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Lezione 12 di Malattie Infettive

Data: 02/05/2017
Prof. Colomba
Sbobinatore: Arianna Scarantino
Controsbobinatore: Alessandra Guarino
Argomenti trattati: HIV e AIDS

HIV
L'infezione da HIV presenta delle problematiche relative alla riattivazione di infezioni nel soggetto
immunodepresso: abbiamo visto, ad esempio, come si possa verificare la riattivazione del
toxoplasma con l'insorgenza di un quadro cerebrale (neurotoxoplasmosi), o anche delle infezioni
herpetiche e cosi via. La causa è relativa alla mancata sterilizzazione del serbatoio umano.
A rappresentare la condizione di compromissione per eccellenza del sistema immunitario è l'AIDS
(sindrome da immunodeficienza acquisita).
L'agente eziologico è il virus dell'HIV, un retrovirus facente parte del genere dei lentivirus, per il
quale esistono due sierotipi: il sierotipo HIV-1 (epidemiologicamente confinato in Europa ed Asia)
e il sierotipo HIV-2 (prevalente in Africa equatoriale).
L'origine è antica: sembrerebbe essere passato dall'animale e, in particolare dalla scimmia, all'uomo
in seguito a contatti stretti di quest'ultimo con l'animale. Si parla, quindi, di salto di specie.
Il passaggio è avvenuto in Camerun intorno al 1920 quando il primo caso di infezione umana
avvenne da parte di una variante di un virus dell'immunodeficienza delle scimmie. E da qui, da
uomo ad uomo.
Nel tempo, i ricercatori hanno documentato l'esistenza di 13 diversi episodi in cui un virus dell'
immunodeficienza delle scimmie ha fatto il salto di specie e ha infettato l'uomo. Solo il virus
dell'HIV-1 di gruppo M, però, è riuscito a diffondersi e a causare, nei primi anni '80, un'epidemia
nell'uomo.
I ceppi dell'HIV possono essere classificati in 4 gruppi:
• i maggiori, i gruppi M
• gruppo N
• gruppo O
• gruppo P

I quattro gruppi possono rappresentare quattro condizioni separate perchè hanno quattro origini
diverse dal virus della scimmia.
Riassumendo: è un virus che originariamente era proprio dell'animale (scimmia) che per contatti
stretti, nei primi del '900, in Camerun, ha fatto un salto di specie ed è passato all'uomo. Si sono poi
selezionati quelli più capaci di diffondersi da uomo a uomo e causare delle epidemie nell'ambito
della popolazione umana.

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DATI EPIDEMIOLOGICI
Il numero, al 2014, di adulti e bambini con infezione da HIV nel mondo è pari a 37 milioni di
soggetti.
I nuovi infettati nel solo 2014 sono stati 2 milioni.
Adulti e bambini deceduti per il trapasso dall'HIV all'AIDS sono stati 1,2 milioni.
In Italia il numero totale dei casi di AIDS, dall'inizio dell'epidemia alla fine del 2013, sono stati più
di 66 mila.
I morti, dall'inizio dell'epidemia alla fine del 2011, sono stati 42 mila.

TRASMISSIONE
Dal punto di vista epidemiologico, viene trasmessa sostanzialmente per via ematica e sessuale. Nel
triennio 2010-2013, il numero delle nuove diagnosi di infezione da HIV divise per modalità di
trasmissione vede al primo posto l'MSM (modalità di trasmissione omosessuale: maschi
omosessuali) e la tendenza è crescente rispetto agli altri.
La principale categoria a rischio è, quindi, quella degli omosessuali, seguita dalla categoria
eterosessuale. Poi vi sono altre categorie.
La trasmissione negli omosessuali deriva dalle modalità di rapporto che si stabiliscono tra questi
soggetti, rispetto ai rapporti eterosessuali.

La caratteristica unica di questo virus, che comporta una catastrofe per il sistema immunitario
quando entra nell'organismo umano, è quella di avere come bersaglio proprio le cellule del sistema
immunitario.

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Mentre per le altre malattie infettive abbiamo assistito, a seguito di un processo infettivo, a una
risposta immune (umorale e cellulare) che in qualche modo comportava un contenimento
dell'infezione e una storia naturale con un'espressività clinica che poteva essere più o meno grave,
ma che alla fine si concludeva con la guarigione, qua è inesorabile la cronicità dell'infezione.
Ciò si verifica perché sono proprio le cellule del sistema immunitario, ed in particolar modo i
linfociti T, quelle colpite dal virus. Questi vengono, progressivamente, depauperati dal punto di
vista numerico e funzionale, per cui non può esserci un'adeguata risposta immune al virus.
La cronicizzazione dell'infezione è, dunque, una costante e l'evoluzione verso la morte, se non
diagnosticata e adeguatamente trattata, è inesorabile perché il virus, colpite le cellule del sistema
immunitario, le distruggerà tutte e quindi favorirà l'instaurarsi di tutti quei processi infettivi fino ad
ora visti e citati, portando a morte il soggetto.

