Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
1. LEOPOLDO TULLIO (a cura di), La nuova disciplina del trasporto aereo. Commento
della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999, 2006.
2. FABIO VECCHI, Gli accordi tra potestà civili ed autorità episcopali, 2006.
3. ANDREA LONGO, I valori costituzionali come categoria dogmatica. Problemi e ipo-
tesi, 2007.
4. BEATRICE SERRA, Arbitrium et aequitas nel diritto amministrativo canonico, 2007.
5. GIANLUCA BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana
tra storia costituzionale e prospettive europee, 2007.
6. LUIGI COLACINO CINNANTE, Pubblica amministrazione e trasformazioni dell’ordi-
namento, 2007.
7. G. CASSANDRO - A. LEONI - F. VECCHI (a cura di), Arturo Carlo Jemolo. Vita ed
opere di un italiano illustre. Un Professore dell’Università di Roma, 2007.
8. ROBERTA CALVANO (a cura di), Legalità costituzionale e mandato d’arresto europeo,
2007.
9. LAURA RONCHETTI, Il nomos infranto: globalizzazione e costituzioni. Del limite
come principio essenziale degli ordinamenti giuridici, 2007.
10. VINCENZO CERULLI IRELLI (a cura di), Il procedimento amministrativo, 2007.
11. FABIO FRANCESCHI, La condizione degli enti ecclesiastici in Italia nelle vicende
politico-giuridiche del XIX secolo, 2007.
12. SILVIA SEGNALINI, L’editto Carboniano, 2007.
13. VINCENZO MARINELLI, Studi sul diritto vivente. Prefazione di Augusto Cerri,
2008.
14. PAOLA COCO, L’imputazione del contributo concorsuale atipico, 2008.
15. MAURA GARCEA, I gruppi di società di persone, 2008.
16. FRANCO MODUGNO - PAOLO CARNEVALE (a cura di), Trasformazioni della funzione
legislativa. IV. Ancora in tema di fonti del diritto e rapporti Stato-Regione dopo la
riforma del Titolo V della Costituzione, 2008.
17. MARCO GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, 2008.
18. GIUSEPPE CRICENTI, I diritti sul corpo, 2008.
19. DONATELLA BOCCHESE, L’ipoteca sulla nave in costruzione, 2008.
20. ELEONORA RINALDI, Legge ed autonomia locale, 2008.
21. LUCIA GIZZI, Il getto pericoloso di cose, 2008.
22. GIANLUCA CIAMPA, Il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù,
2008.
23. ROMOLO DONZELLI, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, 2008.
ROMOLO DONZELLI
LA TUTELA GIURISDIZIONALE
DEGLI INTERESSI COLLETTIVI
JOVENE EDITORE
NAPOLI 2008
DIRITTI D’AUTORE RISERVATI
© Copyright 2008
ISBN 88-243-1778-2
Printed in Italy
Stampato in Italia
a papà
e
a Nicolò
Un sentito ringraziamento al Prof. Lucio Lanfranchi per gli inse-
gnamenti, il sostegno e l’esempio che mi ha regalato in questi anni.
INDICE
CAPITOLO PRIMO
LE VICENDE GIURIDICHE DELL’INTERESSE COLLETTIVO
NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE:
DAL PERIODO TARDO-LIBERALE
ALL’ORDINAMENTO CORPORATIVO
CAPITOLO SECONDO
LE VICENDE GIURIDICHE DELL’INTERESSE COLLETTIVO
NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE
SINO ALL’INIZIO DEGLI ANNI SETTANTA
1. Considerazioni introduttive....................................................................... » 89
2. L’interesse collettivo nella Costituzione repubblicana............................. » 90
3. «La Costituzione inattuata» e i rapporti tra interessi collettivi e dot-
trina............................................................................................................. » 98
4. La nozione di interesse collettivo nella dottrina giuslavorista post-co-
stituzionale.................................................................................................. » 101
4.1. La nozione di interesse collettivo secondo Francesco Santoro Pas-
sarelli.................................................................................................... » 101
4.2. L’interesse collettivo come «combinazione» o «sintesi» degli inte-
ressi individuali ................................................................................... » 106
5. Altri studi sulla nozione di interesse collettivo ........................................ » 111
6. Interessi collettivi e processo: il giudizio di repressione della concor-
renza sleale ................................................................................................. » 116
6.1. Corsi e ricorsi storici: la sentenza della Corte di cassazione n. 171
del 5 febbraio 1948 ............................................................................. » 119
6.2. Le diverse tesi sulla natura del giudizio di repressione della concor-
renza sleale ex art. 2598 c.c.: tesi «soggettive» e tesi «oggettive».... » 125
6.3. La natura dell’azione collettiva ex art. 2601 c.c. per le tesi «sog-
gettive» dell’illecito ............................................................................. » 128
6.4. La natura dell’azione collettiva ex art. 2601 c.c. per le tesi «ogget-
tive» dell’illecito .................................................................................. » 136
7. Considerazioni conclusive ......................................................................... » 138
CAPITOLO TERZO
LE VICENDE GIURIDICHE DELL’INTERESSE COLLETTIVO
DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI
CAPITOLO QUARTO
IL CONCETTO DI INTERESSE
E DI INTERESSE COLLETTIVO
CAPITOLO QUINTO
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE:
LA TECNICA DEL DIRITTO SOGGETTIVO
CAPITOLO SESTO
PROFILI GENERALI
DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
DEGLI INTERESSI COLLETTIVI
CAPITOLO SETTIMO
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE
CAPITOLO OTTAVO
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA
CAPITOLO NONO
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE
4. Gli interventi legislativi successivi alla l. n. 349 del 1986 ....................... p. 727
4.1. La l. 3 agosto 1999, n. 265 e il successivo d.legisl. 18 agosto 2000,
n. 267: il riconoscimento della legittimazione ad agire ai singoli e
alle associazioni ambientaliste ............................................................ » 727
4.2. Il d.legisl. 3 aprile 2006, n. 152.......................................................... » 730
4.2.1. Considerazioni introduttive...................................................... » 730
4.2.2. I Titoli I e II della Parte VI del d.legisl. n. 152/2006 ............ » 732
4.2.3. Il Titolo III della Parte VI del d.legisl. n. 152/2006 .............. » 735
4.2.4. L’azione pubblica del Ministero dell’ambiente e del terri-
torio in rapporto con l’interesse collettivo all’ambiente......... » 737
4.2.5. L’inevitabile supervalutazione delle tutele alternative ............ » 746
CAPITOLO DECIMO
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI
1 CAMMARATA, A.E., Limiti tra formalismo e dommatica nelle figure di qualificazione giu-
ridica [1936], in Formalismo e sapere giuridico, Studi, Milano, 1963, p. 345 ss.
XXIV PREMESSA
resse collettivo in senso ampio, ovvero privi dell’intenzione di contrapporlo al termine, o, più
precisamente al concetto, di interesse diffuso. Quando peraltro, per la natura degli argomenti
trattati, dovremo tenere con chiarezza distinte le due figure, allora, nel riferirci genericamente
agli interessi non esclusivamente individuali, utilizzeremo il termine più generico ed onni-
comprensivo di interessi sovraindividuali o superindividuali se non anche metaindividuali.
Solo nella parte ricostruttiva del lavoro, ovvero a partire dal capitolo IV, dimostrata l’indi-
stinguibilità ontologica tra l’interesse collettivo e l’interesse diffuso, il termine di interesse col-
lettivo verrà impiegato in senso proprio, ovvero indicante una precisa relazione logica tra più
interessi individuali.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 3
3 Per quel che qui interessa, cfr. Socialismo e diritto privato, Influenza delle odierne dot-
trine socialiste sul diritto privato [1906], Milano, 1980, edizione postuma a cura di P. Ungari.
4 CAPITOLO PRIMO
di fronte al proletariato e il diritto nuovo, Palermo, 1906, p. 91, per il quale la solidarietà «è la
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 5
legge del mondo fisico e quello della società umana. La vita sociale è un assieme di solidarietà
che si incrociano. L’uomo non è isolato, ma vive, opera, produce, possiede, in quanto trovasi
in mezzo ad altri uomini ai quali deve coordinare la sua azione. Come ogni bene viene dalla
società, così ogni atto ha un valore sociale, una funzione sociale. Da ciò la norma della vita e
l’ideale etico devono coesistere nella composizione degli interessi». Per approfondimenti, v.
COSTA, P., Il «solidarismo giuridico» di Giuseppe Salvioli, in Quaderni fiorentini, 1974-1975, I,
Il «socialismo giuridico», Ipotesi e letture, p. 457 ss. Come si vedrà in questo capitolo, specie
nelle pagine dedicate alle esperienze giuridiche tardo-liberali nel diritto del lavoro e sinda-
cale, proprio il vincolo solidaristico tra gli interessi dei soggetti che facendo parte di un
gruppo contribuiscono alla nascita dell’interesse collettivo costituisce uno dei tratti maggior-
mente significativi delle prime prospettazioni della nozione. In particolare cfr. le posizioni di
Messina, Galizia, Barassi, ma anche talune posizioni espresse dalla dottrina riguardo le di-
verse prospettive di riforma della magistratura probivirale su cui ci intratteremo più avanti
nel testo ed in nota.
8 Ancora preziose sono le parole di SOLARI, G., Socialismo e diritto privato, cit., p. 202
s.: «il concetto nuovo che veniva a sconvolgere il criterio tradizionale di distinzione tra diritto
pubblico e privato fu il concetto di società. Né i Greci, né i Romani distinsero tra società e
Stato. La stessa indistinzione noi troviamo nelle teorie contrattualiste, le quali movendo dal
concetto atomistico dello Stato, cioè dal considerare questo come la somma degli individui
singoli, non potevano assorgere al concetto di società. Società e Stato in tali teorie che furono
predominanti nel periodo di elaborazione della nostra legislazione civile, dovevano apparire
come una cosa sola. Ma nel secolo XIX noi assistiamo a una ricostruzione storica e teorica del
concetto di società. La Rivoluzione sotto l’influenza dell’individualismo dominante aveva la-
vorato a distruggere ogni forma corporativa e associativa, tendente a limitare in qualche
modo l’individualità. L’individuo sciolto ormai dai vincoli che nel passato lo tenevano avvinto
alla famiglia, alla corporazione, veniva a trovarsi solo in rapporto diretto con lo Stato. Il pro-
blema dei rapporti tra diritto e Stato era sopratutto politico cioè riguardava l’individuo nei
suoi rapporti con la sovranità. Il concetto di diritto pubblico doveva pertanto avere un con-
tenuto esclusivamente politico, e avere una sfera di estensione limitata non essendo prevalsa
la dottrina di Rousseau che tendeva ad assorbire gli individui e i loro diritti nella personalità
dello Stato. Il secolo XIX ricostruiva quel concetto di società che la Rivoluzione aveva di-
strutto. Le esigenze della grande produzione determinarono un concentramento degli indivi-
dui dispersi in gruppi sociali tenuti insieme da unità di coscienza e di scopi. Accanto alla vita
degli individui e dello Stato vediamo sotto l’azione riorganizzatrice della grande industria ri-
costruirsi le associazioni professionali, vediamo agitarsi le classi sociali in vista di determinati
scopi. Né solo gli interessi economici, ma gli interessi intellettuali, religiosi, artistici determi-
nano la differenziazione sociale e producono lotte e contrasti non più di carattere politico,
non essendo più in gioco la costituzione dello Stato, ma essenzialmente di carattere sociale,
trattandosi d’interesse di classe» (c.vi miei).
6 CAPITOLO PRIMO
2.1.1. Gli interessi collettivi in due progetti di riforma alle origini del si-
stema italiano di giustizia amministrativa
Le trame della vicenda politica, legislativa, dottrinale e giurispru-
denziale che dalla seconda metà dell’Ottocento ai giorni nostri ha dato
vita al sistema italiano di giurisdizione amministrativa «come uno dei si-
stemi [più] originali dell’esperienza giuridica dell’occidente» sono state
oggetto di ampi e numerosi studi in dottrina e sarebbe assolutamente
privo di significato ripercorrerle in questa sede12.
in Dig. disc. pubbl., VII, Torino, 1991, p. 502 ss.; MANNORI, L. - SORDI, B., Storia del diritto
amministrativo, Roma-Bari, 2006. L’essenzialità della prospettiva storico-ricostruttiva in or-
dine alla comprensione del sistema di giustizia amministrativa italiano fa sì che l’argomento
riceva ampia trattazione anche nella manualistica. Comunemente riconosciuta è poi la persi-
stente utilità scientifica dell’opera di SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi li-
beri: con speciale riguardo al vigente diritto italiano, Torino, 1904.
13 Così, SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 39; ma, nello
stesso senso, v. anche GIANNINI, M.S. - PIRAS, A., Giurisdizione amministrativa e giurisdizione
ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, cit., p. 234, che evidenziano come il
punto di equilibrio tra garanzie del cittadino nei confronti degli atti della pubblica ammini-
strazione e potere autoritativo della stessa fu raggiunto a vantaggio del secondo e non delle
prime.
14 Come ricorda SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 324,
«nonostante la sua fede nella efficacia pratica dei principi razionali, la Commissione non di-
sconobbe la difficoltà di tradurre il suo “concetto astratto e scientifico in formule legislative”.
10 CAPITOLO PRIMO
Ma reputò d’avere, dopo molto studio, trovato un sicuro criterio di ripartizione della distin-
zione fra diritti dei cittadini, ai quali bisogna accordare ampia e piena difesa giurisdizionale,
ed i meri interessi, i quali di fronte al potere esecutivo non possono pretendere ad alcuna gua-
rentigia, da quella in fuori del ricorso in via gerarchica».
15 SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 325.
16 V. SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 325-326. Si leg-
gano anche le parole del discorso alla Camera di Mancini, riportato da Salandra a p. 329 ss.
(ma v. per il passo che segue p. 351), nei quali si rilevò quanto segue: «possono esserci inte-
ressi ragionevoli, rispettabili, legittimi nell’ordine delle convenienze e delle utilità private e
sociali; ma questi interessi non sono assicurati da una legge, che li innalzi al grado di diritti e
crei in loro favore un’azione esperibile in giudizio. Se dunque esistono semplici interessi di
questa specie, è chiaro che non tutti gli interessi sono diritti; ed arbitro regolatore ed estima-
tore appunto di questi interessi, che sono numerosissimi, non può essere che il potere ammi-
nistrativo […]. Questo, o signori, è il concetto informatore della proposta della commissione.
Esso è scolpito negli articoli secondo e terzo del progetto di legge, meritando in essi speciale
attenzione le due formule caratteristiche: cioè, nell’articolo secondo Controversie che riguar-
dano i diritti civili e politici; e nell’articolo terzo Atti di pura amministrazione riguardanti
gl’interessi individuali o collettivi degli amministrati. La Camera ha udito come il criterio fon-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 11
damentale, secondo il concetto della Commissione, della distinzione tra le funzioni dell’am-
ministrazione e le funzioni contenziose spettanti alla giustizia, consiste nell’elemento dell’in-
teresse, contrapposto all’elemento del diritto».
17 Il primo documento in cui è presente la distinzione-contrapposizione tra «interesse»
v. ancora SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 111 ss.
19 GIANNINI, M.S. - PIRAS, A., Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei
confronti della pubblica amministrazione, cit., p. 235, che ricordano, ad esempio, come la
riforma del 1865, con la formula dei «diritti civili e politici», avesse lasciato sguarnita di tu-
tela la materia del diritto pubblico relativa ai corpi morali legalmente riconosciuti, cioè quella
relativa ai comuni ed alle province.
20 Sul punto, v. SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 31 nel
testo e a nota 10 che ricorda le critiche al progetto mosse da Cordova, Rattazzi e Crispi, il
quale ultimo si interrogava «se tra le questioni le quali insorgano nell’esercizio delle attribu-
12 CAPITOLO PRIMO
zioni che rimarranno all’amministrazione si debbano richiedere delle guarentigie che premu-
niscano i cittadini e la società da qualunque offesa che possa venire da parte degli agenti del
Governo»; rilievo quest’ultimo a cui replicava Mancini: «non è questa la legge in cui dob-
biamo occuparci delle garantie dell’esercizio dell’amministrazione pura».
21 Sull’iter formativo della legge, v. SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei go-
verni liberi, cit., p. 497 ss. Occorre d’altra parte far cenno al coevo progetto di legge n. 305
del 19 marzo 1885 presentato dall’on. Luchini in materia di azione popolare; il quale appunto
mirava ad introdurre un’ipotesi di azione popolare generale. Prospettiva di riforma, quest’ul-
tima, in grado di incidere profondamente sulla configurazione tradizionale dell’istituto, non-
ché sulla teoria generale delle situazioni giuridiche protette e del loro accesso alla tutela giu-
risdizionale. Sul progetto v. le osservazioni di BORGHESI, D., Azione popolare, interessi diffusi
e diritto all’informazione, in Pol. dir., 1985, p. 259 ss., spec. p. 264. Per il testo del progetto,
v. invece TROCCOLI, A., Un istituto giuridico da rivalutare: l’azione popolare, in Rass. parla-
mentare, 1971, p. 85 ss., spec. p. 90 s.
22 Cfr. l’art. 1 del Progetto riportato da SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei
23 SALANDRA, A., La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 477, nota 2.
24 Sulla figura di Giuseppe Mantellini, v. le sottolineature di CANNADA BARTOLI, E., Giu-
stizia amministrativa, cit., p. 518 s.
25 SPAVENTA, S., Giustizia nell’amministrazione (Discorso pronunciato all’Associazione
27 Così, MANTELLINI, G., Lo Stato e il Codice civile, III, Firenze, 1879-1882, p. 307.
28 SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 34.
29 Per la prima lettura, v. ad es. BENVENUTI, F., Giustizia: II) Giustizia amministrativa,
cit., p. 599 ss.; nonché BERTI, G., Amministrazione autonoma e giustizia amministrativa nella
legislazione unificatrice del 1865: il contributo del deputato Francesco Borgatti, in L’unificazione
amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di Benvenuti e Miglio, Atti del congresso celebra-
tivo del centenario delle leggi amministrative dell’unificazione, Milano, 1969, p. 409 ss. Per la
seconda lettura v. SORDI, B., Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale, cit., p. 30, nota 9
e poi p. 367, nota 66, per il quale «l’apparente perfezione del sistema era forse già compro-
messa, sin dalle scelte dell’unificazione dalla drammatizzazione e dall’eccessiva inafferrabilità
del criterio del riparto, dalla distinzione precaria e naturalmente conflittuale fissata dalla
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 15
legge abolitiva del contenzioso tra diritto e interesse», ma «non è possibile […] passare sotto
silenzio l’importante funzione “creativa” svolta dalla scienza giuridica negli anni a cavallo tra
i due secoli che, attraverso una revisione globale dei modelli amministrativi, ispirò da una
parte l’intera sistematica amministrativa, dall’altra il “nuovo corso” giurisprudenziale che tro-
verà, negli anni ’30, nel concordato D’Amelio-Romano la definitiva consacrazione».
16 CAPITOLO PRIMO
30 V., infatti, le considerazioni avanzate da Bonaudi al riguardo e riportate infra, nel te-
sto § 2.1.3. Nel dibattito successivo agli anni Settanta la configurazione in chiave oggettiva
della tutela giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo ha rappresentato la strada rico-
struttiva privilegiata in ordine al riconoscimento di più ampie possibilità di tutela degli inte-
ressi sovraindividuali in particolare nella posizione di A. Romano, su cui appunto, v. infra,
cap. III, 3.3.1.2., spec. nota 97.
31 Sul punto, v. il cap. III. Per un esame dell’evoluzione del concetto di interesse legit-
timo con specifica attenzione, da un lato, alla prospettiva storico-evolutiva della nozione e,
dall’altro, al rapporto della stessa con la tematica degli interessi collettivi e diffusi, v., in par-
ticolare, CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Milano, 1992, p.
9 ss.
32 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, Milano-Torino-Roma, 1911, opera fre-
quentemente richiamata dalla dottrina successiva: cfr. ad es. TARZIA, G., Le associazioni di ca-
tegoria nei processi civili con rilevanza collettiva, in Riv. dir. proc., 1987, p. 774 ss. e CARAVITA,
B., Interessi diffusi e collettivi (Problemi di tutela), in Dir. soc., 1982, p. 167 ss., ma spec. p.
183, nota 39, il quale peraltro ammette quanto sia poco conosciuto dalla più recente dottrina
il lavoro ora richiamato, nonostante la sua impostazione «sorprendentemente moderna».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 17
riflessione sulle figure concettuali che per tradizione hanno rivestito il ruolo di strumenti ri-
costruttivi elementari del nostro sistema giuridico. Più precisamente, se in ambito ammini-
strativistico il tema della giustiziabilità degli interessi sovraindividuali ha in larga misura rap-
presentato un occasione per interrogarsi nuovamente sul concetto di interesse legittimo, in
ambito civilistico, il raffronto tra interessi lato sensu collettivi e diritto soggettivo non ha dato
luogo a tentativi di tal fatta; tanto che la dottrina nemmeno ha sentito il bisogno di verificare
l’armonizzabilità dei primi con il secondo distinguendo tra le pur diverse nozioni di diritto
soggettivo avanzate dall’inteso dibattito svoltosi in Italia nella prima metà del Novecento. Sul
punto, v. infra, capp. III e V.
35 V. in particolare infra, cap. III, § 3.1. e 3.2., in cui ripercorreremo i rilievi che la dot-
trina da più parti – sostanzialista e processualista – ha mosso nel corso del dibattito generale
avviatosi a seguire degli anni settanta sul fondamentale quesito concernente la possibile giu-
ridicizzazione degli interessi a carattere sovraindividuale. Per il superamento delle problema-
tiche attinenti al profilo della giuridicizzazione degli interessi, ovvero, più precisamente, per
il superamento degli scogli che la dogmatica tradizionale sembrerebbe opporre al riconosci-
mento degli interessi lato sensu collettivi, v. infra, cap. V e VI.
36 V. infra, cap. IV, § 2. ss.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 19
37 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 5-6 (c.vo mio).
38 Il concetto è successivamente approfondito da BONAUDI, E., La tutela degli interessi
collettivi, cit., p. 20, in sede di distinzione tra l’interesse individuale e l’interesse collettivo; si
sostiene, infatti, la necessità di operare questa ferma contrapposizione in virtù della circo-
stanza secondo cui, se così non fosse, «tutti gli interessi collettivi verrebbero in fin dei conti
a trasformarsi in interessi individuali e cadrebbe perciò la distinzione tra gli uni e gli altri: il
che non può ammettersi perché la distinzione non è semplicemente formale ma di sostanza,
e deriva dal fatto che l’interesse collettivo, se in taluni casi può eventualmente consistere nella
somma o nella risultante di interessi individuali, cosicché, per esprimere più chiaramente il
concetto, si può dire che è in rapporto a questi ultimi qualcosa di sostanzialmente identico,
ma di maggiore estensione, in altri casi invece, e specialmente in una società progredita, esso
è affatto distinto e non può trovare riscontro con l’interesse individuale, o tutt’al più que-
st’ultimo può riscontrarvisi, ma attenuato di tanto da apparire radicalmente diverso». Come
si può agevolmente notare sin d’ora le affermazioni riportate non vanno oltre la mera decla-
mazione, essendo assolutamente prive di qualsiasi capacità dimostrativa ed al contrario affi-
date – come peraltro avviene tuttora – ad una impostazione intuitiva del quid da definire.
Mancano, infatti, nelle riflessioni di Bonaudi sia il tentativo di cogliere nell’aspetto unitario
dell’interesse collettivo (inteso alla luce del vincolo solidaristico che unisce gli interessi del
gruppo) il discrimen che lo separa dai singoli interessi individuali (v., al contrario, infra, la di-
versa impostazione di Giuseppe Messina), sia il tentativo di rinvenire un’eventuale ragione di
distinzione nel processo di tipizzazione/astrazione degli interessi concreti individuali (v. infra,
specialmente la posizione di Francesco Carnelutti).
39 Più in generale Bonaudi osserva (p. 8) come «la tutela degli interessi di siffatte col-
lettività speciali o classi [possa] quindi attuarsi in due modi diversi: o per iniziativa dello
Stato (inteso in senso largo e cioè comprendente gli organi della pubblica amministrazione in
generale […]), ovvero per opera diretta degli interessati». Ma precisa anche come sia effetti-
20 CAPITOLO PRIMO
42 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 13-14 (corsivi dell’A.).
