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LA TUTELA GIURISDIZIONALE

DEGLI INTERESSI COLLETTIVI


PUBBLICAZIONI DEL DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA «LA SAPIENZA»

1. LEOPOLDO TULLIO (a cura di), La nuova disciplina del trasporto aereo. Commento
della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999, 2006.
2. FABIO VECCHI, Gli accordi tra potestà civili ed autorità episcopali, 2006.
3. ANDREA LONGO, I valori costituzionali come categoria dogmatica. Problemi e ipo-
tesi, 2007.
4. BEATRICE SERRA, Arbitrium et aequitas nel diritto amministrativo canonico, 2007.
5. GIANLUCA BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana
tra storia costituzionale e prospettive europee, 2007.
6. LUIGI COLACINO CINNANTE, Pubblica amministrazione e trasformazioni dell’ordi-
namento, 2007.
7. G. CASSANDRO - A. LEONI - F. VECCHI (a cura di), Arturo Carlo Jemolo. Vita ed
opere di un italiano illustre. Un Professore dell’Università di Roma, 2007.
8. ROBERTA CALVANO (a cura di), Legalità costituzionale e mandato d’arresto europeo,
2007.
9. LAURA RONCHETTI, Il nomos infranto: globalizzazione e costituzioni. Del limite
come principio essenziale degli ordinamenti giuridici, 2007.
10. VINCENZO CERULLI IRELLI (a cura di), Il procedimento amministrativo, 2007.
11. FABIO FRANCESCHI, La condizione degli enti ecclesiastici in Italia nelle vicende
politico-giuridiche del XIX secolo, 2007.
12. SILVIA SEGNALINI, L’editto Carboniano, 2007.
13. VINCENZO MARINELLI, Studi sul diritto vivente. Prefazione di Augusto Cerri,
2008.
14. PAOLA COCO, L’imputazione del contributo concorsuale atipico, 2008.
15. MAURA GARCEA, I gruppi di società di persone, 2008.
16. FRANCO MODUGNO - PAOLO CARNEVALE (a cura di), Trasformazioni della funzione
legislativa. IV. Ancora in tema di fonti del diritto e rapporti Stato-Regione dopo la
riforma del Titolo V della Costituzione, 2008.
17. MARCO GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, 2008.
18. GIUSEPPE CRICENTI, I diritti sul corpo, 2008.
19. DONATELLA BOCCHESE, L’ipoteca sulla nave in costruzione, 2008.
20. ELEONORA RINALDI, Legge ed autonomia locale, 2008.
21. LUCIA GIZZI, Il getto pericoloso di cose, 2008.
22. GIANLUCA CIAMPA, Il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù,
2008.
23. ROMOLO DONZELLI, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, 2008.
ROMOLO DONZELLI

LA TUTELA GIURISDIZIONALE
DEGLI INTERESSI COLLETTIVI

JOVENE EDITORE
NAPOLI 2008
DIRITTI D’AUTORE RISERVATI

© Copyright 2008
ISBN 88-243-1778-2

JOVENE EDITORE S.P.A.


Via Mezzocannone 109
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pari a quanto previsto dall’art. 68, co. 4, L. 22 aprile 1941 n. 633.

Printed in Italy
Stampato in Italia
a papà
e
a Nicolò
Un sentito ringraziamento al Prof. Lucio Lanfranchi per gli inse-
gnamenti, il sostegno e l’esempio che mi ha regalato in questi anni.
INDICE

Premessa ........................................................................................................... p. XXI

CAPITOLO PRIMO
LE VICENDE GIURIDICHE DELL’INTERESSE COLLETTIVO
NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE:
DAL PERIODO TARDO-LIBERALE
ALL’ORDINAMENTO CORPORATIVO

1. Considerazioni introduttive: la tutela giurisdizionale degli interessi


sovraindividuali, un problema nuovo, ma non troppo............................ » 1
2. I primi casi di emersione in campo giuridico del concetto di interesse
collettivo a cavallo tra Ottocento e Novecento........................................ » 6
2.1. Uno sguardo preliminare al processo amministrativo ...................... » 6
2.1.1. Gli interessi collettivi in due progetti di riforma alle origini
del sistema italiano di giustizia amministrativa ....................... » 8
2.1.2. Il contributo al tema della tutela degli interessi collettivi da
parte dello studio avanzato da Emilio Bonaudi ...................... » 16
2.1.3. Le conclusioni di Bonaudi ....................................................... » 26
2.2. L’interesse collettivo nelle origini del diritto del lavoro nello Stato
tardo-liberale ....................................................................................... » 28
2.2.1. Le riflessioni di Giuseppe Messina sull’interesse da tute-
larsi in sede di concordato collettivo ....................................... » 28
2.2.2. La proiezione dell’interesse collettivo dei lavoratori all’in-
terno del processo: i progetti di riforma della «magistratura»
probivirale e l’affannoso tentativo di configurazione di con-
troversie collettive ..................................................................... » 35
2.2.2.1. Premesse: l’intervento di Lodovico Mortara.............. » 35
2.2.2.2. Il Questionario di Inchiesta per la riforma della
legge 15 giugno 1893................................................... » 38
2.2.2.3. Il progetto di riforma dei probiviri del 1909 ed il
contributo di Enrico Redenti...................................... » 47
3. L’interesse collettivo nell’esperienza giuridica del corporativismo ......... » 50
3.1. L’interesse collettivo: la pietra angolare per la costruzione del
nuovo apparato concettuale ............................................................... » 50
3.1.1. L’interesse collettivo nel pensiero di Widar Cesarini Sforza .. » 54
3.1.2. L’interesse collettivo nel pensiero di Francesco Carnelutti .... » 60
XII INDICE

3.2. La sentenza con efficacia collettiva nell’ordinamento corporativo... p. 67


3.2.1. La distinzione tra le controversie individuali e le controver-
sie collettive............................................................................... » 71
3.2.2. Il fondamento giuridico-formale sotteso alla legittimazione
esclusiva dell’associazione sindacale ........................................ » 74
4. Considerazioni conclusive ......................................................................... » 84

CAPITOLO SECONDO
LE VICENDE GIURIDICHE DELL’INTERESSE COLLETTIVO
NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE
SINO ALL’INIZIO DEGLI ANNI SETTANTA

1. Considerazioni introduttive....................................................................... » 89
2. L’interesse collettivo nella Costituzione repubblicana............................. » 90
3. «La Costituzione inattuata» e i rapporti tra interessi collettivi e dot-
trina............................................................................................................. » 98
4. La nozione di interesse collettivo nella dottrina giuslavorista post-co-
stituzionale.................................................................................................. » 101
4.1. La nozione di interesse collettivo secondo Francesco Santoro Pas-
sarelli.................................................................................................... » 101
4.2. L’interesse collettivo come «combinazione» o «sintesi» degli inte-
ressi individuali ................................................................................... » 106
5. Altri studi sulla nozione di interesse collettivo ........................................ » 111
6. Interessi collettivi e processo: il giudizio di repressione della concor-
renza sleale ................................................................................................. » 116
6.1. Corsi e ricorsi storici: la sentenza della Corte di cassazione n. 171
del 5 febbraio 1948 ............................................................................. » 119
6.2. Le diverse tesi sulla natura del giudizio di repressione della concor-
renza sleale ex art. 2598 c.c.: tesi «soggettive» e tesi «oggettive».... » 125
6.3. La natura dell’azione collettiva ex art. 2601 c.c. per le tesi «sog-
gettive» dell’illecito ............................................................................. » 128
6.4. La natura dell’azione collettiva ex art. 2601 c.c. per le tesi «ogget-
tive» dell’illecito .................................................................................. » 136
7. Considerazioni conclusive ......................................................................... » 138

CAPITOLO TERZO
LE VICENDE GIURIDICHE DELL’INTERESSE COLLETTIVO
DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI

1. Cornice generale ........................................................................................ » 142


1.1. Considerazioni introduttive ................................................................ » 142
1.2. Il quadro culturale di riferimento: la ri-scoperta della Costituzione » 146
1.3. L’evoluzione socio-economica e i conflitti di massa.......................... » 148
INDICE XIII

1.4. L’istanza di tutela degli interessi sovraindividuali come species del-


l’istanza partecipatoria ........................................................................ p. 151
2. Gli interessi sovraindividuali: le nozioni .................................................. » 158
2.1. Considerazioni introduttive ................................................................ » 158
2.2. La distinzione tra interessi collettivi e diffusi: la tesi monista, la tesi
dualista oggettiva, la tesi dualista soggettiva ..................................... » 162
2.3. La tesi monista e la tesi dualista oggettiva in particolare ................. » 168
2.4. L’analisi della posizione di Massimo Severo Giannini come stru-
mento di comprensione e re-inquadramento della dottrina dualista
soggettiva ............................................................................................. » 171
2.5. Precisazioni sul ruolo dell’ente rappresentativo all’interno della
dottrina (talora solo apparentemente) dualista soggettiva................ » 177
2.6. Considerazioni di sintesi sul dibattito dottrinale sulle diverse no-
zioni di interesse superindividuale ..................................................... » 182
3. La giuridicizzazione degli interessi sovraindividuali................................ » 185
3.1. I limiti dell’ordinamento giuridico..................................................... » 185
3.2. Le diversità strutturali intercorrenti tra il processo civile e il pro-
cesso amministrativo ........................................................................... » 190
3.3. La giuridicizzazione degli interessi sovraindividuali per coloro che
configurano i medesimi come insieme di più interessi individuali .. » 195
3.3.1. La configurazione sostanziale................................................... » 195
3.3.1.1. La tesi dominate: riconducibilità degli interessi (so-
vra-)individuali alle figure del diritto soggettivo o
dell’interesse legittimo................................................. » 195
3.3.1.2. La tesi minoritaria: non riconducibilità degli inte-
ressi (sovra-)individuali alle figure tradizionali del
diritto soggettivo o dell’interesse legittimo ................ » 210
3.3.2. L’individuazione dei legittimati ad agire: la legittimazione
individuale diffusa..................................................................... » 213
3.4. La giuridicizzazione degli interessi sovraindividuali per coloro che
configurano i medesimi come entità unitaria .................................... » 217
3.4.1. L’azione collettiva a legittimazione concentrata ...................... » 217
3.4.1.1. L’azione collettiva come rappresentanza ideologica
(la lettura innovativa della posizione giuridica del-
l’ente rappresentativo)................................................. » 221
3.4.1.2. L’azione collettiva come mera azione (la lettura pro-
cessualistica della posizione giuridica dell’ente rap-
presentativo) ................................................................ » 225
3.4.1.3. L’azione collettiva come mera conseguenza della ti-
tolarità di una situazione soggettiva sostanziale (la
lettura sostanzialistica della posizione dell’ente rap-
presentativo) ................................................................ » 228
3.4.1.3.1. Considerazioni generali............................... » 228
XIV INDICE

3.4.1.3.2. Ipotesi giurisprudenziale tipica: la giuri-


sprudenza amministrativa in materia di tu-
tela degli interessi collettivi in senso pro-
prio ............................................................... p. 229
3.4.1.4. L’azione collettiva e i diritti soggettivi collettivi ........ » 238
3.4.2. La legittimazione concentrata e la sua compatibilità con i
principi costituzionali ............................................................... » 244
4. Il trattamento processuale delle controversie collettive: in partico-
lare i limiti soggettivi del giudicato.................................................... » 246
4.1. Considerazioni introduttive ................................................................ » 246
4.2. I diversi orientamenti dottrinali ......................................................... » 248

CAPITOLO QUARTO
IL CONCETTO DI INTERESSE
E DI INTERESSE COLLETTIVO

1. Considerazioni introduttive: sintesi del percorso ricostruttivo ............... » 255


2. Precisazioni di metodo sull’impiego del concetto di interesse nello stu-
dio del diritto ............................................................................................. » 256
3. La nozione di interesse .............................................................................. » 259
4. L’attività di perseguimento dell’interesse.................................................. » 268
5. Le relazioni tra interessi ............................................................................ » 270
6. La nozione di interesse collettivo.............................................................. » 273
6.1. Premesse sulle due (apparentemente) possibili concezioni prin-
cipali..................................................................................................... » 273
6.2. L’origine dei concetti di interesse collettivo-sintesi e di interesse
collettivo-somma di interessi individuali ........................................... » 285
6.3. Precisazioni esplicative sul concetto di interesse collettivo-sintesi... » 290
7. L’interesse protetto dai rimedi giurisdizionali a tutela degli interessi
collettivi ...................................................................................................... » 297
8. Precisazioni sulla nozione di interesse diffuso, interesse generale ed
interesse pubblico ...................................................................................... » 302

CAPITOLO QUINTO
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE:
LA TECNICA DEL DIRITTO SOGGETTIVO

1. Considerazioni introduttive....................................................................... » 305


2. Esame critico delle diverse nozioni di diritto soggettivo......................... » 312
2.1. Considerazioni introduttive ................................................................ » 312
2.2. Il diritto soggettivo come potere della volontà: critica ..................... » 317
2.3. Il diritto soggettivo come posizione attiva di libertà ........................ » 322
2.3.1. I rapporti tra la possibilità di agire e l’obbligo nelle conce-
zioni del diritto soggettivo come posizione di libertà............. » 335
INDICE XV

2.3.2. Critica alla concezione del diritto soggettivo come posizione


di libertà .................................................................................... p. 343
2.3.2.1. Considerazioni introduttive ........................................ » 343
2.3.2.2. La distinzione tra libertà e diritto .............................. » 344
2.3.2.3. L’equivoco concetto di «libertà protetta» .................. » 351
2.4. Il diritto soggettivo come posizione di destinatarietà dell’obbligo o
come facoltà di pretendere ................................................................. » 357
2.5. Il diritto soggettivo nella prospettiva delle diverse tecniche di pro-
tezione giuridica degli interessi .......................................................... » 364
2.5.1. Il diritto soggettivo dall’«interesse giuridicamente protetto»
alla «protezione giuridica dell’interesse»................................. » 364
2.5.2. Il diritto soggettivo dalla «protezione giuridica dell’inte-
resse» a pura tecnica di tutela giuridica .................................. » 371
2.5.3. Quadro esemplificativo di sintesi di alcune possibili tecniche
di tutela giuridica degli interessi .............................................. » 377
2.5.4. Considerazioni conclusive ........................................................ » 381
2.5.4.1. Critica al concetto di soggettivazione del diritto ....... » 386
2.5.4.2. Inscindibilità della dimensione strutturale e funzio-
nale: il diritto soggettivo come interesse giuridica-
mente protetto mediante l’imposizione di obblighi
sostanziali ..................................................................... » 389

CAPITOLO SESTO
PROFILI GENERALI
DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
DEGLI INTERESSI COLLETTIVI

1. Considerazioni introduttive....................................................................... » 397


2. Gli interessi collettivi tutelabili innanzi la magistratura ordinaria
«sono» diritti soggettivi ............................................................................. » 398
3. Soluzione dei principali ostacoli alla ricostruzione degli interessi col-
lettivi in termini di diritti soggettivi.......................................................... » 400
4. La posizione dell’ente esponenziale.......................................................... » 407
5. I limiti soggettivi del giudicato ................................................................. » 420
5.1. Considerazioni preliminari sui profili funzional-strutturali dei giu-
dizi collettivi ........................................................................................ » 420
5.1.1. Giudizi collettivi a tutela di interessi individuali compatibili
concorrenti: giudizi collettivi in senso proprio ....................... » 421
5.1.2. Giudizi collettivi a tutela di interessi individuali esclusivi:
giudizi collettivi in senso improprio ........................................ » 424
5.1.3. Ipotesi intermedie e tecniche di semplificazione .................... » 430
5.2. Il problema dell’oggetto dell’accertamento nei giudizi collettivi
inibitori previsti dal nostro ordinamento .......................................... » 437
5.2.1. Considerazioni introduttive...................................................... » 437
XVI INDICE

5.2.2. L’oggetto dell’accertamento nei giudizi inibitori: l’obbligo di


astensione .................................................................................. p. 439
5.2.3. L’oggetto dell’accertamento nei giudizi inibitori: l’antigiuri-
dicità della condotta ................................................................. » 447
5.3. Le possibili soluzioni teoriche al problema dei limiti soggettivi del
giudicato in materia di giudizi collettivi nel nostro ordinamento .... » 459
5.3.1. Concorso soggettivo di azioni .................................................. » 466
5.3.2. Giudicato secundum eventum litis ........................................... » 472
5.3.3. Estensione ultra partes e litisconsorzio necessario .................. » 475
5.4. Valutazione comparativa dei risultati ottenuti e giudizio di sintesi . » 485
5.4.1. Considerazioni introduttive e superamento del concorso
soggettivo di azioni ................................................................... » 485
5.4.2. Valutazione comparativa del giudicato secundum eventum
litis e del giudicato erga omnes: loro armonizzabilità con il
sistema positivo ......................................................................... » 486
5.4.2.1. Il giudicato secundum eventum litis ed i tradizionali
ostacoli all’estensione ultra partes dell’efficacia di-
retta del giudicato........................................................ » 488
5.4.3. Valutazione comparativa del giudicato secundum eventum
litis e del giudicato erga omnes alla luce delle garanzie co-
stituzionali ................................................................................. » 498
5.4. Conclusioni.......................................................................................... » 503

CAPITOLO SETTIMO
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE

1. Considerazioni introduttive....................................................................... » 505


2. La dottrina favorevole al coordinamento delle azioni ............................. » 511
2.1. Le diverse qualificazioni della posizione giuridica attribuita al sin-
dacato legittimato................................................................................ » 511
2.1.1. Il potere di azione sindacale come attribuzione di un mero
diritto di azione......................................................................... » 511
2.1.2. Il potere di azione sindacale come conseguenza dell’attribu-
zione di un diritto soggettivo sostanziale ................................ » 516
2.1.3. Giudizio propriamente rivolto a tutela di interessi collettivi e
giudizio a contenuto oggettivo................................................. » 521
2.2. Gli strumenti di coordinamento tra i due giudizi: litisconsorzio
necessario o estensione ultra partes degli effetti del giudicato ......... » 525
3. La dottrina favorevole al parallelismo delle azioni .................................. » 529
3.1. Il «diritto collettivo» del sindacato .................................................... » 531
3.1.1. L’interesse collettivo quale risultante organizzatoria del
gruppo ....................................................................................... » 531
3.1.2. La piena autonomia del giudizio speciale rispetto alle inizia-
tive dei singoli lavoratori .......................................................... » 535
3.2. Il diritto soggettivo (inteso in senso tradizionale) del sindacato...... » 538
INDICE XVII

4. Esame critico della giurisprudenza ........................................................... p. 544


4.1. L’autonomia e l’indipendenza delle azioni nell’opinione giurispru-
denziale ................................................................................................ » 544
4.2. Uno sguardo oltre i principi: l’individuazione dei limiti esatti in cui
viene ad essere intesa l’autonomia e l’indipendenza delle azioni..... » 548
4.3. L’oggetto del giudizio per la repressione della condotta antisinda-
cale: l’interesse collettivo o diritto soggettivo?.................................. » 552
5. Considerazioni ricostruttive ...................................................................... » 559
5.1. La rilevanza paradigmatica del dibattito in materia di azione ex art.
28 e gli influssi di ordine lato sensu politico che lo hanno carat-
terizzato ............................................................................................... » 559
5.2. Precisazioni sul concetto di illecito antisindacale plurioffensivo ..... » 561
5.2.1. Considerazioni introduttive...................................................... » 561
5.2.2. Ambiente di lavoro e persona .................................................. » 564
5.2.3. L’unicità dell’illecito antisindacale ........................................... » 568
5.3. L’oggetto del giudizio collettivo e la natura dell’azione sindacale ... » 575
5.4. Gli effetti del giudicato emesso in sede collettiva............................. » 579
5.5. La legittimazione ad agire in via sommaria-inibitoria del singolo e
dei sindacati che non rispondono ai requisiti di legittimazione pre-
visti dall’art. 28 S.L ............................................................................. » 582
5.6. Il diritto soggettivo del sindacato al pagamento da parte del datore
delle retribuzioni o del risarcimento del danno subito dal lavo-
ratore.................................................................................................... » 594

CAPITOLO OTTAVO
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA

1. Considerazioni introduttive....................................................................... » 601


2. Ricognizione dei tratti sistematici essenziali della tutela collettiva
antidiscriminatoria ..................................................................................... » 604
2.1. La tutela antidiscriminatoria per ragioni di sesso ............................. » 604
2.1.1. Dalla l. n. 300/70 alla l. n. 125/91 ........................................... » 604
2.1.2. Dalla l. n. 125/91 alla d.legisl. n. 198/2006............................. » 607
2.1.3. Sintesi del quadro delle tutele.................................................. » 612
2.2. Gli altri strumenti di tutela collettiva antidiscriminatoria: dal
d.legisl. n. 286/98 alla l. n. 67/2006................................................... » 614
2.3. Conclusioni.......................................................................................... » 619
3. La dottrina in materia di oggetto ed effetti dell’azione collettiva anti-
discriminatoria ........................................................................................... » 620
3.1. Considerazioni introduttive ................................................................ » 620
3.2. La tesi del doppio binario .................................................................. » 621
3.2.1. L’interesse tutelato nel giudizio collettivo ............................... » 621
3.2.2. La posizione sostanziale e processuale riconosciuta all’ente
esponenziale .............................................................................. » 629
3.2.3. Gli effetti del provvedimento conclusivo ................................ » 631
XVIII INDICE

3.3. Considerazioni ricostruttive................................................................ p. 634


3.3.1. L’identità delle fattispecie sostanziali legittimanti l’azione dei
soggetti discriminati e l’azione dell’ente esponenziale............ » 634
3.3.2. la funzione direttamente riparatoria del rimedio processuale
collettivo: ulteriori precisazioni................................................ » 642
3.3.3. Precisazioni sul carattere collettivo della discriminazione...... » 643
3.3.4. Precisazioni sull’azione collettiva riferita alle sole discrimi-
nazioni di soggetti non individuabili in via diretta e imme-
diata ........................................................................................... » 648
3.3.5. Gli effetti del provvedimento conclusivo ................................ » 651
3.3.5.1. L’accertamento della discriminatorietà del compor-
tamento tenuto dall’autore dell’illecito e degli ob-
blighi di astensione e rimozione degli effetti ............. » 654
3.3.5.2. Gli atti discriminatori complessi e i loro effetti sulle
vicende del processo.................................................... » 656
3.3.5.3. La richiesta di risarcimento del danno da parte del-
l’ente esponenziale....................................................... » 660
4. Brevi osservazioni conclusive sulla natura dell’ordine di definizione del
piano di rimozione delle discriminazioni accertate.................................. » 669

CAPITOLO NONO
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE

1. Considerazioni introduttive....................................................................... » 675


2. I primi tentativi di tutela giuridica dell’ambiente .................................... » 677
2.1. Considerazioni preliminari ................................................................. » 677
2.2. Le posizioni orientate verso la valorizzazione dei profili individuali
e soggettivi della tutela ....................................................................... » 680
2.3. Le posizioni orientate verso la valorizzazione dei profili collettivi e
oggettivi della tutela............................................................................ » 689
3. La riflessione dottrinale in materia di danno ambientale nella legge
istitutiva del Ministero dell’ambiente ....................................................... » 696
3.1. Cenni sulla fattispecie ......................................................................... » 696
3.2. Le difficoltà interpretative presentate dalla norma........................... » 697
3.3. Il mancato riconoscimento della legittimazione ad agire al singolo
e alle formazioni sociali: la critica della dottrina............................... » 700
3.4. L’interesse tutelato: natura e titolarità ............................................... » 707
3.4.1. Le concezioni soggettive della tutela: tesi propriamente
pubblicistiche e privatistiche-collettivistiche........................... » 707
3.4.2. Le concezioni oggettive della tutela......................................... » 714
3.4.3. Una tesi a parte: la proprietà collettiva dell’ambiente............ » 716
3.5. La posizione processuale degli enti pubblici territoriali legittimati
all’azione e delle associazioni ambientaliste legittimate all’inter-
vento nel giudizio di danno ambientale............................................. » 723
INDICE XIX

4. Gli interventi legislativi successivi alla l. n. 349 del 1986 ....................... p. 727
4.1. La l. 3 agosto 1999, n. 265 e il successivo d.legisl. 18 agosto 2000,
n. 267: il riconoscimento della legittimazione ad agire ai singoli e
alle associazioni ambientaliste ............................................................ » 727
4.2. Il d.legisl. 3 aprile 2006, n. 152.......................................................... » 730
4.2.1. Considerazioni introduttive...................................................... » 730
4.2.2. I Titoli I e II della Parte VI del d.legisl. n. 152/2006 ............ » 732
4.2.3. Il Titolo III della Parte VI del d.legisl. n. 152/2006 .............. » 735
4.2.4. L’azione pubblica del Ministero dell’ambiente e del terri-
torio in rapporto con l’interesse collettivo all’ambiente......... » 737
4.2.5. L’inevitabile supervalutazione delle tutele alternative ............ » 746

CAPITOLO DECIMO
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI

1. Considerazioni introduttive....................................................................... » 754


2. Le tappe del progressivo itinerario di riconoscimento di azioni collet-
tive a tutela degli interessi dei consumatori ............................................. » 758
2.1. L’iniziale vuoto normativo e l’apporto della dottrina ....................... » 758
2.1.1. I tentativi di tutelare gli interessi dei consumatori all’interno
del giudizio di repressione della concorrenza sleale............... » 759
2.1.1.1. Esame delle principali opzioni interpretative ............ » 759
2.1.2. L’edificazione in via sistematica dell’azione collettiva a tutela
dei consumatori......................................................................... » 770
2.2. I principali strumenti di tutela giurisdizionale degli interessi collet-
tivi dei consumatori attualmente previsti dal nostro ordinamento .. » 775
3. La natura delle azioni collettive a tutela dei consumatori....................... » 784
3.1. Considerazioni introduttive ................................................................ » 784
3.2. Le azioni collettive inibitorie.............................................................. » 785
3.2.1. Esame del dibattito sulla natura dell’azione collettiva inibi-
toria in materia di clausole abusive.......................................... » 785
3.2.1.1. La deduzione della natura dell’azione dalla natura
degli interessi tutelati................................................... » 785
3.2.1.2. L’incerto inquadramento dogmatico dell’azione ini-
bitoria collettiva in materia di clausole abusive......... » 794
3.2.2. Esame del dibattito sulla natura dell’azione collettiva inibi-
toria generale a tutela dei consumatori ................................... » 799
3.2.2.1. La possibile natura plurioffensiva della condotta
antigiuridica: considerazioni introduttive e di me-
todo .............................................................................. » 799
3.2.2.2. Sistemazione ragionata delle diverse posizioni soste-
nute in dottrina............................................................ » 802
3.2.2.3. Le ricadute dogmatiche del nuovo quadro norma-
tivo in materia di azione inibitoria generale .............. » 807
XX INDICE

3.2.2.4. La difficile coesistenza tra la dominante concezione


dell’azione collettiva riservata agli enti rappresenta-
tivi e le «misure idonee a correggere o eliminare gli
effetti dannosi delle violazioni accertate» .................. p. 810
3.2.3. Considerazioni ricostruttive ..................................................... » 815
3.2.3.1. La ridefinizione dei requisiti funzionali e strutturali
delle azioni collettive inibitorie conseguente all’in-
troduzione del nuovo art. 140 bis............................... » 815
3.2.3.2. La natura delle azioni collettive inibitorie a tutela
dei consumatori ........................................................... » 816
3.2.3.3. La legittimazione ad agire del singolo consumatore a
tutela dell’interesse collettivo...................................... » 821
3.2.3.4. La natura della posizione giuridica attribuita all’ente
esponenziale ................................................................. » 823
3.2.3.5. I limiti soggettivi del giudicato inibitorio collettivo .. » 826
3.2.3.6. Il problema dei rapporti tra giudicato collettivo e
giudizi individuali sugli effetti conseguenti................ » 836
3.3. L’azione collettiva risarcitoria ............................................................. » 842
3.3.1. Il nuovo art. 140 bis del codice del consumo ......................... » 842
3.3.2. L’ambito di applicazione .......................................................... » 846
3.3.3. La legittimazione ad agire ........................................................ » 851
3.3.4. L’oggetto del giudizio ............................................................... » 858
3.3.4.1. Considerazioni introduttive ........................................ » 858
3.3.4.2. Giudizio su diritti o giudizio sull’illecito ................... » 863
3.3.4.3. Le indicazioni ricostruttive offerte dalla disciplina
dell’adesione................................................................. » 864
3.3.4.4. Le indicazioni ricostruttive offerte dalla disciplina
dell’intervento .............................................................. » 867
3.3.4.5. Conclusioni ricostruttive: il giudizio collettivo come
giudizio ad oggetto variabile....................................... » 869
3.3.5. Gli effetti del giudizio collettivo risarcitorio ed il suo coordi-
namento con le azioni collettive inibitorie .............................. » 875
3.3.5.1. I rapporti tra il giudizio collettivo risarcitorio e i giu-
dizi individuali di completamento .............................. » 875
3.3.5.2. Gli effetti del giudizio collettivo risarcitorio nei con-
fronti degli altri legittimati ad agire in via collettiva . » 879
3.3.5.3. Gli effetti del giudizio collettivo risarcitorio e le sue
ricadute sulla configurazione del giudizio collettivo
inibitorio....................................................................... » 882

Indice degli autori citati .................................................................................. » 885

Indice analitico ................................................................................................ » 897


PREMESSA

La tutela giurisdizionale degli interessi sovraindividuali rappresenta


da tempo una tematica di riflessione piuttosto familiare per la scienza
giuridica.
In particolare, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta l’attenzione de-
dicata all’argomento è stata straordinaria ed assolutamente trasversale,
investendo la dottrina del diritto civile, amministrativo e penale, tanto
nella prospettiva sostanziale, quanto nella successiva e complementare
prospettiva processuale.
Da quel momento in poi la riflessione giuridica ha tracciato un iti-
nerario di studio pressoché ininterrotto che, in una prima fase, ha avuto
ad oggetto la risoluzione delle problematiche di inquadramento generale
della materia e, successivamente, ha interessato l’interpretazione dei di-
versi strumenti di tutela che via via il legislatore ha introdotto nel nostro
ordinamento.
Di recente, ad esempio, proprio l’introduzione dell’azione collettiva
risarcitoria a tutela dei consumatori ha conferito nuovo vigore al dibat-
tito, dando luogo in breve tempo a numerosi scritti dedicati allo studio
del nuovo rimedio processuale e riaccendendo l’interesse per le situa-
zioni giuridiche a rilevanza sovraindividuale.
L’ampia produzione scientifica ora ricordata non è tuttavia riuscita a
diradare l’alone di incertezza che da sempre gravita attorno alla materia.
Sono numerose, infatti, le questioni che tuttora si presentano ben lungi
dal trovare uno stabile e condiviso inquadramento.
In primo luogo la stessa natura degli interessi tutelandi.
Per averne un’idea è sufficiente scorrere le pagine che la manuali-
stica dedica alle situazioni giuridiche soggettive. Il rigore classificatorio e
definitorio che appartiene alla trattazione delle figure soggettive tradizio-
nali scende rapidamente di grado allorché il lettore si approssimi alla
presentazione dell’incerta figura dell’interesse collettivo o alla consimile
figura dell’interesse diffuso; alle quali, peraltro, è dedicata sovente scarsa
attenzione.
D’altronde, come vedremo nel corso del nostro lavoro di ricerca, la
letteratura dedicatasi ex professo allo studio della tematica presenta un
quadro generale sostanzialmente affine a quello ora indicato.
XXII PREMESSA