Fondamentale risulta quindi:


- una diagnosi precoce dell'infezione;
- una terapia precoce che possa contenere la replicazione del virus.
Ad oggi non si guarisce dall'infezione, intesa come eliminazione del virus, proprio perché il sistema
immune viene infettato per sempre.

PATOGENESI
Il virus dell'HIV ha come principale bersaglio il linfocita T CD4+. La molecola CD4 è quindi il
principale recettore del virus. Il virus si lega, tramite le sue glicoproteine di superficie, cioè le
glicoproteine gp41 e gp120, al CD4, interagendo comunque con altri due co-recettori: il CCR5 e
CXCR4. Grazie a questi legami aderisce alla cellula bersaglio e poi penetra all'interno di essa per
fusione con la membrana cellulare.
È da ricordare il recettore principale e i corecettori, più o meno distribuiti in maniera differente a
seconda delle cellule target: il virus infetta, infatti, le cellule CD4+, ma anche le cellule monocito-
macrofagiche, le cellule dendritiche e, a livello neurologico, le cellule gliali.
Il CCR5 è usato da varianti del virus dette macrofago-trope.
Il CXCR4 è usato dalle varianti di HIV dette linfocito-trope.
Quindi il ruolo di questi corecettori è importante perché: per i ceppi virali con tropismo per i
macrofagi, si verifica il legame con il recettore CCR5, mentre i linfocito-tropi legheranno il
recettore CXCR4.
Alla fine legandosi alla superficie cellulare, il virus fonde l'envelope virale con la membrana
cellulare, penetra e rilascia all'interno del citoplasma cellulare il core virale.

Il virus penetra nel linfocita T CD4+ che sarà, a questo punto, infettato dal virus e si verifica:
• l'integrazione del genoma virale nel genoma cellulare
• la produzione di nuove particelle virali che esplicheranno la loro azione citopatica su altre cellule

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È fondamentale sapere che il genoma virale si integra con quello della cellula, ed è proprio questa
integrazione che fa si che ci saranno delle cellule (linfociti T) latentemente infettate per tutta la vita
che rappresenteranno il serbatoio principale del virus
Ruolo dei linfociti T CD4+ nella risposta immune:
- sono detti helper perché coordinano la risposta immunitaria
- attivano la risposta citotossica dei linfociti CD8+
- attivano la risposta anticorpale da parte dei linfociti B
- producono citochine infiammatorie immunomodulatrici
È importante partire da questi punti per capire perchè l'evoluzione, per la mancanza del trattamento
adeguato, è inesorabilmente cronica e porta a morte per la distruzione di questa componente
cellulare importante, protagonista della risposta immune, deputata all'attivazione sia della linea
cellulare che umorale e fondamentale per la difesa nei confronti di ogni agente infettivo.