43 In Vittorio Emanuele ORLANDO (La giustizia amministrativa, in Primo trattato di di-
ritto amministrativo completo, a cura di V.E. Orlando, III, Milano, 1901, p. 784 ss.) l’attività
della IV sezione del Consiglio di Stato è ricostruita in termini oggettivi e l’«interesse» richia-
mato dall’art. 24, lungi dall’assumere le vesti di una situazione giuridica soggettiva, appare
come mero interesse a ricorrere sulla falsa riga di ciò che dispone l’art. 36 del codice civile di
rito del 1865. Al contrario, in Lodovico MORTARA (Commentario del codice e delle leggi di pro-
cedura civile, I, Teoria e sistema della giurisdizione civile, Milano, s.d ma 1905, p. 29 ss.) l’ac-
centuazione del carattere rigorosamente giurisdizionale dell’attività espletata dalla IV sezione
passa attraverso una svalutazione della sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione
a vantaggio del riconoscimento di diritti pubblici soggettivi in capo ai cittadini in ordine al ri-
spetto della legalità negli atti dello Stato (posizione che riecheggia – almeno in parte – anche
in CAMMEO, F., Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d., p. 129). In
22 CAPITOLO PRIMO
Oreste RANELLETTI (A proposito di una questione di competenza della IV sezione del Consiglio
di Stato, Avezzano, 19892, p. 33 ss.; ID., Nota a Cass. Roma, S.U., 27 marzo 1893, in Foro it.,
1893, I, p. 470 ss., opere alle quali Bonaudi rinvia, essendo stato pubblicato il primo volume
dei Principi di diritto amministrativo, Introduzione e nozioni fondamentali, a Napoli nel 1912)
la concezione soggettiva della giurisdizione amministrativa, coniugandosi con la valorizza-
zione del potere discrezionale della pubblica amministrazione, conduce all’elaborazione della
figura dell’interesse legittimo nelle due species dell’interesse occasionalmente protetto e del
diritto affievolito. L’eterogeneità delle soluzioni teoriche, nonché la diversa cornice ideologica
e culturale che contraddistingue l’opera degli AA. ora indicati, dimostra – a noi sembra piut-
tosto inequivocabilmente – il vero limite del lavoro di Emilio Bonaudi; il quale, trovatosi ad
affrontare il tema della giustiziabilità degli interessi collettivi in un momento in cui una sta-
bile sistemazione dei requisiti legittimanti il ricorso innanzi al giudice amministrativo era an-
cora lontana da venire, evitò nella sostanza la prospettiva propriamente ricostruttiva (che al
contrario ancora presentava ampie possibilità argomentative in ordine ad una visione meno
personalistica della tutela), attestandosi in una posizione di sostanziale chiusura esegetica, at-
tenuata – se non effettivamente contraddetta – dalla rilevazione dell’assoluta necessità di ri-
conoscimento giuridico dei nuovi interessi materiali emergenti.
44 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 24 (corsivi dell’A.).
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 23
45 «Una attenta disamina ci induce […] a rilevare come la determinazione degli inte-
ressi, tutelabili in sede amministrativa, possa uscire assai più difficile di quella concernente gli
interessi che sono fondamento dell’azione giudiziale. Ciò proviene dal fatto che, a differenza
dei diritti (i quali sono comunemente definiti interessi forniti d’azione), gli interessi ammini-
strativi sono di regola di difficile individualizzazione»: così, BONAUDI, E., La tutela degli inte-
ressi collettivi, cit., p. 29-30.
46 Le incerte coordinate dogmatiche in cui opera l’Autore (cfr. retro, nota 43) sembrano
emergere con chiarezza laddove (La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 26) si rileva che «sif-
fatto interesse personale non può essere arbitrario: esso deve valutarsi secondo l’opinione me-
dia degli uomini nei casi normali, poiché altrimenti il giudizio sull’esistenza o meno dell’inte-
resse riuscirebbe impossibile, dovendo aversi riferimento all’apprezzamento soggettivo della
parte. Perciò […] l’indagine relativa costituisce spesso una questione di fatto, che va risolta
caso per caso. Senza approfondire l’indagine – continua l’A. –, basti ricordare come l’inte-
resse personale, secondo la dottrina e la giurisprudenza ormai prevalenti, deve concretarsi in
un vantaggio positivo per l’individuo, senza che per ciò occorra che il medesimo sia di natura
economica o patrimoniale, bastando che esso abbia un contenuto effettivo e non soltanto
ideale o morale».
47 Come risulterà più chiaro negli svolgimenti successivi del lavoro, se numerosi osta-
coli alla tutela degli interessi collettivi sono derivati dall’impiego di talune concezioni dogma-
tiche tradizionali tanto in sede di diritto sostanziale, quanto in sede di diritto processuale, al-
trettanti ostacoli sono discesi dall’utilizzo di nozioni dell’interesse collettivo talora lontane da
quella corretta o anche semplicemente abbozzate; nozioni comunque ritenute adeguatamente
appaganti per poter procedere alla complessiva ricostruzione degli strumenti di tutela del me-
desimo. Nello studio di Bonaudi, la nozione di interesse collettivo non solo è contraddittoria
nel suo volersi proporre alternativamente come somma o risultante di interessi individuali,
ma è anche ritenuta ontologicamente distinta dall’interesse individuale. Questa concezione,
tanto frequentemente riproposta dalla dottrina successiva, si coordina perfettamente con
l’impostazione tradizionalista-individualista-esclusivista, conducendo l’A. ad escludere che
l’interesse di individui richiamato dalla legge istitutrice della IV sezione del Consiglio di Stato
sia compatibile con la tutela dell’interesse collettivo, ovvero che l’interesse collettivo non sia
sufficientemente individualizzato da poter costituire idonea condizione d’accesso alla tutela
giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione.
24 CAPITOLO PRIMO
popolare nel nostro ordinamento trova origine nelle decisioni del Consiglio di Stato ancor
prima della legge del 1889, ovvero in materia di Ricorsi al Re, come ricordano GIANNINI, M.S.
- PIRAS, A., Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica
amministrazione, cit., p. 236 s., richiamati da CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela de-
gli interessi diffusi, cit., p. 10, nota 1. Sul punto, v. anche infra, cap. III.
51 Così, BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 54, che anticipa una delle
osservazioni più comuni riguardo alla giustiziabilità degli interessi collettivi: piuttosto di re-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 25
cente, v. CASSESE, S., Gli interessi diffusi e la loro tutela, in La tutela giurisdizionale degli inte-
ressi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2003, p. 569.
52 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 25.
53 BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 25.
54 La possibilità di individuare nei comuni i soggetti collettivi idonei a porsi come enti
portatori degli interessi sovraindividuali ha trovato particolare svolgimento anche nel dibat-
tito avviatovi a partire dagli anni Settanta: cfr. in particolare ANGIULI, A., Interessi collettivi e
tutela giurisdizionale, Le azioni comunali e surrogatorie, Napoli, 1986, su cui v. infra, cap. III,
nota 123.
55 Per lo studio delle azioni riservate agli enti, v. BONAUDI, E., La tutela degli interessi
56 Su quest’aspetto v. BONAUDI, E., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 118 ss. (i
passi riportati nel testo si trovano a p. 121). In particolare si vedano le decisioni del Consiglio
di Stato riportate dall’A. a p. 122 ss.
57 Come vedremo in numerose occasioni nel prosieguo del lavoro, l’alternativa confi-
2.2. L’interesse collettivo nelle origini del diritto del lavoro nello Stato
tardo-liberale
2.2.1. Le riflessioni di Giuseppe Messina sull’interesse da tutelarsi in sede
di concordato collettivo
Operato questo breve excursus sul processo amministrativo, occorre
volgere il nostro sguardo al campo dell’esperienza giuridica che – tra
tutti – specie nel periodo storico ora in esame, ha dimostrato la più spic-
cata propensione ad interrogarsi sul possibile riconoscimento giuridico
di interessi metaindividuali. Il riferimento è, come ovvio, al diritto so-
stanziale e processuale del lavoro.
Ciò risulta, d’altra parte, assai comprensibile alla luce del rapporto
di massima prossimità, che legava detto settore a quell’area dei rapporti
sociali che si era presentata come terreno di elezione per l’attivarsi dei
nuovi conflitti e per l’esprimersi dei nuovi interessi.
La contraddizione tra dinamica reale e disciplina giuridica era, in-
fatti, riguardo la regolamentazione dei rapporti di lavoro, insopportabile.
61 Su questo aspetto v. CASTELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, Milano, 1994,
che rileva come i pur diversificati contributi degli Autori anteriori all’opera di BARASSI «pro-
spettarono […] regolamentazioni variamente articolate delle diverse forme di lavoro, deri-
vando pur sempre la configurazione negoziale della fattispecie di riferimento alla definizione
codicistica di lavoro d’opera, per tutti positivamente vincolante. Basti pensare che al di là
della ricorrente critica del codice civile, gli autori sopra citati subirono la suggestione […] di
procedere alla costruzione scientifica della fattispecie attraverso la tecnica della classificazione
per genere e per differenze specifiche, sulla scorta più o meno coerente e fedele, della traccia
fornita dal sistema di definizioni e classificazioni concatenate dei negozi locativi di cui agli ar-
ticoli 1568-1570 e 1627 del codice civile del 1865»; cfr. anche SPAGUOLO VIGORITA, L., Subor-
dinazione e diritto del lavoro. Problemi storico-critici, Napoli, 1967; ROMAGNOLI, U., Alle ori-
gini del diritto del lavoro: l’età preindustriale, in Riv. it. dir. lav., 1985, I, p. 514 ss.; ID., All’o-
rigine dei rapporti tra capitale e lavoro: locazione d’opere e società, in Lavoratori e sindacati tra
vecchio e nuovo diritto, Bologna, 1974, p. 13 ss.
62 V., sul punto, SOLARI, G., Socialismo e diritto privato, cit., p. 198, che descrive le con-
dizioni che in Germania favorirono l’introduzione della legislazione sociale: «il salario rap-
presenta per l’operaio la condizione stessa della vita, e il più delle volte l’operaio disoccupato
premuto dal bisogno non discute i patti del lavoro ma li subisce e cede la sua forza di lavoro
per quel tempo e quel prezzo che l’imprenditore vuole. Il presupposto giuridico della libera
volontà e dell’uguaglianza delle parti non vale per il contratto di lavoro industriale. In realtà
il rapporto di lavoro non sancisce l’uguaglianza ma la dipendenza dell’operaio ossia il predo-
minio dell’imprenditore. La contraddizione tra la forma giuridica e il contenuto economico
diventa evidente. È vero che l’operaio ha consentito al contratto: coactus sed tamen voluit: ma
non sempre quando l’accordo di volontà di due persone è richiesto per formare un negozio
giuridico, la dichiarazione di volontà ha per entrambi lo stesso significato. Ciò vale pel for-
malismo dei giuristi, ma chiunque guarda al contenuto reale del rapporto non potrà a meno
che constatare che nel contratto di lavoro si consacra un vero e proprio dominio dell’im-
prenditore sugli operai, dominio che esclude la libertà e l’uguaglianza giuridica».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 29
notare come già in essi sia possibile scorgere i primi tentativi, più o meno
definitoriamente orientati, di apprezzamento concettuale dell’interesse
collettivo; già in questi prodromi, infatti, è agevole rilevare i tratti costitu-
tivi che verranno a far parte anche dei successivi sforzi definitori.
Si pensi, ad esempio, ad alcuni fondamentali passaggi che si riscon-
trano negli scritti di Giuseppe Messina, cioè di colui che, come efficace-
mente sostenuto, «ha avuto il merito – nel nostro Paese – di far uscire il
pensiero giuridico-sindacale dalla minore età»65.
Sul piano nominalistico, ad esempio, l’interesse non si presenta an-
cora stabilmente qualificato come collettivo, bensì sovente si presenta in
termini di interesse comune ai membri del gruppo66. Ma al di là di que-
st’ultimo profilo, numerosi sono i suggerimenti rivolti, nella sostanza, alle
successive elaborazioni.
65 Così, ROMAGNOLI, U., Le origini del pensiero giuridico-sindacale in Italia, in Lavoratori
e sindacati tra vecchio e nuovo diritto, cit., p. 161; e cfr. anche ID., I «concordati» di Giuseppe
Messina: nota introduttiva, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, p. 107 ss. Per l’esame del dibat-
tito dottrinale in materia di contrattazione collettiva nel periodo tardo-liberale, oltre al con-
tributo più volte richiamato della CASTELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, cit., p. 291
ss., v. PASSANTI, P., Storia del diritto del lavoro, I, La questione del contratto di lavoro nell’Ita-
lia liberale (1865-1920), Milano, 2006, spec. p. 446 ss. per l’esame della posizione di Messina.
Sul tema, cfr. anche ROMAGNOLI, U., Le origini del pensiero giuridico-sindacale in Italia, cit., p.
123 ss.; ID., Per uno studio sul contratto collettivo: il contributo del Consiglio superiore del la-
voro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, p. 446 ss.; VENEZIANI, B., I conflitti collettivi e la loro
composizione nel periodo precorporativo, in Riv. dir. lav., 1972, I, p. 208 ss.; CAPPELLETTO, M.,
Per una storia del diritto del lavoro: il contratto collettivo ed i probiviri, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1977, p. 1198 ss.; VARDARO, G., L’inderogabilità del contratto collettivo e le origini del pen-
siero giuridico-sindacale, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1979, p. 537 ss.; CASANOVA, M., Il diritto
del lavoro nei primi decenni del secolo: rievocazioni e considerazioni, in Riv. it. dir. lav., 1986,
I, p. 231 ss.; MENGONI, L., Il contratto collettivo nell’ordinamento giuridico italiano, ora in Di-
ritto e valori, Bologna, 1985, p. 247 ss.; CASTELVETRI, L., Le origini dottrinali del diritto del la-
voro, cit., p. 246 ss.; VENEZIANI, B. - VARDARO, G., La rivista di diritto commerciale e la dottrina
giuslavoristica delle origini, in Quaderni fiorentini, 1987, p. 441 ss.; CAZZETTA, G., Leggi so-
ciali, cultura giuridica ed origini della scienza giuslavoristica in Italia tra Otto e Novecento, in
Quaderni fiorentini, 1988, p. 155 ss.; ID., L’autonomia del diritto del lavoro nel dibattito giuri-
dico tra fascismo e Repubblica, in Quaderni fiorentini, 1999, p. 385 ss. Per un profilo più pro-
priamente storico del fenomeno sindacale in generale, v. CRAVERI, P., Sindacato (storia), in Enc.
dir., 1990, XLII, p. 659 ss.
66 V. MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, in Riv. dir.
comm., 1904, I, p. 458 ss., e successivamente – fonte dalla quale prenderemo le citazioni – in
Scritti giuridici, IV, Scritti di diritto del lavoro, Milano, 1948, in cui l’illustre A., oltre che al-
l’interesse «collettivo» si riferisce a «interessi comuni da soddisfare» (p. 5), a «interessi co-
muni della classe operaia» (p. 11), piuttosto che a «interessi […] al miglioramento di una
classe, di una professione». Il celebre saggio a cui ci riferiamo è stato successivamente ripub-
blicato nel Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, p. 113 ss., con la già citata presentazione di ROMA-
GNOLI, U., I «concordati» di Giuseppe Messina: nota introduttiva.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 31
67 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 9-10.
Per l’indicazione riassuntiva degli AA. che successivamente valorizzeranno l’aspetto unitario
dell’interesse collettivo lungo la linea del vincolo solidaristico che abbraccia i diversi interes-
sati, v. infra, cap. IV, nota 42.
68 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 24.
69 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 24 ss.
70 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 25.
32 CAPITOLO PRIMO
71 MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 26.
72 GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, Napoli, 1907, ora nella ristampa con pre-
sentazione di Napoli, Milano, 2000, p. 73.
73 GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, cit., p. 78 (c.vo mio). Può essere oppor-
tuno chiarire che, sia la dottrina di Messina, sia quella di Galizia – per potersi ben compren-
dere – necessitano di essere proiettate sullo sfondo del dibattito che li vede partecipi. L’o-
biettivo essenziale che, difatti, dà ragion d’essere alle riflessioni della dottrina ora indicata è –
come noto – rappresentato dall’obiettivo di elaborare una nozione di contratto collettivo non
coincidente con la mera sommatoria di pur separati contratti individuali; e ciò – ovviamente
– allo scopo di impedire che la contrattazione delle condizioni di lavoro si svolgesse in regime
di concorrenza tra lavoratori, fenomeno quest’ultimo disastroso per i lavoratori che, costretti
dalle ineluttabili necessità del sopravvivere, erano disposti, se colti individualmente, ad accet-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 33
del suo pensiero che a noi maggiormente interessano in questa sede – «in
tare condizioni miserrime. E questo risultato poteva essere raggiunto appunto sostenendo,
per un verso, che i lavoratori venissero, per via dell’accordo, ad obbligarsi non solo rispetto
al datore, ma anche tra loro, e, dall’altro, che per il datore, la violazione delle disposizioni del
patto in relazione ad un singolo rapporto di lavoro, costituisse violazione dell’accordo in toto.
Ecco, dunque, che MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro,
cit., p. 40-41, avanza la tesi del concordato di tariffa come atto complesso – cfr. sul punto an-
che GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, cit., p. 87 – grazie al quale viene a configu-
rarsi un accordo interno tra lavoratori, a cui consegue «la riduzione della pluralità dei mem-
bri di una parte contraente ad un unico pasciscente» e che GALIZIA, A., Il contratto collettivo
di lavoro, cit., p. 78, viene a parlare della «volontà organica e unica» di cui nel testo. In que-
sti AA. si assiste dunque allo sforzo di trasportare nel mondo del diritto quel vincolo di soli-
darietà che emergeva prepotentemente dalla realtà delle relazioni. Contra, cfr. BARASSI, L., Il
contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, II, Milano, 1917, p. 98 ss., che critica le posi-
zioni di Messina e Galizia per ciò che riguarda la possibilità di avanzare una concezione uni-
ficante delle singole posizioni individuali mediante la loro conversione in un «unico pasci-
scente» o in una «volontà organica e unica». Per Barassi infatti occorre opporsi a «questa si-
stematica artificiosa che utilizza giochi di parole per travisare la realtà». Come afferma
l’illustre Autore: «è un po’ una sistematica da prestigiatore, che riesce a nascondere più og-
getti in uno solo come se un solo oggetto complessivamente sussista». Così Barassi preferisce
riferirsi all’associazione sindacale come ad un «organismo plurimo, ma vivente, con tratta-
mento giuridico prevalentemente atomistico» (p. 96), ma, d’altra parte, non nega la necessità
di dar riconoscimento giuridico a «quella solidarietà e indivisibilità che stringe i membri della
collettività contraente»; ciò che contesta è la strada seguita dalla dottrina criticata per rag-
giungere detto risultato interpretativo. In ordine alle nostre finalità di studio, peraltro, non
sussiste un interesse primario all’approfondimento della struttura del contratto collettivo
avanzata nella dottrina di Barassi, ma preme piuttosto investigare su quale sia la nozione ac-
colta di interesse collettivo. Proprio quest’ultimo, infatti, viene chiamato in causa per dare
fondamento giuridico al nesso di interdipendenza che lega i diversi vincoli contrattuali dei
singoli lavoratori. Rileva Barassi che detto vincolo può derivare o da una espressa previsione
in sede di accordo, o, qualora questa manchi, dall’insieme delle circostanze ed in particolar
modo dal fatto che l’affare per cui si contrae sia «comune obiettivamente, in modo da creare
una indivisibilità tra i partecipanti» (p. 99). Ma nel contratto collettivo, in assenza delle con-
dizioni or ora accennate, può raggiugersi il medesimo risultato alla luce del vincolo solidari-
stico sussistente tra gli interessi dei lavoratori. Afferma, difatti, Barassi: «la sussistenza di una
solidarietà interna reagente anche esternamente sui singoli rapporti giuridici non è dubbia an-
che, e specialmente, quando si tratti di un concordato preliminare di lavoro. Si dice infatti
che questo tutela appunto l’interesse comune, e non i singoli interessi individuali. Ora, io vo-
glio anche ammettere che questa sia qualità caratteristica […] di tutti gli accordi con colletti-
vità […] a tipo sindacale, per cui […] l’accordo collettivo è arma pacifica nella competizione
con l’altro contraente, per far valere un interesse solidale […]. Ciò posto mi par certo che
questa caratteristica del concordato lo compenetri così sostanzialmente da creare un legame
tra le singole posizioni contrattuali parallele” (p. 99-100), con la conseguenza che “questo ri-
sultato […] si possa generalizzare a qualunque accordo con collettività di persone preordi-
nata appunto a far valere con quell’accordo un interesse collettivo» (p. 100; si noti anche qui
il profilo lessicale, evidenziato dai corsivi appositamente introdotti). Insomma sembra possi-
bile ritenere che anche per Barassi, l’interesse collettivo, sebbene non operi nel senso di ren-
34 CAPITOLO PRIMO
dere unitaria la posizione contrattuale dei lavoratori assieme, comunque serva a gettare i
ponti tra i vari vincoli individuali ed inoltre – cosa che a noi interessa maggiormente – sem-
bra effettivamente plausibile assimilare la posizione di Barassi a quella di Messina e di Gali-
zia per ciò che specificamente attiene alla configurazione dell’interesse collettivo in una veste
unitaria e distinta dagli interessi individuali. Considerazione – quest’ultima – che trae con-
ferma dall’effetto unificante che comunque, sebbene in diversa forma e misura, appartiene al-
l’interesse ed anche dall’adesione espressa di Barassi alle tesi che sostengono che il contratto
collettivo «tutela appunto l’interesse comune, e non i singoli interessi individuali».
74 GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, cit., p. 79 (c.vo mio). Si noti con atten-
zione come dalle parole di Galizia emerga uno degli aspetti fondamentali delle successive ela-
borazioni, per ciò che riguarda i rapporti tra interesse collettivo e interesse individuale, tanto
durante il periodo corporativo, quanto nelle evoluzioni dottrinali post-costituzionali. Il feno-
meno è il seguente e sarà approfondito più avanti (v. infra), ma è utile farvi un cenno sin
d’ora: allorché si configura un interesse collettivo distinto dalla somma degli interessi indivi-
duali, viene a crearsi un’ontologica frattura tra interesse collettivo ed interesse individuale e
da ciò ne consegue il problema del coordinamento tra le due entità. Galizia parla a tal pro-
posito di rapporto di subordinazione, come nei medesimi termini vi si riferisce anche MES-
SINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 10 ss., per il quale
«la lotta acuta di concorrenza impegnata nelle relazioni industriali giustifica il sacrificio di
parte dell’indipendenza e della libertà individuale a favore del gruppo». Sarà interessante tra
breve notare come questa problematica venga ripresa e sapientemente sfruttata dall’ideologia
del regime fascista: su cui v. infra, § 3 ss.
75 V. ad esempio le ben limate definizioni avanzate durante il periodo corporativo da
77 CAPRIOLI, S., Redenti giurista empirico, introduzione alla ristampa di REDENTI, E.,
Massimario della giurisprudenza dei probiviri, Torino, 1992, p. 9.
78 Sui probiviri industriali, v., tra i primi interventi di commento, LESSONA, C., Codice
dei probiviri, Firenze, 1894; successivamente si tenga presente l’opera di sistemazione di RE-
DENTI, E., Sulla funzione delle Magistrature industriali, Introduzione al Massimario della giuri-
sprudenza dei probiviri, Roma, 1906, ora in Scritti e discorsi giuridici di mezzo secolo, Milano,
1962, II, p. 577 ss. Attualmente si veda la citata ristampa del Massimario, a cura e con l’in-
troduzione di CAPRIOLI, S., Redenti giurista empirico, cit., a cui si riferiscono i richiami che se-
guono; l’ampia voce di DI FRANCO, L., Probiviri, in Dig. it., XIX, 2, Milano, 1908-1913, p.
260-339. Per la dottrina successiva, sebbene in relazione a prospettive d’indagine non ricon-
ducibili ad unità, v. GRANDI, M., Profilo storico della composizione delle controversie di lavoro
in Italia nel periodo pre-fascista, in Lavoro e sicurezza sociale, 1959, p. 89 ss.; VENEZIANI, B., I
conflitti collettivi e la loro composizione nel periodo pre-corporativo, in Riv. dir. lav., 1972, I, p.
208 ss.; CAZZOLA, G., Valutazioni critiche sull’esperienza italiana dei collegi dei probiviri alla
luce della riforma del processo del lavoro, in Riv. giur. lav., 1973, I, p. 361 ss.; MONTELEONE,
G., Una magistratura del lavoro: i collegi dei probiviri nell’industria (1883-1911), in Studi sto-
36 CAPITOLO PRIMO
rici, 1977, p. 88 ss.; CAPPELLETTO, M., Per una storia del diritto del lavoro: il contratto collet-
tivo e i probiviri, cit., p. 1198 ss.; BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, Bologna, 1980;
OFFEDDU, M., Attualità di una ricerca storica: Probiviri industriali e licenziamenti, in Giorn. dir.
lav. rel. ind., 1981, p. 59 ss.; PROTO PISANI, A., Controversie individuali in materia di lavoro,
Cenni sulla storia della giustizia del lavoro, in Noviss. Dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, p.
612 ss.; CECCHELLA, C., L’arbitrato nelle controversie di lavoro, Milano, 1990, p. 35 ss.; CA-
STELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, cit., p. 173 ss. Sul tema, v. di recente PASSANTI,
P., Storia del diritto del lavoro, cit., p. 355 ss. cfr. anche CAZZOLA, G., La giustizia del lavoro in
crisi: dal passato un rimedio possibile, in Dir. lav. rel. ind., 2006, p. 379 ss.
79 REDENTI, E., Sulla funzione delle Magistrature industriali, cit., p. 86, che aggiunge:
«quanto avviene oggidì dei nostri probiviri ci è documento anche di ciò, giacché, rimanendo
tuttora inalterato il loro ordinamento primitivo, essi falliscono il loro compito di pacifica-
zione, ma come organi giurisdizionali (sia “in via giudiziaria”, sia in via di conciliazione stricto
sensu), funzionano effettivamente […]».
80 «La lacuna appare intollerabile – rileva ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel
processo, Milano, 1969, p. 4 ss. – non appena si prende coscienza, ancorché in maniera ap-
prossimativa, che la controversia di cui può essere investito il collegio probivirale in qualità
di organo giurisdizionale è in realtà una controversia pseudo-individuale o, quanto meno, una
controversia individuale nei risvolti della quale si cela normalmene un interesse collettivo
(non meglio identificato)». Su quest’aspetto della legislazione probivirale, v., anche per i rela-
tivi riferimenti bibliografici, CASTELVETRI, L., Il diritto del lavoro delle origini, cit., p. 185 ss.;
CECCHELLA, C., L’arbitrato nelle controversie di lavoro, cit., p. 67 ss.