Il naturale rapporto di strumentalità che lega il diritto materiale


al processo costituisce – poi – la corretta chiave di lettura per com-
prendere le ricadute che tale incertezza qualificatoria ha posseduto e pos-
siede tuttora sulla soluzione delle altre fondamentali questioni interpre-
tative che sono sorte in questo ambito di studio; ovvero il tema della le-
gittimazione ad agire ed il tema dei limiti oggettivi e soggettivi del
giudicato.
La letteratura in materia di tutela giurisdizionale degli interessi so-
vraindividuali palesa – insomma – la necessità di addivenire ad una sta-
bile sistemazione dei requisiti funzionali e strutturali che appartengono ai
giudizi volti alla tutela di tali interessi.
Proprio questa consapevolezza ha indotto chi scrive a porre al cen-
tro della ricerca le questioni ora indicate.
Nei primi tre capitoli di questo lavoro esamineremo le vicende giu-
ridiche dell’interesse collettivo dal periodo tardo-liberale ai giorni nostri
(cap. I), rincorrendo la figura sin dalle origini dell’odierno diritto del la-
voro, attraversando – poi – l’esperienza del corporativismo (cap. I) e la
successiva fase post-costituzionale (cap. II), fino – appunto – ad arrivare
ai tentativi ricostruttivi avanzati in dottrina ed in giurisprudenza a partire
dagli anni Settanta per consentire la tutela giurisdizionale delle nuove
esigenze collettive (cap. III).
Da questo percorso emergeranno piuttosto chiaramente i due
grandi ostacoli teorico-sistematici che sinora hanno impedito una chiara
e serena riflessione sul tema oggetto delle nostre attenzioni: in primo
luogo, le incertezze in merito alla corretta nozione di interesse tout court
(ancor prima che in riferimento alle diverse nozioni di interesse sovrain-
dividuale) ed, in secondo luogo, la difficoltà di adattamento ai nuovi con-
tenuti di tutela delle figure dogmatiche tradizionali.
In relazione alla primo profilo ora indicato, presenteremo una defi-
nizione stipulativa del concetto di interesse, grazie alla quale sarà possi-
bile determinare il concetto di interesse collettivo alla luce della relazione
logica di compatibilità e concorrenza reciproca che lega tra loro più inte-
ressi, superando così – a favore della prima opzione – la divaricazione ri-
costruttiva tra la tendenza a concepire l’interesse collettivo come un ag-
gregato di distinti interessi individuali e l’opposta configurazione unitaria
e inscindibile dello stesso (cap. IV).
Sotto il secondo profilo, prenderemo in esame le diverse nozioni di
diritto soggettivo presentate dalla dottrina per verificare quale sia la più
appagante in chiave teorico-generale.
PREMESSA XXIII

Questo percorso, condotto con metodo logico-empirico, ci con-


durrà ad apprezzare un duplice piano di intellezione del fenomeno giuri-
dico: quello funzionale e quello propriamente strutturale.
Ragionando in senso strutturale e formale assieme, ovvero orien-
tando la ricerca verso la rilevazione degli strumenti che il diritto presenta
come «costanti invariabili»1 in ordine al soddisfacimento degli interessi,
ravviseremo nel piano dei comportamenti umani il «piano di incidenza»
del diritto e nell’obbligo il «punto di incidenza» del diritto stesso su tale
piano (cap. V).
Più semplicemente l’obbligo verrà a rappresentare l’elemento strut-
turale elementare ed essenziale che il diritto impiega per il soddisfaci-
mento degli interessi ed il concetto di diritto soggettivo verrà a costituire
la formula di sintesi di un fenomeno giuridico dinamico, composto da
elementi funzionali e strutturali assieme, in cui appunto un comporta-
mento doveroso è diretto al soddisfacimento dell’interesse normativa-
mente rilevante di un soggetto titolare del potere di azione (cap. V).
Giungeremo per questa via al cuore della ricerca, ovvero alla parte
dedicata allo studio dei profili funzionali e strutturali del giudizio col-
lettivo.
Per quel che riguarda il tema della legittimazione ad agire, propor-
remo di esaminare le norme che tutelano gli interessi collettivi prestando
attenzione non solo all’espressa attribuzione del potere di azione ai sog-
getti che in via istituzionale difendono e promuovono gli interessi della
collettività rappresentata, ma anche a quella parte della norma che quali-
fica come illecite talune attività e da cui emerge la proiezione funzionale
della stessa e conseguentemente gli interessi normativamente rilevanti e
tutelati in via primaria dalla legge.
L’applicazione del principio costituzionale di atipicità dell’azione,
che sancisce la naturale e ordinaria titolarità di tale potere in capo al ti-
tolare dell’interesse normativamente rilevante (ex art. 24 Cost.), ci con-
durrà, quindi, a ritenere che l’azione inibitoria a tutela degli interessi col-
lettivi spetti anche, se non in primo luogo, ai titolari di tali interessi, ov-
vero ai singoli soggetti lesi, legittimati in via ordinaria a richiedere la
repressione giurisdizionale del comportamento illecito (cap. VI).
Sempre in questa parte della ricerca affronteremo il tema dell’og-
getto del giudizio collettivo e, supportati dalle indicazioni che ci derivano
anche dalle forme di tutela giurisdizionale collettiva adottate in altri or-

1 CAMMARATA, A.E., Limiti tra formalismo e dommatica nelle figure di qualificazione giu-
ridica [1936], in Formalismo e sapere giuridico, Studi, Milano, 1963, p. 345 ss.
XXIV PREMESSA

dinamenti, avremo occasione di individuare tre principali modelli di giu-


dizio collettivo.
Il giudizio collettivo proprio, tipicamente rappresentato dal giudizio
collettivo inibitorio, nel quale l’accertamento giudiziale coinvolge un
unico obbligo sostanziale volto al soddisfacimento di un interesse collet-
tivo, ovvero di più interessi individuali compatibili concorrenti; il giudi-
zio collettivo improprio, tipicamente rappresentato dal giudizio collettivo
risarcitorio, nel quale la tutela giurisdizionale non è tesa a realizzare il
soddisfacimento di interessi collettivi, bensì il soddisfacimento di distinti
interessi individuali esclusivi al pagamento di somme da versarsi a titolo
di risarcimento, e nel quale – appunto – l’accertamento non cade su un
unico obbligo sostanziale, ma su tanti obblighi a contenuto risarcitorio; il
giudizio collettivo su questioni, che si pone in posizione intermedia tra i
due modelli appena indicati, in quanto rappresenta una modalità di sem-
plificazione del secondo ed al contempo, come il primo, mira alla realiz-
zazione di un interesse collettivo (in questo caso di tenore processuale)
appartenente ad una certo gruppo di soggetti pregiudicati dall’illecito ed
avente ad oggetto l’accertamento della questione o delle questioni co-
muni alla diverse pretese risarcitorie o restitutorie (cap. VI).
In particolare riferimento ai giudizi collettivi inibitori, verificheremo
in quali limiti sia possibile ritenere che l’efficacia di accertamento della
sentenza coinvolga non solo l’obbligo negativo e continuativo accertato
in via specificativa dal giudice, ma anche il comportamento illecito pre-
supposto.
Assunta quindi la debita chiarezza in merito all’ambito oggettivo
dell’accertamento, lo studio affronterà il tema dei limiti soggettivi del
giudicato ed a tal proposito, nell’assenza di una regolamentazione legale
espressa e dettagliata del regime di vincolatività della sentenza, nonché
anche di un adeguato e giusto processo collettivo, il giudicato secundum
eventum litis risulterà l’opzione comparativamente preferibile rispetto,
da un lato, all’efficacia erga omnes della sentenza e, dall’altro, alla stretta
osservanza del principio di relatività del giudicato (cap. VI).
Completata la parte della nostra ricerca relativa all’approfondimento
delle questioni ricostruttive a carattere generale, affronteremo l’esame e la
sistemazione dei principali strumenti di tutela collettiva positivamente
previsti dal nostro ordinamento: l’azione per la repressione della condotta
antisindacale (cap. VII), i giudizi di tutela collettiva antidiscriminatoria
(cap. VIII), l’azione pubblica di risarcimento del danno ambientale (cap.
IX) ed infine i rimedi di tutela collettiva degli interessi dei consumatori,
tra cui la già citata azione risarcitoria recentemente introdotta (cap. X).
PREMESSA XXV

A chiusura di questa breve premessa, preme peraltro avanzare


un’ultima osservazione.
A nostro parere il tema della tutela giurisdizionale degli interessi so-
vraindividuali impone all’interprete ed al legislatore, che si appresti ad
introdurre nuovi strumenti di tutela, di acquisire la debita chiarezza sulla
natura di tali interessi valorizzando la riferibilità degli stessi alla persona
acquisita in quella sua duplice dimensione individuale e collettiva a cui
dà rilievo la nostra Costituzione. Solo muovendo da questa premessa è
possibile interpretare gli attuali strumenti giuridici conformemente ai va-
lori accolti dal nostro ordinamento ed apprestarne dei nuovi.
Occorre, insomma, muovere dal diritto al processo.
Orientandosi in questa prospettiva si realizza l’inadeguatezza dell’at-
tuale quadro positivo in materia e l’assoluta necessità di concepire un
giusto processo collettivo, ovvero un processo appositamente discipli-
nato per dare accoglimento alle situazioni giuridiche soggettive in esame.
È questa la più grave ed incolmabile lacuna palesata dal nostro or-
dinamento, nel quale le disposizioni in materia di tutela degli interessi so-
vraindividuali si limitano ad abbozzare il regime della legittimazione ad
agire, nonché a definire la fattispecie lesiva degli interessi materiali.
Sul processo, sulle sue forme, sull’efficacia della sentenza, vige il
quasi completo silenzio.
CAPITOLO PRIMO

LE VICENDE GIURIDICHE DELL’INTERESSE COLLETTIVO


NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE:
DAL PERIODO TARDO-LIBERALE
ALL’ORDINAMENTO CORPORATIVO

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive: la tutela giurisdizionale degli interessi so-


vraindividuali, un problema nuovo, ma non troppo. – 2. I primi casi di emersione
in campo giuridico del concetto di interesse collettivo a cavallo tra Ottocento e
Novecento. – 2.1. Uno sguardo preliminare al processo amministrativo. – 2.1.1.
Gli interessi collettivi in due progetti di riforma alle origini del sistema italiano di
giustizia amministrativa. – 2.1.2. Il contributo al tema della tutela degli interessi
collettivi da parte dello studio avanzato da Emilio Bonaudi. – 2.1.3. Le conclusioni
di Bonaudi. – 2.2. L’interesse collettivo nelle origini del diritto del lavoro nello
Stato tardo-liberale. – 2.2.1. Le riflessioni di Giuseppe Messina sull’interesse da
tutelarsi in sede di concordato collettivo. – 2.2.2. La proiezione dell’interesse col-
lettivo dei lavoratori all’interno del processo: i progetti di riforma della «magistra-
tura» probivirale e l’affannoso tentativo di configurazione di controversie collet-
tive. – 2.2.2.1. Premesse: l’intervento di Lodovico Mortara. – 2.2.2.2. Il Questio-
nario di Inchiesta per la riforma della legge 15 giugno 1893. – 2.2.2.3. Il progetto
di riforma dei probiviri del 1909 ed il contributo di Enrico Redenti. – 3. L’interesse
collettivo nell’esperienza giuridica del corporativismo. – 3.1. L’interesse collettivo:
la pietra angolare per la costruzione del nuovo apparato concettuale. – 3.1.1. L’in-
teresse collettivo nel pensiero di Widar Cesarini Sforza. – 3.1.2. L’interesse collet-
tivo nel pensiero di Francesco Carnelutti. – 3.2. La sentenza con efficacia collettiva
nell’ordinamento corporativo. – 3.2.1. La distinzione tra le controversie in-
dividuali e le controversie collettive. – 3.2.2. Il fondamento giuridico-formale sot-
teso alla legittimazione esclusiva dell’associazione sindacale. – 4. Considerazioni
conclusive.

1. Considerazioni introduttive: la tutela giurisdizionale degli interessi so-


vraindividuali, un problema nuovo, ma non troppo
Gli accadimenti fisici e naturalistici costituiscono fenomeni che la
scienza umana è in grado di descrivere secondo leggi deterministico-ma-
tematiche, ovvero secondo formule capaci di riassumerli e spiegarli me-
diante rapporti di causa/effetto.
2 CAPITOLO PRIMO

Diversamente accade nei fenomeni sociali, nonché in quelli giuridici


che danno loro generalmente seguito. In questi campi dell’esperienza
umana, infatti, è cosa improbabile, se non fallace, orientarsi alla ricerca
di vere e proprie cause efficienti, ma, nonostante questo, lungo le «linee»
del divenire, è comunque possibile riscontrare l’esistenza di «punti» ca-
paci di dare spiegazione a quelli che li seguono, come se in essi si verifi-
casse una concentrazione di forze casuali per le quali, nella catena fat-
tuale, uno o più eventi si elevano al di sopra degli altri e si propongono
come causa di quelli che essi precedono.
In questa prospettiva, si può facilmente convenire sul fatto che tra i
fattori che più degli altri hanno favorito l’emersione della problematica
relativa alla tutela degli interessi a carattere sovraindividuale, nonché la
successiva affermazione di detta problematica come tema fondamentale e
assolutamente trasversale del dibattito giuridico a seguire degli anni Set-
tanta, debba riservarsi sicuramente un posto privilegiato all’introduzione
nel nostro ordinamento dell’azione civile di repressione della condotta
antisindacale del datore di lavoro, nonché ai diversi interventi giurispru-
denziali che in sede di processo amministrativo hanno avviato l’opera di
progressivo superamento della concezione esclusivamente individuali-
stica-personalistica della tutela apprestata1.
D’altra parte, deve essere rilevato sin d’ora che l’ampia riflessione
sviluppatasi a partire dagli anni Settanta in poi non ha costituito il mo-
mento iniziale di un percorso scientifico propriamente inedito. Il tema
della tutela degli interessi lato sensu collettivi2, infatti, rappresentava un
argomento di studio già abbondantemente noto all’esperienza giuridica
del nostro Paese, tanto da poter dire che l’attenzione dedicata alla pro-
blematica e mostrata dagli studiosi delle più varie discipline giuridiche
negli ultimi trent’anni rappresenta il più recente e significativo episodio

1 Sul procedimento per la repressione della condotta antisindacale, previsto dall’art. 28


dello Statuto dei lavoratori, v. infra, il cap. VII; per la ricognizione della giurisprudenza am-
ministrativa in materia di interessi collettivi e diffusi, v., invece, infra, cap. III.
2 Specie nei primi capitoli del nostro itinerario di studio utilizzeremo il termine inte-

resse collettivo in senso ampio, ovvero privi dell’intenzione di contrapporlo al termine, o, più
precisamente al concetto, di interesse diffuso. Quando peraltro, per la natura degli argomenti
trattati, dovremo tenere con chiarezza distinte le due figure, allora, nel riferirci genericamente
agli interessi non esclusivamente individuali, utilizzeremo il termine più generico ed onni-
comprensivo di interessi sovraindividuali o superindividuali se non anche metaindividuali.
Solo nella parte ricostruttiva del lavoro, ovvero a partire dal capitolo IV, dimostrata l’indi-
stinguibilità ontologica tra l’interesse collettivo e l’interesse diffuso, il termine di interesse col-
lettivo verrà impiegato in senso proprio, ovvero indicante una precisa relazione logica tra più
interessi individuali.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 3

di un processo di lenta evoluzione, che – da tempo avviatosi – per di-


verse vicende legate alla nostra storia politica e sociale, era rimasto la-
tente, non riuscendo mai ad imporsi stabilmente quale tematica di fron-
tiera e/o di rottura rispetto alle concezioni dominanti e tradizionalmente
appartenenti al nostro ordinamento sia sul piano del diritto sostanziale
che sul piano del diritto processuale.
Così, se nel corso degli anni Settanta l’esigenza di protezione giuri-
sdizionale di quegli interessi sostanziali non unicamente (o tradizional-
mente) riconducibili in capo al singolo individuo si fa viva, pressante ed
improcrastinabile in primo luogo nei due settori dell’esperienza giuridica
poc’anzi indicati (diritto processuale del lavoro e giustizia amministra-
tiva), tale circostanza rappresenta un fenomeno tutt’altro che occasio-
nale. Al contrario è l’indiscutibile manifestazione di un movimento evo-
lutivo preesistente, capace di dare i migliori e più maturi frutti, proprio
in quei settori dell’ordinamento in cui, già sul finire dell’Ottocento, si era
mostrata una maggiore sensibilità ad avviare fenomeni di inclusione di
valori nuovi all’interno del sistema.
I vecchi valori erano sicuramente quelli a cui, seppur in diversa mi-
sura, erano ispirate le codificazioni ottocentesche, figlie delle dottrine del
giusnaturalismo.
I nuovi, invece, erano l’espressione del rinnovato contesto sociale.
Come è noto, nel corso dell’Ottocento, il sistema economico muta
completamente volto, orientandosi nettamente in senso capitalistico e il
rapido sviluppo dell’industria, a scapito dei tradizionali modelli di pro-
duzione, favorisce la nascita di lacerazioni e contrapposizioni sociali
prima pressoché ignote.
Gioele Solari – autore di mirabili pagine sui rapporti intercorrenti
tra diritto e ideologia3 – sintetizza efficacemente il nuovo scenario socio-
culturale nei termini che seguono: «da Rousseau a Saint-Simon le condi-
zioni si erano profondamente modificate. Nel secolo XVIII il problema
fondamentale dell’epoca era sopratutto giuridico e politico. La scuola del
diritto naturale aveva idealizzato le aspirazioni della borghesia in lotta
contro il passato, contro il privilegio, contro il dispotismo. […] Sopra-
tutto si imponeva la necessità di garantire l’individuo, la personalità, i
suoi naturali diritti dalle violazioni del potere sovrano. […] Senonché la
società nuova uscita dalla Rivoluzione non realizzava che parzialmente e

3 Per quel che qui interessa, cfr. Socialismo e diritto privato, Influenza delle odierne dot-
trine socialiste sul diritto privato [1906], Milano, 1980, edizione postuma a cura di P. Ungari.
4 CAPITOLO PRIMO

imperfettamente le idealità dei giusnaturalisti. L’affermazione dei diritti


dell’uomo lungi dal costituire rimedio ai mali sociali, lungi dall’instaurare
l’ordine, l’armonia, aveva in realtà accentuato il dissidio tra quelle idea-
lità e le condizioni di fatto rendendo più amaro il disinganno. Nuove
lotte si andavano delineando: la scienza colle sue scoperte e applicazioni
aveva originato una nuova rivoluzione in campo economico, nei sistemi
di produzione. L’oppressione risorgeva sotto altra forma: le violazioni
delle libertà, e della personalità apparivano non più sotto forma politica
ma economica. Non era più la borghesia in lotta con il feudalismo per la
conquista delle libertà civili e politiche: la borghesia vittoriosa de’ suoi
privilegi, sfruttando a suo vantaggio le conquiste della Rivoluzione e
della scienza si era resa a sua volta oppressiva del proletariato, che era ri-
pagato della sua cooperazione all’opera rivoluzionaria, colla miseria, con
le lunghe ore di lavoro, con salari irrisori»4.
In estrema sintesi, dunque, al problema politico e giuridico si an-
dava sostituendo il problema economico e sociale.
Come avremo modo di osservare con maggior dettaglio, allorché ci
soffermeremo sulla nascita della nozione moderna del diritto soggettivo5,
il giusnaturalismo razionale era rivolto ad esaltare il valore dell’uomo,
colto come individuo singolo e contrapposto in condizione di ugua-
glianza, per un verso, ai suoi simili e, dall’altro, al riparo da ogni inge-
renza nei suoi affari privati, allo Stato.
Ma le nuove condizioni socio-economiche che andarono realizzan-
dosi nella seconda metà dell’Ottocento posero in contraddizione questa
concezione atomistica dei rapporti intersoggettivi favorendo – di contro
– l’emergere dei legami, delle comunanze, anziché delle distanze o delle
fratture tra le diverse esistenze umane; l’uguale condizione in cui versa-
vano le classi lavoratrici – infatti, spostò l’attenzione da valori già acqui-
siti, quali la libertà e l’uguaglianza formale, a valori o aspetti della realtà
prima trascurati, quali la dimensione sociale dell’uomo6 e i vincoli di so-
lidarietà sussistenti tra le diverse esistenze7.

4 SOLARI, G., Socialismo e diritto privato, cit., p. 132 ss.


5 V. infra, cap. V.
6 Per Giuseppe CARLE, La vita del diritto nei suoi rapporti colla vita sociale, Roma-To-

rino-Firenze, 1880, p. 2, «l’individuo e la società, la personalità individuale e l’ente collettivo


sembrano, allo stato delle investigazioni attuali, rispecchiarsi e riverberarsi l’uno nell’altra,
per guisa che mentre la società trova nell’individuo il suo elemento primordiale, l’individuo
trova invece nella società la propria esplicazione e il proprio compimento».
7 In particolare, v. la posizione di Giuseppe SALVIOLI, I difetti sociali delle leggi vigenti

di fronte al proletariato e il diritto nuovo, Palermo, 1906, p. 91, per il quale la solidarietà «è la
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 5

Tra l’uomo e lo Stato – o, se si preferisce tra gli uomini, colti cia-


scuno individualmente, e lo Stato – tendono – insomma – ad inserirsi fi-
gure intermedie: la stessa «società», le «classi», i «gruppi», ecc.8
Ciò determina un’alterazione oramai irreversibile nella configura-
zione delle dinamiche reali.
Quest’ultime non più sono la risultante dell’azione di singoli indivi-
dui, bensì appaiono essere meglio comprese come l’effetto dell’intera-

legge del mondo fisico e quello della società umana. La vita sociale è un assieme di solidarietà
che si incrociano. L’uomo non è isolato, ma vive, opera, produce, possiede, in quanto trovasi
in mezzo ad altri uomini ai quali deve coordinare la sua azione. Come ogni bene viene dalla
società, così ogni atto ha un valore sociale, una funzione sociale. Da ciò la norma della vita e
l’ideale etico devono coesistere nella composizione degli interessi». Per approfondimenti, v.
COSTA, P., Il «solidarismo giuridico» di Giuseppe Salvioli, in Quaderni fiorentini, 1974-1975, I,
Il «socialismo giuridico», Ipotesi e letture, p. 457 ss. Come si vedrà in questo capitolo, specie
nelle pagine dedicate alle esperienze giuridiche tardo-liberali nel diritto del lavoro e sinda-
cale, proprio il vincolo solidaristico tra gli interessi dei soggetti che facendo parte di un
gruppo contribuiscono alla nascita dell’interesse collettivo costituisce uno dei tratti maggior-
mente significativi delle prime prospettazioni della nozione. In particolare cfr. le posizioni di
Messina, Galizia, Barassi, ma anche talune posizioni espresse dalla dottrina riguardo le di-
verse prospettive di riforma della magistratura probivirale su cui ci intratteremo più avanti
nel testo ed in nota.
8 Ancora preziose sono le parole di SOLARI, G., Socialismo e diritto privato, cit., p. 202

s.: «il concetto nuovo che veniva a sconvolgere il criterio tradizionale di distinzione tra diritto
pubblico e privato fu il concetto di società. Né i Greci, né i Romani distinsero tra società e
Stato. La stessa indistinzione noi troviamo nelle teorie contrattualiste, le quali movendo dal
concetto atomistico dello Stato, cioè dal considerare questo come la somma degli individui
singoli, non potevano assorgere al concetto di società. Società e Stato in tali teorie che furono
predominanti nel periodo di elaborazione della nostra legislazione civile, dovevano apparire
come una cosa sola. Ma nel secolo XIX noi assistiamo a una ricostruzione storica e teorica del
concetto di società. La Rivoluzione sotto l’influenza dell’individualismo dominante aveva la-
vorato a distruggere ogni forma corporativa e associativa, tendente a limitare in qualche
modo l’individualità. L’individuo sciolto ormai dai vincoli che nel passato lo tenevano avvinto
alla famiglia, alla corporazione, veniva a trovarsi solo in rapporto diretto con lo Stato. Il pro-
blema dei rapporti tra diritto e Stato era sopratutto politico cioè riguardava l’individuo nei
suoi rapporti con la sovranità. Il concetto di diritto pubblico doveva pertanto avere un con-
tenuto esclusivamente politico, e avere una sfera di estensione limitata non essendo prevalsa
la dottrina di Rousseau che tendeva ad assorbire gli individui e i loro diritti nella personalità
dello Stato. Il secolo XIX ricostruiva quel concetto di società che la Rivoluzione aveva di-
strutto. Le esigenze della grande produzione determinarono un concentramento degli indivi-
dui dispersi in gruppi sociali tenuti insieme da unità di coscienza e di scopi. Accanto alla vita
degli individui e dello Stato vediamo sotto l’azione riorganizzatrice della grande industria ri-
costruirsi le associazioni professionali, vediamo agitarsi le classi sociali in vista di determinati
scopi. Né solo gli interessi economici, ma gli interessi intellettuali, religiosi, artistici determi-
nano la differenziazione sociale e producono lotte e contrasti non più di carattere politico,
non essendo più in gioco la costituzione dello Stato, ma essenzialmente di carattere sociale,
trattandosi d’interesse di classe» (c.vi miei).
6 CAPITOLO PRIMO

zione e contrapposizione di «gruppi», ovvero, genericamente, di soggetti


collettivi unitariamente intesi. L’uomo non si proietta più individual-
mente verso il raggiungimento dei suoi fini, ma è integrato in processi di
aggregazione in cui risulta essere parte di un tutto.
Le aspirazioni umane, da patrimonio gelosamente custodito nell’in-
dividuo, si estendono solidaristicamente al gruppo che le condivide: se
dalle concezioni utilitaristiche si era ereditata la nozione di comporta-
mento umano come prodotto del perseguimento dell’interesse indivi-
duale, ora l’unità del gruppo, che è innanzitutto organizzazione, che è in-
nanzitutto comportamento collettivo, determina la nascita di interessi
non più individuali, ma collettivi anch’essi9.
È da questa fase della nostra storia sociale ed istituzionale che oc-
corre, dunque, prendere le mosse per tracciare un itinerario completo
dei diversi tentativi, che gli interessi a carattere collettivo hanno attuato
per conseguire il risultato della loro giuridicizzazione.
Come meglio emergerà nel prosieguo della trattazione, infatti, seb-
bene le aree di emersione della problematica sono state sovente con-
traddistinte da un discreto tasso di reciproca eterogeneità, per altro
verso, è ben possibile tracciare una linea evolutiva – dotata di buona con-
tinuità – lungo la quale la dottrina – a più riprese – ha tentato di indivi-
duare gli elementi costitutivi della struttura formale da assegnare all’inte-
resse collettivo; linea evolutiva che certamente ha inizio nel momento
storico in cui la pressione applicata dalle nuove esigenze sulle strutture
dell’ordinamento si è rivelata massima: il periodo tardo-liberale, ap-
punto.