MODALITA' DI TRASMISSIONE
La modalità di trasmissione è strettamente legata alla quantità di virus presente nei rispettivi liquidi
biologici che entrano in gioco nelle diverse modalità di trasmissione.
1. La concentrazione più alta del virus la ritroviamo a livello ematico, per cui l'infezione da HIV si
trasmette principalmente per via ematica. Una categoria a rischio è rappresentata, quindi, dai
tossico dipendenti che fanno uso di siringhe o di altro materiale contaminato.
2. Il virus si trova a livello delle secrezioni sessuali: un po' più in quelle seminali maschili che in
quelle vaginali. Questo spiega perché la trasmissione per via sessuale è un'altra modalità.
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Le due modalità (ematica e seminale) risultano correlate, perché le micro-lesioni che si possono
avere durante i rapporti sessuali possono determinare una commistione di sangue che favorisce un
contagio per queste vie.
3. Il virus è presente anche nel liquido amniotico e questo implica la trasmissibilità da madre a
figlio per via verticale.
4. Nella saliva il virus è teoricamente presente, ma la carica è troppo bassa per essere un veicolo di
trasmissione da soggetto a soggetto.
Poichè, come già detto, il rischio di trasmissione è legato alla concentrazione del virus presente in
questi liquidi corporei, un soggetto con infezione da HIV non trattato avrà una carica virale nel
sangue molto alta e quindi il rischio di contrarre l'infezione, a seguito di punture accidentali o con
rapporti non protetti con questo soggetto, è altissimo. Il soggetto con infezione da HIV nota e
sottoposto a terapia antiretrovirale, invece, avrà una carica virale molto bassa o addirittura abbattuta
a livello del circolo ematico e quindi un rischio di trasmettere l'infezione molto basso o pari a zero.
Lo stesso si verifica per il rischio di trasmissione dalla madre gravida al feto: la madre gravida in
terapia antiretrovirale avrà una carica virale azzerata, quindi il neonato ha un'ottima probabilità di
non contrarre l'infezione pur nascendo da madre infetta da HIV.
In relazione al rischio di trasmissione verticale il virus è presente, oltre che nel liquido amniotico,
anche nel latte materno, dove c'è un'alta concentrazione del virus. Il bambino può infettarsi:
• durante la gravidanza, per passaggio per via placentare del virus
• durante il parto (epoca perinatale), perché c'è perdita di sangue materno, un'esposizione alle
secrezioni vaginali interne e quindi il rischio è più alto. Per tale ragione, in maniera assoluta, c'è
l'obbligo di effettuare il parto cesareo nella donna con infezione da HIV
• epoca post natale, a seguito dell'allattamento al seno, soprattutto nei paesi più poveri dove non è
possibile pensare ad un'alternativa all'allattamento naturale
Non tutti i bambini che nascono da madri siero positive contraggono il virus. La probabilità è più
alta per le donne che allattano.
L'allattamento al seno:
• determina l'aumento del 14% del rischio di trasmissione dell'HIV nel neonato
• è assolutamente controindicato nei paesi industrializzati, nei quali la disponibilità e la sicurezza
del latte artificiale superano i vantaggi dell'allattamento materno
• nei paesi in via di sviluppo, dove non esistono alternative sicure al latte materno, la mortalità
legata all'infezione post natale da HIV è notevolmente più alta

Il virus dell'HIV distrugge i linfociti T CD4+: ciò comporta un'immunodeficienza che crea la
possibilità che si possano manifestare malattie opportunistiche.
Il passaggio dall'infezione alla malattia (cioè dall'infezione da HIV all'AIDS) è contrassegnato
dall'instaurarsi di infezioni opportunistiche. Il soggetto con infezione da HIV, infatti, morirà per
complicanze infettive sostenute da agenti opportunisti, ovvero normali saprofiti, commensali, agenti
con scarsa patogenicità, ma che, approfittando del deficit del sistema immunitario nel soggetto con
infezione da HIV, sono responsabili di malattie letali.

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L'AIDS è, quindi, il prototipo di malattia infettiva in cui è facile distinguere il concetto di infezione
da quello di malattia. Ci sarà un momento, contrassegnato dal declino del sistema immunitario
(basato sulla conta dei linfociti CD4+) e da una velocità replicativa del virus molto elevata, che
rappresenta il momento soglia di passaggio dalla condizione di infezione alla condizione di
malattia.
Questo significa che il soggetto con infezione da HIV nota andrà seguito dal medico nel tempo con
un monitoraggio:
• clinico, per osservare l'insorgenza di queste infezioni opportunistiche
• di laboratorio, ovvero la conta dei CD4
• la carica virale
Sono questi i tre parametri (clinico, CD4 e carica virale) con cui si segue il paziente con infezione
da HIV.
L'osservazione si ripete ogni 3 mesi con dosaggio dei CD4 per vedere se la terapia, somministrata
dopo aver fatto la diagnosi, riesce a contenere l'infezione virale. La conta dei CD4 è l'espressione,
sostanzialmente, dell'attività del virus.
In generale, con l'inizio della terapia antiretrovirale la carica virale (quantità di virus presente nel
sangue) nell'arco di 6 mesi si azzera.
Esempio: Un paziente che al momento zero è HIV positivo (presenta il virus nel sangue) ed inizia la
terapia, dopo 6 mesi non solo non avrà più virus rintracciabile nel sangue, ma avrà i CD4 in
risalita.

I CD4, quando si è in una fase di competenza immunitaria, sono abbondantemente sopra il numero
di 200/mmc. I valori normali di CD4+ nell'immunocompetente è circa 1000/mmc. A seguito
dell'infezione da HIV nel tempo (ascissa) i linfociti CD4+ si riducono e scendono.

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Dal punto di vista clinico, quando si mantengono tra gli 800 e i 500/mmc, il soggetto è nella fase
asintomatica, perchè i linfociti sono ancora numericamente in grado di far fronte alle infezioni. Via
via che si verifica la riduzione numerica dei CD4+, perché la malattia va avanti negli anni e non
viene trattata, iniziano a comparire i sintomi. Il cut-off che adottiamo è di circa 200/mmc.
Vi è, però, una notevole variabilità individuale: ci sono soggetti che restano asintomatici con 150
CD4+ e soggetti che mostrano i primi segni di malattia con 300 CD4+. Questo perché, accanto a una
riduzione numerica dei CD4+ c'è anche un'alterazione funzionale degli stessi. Quindi magari
numericamente i CD4+ sono accettabili ma non funzionano bene come lo stesso numero in un
soggetto che non ha l'infezione da HIV, perché sono cellule infettate e alterano la loro funzione di
difesa.
Quando il numero scende al di sotto di questo valore soglia si passa nella fase sintomatica della
malattia, o fase di AIDS.