81 MORTARA, L., Sui collegi dei probiviri per le industrie, in Annali di statistica, Atti della
Commissione per la statistica giudiziaria e notarile, sessione del giugno 1902, Roma, 1903, p.
181 ss., cit., p. 182.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 37
82 MORTARA, L., Sui collegi dei probiviri per le industrie, cit., p. 182; per l’esame ap-
profondito del dibattito, colto nelle sue diverse implicazioni, specie in riferimento alla con-
nessione sussistente tra l’allora dominante nozione di contratto collettivo di lavoro ed effica-
cia della sentenza, v. innanzitutto ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p.
4 ss.; e BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, cit., p. 24 ss.
83 Come vedremo tra breve nel testo, l’opinione di Mortara era destinata ad influire in-
satta posizione di Mortara, sembra d’altra parte opportuno riportare anche ciò che emerge
dai verbali della seduta della Commissione, in cui appunto Mortara, dopo le osservazioni –
talora perplesse – degli altri membri della Commissione suscitate dalla lettura della Relazione,
si trovava a precisare che la possibilità di estendere gli effetti della sentenza ultra partes tro-
vava la sua ragion d’essere nel fatto che «avviene sovente che nei rapporti tra industriali ed
operai si svolga contemporaneamente uno stesso fatto contenzioso che ha per conseguenza o
il licenziamento di operai, o il riconoscimento delle loro ragioni o altra decisione diversa»;
circostanza, quest’ultima, dalla quale poteva derivare che «una serie di controversie consimili
le quali allo stato delle cose potrebbero essere decise con giudicati opposti». Da qui la ne-
cessità di prevedere l’estensione ultra partes degli effetti della sentenza in relazione ai «con-
flitti sorti in un dato momento, per un identico fatto controverso, non essendovi diversità che
nelle parti contendenti» (Annali di statistica, Atti della Commissione per la statistica giudizia-
ria e notarile, sessione del giugno 1902, Roma, 1903, p. 26-27). Per Mortara, insomma, l’ac-
certamento la cui vincolatività doveva andare ad estendersi oltre le parti del giudizio concer-
neva precisamente l’evento storico rappresentante il cuore di pur consimili controversie. Pro-
prio laddove si rimarca l’identità oggettiva dei giudizi, messi appunto da parte gli elementi
soggettivi degli stessi, le precisazioni di Mortara inducono a ritenere che, sebbene la natura
del processo collettivo prospettato fosse indicata con rapidi e sintetici cenni, questo dovesse
intendersi come un giudizio su questioni, ovvero come un giudizio precisamente orientato al-
l’accertamento della questione comune a più controversie. Ciò conferma l’assoluta modernità
del pensiero di Lodovico Mortara sul punto, nonché la sua capacità di adeguare i principi del
processo alle emergenti esigenze di tutela. Sulla natura del giudizio collettivo su questioni, v.
infra, cap. VI, § 5.1.3.
84 Atti parlamentari, Camera dei deputati, leg. XXI, sessione 1902-1903, p. 7693 ss.
85 I probiviri industriali. Inchiesta dell’Ufficio del Lavoro per la riforma della legge 15
giugno 1893, Pubblicazioni dell’Ufficio del Lavoro, Serie B - N. 1, Roma, 1904. L’inchiesta si
sviluppò nell’invio di tre questionari, di cui il terzo, il Questionario C, fu inviato, come detto
nel testo, alle Camere di commercio, alle organizzazioni industriali, alle organizzazioni di la-
voratori ed ai cultori delle scienze giuridiche tra cui in particolare i professori di diritto pro-
cessuale civile. Per approfondimenti sui diversi quesiti avanzati, v. DI FRANCO, L., Probiviri,
cit., p. 260 ss.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 39
89 «A ben vedere – rileva BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, cit., p. 26 – ciò
che falsava i termini del dibattito era una concezione ancora generica e fluttuante di contro-
versia collettiva e una estrema difficoltà nel segnare i confini tra questa e la controversia in-
dividuale». Non a caso si era acutamente osservato, in relazione al Progetto Cabrini (TURATI,
F., Per la riforma della legge sui Probiviri Industriali, Relazione, in Atti del Consiglio superiore
del lavoro, seconda sessione, marzo 1904, Roma, 1904, p. 30 ss.), che tale progetto, «pure
menzionando le controversie collettive all’art. 1°, se ne dimentica affatto nei successivi 59 ar-
ticoli […]. Onde tutti i gravissimi problemi, che si riconnettono a così importante materia, ri-
mangono non soltanto insoluti, ma quasi diremo neppure sospettati. È questo questo difetto
massimo del progetto: difetto che trae origine dall’esser voluto attenersi alla vecchia e fragile
trama di una legge concepita in vista dei conflitti strettamente individuali per inserirvi una
materia tanto più vasta e complicata per via di rappezzi e cuciture». E ancora, dubitanto del-
l’opportunità di lasciare insolute le delicate questioni processuali connesse alla risoluzione
delle controversie collettive, si avanzavano polemicamente i seguenti quesiti: «Come si conte-
sta la lite e si investono di giurisdizione i conciliatori o i giudici? Come se ne determina il
mandato? E chi ha esso potere di vincolare? Tutti gli interessati nella controversia, tutti co-
loro che intervennero a un’assemblea deliberante, anche gli assenti e i dissenzianti? Il dis-
senso si presume dal silenzio o come deve farsi constatare? Come le parti collettive si citano
a vicenda? Come sono rappresentate nelle successive vicende della causa? Ogni atto dei rap-
presentati, ogni ammissione, ogni transazione, concessione o rinunzia obbligherà i rappresen-
tati? Come e da chi si notificano le sentenze? Come se ne assicura l’efficacia?».
90 In questo senso, cfr. ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 10.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 41
21, che, dalle controversie aventi ad oggetto gli accordi già stipulati, tiene separate «le con-
troversie logicamente distinte», ovvero quelle «extracontrattuali», cioè «destinate a provocare
nuovi accordi contrattuali», rispetto alle quali «esula totalmente la funzione del giudice, e
mancherebbero del resto criteri di giustizia da applicarsi, perché la stessa vertenza in due cen-
tri industriali diversi può esigere opposta soluzione»; non altrettanto chiara la distinzione in
LESSONA, C., La giurisdizione dei probiviri rispetto al contratto collettivo di lavoro, in Riv. dir.
comm., 1903, I, p. 224 ss., spec. p. 233 ss. Sul punto, v. anche TURATI, F., Per la riforma della
legge sui Probiviri Industriali, cit., p. 33 ss.
42 CAPITOLO PRIMO
94 Cfr. I probiviri industriali. Inchiesta dell’Ufficio del Lavoro per la riforma della legge
del Lavoro per la riforma della legge 15 giugno 1893, cit., p. 84; ma si veda anche il saggio Le
riforme processuali e le correnti del pensiero moderno [1907], in Saggi di diritto processuale ci-
vile, III Milano, 1993, p. 379 ss., spec. p. 389, in cui la critica delle opinioni di Mortara e
Ratto assume toni decisamente più sprezzanti che vale la pena richiamare: «a riguardo dei
probiviri si sono dette e proposte cose inesatte o esagerate. Taluno ha voluto ravvisare nella
giuria dei probiviri un potere quasi-legislativo, evocando il pretore romano. Altri ha propo-
sto, come cosa richiesta dalle esigenze del contratto collettivo, e dei conflitti fra industriali e
operai, la soppressione dei limiti soggettivi della cosa giudicata, cioè l’estensione delle sen-
tenze dei probiviri a tutti gli interessati in questioni affini; e rifuggendo dai ricordi dei classici
ha cercato precedenti nella Nuova Zelanda, ed è tornato da questo lontano viaggio giuridico
proclamando i nuovi orizzonti della cosa giudicata! Per conto mio, credo che i probiviri siano
giudici come tutti gli altri; e che non vi sia nessuna ragione di sacrificare alla questione sociale
l’antico principio – per ciò solo che è antico – della res inter alios acta. Tutto sta ad intenderlo
a dovere; e soprattutto a non confondere problemi e istituti processuali diversi». Quanto ora
riportato potrebbe dar conferma di come l’impostazione di Giuseppe Chiovenda possa ben
rappresentare la non completa consapevolezza che la dottrina interpellata sul Questionario
dimostrò con riguardo alla stretta relazione intercorrente tra l’estensione dell’efficacia della
sentenza ultra partes e la configurazione di controversie non individuali, ma appunto collet-
tive. Le parole di Chiovenda – per dirla in altri termini – sembrerebbero dar fondamento alle
critiche di ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 10, che ha evidenziato
come la maggior parte degli interpellati «preferiscono “leggere” il quesito come se contenesse
la proposta di estendere gli effetti della pronuncia a chi non è stato parte del giudizio instau-
rato tra singolo datore e singolo prestatore di lavoro». Per altro verso, pare difficile immagi-
nare che ad uno studioso dalla sensibilità tecnico-dogmatica di Chiovenda potesse sfuggire la
distanza concettuale che separa la controversia avente ad oggetto il singolo rapporto di lavoro
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 43
e quella avente al contrario ad oggetto il contratto collettivo. Sicché pare più plausibile rite-
nere che proprio l’estensione ultra partes del giudicato fosse il risultato interpretativo valutato
negativamente e comunque superabile tramite la corretta applicazione dell’istituto dell’inter-
vento o dell’integrazione del contraddittorio; opzione, quest’ultima, che peraltro Chiovenda
avrebbe di lì a breve sostenuto potersi compiere anche mediante l’uso della notificazione per
pubblici proclami (Sul litisconsorzio necessario [1904], in Saggi di diritto processuale civile, II,
cit., p. 427 ss., spec. 449, in nota). Siamo, insomma, di fronte ad uno dei casi che ben dimo-
strano il rapporto tra concezione liberale e impronta pubblicistica assegnata al processo; due
anime che sovente all’interno del pensiero del Maestro si scontrano e si fondono, disegnando
– in occasione dei diversi istituti – differenti punti di equilibrio. Anche in questa occasione,
infatti, la posizione di Chiovenda si dimostra strettamente ossequiosa della piena libertà di
azione in capo alle parti, preferendo operare un coordinamento delle decisioni mediante la
via dell’intervento o dell’integrazione del contraddittorio; strade processuali che comunque,
nell’impostazione chiovendiana, assegnavano direttamente ai soggetti coinvolti nella lite il po-
tere di attivazione del rimedio processuale. Ciò è ancor più vero se si riflette sul fatto che an-
che in materia di litisconsorzio necessario, ad esempio, l’autorevole processualista riteneva
non spettasse al giudice ordinare l’integrazione, afferendo detta questione al tema della legit-
timazione ad agire, ovvero al potere di azione di titolarità delle parti (cfr. CHIOVENDA, G., Sul
litisconsorzio necessario, cit., spec. p. 435). E non è un caso, forse, che in una posizione più
aperta a fenomeni di estensione ultra partes del giudicato si fosse posto – come vedremo tra
breve – Enrico Redenti, che proprio sulla questione ora indicata, da un lato, riteneva che la
legittimazione ad agire non si ponesse come condizione dell’azione (ma in posizione interme-
dia tra rito e merito) e, dall’altro, proprio al giudice – argomentando sulla base del disposto
dell’art. 205 c.p.c. – attribuiva il potere di integrare il contraddittorio nei giudizi in cui non
fossero state chiamate o presenti tutte le parti legittimate (REDENTI, E., Il giudizio civile con
pluralità di parti, 1911, p. 311 ss.).
96 MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri (15 giugno 1893), (Risposta ad al-
cuni dei quesiti proposti dall’onorevole Ufficio del lavoro per la riforma della legge predetta), in
Giur. it., 1904, IV, p. 25 ss.
44 CAPITOLO PRIMO
98 MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri (15 giugno 1893), cit., p. 31.
99 MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri (15 giugno 1893), cit., p. 32.
100 MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri (15 giugno 1893), cit., p. 32.
101 Osserva BORGHESI, D., Contratto collettivo e processo, cit., p. 28, in relazione alla po-
sizione di Mortara da noi richiamata nel testo, che il rinvio operato all’istituto dell’azione po-
polare «presupponeva il carattere collettivo di un buon numero di azioni proposte da singoli
46 CAPITOLO PRIMO
ancora immaturo e ben descritto dalla dottrina recente col rilevare il rap-
porto di identificazione generalmente instaurato agli inizi del Novecento
tra pronunce equitative dei probiviri e contratto collettivo in ragione del
fatto che anche la «sentenza-contratto» aspirava a proporsi come regola-
mentazione dotata di validità generale103.
tenze nelle controversie del lavoro, cit., p. 21-22. ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel
processo, cit., p. 38 ss., rileva come solo in questo momento si acquisisca definitiva consape-
volezza circa l’importanza della distinzione tra controversie giuridiche e controversie econo-
miche; distinzione che in effetti era già stata colta da Messina, ma al quale, come osserva Ro-
magnoli (p. 39), «essa appariva astratta e scolastica».
106 Lo osserva con immediatezza REDENTI, E., La riforma dei probiviri, in Riv. dir.
108 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, cit., p. 637 (c.vo mio).
109 ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 37.
110 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, cit., p. 636, che si richiama alla dottrina di
MESSINA, G., I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 41, per il
quale, lo si ricorda, «il concordato di tariffa ha questa caratteristica che o nella proposta o
nell’accettazione, almeno, risulta da un atto complesso». Si noti, dunque, come Redenti
giunga alle conclusioni che riportiamo nel testo, solo dopo aver determinato l’esatta consi-
stenza strutturale dell’oggetto del giudizio e solo dopo aver superato la sua originaria conce-
zione del contratto collettivo come atto meramente cumulativo (Contratto «cumulativo» di la-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 49
voro e licenziamento, in Riv. dir. comm., 1907, II, p. 145 ss.) a vantaggio dell’atto complesso,
caratterizzato appunto dall’inscindibilità della regolamentazione pattizia. Per un approfon-
dito ed ampio esame dei rapporti tra configurazione giuridica della contrattazione collettiva
e sentenza con efficacia collettiva, v. ancora ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel pro-
cesso, cit., spec. p. 13 ss.
111 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, cit., p. 637; ma vedi anche Il giudizio civile con
il disagio dell’A. nell’esame delle restanti disposizioni a carattere processuale del progetto di
riforma del 1909. In esso, non solo mancavano le auspicate innovazioni in tema di legitti-
mazione e limiti del giudicato, ma erano presenti disposizioni che risultano poco comprensi-
bili. Così, ad esempio, la possibilità, prevista dall’art. 38 del progetto – secondo la quale
«nelle controversie collettive e in quelle individuali che coinvolgono un interesse collettivo,
tanto i lavoratori quanto l’altra parte contendente possono conferire ad uno o più interessati
50 CAPITOLO PRIMO
con introduzione di Lombardi, 1995, Torino; nonché ORNAGHI, L., Stato e corporazione, Mi-
lano, 1984; TARELLO, G., Corporativismo, in Enc. Feltrinelli-Fischer, Milano, 1970, p. 68 ss.;
JOCTEAU, G.C., L’ordinamento corporativo, in Storia del sindacato, Dalle origini al corporativi-
smo fascista, Venezia, 1982, 192 ss. Sulle connessioni tra ideologia nazional-fascista e legisla-
zione corporativa, v., per tutti, UNGARI, P., Alfredo Rocco e l’ideologia giuridica del fascismo,
Brescia, 1963. Di recente, anche per ulteriori indicazioni ed approfondimenti, v. MARTONE,
M., Governo dell’economia e azione sindacale, Padova, 2006, in particolare l’ampio e com-
pleto cap. III, intitolato Ordine totalitario e sindacato pubblico.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 51
Nel rinnovato contesto sociale e politico c’è, come si suol dire, chi
vince e chi perde; quasi tutti perdono, siano persone o siano valori. L’in-
teresse collettivo no; l’interesse collettivo ha in destino la buona sorte;
come molte nozioni ideali, infatti, ben si presta ad esser servo dei nuovi
padroni.
Al fenomeno ora descritto contribuirono essenzialmente due fattori.
Sul piano politico la nozione rispondeva ad un’esigenza ben defi-
nita, vale a dir quella, nutrita dall’intelligentia del regime, di individuare
i concetti che più degli altri potessero contribuire all’edificazione del
nuovo apparato ideologico. In ciò l’interesse collettivo rivestiva un ruolo
di non poco conto, poiché rappresentava lo strumento capace di consen-
tire la subordinazione degli interessi particolari a quello dello Stato in
un’armonica visione di generale elevazione spirituale; rappresentava lo
strumento di mediazione tra Stato ed individuo114, in un radicale muta-
114 Per avere un’idea di questa «mediazione» si legga in particolare BATTAGLIA, F., Dal-
l’individuo allo Stato, in Riv. int. fil. dir., 1933, p. 302 ss.; ID., Il Corporativismo come essenza
assoluta dello Stato, in Arch. studi corporativi, 1935, p. 312 ss., che, in relazione al rapporto
tra Stato e individuo, afferma: «se vogliamo ora chiarire l’originalità della concezione fascista
dello Stato, diremo che essa sta nel porre tra l’un termine e l’altro del rapporto un medio in
cui quelli si inverino, infine nel riguardare individuo e Stato non due ma uno. Lo Stato, non
più astratta entità soprordinata ed altra dai soggetti individui, si estende ad abbracciare il più
vasto mondo sociale, a conoscere una infinità di rapporti i più vari, etici, religiosi, culturali,
economici, tutto un ordine di posizioni umane dianzi ignote alla pubblica autorità; l’indivi-
duo esce dalla sua puntualità, costituisce a sé nuovi campi di azione, si foggia nuove pretese
e nuovi obblighi giuridici, svolge quel mondo sopra visto su cui lo Stato opererà. Sul terreno
sociale, nell’organizzazione, individuo e Stato si incontrano» (p. 321); «nello Stato, totalitaria
organizzazione corporativa, si compie il ciclo dialettico, per cui, attraverso la società, lo Stato
fa suo l’individuo e l’individuo si riconosce nello Stato. Mediazione assoluta fonda l’assolu-
tezza dello Stato nell’assolutezza del principio corporativo». Significativi, tra i tanti, sono gli
scritti di FOVEL, N.M., L’individuo e lo Stato nell’economia corporativa, e di VOLPICELLI, A., I
fondamenti ideali del corporativismo, entrambi in Arch. studi corporativi, 1930, rispettiva-
mente a p. 101 ss. e 196 ss., fortemente orientati nella dimostrazione di quella unità formale
tra Stato ed individuo, posta come fondamentale pilastro programmatico nella Prima Dichia-
razione della Carta del lavoro del 1927, in cui si leggeva che «La Nazione italiana è un orga-
nismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori a quelli degli individui divisi o raggruppati
che la compongono. È unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello
Stato». Per una lettura più attenta a distinguere – per quanto fosse possibile – i profili giuri-
dici da quelli puramente ideologici, v. le osservazioni critiche avanzate da Widar Cesarini
Sforza nei confronti della posizione di Volpicelli, (Corporativismo e scienza del diritto, in Arc.
studi corporativi, 1932, p. 199 ss. ed a p. 422 ss., v. la replica di Volpicelli allo scritto ora ci-
tato), il quale precisa che «in realtà, quando si assevera tout court l’identità di individuo e
Stato, si fanno nascere grossi equivoci. Comunemente – osserva il filosofo del diritto – si
pensa a ragione che una cosa può essere identica soltanto a sé stessa […]. Quando invece la
filosofia idealista afferma che individuo e Stato (o società) s’identificano, allude ad una iden-
52 CAPITOLO PRIMO
tificazione, come suol dirsi dialettica […]. Senonché, qual senso può avere, codesta dialettica,
per la scienza del diritto? Secondo me nessuno. Finché si resta nella dialettica, cioè nella fi-
losofia, individuo e Stato sono momenti di un infinito processo di reciproca conversione […].
Ma alla scienza codesto processo di ascesa e discesa sfugge necessariamente; ciò che essa co-
glie e può cogliere è solo il punto di partenza o quello di arrivo. La logica scientifica è preci-
samente la logica formale: A=A, individuo=individuo, Stato=Stato. Quindi la scienza del di-
ritto potrà soltanto stabilire delle coincidenze fra individuo e Stato, cioè fra volontà, interessi
e fini individuali e volontà, interessi e fini statali: coincidenze che sono appunto la traduzione,
in termini empirici e contingenti, dell’identità ideale».
115 Basti pensare che, se l’interesse collettivo delle classi lavoratrici era nello Stato
tardo-liberale il vessillo intorno a cui stringersi per contrapporsi al datore di lavoro, con il
corporativismo l’interesse collettivo, nel divenire interesse di categoria, si trasforma in stru-
mento per impedire la lotta di classe e per permettere la pacificazione e l’istituzionalizzazione
del conflitto. L’interesse collettivo – insomma – nella nuova cornice ideologica acquisisce un
ruolo determinante per la costruzione giuridica del sistema. Difatti, sia l’interesse della cate-
goria, che l’interesse della nazione sono species del comune genus «interesse collettivo»; sic-
ché, quest’ultimo, permette di ricostruire il processo di ascensione dall’interesse individuale a
quello generale come processo di successive sintesi di interessi relativamente particolari. Ma
tale processo può essere invertito di segno se: a) la sintesi non è altro che attività interpreta-
zione degli interessi particolari – come avviene per l’associazione dei lavoratori che interpreta
l’interesse della categoria, a cui partecipano anche coloro che non sono iscritti –; e soprat-
tutto, b) l’interpretazione non è libera ma vincolata alla direttiva di subordinazione degli in-
teressi particolari all’interesse nazionale; cosicché il processo è formalmente ascendente (da-
gli interessi particolari all’interesse nazionale attraverso successivi momenti di sintesi), ma so-
stanzialmente discendente; il processo non ha natura induttiva, ma deduttiva; e proprio
l’interesse collettivo maschera sul piano formale l’inversione sostanziale dei nessi di determi-
nazione dell’interesse. Si veda a tal riguardo anche la definizione di «corporativismo» che
avanza JAEGER, N., Principi di diritto corporativo, Padova, 1939, p. 74: «l’insieme dei comandi
giuridici diretti a regolare l’attività e i rapporti professionali secondo un indirizzo unitario de-
terminato dal contemperamento degli interessi delle categorie apprezzati in funzione degli in-
teressi generali nella Nazione» (c.vo mio). Sul punto, v. le attente riflessioni di EINAUDI, L.,
Lezioni di politica sociale, Torino, 2004, spec. p. 101.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 53
sul regolamento dei rapporti collettivi del lavoro. Voglio invece tentarne
una sistemazione teorica. Questo è ora il compito più urgente e più alto
della scienza. Sindacato, contratto collettivo, magistrato del lavoro, reato
di sciopero e di serrata sono nuove figure giuridiche, che occorre prima
di tutto, mettere al loro posto nell’ordine degli istituti, che costituiscono
il nostro diritto»116.
Ecco dunque che la sostanza incontrava la forma; che i contenuti
trovavano la veste strutturale che più si addiceva loro.
L’operare congiunto dei due fattori contribuì, quindi, per un verso,
a favorire l’affinamento della nozione e, dall’altro, ad assegnare definiti-
vamente all’interesse collettivo il ruolo di strumento indispensabile per la
ricostruzione dei fenomeni giuridici: l’interesse collettivo non è più solo
una chiave di lettura dei meccanismi sociali, bensì entra a pieno titolo nel
mondo del diritto.
Certo è, peraltro, che l’elaborazione dottrinale era un’elaborazione
vincolata; vincolata – cioè – alle finalità del regime, ovverosia l’istituzio-
nalizzazione e la pubblicizzazione della gestione del conflitto di classe.
Così, l’interesse collettivo si presenta in questa fase storica del no-
stro Paese essenzialmente sub specie di interesse di categoria o interesse
professionale e, in quanto tale, risente dei vincoli imposti dal nuovo si-
stema corporativo.
Come recitava la III Dichiarazione della Carta del lavoro del 1927
«l’organizzazione professionale o sindacale è libera. Ma solo il sindacato
legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il diritto
di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di la-
voratori per cui è costituito, di tutelarne, di fronte allo Stato o alle altre
associazioni professionali, gli interessi; di stipulare contratti collettivi di
lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, di imporre
loro contributi e di esercitare rispetto ad essa funzioni delegate di inte-
resse pubblico».
Ugualmente orientata la legge n. 563 del 3 aprile del 1926 (Disci-
plina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro). Si prevedeva, infatti, al-
l’art. 5 che «le associazioni legalmente riconosciute hanno la personalità
giuridica e rappresentano legalmente tutti i datori di lavoro, lavoratori,
artisti e professionisti della categoria, per cui sono costituite, vi siano o
non vi siano iscritti, nell’ambito della circoscrizione territoriale, dove
operano». Inoltre, stando all’art. 6 della medesima legge, «non può es-
116 CARNELUTTI, F., Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, 1930,
p. 3 (corsivo mio).
