziare come il dato più preoccupante riguardi l’altissima
percentuale degli operatori che soffrono di disturbi alla vista(11% tutti i giorni; 32% almeno una
volta a settimana)e di dolori muscolo- scheletrici (12% tutti i giorni; 29% almeno una volta a
settimana). Si hanno, inoltre, operatori che affermano di soffrire di disturbi del sonno (6% tutti i
giorni; 20% almeno una volta a settimana), dolori articolari(8% tutti i giorni; 17% almeno una volta
a settimana) e disturbi vocali (5% tutti i giorni; 18% almeno una volta a settimana).

Lo strain fisico abbraccia la metà del campione evidenziando una diffusione leggermente inferiore
rispetto alla controparte psichica. E’ a Catania che si registra il livello più alto di strain, seguita da
Roma. A Cosenza invece gli operatori riportano il più basso livello di stress. I tipi di azienda
maggiormente esposti a rischio stress sono quelli di grandi dimensioni, insourcing e commerciali.

L’insorgenza di malessere fisico è collegata a lavorare in ambienti poco confortevoli, con una
scarsa qualità delle tecnologie in uso. Infine possiamo affermare che i lavoratori outbound risultano
essere maggiormente esposti a rischio stress.

3. Conclusioni

Appendice qualitativa: le voci degli operatori: resoconti riflessivi della vita nei call center

1. Lo studio pilota: le interviste in profondità

2. Gli approfondimenti qualitativi: l’intervista sull’intervista

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