La storia naturale dell'infezione da HIV attraversa diverse fasi:


1. fase di infezione acuta
2. infezione asintomatica (latenza clinica)
3. comparsa della sintomatologia (infezione sintomatica)
4. AIDS (immunodeficienza acquisita)
Dal momento in cui ci si infetta, ci sarà la progressione attraverso queste fasi.
Ipotizziamo che il contagio si verifichi tramite la via sessuale uomo-donna: il virus penetrato si lega
ai linfociti T CD4+ o alla cellula dendritica legando il CD4 e il corecettore (il virus trasmesso è
spesso la variante macrofago-tropa, che lega il CCR5). Entro pochi giorni raggiunge i linfonodi
regionali, diffonde ai tessuti più profondi e instaura una viremia in una decina di giorni dal
momento dell'infezione. È questa la fase di maggiore contagiosità per via sessuale in cui la carica
virale e plasmatica è maggiore di 100 mila copie.

La sequenza di eventi include:


1. superamento della barriera mucosale vaginale
2. interazione del virus con la cellula ospite che porta all'infezione del linfocita T e quindi alla
disseminazione sistemica del virus a tutti gli organi linfoidi.
3. induzione della risposta immuno-specifica a partire dai linfociti T CD8+ e con conseguenti
anticorpi che tentano di controllare la viremia.

Segue, quindi, la risposta anticorpale che però non è sufficiente a neutralizzare il virus.
La viremia si riduce a seguito della risposta immune cellulare da parte dei linfociti T citotossici,
raggiungendo un livello che resta più o meno stabile, anche senza terapia, per parecchi anni, con
delle variabilità da soggetto a soggetto fondamentalmente legate all'assetto genetico, che condiziona
l'efficacia della risposta immune nei confronti del virus.

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Soggetti con una forte risposta citotossica raggiungono più bassi livelli viremici già a 6-12 mesi e
hanno una progressione più lenta della malattia.
Riassumendo: La dinamica virale vede un ingresso incontrollato nell'ospite vergine dal punto di
vista immunologico, con alte cariche nel sangue e l'attivazione di una risposta immune cellulo
mediata e anticorpale (insufficiente). Vi è poi una fase di equilibrio tra virus e ospite che dura per
anni anche senza terapie, dove il numero di anni è diverso da soggetto a soggetto per un aspetto
genetico, considerando comunque che l'infezione non può essere debellata. Poi avremo il declino
della risposta immunitaria e la comparsa della malattia.

I n

Ascissa: i giorni successivi all'acquisizione del virus


In ordinata: la carica virale
Dopo le prime settimane avremo un picco (in rosso) che indica la viremia, la conta dei CD4+ inizia
a declinare e i CD8+ invece aumentano.

INFEZIONE ACUTA DA HIV (o sindrome retrovirale acuta o infezione primaria da HIV)


È il quadro clinico che compare dopo 1-2 settimane dopo il contagio con il virus.
Supponendo che vi sia stato un rapporto a rischio, dopo una settimana circa compare la
sintomatologia caratterizzata in genere da sintomi e segni più o meno frequenti.
L'infezione acuta è caratterizzata da un quadro simil-mononucleosico, che si esaurisce da solo,
senza alcuna terapia.
Dopo 10 giorni dall'avvenuto contagio avremo:
• (piu del 50% dei casi)

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- febbre
- astenia
- rush, in genere maculo papuloso
- mialgia
- cefalea
• (nel 20-50% dei casi)
- faringite, ma non è quella della mononucleosi
- linfoadenopatia cervicale o sistemica
- artralgie
• (meno del 5%)
- ulcere orali
- meningite (un'infezione acuta da HIV può esordire così', ma raro)

Quindi questa sintomatologia caratterizza l'infezione acuta da HIV e si manifesta dopo 1-2
settimane dall'avvenuta infezione.
Quando il virus penetra, replica incontrastato, il sistema immunitario lo riconosce e inizia ad
attivarsi ma c'è questa sintomatologia, legata proprio alla replicazione del virus.
L'infezione acuta si caratterizza, quindi, per una viremia massiva che si accompagna a una
disseminazione del virus a carico di tutti gli organi: dal sistema nervoso al sistema linfatico e così
via. È una fase quindi, quella acuta, con un quadro clinico dato dal coinvolgimento multiorgano.