2. I primi casi di emersione in campo giuridico del concetto di interesse


collettivo a cavallo tra Ottocento e Novecento
2.1. Uno sguardo preliminare al processo amministrativo
In questa fase storica del nostro Paese si verifica quella profonda
alterazione delle dinamiche reali e della tradizionale rappresentazione
dell’individuo all’interno della società che, a cavallo tra Ottocento e No-
vecento, favorisce l’attivarsi di un intenso dibattito per la riforma del

9 Sul rapporto tra comportamento necessariamente collettivo in ordine al persegui-

mento dell’interesse e configurazione strutturale del concetto di interesse collettivo, v. infra,


cap. IV, § 6.3.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 7

diritto privato10 e dà il via alla produzione della prima legislazione so-


ciale11.
In questo rinnovato contesto, gli interessi collettivi realizzano ap-
prezzabili tentativi di affermazione sulla scena giuridica in qualità di
nuovi interessi di natura sostanziale, bisognosi di tutela e di riconosci-
mento. E ciò accadde nel processo di nascita e sviluppo delle nuove dot-
trine giuslavoriste, nel successivo ordinamento corporativo, ma anche nel
travagliato iter legislativo e dottrinale che avrebbe portato, a definitiva
maturazione, alla strutturazione dell’attuale sistema italiano di giustizia
amministrativa.
Come chiarito nelle pagine introduttive del lavoro, se lo studio della
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi innanzi al giudice
10 L’ansia di rinnovamento del diritto privato è ben rappresentato dal movimento del
socialismo giuridico, su cui, v.: UNGARI, P., In memoria del socialismo giuridico, I, Le «scuole
del diritto privato sociale», in Pol. dir., 1970, p. 241 ss.; ID., In memoria del socialismo giuri-
dico, II, Crisi e tramonto del movimento, in Pol. dir., 1970, p. 387 ss.; RAMM, T., Juristensozia-
lismus in Deutscland, in Quaderni fiorentini, 1974-1975, 3-4, t. 1, Il «socialismo giuridico»,
Ipotesi e letture, p. 7 ss.; ARNAUD, N. - ARNAUD, A., Le socialisme juridique à la «belle époque»:
visage d’une aberration, ivi, p. 25 ss.; GERRATANA, V., Antonio Labriola di fronte al socialismo
giuridico, ivi, p. 55 ss.; SEELMANN, K., Zur marxinterpretation bei Anton Menger, Gustav Rad-
bruch und Karl Renner, ivi, p. 73 ss.; POCAR, V., Riflessioni sul rapporto fra «socialismo giuri-
dico» e sociologia del diritto, ivi, p. 145 ss.; REICH, N., Der juristensozialismus von Anton Men-
ger (1841-1906) in neunzehnten jahrhundert und heute, ivi, p. 157 ss.; ORRÙ, G., «Idealismo»
e «realismo» nel socialismo giuridico di Menger, ivi, p. 183 ss.; CARONI, P., Anton Menger ed il
codice civile svizzero del 1907, ivi, p. 273 ss.; DILCHER, G., Genossenschaftstherie und soziall-
recht: ein «juristensozialismus» otto v. Gierkes?, ivi, p. 319 ss.; WEYL, R. - WEYL, M.P., Socia-
lisme et justice dans la France de 1895: le «bon juge Magnaud», ivi, p. 367 ss.; DI MAJO, A.,
Enrico cimbali e le idee del socialismo giuridico, ivi, p. 383 ss.; D’AMELIO, G., Positivismo, sto-
ricismo, materialismo storico in Icilio Vanni, ivi, p. 431 ss.; COSTA, P., Il «solidarismo giuridico»
di Giuseppe Salvioli, ivi, p. 457 ss.; CASSESE, S., Socialismo giuridico e «diritto operaio», La cri-
tica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico, ivi, p. 495 ss.; SBRICCOLI, M., Il diritto penale so-
ciale, 1883-1912, ivi, p. 557 ss.; POCAR, V., A proposito di alcuni recenti studi sul socialismo giu-
ridico, in Soc. dir., 1977, p. 189 ss.; GUERRA MEDICI, M.T., Per la storia del socialismo giuridico,
in Rivista di storia del diritto contemporaneo, 1977, p. 153 ss.; ORLANDO, M., Francesco Co-
sentini, un contributo alla storia del «socialismo giuridico», in Materiali per una storia della cul-
tura giuridica, 1977, p. 37 ss.; TREVES, R., Il rinnovato interesse per il socialismo giuridico in
Italia e la recente pubblicazione di un manoscritto di Gieole Solari, in Soc. dir., 1983, p. 21 ss.;
CASCAVILLA, M., Il socialismo giuridico italiano, sui fondamenti del riformismo sociale, Urbino,
1987; GROSSI, P., «La scienza del diritto privato», Una rivista-progetto nella Firenze di fine se-
colo (1893-1896), Milano, 1988. V. anche il prezioso lavoro di SBRICCOLI, M., Elementi per una
bibliografia del socialismo giuridico, in Quaderni fiorentini, 1974-1975, t. 2, Il «socialismo giu-
ridico», Ipotesi e letture, p. 873 ss.
11 Sulla prima legislazione sociale, v. MARTONE, L., Le prime leggi sociali nell’Italia libe-
rale (1883-1886), in Quaderni fiorentini, 1974-1975, t. 1, cit., p. 103 ss. In generale, per un’ef-
ficace sintesi dell’evoluzione legislativa in materia, v., di recente, RIMOLI, F., Stato sociale (dir.
cost.), in Enc. giur. Trec., XXX, Roma, 2004 e dottrina ivi citata.
8 CAPITOLO PRIMO

amministrativo esorbita i limiti imposti all’indagine, è pur vero che il pro-


posito di tentare la ricostruzione sistematica dei procedimenti che il no-
stro ordinamento processuale civile dedica alla protezione di interessi su-
perindividuali impone di tener presente anche talune delle vicende legi-
slative e dottrinali, che, sebbene appartenenti all’evoluzione del diritto
sostanziale e processuale amministrativo, possono comunque contribuire
a fornire interessanti – per non dire fondamentali – elementi di rifles-
sione ai fini della nostra ricerca.
Anche in questo capitolo d’avvio, dunque, prima di affrontare l’esa-
me delle vicende giuridiche pre-costituzionali dell’interesse collettivo in
quella materia – il diritto sostanziale e processuale del lavoro – in cui in-
tensamente si è avvertita la necessità di revisionare e talora rinnovare le
tradizionali strutture formali del diritto comune, è più che mai oppor-
tuno soffermarsi, seppur brevemente, su quei momenti in cui, tanto l’e-
voluzione normativa del sistema di giustizia amministrativa, quanto la ri-
flessione dottrinale rivolta all’interpretazione di questa, furono rispettiva-
mente più vicine ad aprire le porte della tutela giurisdizionale anche agli
interessi a rilevanza superindividuale.

2.1.1. Gli interessi collettivi in due progetti di riforma alle origini del si-
stema italiano di giustizia amministrativa
Le trame della vicenda politica, legislativa, dottrinale e giurispru-
denziale che dalla seconda metà dell’Ottocento ai giorni nostri ha dato
vita al sistema italiano di giurisdizione amministrativa «come uno dei si-
stemi [più] originali dell’esperienza giuridica dell’occidente» sono state
oggetto di ampi e numerosi studi in dottrina e sarebbe assolutamente
privo di significato ripercorrerle in questa sede12.

12 Sulla nascita e sull’evoluzione del sistema italiano di giustizia amministrativa, v. BEN-


VENUTI, F., Giustizia: II) Giustizia amministrativa, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, p. 589 ss.;
GIANNINI, M.S., Profili storici della scienza del diritto amministrativo, in Quaderni fiorentini,
1973, p. 179 ss.; GIANNINI, M.S. - PIRAS, A., Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordi-
naria nei confronti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, p. 229 ss.;
BERTI, G., Momenti della trasformazione della giustizia amministrativa, in Riv. trim. dir. pubb.,
1972, 1861 ss.; ROMANO, A., Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria,
Milano, 1975, p. 2 ss.; CERULLI IRELLI, V., Il problema del riparto delle giurisdizioni: premesse
allo studio del sistema vigente, Pescara, 1979; REBUFFA, G., La formazione del diritto ammini-
strativo in Italia, Bologna, 1981; SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale: la
formazione della nozione di interesse legittimo, Bologna, 1985; AIMO, P., Le origini della giu-
stizia amministrativa, Milano, 1990; CANNADA BARTOLI, E., Giustizia amministrativa, in Dig.
disc. pubbl., VII, Torino, 1991, p. 508 ss.; PENE VIDARI, G.S., Giustizia amministrativa (Storia),
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 9

L’attenzione va quindi rivolta ad alcune tappe estremamente signifi-


cative di questo itinerario evolutivo.
La prima tappa è costituita proprio dalla stessa legge abolitrice del
contenzioso amministrativo.
Come è noto con il sistema di giurisdizione unica che si andava in-
troducendo nel nostro ordinamento mediante la riforma del 1865, si mi-
rava a trovare un punto di equilibrio tra due opposte esigenze che erano
emerse all’indomani dell’unificazione, ovverosia si mirava a dare una so-
luzione al conflitto tra cittadino ed amministrazione, cioè al conflitto tra
libertà del primo e potere della seconda, nel rispetto tra l’altro del prin-
cipio – caro al costituzionalismo liberal-democratico – della divisione dei
poteri. Come è stato osservato, dunque, se, da un lato, la violazione del
precetto legale avrebbe ricondotto anche l’amministrazione nell’orbita di
diritto comune, sottoponendola al sindacato del giudice unico, dall’altro,
l’amministrazione, che «era anche ed essenzialmente potere» andava tu-
telata nella sua libertà, ovvero «non doveva essere intralciata nella sua
funzione di “amministrare”»13.
Rispondeva ad entrambe le esigenze l’allegato E alla legge del 20
marzo del 1865, n. 2248, che, con l’art. 1, aboliva i tribunali speciali sino
ad allora investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo, con
l’art. 2, devolveva alla giurisdizione ordinaria tutte le materie nelle quali
si facesse «questione di un diritto civile e politico», e, di contro, con l’art.
3, attribuiva alla stessa autorità amministrativa gli «affari» non compresi
nell’articolo precedente, riguardanti appunto gli atti di c.d. «amministra-
zione pura»; rispetto ai quali, quindi, veniva ad escludersi qualsiasi sin-
dacato e tutela giurisdizionale14.

in Dig. disc. pubbl., VII, Torino, 1991, p. 502 ss.; MANNORI, L. - SORDI, B., Storia del diritto
amministrativo, Roma-Bari, 2006. L’essenzialità della prospettiva storico-ricostruttiva in or-
dine alla comprensione del sistema di giustizia amministrativa italiano fa sì che l’argomento
riceva ampia trattazione anche nella manualistica. Comunemente riconosciuta è poi la persi-
stente utilità scientifica dell’opera di SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi li-
beri: con speciale riguardo al vigente diritto italiano, Torino, 1904.
13 Così, SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 39; ma, nello

stesso senso, v. anche GIANNINI, M.S. - PIRAS, A., Giurisdizione amministrativa e giurisdizione
ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, cit., p. 234, che evidenziano come il
punto di equilibrio tra garanzie del cittadino nei confronti degli atti della pubblica ammini-
strazione e potere autoritativo della stessa fu raggiunto a vantaggio del secondo e non delle
prime.
14 Come ricorda SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 324,

«nonostante la sua fede nella efficacia pratica dei principi razionali, la Commissione non di-
sconobbe la difficoltà di tradurre il suo “concetto astratto e scientifico in formule legislative”.
10 CAPITOLO PRIMO

Ciò è noto a tutti.


Meno noto è che il testo originariamente presentato come disegno
di legge dalla Commissione parlamentare istituita per la riforma presen-
tava difformità tutt’altro che irrilevanti rispetto la formulazione poi defi-
nitivamente approvata.
Scorrendo le pagine della preziosa opera di Antonio Salandra, in-
fatti, si rileva che l’incipit dell’art. 3 del progetto di legge prevedeva che
«la cognizione dei ricorsi contro gli atti di pura amministrazione, riguar-
danti gl’interessi individuali o collettivi degli amministrati, spetta esclusi-
vamente alle autorità amministrative […]»15, e non semplicemente –
come poi sarebbe stato nel testo definitivamente approvato – che «gli af-
fari non compresi nell’articolo precedente saranno attribuiti alle autorità
amministrative».
Ad ulteriore chiarimento, la Relazione che accompagnava il disegno
di legge, per mezzo delle parole dell’on. Borgatti, evidenziava come si
dovesse escludere che «dalle leggi amministrative possano derivarsi di-
ritti nel senso proprio e strettamente giuridico di questa parola», rite-
nendo al contrario che «ne derivino degl’interessi, i quali sono generali,
collettivi od individuali, secondo che i rapporti, che per queste leggi ven-
gono stabiliti, concernono la generalità, un aggregazione speciale degli
amministrati, o un solo individuo»16.
Insomma, nella formulazione originaria dei primi tre articoli della
legge il «concetto informatore», il «principio fondamentale», era espres-

Ma reputò d’avere, dopo molto studio, trovato un sicuro criterio di ripartizione della distin-
zione fra diritti dei cittadini, ai quali bisogna accordare ampia e piena difesa giurisdizionale,
ed i meri interessi, i quali di fronte al potere esecutivo non possono pretendere ad alcuna gua-
rentigia, da quella in fuori del ricorso in via gerarchica».
15 SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 325.
16 V. SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 325-326. Si leg-

gano anche le parole del discorso alla Camera di Mancini, riportato da Salandra a p. 329 ss.
(ma v. per il passo che segue p. 351), nei quali si rilevò quanto segue: «possono esserci inte-
ressi ragionevoli, rispettabili, legittimi nell’ordine delle convenienze e delle utilità private e
sociali; ma questi interessi non sono assicurati da una legge, che li innalzi al grado di diritti e
crei in loro favore un’azione esperibile in giudizio. Se dunque esistono semplici interessi di
questa specie, è chiaro che non tutti gli interessi sono diritti; ed arbitro regolatore ed estima-
tore appunto di questi interessi, che sono numerosissimi, non può essere che il potere ammi-
nistrativo […]. Questo, o signori, è il concetto informatore della proposta della commissione.
Esso è scolpito negli articoli secondo e terzo del progetto di legge, meritando in essi speciale
attenzione le due formule caratteristiche: cioè, nell’articolo secondo Controversie che riguar-
dano i diritti civili e politici; e nell’articolo terzo Atti di pura amministrazione riguardanti
gl’interessi individuali o collettivi degli amministrati. La Camera ha udito come il criterio fon-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 11

samente costituito dalla contrapposizione tra diritto ed interesse17, ov-


vero tra interessi giuridicamente protetti e interessi meri; ed in partico-
lare quest’ultima categoria – rimessa ai rimedi interni all’amministrazione
su richiesta degli «interessati» – avrebbe potuto abbracciare non solo i
tradizionali interessi individuali, ma anche quelli collettivi e generali.
In altri termini quell’insieme di interessi, che negli sviluppi succes-
sivi sarebbero stati sottratti alla tutela «graziosa» per essere attribuiti alle
cure del giudice amministrativo, già in questa prima tappa dell’evolu-
zione del sistema venivano sì degradati a meri interessi soggetti al potere
amministrativo, ma per altro verso venivano naturalmente percepiti in
una loro possibile dimensione anche meta-individuale, potendo appunto
riguardare non solo un singolo individuo ma anche la «generalità» o una
«aggregazione speciale degli amministrati».
Archiviata questa possibilità di vedere riconosciuta espressamente
l’esistenza di interessi non unicamente individuali da parte del nostro or-
dinamento giuridico, un’altra significativa occasione si presentò qualche
anno dopo sul percorso che dall’abolizione del contenzioso portava all’i-
stituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato.
Le disfunzioni del sistema parlamentare18, la crescente tendenza dei
governi a rispondere con l’amministrazione al moltiplicarsi delle esigenze
che emergevano dal tessuto sociale e le tradite speranze nella forza
espansiva del sindacato del giudice ordinario19 acuirono i limiti di un si-
stema – quello della giurisdizione unica – che sin dalla sua nascita aveva
mostrato il difetto di garanzie nei confronti dei cittadini20.

damentale, secondo il concetto della Commissione, della distinzione tra le funzioni dell’am-
ministrazione e le funzioni contenziose spettanti alla giustizia, consiste nell’elemento dell’in-
teresse, contrapposto all’elemento del diritto».
17 Il primo documento in cui è presente la distinzione-contrapposizione tra «interesse»

e «diritto» è la Relazione Boncompagni sul Disegno di legge Galvano presentata al Parla-


mento subalpino del 1850, su cui v. SCOCA, F.G., Contributo sulla figura dell’interesse legit-
timo, Milano, 1990, p. 9 s.
18 Sulle relazioni sussistenti tra «parlamentarismo» e «giustizia nell’amministrazione»,

v. ancora SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 111 ss.
19 GIANNINI, M.S. - PIRAS, A., Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei

confronti della pubblica amministrazione, cit., p. 235, che ricordano, ad esempio, come la
riforma del 1865, con la formula dei «diritti civili e politici», avesse lasciato sguarnita di tu-
tela la materia del diritto pubblico relativa ai corpi morali legalmente riconosciuti, cioè quella
relativa ai comuni ed alle province.
20 Sul punto, v. SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 31 nel

testo e a nota 10 che ricorda le critiche al progetto mosse da Cordova, Rattazzi e Crispi, il
quale ultimo si interrogava «se tra le questioni le quali insorgano nell’esercizio delle attribu-
12 CAPITOLO PRIMO

Si giungeva, dunque, attraverso un acceso dibattito, all’istituzione


della IV Sezione del Consiglio di Stato «per la giustizia amministrativa»
con la legge 31 marzo 1889, n. 599221, che all’art. 3 prevedeva: «spetta
alla Sezione IV del Consiglio di Stato di decidere sui ricorsi per incom-
petenza, per eccesso di potere o per violazione di legge contro atti e
provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministra-
tivo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse di individui o di
enti morali giuridici, quando i ricorsi medesimi non siano di competenza
dell’autorità giudiziaria, né si tratti di materia spettante alla giurisdizione
od alle attribuzioni contenziose di corpi o collegi speciali».
Ma anche in tal caso, come per la legge del 1865, l’innovazione legi-
slativa, richiamando come oggetto del giudizio unicamente gli interessi
individuali, si era lasciata alle spalle la possibilità di accogliere nel nostro
ordinamento forme di tutela espressamente rivolte alla protezione di in-
teressi superindividuali.
L’occasione perduta era rappresentata dalla proposta di legge elabo-
rata da Mantellini, mai presentata alla Camera e rimasta solo in bozze –
come nuovamente Salandra ricorda ne La giustizia amministrativa nei go-
verni liberi – nella quale, dopo aver riconosciuto la ricorribilità in via
contenziosa innanzi al Consiglio di Stato per motivi di legittimità, di con-
venienza e di merito avverso i provvedimenti amministrativi che afferis-
sero a categorie predeterminate (ad es. in materia di polizia, professio-
nale, d’esercizi, d’usi e spettacoli pubblici, ecc.)22, si prevedeva all’art. 2
che – si badi bene – «nell’interesse collettivo il ricorso è interposto da
chiunque partecipi a quell’interesse, e nell’interesse individuale da chi lo

zioni che rimarranno all’amministrazione si debbano richiedere delle guarentigie che premu-
niscano i cittadini e la società da qualunque offesa che possa venire da parte degli agenti del
Governo»; rilievo quest’ultimo a cui replicava Mancini: «non è questa la legge in cui dob-
biamo occuparci delle garantie dell’esercizio dell’amministrazione pura».
21 Sull’iter formativo della legge, v. SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei go-

verni liberi, cit., p. 497 ss. Occorre d’altra parte far cenno al coevo progetto di legge n. 305
del 19 marzo 1885 presentato dall’on. Luchini in materia di azione popolare; il quale appunto
mirava ad introdurre un’ipotesi di azione popolare generale. Prospettiva di riforma, quest’ul-
tima, in grado di incidere profondamente sulla configurazione tradizionale dell’istituto, non-
ché sulla teoria generale delle situazioni giuridiche protette e del loro accesso alla tutela giu-
risdizionale. Sul progetto v. le osservazioni di BORGHESI, D., Azione popolare, interessi diffusi
e diritto all’informazione, in Pol. dir., 1985, p. 259 ss., spec. p. 264. Per il testo del progetto,
v. invece TROCCOLI, A., Un istituto giuridico da rivalutare: l’azione popolare, in Rass. parla-
mentare, 1971, p. 85 ss., spec. p. 90 s.
22 Cfr. l’art. 1 del Progetto riportato da SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei

governi liberi, cit., p. p. 477, nota 2.


INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 13

ha o lo rappresenta». Tra l’altro, la particolarità della previsione prospet-


tata nel progetto legislativo appena richiamato non sfuggiva nemmeno
allo stesso Salandra, che a commento, sottolineava come in tale maniera
si finisse per ammettere alla proposizione del ricorso, «con una specie di
azione popolare, anche chi partecipasse ad un interesse collettivo»23.
D’altra parte, l’opzione avanzata da Mantellini era il frutto, sul
piano positivo, di quella concezione della giustizia amministrativa che
aveva riscontrato ampio consenso all’interno del dibattito sulla «giustizia
nell’amministrazione» per mezzo delle parole di Silvio Spaventa24.
Quest’ultimo, infatti, nel celebre discorso tenuto davanti l’Associa-
zione costituzionale di Bergamo il 6 maggio del 1880, nel rimarcare che
la libertà dovesse cercarsi non tanto nella costituzione o nelle leggi poli-
tiche, quanto nell’amministrazione e nelle leggi amministrative25, rispon-
deva in effetti all’esigenza di garantire, con la giustizia nell’amministra-
zione, la stabilità del potere e dell’apparato amministrativo, prospettando
di conseguenza un modello di tutela giurisdizionale amministrativa orien-
tato in senso oggettivo anziché soggettivo, ovverosia – come sarebbe
stato chiarito più avanti26 – funzionale non alla tutela di situazioni giuri-
diche soggettive di vantaggio da farsi valere contro i provvedimenti della
pubblica amministrazione, ma alla osservanza del diritto obiettivo, al per-

23 SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 477, nota 2.
24 Sulla figura di Giuseppe Mantellini, v. le sottolineature di CANNADA BARTOLI, E., Giu-
stizia amministrativa, cit., p. 518 s.
25 SPAVENTA, S., Giustizia nell’amministrazione (Discorso pronunciato all’Associazione

costituzionale di Bergamo, la sera del 7 maggio 1880), in La giustizia nell’amministrazione,


Torino, 1949, p. 57 ss., spec. p. 69 ss. Ricorda SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei
governi liberi, cit., p. 471, in relazione al citato discorso, che «nessun documento dottrinale o
politico ebbe maggior eco di consenso nella opinione delle persone più colte e più duratura
efficacia sopra lo svolgimento ulteriore della nostra legislazione amministrativa. Non mai in-
fatti in Italia, né prima né dopo dello Spaventa, furono meglio condensate in una serie di for-
mule precise e perspicue le più alte dottrine del diritto pubblico moderno, e poste al servigio
delle esigenze positive del nostro progresso civile». Per approfondimenti sul rapporto tra la
tematica della «giustizia nell’amministrazione» ed il dibattito concernente le disfunzioni del
sistema parlamentare liberale, specie in ordine ad una lettura della prima quale strumento ri-
mediale, ovvero correttivo, a dette disfunzioni, v., in particolare, SORDI, B., Giustizia e ammi-
nistrazione nell’Italia liberale, cit., p. 71 ss., ma spec. p. 111 ss., il quale evidenzia (p. 114-115)
come «la battaglia per la “giustizia nell’amministrazione” esprimeva certamente l’esigenza di
un potenziamento dell’Esecutivo, di un rafforzamento delle strutture del potere, che sembra-
vano in grado di assicurare una nuova e più duratura stabilità allo Stato liberale», mentre «il
rafforzamento delle garanzie giuridiche del cittadino […] costituì un frutto evidente, ma in-
diretto delle riforme proposte».
26 SPAVENTA, S., Per l’inaugurazione della IV Sezione del Consiglio di Stato, in La giusti-

zia nell’amministrazione, cit., p. 211 ss., ma spec. p. 235.


14 CAPITOLO PRIMO

seguimento dell’interesse generale ed al rispetto dell’imparzialità nell’o-


perato dell’amministrazione.
Il legame tra questa concezione e tale proposta era indubbio, visto
che lo stesso Mantellini, puntualizzava con estremo rigore le ragioni di
una netta distinzione tra giustizia amministrativa e giustizia civile. Que-
st’ultima, difatti, presentava come sua materia il diritto soggettivo, come
fine l’utilità individuale e come criterio regolatore quello giuridico; di-
versamente nella giustizia amministrativa, l’oggetto era costituito dal di-
ritto obiettivo, il fine corrispondeva all’utile pubblico ed il criterio era
politico27.
Ora, quello che preme qui sottolineare è che, in questi due momenti
altamente significativi ed in grado di condizionare fortemente la succes-
siva evoluzione ed elaborazione dottrinale e giurisprudenziale del sistema
di giustizia amministrativa, gli interessi collettivi venivano ad essere assai
vicini ad un loro espresso riconoscimento normativo.
Si pensi alla riforma del 1865. Quanto possa avere influito sulla suc-
cessiva evoluzione del sistema di giustizia amministrativa il discrimen ori-
ginariamente individuato tra interessi meritevoli di tutela giurisdizionale
nei confronti degli atti autoritativi dell’amministrazione e interessi vice-
versa abbandonati all’«irrilevante giuridico»28 è cosa che non occorre evi-
denziare in questa sede, sia che si accolga l’opinione di coloro che nella
legge abolitrice del contenzioso hanno intravisto – sebbene in chiave im-
plicita – le ragioni delle successive regole di riparto e della successiva na-
scita ed affermazione della nozione di interesse legittimo, sia che diversa-
mente si aderisca alla tesi di coloro che, pur evidenziando l’importanza
delle soluzioni adottate con la normazione del 1865, hanno cercato di
porre in risalto, ai fini della completa maturazione del processo evolutivo
ora in esame, la funzione «creativa» svolta dalla dottrina a cavallo dei due
secoli29.

27 Così, MANTELLINI, G., Lo Stato e il Codice civile, III, Firenze, 1879-1882, p. 307.
28 SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 34.
29 Per la prima lettura, v. ad es. BENVENUTI, F., Giustizia: II) Giustizia amministrativa,

cit., p. 599 ss.; nonché BERTI, G., Amministrazione autonoma e giustizia amministrativa nella
legislazione unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, in L’unificazione
amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di Benvenuti e Miglio, Atti del congresso celebra-
tivo del centenario delle leggi amministrative dell’unificazione, Milano, 1969, p. 409 ss. Per la
seconda lettura v. SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 30, nota 9
e poi p. 367, nota 66, per il quale «l’apparente perfezione del sistema era forse già compro-
messa, sin dalle scelte dell’unificazione dalla drammatizzazione e dall’eccessiva inafferrabilità
del criterio del riparto, dalla distinzione precaria e naturalmente conflittuale fissata dalla
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 15

Ciò posto, se il «principio fondamentale» della distinzione tra di-


ritto ed interesse rimase comunque implicito nella legge (appartenendo
irrimediabilmente alla struttura concettuale su cui riposava la regola del
riparto), al contrario l’eliminazione della sua formulazione espressa nel
testo normativo ebbe la conseguenza di cancellare il riferimento agli in-
teressi collettivi.
Se poi questo rilievo viene coordinato con il fatto che – nel succes-
sivo intervento istitutivo della IV Sezione del Consiglio di Stato – la
scelta legislativa fu quella di elevare – senza andare ad incidere sull’area
di operatività prima riservata al sindacato giurisdizionale svolto dalla ma-
gistratura ordinaria – quegli stessi interessi, prima abbandonati all’ammi-
nistrazione pura, a quel grado di meritevolezza sufficientemente idoneo a
garantirne la tutela innanzi al giudice amministrativo, allora può venire
da chiedersi quale sarebbe stata la soluzione concretamente adottata e gli
itinerari concettuali percorsi dalle successive ricostruzioni concettuali in
materia, qualora il riferimento espresso agli interessi anche collettivi oltre
che individuali fosse rimasto presente nell’art. 3 della legge senza venir
soppiantato dalla implicita – oltre che generica ai nostri fini – distinzione
tra diritti ed interessi.
Se, invece, si passa all’esame della proposta Mantellini, non solo
sorge nuovamente – e forse con maggiore intensità – questo medesimo
interrogativo, ma ci si imbatte – come avrebbero confermato con mag-
giore evidenza l’evoluzione del sistema di giustizia amministrativa – in
una delle questioni ricostruttive fondamentali del successivo dibattito,
cioè quella relativa alla qualificazione della natura dell’attività giurisdi-
zionale svolta; ovvero alla possibile alternativa di prospettare la giurisdi-
zione amministrativa in chiave soggettiva o diversamente in chiave og-
gettiva.
Più precisamente va sin d’ora rilevato come non fosse casuale l’a-
pertura a favore della tutela di interessi collettivi all’interno di una certa
ricostruzione dogmatica dell’attività giurisdizionale svolta da parte del
giudice amministrativo. Difatti, la proposta Mantellini, procedendo nel-
l’ottica de-soggettivizzata della giurisdizione a contenuto oggettivo, ov-
vero di una giurisdizione in fin dei conti rivolta alla tutela di interessi ge-

legge abolitiva del contenzioso tra diritto e interesse», ma «non è possibile […] passare sotto
silenzio l’importante funzione “creativa” svolta dalla scienza giuridica negli anni a cavallo tra
i due secoli che, attraverso una revisione globale dei modelli amministrativi, ispirò da una
parte l’intera sistematica amministrativa, dall’altra il “nuovo corso” giurisprudenziale che tro-
verà, negli anni ’30, nel concordato D’Amelio-Romano la definitiva consacrazione».
16 CAPITOLO PRIMO

nerali, si presentava naturalmente più propensa a superare gli angusti


confini imposti dalla comune nozione di interesse individuale30. Nelle
successive fasi del dibattito, invece, con l’affermazione di una nozione in
chiave soggettiva della giurisdizione amministrativa – cioè di una nozione
aderente ai tradizionali crismi intorno ai quali erano andati sviluppandosi
i rapporti tra diritto e processo in materia civile – si sarebbe fatta assai
più impervia la strada del riconoscimento degli interessi collettivi e dif-
fusi31.

2.1.2. Il contributo al tema della tutela degli interessi collettivi da parte


dello studio avanzato da Emilio Bonaudi
Per verificare quanto le mancate riforme legislative appena indicate
abbiano influito sui successivi sviluppi della riflessione dottrinale in ma-
teria di giustiziabilità degli interessi a carattere sovraindividuale nel pro-
cesso amministrativo particolarmente prezioso è il rinvio ad uno studio,
che, sebbene datato 1911, già dimostrava, per un verso, una spiccata
sensibilità per la tematica oggetto delle nostre ricerche, e, dall’altro, an-
che quanto fosse impervia la strada che occorreva – e forse occorre tut-
toggi – percorre per superare la logica della tutela esclusivamente indi-
viduale.
Il riferimento è alla monografia di Emilio Bonaudi su La tutela degli
interessi collettivi 32; opera degna della massima attenzione da parte della
dottrina attuale che intenda tracciare il travagliato percorso che gli inte-
ressi collettivi da più di un secolo hanno intrapreso per assurgere al

30 V., infatti, le considerazioni avanzate da Bonaudi al riguardo e riportate infra, nel te-
sto § 2.1.3. Nel dibattito successivo agli anni Settanta la configurazione in chiave oggettiva
della tutela giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo ha rappresentato la strada rico-
struttiva privilegiata in ordine al riconoscimento di più ampie possibilità di tutela degli inte-
ressi sovraindividuali in particolare nella posizione di A. Romano, su cui appunto, v. infra,
cap. III, 3.3.1.2., spec. nota 97.
31 Sul punto, v. il cap. III. Per un esame dell’evoluzione del concetto di interesse legit-

timo con specifica attenzione, da un lato, alla prospettiva storico-evolutiva della nozione e,
dall’altro, al rapporto della stessa con la tematica degli interessi collettivi e diffusi, v., in par-
ticolare, CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Milano, 1992, p.
9 ss.
32 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, Milano-Torino-Roma, 1911, opera fre-

quentemente richiamata dalla dottrina successiva: cfr. ad es. TARZIA, G., Le associazioni di ca-
tegoria nei processi civili con rilevanza collettiva, in Riv. dir. proc., 1987, p. 774 ss. e CARAVITA,
B., Interessi diffusi e collettivi (Problemi di tutela), in Dir. soc., 1982, p. 167 ss., ma spec. p.
183, nota 39, il quale peraltro ammette quanto sia poco conosciuto dalla più recente dottrina
il lavoro ora richiamato, nonostante la sua impostazione «sorprendentemente moderna».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 17

rango di interessi rilevanti, e ciò al fine di isolare le questioni che possano


offrire una spiegazione delle ragioni di tanto stentato processo di eman-
cipazione dall’irrilevante giuridico.
Innanzitutto, sotto il profilo storico-ricostruttivo, l’opera dà pieno
riscontro di come i nuovi contesti sociali, a cui prima si accennava, po-
tessero operare nel senso di una profonda alterazione della configura-
zione dell’individuo all’interno delle dinamiche reali, premendo appunto
su una scienza – quella giuridica – ontologicamente rivolta a ricomporre
armoniosamente il rapporto-conflitto tra società e regole.
Alla questione l’opera dedica le sue primissime pagine.
Si riconosce, infatti, «il rapido e rigoglioso sviluppo della vita eco-
nomica moderna», il legame tra «regime della grande industria» e «for-
mazione […] delle classi sociali», la costituzione di «associazioni ed altri
simili enti per la tutela dei loro interessi sia collettivi che individuali»; e
si evidenzia come «siffatto movimento, se interessa gli studiosi delle di-
scipline sociologiche, non può riuscire indifferente al giurista per il quale
ha particolare interesse il vedere, quale influenza possono ricevere […] le
norme giuridiche che, per secolare tradizione, hanno finora governato i
rapporti sociali»33.
Ma, d’altra parte, si richiama l’attenzione su quanto «le norme tra-
dizionali del diritto, quali furono tramandate dalla sapienza romana, […]
siano […] insufficienti a governare istituti e rapporti i quali, sconosciuti
nell’antichità, sono invece un prodotto peculiare dell’odierna civiltà ed
una conseguenza delle avvenute trasformazioni sociali», invitando a tal
proposito il lettore a riflettere su «come il diritto romano […], che è il
portato di una civiltà sviluppatasi in un regime d’economia essenzial-
mente individualistica, sia invece impari allo scopo allorquando debbasi
provvedere a rapporti nei quali si trovino in giuoco interessi che ecce-
dono la sfera individuale»34.