54 CAPITOLO PRIMO
117 I due Autori svolgono profonde ed articolate riflessioni sulla nozione di interesse
collettivo, offrendo preziosi elementi di riflessione anche a coloro che si cimentano nello stu-
dio delle attuali tematiche relative alla tutela degli interessi collettivi e diffusi. Nella lettura
dei contributi di Cesarini Sforza e di Carnelutti è infatti possibile approfondire la nozione di
interesse tout court, di interesse individuale e di interesse collettivo, saggiando le diverse pro-
spettive ricostruttive adottate dagli Autori. L’elevato grado di elaborazione delle nozioni che
si riscontra nei loro contributi induce quindi a svolgere un esame dettagliato delle due di-
stinte prospettive. A mo’ di avvertenza si può sin d’ora anticipare come i due illustri giuristi
indicati nella sostanza convergano su una nozione composita di interesse, costituita da un ele-
mento oggettivo ed uno soggettivo, dovendosi attenuare le divergenze che potrebbero diver-
samente emergere da una prima lettura delle due ipotesi ricostruttive. Una eterogeneità più
marcata di prospettiva è, invece, sensibilmente percepibile riguardo la nozione di interesse
collettivo, configurata da parte di Cesarini Sforza in senso soggettivo e da parte di Carnelutti
in senso rigorosamente oggettivo. Più in generale – come già accennato nel testo – occorre os-
servare come i riferimenti più o meno ampi alla nozione di interesse collettivo siano frequen-
tissimi nella letteratura coeva, quasi a mo’ di atto dovuto o invocazione benaugurale. D’altra
parte i rinvii alla nozione si trasformano raramente in articolate riflessioni. Eccezione signifi-
cativa sono di certo gli studi di Nicola Jaeger, che, pur aderendo nella sostanza alle posizioni
del Carnelutti, avanza considerazioni dotate di un elevato grado di approfondimento (v. infra,
nota 152).
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 55
Chiarisce ulteriormente l’A. che «se questo apprezzamento positivo è impossibile, allora l’in-
teresse manca (giudizio d’inutilità); se diventa negativo dopo essere stato positivo, allora l’u-
tilità si converte nel suo contrario, cioè nella dannosità, e il bene diventa male».
120 CESARINI SFORZA, W., Lezioni di teoria generale del diritto, cit., p. 127 (c.vo mio).
L’A. approfondisce ulteriormente la nozione rilevando le variazioni che la nozione subisce al-
lorché, nella relazione tra soggetto e bene, interviene l’agire di un secondo soggetto; elemento
quest’ultimo esseziale per la comprensione del trapasso della nozione di interesse dai rapporti
pre-giuridici a quelli giuridici. In tale ambito, infatti, sia l’interesse che la nozione di bene,
tendono a mutare natura. Infatti il bene giuridico non è più «la cosa utile», ma «la possibilità
di utilizzarla» e l’interesse giuridico non è più «l’apprezzamento dell’utilità della cosa», ma
«l’apprezzamento dell’azione altrui» in quanto è condizione per l’utilizzazione della cosa
stessa.
56 CAPITOLO PRIMO
sce: «trattasi di tanti interessi identici […] ai quali potrà essere attribuito più peso pratico che
a un interesse isolato; spesso accade, infatti, che si distingua quantitativamente tra l’interesse
di una sola persona, e quello che, appartenendo invece a cento od centomila persone, sembra
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 57
più degno di essere preso in considerazione; ma dal punto di vista quantitativo nessuna di-
stinzione è possibile, nessuna trasformazione dell’interesse interviene per il fatto che invece di
appartenere a una sola persona, appartiene a cento od a centomila» (c.vo mio).
124 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 146.
125 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 134.
126 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 135.
127 Su quest’aspetto v. anche CESARINI SFORZA, W., Corso di diritto corporativo, Padova,
1935, p. 96. L’A. fa l’esempio in cui all’interno di una categoria di cento persone, novanta-
nove abbiano un interesse comune contrapposto all’interesse solitario del soggetto restante.
«È evidente – sottolinea CESARINI SFORZA, Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 136 ss.
– che la valutazione dei novantanove non potrà essere qualificata come valutazione o inte-
resse della categoria in opposizione alla valutazione o interesse dell’uno, perché l’ipotesi è che
la categoria sia formata non da novantanove persone, ma da novantanove più una. Potrà dirsi
che i novantanove aventi un solo e identico interesse formano una categoria a sé, ma allora il
contrasto sarà tra un gruppo di d’interessi individuali comuni […] e un altro interesse indi-
viduale». In altri termini, «quando, identificata una categoria […], appariscano entro di essa
degli interessi divergenti […] nulla vieta logicamente di pensare che esistano non più una, ma
due, tre … categorie distinte». Conclude dunque l’A. che, «come non si può derivare la no-
zione di categoria da quella di interesse, così non si può assolutamente derivare la nozione
d’interesse da quella di categoria».
58 CAPITOLO PRIMO
128 «Concepire gli individui – sintetizza efficacemente CESARINI SFORZA, W., Studi sul
concetto d’interesse generale, cit., p. 142 – come parti di un tutto equivale a concepirli nella
loro unificazione entro il tutto, ma se invece da questo si staccano le parti ossia gli individui
e ciascuno di essi viene considerato fuori dal tutto, quest’ultimo scompare».
129 CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 144.
130 CESARINI SFORZA, W., Preliminari sul diritto collettivo, cit., p. 105.
131 «Se una collettività o comunità d’individui – spiega CESARINI SFORZA, W., Preliminari
sul diritto collettivo, cit., p. 107 – non viene entificata, ossia non viene pensata come distinta
non solo da ciascuno dei singoli che la compongono, ma anche dalla totalità dei singoli stessi:
o si definiscono tanti interessi individuali (che potranno essere comuni), o si definiscono de-
gli interessi che pur essendo individuali, sono anche collettivi».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 59
132 Questa mi pare l’interpretazione più plausibile del pensiero dell’A., che in effetti
tratta della questione a più riprese, rendendo non sempre di immediata comprensione la sua
tesi. Negli Studi sul concetto d’interesse generale, cit., infatti, l’indagine procede in una pro-
spettiva ricostruttiva che pone sul medesimo piano, sia per ciò che riguarda l’oggetto di stu-
dio, sia per quel che riguarda i risultati interpretativi, l’interesse generale della categoria e
l’interesse generale nazionale, ma non dando rilevanza al processo di entificazione, che però
sembra esserne un presupposto necessario, né avanzando la definizione di interesse collettivo;
nei Preliminari sul diritto collettivo, cit., invece, l’attenzione dell’A. è rivolta essenzialmente a
distinguere l’interesse comune e quello collettivo – in questa sede introdotto – dall’interesse
generale, operazione che è affidata in gran parte al processo di entificazione, ma con partico-
lare riguardo all’interesse nazionale. Nel testo si propone una lettura del pensiero dell’A. che
tenga conto degli apporti che derivano da entrambi gli scritti, in una prospettiva di compe-
netrazione e reciproco chiarimento degli apparati argomentativi presentati da Cesarini Sforza
nei due saggi, operazione quest’ultima che si è svolta massimizzando i punti in comune e mi-
nimizzando quelli quanto meno apparentemente di conflitto.
133 Così CESARINI SFORZA, W., Studi sul concetto d’interesse generale, cit., p. 144, che
d’altro canto osserva che in tal caso «la soluzione – alla conversione dell’interesse comune o
collettivo in generale – è presupposta, la quale rimane naturalmente estranea a quella o a
quelle soggettive; si tratta, perciò, di un surrogato di soluzione. La definizione dell’interesse
di categoria ad opera dell’associazione professionale che deve tutelarlo e che serve innanzi-
tutto a delimitare la categoria, è un tipico esempio di tale pseudosoluzione, empiricamente
sufficiente».
134 CESARINI SFORZA, W., Corso di diritto corporativo, cit., p. 98.
60 CAPITOLO PRIMO
(1920), Padova, rist. 1930, p. 3 ss., per il quale «la nozione fondamentale per lo studio del di-
ritto è la nozione di interesse» (anche in Sistema di diritto processuale civile, I, Funzione e com-
posizione del processo, Padova, 1936, p. 7).
137 CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 3.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 61
di chiarimento: «il godimento di una casa è un interesse individuale perché ciascuno può
avere una casa per sé; il godimento di una grande via di comunicazione è un interesse collet-
tivo perché questa non può aprirsi per la soddisfazione isolata dei bisogni di un uomo solo,
ma solo per la soddisfazione contemporanea dei bisogni dei più, di molti uomini». V. anche
ID., Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 12, in cui si precisa che «nel campo, come si
suol dire, intersoggettivo la solidarietà si risolve in ciò che un bisogno dell’uno non può es-
sere soddisfatto se non sia soddisfatto anche un bisogno dell’altro […]. Si delinea per tal
64 CAPITOLO PRIMO
cesso del lavoro, in Riv. dir. proc. civ., 1930, p. 109 ss., spec. p. 122 s.
145 Cfr. retro, § 2.2.1.
146 Osserva in generale ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 60-
61, che «la legislazione sindacale del periodo corporativo recupera la nozione sociologica di
interesse collettivo professionale rozzamente elaborata agli albori del “grande decollo” indu-
striale».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 65
resse che concretamente anima l’uomo nella sua vita reale, mentre il se-
condo si caratterizza per il fatto di essere slegato dalle contingenze con-
crete, conseguenza quest’ultima che deriva dal concepire, su un piano
ideale e aprioristico, il soggetto come membro di una «data» categoria, da
cui, per le sue caratteristiche oggettive, trae origine l’interesse «tipico»147.
È appunto una serie di interessi tipici quella che corrisponde all’in-
teresse di categoria e non una serie di interessi concreti; precisazione che
si rivela gravida di implicazioni applicative148.
Infatti, a seguito del processo di astrazione, l’interesse tipico perde
il suo titolare. Gli interessi tipici, in quanto tali, in quanto svincolati dalle
reali contingenze, non sono più dei singoli soggetti e sono alla ricerca di
qualcuno che li sostenga e li tuteli.
Questo qualcuno è per Carnelutti il sindacato, che non è nean-
ch’esso chiaramente il titolare degli interessi149, ma a cui viene attribuito
«il potere di manifestare la volontà decisiva per la loro tutela»150.
147 Questa distinzione è tanto ovvia quanto fondamentale per coloro che vogliano fare
impiego del concetto di interesse per la sistemazione degli istituti giuridici; specie poiché ne
va fatto doveroso uso per distinguere l’interesse concreto e pregiuridico da quello astratto
normativamente rilevante, ovvero cristallizzato nella prospettiva funzionale del precetto nor-
mativo (cfr. la nota che segue ed infra, soprattutto il cap. IV, ma anche i capp. V e VI). Cio-
nonostante troppo frequentemente tale distinzione non trova corretta applicazione in sede in-
terpretativa, con il risultato di falsarne completamente il rigore logico-ricostruttivo. A parte
questo, va detto che l’interesse della categoria al quale Carnelutti si riferisce quale interesse
tipico in realtà è un interesse concreto. Il punto è che – come si dice nel testo – Carnelutti fa
impiego della distinzione tra interesse concreto ed interesse tipico per trovare una giustifica-
zione logico-formale che giustifichi l’attribuzione dello stesso in titolarità all’associazione rap-
presentativa.
148 Chiarissima è la spiegazione che Carnelutti offre riguardo al processo di derivazione
degli interessi tipici da quelli concreti (Funzione del processo del lavoro, cit., p. 113 s.): «Il
presupposto della formazione delle norme materiali è la esistenza di una serie di conflitti si-
milari, onde sia possibile astrarre il conflitto tipico, rispetto al quale viene pronunciato il co-
mando. La serie dei conflitti simili si risolve naturalmente in una duplice serie di soggetti
(persone fisiche o giuridiche), ai quali appartengono i singoli interessi in conflitto. Questa se-
rie di soggetti è ciò che la legge chiama la categoria. Il c.d. interesse di categoria o interesse pro-
fessionale è precisamente l’interesse tipico astratto dalla serie. L’interesse di categoria è reale
nel senso che sono reali gli interessi dei membri della categoria, ma non è un interesse di-
stinto da questi; è semplicemente uno (un esemplare) di questi».
149 «Si abitui – ammonisce CARNELUTTI, F., Funzione del processo del lavoro, cit., 121 –
a non confondere tra interessi di sindacato e interessi di categoria: quest’ultimo è l’interesse
tipo di ciascun membro della categoria, associato o non associato, presente o futuro; il primo
è la somma degli interessi comuni dei lavoratori o degli imprenditori, che fanno parte del sin-
dacato. Il sindacato ha la tutela dell’interesse della categoria, ma questo non è l’interesse del
sindacato».
150 CARNELUTTI, F., Teoria del regolamento collettivo, cit., p. 139-140; ID., Funzione del
processo del lavoro, cit., 114.
66 CAPITOLO PRIMO
151 Assai esplicito sul punto è ad esempio il pensiero di un illustre giurista che abbiamo
già incontrato nel periodo pre-corporativo, ovvero BARASSI, L., Diritto sindacale e corporativo,
Milano, 1934, p. 108 ss., per il quale, sebbene i titolari dell’interesse collettivo siano i com-
ponenti della categoria, va d’altro canto osservato che «questi interessi sono raggruppati in
una sintesi astratta e tipica; la quale finisce con riferirsi alla professione, alla categoria non
concepita nell’analisi di ciascun interesse individuale», con la conseguenza che l’interesse di
categoria null’altro è che «l’interesse quale risulta dalla valutazione globale che sa farne con
la sua sensibilità l’associazione sindacale».
152 Come detto (v. retro, nota 117) alla riflessione di Carnelutti può – in massima parte
– essere assimilata la posizione di Nicola JAEGER (di cui cfr. in particolare il Contributo alla de-
terminazione del concetto di «rapporto collettivo», in Riv. dir. comm., 1937, I, p. 619 ss., ma si
vedano anche i Principi di diritto corporativo, cit., p. 31 ss., il Corso di diritto processuale del
lavoro, Padova, 1936, nonché il saggio su Le controversie collettive di lavoro e la competenza
della Magistratura del Lavoro, in Dir. lav., 1931, I, p. 345 ss.). Da Carnelutti l’A. richiamato
mutua innanzitutto l’accentuazione dei profili oggettivi che contraddistinguono, tanto la no-
zione di interesse tour court, quanto quella di interesse collettivo. Anche per Nicola Jaeger, in-
fatti, gli «interessi collettivi si hanno quando la situazione favorevole per il soddisfacimento
di un bisogno non può determinarsi se non rispetto a più individui insieme», quando in-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 67
somma il bene a cui si aspira è collettivo in quanto «idoneo a soddisfare congiuntamente i bi-
sogni di tutti» (Contributo alla determinazione del concetto di «rapporto collettivo», cit., p. 622
s., da cui sono tratti i passi che seguono). Ugualmente va detto circa la configurazione
«aperta» dell’insieme di soggetti che partecipano alla collettività di riferimento ai fini della
determinazione dell’interesse. Aspetto quest’ultimo su cui va richiamata l’attenzione per la si-
gnificativa «sottodistinzione tra interessi collettivi e interessi plurali […] – avanzata dall’Au-
tore –, a seconda che la situazione favorevole identica possa presentarsi nei riguardi di una
collettività indeterminata di persone – pur determinabili, al momento opportuno, in ordine a
dati caratteri – ovvero che essa riguardi un gruppo limitato di soggetti, specificatamente de-
terminati». Stando alle osservazioni proposte da questa dottrina, «è sensibile la differenza che
corre, sotto questo aspetto, tra lo Stato, la provincia, il comune, gli enti pubblici in genere da
un lato e una società commerciale dall’altro […]. La stabilità nel tempo dell’organizzazione,
e delle funzioni da essa assunte, è un ulteriore conseguenza dei caratteri tipici della colletti-
vità, che è, di solito, anche nel tempo, illimitata. Si può osservare infine che la indetermina-
tezza della collettività può influire anche sulla variabilità delle valutazioni degli interessi col-
lettivi, mentre gli interessi plurali sono contraddistinti (data la specificazione dei loro titolari
e del vincolo che li unisce) da una particolare certezza». «Sottodistinzione» che, tra l’altro, si
riflette con incisività su piano operativo della gestione dell’interesse visto che «per tutte que-
ste caratteristiche, gli interessi plurali presentano notevoli analogie con gli interessi indivi-
duali e la loro attribuzione, che di solito di essi si fa, ad un unico soggetto (la persona giuri-
dica) è un traslato molto meno ardito di quello che si compie configurando come titolare de-
gli interessi collettivi quella organizzazione giuridica (Stato, comune ecc.) che assume
propriamente solo la funzione di determinarli». Il sindacato dunque è il mezzo di cui l’ordi-
namento si serve per la determinazione e la successiva gestione dell’interesse. Questione, que-
st’ultima, che non confligge, ma diversamente si coordina con la ricerca del/i titolare/i del-
l’interesse collettivo. A tal proposito si osserva infatti che i titolari «non possono essere né la
categoria, la quale è mera astrazione, e piuttosto qualità distintiva dei singoli che gruppo di
essi, né l’associazione sindacale, che è soltanto l’organizzazione formatasi per la tutela di tali
interessi, agli organi della quale l’ordine giuridico riconosce il potere di volontà necessario a
tale scopo; ma invece agli individui, che appartengono o apparterranno, anche in seguito, alla
categoria, i quali soltanto, come persone fisiche, possono essere titolari di bisogni e interessi
(in senso proprio), con avvertenza però che essi sono soggetti dell’interesse collettivo non uti
singuli, ma uti universi, vale a dire in quanto membri della collettività […]». Per ulteriori ap-
profondimenti circa l’opinione dell’Autore in materia di interessi colletivi, v. anche infra, cap.
II, § 5.
68 CAPITOLO PRIMO
e che parimenti costituivano alcuni dei pilastri su cui riposava il nuovo si-
stema ordinamentale153.
Il completamento ed il perfezionamento del novero degli strumenti
tecnici destinati all’opera di «pacificazione» dei conflitti sindacali e al-
l’attuazione del successivo intento di subordinazione degli interessi parti-
colari a quello nazionale conformemente al dogma dell’unità ideale dello
Stato con l’individuo era realizzato, per un verso, dal divieto – penal-
mente sanzionato154 – di autotutela degli interessi dei lavoratori e, per
l’altro, dall’istituzione di un organo giurisdizionale – la magistratura del
lavoro – precipuamente chiamato a dirimere i conflitti collettivi all’in-
terno del processo.
Con ciò, dunque, si chiudeva il cerchio: se la gestione dei conflitti
collettivi era, sul piano sostanziale, rimessa al monopolio delle associa-
zioni sindacali riconosciute e controllate dal regime, parimenti l’even-
tuale crisi dell’attività di gestione dei medesimi conflitti veniva ad essere
«anestetizzata» mediante, da un lato, il divieto di autotutela e, dall’altro,
il ricorso allo strumento giurisdizionale ugualmente riservato all’iniziativa
esclusiva dell’associazione.
Così, quindi, alla magistratura del lavoro era assegnato il ruolo di
«supremo congegno di regolamento e di freno della conflittualità sociale,
in funzione di “superamento” e di divieto dell’autodifesa di classe»155.
Più nello specifico, l’art. 13 del Capo III (Della magistratura del la-
voro) della citata legge n. 563 del 1926 prevedeva che «tutte le contro-
versie relative alla disciplina dei rapporti collettivi del lavoro, che con-
cernono, sia l’applicazione dei contratti collettivi o di altre norme esi-
153 Evidenzia JOCTEAU, G.C., Lo Stato fascista e le origini della magistratura del lavoro,
in Pol. dir., 1973, p. 163 ss., ma p. 178, richiamando il discorso di Alfredo Rocco al Senato
per la presentazione della legge sulla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro: «i “punti fon-
damentali”, logicamente concatenati, del nuovo ordinamento del lavoro sono i seguenti: “ri-
conoscimento giuridico dei Sindacati sotto il più rigoroso controllo dello Stato; efficacia dei
contratti collettivi; magistratura del lavoro esercitante la giurisdizione nei conflitti collettivi;
divieto dell’autodifesa e sanzioni penali in caso di violazione”». «Questi sono i quattro punti
del disegno di legge […] e sono quattro anelli di una medesima catena. Noi non potremmo
abbandonarne uno solo senza far crollare tutto il sistema».
154 V. in proposito il Capo III (Della serrata e dello sciopero) della legge 563 del 1926.
155 Così, JOCTEAU, G.C., Lo Stato fascista e le origini della magistratura del lavoro, cit.,
p. 173; di cui cfr. anche ID., La magistratura e i conflitti di lavoro, Milano, 1978; v. anche
ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, cit., p. 52 ss.; ID., Il diritto sindacale
corporativo ed i suoi interpreti, in Lavoratori e sindacati tra vecchio e nuovo diritto, cit., p.
187 ss.; più in generale, NEPPI MODONA, G., La magistratura e il fascismo, in Pol. dir., 1972, p.
563 ss.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 69
156 Cfr. anche le Norme per l’attuazione della legge 3 aprile 1926, n. 563, sulla disciplina
giuridica dei rapporti collettivi di lavoro (R.D. 1° luglio 1926, n. 1130), che, all’art. 68, comma
1, riconoscevano alle contrapposte associazioni sindacali riconosciute la legittimazione ad
agire passiva e che, al comma 2 del medesimo articolo, per quel che riguarda le controversie
relative alla formulazione di nuove norme, ammettevano l’azione anche «quando sia interve-
nuto il contratto collettivo, e anche prima della scadenza del termine in questo stabilito per
la sua durata, purché si sia verificato un notevole mutamento dello stato di fatto esistente al
momento della stipulazione». Sulla domanda di revisione v. anche l’art. 89.
157 Ma l’art. 68 delle Norme per l’attuazione, cit., estendeva la legittimazione ad agire in
dopo che una controversia individuale del lavoro sia decisa con sentenza passata in giudicato,
intervenga una sentenza del magistrato del lavoro in materia di rapporti collettivi, alle quali
le parti siano vincolate e che sia con quella incompatibile, ognuna delle parti e il pubblico mi-
nistero possono denunciarla alla magistratura del lavoro per l’annullamento».
159 Per riflessioni concernenti questo profilo di continuità a cui si accenna nel testo, v.
ROMAGNOLI, U., Il diritto sindacale ed i suoi interpreti, cit., p. 192 ss., ma soprattutto ID., Le
associazioni nel processo, cit., p. 52 ss., ove si rileva come, «in epoca precorporativa la con-
troversia collettiva giuridica non è immediatamente valutabile come controversia tra i gruppi,
perché il livello contrattuale prevalente è, nei primi anni del secolo, quello aziendale e i con-
cordati aziendali sono, in genere, stipulati tra le maestranze sindacalmente non organizzate ed
70 CAPITOLO PRIMO
GER, N., Corso di diritto processuale del lavoro, cit.; ID., Le controversie collettive di lavoro e la
competenza della Magistratura del Lavoro, cit.; ID., Contributo alla determinazione del concetto
di «rapporto collettivo», cit.; MARCHETTI, D., Competenza, litispendenza e legittimazione nel
processo collettivo, in Dir. lav., 1937, I, p. 379 ss.; MAZZONI, G., L’applicazione dei contratti col-
lettivi e la distinzione tra controversia collettiva e individuale di lavoro, in Dir. lav., 1931, I, p.
397 ss.; PERGOLESI, F., La Magistratura del Lavoro, Roma, 1928; RASELLI, A., La Magistratura
del Lavoro, Giurisdizione ed azione, Padova, 1934; ID., Appunti intorno alla funzione della ma-
gistratura del lavoro, in Studi di diritto processuale in onore di Giuseppe Chiovenda, Padova,
1927, p. 689 ss.; ROMANO CASTELLANA, A., Diritto processuale del lavoro, Roma, 1933; RO-
VELLI, F., La sentenza della Magistratura del Lavoro, Urbino, 1932; ID., La legge sulla disciplina
giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, in Studi dedicati alla memoria di Pier Paolo Zanzucchi,
Milano, 1927, p. 263 ss.; SECRETI, G., La distinzione tra controversia individuale e controversia
collettiva, in Mass. giur. lav., 1929, p. 85 ss.; SEGNI, A., I tribunali del lavoro in Italia, in Studi
di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Chiovenda, cit., p. 769 ss.; in Scritti giuridici,
I, Torino, 1965, p. 453 ss.; SERMONTI, A., Le azioni di accertamento del regolamento collettivo,
in Studi di diritto corporativo, 1928, p. 181 ss.; ID., Il diritto sindacale italiano, Roma, 1929;
ID., Intervento del Sindacato nelle controversie individuali di lavoro, in Dir. lav., 1929, p. 3 ss.;
ID., Ancora sull’intervento del Sindacato nelle controversie individuali di lavoro, in Dir. lav.,
1930, p. 3 ss.; VIGLIONE, R., La competenza «ratione materiae» della Magistratura del lavoro, in
Dir. lav., 1927, I, p. 397 ss.
162 R.D. 26 febbraio 1928, n. 471 (Norme per la decisione delle controversie individuali
del lavoro).