REPERTI FISICI
Possiamo vedere ulcere mucosali a livello genitale o a livello orale.
In questo caso, la lesione è più aftosa che essudativa, per cui è una sindrome simil-mononucleosica,
ma si distingue dalla mononucleosi perché la faringite essudativa pseudomembranosa caratteristica
della mononucleosi è assente nell'infezione acuta da HIV.
L'esantema non dà molte informazioni: è di tipo maculo papuloso, simile al morbillo o da
mononucleosi trattata con β-lattamine.
Il rush macuolo-papuloso roseoliforme o roseo morbilliforme, colpisce il volto, il collo, il tronco in
misura maggiore rispetto agli arti, anche se le superfici palmo plantari possono essere coinvolte.
Le lesioni individuali sono generalmente più piccole di 1 cm e raramente confluiscono.
Invece nel morbillo avevamo parlato di un esantema confluente, a carta geografica, con colorito più
rosso. Quindi sarebbe più corretto etichettarlo come roseoliforme, ma gli elementi cutanei sono più
grandi rispetto alla rosolia e sicuramente rispetto alla scarlattina.
È un esantema che, se riscontriamo in un soggetto giovane, dobbiamo contestualizzare.

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Viene riportato un caso della professoressa:
Arriva dal PS, di notte, durante il periodo di epidemia del morbillo, un pz con febbre, esantema
morbilliforme, occhi rossi e sofferente. È stata consigliata una sierologia per morbillo. L'anamnesi,
poiché notturna e calata in un contesto di epidemia di morbillo, era comunque stata abbastanza
rapida.
Dopo 6 mesi si ripresenta con zoster disseminato.
Quello che si era verificato nei 6 mesi prima era la fase acuta dell'infezione da HIV. Al secondo
incontro, viene accompagnato dal compagno, chiarendo ancor di più il quadro.
Da quanto detto, entra in diagnosi differenziale, in primis, col virus di Epstein-Barr.
L'infezione primaria si risolve nel momento in cui il sistema immune monta una risposta specifica,
quindi avremo una risposta cellulo-mediata seguita da quella umorale. Si passa alla seconda fase
della storia naturale della malattia: periodo asintomatico (detto anche latenza clinica).

PERIODO ASINTOMATICO (o LATENZA CLINICA)


Dopo questa prima fase sintomatica, avremo la caduta dei CD4+ e l'attivazione della risposta
immune. Si crea un equilibrio per cui si esaurisce la fase sintomatica, il soggetto sta bene, non saprà
di essere infetto per cui non prenderà nessuna misura di precauzione nei rapporti che ha con altri
soggetti e in tale fase di latenza, di apparente benessere, contagia altri soggetti.
L'infezione primaria si risolve con questa risposta immune dell'ospite, di tipo anticorpale, che in
genere inizia a comparire dopo 3-4 settimane dall'infezione, anche se tale risposta cambia nei
tempi da soggetto a soggetto: vi sarà chi produce anticorpi anti-HIV precocemente e, facendo un

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test, sarà HIV positivo già a 3 settimane; vi saranno poi “produttori lenti” che sviluppano una
risposta anticorpale dopo 6 mesi.
Ad esempio, quando si fa un councelling in un soggetto che ha una storia di rapporto sessuale a
rischio, è importante comunicare che si può fare il test per l'HIV. Se, tuttavia, questo dovesse
risultare negativo, non assicura al 100% che l'infezione non sia stata contratta, perché è possibile
che la risposta anticorpale si sviluppi dopo più tempo.
Si ripeterà il test fino a 6 mesi dal rapporto a rischio, perché questo è il margine di tempo, seppur
molto ampio, che si adotta per escludere che il soggetto sia infetto.
Definiamo quindi il periodo finestra: dall'infezione alla comparsa degli anticorpi trascorre un
periodo di tempo variabile da soggetto a soggetto, durante il quale il soggetto, pur essendo infetto,
non ha ancora prodotto gli anticorpi anti-HIV e quindi non è determinabile dal punto di vista
sierologico.