33 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 3-4.


34 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 4. La critica alla matrice indi-
vidualistica del diritto civile tradizionale, figlia delle concezioni filosofiche sottese al diritto
romano (ma l’osservazione è qui riportata acriticamente, dovendosi poi esaminare quanto il
carattere individualistico del diritto privato tradizionale fosse effettivamente da rinvenirsi alle
origini romane o alle successive elaborazioni giusnaturalistiche ed illuministiche del diritto ci-
vile), sarà nota di riflessione più volte sollevata da parte della dottrina occupatasi del nostro
tema. Più avanti – in questo stesso capitolo – avremo modo di vedere le opinioni di Mortara
a tal riguardo; primo, tra i processualcivilisti, a rimarcare il conflitto tra le nuove esigenze so-
ciali e le forme tradizionali di protezione giurisdizionale. Questa constatazione sarà poi ricor-
rente all’interno del successivo dibattito avviatosi a partire dagli anni Settanta, ma – come
avremo occasione di vedere – senza che tale presa di coscienza abbia determinato una nuova
18 CAPITOLO PRIMO

C’è, insomma, in queste prime riflessioni introduttive l’individua-


zione dell’assoluta necessità – alla luce delle rinnovate esigenze – di riat-
tivare e vitalizzare quel rapporto osmotico tra regole giuridiche e dina-
miche reali, ma d’altro canto, sin da questa prima opera di contestualiz-
zazione, emerge il vero punctum dolens dello studio, che tra l’altro sarà
ugualmente rilevato e non risolto dalla dottrina successiva35.
L’Autore, infatti, sul presupposto dell’esistenza – «fenomeno carat-
teristico dell’età nostra» – di interessi riferibili a «collettività speciali»,
ovvero di «categorie» o «classi» di individui all’interno della più generale
compagine sociale, rileva il possibile istaurarsi di un conflitto tra questa
tipologia di interessi e l’interesse generale, da un lato, o gli interessi indi-
viduali, dall’altro.
Il passo, sebbene presenti una nozione di interesse collettivo che,
come chiaramente emergerà nel prosieguo del nostro lavoro, non appare
esente da significativi elementi di contraddittorietà36, merita di essere ri-
portato.
Osserva Bonaudi: «gli interessi di siffatte collettività speciali, che tal-
volta sono costituiti semplicemente dalla somma o dalla risultante dei sin-
goli interessi individuali dei loro componenti, tale altra invece, pur com-
prendendoli, non si identificano con essi, non sempre coincidono o
quanto meno s’armonizzano con gli interessi del corpo sociale conside-
rato nella sua generalità: anzi bene spesso accade che queste speciali col-
lettività intanto si manifestano e costituiscono particolari organizzazioni,
ovvero assumono una posizione decisiva di fronte alla generalità dei cit-

riflessione sulle figure concettuali che per tradizione hanno rivestito il ruolo di strumenti ri-
costruttivi elementari del nostro sistema giuridico. Più precisamente, se in ambito ammini-
strativistico il tema della giustiziabilità degli interessi sovraindividuali ha in larga misura rap-
presentato un occasione per interrogarsi nuovamente sul concetto di interesse legittimo, in
ambito civilistico, il raffronto tra interessi lato sensu collettivi e diritto soggettivo non ha dato
luogo a tentativi di tal fatta; tanto che la dottrina nemmeno ha sentito il bisogno di verificare
l’armonizzabilità dei primi con il secondo distinguendo tra le pur diverse nozioni di diritto
soggettivo avanzate dall’inteso dibattito svoltosi in Italia nella prima metà del Novecento. Sul
punto, v. infra, capp. III e V.
35 V. in particolare infra, cap. III, § 3.1. e 3.2., in cui ripercorreremo i rilievi che la dot-

trina da più parti – sostanzialista e processualista – ha mosso nel corso del dibattito generale
avviatosi a seguire degli anni settanta sul fondamentale quesito concernente la possibile giu-
ridicizzazione degli interessi a carattere sovraindividuale. Per il superamento delle problema-
tiche attinenti al profilo della giuridicizzazione degli interessi, ovvero, più precisamente, per
il superamento degli scogli che la dogmatica tradizionale sembrerebbe opporre al riconosci-
mento degli interessi lato sensu collettivi, v. infra, cap. V e VI.
36 V. infra, cap. IV, § 2. ss.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 19

tadini ed alla pubblica amministrazione, in quanto tendono a far preva-


lere, mediante lo sforzo collettivo, interessi loro proprii, contrastanti con
gli interessi generali dello Stato o con quelli speciali di altre categorie o
classi»37.
Non importa, per il momento, esaminare se sia più corretto, sotto il
profilo concettuale, il riferimento alla «somma» anziché alla «risultante»,
o in che misura – sempre in un tentativo ricostruttivo – le due distinte
prospettive siano tra loro compatibili e possano quindi coesistere in
un’unica formula definitoria38, ciò che viceversa merita di essere eviden-
ziato nei rilievi di Emilio Bonaudi è il carattere differenziale dell’interesse
collettivo; il quale – appunto – tende a distinguersi tanto dall’interesse
individuale, quanto dall’interesse generale e come tale è virtualmente
idoneo ad entrare in conflitto con entrambi.
L’interrogativo che ne discende è in definitiva quello a cui ancora
oggi, mutatis mutandis, si cerca di offrire risposta: «avranno le collettività
speciali dei mezzi per tutelare, giuridicamente, il loro particolare inte-
resse in confronto della pubblica amministrazione?»39. Più specifica-

37 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 5-6 (c.vo mio).
38 Il concetto è successivamente approfondito da BONAUDI, E., La tutela degli interessi
collettivi, cit., p. 20, in sede di distinzione tra l’interesse individuale e l’interesse collettivo; si
sostiene, infatti, la necessità di operare questa ferma contrapposizione in virtù della circo-
stanza secondo cui, se così non fosse, «tutti gli interessi collettivi verrebbero in fin dei conti
a trasformarsi in interessi individuali e cadrebbe perciò la distinzione tra gli uni e gli altri: il
che non può ammettersi perché la distinzione non è semplicemente formale ma di sostanza,
e deriva dal fatto che l’interesse collettivo, se in taluni casi può eventualmente consistere nella
somma o nella risultante di interessi individuali, cosicché, per esprimere più chiaramente il
concetto, si può dire che è in rapporto a questi ultimi qualcosa di sostanzialmente identico,
ma di maggiore estensione, in altri casi invece, e specialmente in una società progredita, esso
è affatto distinto e non può trovare riscontro con l’interesse individuale, o tutt’al più que-
st’ultimo può riscontrarvisi, ma attenuato di tanto da apparire radicalmente diverso». Come
si può agevolmente notare sin d’ora le affermazioni riportate non vanno oltre la mera decla-
mazione, essendo assolutamente prive di qualsiasi capacità dimostrativa ed al contrario affi-
date – come peraltro avviene tuttora – ad una impostazione intuitiva del quid da definire.
Mancano, infatti, nelle riflessioni di Bonaudi sia il tentativo di cogliere nell’aspetto unitario
dell’interesse collettivo (inteso alla luce del vincolo solidaristico che unisce gli interessi del
gruppo) il discrimen che lo separa dai singoli interessi individuali (v., al contrario, infra, la di-
versa impostazione di Giuseppe Messina), sia il tentativo di rinvenire un’eventuale ragione di
distinzione nel processo di tipizzazione/astrazione degli interessi concreti individuali (v. infra,
specialmente la posizione di Francesco Carnelutti).
39 Più in generale Bonaudi osserva (p. 8) come «la tutela degli interessi di siffatte col-

lettività speciali o classi [possa] quindi attuarsi in due modi diversi: o per iniziativa dello
Stato (inteso in senso largo e cioè comprendente gli organi della pubblica amministrazione in
generale […]), ovvero per opera diretta degli interessati». Ma precisa anche come sia effetti-
20 CAPITOLO PRIMO

mente l’Autore articola il quesito interrogandosi se la tutela dell’interesse


collettivo possa essere azionata innanzi il giudice amministrativo o dai
«singoli membri della collettività […] coll’assumere la veste di rappre-
sentanti, analogamente a quanto si opera in taluni casi, nel campo dei di-
ritti, mediante l’esercizio dell’azione popolare» o dagli «enti sorti dal
seno delle classi per la tutela generica degli interessi alle medesime atti-
nenti, anche nel caso in cui abbiano una semplice esistenza di fatto e
siano privi di capacità giuridica»40.
È – insomma – l’opzione ricostruttiva alternativa che più volte verrà
avanzata dalla dottrina nello studio delle tecniche di tutela degli interessi
collettivi, ovvero la possibilità di rimettere il potere di iniziativa proces-
suale al singolo o ad un corpo collettivo; questione, quest’ultima, da leg-
gersi in massima parte quale conseguenza processuale dell’incerto e non
definitivo apprezzamento della struttura formale di questi interessi mate-
riali41.
L’approccio particolarmente selettivo prescelto negli occasionali,
sebbene necessari e assai proficui, momenti di sconfinamento della no-
stra ricerca nella materia del diritto amministrativo impone peraltro di
esaminare questo primo studio specificamente dedicato alla tutela degli
interessi collettivi in chiave sintetica. E ciò poiché gran parte delle diret-
trici analitiche proposte da Bonaudi vanno ad intersecarsi con la tratta-
zione di problematiche generali – oggetto allora di controversi dibattiti
dottrinali – che in parte attenuano le ragioni che potrebbero incentivare
la presentazione di un esame più dettagliato del lavoro svolto dall’Au-
tore.
Un chiaro esempio di quanto si va ora cercando di chiarire emerge
dalla lettura della prima parte de La tutela degli interessi collettivi, in cui
la riflessione è incentrata sui rimedi concessi al singolo per attivare la
protezione dell’interesse sovraindividuale. Qui Bonaudi si trova a dover
individuare come necessario crocevia di qualsiasi ricerca in materia di tu-
tela giurisdizionale degli interessi collettivi nel processo amministrativo la
corretta interpretazione della legge istitutrice della IV sezione del Consi-

vamente possibile, per un verso, una divergenza di apprezzamento dell’interesse collettivo a


seconda che questo sia rappresentato da parte degli interessati o da parte dello Stato e, per
l’altro, come in effetti la stessa attività dello Stato sia rivolta alla tutela diretta non dell’inte-
resse collettivo-particolare ma di quello generale. È così dunque che emerge viva l’esigenza di
tutela giurisdizionale contro l’attività della pubblica amministrazione anche su iniziativa di
soggetti privati (cfr. p. 8-9).
40 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 14-15.
41 In tal senso, v. infra la posizione di Mortara e Redenti.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 21

glio di Stato, con la conseguenza di doversi far carico di tutte le proble-


matiche interpretative da questa derivanti. Infatti, se, da un lato, si rileva
come si debba prendere atto che «il principio stesso che informa tutto
l’ordinamento della nostra giustizia amministrativa […] s’impernia in so-
stanza nella difesa degli interessi, lesi da un atto o provvedimento del-
l’autorità amministrativa», dall’altro, si evidenzia anche che «la legge sul
Consiglio di Stato, che è fondamentale in questa materia, ammette il ri-
corso soltanto contro “atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa
o di un corpo amministrativo deliberante, e che abbiano ad oggetto un
interesse d’individui […]”»42.
In altri termini, le premesse metodologico-esegetiche suggeriscono,
se non impongono, di inserire l’indagine svolta dall’Autore all’interno del
dibattito teso all’individuazione dell’interesse giuridico che possibilità il
ricorso innanzi al giudice amministrativo; derivandone – quindi – che lo
studio delle tecniche di tutela degli interessi collettivi scolorisce sovente
negli approdi e nei tentativi, allora ancora provvisori, in materia di ela-
borazione della nozione di interesse legittimo o, più genericamente, delle
condizioni necessariamente sussistenti per ammettere la legittimazione
all’azione innanzi il giudice amministrativo.
La dottrina in questione si trovava, infatti, ad affrontare il tema de-
gli interessi collettivi in un momento storico in cui la configurazione dog-
matica del processo amministrativo era ancora ben lungi dal consegui-
mento di una stabile sistemazione. Non è un caso che Bonaudi si ri-
chiami, per sciogliere i nodi esegetici che la legge sul Consiglio di Stato
poneva, ad opinioni dottrinali (Mortara, Cammeo, Orlando e Ranelletti)
che, per ciò che riguardava la ricostruzione formale dell’azione esercitata
innanzi il Consiglio di Stato, avevano dimostrato orientamenti niente af-
fatto uniformi43.

42 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 13-14 (corsivi dell’A.).
43 In Vittorio Emanuele ORLANDO (La giustizia amministrativa, in Primo trattato di di-
ritto amministrativo completo, a cura di V.E. Orlando, III, Milano, 1901, p. 784 ss.) l’attività
della IV sezione del Consiglio di Stato è ricostruita in termini oggettivi e l’«interesse» richia-
mato dall’art. 24, lungi dall’assumere le vesti di una situazione giuridica soggettiva, appare
come mero interesse a ricorrere sulla falsa riga di ciò che dispone l’art. 36 del codice civile di
rito del 1865. Al contrario, in Lodovico MORTARA (Commentario del codice e delle leggi di pro-
cedura civile, I, Teoria e sistema della giurisdizione civile, Milano, s.d ma 1905, p. 29 ss.) l’ac-
centuazione del carattere rigorosamente giurisdizionale dell’attività espletata dalla IV sezione
passa attraverso una svalutazione della sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione
a vantaggio del riconoscimento di diritti pubblici soggettivi in capo ai cittadini in ordine al ri-
spetto della legalità negli atti dello Stato (posizione che riecheggia – almeno in parte – anche
in CAMMEO, F., Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d., p. 129). In
22 CAPITOLO PRIMO

Peraltro, se, per un verso, ciò induce ad ammettere il carattere in un


certo senso «datato» del lavoro di Bonaudi, in quanto fortemente anco-
rato ad una fase ancora non matura del dibattito in materia di condizioni
di giustiziabilità degli interessi materiali nel processo amministrativo, dal-
l’altro, v’è dimostrazione di quanto, pur in un quadro in cui la nozione di
interesse legittimo – inteso come situazione sostanziale individuale og-
getto di tutela in sede di giurisdizione del Consiglio di Stato – non aveva
ancora preso definitivamente forma, la matrice individualistica profonda-
mente radicata nella tradizione giuridica (e stigmatizzata dalla veduta for-
mula legale – «interesse d’individui» – prevista dalla legge istitutrice
della IV Sezione del Consiglio di Stato) costituisse un sufficiente ostacolo
al riconoscimento di opzioni di tutela effettivamente rivolte alla prote-
zione di interessi collettivi.
La lettura dell’opera svela, infatti, come Bonaudi, nell’esame dei ri-
medi riservati al singolo individuo, cerchi innanzitutto di investigare
quale sia la natura dell’interesse sostanziale generalmente condizionante
l’accesso alla tutela giurisdizionale amministrativa e nel far ciò, rilevi, sin
da un piano di analisi preliminare, l’occorrenza «che l’interesse generico
al retto funzionamento della pubblica amministrazione ed al rispetto
della norma di diritto si trasformi in interesse speciale»44.
Già nel contributo di Bonaudi, quindi, è la specializzazione dell’inte-
resse a rappresentare la condizione giuridica di accesso al giudizio; spe-
cializzazione dell’interesse che a null’altro corrisponde se non all’indivi-
dualizzazione del medesimo.

Oreste RANELLETTI (A proposito di una questione di competenza della IV sezione del Consiglio
di Stato, Avezzano, 19892, p. 33 ss.; ID., Nota a Cass. Roma, S.U., 27 marzo 1893, in Foro it.,
1893, I, p. 470 ss., opere alle quali Bonaudi rinvia, essendo stato pubblicato il primo volume
dei Principi di diritto amministrativo, Introduzione e nozioni fondamentali, a Napoli nel 1912)
la concezione soggettiva della giurisdizione amministrativa, coniugandosi con la valorizza-
zione del potere discrezionale della pubblica amministrazione, conduce all’elaborazione della
figura dell’interesse legittimo nelle due species dell’interesse occasionalmente protetto e del
diritto affievolito. L’eterogeneità delle soluzioni teoriche, nonché la diversa cornice ideologica
e culturale che contraddistingue l’opera degli AA. ora indicati, dimostra – a noi sembra piut-
tosto inequivocabilmente – il vero limite del lavoro di Emilio Bonaudi; il quale, trovatosi ad
affrontare il tema della giustiziabilità degli interessi collettivi in un momento in cui una sta-
bile sistemazione dei requisiti legittimanti il ricorso innanzi al giudice amministrativo era an-
cora lontana da venire, evitò nella sostanza la prospettiva propriamente ricostruttiva (che al
contrario ancora presentava ampie possibilità argomentative in ordine ad una visione meno
personalistica della tutela), attestandosi in una posizione di sostanziale chiusura esegetica, at-
tenuata – se non effettivamente contraddetta – dalla rilevazione dell’assoluta necessità di ri-
conoscimento giuridico dei nuovi interessi materiali emergenti.
44 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 24 (corsivi dell’A.).
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 23

L’interesse è qualificabile come giuridico in quanto sia personale ed è


tale solo allorché un’attenta valutazione giudiziale – diversamente dal
quel che accadeva (ed accade tuttora) nel processo civile, in cui l’opera
di «individualizzazione» dell’interesse è già svolta dalla norma a priori
con l’elevazione dello stesso al rango di diritto soggettivo45 – verifichi
caso per caso quando sia possibile configurare in capo al ricorrente un’u-
tilità o un vantaggio derivante dall’annullamento dell’atto amministrativo
o diversamente un eventuale danno che il medesimo possa patire in ra-
gione della violazione della norma46.
Stante questa interpretazione della disposizione legale, nonché an-
che la postulata distinzione ontologica tra interesse individuale e collet-
tivo47, sono piuttosto prevedibili le conseguenze interpretative.

45 «Una attenta disamina ci induce […] a rilevare come la determinazione degli inte-

ressi, tutelabili in sede amministrativa, possa uscire assai più difficile di quella concernente gli
interessi che sono fondamento dell’azione giudiziale. Ciò proviene dal fatto che, a differenza
dei diritti (i quali sono comunemente definiti interessi forniti d’azione), gli interessi ammini-
strativi sono di regola di difficile individualizzazione»: così, BONAUDI, E., La tutela degli inte-
ressi collettivi, cit., p. 29-30.
46 Le incerte coordinate dogmatiche in cui opera l’Autore (cfr. retro, nota 43) sembrano

emergere con chiarezza laddove (La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 26) si rileva che «sif-
fatto interesse personale non può essere arbitrario: esso deve valutarsi secondo l’opinione me-
dia degli uomini nei casi normali, poiché altrimenti il giudizio sull’esistenza o meno dell’inte-
resse riuscirebbe impossibile, dovendo aversi riferimento all’apprezzamento soggettivo della
parte. Perciò […] l’indagine relativa costituisce spesso una questione di fatto, che va risolta
caso per caso. Senza approfondire l’indagine – continua l’A. –, basti ricordare come l’inte-
resse personale, secondo la dottrina e la giurisprudenza ormai prevalenti, deve concretarsi in
un vantaggio positivo per l’individuo, senza che per ciò occorra che il medesimo sia di natura
economica o patrimoniale, bastando che esso abbia un contenuto effettivo e non soltanto
ideale o morale».
47 Come risulterà più chiaro negli svolgimenti successivi del lavoro, se numerosi osta-

coli alla tutela degli interessi collettivi sono derivati dall’impiego di talune concezioni dogma-
tiche tradizionali tanto in sede di diritto sostanziale, quanto in sede di diritto processuale, al-
trettanti ostacoli sono discesi dall’utilizzo di nozioni dell’interesse collettivo talora lontane da
quella corretta o anche semplicemente abbozzate; nozioni comunque ritenute adeguatamente
appaganti per poter procedere alla complessiva ricostruzione degli strumenti di tutela del me-
desimo. Nello studio di Bonaudi, la nozione di interesse collettivo non solo è contraddittoria
nel suo volersi proporre alternativamente come somma o risultante di interessi individuali,
ma è anche ritenuta ontologicamente distinta dall’interesse individuale. Questa concezione,
tanto frequentemente riproposta dalla dottrina successiva, si coordina perfettamente con
l’impostazione tradizionalista-individualista-esclusivista, conducendo l’A. ad escludere che
l’interesse di individui richiamato dalla legge istitutrice della IV sezione del Consiglio di Stato
sia compatibile con la tutela dell’interesse collettivo, ovvero che l’interesse collettivo non sia
sufficientemente individualizzato da poter costituire idonea condizione d’accesso alla tutela
giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione.
24 CAPITOLO PRIMO

Per Bonaudi, infatti, la tutela dell’interesse collettivo può realizzarsi


– ma unicamente in via indiretta e occasionale – solo nei casi in cui il sin-
golo, richiedendo la protezione del suo interesse individuale, produrrà,
grazie alla eventuale coincidenza di contenuto tra il suo interesse e quello
collettivo, anche la tutela – appunto in via di ricaduta meramente fattuale
– di quest’ultimo48. Resta preclusa invece la possibilità di ritenere il sin-
golo legittimato a far valere in sede di ricorso non tanto il suo interesse
individuale-personale, ma piuttosto – direttamente – quello collettivo in
qualità di rappresentante del medesimo mediante l’esercizio di un’azione
popolare49.
Se, infatti, l’interesse tutelando deve differenziarsi in ragione dell’u-
tilità che l’accoglimento del ricorso produce in capo al singolo, allora la
posizione di colui che agisce in qualità di titolare o rappresentante del-
l’interesse collettivo, corrisponde a quella di colui che agisce per la tutela
dell’interesse ad una generica generica osservanza delle norme giuridi-
che, cioè per il rispetto del diritto obiettivo, ma – come osserva Bonaudi
– per «i principi dominanti la nostra legislazione processuale […] l’eser-
cizio di siffatta azione fu dal legislatore ammesso in casi tassativamente
determinati»50 e ciò sia «per ragioni di convenienza politica e coll’intento
di rendere maggiormente agevole, mediante il concorso diretto dei citta-
dini, il retto adempimento di talune funzioni che sono di sommo inte-
resse per l’ordinamento dello Stato»51, sia poiché «sarebbe praticamente
48 A seguito di un’analisi dei casi tipici e rari in cui l’annullamento del provvedimento
promosso per la tutela dell’interesse individuale realizzi la tutela degli interessi collettivi con-
tenutisticamente omogenei grazie all’efficacia erga omnes del provvedimento giurisdizionale
di accoglimento, si afferma: «devesi necessariamente concludere che, nel nostro ordinamento
giurisdizioinale amministrativo, la tutela dell’interesse collettivo non può, di regola, operarsi
che soltanto indirettamente ed occasionalmente, e solo quando siffatto interesse coincide con
l’interesse individuale. Ed in siffatto caso, poiché le decisioni amministrative non fanno stato
che nei rapporti del ricorrente, esse non possono avere forza obbligatoria per l’autorità am-
ministrativa nei confronti con quelli che, pur avendo col ricorrente identico interesse, si man-
tennero estranei al giudizio; cosicché non vi è altra sanzione a difesa della collettività che
quella del dovere morale, che incombe all’amministrazione, di uniformare alla decisione la
sua linea di condotta nei casi analoghi» (BONAUDI, La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 52).
49 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 53 ss.
50 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 24; l’eccezionalità dell’azione

popolare nel nostro ordinamento trova origine nelle decisioni del Consiglio di Stato ancor
prima della legge del 1889, ovvero in materia di Ricorsi al Re, come ricordano GIANNINI, M.S.
- PIRAS, A., Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica
amministrazione, cit., p. 236 s., richiamati da CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela de-
gli interessi diffusi, cit., p. 10, nota 1. Sul punto, v. anche infra, cap. III.
51 Così, BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 54, che anticipa una delle

osservazioni più comuni riguardo alla giustiziabilità degli interessi collettivi: piuttosto di re-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 25

impossibile un regolare funzionamento dell’amministrazione e della giu-


stizia amministrativa, ove si dovesse provvedere sui ricorsi che qualsiasi
cittadino ritenesse di avanzare, ed a tutela di interessi anche di minima
valutazione»52, sia ancora – ed infine – perché «la stessa lettera della
legge nel disciplinare l’ammessione del ricorso in via amministrativa e
concedendolo ai soli interessati, implicitamente dichiara che non tutti i
cittadini debbano ritenersi ugualmente interessati alla tutela della norma
che si pretende violata e che di conseguenza l’interesse, che dalla mede-
sima si vuole protetto, deve variare a seconda del diverso rapporto in cui
la norma si trova rispetto a determinate persone»53.
A migliori esiti non si giunge nemmeno nelle pagine in cui ci si in-
terroga sulla possibilità di rimettere la tutela degli interessi collettivi ad
enti o ad associazioni emerse all’interno della collettività.
In questa sede, infatti, dopo l’esame dei casi in cui detta funzione
viene ad essere svolta dagli enti di diritto pubblico come ad esempio i
Comuni54, la dottrina ora in esame si scontra con le posizioni allora tra-
dizionali e dominanti, secondo le quali la mancata attribuzione della per-
sonalità giuridica alle associazioni di fatto si opponeva, tanto al ricono-
scimento della legitimatio ad processum, quanto al conseguente riconosci-
mento della legitimatio ad causam e, dunque, della stessa titolarità del
diritto d’azione55.
D’altra parte, pur volendo risolvere positivamente le questioni ap-
pena indicate, è lo stesso Bonaudi ad ammettere un’ulteriore ostacolo ri-
costruttivo; costituito – quest’ultimo – dal riconoscimento dell’azione al
soggetto collettivo per la tutela non degli interessi «che si riferiscano alla
vita interna dell’ente», ma al contrario relativamente «a quelli assunti dal-
l’ente come suoi proprii per averlo espressamente dichiarato nell’atto co-
stitutivo». In altri termini, al problema del mancato riconoscimento della
personalità giuridica andava ad aggiungersi anche la delicata questione
della mancanza della rappresentanza legale degli interessi della classe per

cente, v. CASSESE, S., Gli interessi diffusi e la loro tutela, in La tutela giurisdizionale degli inte-
ressi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2003, p. 569.
52 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 25.
53 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 25.
54 La possibilità di individuare nei comuni i soggetti collettivi idonei a porsi come enti

portatori degli interessi sovraindividuali ha trovato particolare svolgimento anche nel dibat-
tito avviatovi a partire dagli anni Settanta: cfr. in particolare ANGIULI, A., Interessi collettivi e
tutela giurisdizionale, Le azioni comunali e surrogatorie, Napoli, 1986, su cui v. infra, cap. III,
nota 123.
55 Per lo studio delle azioni riservate agli enti, v. BONAUDI, E., La tutela degli interessi

collettivi, cit., p. 89 ss.


26 CAPITOLO PRIMO

la cui tutela l’ente si era costituito56. La contraddittoria concezione del-


l’interesse collettivo presentata da Bonaudi, insomma, nel suo essere
tanto somma che risultante di interessi individuali, da un lato, impediva
la riferibilità dell’interesse al soggetto singolo e la sua conseguente azio-
nabilità, ma, dall’altro, rendeva anche difficoltoso privare completamente
l’interesse della sua componente personale57.

2.1.3. Le conclusioni di Bonaudi


Lo studio ora in esame, come appena rilevato, giungeva dunque a ri-
sultati assai poco soddisfacenti. All’interrogativo posto a fondamento
della ricerca, infatti, l’Autore si trovava a dover contrapporre la non tu-
telabilità – de iure condito – in nessuna delle due vie logicamente possi-
bili: l’azione proposta dal singolo in rappresentanza della classe o l’azio-
ne collettiva proposta da associazioni di fatto sorte all’interno della col-
lettività.
Il patente conflitto tra esigenza e rimedio, ovvero lo scarto sussi-
stente tra le premesse all’indagine di profilo lato sensu sociologico e gli
strumenti tecnici concretamente offerti dall’ordinamento allora vigente,
era peraltro questione palesemente chiara all’Autore ed infatti l’inade-
guetezza dei risultati raggiunti costituiva ragion sufficiente per riflettere
sulla possibilità di una revisione dei modelli interpretativi comunemente
adottati, specie in relazione alle questioni che più delle altre costituivano
ostacolo al riconoscimento dei nuovi interessi emergenti.
Il punto critico, dunque, il fulcro attorno al quale ruotavano le di-
verse problematiche interpretative, veniva correttamente individuato
nella stessa concezione generale in cui era inteso il sistema di giustizia
amministrativa, specie nel rapporto tra norma e interessi in essa sottesi,
da un lato, e cittadino, dall’altro.
Come la dottrina più avvertita avrebbe indicato successivamente, in-
fatti, in una diversa concezione della giustizia amministrativa orientata in

56 Su quest’aspetto v. BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 118 ss. (i

passi riportati nel testo si trovano a p. 121). In particolare si vedano le decisioni del Consiglio
di Stato riportate dall’A. a p. 122 ss.
57 Come vedremo in numerose occasioni nel prosieguo del lavoro, l’alternativa confi-

gurazione dell’interesse collettivo come somma o sintesi di interessi individuali ha di regola


condotto la dottrina a riferire l’interesse collettivo o ai singoli (nel primo caso) o alla colletti-
vità e – poi – all’ente rappresentativo (nel secondo caso). Alla luce di queste osservazioni è
comprensibile che Bonaudi, riferendosi all’interesse collettivo tanto come somma che come
risultante, abbia poi avuto difficoltà ad imputare detto interesse sia ai singoli che ai soggetti
collettivi. Per approfondimenti, v. infra, cap. IV.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 27

senso oggettivo, avrebbe perso di importanza la distinzione tra interessi


collettivi ed interessi individuali, poiché in ogni caso l’interesse sarebbe
stato determinato, nel suo contenuto, non già rispetto al soggetto a cui fa
riferimento (individuo o collettività), ma all’oggetto verso il quale è di-
retto58 e cioè il rispetto della norma. Sorgeva, dunque, l’opportunità di
rimeditare la stessa funzione/struttura della giustizia amministrativa nel-
l’ottica delle garanzie riconosciute al cittadino all’interno dello «Stato
giuridico».
L’esistenza di interessi collettivi e la necessità di apprestarvi forme
adeguate di tutela giurisdizionale induceva, quindi, Bonaudi ad accedere
alle tesi di coloro che riconoscevano al cittadino «un diritto soggettivo,
pubblico, individuale, a che il potere esecutivo osservi la legge, o meglio,
il diritto obiettivo, in quanto che la norma giuridica, a differenza di
quanto avviene negli Stati dispotici, garantisce i diritti del cittadino e non
i diritti, ossia la volontà, del sovrano»59.
Si osservava, difatti, con largo anticipo rispetto alle posizioni che
avrebbero alimentato il dibattito nei suoi successivi sviluppi, che nel di-
ritto italiano la distinzione fra «diritto» e «interesse» può apparire «più
formale che materiale».
In altri termini, se nel processo civile la condizione indispensabile
d’accesso alla tutela era rappresentata da «l’esistenza di un soggetto del
diritto, esattamente determinato, il quale non può essere che la persona
fisica o quella giuridica», nel giudizio di legittimità (e non di merito) in-
nanzi al Consiglio di Stato l’azione poteva ben essere riconosciuta al
«quivis de populo», visto che «per dichiarare la legittimità o meno di una
norma di diritto che si pretende violata, l’esistenza di un soggetto non
[doveva] ritenersi indispensabile»60.
Nella ricerca di Bonaudi, in conclusione, emergevano già molte
delle tematiche fondamentali che amplia riflessione avrebbero suscitato
nel successivo dibattito post-costituzionale: ovvero la dimensione so-
vraindividuale dei nuovi interessi emergenti, la natura individualistica o,
più correttamente esclusivistica, degli interessi tutelati dal processo, la
consenguente necessità di interrogarsi sulla rispondenza dei concetti giu-
ridici tradizionali alle esigenze concrete di tutela.