72 CAPITOLO PRIMO
163 Questione distinta e maggiormente controversa – e che, tra l’altro, in questa sede
viene ad essere unicamente accennata – è quella relativa a quando la controversia coinvolga
l’interesse collettivo anziché quello individuale. In altri termini, dato per assodato (se non po-
stulato) il fatto che la controversia collettiva è rivolta ad una funzione di tutela dell’interesse
collettivo, rimaneva da verificare – cosa da non poco se si pensa al dibattito svoltosi nel pe-
riodo storico immediatamente precedente (cfr. retro) – quando il sindacato potesse farlo va-
lere in giudizio. In altri termini, dire che l’azione sindacale e la controversia collettiva con-
cernevano l’interesse collettivo della categoria corrispondeva all’accoglimento di una pro-
spettiva di studio puramente funzionale che anziché risolvere il problema non faceva altro
che spostarlo. A titolo meramente esemplificativo, si segnala la tesi, molto criticata, di BA-
LELLA, G., Lezioni di legislazione del lavoro, cit., p. 468 s.; ID., La nozione di controversia col-
lettiva, cit., p. 8 ss.; ID., Sul diritto di azione del sindacato, cit., p. 5 ss., il quale riteneva de-
terminante l’aspetto numerico dei lavoratori interessati; a cui si contrapponeva la tesi di co-
loro che ritenevano essenziale il fatto che la controversia avesse ad oggetto immediato e
diretto il contratto collettivo o la sua formazione come chiaramente richiedeva l’art. 13 della
legge 563 del 1926. Evidenziava, difatti, l’essenzialità dell’individuazione di discrimen che tro-
vasse fondamento nel dettato normativo PERGOLESI, F., La magistratura del lavoro, cit., p. 43
ss., secondo cui, d’altra parte, «ogni interpretazione di un c.c., sia pure in occasione di una
controversia individuale, ha in largo senso un interesse collettivo, in quanto è di interesse co-
mune che la norma contenuta nel c.c. sia in ogni caso rettamente interpretata, perché ap-
punto si pone […] per trovare applicazione nei rapporti concreti. […] É del resto quel che
si avvera per tutto il diritto: ogni individuo ha interesse che l’ordinamento giuridico di un
dato Paese sia conforme a giustizia, e d’altro canto è interesse pubblico, in largo senso, che
ogni rapporto individuale si svolga in armonia al diritto. Ma questo non impedisce che pos-
sano trovarsi i criteri per distinguere il diritto pubblico da quello privato, e la controversia
collettiva dall’individuale. Ora il criterio non possiamo trovarlo nell’elemento pre-giuridico o
post-giuridico dell’interesse, ma nell’ambito, rigidamente giuridico, della legge da interpre-
tare». Considerazioni di profilo metodologico, quest’ultime, che valgono allora come oggi, e
sulle quali avremo occasione di tornare più volte.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 73
164 L’accentuazione operata da Carnelutti della natura «tipica» dell’interesse della cate-
goria trova ampio riscontro nella letteratura coeva. In questo senso, v. anche ANDRIOLI, V., Le
sentenze della Magistratura del Lavoro dal punto di vista processuale, cit., 149, che parla di
conferimento al sindacato di un potere di tutela di «una serie di interessi uguali». Similmente,
v. la posizione di BALELLA, G., Sul diritto di azione del sindacato per la difesa dell’interesse pro-
fessionale, cit., p. 5 ss., che, in relazione alla nozione di interesse professionale o di categoria,
pur operando una ingiustificata quanto frequente sovrapposizione tra nozione di interesse e
nozione di utilità, afferma: «alcuni la individuano nell’interesse comune a tutti gli apparte-
nenti alla categoria professionale in quanto tali. Ed io riterrei accettabile la definizione dal
punto di vista economico sociale, e non strettamente giuridico, qualora, però, per l’interesse
dei singoli si potesse intendere […] l’utilità soggettiva che per ciascuno di essi può essere co-
stituita da una determinata situazione di fatto […]. L’interesse professionale, invece, non è
costituito, esattamente, dall’interesse comune ai singoli appartenenti alla professione, allorché
si tratta di far rispettare certe altre norme di legge, pur sempre dettate a tutela della catego-
ria […]; qui, l’utilità soggettiva dei lavoratori non coincide con la loro utilità obbiettiva». Con
la conseguenza che «l’interesse professionale non è affatto costituito dall’interesse comune ai
singoli appartenenti alla professione, ma da questo si diversifica, allorché si tratta di far ri-
spettare norme di legge che impongono determinati oneri a carico dei singoli». Diversifica-
zione che, tra l’altro, si realizza poiché «l’interesse professionale si fonda anche, e special-
mente, sull’utilità futura dei singoli, che può essere inferiore all’utilità immediata» derivan-
done pertanto la possibilità di «parlare […] di interessi professionali di categoria diversi ed
autonomi da quelli individuali».
165 Per la prima lettura ricostruttiva (quella che ritiene essere l’interesse collettivo la
risultante dei diversi interessi individuali particolari) v. ASQUINI, A., Controversie collettive
e controversie individuali di lavoro, cit., p. 334; per la seconda lettura (quella della «com-
posizione» degli interessi individuali) v. RASELLI, A., La magistratura del lavoro, cit., p. 92.
Non diversamente orientato CIOFFI, A., La nozione di controversia collettiva di lavoro, cit.,
p. 287, che rileva che «l’interesse professionale è […] diverso da quello individuale, giac-
ché condensa gli interessi di tutti che appartengono o possono appartenere […] alla ca-
tegoria». Va pur rilevato, peraltro, come queste distinzioni non sembra posseggano rica-
dute di rilievo sul piano pratico della diversa configurazione giuridica degli istituti sostanziali
e processuali inerenti alla nozione di interesse collettivo. Vedremo più avanti (cfr. infra,
74 CAPITOLO PRIMO
cap. II, § 4.) come soltanto successivamente al periodo corporativo si svilupperà un filone
dottrinale, inaugurato da Santoro Passarelli, che nel fenomeno di «sintesi» degli interessi
individuali per mezzo del momento organizzatorio sindacale individuerà una componente
specifica dell’interesse collettivo. In Raselli o in Cioffi, l’interesse collettivo è la «risul-
tante», l’interesse collettivo «condensa»; ma tali formule sono da valutarsi come meramente
verbali, non ricevendo alcuna particolare valorizzazione in sede di argomentazione rico-
struttiva.
166 In particolare v. RASELLI, A., La magistratura del lavoro, cit., p. 90 e poi, più chiara-
mente e incisivamente, p. 153, dove si legge a nota 1: «l’interesse di categoria, nascente dalla
necessità di un’azione comune fra i membri per ottenere eque condizioni di lavoro e riferito
giuridicamente ad un ente superiore, che agisce per queste finalità, non deve essere conside-
rato come un interesse individuale astratto, ma un interesse collettivo concreto, che ha per
contenuto l’ottenere determinate condizioni di lavoro e che è soddisfatto dalla sentenza che
fissa tali condizioni».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 75
167 Per l’esame della problematica in termini di diritto sostanziale, ovvero per ciò che
attiene alla qualificazione della posizione giuridica del sindacato rispetto agli appartenenti
alla categoria, si rimanda alla sintesi di PERSIANI, M., I soggetti del contratto collettivo con effi-
cacia generale, in Dir. lav., 1958, I, p. 97 s., ove sono ricordate le ipotesi ricostruttive preva-
lenti: quella della sostituzione avanzata da SANTORO PASSARELLI, F., Contratto e rapporto col-
lettivo, in Riv. dir. pubbl., 1933, p. 357 ss.; quella della rappresentanza in senso tecnico avan-
zata da BALZARINI, R., Atti e negozi di diritto corporativo, Milano, 1938, p. 106 ss., CESARINI
SFORZA, W., Corso di diritto corporativo, cit., p. 133 s., BARASSI, L., Diritto sindacale e diritto
corporativo, cit., p. 133 ss., e da PUGLIATTI, S., Dalle obbligazioni in solido alla rappresentanza
sindacale, in Dir. lav., 1931, I, p. 239 ss.; quella della rappresentanza di diritto pubblico so-
stenuta da ZANOBINI, G., Corso di diritto corporativo, Milano, 1939, p. 104 ss.; quella della
rappresentanza politica sostenuta da ASCARELLI, T., Sul contratto collettivo di lavoro, in Archi-
vio giuridico, 1929, p. 184 e 189, da CARNELUTTI, F., Nuove riflessioni sul comando collettivo,
in Arch. studi corporativi, 1932, p. 145 ss., ma spec. p. 157, e da GALLI, P., Rappresentanza sin-
dacale, Firenze, 1937, p. 44 e 108; quella della rappresentanza istituzionale proposta da ESPO-
SITO, C., La rappresentanza istituzionale, Tolentino, 1938, e da MAZZONI, G., Il principio cor-
porativo nell’ordinamento giuridico italiano, Padova, 1940, p. 48-49. Non va dimenticata, pe-
raltro, l’opinione di ROMANO, Santi, Contratti collettivi di lavoro e norme giuridiche, in Arch.
studi corporativi, 1930, p. 27 ss., ma spec. p. 34, che di contro rilevava come la natura della
rappresentanza sindacale apparisse questione in fin dei conti secondaria all’interno dell’ordi-
namento corporativo, vista l’indiscussa attribuzione al sindacato di una serie di poteri e fun-
zioni dal vincolante esercizio per i partecipanti alla categoria e posta comunque la conciliabi-
lità teorica tra la figura del contratto e la norma giuridica.
168 Così, GUIDI, D., Note di diritto corporativo, cit., p. 1044; SECRETI, G., La distinzione
tra controversia individuale e controversia collettiva, cit., p. 87; alla personificazione della ca-
tegoria accennano anche ASQUINI, A., Controversie collettive e controversie individuali di la-
voro, cit., p. 334, e RASELLI, A., La magistratura del lavoro, cit., p. 86, 157, che, però, coordi-
nano questa via ricostruttiva con quella mirante a configurare un vero e proprio «rapporto in-
tersindacale» tra contrapposte associazioni (su cui v. infra, nel testo e in nota).
76 CAPITOLO PRIMO
cit., p. 387; AZZARITI, G., Le controversie collettive per l’applicazione dei patti di lavoro e i li-
miti della competenza del magistrato del lavoro, cit., p. 1222; forse anche GRECO, P., Azione in-
dividuale e azione sindacale per l’applicazione del regolamento, cit., p. 448 ss., la cui posizione,
d’altra parte risulta difficilmente sussumibile in una delle due principali categorie di opinioni
individuate nel testo. Stesse considerazioni valgono per ROVELLI, F., La legge sulla disciplina
giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, cit., p. 301, 305.
170 BALELLA, G., Sul diritto di azione del sindacato per la difesa dell’interesse professio-
nale, cit., p. 7, per il quale «per ammettere il diritto di azione dei sindacati per la difesa del-
l’interesse professionale, è necessario ritenere che questo interesse professionale, allorché è
protetto dal diritto obiettivo, costituisca per il sindacato un diritto soggettivo. Non basta, evi-
dentemente dimostrare l’esistenza dell’interesse professionale, non basta, evidentemente, di-
mostrare che la tutela di tale interesse è compito principale ed esclusivo del sindacato: l’inte-
resse, a cui è accordata azione giurisdizionale di fronte la magistratura ordinaria, è esclusiva-
mente l’interesse immediatamente protetto dal diritto obiettivo, è, cioè, il diritto soggettivo».
171 MAZZONI, G., L’applicazione dei contratti collettivi e la distinzione tra controversia
collettiva e individuale di lavoro, cit., p. 602. Come vedremo nel prosieguo del lavoro ed in
particolare in materia di repressione della condotta antisindacale (cfr. cap. VII, § 3.1.), la for-
mula del «diritto collettivo» ha trovato sovente impiego per dare un appellativo specifico alla
posizione giuridica degli enti esponenziali legittimati ad agire. Ma va sin d’ora detto che tale
formula non va oltre il risultato di scambiare un termine con un altro. Difatti, parlare di «di-
ritto soggettivo» o di «diritto collettivo» è perfettamente equivalente sul piano giuridico, rap-
presentando solo il tentativo di nascondere – con il lessico – la realtà delle cose, ovvero l’at-
tribuzione di un diritto soggettivo puro e semplice alle associazioni rappresentative, che lo
eserciteranno quando il loro interesse verrà – più o meno occasionalmente – a coincidere con
l’interesse tutelato dalle norme e senza necessità di uniformarsi agli interessi concreti dei sog-
getti appartenenti alla categoria protetta.
172 Così, RASELLI, A., La magistratura del lavoro, cit., p. 167, che, a p. 85, chiarisce ulte-
riormente il concetto sostenendo che «le associazioni, come persone giuridiche pubbliche,
poste e riconosciute per soddisfare l’interesse dello Stato all’ordinato svolgimento dei rap-
porti di lavoro, sono giuridicamente obbligate ad agire nel modo più opportuno per raggiun-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 77
gere tale scopo». Ma v. anche ID., Appunti intorno alla funzione della magistratura del lavoro,
cit., p. 712 ss., ove si chiarisce che, operando nella prospettiva del «rapporto intersindacale»,
anche le controversie rivolte alla richiesta di nuove condizioni di lavoro godono perfetta-
mente dei caratteri tipici della tutela propriamente giurisdizionale, condividendo di essa sia il
carattere repressivo che quello sostitutivo, visto che, anche in tale ipotesi si assiste all’ina-
dempimento da parte delle associazioni interessate di cooperare al fine di convenire le giuste
condizioni contrattuali. Si rifà alla nozione di «rapporto intersindacale» – come anticipato re-
tro – anche ASQUINI, A., Controversie collettive e controversie individuali di lavoro, cit., p. 334.
173 GUIDI, D., Note di diritto corporativo, cit., p. 1052; ma v. anche le osservazioni del
BALELLA, G., Sul diritto di azione del sindacato per la difesa dell’interesse professionale, cit., p.
7, per il quale «non ci troviamo di fronte ad un caso di rappresentanza o di sostituzione pro-
cessuale, perché […] il sindacato agisce in nome proprio e per conto proprio». Va, d’altra
parte, evidenziata la secca replica di CARNELUTTI, F., La funzione del processo del lavoro, cit.,
p. 117, che rilevò: «tutto quello che si è detto per dimostrare che esiste un interesse di cate-
goria distinto dall’interesse dei singoli membri di questo e perciò un rapporto giuridico co-
stituito tra le categorie dall’ordinanza, dal contratto o dalla sentenza collettiva appartiene al-
l’ordine delle illusioni generate dal generale impeto di entusiasmo, che la legge corporativa ha
sollevato anche tra gli studiosi. Questo impeto ha lasciato credere che venga diminuita la ori-
ginalità e la efficacia del nuovo ordine giuridico da chi non si adatti a riconoscere la pretesa
autonomia dell’interesse professionale in confronto con l’interesse dei singoli lavoratori e im-
prenditori. Nelle sue punte più ardite questo impeto ha trascinato qualche giovane scrittore
fino ad azzardare la tesi della personalità giuridica della categoria. Allorché questo impeto si
sarà calmato e l’entusiasmo lascerà il campo alla pacata meditazione si riconoscerà agevol-
mente che nessun pericolo al pieno rendimento della legge corporativa può derivare dalla co-
struzione esatta dei suoi principi e che l’interprete serve meglio il legislatore con l’indagine
austera che con la idolatria».
78 CAPITOLO PRIMO
174 CARNELUTTI, F., La funzione del processo del lavoro, cit., p. 122 da cui sono anche
tratti i passi che seguono nel testo. Non solo per ragioni di completezza, occorre ricordare
come, in una prima fase (Teoria del regolamento collettivo, cit., p. 137 ss.), anteriore all’ap-
provazione della legge sulle controversie individuali del lavoro del 1928, Carnelutti propose
una lettura riduttiva della legge del 1926; lettura incentrata sulla distinzione presente nel te-
sto normativo all’art. 13 tra le controversie per la formazione del regolamento collettivo e
quelle diversamente rivolte all’applicazione del medesimo, ritenendo che solo le prime potes-
sero qualificarsi come effettivamente collettive e non le seconde. Indicando, infatti, nel
lemma «applicazione» un «vocabolo tecnico» significante «non solo verificazione del modo
di essere della norma, ma altresì del modo di essere del fatto», il Carnelutti ritenne di dover
qualificare questo secondo novero di controversie come «pseudo collettive», ovvero effettiva-
mente individuali. Il risultato interpretativo implicava che, in questa seconda ipotesi, non va-
lessero le considerazioni ricostruttive proposte per la sistemazione delle controversie propria-
mente collettive, ma occorreva intraprendere un diverso percorso ermeneutico. L’opinione
del Maestro mutò, come detto, a seguito della legge del 1928 sulle controversie individuali,
che all’art. 1 attribuiva ad un giudice diverso dalla sezione della Corte d’appello – compe-
tente invece ai sensi della legge del 1926 anche per le controversie riguardanti l’«applica-
zione» del regolamento oltre che per quelle relative alla formazione dello stesso – tutte le con-
troversie individuali, rendendo normativamente inaccettabile la qualificazione delle contro-
versie sull’«applicazione» come individuali o pseudo-collettive. La conseguenza fu, da un
lato, quella di dover ritenere il termine «applicazione» in senso atecnico, ovvero riguardante
anche l’esistenza o la interpretazione del regolamento e, dall’altro, quella di estendere anche
a questa species di controversie collettive le considerazioni interpretative sviluppate per l’altra
species diversamente riguardante la formazione del regolamento (su tutte queste questioni, v.
La funzione del processo del lavoro, cit., p. 116 ss.). Nel testo, dunque, per palesi ragioni di
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 79
sindacati», «un sindacato può stare così nel processo collettivo come nel
processo individuale; ma vi sta in funzione diversa: nel primo in rappre-
sentanza della categoria, nel secondo in rappresentanza dei suoi
membri».
«L’interesse di categoria – si badi bene –, non l’azione del sindacato
è il carattere differenziale del processo collettivo».
«Neanche è permesso di confondere il processo collettivo col pro-
cesso cumulativo. Più liti individuali non diventano punto una lite collet-
tiva. L’interesse di categoria non è la somma ma il tipo degli interessi dei
membri della categoria; non può esserne la somma, prima di tutto perché
la categoria, non essendo un gruppo, ma una serie, non è finita. Pertanto
sintesi e chiarezza espositiva, abbiamo preferito riportare solo le riflessioni proposte da Car-
nelutti, prima, per la ricostruzione delle controversie propriamente collettive e, poi, estese an-
che a tutte le controversie genericamente collettive. Va comunque riportata, sebbene concen-
trando l’attenzione unicamente sugli aspetti di maggior interesse, anche l’opzione interpreta-
tiva proposta in un primo momento per la ricostruzione delle controversie pseudo-collettive.
In queste, infatti, Carnelutti, non individuava come oggetto del processo l’interesse di cate-
goria inteso come serie – e dunque come interesse «esemplare» – di interessi individuali tipici
e astratti, ma i singoli rapporti intercorrenti tra datore di lavoro e dipendente. «Pertanto – so-
steneva Carnelutti – la attribuzione della azione per la decisione di tali controversie al sinda-
cato non può teoricamente costruirsi in modo diverso che come un caso di sostituzione pro-
cessuale: l’azione spetta a un soggetto diverso dal soggetto della lite, in quanto quel soggetto
si trova con la lite stessa in una particolare relazione, per cui si reputa che la sua azione possa
essere proficua per lo svolgimento dei compiti affidati alla parte» (v. la Teoria del regolamento
collettivo, cit., p. 174 ss.). In questo caso, dunque, l’illustre Autore non esitava a spiegare la
relazione tra titolare dell’azione e titolare dell’interesse sostanziale in termini di sostituzione
processuale. Nelle controversie «pseudo-collettive» l’oggetto del giudizio era costituito da di-
ritti soggettivi ovvero da rapporti bilaterali. Nell’altra invece, non tanto la nozione di serie –
ovvero l’indeterminatezza quantitativa dell’oggetto del giudizio – si opponeva a una meglio
definita relazione tra legittimato ad agire e titolare dell’interesse, quanto la natura tipica del-
l’interesse di categoria. La natura tipica dell’interesse di categoria – che tra l’altro derivava
esclusivamente dal doversi accertare, interpretare, costituire o modificare un regolamento ge-
nerale e collettivo (rectius normativo) di futuri rapporti – realizzava quella astrazione dell’in-
teresse dai titolari concreti che non poteva che condurre ad una nozione di titolarità an-
ch’essa astratta. L’interesse spetta a «chiunque» o, il che è lo stesso, «non spetta a nessuno»
(in particolare) (v. infra, nel testo). È anche interessante notare il quesito che sollevò Carne-
lutti a fronte della legittimazione esclusiva – appunto qualificabile come sostituzione proces-
suale – del sindacato legalmente riconosciuto a dedurre innanzi alla Corte d’appello in fun-
zione di magistratura del lavoro i rapporti giuridici intercorrenti tra datore e lavoratori. A tal
proposito infatti l’A. si chiese se tale previsione escludesse o meno l’azione dell’imprenditore
singolo o del lavoratore. La risposta fu quella che riportiamo qui di seguito: «secondo i prin-
cipi della sostituzione processuale, se è attribuita facoltà di agire al sostituto per la tutela di
un interesse altrui, non è tolta la facoltà di agire al titolare di questo […]. Non vedo né una
norma né un motivo perché, nel nostro caso, questi principi non abbiano da essere rispettati»
(Teoria del regolamento collettivo, cit., p. 180 s.).
80 CAPITOLO PRIMO
175 Nello stesso senso ed amplius, v. JAEGER, N., Corso di diritto processuale del lavoro,
cit., p. 25 ss.; ID., Le controversie collettive di lavoro e la competenza della Magistratura del La-
voro, cit., p. 350; ID., Contributo alla determinazione del concetto di «rapporto collettivo», cit.,
p., 621; nonché, D’AGOSTINO, G., Il processo collettivo del lavoro, cit., p. 50.
176 JAEGER, N., Le controversie collettive di lavoro e la competenza della Magistratura del
in cui il sindacato legalmente riconosciuto si riteneva potesse agire contro l’associazione con-
trapposta per accertare la responsabilità conseguente la violazione degli obblighi assunti, ad
esempio nella parte obbligatoria del contratto collettivo, anziché in quella normativa, diretta-
mente nei confronti dell’altra associazione. In queste ipotesi, infatti, mentre parte della dot-
trina che riconosceva nell’oggetto del giudizio collettivo un diritto soggettivo del sindacato,
non faceva differenza tra le due tipologie di azioni ritenendo che in entrambi i casi si tutelas-
sero gli interessi collettivi della categoria, (v. ad es. RASELLI, A., La magistratura del lavoro, cit.,
p. 111 ss., 155; ASQUINI, A., Controversie collettive e controversie individuali di lavoro, cit., p.
335; ROVELLI, F., La legge sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, cit., p. 305;
contra, sebbene all’interno dello stesso orientamento, MAZZONI, G., L’applicazione dei con-
tratti collettivi e la distinzione tra controversia collettiva e individuale di lavoro, cit., p. 603), gli
studiosi, che negavano in capo al sindacato la titolarità di un diritto soggettivo ogni qual volta
si richiedesse la tutela dell’interesse collettivo professionale, distinguevano appunto tra lite o
controversia propriamente collettiva e lite o controversia intersindacale non collettiva o indi-
viduale (v. ad es. JAEGER, N., Corso di diritto processuale del lavoro, cit., p. 25 ss.; D’AGOSTINO,
G., Il processo collettivo del lavoro, cit., p. 50).
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 81
181 Così, CARNELUTTI, F., La funzione del processo del lavoro, cit., rispettivamente a p.
133 e 131; ma similmente in Teoria del regolamento, cit., p. 152 ss. e nel Sistema di diritto pro-
cessuale civile, cit., p. 291. Negli stessi termini, anche JAEGER, N., Corso di diritto processuale
del lavoro, cit., p. 154 s.; D’AGOSTINO, G., Il processo collettivo del lavoro, cit., p. 140 ss.
182 ANDRIOLI, V., Le sentenze della Magistratura del Lavoro dal punto di vista processuale,
cit., p. 147 ss., il cui studio, differentemente da quello di Calamandrei a cui ci stiamo per ri-
ferire nel testo, era destinato all’inquadramento delle sole sentenze collettive volte alla risolu-
zione delle controversie c.d. economiche.
183 CALAMANDREI, P., La natura delle decisioni della Magistratura del Lavoro in Italia, cit.,
p. 145. Sul punto, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, BORGHESI, D., Contratto collet-
tivo e processo, cit., spec. p. 41 ss.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 83
184 «L’efficacia normativa che queste decisioni esercitano in astratto su tutta la serie dei
rapporti individuali possibili in futuro ma non ancora esistenti, non ha niente a che vedere
colla autorità della cosa giudicata, ma ha al contrario tutti gli effetti che sono propri della
legge: perché se regolare in concreto un rapporto già esistente è proprio del giudice, regolare
in astratto una serie di rapporti non ancora esistenti, ma considerati come possibili nell’avve-
nire, è proprio del legislatore» (così, CALAMANDREI, P., La natura delle decisioni della Magi-
stratura del Lavoro in Italia, cit., p. 145). Come avremo modo di osservare in particolare nel
cap. X dedicato allo studio degli strumenti di tutela degli interessi collettivi dei consumatori
anche la dottrina più recente ha ritenuto opportuno predicare l’efficacia normativa della sen-
tenza inibitoria (cfr. in particolare MARINUCCI, E., Gli effetti della sentenza inibitoria prevista
dall’art. 1469 sexies c.c., in Riv. dir. proc., 2002, p. 216 ss.; ID., Azioni collettive e azioni inibi-
torie da parte delle associazioni dei consumatori, in Riv. dir. proc., 2005, p. 125 ss.), peraltro
– come meglio vedremo – in tale ipotesi la sentenza contiene l’accertamento di un obbligo
attuale che esclude la possibilità di rinvenire l’enunciazione di regole non concrete e non
speciali.