Interpretando il grafico:
Dopo 2 settimane abbiamo la sindrome acuta da HIV, che dura 2 settimane e poi declina (va dalla
2° alla 4° settimana complessivamente).
Nella fase acuta non ci sono gli anticorpi (ELISA negativo) ma il virus è presente nel sangue.
Infatti, se facessimo una PCR su sangue per cercare HIV, lo troveremmo già dalla seconda
settimana.
La sindrome acuta guarisce spontaneamente dopo 2 settimane e la viremia cala, ma comunque la
PCR sarà positiva nella fase asintomatica che si verifica dopo la sindrome retro-virale acuta.
Il p24 è la determinazione dell'antigene (non viene data molta importanza dalla professoressa).
Quindi la PCR ci permette di vedere precocemente la presenza del virus e resta positiva per tutta la
fase asintomatica o latenza clinica.
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Gli anticorpi compaiono in media a 4 settimane e restano positivi per tutta la vita.
Possiamo definire, quindi, periodo finestra il periodo di tempo (da A a B nel grafico) che va dal
momento dell'infezione alla comparsa degli anticorpi. È il momento in cui il soggetto è
sieronegativo ma comunque ha l'infezione da HIV e si documenta con positività della PCR, che
evidenzia una carica virale alta, sostenuta, che progressivamente si riduce grazie alla risposta
anticorpale che inizia a comparire.
N.B: Nonostante si era detto che gli anticorpi vengono ricercati fino a 6 mesi dopo il possibile
contagio, viene scelto 4 settimane come cut-off perchè rappresenta la media.
Quello dei 6 mesi è un caso raro ed estremo ma potrebbe comunque verificarsi.

Riassumendo:

Questo grafico rappresenta la storia naturale dell'infezione da HIV: ci si infetta e dopo inizia
l'infezione primaria con un declino dei CD4 da valori normali di circa 1000/mmc.
Le cellule CD4 scendono e la concentrazione del virus aumenta. Si verifica la disseminazione del
virus a tutti gli organi linfatici.
Poi si verifica un recupero immunologico, qui rappresentato dalla forbice, dal distacco, tra i CD4 e
la carica virale.
Nella fase della latenza clinica il virus viene contenuto, ma progressivamente il sistema
immunitario declina fino alla discesa oltre il cut-off, quando si verifica un'inversione, nuovamente,
tra carica virale e CD4.
Quando i CD4 scendono al di sotto di quella soglia, si manifestano le infezioni opportunistiche. La
soglia delineata è essenziale per mantenere uno stato di apparente benessere e asintomaticità del
quadro.

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Questo si verifica fino al decesso, quando la replicazione è stata tale da aver distrutto ogni riserva
immune e il soggetto è fortemente immunodepresso.
Fase acuta:
- 7/10 giorni, raramente per più di 2 settimane;
- può presentarsi in forma severa, anche se raramente (forme come la meningite si presentano in
percentuali basse);
- talora presenza di candidiasi orale o esofagea;
- raramente un'infezione opportunistica si manifesta in questa fase retrovirale acuta, perché tale
fase è legata all'attività patogena del virus e non ancora all'immunosoppressione, perché siamo
ancora nella fase in cui entra il virus e il soggetto è ancora immunocompetente. Il virus inizia a
distruggere le cellule del sistema immunitario ma principalmente il danno è dato dal virus: il rush
è da duplicazione virale, non legato ancora al declino della risposta immunitaria.
La fase sintomatica:
Dall'infezione alla comparsa dei sintomi passano in media 8-10 anni.
La latenza clinica è la fase in cui il soggetto, infettatosi e superata la fase retrovirale acuta, ospita
il virus che continua a replicare nei principali serbatoi linfatici dell'organismo, essendo quelle le
cellule bersaglio. Distrugge le cellule determinando, dal punto di vista clinico, il passaggio dalla
fase asintomatica alla malattia (AIDS).

La fase di latenza clinica va evolvendo verso l'AIDS, passando da:


Stage I: fase asintomatica vera e propria
Stage II: sintomi minori
Stage III: sintomi moderati
Stage IV: AIDS
Ovviamente non si passa dal benessere assoluto alla neurotoxoplasmosi (per indicare una delle
possibili riattivazioni). Nella storia naturale c'è un declino lento della conta dei CD4 con
progressivo declino delle condizioni generali e comparsa di sintomi minori, poi maggiori e alla fine
il quadro dell'immunodeficienza, dominato da infezioni da opportunisti.
Nella fase asintomatica vediamo la discesa dei CD4 a 6 settimane; la carica virale subito aumenta.
Si instaurano risposte immuni (CD8) che riducono la carica virale, ma poi c'è la fase di latenza
clinica in cui, anche se non ci sono sintomi, o ci sono sintomi minori o moderati, i CD4 vanno
scendendo e la carica virale progressivamente aumenta. Nella fase di malattia conclamata i CD4
sono veramente bassi e la carica virale sale.

Il WHO ha identificato gli stadi clinici della malattia:


• Stage I: l'infezione può essere asintomatica, per esempio troviamo un numero di CD4 pari a
500-600/mmc. Non c'è nessun sintomo ma il soggetto è infetto perché il virus continua a
replicare.