58 BONAUDI,E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 22-23.


59 CosìBONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 178 nel richiamare le tesi
di Mortara, Orlando e Cardon.
60 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 180.
28 CAPITOLO PRIMO

2.2. L’interesse collettivo nelle origini del diritto del lavoro nello Stato
tardo-liberale
2.2.1. Le riflessioni di Giuseppe Messina sull’interesse da tutelarsi in sede
di concordato collettivo
Operato questo breve excursus sul processo amministrativo, occorre
volgere il nostro sguardo al campo dell’esperienza giuridica che – tra
tutti – specie nel periodo storico ora in esame, ha dimostrato la più spic-
cata propensione ad interrogarsi sul possibile riconoscimento giuridico
di interessi metaindividuali. Il riferimento è, come ovvio, al diritto so-
stanziale e processuale del lavoro.
Ciò risulta, d’altra parte, assai comprensibile alla luce del rapporto
di massima prossimità, che legava detto settore a quell’area dei rapporti
sociali che si era presentata come terreno di elezione per l’attivarsi dei
nuovi conflitti e per l’esprimersi dei nuovi interessi.
La contraddizione tra dinamica reale e disciplina giuridica era, in-
fatti, riguardo la regolamentazione dei rapporti di lavoro, insopportabile.
61 Su questo aspetto v. CASTELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, Milano, 1994,
che rileva come i pur diversificati contributi degli Autori anteriori all’opera di BARASSI «pro-
spettarono […] regolamentazioni variamente articolate delle diverse forme di lavoro, deri-
vando pur sempre la configurazione negoziale della fattispecie di riferimento alla definizione
codicistica di lavoro d’opera, per tutti positivamente vincolante. Basti pensare che al di là
della ricorrente critica del codice civile, gli autori sopra citati subirono la suggestione […] di
procedere alla costruzione scientifica della fattispecie attraverso la tecnica della classificazione
per genere e per differenze specifiche, sulla scorta più o meno coerente e fedele, della traccia
fornita dal sistema di definizioni e classificazioni concatenate dei negozi locativi di cui agli ar-
ticoli 1568-1570 e 1627 del codice civile del 1865»; cfr. anche SPAGUOLO VIGORITA, L., Subor-
dinazione e diritto del lavoro. Problemi storico-critici, Napoli, 1967; ROMAGNOLI, U., Alle ori-
gini del diritto del lavoro: l’età preindustriale, in Riv. it. dir. lav., 1985, I, p. 514 ss.; ID., All’o-
rigine dei rapporti tra capitale e lavoro: locazione d’opere e società, in Lavoratori e sindacati tra
vecchio e nuovo diritto, Bologna, 1974, p. 13 ss.
62 V., sul punto, SOLARI, G., Socialismo e diritto privato, cit., p. 198, che descrive le con-
dizioni che in Germania favorirono l’introduzione della legislazione sociale: «il salario rap-
presenta per l’operaio la condizione stessa della vita, e il più delle volte l’operaio disoccupato
premuto dal bisogno non discute i patti del lavoro ma li subisce e cede la sua forza di lavoro
per quel tempo e quel prezzo che l’imprenditore vuole. Il presupposto giuridico della libera
volontà e dell’uguaglianza delle parti non vale per il contratto di lavoro industriale. In realtà
il rapporto di lavoro non sancisce l’uguaglianza ma la dipendenza dell’operaio ossia il predo-
minio dell’imprenditore. La contraddizione tra la forma giuridica e il contenuto economico
diventa evidente. È vero che l’operaio ha consentito al contratto: coactus sed tamen voluit: ma
non sempre quando l’accordo di volontà di due persone è richiesto per formare un negozio
giuridico, la dichiarazione di volontà ha per entrambi lo stesso significato. Ciò vale pel for-
malismo dei giuristi, ma chiunque guarda al contenuto reale del rapporto non potrà a meno
che constatare che nel contratto di lavoro si consacra un vero e proprio dominio dell’im-
prenditore sugli operai, dominio che esclude la libertà e l’uguaglianza giuridica».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 29

Il contratto di lavoro subordinato era ricondotto, come tradizione


romana voleva, alla locatio operarum61 e, come tale, alla disciplina gene-
rale dei contratti, che, nelle codificazioni illuministiche, era immediata
espressione del principio dell’uguaglianza delle parti e della libertà con-
trattuale delle medesime. Ma il trapasso dalla forma alla sostanza era do-
lorosissimo62. Difatti, sul piano reale dei rapporti, il sistema di produ-
zione industriale presentava una forte asimmetria di posizione contrat-
tuale tra datore e lavoratore.
È in questo contesto quindi che, seppure in ritardo rispetto ad altri
paesi europei, si sviluppa in Italia l’associazionismo tra lavoratori e, pa-
rallelamente, la dottrina avanza i primi tentativi atti a fornire una qualifi-
cazione giuridica alle nuove prassi che andranno prendendo sempre più
piede nel mondo del lavoro63.
Dato l’oggetto ben determinato dell’indagine che si intende svolgere,
non è nostro obiettivo esaminare nel dettaglio il fiorire dei nuovi studi che
vengono ad avviarsi a cavallo tra Otto e Novecento64, ma è interessante
63 «Del nuovo atteggiamento rispetto ad una prassi delle relazioni industriali fino a quel
momento illegittima – sintetizza CASTELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, cit., p. 221
– ebbe immediata percezione la dottrina: l’assenza di interventi legislativi sulla diretta quali-
ficazione giuridica dei fenomeni collettivi o sulla tipizzazione normativa del contratto di la-
voro suscitò, anzi, l’impegno a dispiegare tutte le risorse interpretative per dare più coerente
sistemazione ai pochi materiali normativi esistenti. Da allora al primo lustro del Novecento,
la nascita di una dottrina del diritto del lavoro è testimoniata da una produzione scientifica
solo in un primo tempo arroccata nella critica del codice e dei suoi principi individualistici e
liberal-borghesi, ma poi sempre più impegnata a identificare e catalogare, nel repertorio del
vecchio e del nuovo diritto, gli spunti utili a costruire l’istituto del lavoro subordinato». Sem-
pre all’A. appena citata si rimanda per l’esame dei due principali orientamenti in cui il dibat-
tito dottrinale si era articolato: i cc.dd. novatori o neoterici, che, accomunati dalla critica del
diritto vigente, auspicavano l’introduzione di un nuovo codice «privato-sociale» e la dottrina
al contrario attestata su posizioni di stampo maggiormente tradizionalista. Distinzione que-
st’ultima che per la Castelvetri (p. 246 s.) non sarebbe comunque raffigurabile in termini di
contrapposizione visto che «gli orientamenti critici ebbero senz’altro il merito di segnalare al-
l’attenzione della dottrina civilistica l’esigenza di individuare i rimedi alle diseguaglianze so-
stanziali, ma non suscitarono nei giuristi pre-barassiani alcuna “invenzione” tecnico-interpre-
tativa né alcun realistico progetto d’intervento per tradurre l’istanza di tutela in soluzioni
emancipate dalla logica tradizionale ed indiscussa del collegamento della disciplina ad una
fattispecie contrattuale»; circostanza, quest’ultima indicata, tale da condurre alla negazione
«dell’esistenza in seno alla dottrina italiana di una linea politica legislativa durevolmente e so-
stanzialmente alternativa a quella astensionistica espressa dal Barassi nel Filangeri nel 1899
[…]». Per un profilo storico del dibattito v. GROSSI, P., «La scienza del diritto privato». Una
rivista-progetto nella Firenze di fine secolo. 1893-1896, cit., passim., cui adde la dottrina cit.
alle note che seguono.
64 Per una panoramica assai ampia e completa v. ancora CASTELVETRI, L., Il diritto del la-
voro delle origini, cit.; ID., Le origini dottrinali del diritto del lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1987, p. 246 ss.
30 CAPITOLO PRIMO

notare come già in essi sia possibile scorgere i primi tentativi, più o meno
definitoriamente orientati, di apprezzamento concettuale dell’interesse
collettivo; già in questi prodromi, infatti, è agevole rilevare i tratti costitu-
tivi che verranno a far parte anche dei successivi sforzi definitori.
Si pensi, ad esempio, ad alcuni fondamentali passaggi che si riscon-
trano negli scritti di Giuseppe Messina, cioè di colui che, come efficace-
mente sostenuto, «ha avuto il merito – nel nostro Paese – di far uscire il
pensiero giuridico-sindacale dalla minore età»65.
Sul piano nominalistico, ad esempio, l’interesse non si presenta an-
cora stabilmente qualificato come collettivo, bensì sovente si presenta in
termini di interesse comune ai membri del gruppo66. Ma al di là di que-
st’ultimo profilo, numerosi sono i suggerimenti rivolti, nella sostanza, alle
successive elaborazioni.
65 Così, ROMAGNOLI, U., Le origini del pensiero giuridico-sindacale in Italia, in Lavoratori

e sindacati tra vecchio e nuovo diritto, cit., p. 161; e cfr. anche ID., I «concordati» di Giuseppe
Messina: nota introduttiva, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, p. 107 ss. Per l’esame del dibat-
tito dottrinale in materia di contrattazione collettiva nel periodo tardo-liberale, oltre al con-
tributo più volte richiamato della CASTELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, cit., p. 291
ss., v. PASSANTI, P., Storia del diritto del lavoro, I, La questione del contratto di lavoro nell’Ita-
lia liberale (1865-1920), Milano, 2006, spec. p. 446 ss. per l’esame della posizione di Messina.
Sul tema, cfr. anche ROMAGNOLI, U., Le origini del pensiero giuridico-sindacale in Italia, cit., p.
123 ss.; ID., Per uno studio sul contratto collettivo: il contributo del Consiglio superiore del la-
voro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 446 ss.; VENEZIANI, B., I conflitti collettivi e la loro
composizione nel periodo precorporativo, in Riv. dir. lav., 1972, I, p. 208 ss.; CAPPELLETTO, M.,
Per una storia del diritto del lavoro: il contratto collettivo ed i probiviri, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1977, p. 1198 ss.; VARDARO, G., L’inderogabilità del contratto collettivo e le origini del pen-
siero giuridico-sindacale, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1979, p. 537 ss.; CASANOVA, M., Il diritto
del lavoro nei primi decenni del secolo: rievocazioni e considerazioni, in Riv. it. dir. lav., 1986,
I, p. 231 ss.; MENGONI, L., Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, ora in Di-
ritto e valori, Bologna, 1985, p. 247 ss.; CASTELVETRI, L., Le origini dottrinali del diritto del la-
voro, cit., p. 246 ss.; VENEZIANI, B. - VARDARO, G., La rivista di diritto commerciale e la dottrina
giuslavoristica delle origini, in Quaderni fiorentini, 1987, p. 441 ss.; CAZZETTA, G., Leggi so-
ciali, cultura giuridica ed origini della scienza giuslavoristica in Italia tra Otto e Novecento, in
Quaderni fiorentini, 1988, p. 155 ss.; ID., L’autonomia del diritto del lavoro nel dibattito giuri-
dico tra fascismo e Repubblica, in Quaderni fiorentini, 1999, p. 385 ss. Per un profilo più pro-
priamente storico del fenomeno sindacale in generale, v. CRAVERI, P., Sindacato (storia), in Enc.
dir., 1990, XLII, p. 659 ss.
66 V. MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, in Riv. dir.

comm., 1904, I, p. 458 ss., e successivamente – fonte dalla quale prenderemo le citazioni – in
Scritti giuridici, IV, Scritti di diritto del lavoro, Milano, 1948, in cui l’illustre A., oltre che al-
l’interesse «collettivo» si riferisce a «interessi comuni da soddisfare» (p. 5), a «interessi co-
muni della classe operaia» (p. 11), piuttosto che a «interessi […] al miglioramento di una
classe, di una professione». Il celebre saggio a cui ci riferiamo è stato successivamente ripub-
blicato nel Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, p. 113 ss., con la già citata presentazione di ROMA-
GNOLI, U., I «concordati» di Giuseppe Messina: nota introduttiva.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 31

Innanzitutto è possibile sin d’ora cogliere l’aspetto unitario e globale


dell’interesse collettivo. E ciò emerge inequivocabilmente laddove ven-
gono sottolineate da Messina le «relazioni di dipendenza che legano ogni
subietto ai suoi simili, relazioni che sfruttate convenientemente possibili-
tano ed assicurano un’influenza nelle volontà individuali»67.
L’attenzione dell’Autore non manca di concentrarsi su quei vincoli
che sussistono tra gli interessi dei singoli lavoratori; vincoli che permet-
tono di poter individuare nel concordato di tariffa uno strumento che
«tende a soddisfare uno stesso interesse»68, inteso dunque in senso unita-
rio, poiché «anche nella determinazione di clausole di interesse indivi-
duale, la direzione battuta […] è quella di tutelarlo considerando i mem-
bri delle parti contraenti non uti singuli, ma come membri di un
gruppo»69.
Al di là di questo aspetto, poi, ancor più interessante è notare come
nell’impostazione dell’illustre giurista già si presentino due profili della
nozione che, tanto nel periodo corporativo, che post-corporativo, ver-
ranno ad essere confermati dalla maggioranza degli apporti dottrinali.
Ci riferiamo alla tendenza ad avanzare una nozione dell’interesse
collettivo avente natura astratta e seriale.
Dice Giuseppe Messina: «l’unità di intento che abbiamo veduto
campeggiare nel contratto di tariffa determina un’altra particolarità dei
suoi subietti. Questa cioè che la pluralità dei membri di una parte dev’es-
sere costituita da consorti del mestiere, sempre che l’interesse da realiz-
zare non sia comune a mestieri diversi. Poiché, se per l’azione negativa
costituita dai mezzi di coercizione psicologica è possibile l’unione dei la-
voratori non tenuti assieme da vincolo professionale (ad es., per lo scio-
pero di solidarietà) lo stesso non potrebbe dirsi quando si tratta di co-
spirazione per effetti giuridici positivi. Questa presuppone l’omogeneità
dell’interesse da tutelare»70.
E più avanti: «la parte operaia non appare come una pluralità di in-
dividui determinati, ma come una pluralità di personae incertae, contras-
segnate obiettivamente dall’appartenenza ad un mestiere».

67 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 9-10.

Per l’indicazione riassuntiva degli AA. che successivamente valorizzeranno l’aspetto unitario
dell’interesse collettivo lungo la linea del vincolo solidaristico che abbraccia i diversi interes-
sati, v. infra, cap. IV, nota 42.
68 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 24.
69 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 24 ss.
70 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 25.
32 CAPITOLO PRIMO

«Quando la maestranza di una fabbrica compare come parte con-


traente, bisogna configurarla […] come una pluralità non chiusa, indefi-
nita ed agente come se racchiudesse in sé i futuri partecipi della mae-
stranza, i successori di fatto degli attuali componenti»71.
L’interesse «comune» è pertanto configurato in senso astratto, poi-
ché si determina in relazione alla maestranza, ovvero più specificamente
in relazione alla possibilità di riferirlo alla maestranza in quanto tale; e la
stessa maestranza che lo determina è configurata come un insieme ideale
di persone, svincolato dalle concrete vicende e dalle fluttuazioni del
gruppo. Emerge, come vedremo più chiaramente espresso da Francesco
Carnelutti, il concetto di interesse seriale.
Ulteriormente apprezzabili sono alcuni passi di Galizia – Autore vi-
cino alle posizioni di Messina – nei quali, sebbene in presenza delle con-
suete oscillazioni nominalistiche, l’interesse, comune o collettivo che sia,
viene ad essere tratteggiato nella sua configurazione unitaria, allorché si
evidenzia come il conflitto industriale, «ha prodotto […] nei rapporti tra
gli operai, un sentimento e un vincolo nuovo, che tutti li riunisce in una
comunanza di interessi e di aspirazioni e per cui, oggi, nessuno di essi si
crede mai estraneo a gli interessi dell’altro: voglio dire – sintetizza Gali-
zia – il sentimento e il vincolo della solidarietà professionale»72.
Ma ancor più interessante è lo studio degli effetti realizzati dal vin-
colo solidaristico che tiene assieme i diversi interessi, poiché detto vin-
colo, non solo determina il sorgere delle associazioni sindacali, ma fa sì
che, nella formazione del contratto collettivo, «le volontà dei singoli non
rimangono separate e distinte, né la volontà dell’associazione è una
somma meccanica della volontà dei singoli, ma queste, organicamente e
armonicamente manifestandosi e coordinandosi, per il raggiungimento
dello scopo fissato nel contratto, si fondono in una volontà organica e
unica»73; cosicché – chiarisce Galizia ponendo ancora in risalto gli aspetti

71 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 26.
72 GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, Napoli, 1907, ora nella ristampa con pre-
sentazione di Napoli, Milano, 2000, p. 73.
73 GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, cit., p. 78 (c.vo mio). Può essere oppor-

tuno chiarire che, sia la dottrina di Messina, sia quella di Galizia – per potersi ben compren-
dere – necessitano di essere proiettate sullo sfondo del dibattito che li vede partecipi. L’o-
biettivo essenziale che, difatti, dà ragion d’essere alle riflessioni della dottrina ora indicata è –
come noto – rappresentato dall’obiettivo di elaborare una nozione di contratto collettivo non
coincidente con la mera sommatoria di pur separati contratti individuali; e ciò – ovviamente
– allo scopo di impedire che la contrattazione delle condizioni di lavoro si svolgesse in regime
di concorrenza tra lavoratori, fenomeno quest’ultimo disastroso per i lavoratori che, costretti
dalle ineluttabili necessità del sopravvivere, erano disposti, se colti individualmente, ad accet-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 33

del suo pensiero che a noi maggiormente interessano in questa sede – «in

tare condizioni miserrime. E questo risultato poteva essere raggiunto appunto sostenendo,
per un verso, che i lavoratori venissero, per via dell’accordo, ad obbligarsi non solo rispetto
al datore, ma anche tra loro, e, dall’altro, che per il datore, la violazione delle disposizioni del
patto in relazione ad un singolo rapporto di lavoro, costituisse violazione dell’accordo in toto.
Ecco, dunque, che MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro,
cit., p. 40-41, avanza la tesi del concordato di tariffa come atto complesso – cfr. sul punto an-
che GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, cit., p. 87 – grazie al quale viene a configu-
rarsi un accordo interno tra lavoratori, a cui consegue «la riduzione della pluralità dei mem-
bri di una parte contraente ad un unico pasciscente» e che GALIZIA, A., Il contratto collettivo
di lavoro, cit., p. 78, viene a parlare della «volontà organica e unica» di cui nel testo. In que-
sti AA. si assiste dunque allo sforzo di trasportare nel mondo del diritto quel vincolo di soli-
darietà che emergeva prepotentemente dalla realtà delle relazioni. Contra, cfr. BARASSI, L., Il
contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, II, Milano, 1917, p. 98 ss., che critica le posi-
zioni di Messina e Galizia per ciò che riguarda la possibilità di avanzare una concezione uni-
ficante delle singole posizioni individuali mediante la loro conversione in un «unico pasci-
scente» o in una «volontà organica e unica». Per Barassi infatti occorre opporsi a «questa si-
stematica artificiosa che utilizza giochi di parole per travisare la realtà». Come afferma
l’illustre Autore: «è un po’ una sistematica da prestigiatore, che riesce a nascondere più og-
getti in uno solo come se un solo oggetto complessivamente sussista». Così Barassi preferisce
riferirsi all’associazione sindacale come ad un «organismo plurimo, ma vivente, con tratta-
mento giuridico prevalentemente atomistico» (p. 96), ma, d’altra parte, non nega la necessità
di dar riconoscimento giuridico a «quella solidarietà e indivisibilità che stringe i membri della
collettività contraente»; ciò che contesta è la strada seguita dalla dottrina criticata per rag-
giungere detto risultato interpretativo. In ordine alle nostre finalità di studio, peraltro, non
sussiste un interesse primario all’approfondimento della struttura del contratto collettivo
avanzata nella dottrina di Barassi, ma preme piuttosto investigare su quale sia la nozione ac-
colta di interesse collettivo. Proprio quest’ultimo, infatti, viene chiamato in causa per dare
fondamento giuridico al nesso di interdipendenza che lega i diversi vincoli contrattuali dei
singoli lavoratori. Rileva Barassi che detto vincolo può derivare o da una espressa previsione
in sede di accordo, o, qualora questa manchi, dall’insieme delle circostanze ed in particolar
modo dal fatto che l’affare per cui si contrae sia «comune obiettivamente, in modo da creare
una indivisibilità tra i partecipanti» (p. 99). Ma nel contratto collettivo, in assenza delle con-
dizioni or ora accennate, può raggiugersi il medesimo risultato alla luce del vincolo solidari-
stico sussistente tra gli interessi dei lavoratori. Afferma, difatti, Barassi: «la sussistenza di una
solidarietà interna reagente anche esternamente sui singoli rapporti giuridici non è dubbia an-
che, e specialmente, quando si tratti di un concordato preliminare di lavoro. Si dice infatti
che questo tutela appunto l’interesse comune, e non i singoli interessi individuali. Ora, io vo-
glio anche ammettere che questa sia qualità caratteristica […] di tutti gli accordi con colletti-
vità […] a tipo sindacale, per cui […] l’accordo collettivo è arma pacifica nella competizione
con l’altro contraente, per far valere un interesse solidale […]. Ciò posto mi par certo che
questa caratteristica del concordato lo compenetri così sostanzialmente da creare un legame
tra le singole posizioni contrattuali parallele” (p. 99-100), con la conseguenza che “questo ri-
sultato […] si possa generalizzare a qualunque accordo con collettività di persone preordi-
nata appunto a far valere con quell’accordo un interesse collettivo» (p. 100; si noti anche qui
il profilo lessicale, evidenziato dai corsivi appositamente introdotti). Insomma sembra possi-
bile ritenere che anche per Barassi, l’interesse collettivo, sebbene non operi nel senso di ren-
34 CAPITOLO PRIMO

tal modo si ha la subordinazione della volontà e dell’interesse individuale


a la volontà e all’interesse collettivo»74.
Tanto nelle parole del Messina, quanto in quelle del Galizia, dun-
que, l’interesse collettivo non è ancora oggetto di un tentativo rigoroso di
configurazione dogmatica, come avverrà nei successivi sviluppi del di-
ritto sindacale75, né assume quel ruolo di strumento assolutamente essen-
ziale per la ricostruzione formale dei fenomeni giuridici sindacali, ma –
ciò che importa – è comunque la dimensione collettiva del conflitto tra
classi che determina l’attivarsi dei tentativi dottrinali rivolti alla costru-
zione dei nuovi istituti del diritto del lavoro e la pur sfocata immagine
concettuale che ci viene fornita dalla dottrina indicata manifesta il suo sa-
persi modellare alle concrete esigenze ricostruttive e di tutela76. In altri
termini, l’interesse collettivo è già presente come motore del rinnova-
mento, ma non ha ancora raggiunto quel grado di elaborazione concet-
tuale che lo porterà, nei futuri sviluppi del diritto sindacale, a presentarsi
come realtà ontologica, come un’entità pseudo-corporea, da cui non po-
ter prescindere nella ricostruzione giuridica.

dere unitaria la posizione contrattuale dei lavoratori assieme, comunque serva a gettare i
ponti tra i vari vincoli individuali ed inoltre – cosa che a noi interessa maggiormente – sem-
bra effettivamente plausibile assimilare la posizione di Barassi a quella di Messina e di Gali-
zia per ciò che specificamente attiene alla configurazione dell’interesse collettivo in una veste
unitaria e distinta dagli interessi individuali. Considerazione – quest’ultima – che trae con-
ferma dall’effetto unificante che comunque, sebbene in diversa forma e misura, appartiene al-
l’interesse ed anche dall’adesione espressa di Barassi alle tesi che sostengono che il contratto
collettivo «tutela appunto l’interesse comune, e non i singoli interessi individuali».
74 GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, cit., p. 79 (c.vo mio). Si noti con atten-

zione come dalle parole di Galizia emerga uno degli aspetti fondamentali delle successive ela-
borazioni, per ciò che riguarda i rapporti tra interesse collettivo e interesse individuale, tanto
durante il periodo corporativo, quanto nelle evoluzioni dottrinali post-costituzionali. Il feno-
meno è il seguente e sarà approfondito più avanti (v. infra), ma è utile farvi un cenno sin
d’ora: allorché si configura un interesse collettivo distinto dalla somma degli interessi indivi-
duali, viene a crearsi un’ontologica frattura tra interesse collettivo ed interesse individuale e
da ciò ne consegue il problema del coordinamento tra le due entità. Galizia parla a tal pro-
posito di rapporto di subordinazione, come nei medesimi termini vi si riferisce anche MES-
SINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 10 ss., per il quale
«la lotta acuta di concorrenza impegnata nelle relazioni industriali giustifica il sacrificio di
parte dell’indipendenza e della libertà individuale a favore del gruppo». Sarà interessante tra
breve notare come questa problematica venga ripresa e sapientemente sfruttata dall’ideologia
del regime fascista: su cui v. infra, § 3 ss.
75 V. ad esempio le ben limate definizioni avanzate durante il periodo corporativo da

Carnelutti e Cesarini Sforza, o, successivamente all’entrata in vigore dell’ordinamento costi-


tuzionale, la nota posizione di Francesco Santoro Passarelli.
76 V., in particolare, le osservazioni avanzate alla nota 73.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 35

2.2.2. La proiezione dell’interesse collettivo dei lavoratori all’interno del


processo: i progetti di riforma della «magistratura» probivirale e l’af-
fannoso tentativo di configurazione di controversie collettive
2.2.2.1. Premesse: l’intervento di Lodovico Mortara. – Lo studio delle
origini delle odierne discipline giuslavoristiche offre interessanti spunti,
non solo sul piano sostanziale, ovvero in ordine all’elaborazione della fi-
gura soggettiva sostanziale tutelanda, bensì anche sul piano processuale.
Il conflitto industriale, infatti, in questo periodo della storia del nostro
Paese, non solo vuole imporsi al diritto materiale per la nascita di nuovi
istituti giuridici che possano fungere da strumenti di tutela dei nuovi bi-
sogni collettivi, ma aspira anche ad un suo riconoscimento all’interno del
processo. Così, l’affermazione secondo la quale «il problema che da un
secolo all’altro incombeva era quello della fattispecie e dei suoi limiti sog-
gettivi – fosse contratto, fosse sentenza –»77 sembra veramente capace di
rendere l’idea di come i nuovi interessi emergenti – gli interessi collettivi
dei lavoratori uniti in lotta per il riconoscimento delle loro prerogative –
costituiscano la spinta verso l’abbattimento delle tradizionali strutture
concettuali, siano esse di diritto sostanziale, siano esse di diritto proces-
suale. In altri termini, ai tentativi di elaborazione della figura del con-
tratto collettivo di lavoro, si affiancano, in stretta dipendenza, i tentativi
di elaborazione del processo collettivo.
In ambito giurisdizionale la rilevanza economica e sociale del con-
flitto industriale tra datore e gruppi di lavoratori, aveva portato all’istitu-
zione dei Collegi di probiviri con la legge n. 295 del 15 giugno del
189378; collegi introdotti anche in Italia, inizialmente, come strumento di