185 Tale ambivalenza rappresentava la trasposizione sul piano processuale della conce-
zione di Santi Romano in merito alla natura del contratto collettivo (cfr. Contratti collettivi di
lavoro e norme giuridiche, cit., p. 27 ss.). L’autorevole giurista, infatti, con magistrale chia-
rezza, posta la completa compatibilità della figura del contratto con il concetto di norma,
prima aveva ritenuto che dal contratto collettivo discendessero norme pubbliche e generali e
poi aveva rilevato come il contratto collettivo valesse come tale solo nei confronti delle asso-
ciazioni stipulanti, che di contro non erano le destinatarie delle norme ivi stabilite.
84 CAPITOLO PRIMO
4. Considerazioni conclusive
Al termine di questa prima fase del nostro lavoro dedicata allo stu-
dio dell’esperienza giuridica dell’interesse collettivo a cavallo tra Otto-
cento e Novecento, prima di procedere innanzi passando all’esame del
successivo dibattito avviatosi dopo l’approvazione della nostra Carta co-
stituzionale, è opportuno evidenziare le questioni di maggior rilievo che
sino ad ora sono emerse.
Già sul piano storico-evolutivo ci sembra interessante notare come
le numerose e preziose indicazioni di metodo e propriamente ricostrut-
tive che ci giungono dall’autorevole dottrina poc’anzi esaminata siano
state assai poco valorizzate dalla riflessione più recente, la quale – a par-
tire dagli anni Settanta in poi – ha visto nel tema della tutela degli inte-
ressi collettivi e diffusi un fenomeno nuovo ed inesplorato, quando in
realtà molte delle problematiche su cui tuttora ci si interroga erano state
già oggetto di studio diverso tempo addietro186.
Nel prosieguo del lavoro su molte di queste questioni avremo più
volte occasione di tornare, per cui è inopportuno che queste siano ora in-
vestite da una profonda riflessione critica; peraltro, non ci si può esone-
rare dal rilevare come già nel periodo storico esaminato in questo primo
capitolo si palesino piuttosto chiaramente tutte le questioni attorno alle
quali si svilupperà l’itinerario tracciato dal dibattito successivo: a) confi-
gurazione strutturale dell’interesse collettivo con annesse ricadute in ter-
mini di titolatità-legittimazione ad agire; b) posizione giuridica dell’ente
esponenziale eventualmente legittimato ed oggetto del giudizio; c) limiti
soggettivi del giudicato.
Per ciò che riguarda il primo punto, sin d’ora emerge un aspetto ti-
pico del dibattito sulla nozione di interesse collettivo, ovvero l’eterno
conflitto che in esso si anima tra individuo e collettività; conflitto da se-
coli al centro della riflessione filosofica e politica della cultura occiden-
tale e che nel nostro ambito di studio si traduce – come ben vedremo più
avanti – nella contrapposizione tra nozione aggregata o unitaria dell’inte-
resse collettivo. Il punto sarà oggetto di ampia riflessione nel prosieguo
del lavoro, ma par certo che sin da questi primi momenti della riflessione
giuridica sul concetto di interesse collettivo si palesi chiaramente l’aspet-
186 Ciò forse è dovuto al marchio ideologico che rimane impresso sulla riflessione rela-
tiva al processo collettivo corporativo. Ma è proprio l’interelazione tra ideologia e strumenti
giuridici a rendere non solo utile ma veramente affascinante lo studio di questo periodo sto-
rico, in quanto lo studioso ha la possibilità di rilevare con nettezza le dinamiche di condizio-
namento sviluppatesi tra idee e strutture normative.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 85
187 CESARINI SFORZA, Studi sul concetto di interesse generale, cit., p. 128 s.
188 Sulla distinzione tra interesse concreto ed interesse astratto, v. infra, cap. IV.
86 CAPITOLO PRIMO
golamento collettivo, cit., p. 139; e in ROVELLI, F., La legge sulla disciplina giuridica dei rapporti
collettivi di lavoro, p. 301.
193 Si prenda come esempio il rapporto tra l’azione di repressione della condotta anti-
sindacale e l’azione individuale del singolo lavoratore o il rapporto tra l’azione a tutela degli
interessi collettivi dei consumatori e le azioni che al contrario spettano esclusivamente loro
(cfr. infra, cap. VII e cap. X).
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA PRE-COSTITUZIONALE 87
1. Considerazioni introduttive
Il profilo storico delle vicende giuridiche dell’interesse collettivo dal
finire dell’Ottocento alla legislazione fascista mostra con nitidezza come
la spiegazione della comparsa e del tentativo di affermazione giuridica
della nozione debba essere ricercata in una risposta di adeguamento del
sistema ad una nuova categoria di bisogni ed ancor più al profilarsi di
una nuova dimensione dell’individuo all’interno dell’ordinamento.
D’altra parte, sebbene la ragionevole proiezione in avanti di tale li-
nea evolutiva dovrebbe indurre ad attendersi – nel passaggio dalla legi-
slazione fascista alla nuova fase costituzionale – un momento di ulteriore
maturazione dell’itinerario sinora tracciato, al contrario il periodo che va
dall’approvazione della Costituzione agli inizi degli anni Settanta si pa-
lesa fondamentalmente come un momento preparatorio di quello suc-
cessivo.
Il tema della tutela giuridica e giurisdizionale degli interessi collettivi
continua, infatti, a crescere fecondando essenzialmente motivi che già gli
90 CAPITOLO SECONDO
1 CESARINI SFORZA, W., Gli interessi collettivi e la Costituzione, in Dir. lav., 1964, I,
p. 47 ss.
2 CESARINI SFORZA, W., Gli interessi collettivi e la Costituzione, cit., p. 48, che rileva
5 BARBERA, A., Commento all’art. 2 Cost., cit., p. 60, che sottolinea come, d’altra parte,
dietro le posizioni dei costituenti vi fossero «posizioni culturali sviluppatesi dopo la crisi del-
l’ideologia liberale: le elaborazioni del cattolicesimo sociale francese (e soprattutto di Mari-
tain e Mounier), le elaborazioni del corporativismo cattolico italiano (da Toniolo a Murri), il
socialismo tecnocratico e liberale di Beveridge, il mazzinianesimo, la riscoperta del valore uni-
versale delle libertà borghesi da parte della cultura marxista, la formazione crociana di diri-
genti comunisti, le lezioni sulla libertà di Gaetano Salvemini e Guido De Ruggiero». Si sotto-
linea anche come «le due grandi correnti culturali, cattolica e marxista, che hanno dominato
94 CAPITOLO SECONDO
lume collettaneo Scelte della Costituente e cultura giuridica, I, Costituzione Italiana e modelli
stranieri, a cura di U. De Siervo, Bologna, 1980.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 95
7 Sul punto, v. COMOGLIO, L.P., Commento all’art. 24 Cost., in Commentario della Co-
stituzione, Rapporti civili, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, p. 1 ss., ma spec. p. 18
ss.; ID., La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970, p. 105 ss.; per
il Progetto di Costituzione v. il Commentario sistematico alla Costituzione italiana, I, Firenze,
1950, a cura di P. Calamandrei e A. Levi, p. XI ss.
8 Atti dell’Assemblea costituente, seduta pomeridiana di venerdì 28 marzo 1947, in La
Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, I, Roma, 1970,
p. 721 ss. Sul ruolo di Codacci Pisanelli nella formazione della nostra Carta fondamentale, v.
WOJETEK PANKIEWICZ, A., Codacci Pisanelli e la Costituente, Napoli, 1995.
96 CAPITOLO SECONDO
dell’art. 24 Cost., v., per tutti, ancora COMOGLIO, L.P., La garanzia costituzionale dell’azione ed
98 CAPITOLO SECONDO
fonti di diritto idonee a darvi consistenza, tra cui in primo luogo la stessa
Costituzione, ed anche – ovviamente – laddove tali contenuti testimo-
niano la dimensione ultra-individuale dell’interesse che viene ad assu-
mere prevalenza nella regolamentazione giuridica del conflitto di aspi-
razioni14.
il processo civile, cit., p. 107; e soprattutto ID., Commento all’art. 24 Cost., cit., p. 18 ss., in cui
si afferma che la formulazione dell’articolo 24 «si presta agevolmente ad un’operazione ri-
duttiva, la quale, anche nell’ottica costituzionale, al diritto soggettivo perfetto tende a con-
trapporre, o ad affiancare, l’interesse legittimo in senso proprio», ma «ad un’analisi meno su-
perficiale non sfugge, però, che il vero significato, “innovatore” e funzionale, della norma è
dato non tanto (o non soltanto) dal fatto di consacrare solennemente nella Costituzione una
distinzione subiettiva di fondamentale rilievo nell’evoluzione storica delle guarentigie indivi-
duali, quanto piuttosto dall’esigenza di offrire un’efficace “copertura” garantistica a qualsiasi
posizione di vantaggio, individuale o collettiva, comunque e da chiunque azionabile in giu-
dizio».
14 È quindi vero che la formulazione dell’art. 24 risentiva di un’impostazione tradizio-
nalistica della tutela giurisdizionale e delle situazioni giuridiche soggettive, ma ciò – come vi-
sto anche alla nota che precede – non autorizza la lettura delle formule impiegate al di fuori
di una necessaria opera di storicizzazione da condursi tenendo presenti proprio quegli stessi
valori sostanziali emergenti dal dettato costituzionale. In conclusione, quindi, palesi sono le
eredità della secolare tradizione giuridica in riferimento alla formulazione letterale del primo
comma dell’art. 24 Cost., ma come sottolineato dalla dottrina che si è interrogata sui precisi
limiti di influenza di detta tradizione giuridica (DE SIERVO, U., Introduzione, in Scelte della Co-
stituente e cultura giuridica, I, Costituzione Italiana e modelli stranieri, a cura di U. De Siervo,
Bologna, 1980, spec. p. 16 s.), nello studio delle disposizioni costituzionali, occorre evitare di
far uso di un metodo di studio che «colga» i diversi istituti in una prospettiva antistorica e
che si riveli incapace di inserirli nel più ampio assetto istituzionale proposto dalla Costitu-
zione. Non v’è dubbio, dunque, che i diversi istituti possono (ed aspirino ad) accogliere nuovi
contenuti se illuminati da diverse luci. Così, se le illuminanti luci sono quelle – ad esempio –
dei principi personalistico, pluralistico e solidaristico (che gli articoli, specie 2 e 3, proiettano
su tutto l’edificio costituzionale), anche formule – quali in particolare quella del diritto sog-
gettivo – altamente emblematiche ed evocative acquistano colori e toni inusitati.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 99
dello Stato moderno, Atti del Convegno Nazionale di studio, 12-14 novembre 1951, Roma,
1961, ma agevolmente reperibile anche su internet.
100 CAPITOLO SECONDO
codici dati alla luce durante il regime17; il momento della disputa sulla
natura precettiva o programmatica delle norme costituzionali (risolta
solo nel 1956 con la prima sentenza della Corte costituzionale); il mo-
mento di una riflessione dottrinale ancora legata – sul piano tanto cultu-
rale che metodologico – alla tradizione pandettistica inaugurata negli
anni Venti e Trenta; una tradizione, per un verso, formalistica ed ostile ad
introdurre nel procedimento di costruzione del sistema i criteri di vali-
dità sostanziale veicolati dalla Carta costituzionale18 e, dall’altro, incapace
di offrire adeguate risposte «elastiche» al rapido evolversi e diversificarsi
della realtà sociale19.
In altri termini, come generalmente riconosciuto20, tra le istanze di
mutamento e i profili di continuità, la scienza giuridica, successivamente
17 Sull’argomento, anche per gli opportuni riferimenti, v. GROSSI, P., Scienza giuridica
italiana, Un profilo storico 1860-1950, Milano, 2000, p. 287 ss.; ALPA, G., La cultura delle re-
gole, Storia del diritto civile italiano, Roma-Bari, 2000, p. 323 s.
18 Estremamente chiaro sul punto è FERRAJOLI, L., La cultura giuridica nell’Italia del No-
vecento, Roma-Bari, 1999, p. 55, che indica al lettore il «mutamento di paradigma dello stesso
diritto positivo indotto dalla Costituzione. Ess[o] consiste nella rottura dei due antichi dogmi
della coerenza e della completezza dell’ordinamento che il vecchio modello pandettistico af-
fidava all’opera d’interpretazione e ricostruzione sistematica della scienza giuridica. La costi-
tuzione, infatti, equivale a un diritto sul diritto, che altera la struttura formale dell’ordina-
mento, codificando i principi assiologici cui la stessa legislazione è obbligata a uniformarsi».
19 Così, di recente, ALPA, G., La cultura delle regole, cit., p. 324; sostanzialmente anche
riodo successivo all’approvazione della Costituzione e la sua opera di resistenza alla penetra-
zione nell’ordinamento dei valori costituzionali è giudizio che riceve ampli ed autorevoli con-
sensi: ALPA, G., La cultura delle regole, cit., p. 324 ss.; FERRAJOLI, L., La cultura giuridica, cit.,
p. 58, che rileva come «almeno fino a tutti gli anni sessanta, il tecnicismo giuridico si ricon-
ferma insomma come l’abito “scientifico” del giurista, grazie al quale lo Stato e il diritto pos-
sono essere ancora sottratti alla politica, cui viene ora associata la costituzione, e la scienza
giuridica può celebrare, autoreferenzialmente, la propria continuità. Perfino la filosofia giuri-
dica e la nascente teoria generale del diritto sembrano ignorare la costituzione ed il costitu-
zionalismo. Prova ne sia che la stessa rivolta contro il giuspositivismo, espressa nei primi anni
cinquanta da quanti ad esso addebitavano d’aver avallato o comunque non frenato gli orrori
del nazismo, non trovò di meglio che proporre l’antica strada di un improbabile “ritorno al
diritto naturale”»; GROSSI, P., Scienza giuridica italiana, cit., p. 281; PATTI, S., Codificazioni ed
evoluzione del diritto privato, Roma-Bari, 1999, p. 17. Vedi anche gli scritti di IRTI, N., raccolti
in Scuole e figure del diritto civile, Milano, 2002. Nello stesso senso la dottrina processualcivi-
listica: v. ad es. TARUFFO, M., La giustizia civile in Italia dal ‘700 a oggi, Bologna, 1980, p. 314,
che cita la conforme opinione di DENTI, V., Intervento, in Atti del IX Convegno Nazionale
dell’Associazione tra gli studiosi del processo civile, Milano, 1974, p. 87 ss. e PROTO PISANI, A.,
Il processo di cognizione a trent’anni dal codice, la dottrina, ivi, p. 18 ss., di cui v. anche Il co-
dice di procedura civile del 1940 fra pubblico e privato: una continuità nella cultura processual-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 101
civilistica rotta con cinquanta anni di ritardo, in Quaderni fiorentini, 1999, p. 712 ss., ma spec.
– per la questione che qui preme evidenziare – p. 734 ss. Sul punto, v. anche infra, cap. III,
§§ 3. ss.
21 Sul tema, v. di recente PERLINGIERI, P., La dottrina del diritto civile nella legalità costi-
tuzionale, in Rass. dir. civ., 2007, p. 497 ss. Cfr. anche GALGANO, F., Il diritto privato tra codice
e Costituzione, Bologna, 1988; FERRAJOLI, L., Per un costituzionalismo di diritto privato, in Riv.
crit. dir. priv., 2004, p. 11 ss.
22 Per un esame storico attento a cogliere, nel periodo immediatamente successivo al-
l’entrata in vigore della Costituzione, lo sviluppo storico della scienza giuridica italiana se-
condo le linee sinusoidali dell’alternanza e dei rapporti di prevalenza tra «continuità» e «mu-
tamento», v. ancora GROSSI, P., Scienza giuridica italiana, cit., p. 275 ss.
23 Autore a cui si deve – come puntualmente osservato – la «rifondazione del diritto del
lavoro nel nuovo ordinamento democratico» (così, BENEDETTI, G., Elogio di un civilista con-
vinto: una testimonianza del sistema scientifico di F. Santoro-Passarelli, in Riv. dir. priv., 1996,
p. 497 ss., ma cit., p. 502)
102 CAPITOLO SECONDO
24 Non va dimenticato che sebbene la fortuna della nozione di interesse collettivo fosse
legata al fenomeno gius-sindacale, le riflessioni più profonde sul concetto erano giunte da
giuristi (Carnelutti e Cesarini Sforza) particolarmente attenti alle implicazioni tra la figura
dell’interesse e la teoria generale del diritto. Similmente Santoro Passarelli, se da un lato,
come stiamo per vedere nel testo, sviluppava la nozione allo scopo di inserire in una cornice
concettuale stabile ed appagante il diritto sindacale post-costituzionale, parimenti, dall’altro,
era autore di un’opera tuttora fortunata – le Dottrine generali del diritto civile (inizialmente
intitolata Istituzioni di diritto civile, sino all’edizione del 1946) – che rappresentava il frutto
altamente emblematico di una cultura giuridica ancora strettamente legata al formalismo dog-
matico pandettistico, opera in cui appunto «il diritto è pura, purissima forma declinata sulla
base logica coerente e rigida come una corazza», in cui il diritto «è rappresentato come un
“qui” e un “ora”, descritto come un dato indiscutibile, indefettibile, immodificabile e le co-
struzioni concettuali come il suo sostegno connaturale» (così, ALPA, G., La cultura delle re-
gole, cit., p. 326; ugualmente GROSSI, P., Scienza giuridica italiana, cit., p. 280 ss., che vi af-
fianca, nel ramo delle scienze giuspubblicistiche, i Principi di diritto amministrativo, Pisa,
1945, di Giovanni Miele).
25 Per un analisi comparativa dei due significativi periodi evolutivi del diritto sindacale
italiano, v., anche per gli opportuni riferimenti, TARELLO, G., Teorie e ideologie nel diritto sin-
dacale, L’esperienza italiana dopo la Costituzione, Milano, 1967, spec. p. 24 ss., (p. 25 ss. della
seconda edizione del 1972) in cui si evidenzia come «per procedere alla concreta creazione di
un nuovo diritto sindacale sulla base dei modesti elementi offerti (non più dal diritto costitu-
zionale, ma) dal diritto civile (chiamato “diritto comune”), la dottrina lavoristica si trovò nella
necessità di adottare metodi costruttivi estremamente elastici e disinvolti […]. Tali metodi
consistono essenzialmente, in un primo tempo, nella elaborazione di concetti dogmatici rita-
gliati non sulla terminologia delle norme della codificazione civile, bensì su di una terminolo-
gia relativa a fenomeni sociali, o asseriti tali, prequalificati in funzione dei risultati normativi
che si volevano raggiungere». Con ciò dunque la «dottrina lavoristica […] si differenzia ma-
croscopicamente, sotto il profilo metodico, dalla dottrina civilistica: la quale dottrina civili-
stica invece, negli stessi anni, accentuava i caratteri che le erano stati peculiari nel periodo tra
le due guerre, e cioè un esasperato formalismo interpretativo e una tenace aderenza al dato
legislativo nella sua formulazione letterale».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 103
26 Così, TARELLO, G., Teorie e ideologie nel diritto sindacale, cit., p. 29. Come evidenzia
con estrema efficacia GIUGNI, G., Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Milano,
1961, p. 101 s., «venuto meno […] il supporto di una struttura pubblicistica, che conduceva
tout court il “collettivo” ad identificarsi con la totalità della categoria professionale, si è aperto
il problema […] della identificazione di un interesse di gruppo che non è la somma di inte-
ressi singoli, ma neppure è predeterminato nel suo contesto economico-sociale, ed appare
oscillante dalle più ristrette formazioni di gruppo, fino ai più vasti aggregati di categoria e di
settore».
27 Così, PERSIANI, M., Diritto sindacale, Padova, 2003, p. 27; allo stesso A., in Saggio sul-
l’autonomia privata collettiva, Milano, 1972, p. 30 ss., spec. nota 92 ss., ci si può indirizzare
per i riferimenti relativi alla dottrina giuslavorista minoritaria tesa a ridurre significativamente
l’importanza costruttiva del concetto. Tra questi, v. ad esempio FLAMMIA, R., Contributo all’a-
nalisi dei sindacati di fatto, I, Autotutela degli interessi del lavoro, Milano, 1963, p. 7, il quale
sostiene come «l’ordinamento sindacale possa essere analizzato e descritto solo in quanto
[…] momento iniziale e finale dell’analisi sia il singolo soggetto»; considerazione che porta la
dottrina appena citata (cfr. la nota 4 a p. 7) a sostenere, in polemica con le tesi della dottrina
dominante, che, «a tali tendenze si potrebbe replicare che il numero o la quantità degli inte-
ressi coinvolti in un fenomeno giuridico non valgono a spiegare il perché qualitativamente il
fenomeno si differenzi da tutti gli altri fenomeni giuridici possibili. E se si pensa […] che la
fattispecie sindacale abbia una sua autonomia logica e giuridica, tale autonomia dovrà anche
essere fondata sugli attributi qualitativi che la distinguono, piuttosto che sull’estensione quan-
titativa degli interessi coinvolti». Si aggiunge (p. 22) ancora, in segno di secca frattura rispetto
all’ordinamento corporativo che «per ciò che concerne l’ordine sindacale, gli artt. 2, 3 e 39,
primo comma, della Costituzione hanno rovesciato il rapporto Stato-singolo esistente nell’or-
dinamento previgente: la libertà del soggetto privato si trasforma in soggezione o subordina-
zione – sindacale – del medesimo solo in quanto egli voglia tale soggezione. Alla valutazione
delle opportunità da parte dei singoli è affidata la scelta; dalla effettiva capacità di afferma-
zione da parte dei singoli dei propri interessi dipende la tutela sindacale, che nell’ordina-
mento vigente è tutela voluta. Così operando, in virtù dei principi ex artt. 2 e 3 Cost., con-
nessi alla complessa regola della libertà sindacale (primo comma dell’art. 39), non può non
essere posto al centro dell’indagine il soggetto singolo, più precisamente l’attività del soggetto
singolo».
28 Sul ruolo rivestito da Santoro Passarelli in questa delicata fase evolutiva del nostro
in Arg. dir. lav., 1997, p. 1 ss. Per un quadro più analitico del progressivo mutamento delle
concezioni riguardanti la nozione di interesse collettivo realizzatosi in seguito all’approva-
zione del testo costituzionale, un efficace sguardo di sintesi lo si può trovare in PERSIANI, M.,
I soggetti del contratto collettivo con efficacia generale, in Dir. lav., 1958, I, p. 88 s. Più in ge-
nerale, per un’attenta riflessione sul passaggio dalla concezione pubblicistica dell’autonomia
sindacale vigente in costanza dell’ordinamento corporativo alla concezione privatistica affer-
matasi successivamente all’entrata in vigore della nostra Carta costituzionale, v., oltre al già ci-
tato TARELLO, G., Teorie e ideologie nel diritto sindacale, cit., passim, il recente lavoro di MAR-
TONE, M., Governo dell’economia e azione sindacale, Padova, 2006, p. 103 ss.
29 SANTORO PASSARELLI, F., Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1995, p. 29.
30 SANTORO PASSARELLI, F., Nozioni di diritto del lavoro, cit., p. 29.
31 Si ricordino a titolo esemplificativo le definizioni di Asquini, Raselli e Cioffi, ripor-
33 SANTORO PASSARELLI, F., Autonomia: d) Autonomia collettiva, in Enc. dir., IV, Mi-
lano, 1959, p. 369 ss., ma cit., p. 370 (ora in Saggi di diritto civile, Napoli, 1961, p. 255 ss.).
Per osservazioni critico-ricostruttive riguardanti la nozione ora in esame, v. infra, cap. IV,
§ 7.
34 SANTORO PASSARELLI, F., Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero (1949),
in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, IV, Diritto pubblico e storia del diritto, Pa-
dova, 1950, p. 437 ss. (ora in Saggi di diritto civile, Napoli, 1961, p. 442 ss.). D’altra parte, di-
versamente dalla dottrina corporativa, le cui coordinate «assiologiche» erano dettate dalla
Carta del lavoro, la posizione di Santoro Passarelli è saldamente inserita nella prospettiva co-
stituzionale e l’A., non perde l’occasione per chiarirlo, laddove afferma che «per rendersi me-
glio conto dell’essenza del fenomeno è bene muovere dalla constatazione dell’esistenza e del-
l’importanza dei gruppi intermedi tra individuo e società generale, che trovano testuale rico-
noscimento in una norma della nostra Costituzione, dove “garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art.
2)». Riferimento poi precisamente indirizzato ai gruppi intermedi di «fondamentale impor-
tanza», ovverosia la famiglia e la categoria professionale. Cfr. anche Autonomia: d) Autonomia
collettiva, cit., spec. p. 370.
35 SANTORO PASSARELLI, F., Autonomia: d) Autonomia collettiva, cit., p. 371.
36 SANTORO PASSARELLI, F., Autonomia: d) Autonomia collettiva, cit., p. 371, ma sulla na-
tura privatistica del sindacato v. anche Stato e sindacato, in Studi in onore di A. Cicu, Milano,
1951, I, p. 666 ss.
106 CAPITOLO SECONDO
39 Cfr.PERSIANI, M., I soggetti del contratto collettivo con efficacia generale, cit., p. 88 s.
40 Così, GHERA, E., Considerazioni sulla giurisprudenza in tema di sciopero, in AA.VV.,
Indagine sul sindacato, Milano, 1970, p. 343; ma nello stesso senso v. anche SCOGNAMIGLIO,
108 CAPITOLO SECONDO
Autonomia sindacale ed efficacia del contratto collettivo, in Riv. dir. civ., 1971, I, p. 140 ss., ma
spec. p. 156 ss.