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• Stage II (sintomi minori): si può verificare una linfoadenopatia generalizzata persistente. Il
soggetto con infezione da HIV ha avuto la sindrome simil mononucleosica non diagnosticata che
si risolve. Apparentemente sta bene e, dopo anni, presenta linfoadenopatia un po' a tutte le
stazioni. I linfonodi rimangono aumentati di volume. Se non c'è il sospetto clinico e non viene
eseguito nessun esame, può passare inosservata. Se non diagnosticata e trattata passa allo stadio
successivo.
Nello stage II avremo un modesto calo ponderale, infezioni respiratorie ricorrenti, tonsilliti,
sinusiti, otiti, ecc..
Oppure possono iniziare le prime riattivazioni di virus latenti, come lo Zooster. Questo è
importante per esempio in età giovane. Quindi bisogna chiedersi se il soggetto è a rischio HIV.
Oltre a ciò, possiamo trovare anche ulcere orali ricorrenti, rush, dermatite seborroica, infezioni
fungine e onicomicosi.
• Stage III: è il terzo step di quella che abbiamo definito fase asintomatica (anche se, come e
evidente osservando meglio, non lo è). Avremo calo ponderale, diarrea cronica, febbre persistente,
candidiasi orale che caratterizza le fasi di latenza clinica avanzata perché relativa a un saprofita
presente a livello mucosale, leucoplachia orale, tubercolosi polmonare.
In tale fase ancora i CD4 non sono sotto i 200/mmc, ma comunque vanno declinando e iniziano a
comparire le patologie.
• Stage IV: AIDS

Nella classificazione WHO, i soggetti vengono divisi, mettendo in relazione la conte dei CD4 con la
clinica, in:
• A1: conta di CD4+ > 500/mmc, il soggetto è asintomatico o PGL (linfoadenopatia generalizzata
persistente);
• A2: CD4+ tra 200 e 500/mmc, il soggetto è asintomatico o PGL;
• A3: CD4+ < 200/mmc;

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AIDS
La fase dell'AIDS inizia quando l'individuo manifesta un'infezione da opportunista.
Un soggetto con l'AIDS è, quindi, un soggetto con HIV (sieropositivo per HIV), che presenta una
tra le seguenti malattie che definiscono la sindrome da immunodeficienza:

Un soggetto con HIV che si presenta dimagrito o che presenta lo Zoster, non può essere definito
come un soggetto con AIDS.
Si notifica un caso di AIDS in relazione a una definizione ben circostanziata: soggetto con infezione
da HIV e una di questa patologie.
(La professoressa non legge la slide, sottolineando però che queste patologie si ritrovano in
qualunque libro di testo).
Sono patologie opportunistiche o neoplastiche che si instaurano in un soggetto con un declino dei
CD4+ e depauperano il sistema immunitario.
Le infezioni opportunistiche, o comunque quelle che caratterizzano la fase più avanzata della
latenza clinica, incidono in maniera maggiore via via che i CD4+ si abbassano
Ad esempio:
• Le infezioni banali batteriche cutanee saranno più frequenti già con 600 CD4+.
• Lo zoster lo si può manifestare già nello stage II.
• Via via che i CD4 scendono avremo: la tubercolosi, la candidiasi orofaringea, il sarcoma di
Kaposi e così via.

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• La pneumocistosi polmonare (infezione da Pneumocistis jiroveci) si verifica solo nel soggetto
fortemente immunodepresso, solo nel soggetto che ha meno di 200 CD4.
Se si presenta un soggetto con HIV con polmonite, il quale sta facendo terapia antiretrovirale ed è
noto che ha 600 CD4 perché la terapia funziona, non ci orienteremo verso la polmonite da
pneumocistis, tipica del soggetto fortemente immunodepresso.
Se invece è un caso di nuova diagnosi con 2-5 CD4 (si arriva infatti a questi livelli bassissimi
quando la diagnosi è tardiva), allora l'orientamento sarà per polmonite da pneumocistis, ma anche
da CMV o altro.

Quindi la conta dei CD4 ci orienta dal punto di vista diagnostico.


Penseremo cioè all'una o all'altra patologia in relazione al grado di immunocompromissione.
La neurotoxoplasmosi, per esempio, si manifesterà nei soggetti fortemente immunodepressi.
Un soggetto che si presenta all'osservazione con infezione da HIV trattata, con 600 CD4, con
febbre, cefalea e segni meningei, è più probabile presenti una meningite batterica rispetto ad una
meningite criptococcica, perché questa è un'infezione opportunistica con ruolo patogeno solo nei
soggetti con declino immunologico importante.