77 CAPRIOLI, S., Redenti giurista empirico, introduzione alla ristampa di REDENTI, E.,
Massimario della giurisprudenza dei probiviri, Torino, 1992, p. 9.
78 Sui probiviri industriali, v., tra i primi interventi di commento, LESSONA, C., Codice

dei probiviri, Firenze, 1894; successivamente si tenga presente l’opera di sistemazione di RE-
DENTI, E., Sulla funzione delle Magistrature industriali, Introduzione al Massimario della giuri-
sprudenza dei probiviri, Roma, 1906, ora in Scritti e discorsi giuridici di mezzo secolo, Milano,
1962, II, p. 577 ss. Attualmente si veda la citata ristampa del Massimario, a cura e con l’in-
troduzione di CAPRIOLI, S., Redenti giurista empirico, cit., a cui si riferiscono i richiami che se-
guono; l’ampia voce di DI FRANCO, L., Probiviri, in Dig. it., XIX, 2, Milano, 1908-1913, p.
260-339. Per la dottrina successiva, sebbene in relazione a prospettive d’indagine non ricon-
ducibili ad unità, v. GRANDI, M., Profilo storico della composizione delle controversie di lavoro
in Italia nel periodo pre-fascista, in Lavoro e sicurezza sociale, 1959, p. 89 ss.; VENEZIANI, B., I
conflitti collettivi e la loro composizione nel periodo pre-corporativo, in Riv. dir. lav., 1972, I, p.
208 ss.; CAZZOLA, G., Valutazioni critiche sull’esperienza italiana dei collegi dei probiviri alla
luce della riforma del processo del lavoro, in Riv. giur. lav., 1973, I, p. 361 ss.; MONTELEONE,
G., Una magistratura del lavoro: i collegi dei probiviri nell’industria (1883-1911), in Studi sto-
36 CAPITOLO PRIMO

pacificazione del conflitto industriale sulla scia dell’esempio francese, ma


poi rapidamente orientatisi in funzione propriamente giurisdizionale;
funzione che – come osservava Enrico Redenti – «dovette invece nella
pratica rivelarsi attiva ed avente una propria, ben diversa da quella pre-
conizzata, ma pur feconda efficacia e ragion d’essere»79.
D’altra parte, già a breve distanza dalla loro introduzione, si era ri-
velata l’inadeguatezza di un processo che, a fronte della particolare na-
tura collettiva degli interessi coinvolti, per un verso, rimaneva chiuso alle
«controversie collettive», per le quali non sussisteva competenza innanzi
ai collegi probivirali80, e, per l’altro, guardava alle «controversie indivi-
duali» riducendole ad un conflitto dal perimetro limitato al datore ed al
lavoratore singolo, in netto contrasto con la comune percezione della di-
namica reale del contrasto.
È in questa prospettiva, dunque, che l’insofferenza per una configu-
razione tradizionalistica del giudizio prese veste esteriore per mezzo delle
parole di Lodovico Mortara, nella Relazione sui collegi dei probiviri per le
industrie, letta nella seduta del 28 giugno 1902 della Commissione per la
statistica giudiziaria e notarile di cui era membro come professore di pro-
cedura civile81; occasione, nella quale l’autorevole giurista mantovano

rici, 1977, p. 88 ss.; CAPPELLETTO, M., Per una storia del diritto del lavoro: il contratto collet-
tivo e i probiviri, cit., p. 1198 ss.; BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, Bologna, 1980;
OFFEDDU, M., Attualità di una ricerca storica: Probiviri industriali e licenziamenti, in Giorn. dir.
lav. rel. ind., 1981, p. 59 ss.; PROTO PISANI, A., Controversie individuali in materia di lavoro,
Cenni sulla storia della giustizia del lavoro, in Noviss. Dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, p.
612 ss.; CECCHELLA, C., L’arbitrato nelle controversie di lavoro, Milano, 1990, p. 35 ss.; CA-
STELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, cit., p. 173 ss. Sul tema, v. di recente PASSANTI,
P., Storia del diritto del lavoro, cit., p. 355 ss. cfr. anche CAZZOLA, G., La giustizia del lavoro in
crisi: dal passato un rimedio possibile, in Dir. lav. rel. ind., 2006, p. 379 ss.
79 REDENTI, E., Sulla funzione delle Magistrature industriali, cit., p. 86, che aggiunge:

«quanto avviene oggidì dei nostri probiviri ci è documento anche di ciò, giacché, rimanendo
tuttora inalterato il loro ordinamento primitivo, essi falliscono il loro compito di pacifica-
zione, ma come organi giurisdizionali (sia “in via giudiziaria”, sia in via di conciliazione stricto
sensu), funzionano effettivamente […]».
80 «La lacuna appare intollerabile – rileva ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel

processo, Milano, 1969, p. 4 ss. – non appena si prende coscienza, ancorché in maniera ap-
prossimativa, che la controversia di cui può essere investito il collegio probivirale in qualità
di organo giurisdizionale è in realtà una controversia pseudo-individuale o, quanto meno, una
controversia individuale nei risvolti della quale si cela normalmene un interesse collettivo
(non meglio identificato)». Su quest’aspetto della legislazione probivirale, v., anche per i rela-
tivi riferimenti bibliografici, CASTELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, cit., p. 185 ss.;
CECCHELLA, C., L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 67 ss.
81 MORTARA, L., Sui collegi dei probiviri per le industrie, in Annali di statistica, Atti della

Commissione per la statistica giudiziaria e notarile, sessione del giugno 1902, Roma, 1903, p.
181 ss., cit., p. 182.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 37

sollevò due distinte, quanto connesse questioni, che da lì a breve avreb-


bero rappresentato il centro di gravitazione del dibattito successivo e che
riguardavano l’allora inesplorata prospettiva di dare ingresso nel nostro
ordinamento a strumenti di risoluzione di controversie collettive anziché
individuali.
In primo luogo, Mortara si chiede «se l’indole e i fini sociali ed eco-
nomici di questa giurisdizione consentono che essa sia obbligata a fon-
dare rigorosamente le sue pronunce sulle norme dello strictum ius, appli-
cando caso per caso, le regole del diritto positivo vigente; o non si addica
meglio ad un simile organo del diritto industriale quella funzione di con-
ditor iuris che è la caratteristica storica e logica, di ogni giurisdizione
creata al servizio di nuove categorie di rapporti giuridici, evolventisi, con
mutabilità di condizioni e di circostanze in una determinata epoca, come
avviene appunto oggi per i rapporti derivanti dal contratto di lavoro in
relazione al rapido incremento della vita industriale» 82.
Di certo, comunque, specie in ordine alla specifica prospettiva di
studio qui seguita, il primo passo verso l’affermazione degli interessi col-
lettivi nel processo va rilevato nel secondo interrogativo che anima la Re-
lazione di Mortara. Il quesito proposto è difatti volto a verificare «se gli
effetti delle sentenze proferite debbano rimanere circoscritti, secondo i
tradizionali canoni del diritto giudiziario privato, fra le persone dei liti-
ganti e sulla cosa controversa, o non giovi meglio allargare i confini entro
i quali si svolge l’autorità del giudicato, per evitare la ripetizione contem-
poranea o immediatamente successiva di controversie analoghe a quella
decisa, quando sia unica o identica la causa del dissidio». E ciò essen-
zialmente poiché, nell’opinione di Mortara, «non vi sono più o non vi
sono in misura considerevole attriti giuridici fra individuo e individuo
delle classi industriali e operaia; vi sono soltanto o sono prevalenti e in
prima linea gli attriti e gli urti di carattere collettivo. Anzi questo carat-
tere è diventato tanto assorbente, che non di rado l’urto fra due individui
[…] determina lo scoppio della contesa collettiva o di classe»83.

82 MORTARA, L., Sui collegi dei probiviri per le industrie, cit., p. 182; per l’esame ap-
profondito del dibattito, colto nelle sue diverse implicazioni, specie in riferimento alla con-
nessione sussistente tra l’allora dominante nozione di contratto collettivo di lavoro ed effica-
cia della sentenza, v. innanzitutto ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p.
4 ss.; e BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, cit., p. 24 ss.
83 Come vedremo tra breve nel testo, l’opinione di Mortara era destinata ad influire in-

delebilmente tanto sui progetti di riforma successivi in materia di giurisdizione probivirale,


quanto anche in ordine ai successivi svolgimenti legislativi che avrebbero interessato le con-
troversie colletive di lavoro durante l’ordinamento corporativo. Per meglio comprendere l’e-
38 CAPITOLO PRIMO

Due erano, quindi, i nuovi orizzonti che venivano ad essere tracciati


da questo pur breve intervento: il superamento del principio di relatività
della cosa giudicata, non più aderente alle esigenze concernenti contro-
versie che – come proiezione processuale dei conflitti reali – dovevano
essere concepite anch’esse come collettive e la necessità di una giurispru-
denza creatrice ed innovatrice che sapesse farsi carico di adeguare il di-
ritto tradizionale – specie contrattuale – alle nuove esigenze sociali.

2.2.2.2. Il Questionario di Inchiesta per la riforma della legge 15 giu-


gno 1893. – Queste osservazioni ebbero vasta eco all’interno del dibattito
dottrinale e di lì a breve, in occasione del progetto di riforma Cabrini del
190384, furono accolte dall’Ufficio del lavoro nella formulazione di un
Questionario d’inchiesta85, che – inviato «alle Camere di commercio, alle

satta posizione di Mortara, sembra d’altra parte opportuno riportare anche ciò che emerge
dai verbali della seduta della Commissione, in cui appunto Mortara, dopo le osservazioni –
talora perplesse – degli altri membri della Commissione suscitate dalla lettura della Relazione,
si trovava a precisare che la possibilità di estendere gli effetti della sentenza ultra partes tro-
vava la sua ragion d’essere nel fatto che «avviene sovente che nei rapporti tra industriali ed
operai si svolga contemporaneamente uno stesso fatto contenzioso che ha per conseguenza o
il licenziamento di operai, o il riconoscimento delle loro ragioni o altra decisione diversa»;
circostanza, quest’ultima, dalla quale poteva derivare che «una serie di controversie consimili
le quali allo stato delle cose potrebbero essere decise con giudicati opposti». Da qui la ne-
cessità di prevedere l’estensione ultra partes degli effetti della sentenza in relazione ai «con-
flitti sorti in un dato momento, per un identico fatto controverso, non essendovi diversità che
nelle parti contendenti» (Annali di statistica, Atti della Commissione per la statistica giudizia-
ria e notarile, sessione del giugno 1902, Roma, 1903, p. 26-27). Per Mortara, insomma, l’ac-
certamento la cui vincolatività doveva andare ad estendersi oltre le parti del giudizio concer-
neva precisamente l’evento storico rappresentante il cuore di pur consimili controversie. Pro-
prio laddove si rimarca l’identità oggettiva dei giudizi, messi appunto da parte gli elementi
soggettivi degli stessi, le precisazioni di Mortara inducono a ritenere che, sebbene la natura
del processo collettivo prospettato fosse indicata con rapidi e sintetici cenni, questo dovesse
intendersi come un giudizio su questioni, ovvero come un giudizio precisamente orientato al-
l’accertamento della questione comune a più controversie. Ciò conferma l’assoluta modernità
del pensiero di Lodovico Mortara sul punto, nonché la sua capacità di adeguare i principi del
processo alle emergenti esigenze di tutela. Sulla natura del giudizio collettivo su questioni, v.
infra, cap. VI, § 5.1.3.
84 Atti parlamentari, Camera dei deputati, leg. XXI, sessione 1902-1903, p. 7693 ss.
85 I probiviri industriali. Inchiesta dell’Ufficio del Lavoro per la riforma della legge 15

giugno 1893, Pubblicazioni dell’Ufficio del Lavoro, Serie B - N. 1, Roma, 1904. L’inchiesta si
sviluppò nell’invio di tre questionari, di cui il terzo, il Questionario C, fu inviato, come detto
nel testo, alle Camere di commercio, alle organizzazioni industriali, alle organizzazioni di la-
voratori ed ai cultori delle scienze giuridiche tra cui in particolare i professori di diritto pro-
cessuale civile. Per approfondimenti sui diversi quesiti avanzati, v. DI FRANCO, L., Probiviri,
cit., p. 260 ss.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 39

organizzazioni industriali, alle organizzazioni di lavoro, nonché ai cultori


di scienze giuridiche, ed in ispecie ai professori di procedura civile»86 –
appunto a dette osservazioni si ispirava fedelmente.
Va d’altra parte rilevato, che, come esattamente posto in risalto dal-
l’attenta dottrina che successivamente si è dedicata allo studio del dibat-
tito87, i quesiti avanzati dall’Ufficio del lavoro erano concepiti imperfet-
tamente, poiché nel proporre le varie questioni bisognose di approva-
zione e chiarimento da parte degli studiosi, le diverse problematiche non
erano presentate isolatamente l’una dall’altra, con l’immediata conse-
guenza di venire a costituire – detto difetto di impostazione – un osta-
colo a che il dibattito potesse instradarsi sui corretti binari di riflessione.
Di ciò è agevole rendersi conto ora, che, con gli occhi del presente,
ci si rivolge al passato per trarne utili indicazioni riguardo i fondamentali
temi che a tutt’oggi appartengono alla problematica della tutela giurisdi-
zionale degli interessi collettivi.
Si prendano in attenzione, ad esempio, il terzo ed il quindicesimo
quesito del Questionario d’inchiesta88.
Il terzo, quello disciplinante la competenza della magistratura pro-
bivirale, sollevava l’interrogativo se «estendere la giurisdizione dei Col-
legi a tutte le controversie inerenti al contratto di lavoro, tanto indivi-
duali che collettive, ancorché – e qui si annidava il sottile distinguo non
da tutti preso in adeguata o quanto meno espressa considerazione – pre-
cedenti, concomitanti e susseguenti la stipulazione».
Mentre il quindicesimo quesito, quello relativo all’efficacia della
sentenza, sebbene si proponesse l’estensione dei limiti soggettivi al di là
delle parti del giudizio al ricorrere di «controversie identiche», aggiun-
geva, in chiaro ossequio all’impostazione del Mortara, che lo scopo del-
l’innovazione sarebbe dovuto essere quello di evitare «la ripetizione con-
temporanea, o immediatamente successiva di controversie analoghe a
quella decisa, quando sia unica o identica la causa del dissidio».
Le variabili da prendere in considerazione erano dunque molteplici
e necessitavano di essere disaggregate per poter condurre a risposte pie-
namente concludenti.
Infatti, per risolvere il quesito relativo all’estensione degli effetti
della sentenza, occorreva tener separato – come è ovvio – il processo che
86 Così chiarisce Giovanni MONTEMARTINI, l’allora direttore dell’Ufficio del lavoro, nella
presentazione all’inchiesta, I probiviri industriali, cit., p. 2.
87 ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 10.
88 I quindici quesiti costituenti il Questionario in esame possono essere letti nella pre-

sentazione di Montemartini addietro citata (cfr. nota 86).


40 CAPITOLO PRIMO

avesse ad oggetto controversie individuali da quello relativo alle collet-


tive, per poi, in relazione a ciascuna delle due ipotesi, distinguere ulte-
riormente tra le controversie susseguenti la stipulazione e quelle prece-
denti o concomitanti la medesima.
Se si pensa, poi, che le opinioni dottrinali nei primissimi anni del
Novecento erano ovviamente lontane dall’acquisire una condivisa ra-
gione di distinzione tra controversie individuali e collettive89, ben si com-
prende quanto gli esiti del dibattito potessero risultare falsati a causa del-
l’incertezza su tali premesse di impostazione generale della proble-
matica90.
Redenti, ad esempio, sosteneva nella sua Introduzione al Massimario,
ovvero nella sua prima presa di posizione sul punto, che in relazione ai
«conflitti collettivi», «ogni definizione sarebbe davvero “periculosa”» e,
con una buona dose di relativismo, spiegava come genericamente ci si ri-
ferisse, con tale terminologia – alla quale tra l’altro riteneva di poter ade-
rire – ad «ogni divergenza fra uno o più industriali ed un gruppo d’ope-
rai, quando gli uni vogliono far consentire gli altri in certi determinati
contratti o patti contrattuali o concordati di tariffa, mediante la minaccia
o il fatto della sospensione concordata e contemporanea del servizio»,
chiarendo, dunque, come nel linguaggio comune la nozione di contro-

89 «A ben vedere – rileva BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, cit., p. 26 – ciò
che falsava i termini del dibattito era una concezione ancora generica e fluttuante di contro-
versia collettiva e una estrema difficoltà nel segnare i confini tra questa e la controversia in-
dividuale». Non a caso si era acutamente osservato, in relazione al Progetto Cabrini (TURATI,
F., Per la riforma della legge sui Probiviri Industriali, Relazione, in Atti del Consiglio superiore
del lavoro, seconda sessione, marzo 1904, Roma, 1904, p. 30 ss.), che tale progetto, «pure
menzionando le controversie collettive all’art. 1°, se ne dimentica affatto nei successivi 59 ar-
ticoli […]. Onde tutti i gravissimi problemi, che si riconnettono a così importante materia, ri-
mangono non soltanto insoluti, ma quasi diremo neppure sospettati. È questo questo difetto
massimo del progetto: difetto che trae origine dall’esser voluto attenersi alla vecchia e fragile
trama di una legge concepita in vista dei conflitti strettamente individuali per inserirvi una
materia tanto più vasta e complicata per via di rappezzi e cuciture». E ancora, dubitanto del-
l’opportunità di lasciare insolute le delicate questioni processuali connesse alla risoluzione
delle controversie collettive, si avanzavano polemicamente i seguenti quesiti: «Come si conte-
sta la lite e si investono di giurisdizione i conciliatori o i giudici? Come se ne determina il
mandato? E chi ha esso potere di vincolare? Tutti gli interessati nella controversia, tutti co-
loro che intervennero a un’assemblea deliberante, anche gli assenti e i dissenzianti? Il dis-
senso si presume dal silenzio o come deve farsi constatare? Come le parti collettive si citano
a vicenda? Come sono rappresentate nelle successive vicende della causa? Ogni atto dei rap-
presentati, ogni ammissione, ogni transazione, concessione o rinunzia obbligherà i rappresen-
tati? Come e da chi si notificano le sentenze? Come se ne assicura l’efficacia?».
90 In questo senso, cfr. ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 10.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 41

versia collettiva fosse ridotta alle sole controversie collettive precedenti o


concomitanti la stipulazione91.
Altri, invece, nel voler propendere verso soluzioni più d’avanguar-
dia, negavano ogni distinzioni tra controversie individuali e collettive92,
sostenendo che «allorquando gli operai di uno stabilimento sono orga-
nizzati, essi non sono mai terzi gli uni rispetto agli altri, nelle controver-
sie individuali per l’interpretazione e l’esecuzione dell’unico e comune
contratto di lavoro»; e ciò pur rilevando acutamente la necessità di tener
ferma la distinzione – questa sì di natura squisitamente logica – tra «con-
troversie contrattuali» e «controversie extracontrattuali», ovvero – que-
ste seconde – «destinate a provocare nuovi accordi collettivi»93.
Potrà ben comprendersi, dunque, quanto poco agevole si riveli lo
studio retrospettivo del dibattito dottrinale in questione, in virtù di un
clima culturale contrassegnato da soverchie incertezze sugli aspetti asso-
lutamente pregiudiziali alla corretta impostazione delle problematiche lo-
gicamente conseguenti, tra cui innanzitutto l’esatta configurazione del
concetto di controversia collettiva ed in secondo luogo la connessa tema-
tica dei limiti soggettivi della sentenza.
91 REDENTI, E., Sulla funzione delle Magistrature industriali, cit., p. 91.
92 Così, RATTO, L., L’efficacia collettiva delle sentenze nelle controversie del lavoro, in La
legge, 1904, p. 10. «L’individuo isolato è un’astrazione arbitraria nel campo giuridico» so-
sterrà ancora RATTO, L., in I problemi del lavoro (Prolusione al Corso di Filosofia del diritto
letta il giorno II dicembre 1903 alla R. Università di Roma), in Il contratto di lavoro, Roma,
1904, p. 13, come 3° principio fondamentale della nuova disciplina del contratto di lavoro.
Una prospettiva rivolta ad estinguere ogni possibilità di distinzione si ritrova anche nelle pa-
role di TURATI, F., Per la riforma della legge sui Probiviri Industriali, cit., p. 30, che sostiene:
«per controversie collettive noi intendiamo, coll’universale, tutte quelle che riguardano
schiere di lavoratori in conflitto, per ragioni di lavoro o di contratto di lavoro, con uno o più
padroni o imprenditori. Il carattere collettivo del conflitto o della controversia non è dato
dalla forma esteriore e meccanica del contratto, ma dalla natura intima delle cose: dalle esi-
genze dell’industria moderna, dall’accentramento degli operai nelle officine, dall’arruola-
mento in comune dei lavoratori della terra, dall’identità od analogia di condizioni di lavoro,
di mercedi, di disciplina, di pretese, di aspirazioni, per le quali obiettivamente, il contratto in-
dividuale di lavoro tramonta sempre più nel passato, e i conflitti, animati da ragioni inelutta-
bili di solidarietà, diventano lotte di categorie, lotte di ceti, qualche volta lotte di classe».
93 Cfr. RATTO, L., L’efficacia collettiva delle sentenze nelle controversie di lavoro, cit., p.

21, che, dalle controversie aventi ad oggetto gli accordi già stipulati, tiene separate «le con-
troversie logicamente distinte», ovvero quelle «extracontrattuali», cioè «destinate a provocare
nuovi accordi contrattuali», rispetto alle quali «esula totalmente la funzione del giudice, e
mancherebbero del resto criteri di giustizia da applicarsi, perché la stessa vertenza in due cen-
tri industriali diversi può esigere opposta soluzione»; non altrettanto chiara la distinzione in
LESSONA, C., La giurisdizione dei probiviri rispetto al contratto collettivo di lavoro, in Riv. dir.
comm., 1903, I, p. 224 ss., spec. p. 233 ss. Sul punto, v. anche TURATI, F., Per la riforma della
legge sui Probiviri Industriali, cit., p. 33 ss.
42 CAPITOLO PRIMO

Il lavoro di analisi presenta effettivamente minori difficoltà in riferi-


mento alle opinioni di coloro che, in maggior numero94, fedeli ad un’ot-
tica tradizionalista poco incline a cogliere l’attivarsi delle nuove interela-
zioni tra esigenze sociali e processo, risposero risolutamente in senso ne-
gativo al quesito concernente l’opportunità di estendere gli effetti delle
pronunce probivirali oltre i partecipanti al giudizio.
Assai rappresentativa è, ad esempio, la posizione di Giuseppe Chio-
venda, che si oppose non nettezza all’accoglimento della nuova pro-
spettiva, sostenendo di non contemplare ragione alcuna per derogare al
principio fondamentale della cosa giudicata, poiché, come chiarì, se il
contratto collettivo richiedeva veramente un particolare trattamento pro-
cessuale, questo deveva ottenersi con opportune estensioni dell’istituto
dell’intervento in causa e della integrazione del giudizio, non della cosa
giudicata, perché altrimenti delle possibili decisioni identiche, la prima,
vale a dire la più immatura, si sarebbe cristallizzata venendo a costituire
la norma a venire95.

94 Cfr. I probiviri industriali. Inchiesta dell’Ufficio del Lavoro per la riforma della legge

15 giugno 1893, cit., p. 83 ss.


95 Cfr. la risposta al Questionario riportata in I probiviri industriali. Inchiesta dell’Ufficio

del Lavoro per la riforma della legge 15 giugno 1893, cit., p. 84; ma si veda anche il saggio Le
riforme processuali e le correnti del pensiero moderno [1907], in Saggi di diritto processuale ci-
vile, III Milano, 1993, p. 379 ss., spec. p. 389, in cui la critica delle opinioni di Mortara e
Ratto assume toni decisamente più sprezzanti che vale la pena richiamare: «a riguardo dei
probiviri si sono dette e proposte cose inesatte o esagerate. Taluno ha voluto ravvisare nella
giuria dei probiviri un potere quasi-legislativo, evocando il pretore romano. Altri ha propo-
sto, come cosa richiesta dalle esigenze del contratto collettivo, e dei conflitti fra industriali e
operai, la soppressione dei limiti soggettivi della cosa giudicata, cioè l’estensione delle sen-
tenze dei probiviri a tutti gli interessati in questioni affini; e rifuggendo dai ricordi dei classici
ha cercato precedenti nella Nuova Zelanda, ed è tornato da questo lontano viaggio giuridico
proclamando i nuovi orizzonti della cosa giudicata! Per conto mio, credo che i probiviri siano
giudici come tutti gli altri; e che non vi sia nessuna ragione di sacrificare alla questione sociale
l’antico principio – per ciò solo che è antico – della res inter alios acta. Tutto sta ad intenderlo
a dovere; e soprattutto a non confondere problemi e istituti processuali diversi». Quanto ora
riportato potrebbe dar conferma di come l’impostazione di Giuseppe Chiovenda possa ben
rappresentare la non completa consapevolezza che la dottrina interpellata sul Questionario
dimostrò con riguardo alla stretta relazione intercorrente tra l’estensione dell’efficacia della
sentenza ultra partes e la configurazione di controversie non individuali, ma appunto collet-
tive. Le parole di Chiovenda – per dirla in altri termini – sembrerebbero dar fondamento alle
critiche di ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 10, che ha evidenziato
come la maggior parte degli interpellati «preferiscono “leggere” il quesito come se contenesse
la proposta di estendere gli effetti della pronuncia a chi non è stato parte del giudizio instau-
rato tra singolo datore e singolo prestatore di lavoro». Per altro verso, pare difficile immagi-
nare che ad uno studioso dalla sensibilità tecnico-dogmatica di Chiovenda potesse sfuggire la
distanza concettuale che separa la controversia avente ad oggetto il singolo rapporto di lavoro
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 43

Sul fronte opposto, sebbene meno numeroso del precedente, si re-


spirava, invece, l’aria di una propensione intellettuale comunque più
aperta all’innovazione e meglio disposta a prospettare nuove soluzioni in
risposta alle nuove richieste; significativa è, ad esempio, la dottrina, che,
dopo aver negato – come poc’anzi accennato – la distinzione tra le con-
troversie individuali e collettive e con esclusivo riferimento alle contro-
versie vertenti su accordi già stipulati, si orientava sostenendo che «le
sentenze emanate su domanda di un solo fanno stato contro tutti, tranne
per la parte che concerne la quota individuale di azione, cioè di diritti e
doveri, di chi ha promosso la causa di comune interesse», poiché «si in-
tende che in tal caso l’attore riveste la qualità di mandatario dei conde-
bitori di lavoro, tranne che per la propria quota».
Peraltro, sul Questionario si pronunciò anche Mortara96, la cui posi-
zione, d’altra parte, forse anche in ragione del rapporto di paternità
ideale che la legava alla formulazione dei quesiti, offre al lettore odierno

e quella avente al contrario ad oggetto il contratto collettivo. Sicché pare più plausibile rite-
nere che proprio l’estensione ultra partes del giudicato fosse il risultato interpretativo valutato
negativamente e comunque superabile tramite la corretta applicazione dell’istituto dell’inter-
vento o dell’integrazione del contraddittorio; opzione, quest’ultima, che peraltro Chiovenda
avrebbe di lì a breve sostenuto potersi compiere anche mediante l’uso della notificazione per
pubblici proclami (Sul litisconsorzio necessario [1904], in Saggi di diritto processuale civile, II,
cit., p. 427 ss., spec. 449, in nota). Siamo, insomma, di fronte ad uno dei casi che ben dimo-
strano il rapporto tra concezione liberale e impronta pubblicistica assegnata al processo; due
anime che sovente all’interno del pensiero del Maestro si scontrano e si fondono, disegnando
– in occasione dei diversi istituti – differenti punti di equilibrio. Anche in questa occasione,
infatti, la posizione di Chiovenda si dimostra strettamente ossequiosa della piena libertà di
azione in capo alle parti, preferendo operare un coordinamento delle decisioni mediante la
via dell’intervento o dell’integrazione del contraddittorio; strade processuali che comunque,
nell’impostazione chiovendiana, assegnavano direttamente ai soggetti coinvolti nella lite il po-
tere di attivazione del rimedio processuale. Ciò è ancor più vero se si riflette sul fatto che an-
che in materia di litisconsorzio necessario, ad esempio, l’autorevole processualista riteneva
non spettasse al giudice ordinare l’integrazione, afferendo detta questione al tema della legit-
timazione ad agire, ovvero al potere di azione di titolarità delle parti (cfr. CHIOVENDA, G., Sul
litisconsorzio necessario, cit., spec. p. 435). E non è un caso, forse, che in una posizione più
aperta a fenomeni di estensione ultra partes del giudicato si fosse posto – come vedremo tra
breve – Enrico Redenti, che proprio sulla questione ora indicata, da un lato, riteneva che la
legittimazione ad agire non si ponesse come condizione dell’azione (ma in posizione interme-
dia tra rito e merito) e, dall’altro, proprio al giudice – argomentando sulla base del disposto
dell’art. 205 c.p.c. – attribuiva il potere di integrare il contraddittorio nei giudizi in cui non
fossero state chiamate o presenti tutte le parti legittimate (REDENTI, E., Il giudizio civile con
pluralità di parti, 1911, p. 311 ss.).
96 MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri (15 giugno 1893), (Risposta ad al-

cuni dei quesiti proposti dall’onorevole Ufficio del lavoro per la riforma della legge predetta), in
Giur. it., 1904, IV, p. 25 ss.
44 CAPITOLO PRIMO

l’immagine altamente rappresentativa di un dibattito giuridico ancora


lungi dall’addivenire ad un concetto stabile e condiviso di controversia
collettiva.
Nelle osservazioni di commento al terzo quesito poc’anzi indicato,
infatti, l’attenzione di Mortara fu sostanzialmente attratta dalle sole con-
troversie «precedenti» e «concomitanti», rispetto alle quali l’insigne giu-
rista rilevava il configurarsi di un diritto di azione inedito per la scienza
processuale, in quanto slegato dall’esistenza di diritto di obbligazione già
perfetto.
A tal riguardo – osservava Mortara – «abbiamo […] la figura di un
diritto di azione mediante il quale non si persegue in giudizio l’adempi-
mento di obbligazioni preesistenti, ma bensì si persegue il perfeziona-
mento di rapporti contrattuali, sottoponendo la libertà dei contraenti alla
potestà moderatrice e coercitrice di un organo giurisdizionale, che non
può essere […] se non una giurisdizione di equità, fornita del potere di
creare il diritto materiale per la virtù dei suoi pronunciati (ius edicendi).
Né tale nuova specie di azioni può avere altro oggetto se non la tutela di
interessi collettivi. L’individuo scompare; o per lo meno, l’attività dell’in-
dividuo è espressione ed istromento dell’interesse della collettività».
Se, quindi, il giurista mantovano rilevava con esattezza il significato
innovatore dell’inciso «controversie […] precedenti, concomitanti […]
la stipulazione», d’altra parte, lasciava piuttosto nell’ombra il significato
proprio da attribuire sul piano tecnico-giuridico al concetto di contro-
versia collettiva, anche – tra l’altro – in riferimento alle controversie non
sorte anteriormente alla stipulazione, ma ad essa «susseguenti»97.
L’insufficienza della mera proiezione funzionale assegnata a tali con-
troversie – in mancanza di adeguate precisazioni sull’oggetto del giudizio
e sul concetto stesso di interesse collettivo – non risultava inoltre com-
pensata dalle osservazioni avanzate dall’Autore in relazione al quesito
concernente la possibile estensione ultra partes dell’efficacia soggettiva
della sentenza.
Osservava, infatti, Mortara: «ond’è che io non scorgo la possibilità di
scindere il problema della giurisdizione su controversie collettive da
quello dell’autorità del giudicato assunta in un aspetto nuovo, che si di-
stacchi dal tradizionale dogmatismo della formula res inter alios iudicata».
E si aggiungeva subito dopo: «certamente non conviene esagerare né
fraintendere questa seconda parte del problema. Nessun uomo di buon
senso può dire o pensare che qualunque controversia sul lavoro agitata