41 In una certa assonanza con la lettura proposta nel testo si pongono le riflessioni di
MANCINI, G.P., Libertà sindacale e contratto collettivo «erga omnes», in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1963, p. 570 ss., ma spec. p. 580 ss. Come avremo occasione di esaminare più avanti (cfr. in-
fra, cap. III, § 2.5. e cap. VII, § 3.1.), il momento organizzatorio – e di conseguenza il ruolo
dell’associazione sindacale – acquisterà una posizione centrale in uno degli studi più ap-
profonditi presentati in materia di procedimento per la repressione della condotta antisinda-
cale (GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit.).
42 Va dunque respinta l’opinione della dottrina (VIGORITI, V., Interessi collettivi e pro-
cesso, La legittimazione ad agire, Milano, 1979, p. 45 ss) per la quale la concezione dell’inte-
resse collettivo inteso come «sintesi» di interessi individuali sarebbe stata dominante durante
il periodo corporativo e poi successivamente ripresa, «nonostante gli echi corporativi e la
sgradevole sensazione di equivocità», dalla dottrina successiva ed in particolar modo da San-
toro Passarelli. In realtà, come avrà notato l’attento lettore delle pagine del primo capitolo
(cfr. retro, cap. I, § 3.2.2.), in vigenza dell’ordinamento corporativo, la nozione di «sintesi» è
quasi assente dalle espresse formulazioni della dottrina, e nei casi in cui potrebbe effettiva-
mente ricorrere (v. ad esempio Asquini, Raselli e Cioffi,), non è mai impiegata nella sua acce-
zione che si rivela più pregnante in ordine all’argomento trattato, ovverosia nel suo stretto ri-
ferimento al momento organizzatorio di cui si presenta come essenziale prodotto. Ciò è ancor
più vero se il riferimento è specificamente rivolto alla posizione di Carnelutti (così, appunto,
VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 47), A. dal quale, come visto, la maggioranza
della dottrina più o meno espressamente mutuò la nozione. A tal proposito, infatti, occorre
rilevare come, per un verso, in Carnelutti l’interesse collettivo non sia assolutamente «sin-
tesi», bensì «serie» e, dall’altro, che, sebbene, come da numerosa dottrina rilevato, la nozione
di Santoro Passarelli presenti assonanze significative con la dottrina corporativa, grave errore
sarebbe quello di permettere che l’attenzione risulti polarizzata dagli elementi di somiglianza
anziché da quelli di diversità appartenenti alla nozione stessa. È in questa seconda direzione,
infatti, che la nozione di Santoro Passarelli deve essere apprezzata; e deve esserlo proprio per
il riferimento all’elemento della «combinazione». Quella che potrebbe apparire – un poco su-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 109
perficialmente – come una difformità più lessicale che sostanziale, in realtà altera completa-
mente la dinamica costruttiva e il profilo strutturale della nozione e rivela il diverso contesto
ideologico e sociale in cui si inserisce.
43 In tal senso, v. specialmente PERSIANI, M., Saggio sull’autonomia privata collettiva, cit.,
p. 26, che evidenzia come l’interesse collettivo sia «una sintesi e non una somma di interessi
individuali, da questi non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente distinto e come
tale riferibile ai singoli soltanto uti universi […]» (il concetto è rimarcato anche a p. 29, ma
spec. a p. 94, 102). La prospettiva di Persiani risulta sotto tale profilo significativamente rap-
presentativa del mutato contesto, sociale e giuridico, post-costituzionale nella misura in cui
accentua la componente di sintesi ed organizzativa che appartiene alla nozione. Va pur detto,
però, che l’iter d’indagine dell’A. risulta, per altri versi, scarsamente utilizzabile ai nostri fini
per lo stretto legame che l’approfondimento della nozione di interesse collettivo possiede ri-
spetto alle finalità di ricerca perseguite da Persiani, il quale svolge un attento studio sulla na-
tura e sull’efficacia dell’autonomia privata collettiva, ma ponendo a fondamento dell’inda-
gine, quale vero e proprio «fatto normativo» l’orientamento giurisprudenziale favorevole al-
l’inderogabilità del contratto collettivo (cfr. tra le altre p. 30, 50-51, 60). Ciò porta Persiani ad
assumere tale orientamento come indice di valutazione da parte dell’ordinamento giuridico
della rilevanza dell’interesse collettivo, con profonde ripercussioni sull’elaborazione stessa
della nozione, che ne risulta sensibilmente funzionalizzata. È lo stesso Persiani ad ammetterlo
laddove (p. 140 s.) chiarisce al lettore che «le conclusioni alle quali la nostra indagine è finora
pervenuta inducono […] a ritenere che il concetto di interesse collettivo non possa avere che
un significato convenzionale e relativo. Senonché, e questo è il punto, la costruzione di un in-
teresse collettivo dei lavoratori inteso […] come sintesi e non come somma di interessi indi-
viduali, trova oramai […] il suo fondamento e la sua giustificazione nell’inderogabilità che i
giudici attribuiscono al contratto collettivo».
44 Così, DELL’OLIO, M., in DELL’OLIO, M. - BRANCA, G., L’organizzazione e l’azione sin-
dacale, in Enciclopedia giuridica del Lavoro, diretta da G. Mazzoni, Padova, 1980, p. 43 ss.,
per il quale «sintesi» e «organizzazione» sono concetti talmente prossimi l’uno con l’altro da
poterne operare una lettura rivolta a intenderli addirittura come coincidenti: «Anzi in realtà
quella che finora si è chiamata sintesi o combinazione si può già più esattamente, senza con
ciò negarne ma se mai sviluppandone ed articolandone il senso logico, chiamare a sua volta
organizzazione di interessi» (p. 47).
110 CAPITOLO SECONDO
cit., p. 49.
47 A tal riguardo, v. ancora DELL’OLIO, M., in DELL’OLIO, M. - BRANCA, G., L’organizza-
zione e l’azione sindacale, cit., p. 49 s.: «La stessa indivisibilità, infine, affermata ma non sem-
pre dimostrata nella concezione tradizionale dell’interesse collettivo, può essere ora recupe-
rata come caratteristica immanente degli interessi e dei loro modi di realizzazione. Tipica nel-
l’esperienza sindacale più recente, invero, come già accennato, deve dirsi la tendenza a
perseguire interessi che appaiano, nella situazione concreta, indivisibili di per sé e non attra-
verso l’intermediazione, in qualche modo implicita nella concezione tradizionale, nell’inte-
resse all’eliminazione della concorrenza. Di per sé suscettibili, cioè, solo di soddisfazione uni-
taria o congiunta per tutti i loro “portatori”. Onde l’interesse è al tempo stesso comune e
uniforme. Comè, per fare esempi a vari livelli […] per quelli a certe condizioni di ambiente,
al superamento di certi ritmi, a un certo assetto dell’organizzazione aziendale o di suoi re-
parti, al mantenimento o al raggiungimento di certi livelli di occupazione, a certe scelte di po-
litica economica e sociale e così via, fino all’intero assetto politico generale».
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 111
serie), in Studi in Onore di Antonio Segni, III, Milano, 1967, p. 3 ss., ma v. anche ID., Diritto
pubblico e diritto privato nella disciplina del rapporto di lavoro, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951,
p. 567 ss.
112 CAPITOLO SECONDO
portanza di operare in sede ermeneutica con una nozione oggettiva di interesse è corretta-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 113
buisce al termine interesse un significato soggettivo, come sinonimo di motivo, non riesce a
dare alcun senso a norme positive che a questo termine fanno riferimento. Inoltre, soltanto
sulla base di una concezione obiettiva dell’interesse è possibile utilizzare tale nozione come
strumento dogmatico di ricerca, configurando rapporti e combinazioni di interessi, fra i quali
assume importanza primaria il concetto di interesse collettivo»; così, JAEGER, P.G., L’interesse
sociale, cit., p. 5-6.
114 CAPITOLO SECONDO
«che può collegare più interessi dello stesso soggetto, in funzione della
[…] distinzione tra beni diretti e strumentali». Interessi e relazioni che in
capo ad uno stesso soggetto possono dar luogo a «sistemi di interessi»56.
Ed è proprio lo studio delle relazioni potenzialmente instaurabili tra
diversi interessi ad aprire la strada alla riflessione attorno al concetto di
interesse collettivo, rispetto al quale, peraltro, va registrata una diversità
di vedute tra i due studiosi ora in esame relativamente ad un aspetto già
rimarcato in riferimento alla concezione avanzata da Santoro Passarelli;
aspetto assolutamente centrale per addivenire ad una corretta ricostru-
zione del fenomeno superando le difficoltà di apprezzamento della strut-
tura dell’interesse collettivo da sempre presenti in dottrina57.
La questione è quella che segue.
Per Nicola Jaeger con la locutio «interesse collettivo» occorre rife-
rirsi al «rapporto di coincidenza» che si realizza tra più interessi indivi-
duali allorquando «un unico bene è atto a soddisfare i bisogni di tutti».
Rilievo primario spetta pertanto all’oggetto dell’interesse, ovvero al
«bene collettivo», che è tale appunto in virtù alla sua idoneità «a soddi-
sfare congiuntamente, in modo diretto oppure indiretto, i bisogni di più
persone»58.
Per Pier Giusto Jaeger, invece, la coincidenza di due o più interessi,
che di per sé può anche dar luogo ad un rapporto di incompatibilità tra
gli stessi, abbisogna dell’instaurarsi di un ulteriore vincolo per dar vita al-
l’interesse collettivo, ovvero quel vincolo di solidarietà, ben emerso nel
capitolo precedente in ambito giuslavoristico59; vincolo, che si realizza al-
56 I passi riportati nel testo sono di JAEGER, N., Attività processuali con efficacia norma-
tiva, cit., p. 13 ss.; ma ugualmente JAEGER, P.G., L’interesse sociale, cit., p. 7.
57 Cfr. infra, cap. IV.
58 JAEGER, N., Attività processuali con efficacia normativa, cit., p. 17.
59 Come si ricorderà, il vincolo di solidarietà sussistente tra i diversi interessi costituisce
un aspetto del fenomeno illuminato sin dai primi interventi del Messina e della dottrina gius-
sindacale pre-corporativa. Ugualmente rivolta ad esaltare il vincolo solidaristico è la succes-
siva posizione di RASELLI, A., Giustizia e socialità, in Studi in onore di Enrico Redenti, Milano,
1951, 249 ss., che rileva come «sui fenomeni della solidarietà e dell’interdipendenza sociale si
basa […] la nozione di interesse collettivo, che ha un’importanza fondamentale nello sviluppo
della socialità e nella sua organizzazione giuridica. Tale nozione si distingue da quella di inte-
resse comune a più singoli. Nella nozione di interesse comune vengono unificati, con un pro-
cesso di astrazione e di sintesi concettuale, gli interessi particolari di più soggetti, che si diri-
gono ad un unico scopo ed il cui soddisfacimento ha importanza solo per i titolari degli inte-
ressi stessi. Per esempio è interesse comune quello di più persone che si uniscono per un
impresa economica, all’unico scopo di trarne un vantaggio per loro. Sorge la nozione di inte-
resse collettivo, quando gli effetti del soddisfacimento di un interesse (che può essere indivi-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 115
duale o comune) non si esauriscono nei soggetti di esso, ma riguardano, per un processo di
ripercussioni e di risultati indiretti più o meno estesi, una cerchia più vasta di persone, deter-
minata da rapporti sociali in precedenza costituiti» (p. 262 c.vo mio).
60 JAEGER, P.G., L’interesse sociale, cit., p. 8.
61 Sulla questione l’A. accentua con particolare vigore la differenza intercorrente tra in-
che tale distinzione possiede con riguardo ai fenomeni di «gestione» dell’interesse, ovvero ai
processi di organizzazione che sono naturale conseguenza della percezione, da parte di una
data collettività, dell’esistenza di un bene comune cui tendono le aspirazioni dei suoi compo-
nenti. Detta attività di «governo degli interessi», infatti, sarebbe costituita da quel complesso
di attività rivolte: a) all’accertamento della sussistenza dell’interesse; b) alla valutazione del
medesimo (cioè dell’intensità e dell’urgenza dei bisogno comparativamente con il costo e le
condizioni di conseguimento o conservazione dei bene); c) alla valutazione comparativa dei
diversi interessi; d) all’atto di volizione che, tra diversi interessi incompatibili, determina
quello preminente a fronte della subordinazione a questo dei restanti o, alternativamente,
uno schema di contemperamento tra i diversi interessi; e) alla scelta dei mezzi, dei modi, dei
procedimenti adeguati all’attuazione dell’interesse prescelto; f) all’attuazione dei comporta-
menti (azioni o omissioni), che nel mantenere o modificare la situazione di fatto consenti-
ranno di conservare o procurare il bene. Questo complesso di attività, appunto, secondo l’A.,
presenterebbe decisive modificazioni a seconda del suo riferirsi ad un interesse collettivo di
gruppo o collettivo di serie. Alla tendenziale coincidenza realizzantesi tra soggetti partecipi
all’organizzazione dell’interesse e soggetti astrattamente interessati nella gestione degli inte-
ressi di gruppo, nella gestione degli interessi collettivi di serie verrebbe meno detta coinci-
denza in ragione dell’estensione del numero degli interessati, sicché all’attività di «autogo-
verno» degli interessi si sostituirebbe quella di «eterogoverno»; un’attività, cioè, come già a
suo tempo evidenziato, altruista in un senso ed autoritaria nell’altro (cfr. appunto, JAEGER, N.,
Principi di diritto corporativo, Padova, 1939, p. 33: in cui appunto era stata evidenziata detta
ambivalenza necessariamente appartenente all’organizzazione degli interessi: «altruista, in
quanto la soddisfazione dell’interesse perseguito giova a tutti i componenti della categoria
compresi gli apatici, i dissenzienti ed i futuri; autoritaria, in quanto la valutazione dell’inte-
resse da perseguire è inevitabilmente sottratta ad una parte, anzi alla maggior parte dei tito-
lari, ed a questi non rimane che rimettersi alla decisione adottata dai membri della collettività,
e dagli esponenti di questi ultimi»).
62 Per JAEGER, N., Attività processuali con efficacia normativa, cit., p. 17, non volendo
tra interessi collettivi e processo, va detto che nel periodo ora in esame si
registra una sostanziale stasi evolutiva. Occorrerà, infatti, attendere l’ini-
zio degli anni Settanta per vedere la dottrina tornare ad interrogarsi ex
professo ed in termini più attuali sulla necessità di estendere la tutela giu-
risdizionale agli interessi sovraindividuali emergenti e per assistere all’in-
troduzione nel nostro ordinamento dei primi rimedi volti a dar loro pro-
tezione.
Ciononostante segnali di apertura circa i rapporti tra interessi col-
lettivi e processo, specie nella prospettiva della necessità di adeguamento
degli strumenti di tutela giurisdizionale al mutato contesto sociale, si ri-
scontrano nelle riflessioni avanzate dallo stesso Nicola Jaeger63, in cui ap-
punto si rileva l’opportunità di concepire un processo collettivo nuovo,
strutturato per dare le adeguate garanzie processuali da secoli riservate ai
soli interessi particolari64; e a queste osservazioni fa eco parte della dot-
medesimi». In entrambe le impostazioni, quindi, l’interesse collettivo appare indicare la rela-
zione o, se si preferisce, il rapporto tra interessi individuali, con la differenza che in Pier Giu-
sto Jaeger l’elemento organizzativo degli interessi ha rilievo primario.
63 In realtà alle riflessioni che Jaeger avanza sulla tutela giurisdizionale degli interessi
collettivi di serie va riservata un’attenzione sotto il profilo storico-evolutivo più che propria-
mente interpretativo-operativo, in quanto nel quadro del diritto positivamente accolto dal no-
stro ordinamento erano allora pressoché assenti – fatta eccezione per l’azione di repressione
della concorrenza sleale di cui diremo tra breve nel testo – effettivi esempi di tutela giurisdi-
zionale degli interessi collettivi. Ed, infatti, l’A. nel cercare strumenti di tutela di interessi se-
riali fa cadere l’attenzione o sull’abrogato processo collettivo corporativo o su altre ipotesi
particolari di provvedimenti a «contenuto normativo», come il giudizio di legittimità innanzi
alla Corte costituzionale e la tutela degli interessi dei creditori in sede di concordato preven-
tivo o fallimentare (JAEGER, N., Attività processuali con efficacia normativa, cit., p. 39 s.). Ma
al di là da questi riferimenti sparsi e a dir il vero non del tutto omogenei dal punto di vista
strutturale e funzionale, va detto che per la prima volta si presenta il problema della giusti-
ziabilità degli interessi collettivi in una prospettiva post-costituzionale, come può notarsi leg-
gendo la nota che segue.
64 Osserva, difatti, JAEGER, N., Attività processuali con efficacia normativa, cit., p. 39 s.,
che, «poiché – almeno per quanto sappiamo – è questa la prima volta che problemi simili
vengono posti all’esame degli studiosi nei termini qui prospettati, non possiamo attenderci di
trovare nel diritto positivo molti esempi di attuazione del principio enunciato; ma anche un
numero limitato di essi potrà risultare sufficiente allo scopo che ci siamo proposti, di invitare
i legislatori a dettare le norme più opportune affinché la tutela giurisdizionale di interessi di
serie dei tipi qui considerati – ed eventualmente anche di molti altri facilmente rilevabili –
possa attuarsi con garanzie comparabili a quelle concesse da secoli agli interessi particolari,
individuali o di gruppo». D’altra parte, è ancora la dottrina qui richiamata ad evidenziare la
necessità di «riconoscere che proprio i progressi culturali ed economici […] hanno provocato
e continuano a provocare sempre di più il formarsi e la percezione di interessi collettivi del
tutto nuovi, che esigono nuove strutture e nuove forme di organizzazione adeguata»; «non è
più possibile concepire una comunità politica costruita giuridicamente su due soli termini o
tipi di soggetti: l’individuo da un lato e lo Stato dall’altro».
118 CAPITOLO SECONDO
65 Ci riferiamo a SANDULLI, A.M., Per una più piena realizzazione dello Stato di diritto, in
Stato sociale, 1960, p. 3 ss.; e soprattutto a SPAGNUOLO VIGORITA, V., Principio individualistico
nel processo amministrativo e difesa dell’interesse pubblico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, p.
630 ss., scritto nel quale ritroviamo anticipati molti dei temi che verranno a costituire le que-
stioni principalmente sviluppate a partire dagli anni ’70 dal successivo dibattito. Si pensi, ad
esempio, alle osservazioni volte a rilevare i limiti di un processo amministrativo ordinario «in-
teramente impregnato dell’ottocentesco spirito liberale di acceso individualismo», ovvero
«l’intima contraddizione d’un ordinamento processuale che, proponendosi come ragione
della sua esistenza la soddisfazione di un interesse generale, subordini questa rigidamente al
vantaggio dei singoli» (p. 632 ss.). Si pensi ancora al suggerimento di riconoscere forme di tu-
tela degli interessi appartenenti a gruppi o collettività e non unicamente ad interessi di natura
meramente egoistico-personale, come accaduto ad esempio in materia di contenzioso eletto-
rale in cui, viene ad essere riscontrata «una prima percezione dell’esistenza di interessi collet-
tivi comprendenti e trascendenti quelli individuali, e tuttavia a loro volta ben riconoscibili»
(p. 642). Andavano, dunque, emergendo molti elementi di un dibattito che si sarebbe svilup-
pato intensamente di lì a breve, ovvero: a) l’improcrastinabilità del riconoscimento giuridico
di interessi di dimensione anche superindividuale e non per questo «non-individuale» o
«anti-individuale», o comunque non sufficientemente «individualizzati» da potersi perdere
nel magma informe degli interessi generali; b) l’esistenza di gruppi o comunità o categorie –
variamente intermedie tra la generalità indistinta ed i singoli – riflettenti «una convergenza
d’interessi omogenei, circoscritta o circoscrivibile in rapporto a diversi indici di raggruppa-
mento (il luogo, la nascita, l’attività lavorativa, l’appartenenza al medesimo centro economico,
la particolare soggezione allo stesso ente, ecc.)»; c) il riconoscimento di queste figure all’in-
terno della nostra Carta costituzionale (p. 649).
66 Per l’abrogazione della norma v., in particolare, GUGLIELMETTI, G., La concorrenza e
i consorzi, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, X, Torino, 1970, p. 217 ss.,
che argomenta la tesi sostenendo che il fondamento giuridico su cui faceva perno la disposi-
zione durante il periodo corporativo fosse proprio il regime di rappresentanza legale ed uni-
taria della categoria, venuto meno il quale perderebbe consistenza la ratio della stessa; cfr. an-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 119
quanto disposto dal codice civile agli artt. 2598 ss. ed in particolare all’art.
2601, in cui era ed è previsto che «quando gli atti di concorrenza sleale
pregiudicano gli interessi di una categoria professionale, l’azione per la re-
pressione della concorrenza sleale può essere promossa anche dalle asso-
ciazioni professionali e dagli enti che rappresentano la categoria».
Si può dunque dire – insomma – che il dibattito attorno alla natura
dell’azione collettiva di repressione della concorrenza sleale viene a de-
scrivere i limiti di un’area di riflessione dottrinale sugli strumenti di tu-
tela giurisdizionale degli interessi collettivi, che, similmente ad una sorta
di corridoio immaginario, congiunge il dibattito pre-costituzionale rela-
tivo all’oggetto del nostro studio a quello avviatosi successivamente agli
anni Settanta. E ciò non solo – come è naturale – in quanto l’istituto ora
richiamato rimane in vigore in ben tre delle fasi della periodizzazione qui
proposta (periodo corporativo, primo periodo post-costituzionale e se-
condo periodo post-costituzionale), ma ancor più perché l’inquadra-
mento del rimedio in questione ha nel tempo suscitato dubbi interpreta-
tivi omogenei a quelli sorti nell’interpretazione degli strumenti di tutela
giurisdizionale collettiva introdotti successivamente dal nostro legislatore
per la tutela degli interessi collettivi di nuova generazione.
Come infatti vedremo nel prosieguo del lavoro, cioè allorquando ci
soffermeremo sui tentativi di ricostruzione sistematica tesi a fornire an-
che agli interessi collettivi dei consumatori adeguati strumenti di tutela
giurisdizionale67, proprio l’azione di repressione della concorrenza sleale
ha rappresentato uno degli appigli positivi privilegiati attraverso i quali
dare risonanza ai nuovi interessi sociali bisognosi di protezione giuridica.
Lo strumento processuale in questione si presenta, quindi, non solo
come un fedele compagno di viaggio lungo quasi tutto l’itinerario evolu-
tivo che andiamo ad esaminare, ma anche come un luogo di espressione
delle diverse concezioni tecnico-processuali ed ancor più delle diverse
esigenze sostanziali e dei diversi valori di riferimento in materia di tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi.
6.1. Corsi e ricorsi storici: la sentenza della Corte di cassazione n. 171 del
5 febbraio 1948
Una buona introduzione all’esame delle diverse propensioni rico-
struttive presenti in materia può esser costituito dall’esame di alcuni
che ID., Sulla legittimazione ad agire in materia di concorrenza sleale dei consorzi di produttori,
in Riv. dir. ind., 1961, I, p. 321 ss.
67 Cfr. infra, cap. X, § 2.1.
120 CAPITOLO SECONDO
68 Cass., 5 febbraio 1948, n. 171, in Giur. compl. C. Cass., 1948, I, p. 39 ss., con nota di
danno da liquidarsi poi – magari in via equitativa (come nel caso di danni
«indifferenziati») – a favore dei singoli imprenditori pregiudicati, i quali
ultimi avrebbero poi vantato nei confronti dell’ente un diritto al paga-
mento delle somme percepite a titolo di risarcimento71.
Sul fronte opposto, invece, era proprio il diniego della mera titola-
rità del diritto di azione in capo all’ente rappresentativo in ordine al di-
ritto al risarcimento dei danni subiti dal singolo imprenditore ad essere
assunto come premessa per i successivi passaggi della complessiva opera
di sistemazione del rimedio; e ciò in ragione del fatto che, argomentando
in maniera differente, si sarebbe realizzato «uno spostamento non giusti-
ficato di diritti, dal singolo alla categoria»72.
Ciò posto, dunque, e ritenuto anche che «gli enti, come tali, non pos-
sono risentire danno», si prospettava uno scenario alternativo, rappresen-
tato dall’ipotesi in cui «gli interessi danneggiati» fossero gli interessi del-
l’intero «ramo della produzione» e non gli interessi «individualizzati» ap-
partenenti ai singoli soggetti, che possano agire per la loro difesa.
Si configurava, quindi, un «danno indeterminato, nella categoria di
tutti i produttori», legittimante l’ente – costituito appunto in ordine alla
tutela di quegli interessi – all’esercizio di un proprio diritto al risarci-
mento.