DIAGNOSI DI LABORATORIO
Test di screening: test sierologici come l'ELISA. Sono altamente sensibili e richiedono una
conferma con test più specifici.
Test di biologia molecolare: documentano la presenza del genoma virale in un liquido biologico o
nel sangue. Sono qualitativi (dicono se c'è o non c'è il virus) e quantitativi (quanto virus trovo).
Gli anticorpi anti-HIV, se un soggetto si reca in un qualsiasi ambulatorio, verranno cercati tramite
ELISA. Questo è un test molto sensibile: non si può rischiare che il soggetto con infezione sfugga

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alla diagnosi, ma non è specifico al 100%. Ci sono, infatti, delle condizioni che possono indurre
false positività.
Per questo un test di screening positivo va sempre confermato con un immuno-blotting (Western
blot) che, in quanto specifico, conferma o nega la diagnosi.
False positività infatti possono verificarsi per:
- malattie ematologiche
- malattie autoimmunitarie
- cirrosi epatica
Inoltre è possibile una falsa negatività nel periodo finestra.

Il western blot è il test di conferma più usato perché è il più specifico. Valuta gli anticorpi contro
antigeni specifici, in particolar modo contro gli antigeni virali quali gp41 e gp120.
Viene considerato positivo quando ci sono almeno due bande presenti tra p24, gp41 o gp120/160
(Viene sottolineato che non ci interessa nello specifico)
Da ricordare sicuramente è che il primo test è l'ELISA e il western blot è il test di conferma, perché
più specifico, conferma la positività e permette di evidenziare la presenza di anticorpi contro
antigeni del virus.
Se anche il western blot risulta dubbio o indeterminato va ripetuto.

EVOLUZIONE DELL'INFEZIONE (RIASSUNTO)


Questo grafico rappresenta la sintesi di quanto detto fino ad ora, cioè l'evoluzione dell'infezione da
HIV.

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Nella parte superiore vediamo la dinamica virologica, nella parte inferiore quella immunologica.
In fase acuta (primissime settimane), avremo viremie alte e poi si raggiunge un plateau che nel
tempo tende a salire nuovamente e impennare nelle fasi di AIDS conclamata.
Nella parte immunologica, avremo andamento esattamente opposto: la risposta anticorpale si
colloca alla 3-4 settimana e perdura per tutta la vita perché il soggetto resta HIV+ per tutta la vita.
Nelle fasi finali, invece, il sistema immunitario è totalmente distrutto e non sarà neanche in grado di
produrre gli anticorpi.
La biologia molecolare ci permette, tramite PCR, di cercare il virus e dosarlo. La quantità del virus
viene espressa come numero di copie di RNA di HIV per ml.
Nella pratica clinica tale test è indicato per stadiare l'infezione e monitorare la risposta alla malattia.
Nel paziente con HIV il monitoraggio consiste nel:
- monitoraggio numero CD4
- monitoraggio carica virale
- monitoraggio clinico
Il paziente va quindi seguito, si vede come sta, si valuta come i CD4 variano nel tempo e come
varia la carica virale.
Tale assetto è un ottimo marcatore del successo terapeutico: una terapia che funziona fa ritornare i
parametri in senso inverso rispetto a come si sono evoluti in seguito all'infezione e cioè i CD4
risaliranno e la carica virale si azzera.

TERAPIA
È detta terapia anti-retrovirale o terapia retrovirale altamente attiva (HAART). Viene fatta con
almeno 3 farmaci e ha modificato la storia naturale della malattia facendola divenire, da mortale,
cronica, come tante altre.
Se da un lato consente la sopravvivenza dei soggetti in cui l'infezione porterebbe a morte, dall'altro
porta inevitabilmente gli effetti collaterali dei farmaci perché vengono assunti per tutta la vita.
Per tale motivo, nel tempo, le linee guida sono cambiate in relazione al momento opportuno in cui
iniziare la terapia.
Inizialmente si pensava che fosse necessario aspettare un declino dei CD4 fino a 250/mmc prima di
iniziare la terapia. Ad oggi, invece, si cerca di iniziare il prima possibile a partire dalla diagnosi,
indipendentemente dalla conte dei CD4, per controllare la replicazione virale.
Il motivo del ritardare la terapia, in passato, era per ritardare gli effetti tossici della terapia.
L'eradicazione dell'infezione non può essere ottenuta con gli attuali farmaci perché la popolazione
dei CD4 con infezione latente si instaura al momento dell'infezione acuta e persiste per un tempo
indeterminato, nonostante la soppressione della carica virale.
La professoressa specifica che non sono state trattate in dettagli le infezioni opportunistiche
dell'HIV, quantomeno le maggiori. Probabilmente, verranno trattate nelle lezioni successive.

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