97 Cfr. la dottrina tra breve citata alla nota 101.


INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 45

nell’interesse e nei rapporti fra due individui (padrone ed operaio) debba


reputarsi decisa nell’interesse rispettivo delle due classi; si ché ogni sen-
tenza di un tribunale di probiviri abbia l’autorità di un editto pretorio. Ma
nemmeno è dato negare che il brocardo del diritto individualistico: res in-
ter alios iudicata alteri non nocet nec prodest, sia incompatibile col regime
della tutela giurisdizionale di diritti o interessi collettivi»98.
Per Mortara, insomma, le controversie collettive erano semplice-
mente quelle volte a tutela degli interessi collettivi, rispetto alle quali –
inoltre – il principio di relatività della cosa giudicata poteva essere dero-
gato. Quale poi fossero i criteri da impiegare per l’individuazione esatta
del discrimen tra controversia individuale e collettiva era questione non
trattata nell’intervento in esame.
Particolarmente interessanti sono peraltro le osservazioni relative al
delicato tema della legittimazione ad agire, rispetto al quale venivano ad
essere prospettate le due soluzioni alternative già rilevate nella monogra-
fia poc’anzi ricordata di Emilio Bonaudi.
In primo luogo, infatti, si rinviava all’istituto dell’azione popolare,
nella quale «la rappresentanza che un cittadino assume, in questi giudizi,
dell’interesse o diritto di tutti, non toglie a questo interesse o diritto il
suo carattere universale», cosicché «riconoscere che la difesa del diritto
obiettivo economico è interesse collettivo di una classe e che vi siano casi
in cui ciascun membro di essa, quasi attore popolare, possa assumerne la
rivendicazione mediante l’esercizio di azione giudiziaria da essere decisa
nell’interesse della collettività cui quella controversia riguarda, non […]
pare […] un passo soverchiamente ardito e prematuro»99. Ma, d’altra
parte, si aggiungeva anche che il «riconoscere […] organismi collettivi,
abili ad esercitare azioni inerenti al contratto di lavoro nell’interesse di
tutti gli individui che compongono una data collettività, con la conse-
guenza del giudicato obbligatorio per tutti costoro, non […] sembra
neppure una idea nuova né una riforma sovvertitrice di principi già ac-
colti dal diritto positivo»100.
In conclusione, insomma, nonostante la posizione di Mortara fosse
affetta da incertezze dogmatiche che solo successivamente avrebbero tro-
vato risposte più esaurienti101, d’altra parte, occorre riconoscere a Mor-

98 MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri (15 giugno 1893), cit., p. 31.
99 MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri (15 giugno 1893), cit., p. 32.
100 MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri (15 giugno 1893), cit., p. 32.
101 Osserva BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, cit., p. 28, in relazione alla po-

sizione di Mortara da noi richiamata nel testo, che il rinvio operato all’istituto dell’azione po-
polare «presupponeva il carattere collettivo di un buon numero di azioni proposte da singoli
46 CAPITOLO PRIMO

tara il merito dell’«ardita modernità»102; ovvero di aver dimostrato una


spiccata propensione a confrontarsi con i dogmi del diritto processuale
civile, operandone una sensibile relativizzazione alla luce delle nuove esi-
genze di tutela dei bisogni collettivi; dovendosi, sotto diverso profilo,
comprendere le naturali incertezze che gravavano su un clima culturale
(e soprattutto di quelle che si fondavano sul concordato di tariffa), senza però indicare sulla
base di quali criteri queste si distinguevano dalle azioni individuali»; ROMAGNOLI, U., Le as-
sociazioni sindacali nel processo, cit., p. 11, dopo aver rilevato come in Mortara si colga la ne-
cessità di prospettare l’allargamento dei limiti soggettivi della sentenza solo in relazione alle
controversie collettive, poi aggiunge che «neppure il Mortara riesce a liberarsi completa-
mente dalla (criticata) concezione individualistica» rimanendo, nel richiamo dell’azione po-
polare, nella sostanza «ancorato al dogma liberale, che ha come corollario l’esaltazione dei va-
lori individuali, per cui la soddisfazione dell’interesse individuale è al tempo stesso soddisfa-
zione dell’interesse pubblico e, nel caso dispecie, di quello collettivo». Cfr. anche CECCHELLA,
C., L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 69, nota 52, in cui sembra potersi indivi-
duare una critica al Romagnoli, per non aver adeguatamente sottolineato come in effetti la
posizione di Mortara vada riferita, non al tema dell’efficacia ultra partes della sentenza, ma al-
l’ambito «degli arbitraggi delle controversie collettive il cui risultato finale è, né più, né meno,
un contratto collettivo (perfezionato dalla volontà del terzo arbitratore) al quale va assimilato
anche per l’ambito dell’efficacia collettiva». Si può peraltro aggiungere in coda a queste con-
siderazioni, qualche rapida osservazione. Come accennato nel testo, a conferma delle pun-
tualizzazioni di Cecchella, sembra chiaro che la controversia collettiva sia quella che: a) è a tu-
tela di interessi collettivi; b) è decisa da una sentenza con autorità di editto pretorio, essendo
la decisione non rivolta ad accertare obblighi preesistenti, ma a crearne dei nuovi; c) è decisa
da una sentenza, per la quale la relatività degli effetti del giudicato costituisce principio de-
rogabile. In altri termini è controversia collettiva solo quella non propriamente giurisdizio-
nale, ma rivolta alla gestione degli interessi in conflitto in ordine alla conclusione di un nuovo
accordo. Va d’altro canto osservato come il richiamo dell’azione popolare rappresenti un ele-
mento di distonia nella prospettiva presentata da Mortara. Si potrebbe in effetti comprendere
il richiamo all’azione popolare in riferimento, non alla sua natura propriamente giurisdizio-
nale, nella quale appunto si ravviserebbe l’incongruenza, ma unicamente alla possibilità di
individuare in essa un caso di tutela (intesa in senso lato) rimessa all’attivazione del singolo.
In altri termini il richiamo operato da Mortara avrebbe unicamente lo scopo di giustificare la
concessione dell’azione anche al singolo seppur in presenza di interessi a dimensione so-
vraindividuale, in una prospettiva isolata da quelle che sono le caratteristiche strutturali del-
l’azione popolare, specie per quel che riguarda il suo rapporto con la violazione di norme di
diritto obiettivo. Ma proprio questa alternativa interpretativa del pensiero di Mortara è da
egli stesso smentita allorché, come visto, ritiene che il «riconoscere che la difesa del diritto
obiettivo economico è interesse collettivo di una classe e che vi siano casi in cui ciascun mem-
bro di essa, quasi attore popolare, possa assumerne la rivendicazione mediante l’esercizio di
azione giudiziaria da essere decisa nell’interesse della collettività cui quella controversia ri-
guarda, non […] pare […] un passo soverchiamente ardito e prematuro». Rimane, dunque,
confermato – come appunto indicato nel testo – che la posizione di Mortara non si concede
a facili classificazioni e ciò verosimilmente per il frequente slittamento dell’argomentazione
dal piano giurisdizionale al piano contrattuale-negoziale.
102 Così TURATI, F., Per la riforma della legge sui Probiviri Industriali, cit., p. 34, in rela-

zione alle parole di Mortara.


INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 47

ancora immaturo e ben descritto dalla dottrina recente col rilevare il rap-
porto di identificazione generalmente instaurato agli inizi del Novecento
tra pronunce equitative dei probiviri e contratto collettivo in ragione del
fatto che anche la «sentenza-contratto» aspirava a proporsi come regola-
mentazione dotata di validità generale103.

2.2.2.3. Il progetto di riforma dei probiviri del 1909 ed il contributo di


Enrico Redenti. – Una maggior chiarificazione dei rapporti intercorrenti
tra controversie collettive e controversie individuali si ottenne, peraltro,
qualche anno più tardi per opera di Enrico Redenti.
L’occasione venne offerta da un nuovo progetto di riforma presen-
tato dai ministri Cocco, Ortu e Orlando nel 1909104. In questo – diversa-
mente che nel progetto Cabrini poc’anzi richiamato – furono escluse dal
novero delle controversie devolute alla giurisdizione dei probiviri le con-
troversie «extracontrattuali»105, ossia quelle che non inerivano alla viola-
zione di obblighi preesistenti, spettando ai collegi unicamente la decisione
de «le controversie, individuali o collettive, attinenti all’interpretazione,
all’esecuzione e alla risoluzione dei concordati e dei contratti di lavoro».
La funzione dei probiviri andava quindi configurandosi lungo una
direzione essenzialmente e prettamente giurisdizional-sanzionatoria106 e
così, al contempo, il dibattito veniva ad essere depurato da uno dei fat-
tori che con certezza avevano influito negativamente sulla corretta impo-
stazione della problematica nei suoi diversi aspetti, permettendo dunque
l’emersione delle questioni veramente centrali: l’individuazione dell’og-
getto del giudizio e degli effetti della sentenza.
Se ne avvide subito Redenti che, in commento al progetto, eviden-
ziava: «bisogna […] innanzi tutto […] domandarci che cosa sono coteste
‘controversie collettive’ […] il termine infatti non ha, […] un significato
tecnico e il progetto lo usa ripetutamente […] ma non esprime cosa in-
tenda»107.

103 Così, BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, cit., p. 22.


104 Atti parlamentari Camera, leg. XXII, tornata 27 settembre 1909, p. 4532.
105 Così – come visto – erano state definite da RATTO, L., L’efficacia collettiva delle sen-

tenze nelle controversie del lavoro, cit., p. 21-22. ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel
processo, cit., p. 38 ss., rileva come solo in questo momento si acquisisca definitiva consape-
volezza circa l’importanza della distinzione tra controversie giuridiche e controversie econo-
miche; distinzione che in effetti era già stata colta da Messina, ma al quale, come osserva Ro-
magnoli (p. 39), «essa appariva astratta e scolastica».
106 Lo osserva con immediatezza REDENTI, E., La riforma dei probiviri, in Riv. dir.

comm., 1910, I, p. 626 ss., spec. p. 629.


107 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, cit., p. 635.
48 CAPITOLO PRIMO

E a tal scopo il contributo di Redenti era effettivamente determi-


nante; si chiariva, infatti, che a suo modo di vedere col termine «moder-
nista» di «controversie collettive» era possibile riferirsi a due realtà so-
stanziali profondamente differenti, ovvero – come efficacemente stigma-
tizzato – ad una «cosa vecchia» oppure ad una «cosa nuova».
Nell’opinione di Redenti, la «cosa vecchia» era rappresentata dalle
«controversie cumulate e riunite per connessione […] o per la cosiddetta
affinità di questioni», mentre la «cosa nuova» poteva trarre origine da al-
cune ristrette e particolari ipotesi di violazione del concordato di tariffa.
Più precisamente per Redenti queste particolari ipotesi potevano ri-
correre allorquando «uno o più stipulanti […] vogliano agire per l’accer-
tamento del concordato stesso, o per la sua risoluzione o per il suo an-
nullamento», in tal caso infatti si avrebbe avuto «un giudizio collettivo di
tipo diverso dal precedente, perché là si trattava di decidere più contro-
versie sia pure connesse e in modo conforme, qua un’unica controversia
fra tutti»108.
Come avrebbe evidenziato la dottrina successiva, dunque, il dibat-
tito pre-corporativo, riusciva a sottrarsi all’impasse in cui versava relati-
vamente al trattamento processuale delle controversie collettive sin dall’i-
stituzione dei collegi probivirali, grazie all’intervento chiarificatore di Re-
denti, che sapientemente individuava il punto focale della problematica,
rappresentato dal saper cogliere «la norma collettiva in quanto tale e non
[…] in quanto trasferita nel contenuto di un contratto individuale di la-
voro»109.
Era, insomma, centrale – nella riflessione di Redenti – l’esatta deter-
minazione dell’oggetto del giudizio e, correlativamente, l’esatto inqua-
dramento del concordato di tariffa, descritto dall’illustre processualcivili-
sta come «un atto complesso con cui una pluralità di operai e uno o più
imprenditori concludono una specie di patto normativo di contratti in
corso o di futuri ed eventuali contratti di lavoro da concludersi fra
loro»110; sicché, essendo tale patto vincolante non solo con riguardo ad i

108 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, cit., p. 637 (c.vo mio).
109 ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 37.
110 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, cit., p. 636, che si richiama alla dottrina di

MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 41, per il
quale, lo si ricorda, «il concordato di tariffa ha questa caratteristica che o nella proposta o
nell’accettazione, almeno, risulta da un atto complesso». Si noti, dunque, come Redenti
giunga alle conclusioni che riportiamo nel testo, solo dopo aver determinato l’esatta consi-
stenza strutturale dell’oggetto del giudizio e solo dopo aver superato la sua originaria conce-
zione del contratto collettivo come atto meramente cumulativo (Contratto «cumulativo» di la-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 49

contrapposti stipulandi, ma anche per i soggetti che stipulavano con pari


veste, e ponendosi il processo come strumento per accertare il patto in sé
o per incidervi in senso latamente costitutivo, allora detta controversia
non doveva essere intesa come controversia individuale, ma appunto col-
lettiva, poiché non riguardava il singolo, ma al contrario investiva tutti
coloro che erano vincolati al concordato.
Il regime processuale di dette controversie era poi per Redenti – che
nello stesso lasso di tempo avviava alla stampa Il giudizio civile con plu-
ralità di parti – strettamente dipendente dall’oggetto delle medesime: al-
lorquando «uno o più stipulanti […] vogliano agire […] dovranno citare
in giudizio […] tutti gli stipulanti, non solo quelli frontistanti a loro, ma
anche i colleghi parallelamente stipulanti, poiché si tratta di accertare o
risolvere un unico vincolo giuridico che in diversi sensi, e con diversa ef-
ficacia nei diversi sensi, vincola purtuttavia ciascuno degli stipulanti di
fronte a tutti quanti gli altri»111.
Peraltro, anche l’illustre dottrina qui richiamata avanzava due solu-
zioni alternative alla partecipazione necessaria di tutti gli stipulanti al giu-
dizio, ovvero, per un verso, prospettava l’opportunità di estendere ultra
partes gli effetti della sentenza (specie alla luce delle «proporzioni colos-
sali» che la controversia poteva assumere) e, per l’altro, riteneva auspica-
bile l’ammettere «in qualche modo ciascuno degli opposti gruppi di sti-
pulanti ad agire come tali», rilevando – tra l’altro – come la pratica at-
tuabilità di dette alternative dipendesse dall’esistenza di una disciplina
legale espressa, tanto per la deroga ai limiti soggettivi del giudicato,
quanto per il riconoscimento della legitimatio ad processum e ad causam
in capo al gruppo. Previsioni queste ultime due, che mancavano – come
rilevava ironicamente lo stesso Autore – nel progetto di riforma112.

voro e licenziamento, in Riv. dir. comm., 1907, II, p. 145 ss.) a vantaggio dell’atto complesso,
caratterizzato appunto dall’inscindibilità della regolamentazione pattizia. Per un approfon-
dito ed ampio esame dei rapporti tra configurazione giuridica della contrattazione collettiva
e sentenza con efficacia collettiva, v. ancora ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel pro-
cesso, cit., spec. p. 13 ss.
111 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, cit., p. 637; ma vedi anche Il giudizio civile con

pluralità di parti, cit., p. 287 ss.


112 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, cit., p. 639 ss. Alla luce di ciò si comprende

il disagio dell’A. nell’esame delle restanti disposizioni a carattere processuale del progetto di
riforma del 1909. In esso, non solo mancavano le auspicate innovazioni in tema di legitti-
mazione e limiti del giudicato, ma erano presenti disposizioni che risultano poco comprensi-
bili. Così, ad esempio, la possibilità, prevista dall’art. 38 del progetto – secondo la quale
«nelle controversie collettive e in quelle individuali che coinvolgono un interesse collettivo,
tanto i lavoratori quanto l’altra parte contendente possono conferire ad uno o più interessati
50 CAPITOLO PRIMO

3. L’interesse collettivo nell’esperienza giuridica del corporativismo


3.1. L’interesse collettivo: la pietra angolare per la costruzione del nuovo
apparato concettuale
Dalla riflessione relativa ai progetti di riforma appena esaminati, il
percorso dell’interesse collettivo nei suoi rapporti con la tutela giurisdi-
zionale vede come seconda tappa fondamentale del suo itinerario di af-
francazione dal pre-giuridico l’avvento del regime corporativo.
In questa triste pagina della storia istituzionale e civile del nostro
Paese, l’associazionismo volontario subisce un duro colpo ed il dibattito
dottrinale viene – più o meno forzatamente – ad orientarsi verso i temi
strumentali all’affermazione della nuova concezione dello Stato, nonché
verso i suoi rapporti con il singolo cittadino e le collettività intermedie,
tra cui innanzitutto le associazioni sindacali113.

il mandato di proporre l’azione dell’interesse collettivo con un’unica domanda e provo-


cando un giudizio unico e collettivo, tanto se l’interesse ad agire dei singoli membri del
gruppo è fondato su titolo unico, quanto su titoli distinti» – era oggetto di secca critica da
parte di Redenti, che evidenziava come, per un verso, nulla potesse innovare sul piano delle
«controversie connesse od affini e cumulate» e, dall’altro, non risolvesse le problematiche
de iure condendo viceversa bisognose di definizione. «Ancora più perplesso», poi, si dichia-
rava l’illustre giurista qui richiamato di fronte a disposizioni secondo le quali, «qualunque in-
teressato può, prima dell’udienza, dichiarare anche verbalmente nella cancelleria del collegio
investito della cognizione della controversia che accetta gli effetti della conciliazione o della
decisione della controversia stessa»; previsione, quest’ultima, che non riuscì a sottrarsi agli
strali delle rigorose argomentazioni dell’insigne processualista, per il quale, il quesito da porsi
era sempre il medesimo, ovverosia a quale tipologia di controversie detta previsione si
dovesse applicare. Si rilevava, infatti, l’inutilità o, quanto meno l’incongruità, di una disposi-
zione che, se riferita all’ipotesi di più controversie individuali connesse e cumulate in un
unico processo, non avrebbe avuto altro effetto che estendere, in virtù della dichiarazione
dell’interessato, l’oggetto del giudizio ad una domanda nuova, ma in opinabile deroga alle
norme ordinarie in tema di intervento volontario, e, che, se diversamente riferita alle con-
troversie collettive, avrebbe reso ulteriormente oscura questa categoria di «interessati» che
non erano parti necessarie nel giudizio, ma potevano comunque aderirvi a seguito della di-
chiarazione.
113 Sul tema, v. in primo luogo AQUARONE, A., L’organizzazione dello Stato totalitario,

con introduzione di Lombardi, 1995, Torino; nonché ORNAGHI, L., Stato e corporazione, Mi-
lano, 1984; TARELLO, G., Corporativismo, in Enc. Feltrinelli-Fischer, Milano, 1970, p. 68 ss.;
JOCTEAU, G.C., L’ordinamento corporativo, in Storia del sindacato, Dalle origini al corporativi-
smo fascista, Venezia, 1982, 192 ss. Sulle connessioni tra ideologia nazional-fascista e legisla-
zione corporativa, v., per tutti, UNGARI, P., Alfredo Rocco e l’ideologia giuridica del fascismo,
Brescia, 1963. Di recente, anche per ulteriori indicazioni ed approfondimenti, v. MARTONE,
M., Governo dell’economia e azione sindacale, Padova, 2006, in particolare l’ampio e com-
pleto cap. III, intitolato Ordine totalitario e sindacato pubblico.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 51

Nel rinnovato contesto sociale e politico c’è, come si suol dire, chi
vince e chi perde; quasi tutti perdono, siano persone o siano valori. L’in-
teresse collettivo no; l’interesse collettivo ha in destino la buona sorte;
come molte nozioni ideali, infatti, ben si presta ad esser servo dei nuovi
padroni.
Al fenomeno ora descritto contribuirono essenzialmente due fattori.
Sul piano politico la nozione rispondeva ad un’esigenza ben defi-
nita, vale a dir quella, nutrita dall’intelligentia del regime, di individuare
i concetti che più degli altri potessero contribuire all’edificazione del
nuovo apparato ideologico. In ciò l’interesse collettivo rivestiva un ruolo
di non poco conto, poiché rappresentava lo strumento capace di consen-
tire la subordinazione degli interessi particolari a quello dello Stato in
un’armonica visione di generale elevazione spirituale; rappresentava lo
strumento di mediazione tra Stato ed individuo114, in un radicale muta-

114 Per avere un’idea di questa «mediazione» si legga in particolare BATTAGLIA, F., Dal-
l’individuo allo Stato, in Riv. int. fil. dir., 1933, p. 302 ss.; ID., Il Corporativismo come essenza
assoluta dello Stato, in Arch. studi corporativi, 1935, p. 312 ss., che, in relazione al rapporto
tra Stato e individuo, afferma: «se vogliamo ora chiarire l’originalità della concezione fascista
dello Stato, diremo che essa sta nel porre tra l’un termine e l’altro del rapporto un medio in
cui quelli si inverino, infine nel riguardare individuo e Stato non due ma uno. Lo Stato, non
più astratta entità soprordinata ed altra dai soggetti individui, si estende ad abbracciare il più
vasto mondo sociale, a conoscere una infinità di rapporti i più vari, etici, religiosi, culturali,
economici, tutto un ordine di posizioni umane dianzi ignote alla pubblica autorità; l’indivi-
duo esce dalla sua puntualità, costituisce a sé nuovi campi di azione, si foggia nuove pretese
e nuovi obblighi giuridici, svolge quel mondo sopra visto su cui lo Stato opererà. Sul terreno
sociale, nell’organizzazione, individuo e Stato si incontrano» (p. 321); «nello Stato, totalitaria
organizzazione corporativa, si compie il ciclo dialettico, per cui, attraverso la società, lo Stato
fa suo l’individuo e l’individuo si riconosce nello Stato. Mediazione assoluta fonda l’assolu-
tezza dello Stato nell’assolutezza del principio corporativo». Significativi, tra i tanti, sono gli
scritti di FOVEL, N.M., L’individuo e lo Stato nell’economia corporativa, e di VOLPICELLI, A., I
fondamenti ideali del corporativismo, entrambi in Arch. studi corporativi, 1930, rispettiva-
mente a p. 101 ss. e 196 ss., fortemente orientati nella dimostrazione di quella unità formale
tra Stato ed individuo, posta come fondamentale pilastro programmatico nella Prima Dichia-
razione della Carta del lavoro del 1927, in cui si leggeva che «La Nazione italiana è un orga-
nismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori a quelli degli individui divisi o raggruppati
che la compongono. È unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello
Stato». Per una lettura più attenta a distinguere – per quanto fosse possibile – i profili giuri-
dici da quelli puramente ideologici, v. le osservazioni critiche avanzate da Widar Cesarini
Sforza nei confronti della posizione di Volpicelli, (Corporativismo e scienza del diritto, in Arc.
studi corporativi, 1932, p. 199 ss. ed a p. 422 ss., v. la replica di Volpicelli allo scritto ora ci-
tato), il quale precisa che «in realtà, quando si assevera tout court l’identità di individuo e
Stato, si fanno nascere grossi equivoci. Comunemente – osserva il filosofo del diritto – si
pensa a ragione che una cosa può essere identica soltanto a sé stessa […]. Quando invece la
filosofia idealista afferma che individuo e Stato (o società) s’identificano, allude ad una iden-
52 CAPITOLO PRIMO

mento di prospettiva funzionale, che, secondo un ardito fenomeno di


eterogenesi dei fini, trasformava l’interesse collettivo da mezzo di con-
trapposizione, di lotta sociale e politica, a strumento di pacificazione dei
rapporti115.
Sul piano scientifico, l’elaborazione della nozione si andava a coor-
dinare, invece, con una oramai rinnovata metodologia giuridica, sempre
più sensibile alle suggestioni formalistiche del dogmatismo logico-siste-
matico.
Possano bastare a titolo d’esempio le parole dell’Avvertimento che
Francesco Carnelutti pose ad introduzione della sua fortunata Teoria del
regolamento collettivo dei rapporti di lavoro: «Io non intendo fare, in que-
ste lezioni, – chiariva l’illustre studioso – il commento della legge italiana

tificazione, come suol dirsi dialettica […]. Senonché, qual senso può avere, codesta dialettica,
per la scienza del diritto? Secondo me nessuno. Finché si resta nella dialettica, cioè nella fi-
losofia, individuo e Stato sono momenti di un infinito processo di reciproca conversione […].
Ma alla scienza codesto processo di ascesa e discesa sfugge necessariamente; ciò che essa co-
glie e può cogliere è solo il punto di partenza o quello di arrivo. La logica scientifica è preci-
samente la logica formale: A=A, individuo=individuo, Stato=Stato. Quindi la scienza del di-
ritto potrà soltanto stabilire delle coincidenze fra individuo e Stato, cioè fra volontà, interessi
e fini individuali e volontà, interessi e fini statali: coincidenze che sono appunto la traduzione,
in termini empirici e contingenti, dell’identità ideale».
115 Basti pensare che, se l’interesse collettivo delle classi lavoratrici era nello Stato

tardo-liberale il vessillo intorno a cui stringersi per contrapporsi al datore di lavoro, con il
corporativismo l’interesse collettivo, nel divenire interesse di categoria, si trasforma in stru-
mento per impedire la lotta di classe e per permettere la pacificazione e l’istituzionalizzazione
del conflitto. L’interesse collettivo – insomma – nella nuova cornice ideologica acquisisce un
ruolo determinante per la costruzione giuridica del sistema. Difatti, sia l’interesse della cate-
goria, che l’interesse della nazione sono species del comune genus «interesse collettivo»; sic-
ché, quest’ultimo, permette di ricostruire il processo di ascensione dall’interesse individuale a
quello generale come processo di successive sintesi di interessi relativamente particolari. Ma
tale processo può essere invertito di segno se: a) la sintesi non è altro che attività interpreta-
zione degli interessi particolari – come avviene per l’associazione dei lavoratori che interpreta
l’interesse della categoria, a cui partecipano anche coloro che non sono iscritti –; e soprat-
tutto, b) l’interpretazione non è libera ma vincolata alla direttiva di subordinazione degli in-
teressi particolari all’interesse nazionale; cosicché il processo è formalmente ascendente (da-
gli interessi particolari all’interesse nazionale attraverso successivi momenti di sintesi), ma so-
stanzialmente discendente; il processo non ha natura induttiva, ma deduttiva; e proprio
l’interesse collettivo maschera sul piano formale l’inversione sostanziale dei nessi di determi-
nazione dell’interesse. Si veda a tal riguardo anche la definizione di «corporativismo» che
avanza JAEGER, N., Principi di diritto corporativo, Padova, 1939, p. 74: «l’insieme dei comandi
giuridici diretti a regolare l’attività e i rapporti professionali secondo un indirizzo unitario de-
terminato dal contemperamento degli interessi delle categorie apprezzati in funzione degli in-
teressi generali nella Nazione» (c.vo mio). Sul punto, v. le attente riflessioni di EINAUDI, L.,
Lezioni di politica sociale, Torino, 2004, spec. p. 101.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 53

sul regolamento dei rapporti collettivi del lavoro. Voglio invece tentarne
una sistemazione teorica. Questo è ora il compito più urgente e più alto
della scienza. Sindacato, contratto collettivo, magistrato del lavoro, reato
di sciopero e di serrata sono nuove figure giuridiche, che occorre prima
di tutto, mettere al loro posto nell’ordine degli istituti, che costituiscono
il nostro diritto»116.
Ecco dunque che la sostanza incontrava la forma; che i contenuti
trovavano la veste strutturale che più si addiceva loro.
L’operare congiunto dei due fattori contribuì, quindi, per un verso,
a favorire l’affinamento della nozione e, dall’altro, ad assegnare definiti-
vamente all’interesse collettivo il ruolo di strumento indispensabile per la
ricostruzione dei fenomeni giuridici: l’interesse collettivo non è più solo
una chiave di lettura dei meccanismi sociali, bensì entra a pieno titolo nel
mondo del diritto.
Certo è, peraltro, che l’elaborazione dottrinale era un’elaborazione
vincolata; vincolata – cioè – alle finalità del regime, ovverosia l’istituzio-
nalizzazione e la pubblicizzazione della gestione del conflitto di classe.
Così, l’interesse collettivo si presenta in questa fase storica del no-
stro Paese essenzialmente sub specie di interesse di categoria o interesse
professionale e, in quanto tale, risente dei vincoli imposti dal nuovo si-
stema corporativo.
Come recitava la III Dichiarazione della Carta del lavoro del 1927
«l’organizzazione professionale o sindacale è libera. Ma solo il sindacato
legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il diritto
di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di la-
voratori per cui è costituito, di tutelarne, di fronte allo Stato o alle altre
associazioni professionali, gli interessi; di stipulare contratti collettivi di
lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, di imporre
loro contributi e di esercitare rispetto ad essa funzioni delegate di inte-
resse pubblico».
Ugualmente orientata la legge n. 563 del 3 aprile del 1926 (Disci-
plina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro). Si prevedeva, infatti, al-
l’art. 5 che «le associazioni legalmente riconosciute hanno la personalità
giuridica e rappresentano legalmente tutti i datori di lavoro, lavoratori,
artisti e professionisti della categoria, per cui sono costituite, vi siano o
non vi siano iscritti, nell’ambito della circoscrizione territoriale, dove
operano». Inoltre, stando all’art. 6 della medesima legge, «non può es-

116 CARNELUTTI, F., Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, 1930,
p. 3 (corsivo mio).
54 CAPITOLO PRIMO

sere riconosciuta, per ciascuna categoria di datori di lavoro, lavoratori,


artisti e professionisti, che una sola associazione». Ed infine nell’art. 10,
come deduzione logica dai principi, si chiariva che «i contratti collettivi
di lavoro stipulati dalle associazioni […] legalmente riconosciute, hanno
effetto per tutti i datori di lavoro, i lavoratori, gli artisti e i professionisti
della categoria a cui il contratto di lavoro si riferisce, e che esse rappre-
sentano a norma dell’art. 5».
Questi, dunque, erano i principi, i parametri fissi, «dati» – come si
suol dire – da cui l’elaborazione dottrinale doveva prendere il via o di cui
comunque occorreva tener conto: esigenze, appunto, non più essenzial-
mente sociali, ma in massima parte ideologiche.

3.1.1. L’interesse collettivo nel pensiero di Widar Cesarini Sforza


Il dibattito dottrinale, teso alla ricostruzione sistematica del nuovo
ordinamento corporativo, si sviluppa in una compiosissima letteratura,
all’interno della quale le osservazioni in merito al concetto che è al cen-
tro delle nostre attenzioni sono pressoché onnipresenti. È di palmare evi-
denza, insomma, quanto la nozione di interesse collettivo costituisca la
pietra angolare del sistema. D’altra parte, nonostante i numerosi richiami
operati da più voci, tra i diversi Autori a cui si deve lo studio a carattere
scientifico della nozione di interesse di categoria spiccano senz’altro Wi-
dar Cesarini Sforza e Francesco Carnelutti117.

117 I due Autori svolgono profonde ed articolate riflessioni sulla nozione di interesse

collettivo, offrendo preziosi elementi di riflessione anche a coloro che si cimentano nello stu-
dio delle attuali tematiche relative alla tutela degli interessi collettivi e diffusi. Nella lettura
dei contributi di Cesarini Sforza e di Carnelutti è infatti possibile approfondire la nozione di
interesse tout court, di interesse individuale e di interesse collettivo, saggiando le diverse pro-
spettive ricostruttive adottate dagli Autori. L’elevato grado di elaborazione delle nozioni che
si riscontra nei loro contributi induce quindi a svolgere un esame dettagliato delle due di-
stinte prospettive. A mo’ di avvertenza si può sin d’ora anticipare come i due illustri giuristi
indicati nella sostanza convergano su una nozione composita di interesse, costituita da un ele-
mento oggettivo ed uno soggettivo, dovendosi attenuare le divergenze che potrebbero diver-
samente emergere da una prima lettura delle due ipotesi ricostruttive. Una eterogeneità più
marcata di prospettiva è, invece, sensibilmente percepibile riguardo la nozione di interesse
collettivo, configurata da parte di Cesarini Sforza in senso soggettivo e da parte di Carnelutti
in senso rigorosamente oggettivo. Più in generale – come già accennato nel testo – occorre os-
servare come i riferimenti più o meno ampi alla nozione di interesse collettivo siano frequen-
tissimi nella letteratura coeva, quasi a mo’ di atto dovuto o invocazione benaugurale. D’altra
parte i rinvii alla nozione si trasformano raramente in articolate riflessioni. Eccezione signifi-
cativa sono di certo gli studi di Nicola Jaeger, che, pur aderendo nella sostanza alle posizioni
del Carnelutti, avanza considerazioni dotate di un elevato grado di approfondimento (v. infra,
nota 152).
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 55

I due Autori svolsero, infatti, in un contesto argomentativo tenden-


zialmente alieno dai falsanti stilemi retorici della letteratura del periodo
corporativo118, profonde ed articolate riflessioni sulla nozione dell’inte-
resse collettivo e sulle nozioni contigue, offrendo preziosi elementi di ri-
flessione, che ne giustificano un dettagliato esame.
Il singolare intento speculativo, tanto raro negli contributi che nel
tempo si sono alternati nello studio della nostra materia, consiglia di pro-
cedere in primo luogo dall’analisi della posizione di Cesarini Sforza, dalla
quale subito emerge l’importanza – anche sul piano del metodo – di ad-
divenire ad una soddisfacente nozione generale di interesse ancor prima
della sua specificazione in interesse collettivo.
Per interesse viene quindi assunto quel «concetto di relazione», che
«denota […] non una cosa ma quod inter est fra un soggetto e una cosa»;
più precisamente «l’interesse è la valutazione di un bene, cioè l’apprezza-
mento di ciò che, in relazione a un fine (ad un bisogno), costituisce posi-
tivamente un bene»119.
«Vi sono dunque nel concetto di interesse – rileva con esattezza Ce-
sarini Sforza – due elementi: uno obiettivo, formato dal fine e dal mezzo,
ed uno subiettivo, che è la valutazione del mezzo in rapporto al fine; ed il
primo elemento è fisso, mentre il secondo è variabile: posto un fine, può
variare il giudizio di un soggetto sull’utilità di un dato mezzo per rag-
giungerlo e quindi il suo interesse per codesto mezzo»120.
Ciò premesso, di notevole rilievo sono poi i tentativi di distinzione
tra l’interesse comune, l’interesse collettivo e l’interesse generale.
118 Sulla stretta compenetrazione tra diritto e ideologia nella letteratura del periodo, v.,
ad esempio, la Recensione di Carnelutti a SERMONTI, A., Il diritto sindacale italiano, Roma,
1929, in Riv. dir. proc. civ., 1929, p. 387, in cui si addita la «smania, tanto comune quanto
nociva, di mescolare il diritto colla politica». Sui rapporti tra dottrina e regime, v. CAZZETTA,
G., L’autonomia del diritto del lavoro nel dibattito giuridico tra fascismo e Repubblica, cit.,
p. 385 ss.
119 CESARINI SFORZA, W., Lezioni di teoria generale del diritto, I, Padova, 1930, p. 127.

Chiarisce ulteriormente l’A. che «se questo apprezzamento positivo è impossibile, allora l’in-
teresse manca (giudizio d’inutilità); se diventa negativo dopo essere stato positivo, allora l’u-
tilità si converte nel suo contrario, cioè nella dannosità, e il bene diventa male».
120 CESARINI SFORZA, W., Lezioni di teoria generale del diritto, cit., p. 127 (c.vo mio).

L’A. approfondisce ulteriormente la nozione rilevando le variazioni che la nozione subisce al-
lorché, nella relazione tra soggetto e bene, interviene l’agire di un secondo soggetto; elemento
quest’ultimo esseziale per la comprensione del trapasso della nozione di interesse dai rapporti
pre-giuridici a quelli giuridici. In tale ambito, infatti, sia l’interesse che la nozione di bene,
tendono a mutare natura. Infatti il bene giuridico non è più «la cosa utile», ma «la possibilità
di utilizzarla» e l’interesse giuridico non è più «l’apprezzamento dell’utilità della cosa», ma
«l’apprezzamento dell’azione altrui» in quanto è condizione per l’utilizzazione della cosa
stessa.
56 CAPITOLO PRIMO

L’obiettivo dell’Autore è, infatti, quello di percepire i mutamenti


che il concetto di interesse subisce nel nostro pensiero nel passaggio dal-
l’interesse individuale a quello di categoria e poi da questo a quello na-
zionale121.
L’analisi dell’illustre studioso si articola in diversi scritti e può essere
oggetto di esame seguendo diverse prospettive. Un buon punto di par-
tenza, peraltro, può essere costituito dall’approfondimento della nozione
di interesse generale che Cesarini Sforza svolge in relazione alla categoria
professionale.
L’Autore procede empiricamente prospettando tre ipotesi: a) quella
in cui la categoria sia assunta come gruppo determinato di persone e in
una data unità di tempo ed in cui la categoria sia composta da soggetti
aventi tutti un interesse individuale identico; b) quella in cui la categoria,
pur mantenendo la caratteristica dell’omogeneità contenutistica degli in-
teressi che la compongono, sia assunta come gruppo allo stato fluido,
vuoi perché rappresentato da un numero indeterminato e variabile di
persone o perché assunto in una progressione di tempo; c) quella in cui
gli interessi individuali si caratterizzano per il loro essere ognuno diffe-
rente dall’altro. Ed in relazione a queste tre ipotesi è posta la seguente
domanda: quale criterio occorre adottare per individuare nei singoli casi
l’interesse generale della categoria?
In risposta al quesito Cesarini Sforza evidenzia come in tutti e tre i
casi non sussiste possibilità alcuna di individuare un interesse che in
quanto generale sia distinto dagli interessi dei singoli componenti la ca-
tegoria.
Ad esempio, in relazione alla prima ipotesi sarà possibile parlare
solo di interesse comune, esprimendo «elitticamente» con tale locuzione
il fatto che «gli interessi individuali di tanti soggetti diversi sono qualita-
tivamente identici», ma non nel senso «che un unico interesse appar-
tenga contemporaneamente a diversi soggetti, come se ciascuno ne avesse
un frammento»122, né potendosi nemmeno «parlare della loro somma
come di una entità diversa o superiore»123.
121 Così, CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, in Arc. studi cor-
porativi, 1935, parte I, p. 51 ss., parte II, p. 172 ss., e poi in Il corporativismo come esperienza
giuridica, Milano, 1942, p. 125, da dove prenderemo le citazioni riportate nel testo.
122 CESARINI SFORZA, W., Preliminari sul diritto collettivo [1936], in Il diritto dei privati,

con presentazione di Salv. Romano, Milano, 1963, p. 104, nota 2.


123 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 133, che chiari-

sce: «trattasi di tanti interessi identici […] ai quali potrà essere attribuito più peso pratico che
a un interesse isolato; spesso accade, infatti, che si distingua quantitativamente tra l’interesse
di una sola persona, e quello che, appartenendo invece a cento od centomila persone, sembra
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 57

Mancherà in altre parole «un criterio obiettivo per decidere se l’in-


teresse soggettivamente definito in tal guisa è o non è l’interesse gene-
rale»124.
Così ugualmente nella seconda ipotesi; in relazione alla quale Cesa-
rini Sforza evidenzia unicamente la possibilità di osservare il persistere
della medesima valutazione di apprezzamento (l’interesse appunto) an-
che al variare dei soggetti o al variare dell’unità di tempo, fenomeno que-
st’ultimo che favorisce il percepire «in quella valutazione un qualcosa esi-
stente di per sé e perciò indipendente dai variabili criteri e gusti indivi-
duali», con la conseguente «trasformazione dell’interesse in una specie di
entità oggettiva, librantesi sopra le valutazioni soggettive dei singoli»125.
Per non parlare della terza ed ultima ipotesi, in cui l’impossibilità di
andare oltre la rappresentazione di un aggregato di più interessi indivi-
duali, viene ad essere stigmatizzato dalla diversità dei vari apprezzamenti
individuali126. Né peraltro alla definizione dell’interesse contribuisce la
nozione di categoria, che è concetto astratto, non apprezzabile in con-
creto, poiché, come visto, variabile nel numero dei componenti e nel
tempo127.
È peraltro proprio la constatazione dell’insuccesso delle vie intra-
prese che, da un lato, consente la determinazione delle ragioni di tale in-
successo interpretativo e, dall’altro, indica la via per uscirne.
Nell’opinione di Cesarini Sforza, infatti, l’ostacolo è rappresentato
dal concepire l’individuo nella sua singolarità anziché come parte di un

più degno di essere preso in considerazione; ma dal punto di vista quantitativo nessuna di-
stinzione è possibile, nessuna trasformazione dell’interesse interviene per il fatto che invece di
appartenere a una sola persona, appartiene a cento od a centomila» (c.vo mio).
124 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 146.
125 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 134.
126 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 135.
127 Su quest’aspetto v. anche CESARINI SFORZA, W., Corso di diritto corporativo, Padova,

1935, p. 96. L’A. fa l’esempio in cui all’interno di una categoria di cento persone, novanta-
nove abbiano un interesse comune contrapposto all’interesse solitario del soggetto restante.
«È evidente – sottolinea CESARINI SFORZA, Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 136 ss.
– che la valutazione dei novantanove non potrà essere qualificata come valutazione o inte-
resse della categoria in opposizione alla valutazione o interesse dell’uno, perché l’ipotesi è che
la categoria sia formata non da novantanove persone, ma da novantanove più una. Potrà dirsi
che i novantanove aventi un solo e identico interesse formano una categoria a sé, ma allora il
contrasto sarà tra un gruppo di d’interessi individuali comuni […] e un altro interesse indi-
viduale». In altri termini, «quando, identificata una categoria […], appariscano entro di essa
degli interessi divergenti […] nulla vieta logicamente di pensare che esistano non più una, ma
due, tre … categorie distinte». Conclude dunque l’A. che, «come non si può derivare la no-
zione di categoria da quella di interesse, così non si può assolutamente derivare la nozione
d’interesse da quella di categoria».
58 CAPITOLO PRIMO

tutto, o, il che è lo stesso, il concepire la categoria come «collettività»,


ovvero come insieme di individui, e non come un tutto distinto e sepa-
rato da questi128.
Di conseguenza la soluzione all’impasse, è il «pensare, invece che
alla “collettività” formata da A più B più C, al tutto A, B, C», il che si-
gnifica, come chiarisce l’Autore, «che si pensa ad A che è anche B e C, a
B che è anche A e C, a C che è anche A e B»129.
Ma detta operazione – spiega la dottrina qui in esame – può realiz-
zarsi in due differenti modalità.
La prima si realizza quando «i singoli individui attraverso la defini-
zione soggettiva che essi ne danno, li riferiscono non a se stessi, ma alla
collettività». Ma anche per questa strada non si raggiunge l’obiettivo; e
ciò poiché, tale operazione «in quanto costituisce un’esperienza spiri-
tuale di ciascun individuo […] si esaurisce, per ciascuno, dentro la sua
individuale soggettività», individuando, dunque, una nozione di interesse
generale valida pur soggettivamente, ma non oggettivamente
Né la soluzione cambia, allorché questa operazione intrasoggettiva si
realizzi con riferimento ad un interesse comune; in tale ipotesi, infatti,
ovvero quando ci si confronti con un’omogeneità di apprezzamenti che
ogni individuo non valuti come propri, ma come comuni, l’interesse sarà
collettivo, ovvero individuale ed extraindividuale insieme, ma non ancora
generale, poiché «la collettività di coloro ai quali appartiene l’interesse
comune collettivizzato non è un ente distinguibile dal complesso o tota-
lità dei suoi componenti»130.
L’unica strada ritenuta idonea per giungere alla definizione dell’inte-
resse generale è quindi rappresentata dal far concepire la categoria come
«tutto», ma non da parte dei singoli membri, ma da parte di un ente
terzo rispetto ai soggetti che la compongono, permettendo appunto l’ap-
prezzamento non più soggettivo, bensì oggettivo dell’interesse131. Que-
sto, infatti, da particolare (cioè imputabile ai singoli componenti, vuoi

128 «Concepire gli individui – sintetizza efficacemente CESARINI SFORZA, W., Studi sul

concetto d’interesse generale, cit., p. 142 – come parti di un tutto equivale a concepirli nella
loro unificazione entro il tutto, ma se invece da questo si staccano le parti ossia gli individui
e ciascuno di essi viene considerato fuori dal tutto, quest’ultimo scompare».
129 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 144.
130 CESARINI SFORZA, W., Preliminari sul diritto collettivo, cit., p. 105.
131 «Se una collettività o comunità d’individui – spiega CESARINI SFORZA, W., Preliminari

sul diritto collettivo, cit., p. 107 – non viene entificata, ossia non viene pensata come distinta
non solo da ciascuno dei singoli che la compongono, ma anche dalla totalità dei singoli stessi:
o si definiscono tanti interessi individuali (che potranno essere comuni), o si definiscono de-
gli interessi che pur essendo individuali, sono anche collettivi».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 59

come meri interessi individuali, o come interessi comuni, o anche collet-


tivi) diviene generale (cioè imputabile alla categoria come tutto) per il
fatto di essere il risultato dell’interpretazione non più delle singole parti-
celle dell’insieme, ma dell’associazione professionale.
Quest’ultima, grazie al suo rapporto di alterità rispetto alla categoria
è appunto in grado di rapportarsi ad essa come ad un tutto distinto dalle
singole parti, apprezzandone l’interesse generale in termini oggettivi132,
sicché all’associazione è attribuito sia il compito di addivenire alla de-
terminazione della categoria, sia l’individuazione dell’interesse profes-
sionale133.
In definitiva – come chiarisce ancora l’Autore – «l’interesse profes-
sionale non esiste di per sé, come un dato specifico che si accompagna
ipso facto alla nozione di categoria, ma occorre che vi sia qualcuno che lo
definisca, ossia che si assuma di interpretarlo in base a una particolare
valutazione e secondo un certo criterio. A volte, in tal modo, apparirà
come interesse della categoria quello della maggioranza dei componenti
la categoria stessa, altre volte sarà quello di una minoranza lungimirante
[che] riescirà ad imporre la definizione alla maggioranza»134.
In altri termini, nel distinguere l’interesse generale della categoria
dagli interessi particolari dei soggetti che la compongono, Cesarini

132 Questa mi pare l’interpretazione più plausibile del pensiero dell’A., che in effetti

tratta della questione a più riprese, rendendo non sempre di immediata comprensione la sua
tesi. Negli Studi sul concetto d’interesse generale, cit., infatti, l’indagine procede in una pro-
spettiva ricostruttiva che pone sul medesimo piano, sia per ciò che riguarda l’oggetto di stu-
dio, sia per quel che riguarda i risultati interpretativi, l’interesse generale della categoria e
l’interesse generale nazionale, ma non dando rilevanza al processo di entificazione, che però
sembra esserne un presupposto necessario, né avanzando la definizione di interesse collettivo;
nei Preliminari sul diritto collettivo, cit., invece, l’attenzione dell’A. è rivolta essenzialmente a
distinguere l’interesse comune e quello collettivo – in questa sede introdotto – dall’interesse
generale, operazione che è affidata in gran parte al processo di entificazione, ma con partico-
lare riguardo all’interesse nazionale. Nel testo si propone una lettura del pensiero dell’A. che
tenga conto degli apporti che derivano da entrambi gli scritti, in una prospettiva di compe-
netrazione e reciproco chiarimento degli apparati argomentativi presentati da Cesarini Sforza
nei due saggi, operazione quest’ultima che si è svolta massimizzando i punti in comune e mi-
nimizzando quelli quanto meno apparentemente di conflitto.
133 Così CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 144, che

d’altro canto osserva che in tal caso «la soluzione – alla conversione dell’interesse comune o
collettivo in generale – è presupposta, la quale rimane naturalmente estranea a quella o a
quelle soggettive; si tratta, perciò, di un surrogato di soluzione. La definizione dell’interesse
di categoria ad opera dell’associazione professionale che deve tutelarlo e che serve innanzi-
tutto a delimitare la categoria, è un tipico esempio di tale pseudosoluzione, empiricamente
sufficiente».
134 CESARINI SFORZA, W., Corso di diritto corporativo, cit., p. 98.
60 CAPITOLO PRIMO

Sforza si sentiva garantito unicamente dal criterio meramente formale


della determinazione dell’interesse da parte dell’associazione sindacale ri-
conosciuta, che in quanto tale aveva il compito di individuare l’interesse
riferibile al tutto e non alle parti. Quali fossero poi i criteri sostanziali tra-
mite i quali si determinava il contenuto concreto all’interesse non aveva
alcuna importanza in questo modello teorico135.
Cercando – quindi – di fare opera di sintesi, possiamo dire che per
Cesarini Sforza all’interesse comune corrisponde l’insieme di interessi in-
dividuali ugualmente orientati riferibili ai componenti di una collettività;
quando poi a questa condizione oggettiva, viene ad aggiungersi la condi-
zione soggettiva del concepire l’interesse non come proprio, ma come
appartenente al gruppo, l’interesse diviene collettivo. Per uscire infine dal
novero degli interessi particolari a cui questi ultimi comunque apparten-
gono, l’unica strada praticamente percorribile è rimettere la determina-
zione dell’interesse ab externo, il che equivale a rimetterla allo Stato per
quel che riguarda l’interesse generale nazionale o all’associazione sinda-
cale per quel che riguarda l’interesse generale della categoria.

3.1.2. L’interesse collettivo nel pensiero di Francesco Carnelutti


Anche per comprendere la nozione di interesse collettivo avanzata
da Carnelutti, non è dato prescindere dall’impostazione di teoria gene-
rale che l’illustre giurista accoglie per quel che riguarda la nozione di in-
teresse tout court136.
L’Autore costruisce la sua nozione facendo perno su tre concetti:
quello di bisogno, quello di bene e quello di rapporto.
Si rifletta sulle seguenti affermazioni: a) «l’interesse è […] un rap-
porto tra un bisogno dell’uomo e un quid atto a soddisfarlo»; b) «l’inte-
resse si definisce come una situazione favorevole al soddisfacimento di
un bisogno»; c) «uomo e bene sono i due termini del rapporto, che noi
chiamiamo interesse»137.

135 V. ad esempio le sprezzanti considerazioni di Cesarini Sforza in Studi sul concetto


d’interesse generale, cit., p. 147, in riferimento agli strumenti adottati dal sistema democratico
per la determinazione dell’interesse generale, con particolare attenzione al principio di mag-
gioranza, definito appunto «criterio rozzamente empirico» tramite al quale solo apparente-
mente si opera la necessaria conversione della «collettività» in «tutto».
136 Sulla nozione v. CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, I, Introduzione

(1920), Padova, rist. 1930, p. 3 ss., per il quale «la nozione fondamentale per lo studio del di-
ritto è la nozione di interesse» (anche in Sistema di diritto processuale civile, I, Funzione e com-
posizione del processo, Padova, 1936, p. 7).
137 CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 3.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 61

Chiaramente le tre affermazioni sono state da noi estrapolate dal


loro contesto argomentativo ed appositamente isolate, ma ciò non toglie,
per un verso, che tutte manifestino palesemente il loro intento definito-
rio e, dall’altro, che le tre definizioni così ottenute siano tutt’altro che
equivalenti o reciprocamente esplicative.
Le prime due possono essere agevolmente ricondotte ad una confi-
gurazione oggettiva della nozione di interesse; configurazione in cui per
penetrare il concetto si fa perno su valori oggettivi (rapporto tra due ter-
mini o situazione favorevole). Mentre la seconda, nel suo porre in risalto
l’uomo in rapporto al bene, è più proiettata in una prospettiva soggetti-
vistica.
Passando dalle considerazioni generali a quelle più specifiche, ri-
guardo alla prima, si può osservare che, se il «quid atto a soddisfare il bi-
sogno» – come si affrettava a chiarire il Carnelutti – non corrisponde a
null’altro che alla nozione di bene, allora pare corretto leggere tale defi-
nizione come se dicesse che l’interesse è il «rapporto tra un bisogno del-
l’uomo ed un bene».
Incertezze sorgono però dalla considerazione del fatto che, pas-
sando alla seconda definizione, la stessa «situazione favorevole al soddi-
sfacimento del bisogno», potrebbe essa stessa coincidere con la nozione
di bene. In altri termini nella «situazione favorevole» potrebbe ben ve-
dersi quella situazione di godimento del bene idonea a soddisfare il biso-
gno. Ma così facendo la nozione di interesse, non più sarebbe il rapporto
tra bene e bisogno, ma andrebbe direttamente a sovrapporsi a quella di
bene, privando una delle due nozioni di autonomia concettuale.
Se poi si pensa alla terza ed ultima definizione presa in esame, si può
in essa notare un’attenuazione sensibile, se non una perfetta inversione,
della prospettiva oggettiva, in quanto l’interesse da rapporto oggettivo
bene/bisogno, diviene appunto il rapporto tra uomo e bene. Come chiari-
sce Carnelutti, aggravando i nostri dubbi, riguardo all’affermazione
poc’anzi richiamata: «subietto dell’interesse è l’uomo», «obbietto dell’in-
teresse è il bene»138.
La domanda che sembrerebbe doversi porre è dunque la seguente:
la nozione di interesse accolta da Carnelutti ha tenore soggettivo oppure
oggettivo, ovvero, la nozione di interesse si apprezza in relazione alle va-
lutazioni intrasoggettive dell’individuo, come già riscontrato in Cesarini
Sforza, o in relazione al rapporto obiettivo tra due termini, quali il biso-
gno e il bene?
138 CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 3; ID., Sistema di diritto
processuale civile, cit., p. 7.
62 CAPITOLO PRIMO

Trovare la risposta è operazione non da poco, visto che Carnelutti,


finché rimane sul piano definitorio, opera successivi slittamenti dal piano
soggettivo a quello oggettivo e viceversa139, presentando al lettore una de-
finizione sensibilmente meno precisa e sintetica se rapportata a quella di
Cesarini Sforza140. Detto questo, però, si crede che non costituisca co-
munque un forzatura, tale da falsare il pensiero dell’Autore, individuare
in un preciso passaggio dell’apparato argomentativo il possibile bandolo
della matassa.
Si presti dunque attenzione al passo in cui Carnelutti, in chiaro ri-
chiamo delle dottrine filosofiche utilitaristiche, sostiene che «lo svolgi-
mento di un interesse, cioè la determinazione di una condizione favore-
vole per il soddisfacimento del bisogno, esige naturalmente l’opera del-
l’uomo; appunto, secondo il principio edonistico, la attività umana non
trova altro impulso che il soddisfacimento dei bisogni e così lo svolgi-
mento degli interessi umani»141.
Se si coniuga, infatti, questa affermazione con quelle più propria-
mente riconducibili ad una prospettiva oggettiva, si può forse prospet-
tare una lettura armonizzante in grado di superare le antinomie.
È certo che un punto fondamentale dell’impostazione carneluttiana
è il richiamare con insistenza l’attenzione sull’aspetto, in un certo senso
strutturale, che è proprio del concetto di interesse.
L’interesse è essenzialmente presentato, infatti, come in Cesarini
Sforza, in veste di concetto di relazione, ovverosia come quel concetto che
è caratterizzato dal fatto di porsi a ponte tra due termini, il bisogno (ad
es. nutrirsi) ed il bene (il quid atto a soddisfare il bisogno, ad es. un bene
alimentare), i quali vanno correlati in rapporto di mezzo a fine.
139 Si rivolga l’attenzione alla seguente affermazione (CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto
processuale civile, cit., p. 3): «se io ho interesse a godere un fondo, cioè se godere un fondo è
un mio interesse [apparente prevalenza della prospettiva soggettiva ?], ciò vuol dire che il go-
dimento del fondo costituisce una situazione favorevole per il soddisfacimento di un mio bi-
sogno o di più miei bisogni [apparente prevalenza della prospettiva oggettiva ?]».
140 Vale la pena, peraltro, di riportare quale fosse il giudizio di Francesco Carnelutti ri-
guardo agli studi di Cesarini Sforza. Quanto segue rappresenta, infatti, la significativa Recen-
sione alle Lezioni di teoria generale del diritto di Cesarini Sforza a firma di Francesco Carne-
lutti nella Riv. dir. proc., 1930, p. 287: «Interessanti. Il corso, dopo un’introduzione sull’og-
getto e sul metodo della teoria generale del diritto, è impostato su due parti dedicate al
fenomeno giuridico nella sua struttura e nella sua attuazione. Questa partizione mi par di-
scutibile; più di una pagina lascia desiderare maggior chiarezza e, soprattutto, se non mi in-
ganno, maggior osservanza dei confini tra la teoria generale e la filosofia, sebbene debbasi
lealmente riconoscere la incertezza di questi confini e perciò la difficoltà di rendersene conto
a ogni passo; ma nel complesso lo sforzo è lodevole e non privo – se ne sarà compiaciuto il
Cesarini Sforza – di buoni risultati».
141 CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 9.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 63

Ma, messa in risalto questa caratteristica strutturale, rimane ancora


da chiedersi quando questo nesso relazionale si realizzi ed è proprio in
questo ulteriore tentativo di definizione che trova spazio la compenetra-
zione tra le due prospettive.
La relatio tra bene e bisogno viene, infatti, a realizzarsi allorquando
il soggetto valuta un determinato bene come situazione favorevole al sod-
disfacimento del bisogno. Come afferma Carnelutti, «lo svolgimento di
un interesse, cioè la determinazione di una condizione favorevole per il
soddisfacimento del bisogno, esige naturalmente l’opera dell’uomo»; il
che vale a dire che, il contributo del soggetto, prima marginalizzato, se
non escluso, nell’approfondimento dell’aspetto strutturale, si recupera in
sede di attivazione del rapporto, in veste appunto di giudizio soggettivo
di congruità del bene al soddisfacimento del bisogno142.
Prendendo per buona questa lettura della complessa posizione di
Carnelutti, è possibile esaminare la nozione di interesse collettivo, prima,
nel suo distinguersi dall’interesse individuale e, poi, nella sua applicazione
concreta, relativa alla ricostruzione della nozione dell’interesse di categoria.
Per ciò che riguarda il primo aspetto, ruolo determinante ha la na-
tura del bene oggetto di aspirazione; sostiene, difatti, Carnelutti che la
distinzione tra interessi individuali e collettivi, grava interamente sul fatto
che, mentre per i primi «la situazione favorevole per il soddisfacimento
di un bisogno può determinarsi rispetto ad un individuo soltanto», per i
secondi, «la situazione favorevole per il soddisfacimento di un bisogno
non può determinarsi se non rispetto a più individui insieme»143.
142 Così operando, dunque, la posizione di Carnelutti può essere ricondotta alla pro-
spettiva di Cesarini Sforza per ciò che riguarda la nozione generale di interesse, ovverosia
quella nozione in cui si assiste alla compresenza di un elemento oggettivo e di uno soggettivo.
Dare eccessivo rilievo all’attenzione che Carnelutti ripone nell’evidenziare l’aspetto oggettivo,
sembrerebbe non corretto, non solo in riferimento alle affermazioni riportate nel testo, che
già sole dimostrano una piena consapevolezza da parte dell’A. riguardo all’imprescindibile
elemento di valutazione soggettiva del singolo, ma anche in relazione alla distinzione, che a
breve andremo ad esaminare, tra interesse inteso in senso concreto ed interesse in senso
astratto. Distinzione quest’ultima, che difficilmente potrebbe trovare spazio nella sistematica
carneluttiana, se in essa non fosse appunto presente e rilevante l’apprezzamento soggettivo
del bene quale congruo rispetto il soddisfacimento del bisogno.
143 CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 6, che esemplifica a mo’

di chiarimento: «il godimento di una casa è un interesse individuale perché ciascuno può
avere una casa per sé; il godimento di una grande via di comunicazione è un interesse collet-
tivo perché questa non può aprirsi per la soddisfazione isolata dei bisogni di un uomo solo,
ma solo per la soddisfazione contemporanea dei bisogni dei più, di molti uomini». V. anche
ID., Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 12, in cui si precisa che «nel campo, come si
suol dire, intersoggettivo la solidarietà si risolve in ciò che un bisogno dell’uno non può es-
sere soddisfatto se non sia soddisfatto anche un bisogno dell’altro […]. Si delinea per tal
64 CAPITOLO PRIMO

La prospettiva oggettiva acquista sicuramente un rilievo maggiore.


Al contrario di quanto visto in Cesarini Sforza, il quale avanza una no-
zione di interesse collettivo interamente rimessa alla valutazione dei sin-
goli componenti una collettività, per Carnelutti si hanno interessi collet-
tivi quando la situazione favorevole al soddisfacimento del bisogno si
realizza necessariamente rispetto a più soggetti.
Si hanno, dunque, interessi collettivi in rapporto a beni la cui frui-
zione è necessariamente (in quanto dipendente dalla loro oggettiva na-
tura) collettiva, o, se si preferisce, in rapporto a beni che soddisfano ne-
cessariamente più bisogni individuali.
L’esempio della grande via di comunicazione offerto da Carnelutti
sembra essere abbastanza esplicativo al riguardo.
Per ciò che concerne il secondo aspetto, invece, ovvero per ciò che
attiene allo studio della nozione dell’interesse di categoria, l’attenzione
dell’Autore è rivolta essenzialmente nei confronti di due questioni: l’aspet-
to strutturale dell’interesse e la sua titolarità (con la connessa opera di ge-
stione).
Innanzitutto Carnelutti sostiene, in relazione all’interesse di catego-
ria che anima il conflitto collettivo, che quest’interesse va inteso come la
serie di interessi individuali. La serie, infatti, diversamente dalla somma
non è finita, ma aperta; ciò poiché nel conflitto collettivo «i portatori de-
gli interessi della serie […] non sono, né nominati, né numerati, né pre-
senti; contano anche gli ignoti, gli assenti, i futuri»144.
Chiari pertanto sono i