71 L’A. affronta anche il problema dei limiti del giudicato sostenendo (GHIRON, M., La
danno, in Giur. it., 1948, I, 1, p. 217 ss., spec. p. 220, che in realtà pone a fondamento della
critica mossa all’opposta tesi di Ghiron le riflessioni avanzate da quest’ultimo in uno scritto
anteriore relativo ad una fattispecie analoga ma non coincidente, poiché riferita al sistema vi-
gente prima della caduta dell’ordinamento corporativo. In detta ipotesi, GHIRON, M., La di-
sciplina dei traffici, gli organismi di vigilanza e la loro costituzione di parte civile nei processi pe-
nali, in Foro it., 1933, II, p. 842 ss., aveva sostenuto – in estrema sintesi – la possibilità che
l’ente agisse in rappresentanza ex lege della pluralità dei concorrenti potendo inoltre spen-
dere le somme conseguite per la tutela degli interessi generali previsti dalle finalità statutarie
senza obbligo di distribuzione ai singoli; tesi, quest’ultima, come visto, rivista nello scritto in
esame nel testo.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 123
6.2. Le diverse tesi sulla natura del giudizio di repressione della concor-
renza sleale ex art. 2598 c.c.: tesi «soggettive» e tesi «oggettive»
Al termine di questo significativo excursus possiamo più distesa-
mente tornare all’esame delle diverse tesi proposte in merito alla natura
dell’azione collettiva di repressione della concorrenza sleale, verificando
quali siano le diverse opzioni ricostruttive proposte in materia dalla dot-
trina tradizionale riguardo la determinazione dell’oggetto del processo e,
di conseguenza, la qualificazione giuridica della situazione legittimante
l’azione collettiva, i rapporti tra giudizio collettivo e giudizio individuale,
nonché altre ulteriori questioni che a breve indicheremo.
Va d’altra parte premesso che l’esatto inquadramento dell’azione
collettiva in tutti gli specifici aspetti ora indicati non ha potuto sottrarsi
73 AULETTA, G., Soggetti passivi della concorrenza sleale e diritto al risarcimento del
danno, cit., p. 222.
74 Sul tema, in una prospettiva di riflessione generale, v. il cap. III. Il punto è poi og-
76 Per un esame dei profili evolutivi accennati nel testo, v., in generale, MANGINI, V.,
Sub. art. 2598, in AULETTA, G.C. - MANGINI, V., Invenzioni industriali, Modelli di utilità e di-
segni ornamentali, Concorrenza, in Commentario del Codice Civile, a cura di A. Scialoja e G.
Branca, Bologna-Roma, 1973, p. 141; FRANCESCHELLI, R., Concorrenza: II) Concorrenza sleale,
in Enc. giur. Trec., VII, Roma, 1988, spec. p. 21 ss.; più di recente, sebbene nell’ottica più spe-
cifica delle relazioni tra concorrenza sleale e tutela dei consumatori, v. CACCIATORE, A., Con-
correnza sleale e tutela del consumatore, in Riv. dir. imp., 2005, p. 283 ss.; sul tema, cfr. anche
infra, cap. X, § 2.1.1., appunto per le circuitazioni tra detta prospettiva e la possibile apertura
del giudizio di repressione della concorrenza sleale alla tutela degli interessi dei consumatori.
77 In questo senso è orientata gran parte della dottrina, specie quella tradizionale, favo-
revole a ritenere che gli interessi tutelati dall’art. 2598 c.c. siano gli interessi individuali degli
imprenditori in concorrenza sotto forma di diritti soggettivi. Diverso poi è il contenuto del-
l’interesse tutelato e la configurazione giuridica dell’interesse sostanziale ritenuta preferibile
(diritto assoluto o relativo; bene materiale o immateriale; interesse patrimoniale o non patri-
moniale ecc.). Queste questioni hanno sollevato un intenso dibattito all’interno della dottrina
classica e ciò per la difficoltà di adattare il concetto di diritto soggettivo inteso in senso tra-
dizionale alla tutela offerta dalle disposizioni in esame. L’approfondimento di tali profili ri-
sulta peraltro piuttosto marginale in ordine alle nostre finalità di ricerca, rimanendo per noi
essenziale la natura individuale o generale dell’interesse tutelato e la qualificazione oggettiva
o soggettiva delle norme di riferimento. Esemplificando, comunque, in dottrina si parla di di-
ritto patrimoniale assoluto di godimento dell’azienda (MOSCO, L., La concorrenza sleale, Mi-
lano, 1956, p. 108 ss.) di diritto all’azienda-organizzazione (FERRARA, F., La teoria giuridica
dell’azienda, Firenze, 1949, p. 113 ss.) di diritto all’avviamento (v. CASANOVA, M., Le imprese
commerciali, Torino, 1955, p. 633 ss.; ID., Impresa e azienda, Le imprese commerciali, in Trat-
tato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, X, t. 1, p. 698 ss., ma spec. p. 724; ID., Con-
correnza, in Noviss. dig. it., III, Torino, 1959, 1957, p. 993 ss., ma spec. p. 1000; ma v. da
prima CARNELUTTI, F., Usucapione della proprietà industriale, Milano, 1938, p. 32 ss., che qua-
lifica l’avviamento come opera dell’ingegno; LA LUMIA, I., Tutela giuridica della «azienda com-
merciale», in Riv. dir. comm., 1940, I, p. 413 ss., ma spec. p. 426 ss.), di diritto alla clientela
(AULETTA, G., Sub. art. 2598, in Azienda, Opere dell’ingegno e invenzioni industriali, Concor-
renza, in Commentario del Codice Civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma,
1956, p. 335 ss.) di diritto relativo «alla lealtà della concorrenza», meglio specificato come
«diritto di personalità» (ASCARELLI, T., Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Lezioni
di diritto industriale, Milano, 1960, p. 188 ss.; cfr. anche GUGLIELMETTI, G., La concorrenza e
i consorzi, cit., p. 102 ss., che però ritiene che detto diritto della personalità, diversamente da
quanto sostenuto da Ascarelli, abbia natura assoluta) e così via. Per un esame analitico-critico
delle diverse posizioni espresse da parte della dottrina classica, v., GUGLIELMETTI, G., La con-
correnza e i consorzi, cit., p. 80 ss.; CASANOVA, M., Impresa e azienda, Le imprese commerciali,
cit., p. 689 ss.; JAEGER, P.G., Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, in Riv.
dir. ind., 1970, I, p. 5 ss.; per un panorama di efficace sintesi, v. GRECO, F., Sub. Art. 2598, in
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 125
Azienda, Diritto d’autore e di brevetto, Concorrenza e consorzi, Norme penali su società e con-
sorzi, t. 2, Libro V, Del lavoro, in Commentario teorico-pratico al codice civile, diretto da V. de
Martino, Roma, p. 926 ss.
78 Tra coloro che per primi hanno contrapposto con ampiezza di argomentazioni la na-
tura oggettiva delle norme sulla concorrenza sleale alle tesi «soggettive», v. SANTINI, G., I di-
ritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959, p. 112 ss., (ma anche ID., Concor-
renza sleale ed impresa, in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 125 ss.) che appunto sostiene: «il diritto di
libertà economica e la libertà economica stessa preesistono all’impresa e sono del tutto indi-
pendenti dalle norme che reprimono gli atti di concorrenza sleale»; norme che per l’A. risul-
tano meramente impositive di «divieti» e quindi «limiti» a detti diritti e libertà. Va comunque
rimarcato che anche secondo questa lettura gli interessi sostanziali tutelati dalla norma rimar-
rebbero gli interessi individuali degli imprenditori, non predicabili – però – in termini di «di-
ritti soggettivi veri e propri». Stando a ciò, dunque, il richiamo alla natura oggettiva delle
norme non vale ad indicare la natura pubblica o generale degli interessi tutelati (che tra l’al-
tro l’A. ritiene essere appartenuta alle norme nella loro genitura corporativa; p. 117-118), ma
unicamente appare come scelta tecnica di strutturazione formale del mezzo di tutela (cfr. le
affermazioni inequivocabili a p. 113 e 117). È in quest’ottica, infatti, che giunge il richiamo
sistematico ad altri rimedi civili assimilabili all’azione inibitoria prevista ex art. 2599 c.c., quali
le azioni nunciatorie ed in particolare le azioni a tutela del possesso (spec. p. 122 e 124 ss.);
ipotesi quest’ultima in cui si assiste – sul piano sostanziale – all’esercizio di poteri di fatto
(cioè ad attività materiali), tutelati nella forma dell’attribuzione di «mere azioni» o, al più, di
diritti soggettivi che sorgerebbero in capo all’imprenditore «quando il suo interesse fosse
(già) leso per effetto d’una violazione in atto del dovere (generale) di non compiere atti di
concorrenza sleale e della situazione di pericolo in tal modo creatasi». Si sarebbe, dunque, in
presenza sì di diritti soggettivi, ma diritti soggettivi conseguenti alla violazione del diritto og-
gettivo e non effetto della violazione di preesistenti diritti soggettivi. Successivamente, detta
lettura «oggettiva» è stata ripresa ed ulteriormente approfondita nel fondamentale saggio di
JAEGER, P.G., Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, cit., spec. p. 31 ss. Qui,
l’A. richiamato, in un ampio ed articolato itinerario critico-argomentativo, pone a principio
della sua lettura ricostruttiva il confronto tra teoria dell’illecito civile e divieto di concorrenza
sleale, sostenendo, in ambo i casi, il superamento delle tesi che dell’illecito individuano il pre-
supposto necessario nella lesione di diritti soggettivi, piuttosto che nella violazione di «do-
veri» e, peraltro, proseguendo – in senso ricostruttivo – col rimarcare la necessità di rispon-
dere all’ulteriore quesito relativo al «perché quei doveri sono imposti, e nell’interesse di chi
sono stabilite quelle regole». In altri termini, come per Santini, anche per Pier Giusto Jaeger,
il predicare la natura oggettiva del divieto di concorrenza sleale non implica il riconoscere che
l’interesse tutelato abbia natura pubblica o collettiva e, pertanto, pur premessa la natura og-
gettiva delle norme, rimane aperto l’interrogativo concernente l’individuazione della natura
degli interessi che dette norme tutelano. Così, anche per Jaeger, l’interesse sostanziale pro-
tetto in via «primaria e diretta» è e rimane l’interesse che appartiene a ciascun imprenditore
concorrente, come devesi argomentare sulla base della legittimazione ad agire riconosciuta
solamente a questi soggetti (spec. p. 51). Altra cosa, peraltro, – ed è qui che l’A. mira a di-
stinguersi dalla dottrina precedente – è dare rilievo in sede interpretativa agli interessi collet-
tivi appartenenti ai consociati e ai consumatori assumendo gli stessi come «parametri di valu-
tazione degli interessi degli imprenditori in conflitto» (p. 101) per assegnare la prevalenza al-
126 CAPITOLO SECONDO
cente v. anche DI MAJO, A., La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, p. 141 ss. Interessanti
sono anche altre prospettive ricostruttive in un certo senso eclettiche che non si orientano
verso la tesi del diritto oggettivo, ma ugualmente fanno emergere le difficoltà teoriche di in-
quadramento sistematico della norma nelle categorie dogmatiche tradizionali: cfr. ad es. CA-
MILLI, C., I soggetti della concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 1968, I, p. 363 ss., ma spec. p. 385
ss., che preferisce non accostare la normativa in esame all’illecito, ma ugualmente evidenzia
come l’interesse tutelato dalla norma, ovvero la «lealtà della concorrenza», venga realizzato
non mediante l’attribuzione di beni nella forma del diritto assoluto, bensì attraverso l’impo-
sizione di «una serie di specifici divieti», ovvero «divieti di astensione» funzionalizzati a tute-
lare interessi individuali degli imprenditori (e non interessi generali), che, secondo l’A., de-
vono essere ricondotti al concetto tecnico di obbligazione (si richiama GIORGIANNI, M., L’ob-
bligazione, Catania, 1945) e non a quello di obbligo generico; prospettiva ricostruttiva
quest’ultima, simile a quella prima indicata da DI PAOLO, A., Concetto giuridico di concor-
renza, in Monitore trib., 1948, p. 259 ss. che afferma che «l’atto di concorrenza sleale non è
atto emulativo o abusivo esercizio di un diritto, non attentato all’altrui diritto individuale o
reale e nemmeno lesione colposa o dolosa di un diritto altrui, ma […] violazione di un ob-
bligo legale e più precisamente di inadempimento (art. 1218 c.c.)». V. anche la posizioni di
MINERVINI, G., Concorrenza e consorzi, in Trattato di diritto civile, diretto da G. Grosso e F.
Santoro Passarelli, Torino, 1955, p. 11-12, per il quale «il divieto di concorrenza sleale altro
non è se non la limitazione del contenuto del diritto di libertà di iniziativa economica nei re-
ciproci rapporti» e che poi (cfr. p. 18, c.vo mio), correttamente osserva che «il divieto della
concorrenza sleale è un limite del diritto di libertà di iniziativa economica, così come le cc.dd.
servitù legali sono limiti del diritto di proprietà; ed è un limite in senso tecnico, non già un
c.d. limite funzionale, vale a dire un’ipotesi di divieto di abuso di diritto»; con riferimento, in-
vece, all’abuso di diritto v. il richiamo di NATOLI, U., Note preliminari ad una teoria dell’abuso
del diritto nell’ordinamento italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 18 ss., ma spec. p. 30-
31; proprio ad un limite funzionale, approda, peraltro, FLORIDIA, G., Correttezza e responsabi-
lità dell’impresa, Milano, 1982, spec. p. 244 ss. (cfr. anche, più di recente, ID., Dall’illecito con-
correnziale al diritto soggettivo e Le valutazioni in termini di correttezza professionale, in AU-
TERI, P. - FLORIDIA, G. - MANGINI, V. - OLIVIERI, G. - RICOLFI, M. - SPADA, P., Diritto industriale,
Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2005, rispettivamente p. 289 ss. e 308 ss.), che (p.
243, nota 99), negata la possibilità di utilizzare la figura dell’abuso del diritto (teoria che «pre-
suppone e perpetua una visione rigidamente garantistica dell’ordinamento pervasa dall’otti-
mistica convinzione che l’esercizio non condizionato dei diritti adempie nel contempo la tu-
tela dell’interesse generale» e «si inserisce non già per dare rilievo agli interessi collettivi,
bensì per consentire la coesistenza e il pacifico esercizio di diritti individuali limitrofi e con-
fliggenti») e negata anche la possibilità di parlare di norme di diritto oggettivo (la critica è
volta avverso la posizione di Santini), presenta la figura del «diritto d’impresa-funzione dell’u-
tilità sociale», ovvero di un diritto soggettivo limitato ab interno, in ragione del necessario col-
legamento tra la clausola generale dei «principi di correttezza professionale» prevista ex art.
2598 e il precetto costituzionale espresso dall’art. 41, comma 2. Limiti comunque operanti
solo all’interno dei rapporti tra imprenditori (cfr. infra, cap. X, § 2.1.1.). Secondo una linea
molto simile a quella sviluppata da Jaeger (il quale però nega il necessario rinvio alle norme
costituzionali e si riferisce in via diretta agli interessi collettivi) e da altri Autori su cui ci sof-
fermeremo nel capitolo del nostro lavoro dedicato alla tutela degli interessi dei consumatori,
128 CAPITOLO SECONDO
6.3. La natura dell’azione collettiva ex art. 2601 c.c. per le tesi «sogget-
tive» dell’illecito
Se ci confrontiamo, dunque, con le teorie che hanno ritenuto – sep-
pur con diversi accenti – che il divieto ex art. 2598 c.c. sia posto a tutela
di diritti soggettivi propri degli imprenditori concorrenti, è possibile ope-
rare una ulteriore sotto-distinzione tra due diversi orientamenti.
Secondo una prima lettura, anche l’oggetto del giudizio collettivo
sarebbe costituito dai diritti soggettivi degli imprenditori pregiudicati; e
tale questione – ovviamente – dovrebbe essere accolta come presupposto
in ordine alla soluzione del successivo quesito relativo alla determina-
zione del titolo legittimante l’azione dell’associazione.
Su questo piano, andrebbe messo nell’adeguato risalto il mutato re-
gime giuridico delle associazioni sindacali. Se, infatti, prima dell’aboli-
zione dell’ordinamento corporativo, il potere di rappresentanza unitaria
e legale attribuito alle associazioni riconosciute consentiva l’esercizio del-
dunque, anche qui l’«utilità sociale» opera come «criterio di risoluzione di un conflitto inter-
soggettivo fra due imprenditori concorrenti» (p. 246). Esemplificando, l’applicazione del li-
mite interno al diritto soggettivo d’impresa costituito dall’«utilità sociale» potrebbe condurre:
a) «ad escludere la qualificazione di illiceità di atti di gestione dell’impresa socialmente utili
anche se pregiudizievoli per un concorrente determinato (o per l’intera categoria imprendi-
toriale di appartenenza)», garantendo così, la «sovraordinazione degli interessi “terzi” ri-
spetto a quelli imprenditoriali» (p. 295, c.vo mio); b) condurre «al risultato della qualifica-
zione di illiceità di un atto di gestione d’impresa in quanto socialmente dannoso anche se non
pregiudizievole per un concorrente determinato». Mettendo per ora da parte i riflessi di detta
interpretazione sulla determinazione dell’interesse tutelato nel giudizio – che chiaramente
verrebbe ad essere, quanto meno anche, l’interesse collettivo espressione dell’utilità sociale
(solo così infatti può ammettersi la prevalenza di detto interesse sugli interessi imprendito-
riali!) – e rinviando queste osservazioni al capitolo X, va però richiamata l’attenzione, dal
punto di vista teorico-dogmatico, sulla figura del diritto soggettivo-funzione, che in realtà si
presenta come un vero e proprio ossimoro concettuale e che, come fin troppe volte vedremo
nel nostro studio, è figlio delle concezioni che confondono il concetto di diritto soggettivo
con il concetto di libertà. Se si presuppone, infatti, che il concetto di diritto soggettivo abbia
come contenuto la libertà di agire, l’imposizione di limiti a detta libertà viene a creare delle
difficoltà ricostruttive che impongono agli interpreti evoluzioni ricostruttive idonee a ricon-
durre a logica il fenomeno complessivo. Così si può approdare al concetto di abuso del di-
ritto oppure – come nella dottrina qui richiamata – all’equivoca figura del diritto soggettivo-
funzione. Il punto, peraltro, è che un soggetto o è libero di porre in essere i comportamenti
che meglio rispondono ai propri interessi, ovvero è messo dall’ordinamento in una posizione
di libertà o al contrario subisce dei vincoli che dal punto di vista teorico non sono null’altro
che obblighi, ovvero comportamenti doverosi. Ciò posto, il concetto di limite esterno o in-
terno è francamente poco convincente, come poco convincente è la creazione di figure dog-
matiche nuove per cercare di giustificare la non tenuta concettuale di altre concezioni dog-
matiche erronee. Sul punto, v. amplius, cap. V.
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 129
materia di marchi e di sleale concorrenza, cit., p. 44, ma spec. 47-48, che non pone in grande
risalto l’effetto legittimante del rapporto associativo sottostante, ma anzi sottolinea la perdu-
rante funzione di rappresentanza degli interessi di categoria che si propongono le associazioni
rappresentative, sebbene nella sostanza poi emerga chiaramente – specie nell’approfondi-
mento dei rapporti tra azioni individuali e azione collettiva – il fondamento dell’azione ex art.
2601 c.c. Così, anche MINERVINI, G., Concorrenza e consorzi, Milano, 1961, p. 45-46. Separa-
tamente vanno annoverati GHIDINI, G., La concorrenza sleale, Torino, 2001, p. 61, che aderi-
sce a questa impostazione, ma solo per il caso in cui «l’ente agisca per tutelare un interesse
non strettamente proprio ma solo degli aderenti»; ancora diversa è la posizione di GUGLIEL-
METTI, G., La concorrenza e i consorzi, cit., p. 217 ss., ma spec. p. 220, che, coerentemente alla
sua opinione circa l’avvenuta abrogazione dell’art. 2601 c.c., pone a fondamento dell’azione
solo il contratto associativo e il potere di rappresentanza processuale da cui discendono logi-
camente le relative conseguenze (cfr. anche, ID., Sulla legittimazione ad agire in materia di con-
correnza sleale dei consorzi di produttori, cit., p. 334).
80 Così, GHIRON, M., La legittimazione ad agire di enti ed associazioni in materia di mar-
chi e di sleale concorrenza, cit., p. 44, ma spec. p. 47-48; ID., La concorrenza e i consorzi, in
Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1949, p. 68; a cui aderisce MI-
NERVINI, G., Concorrenza e consorzi, cit., p. 45-46; alla sostituzione processuale si richiama an-
che LIBERTINI, M., Azioni e sanzioni nella disciplina della concorrenza sleale, in La concorrenza
e i consorzi, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F.
Galgano, IV, Padova, 1981, p. 268, che però, distingue tra le ipotesi in cui si realizzi un pre-
giudizio differenziato in capo ad uno o più soggetti e le ipotesi di danno indifferenziato; nel
primo caso per l’A. sarebbe appunto opportuno parlare di sostituzione processuale, ma non
viene specificato se detto potere di azione sia fondato – come nelle tesi affini – sul rapporto
associativo e sia dunque limitato all’azionabilità dei soli diritti dei soci; nel secondo caso, in-
vece, si ritiene che il diritto al risarcimento spetti direttamente all’ente in virtù dell’attività
promozionale che svolge e senza obbligo di ripartizione della somma tra i soggetti danneg-
giati; similmente, GHIDINI, G., La concorrenza sleale, cit., p. 61 (ed ugualmente nella prece-
dente edizione del 1970 del lavoro da poco richiamato, oltre che in ID., Della concorrenza
sleale, in Il Codice Civile, Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, p. 459), fa-
vorevole al rinvio all’art. 81 c.p.c., ma, come detto, solo nel caso in cui «l’ente agisca per tu-
telare un interesse non strettamente proprio ma solo degli aderenti», e che tra l’altro eviden-
zia come detta tesi sembrerebbe confermata dall’attribuzione della legittimazione ad agire alle
Camere di commercio ai sensi dell’art. 2, comma 5, della l. 29 dicembre 1993, n. 580. In base
130 CAPITOLO SECONDO
a questa legge – sostiene Ghidini – le associazioni professionali sembrerebbero agire in via so-
stitutiva, mentre le Camere di commercio sembrerebbero agire iure proprio, in virtù della
«rappresentanza unitaria e globale degli interessi generali delle imprese» conferita loro.
81 GUGLIELMETTI, G., La concorrenza e i consorzi, cit., p. 220 (ma si tenga sempre pre-
sente la sua particolare prospettiva ricostruttiva); similmente si pone ASCARELLI, T., Teoria della
concorrenza e dei beni immateriali, cit., p. 263 ss., che ritiene che le associazioni possano agire
in rappresentanza degli associati, magari – in tal caso – richiedendo in nome loro anche il ri-
sarcimento dei danni; peraltro, Ascarelli ammette anche in via autonoma – ex art. 2601 c.c. –
un’azione collettiva a meri fini inibitori. In altri termini, sia Guglielmetti che Ascarelli si ri-
chiamerebbero alla rappresentanza processuale senza «passare» per il disposto dell’art. 2601
c.c., ma in base alla disciplina ordinaria; per il primo, poi, la norma sarebbe stata abrogata,
mentre per il secondo ne residuerebbe un utilizzo a fini inibitori.
82 La differenza tra le due ipotesi ricostruttive è – come osserva GHIDINI, G., Concorrenza
sleale, in Enc. dir., Aggiornamento, III, Milano, 1999, p. 377 ss., ma spec. p. 413 – rappre-
sentata dalla seguente circostanza: se si aderisce alla tesi della sostituzione processuale si può
realizzare un concorso tra azione dell’associazione ed azione del socio, mentre, diversamente,
aderendo alla tesi della rappresentanza processuale detto concorso non si verificherebbe.
83 Tra le tesi rientranti in questo orientamento, nega l’ipotesi dell’azione collettiva di ri-
sarcimento, salvo la volontaria ipotesi di rappresentanza conferita dai soci all’ente, ASCARELLI,
T., Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, cit., p. 264, che ritiene esperibile solo l’a-
zione inibitoria della pratica sleale: unica fattispecie che sarebbe richiamata dall’art. 2601 c.c.;
probabilmente va avvicinata a questa tesi quella di FRANCESCHELLI, R., Sulla legittimazione ad
agire in concorrenza sleale delle associazioni professionali e dei consorzi e sulla pretesa giustifi-
cazione dei principi della correttezza professionale con l’art. 41 della Costituzione e la protezione
dei consumatori, in Riv. dir. ind., 1983, II, p. 29 ss., spec. p. 31, che d’altronde non chiarisce
quali siano i presupposti di esercizio dell’azione collettiva e che qui richiamiamo solo in or-
dine alla negazione dell’azionabilità del diritto al risarcimento da parte delle associazioni.
84 GHIRON, M., La legittimazione ad agire di enti ed associazioni in materia di marchi e di
sleale concorrenza, cit., p. 48; MINERVINI, G., Concorrenza e consorzi, cit., p. 46.
85 GHIRON, M., La legittimazione ad agire di enti ed associazioni in materia di marchi e di
sleale concorrenza, cit., p. 48; GUGLIELMETTI, G., La concorrenza e i consorzi, cit., p. 220 (ma si
tenga sempre presente la sua particolare prospettiva ricostruttiva).
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 131
86 Per tutti, v. GHIDINI, G., Della concorrenza sleale, cit., p. 453, che, con estrema chia-
rezza spiega: «è evidente […] che oltre all’abituale schema “concorrente contro concor-
rente”, la lotta concorrenziale può vedere impegnati: – un soggetto contro più concorrenti; –
più soggetti contro un unico concorrente; - più concorrenti contro più concorrenti».
87 Cfr. ancora GHIRON, M., La legittimazione ad agire di enti ed associazioni in materia
zioni professionali» ad agire per la concorrenza sleale (art. 2601 c.c.), in Problemi attuali del di-
ritto industriale, Milano, 1977, p. 639 ss., ma spec. p. 644. Non v’è dubbio, infatti, che l’os-
132 CAPITOLO SECONDO
servazione colga nel segno come dimostra il fatto che alcuni AA. prescindano completamente
dall’articolo in questione in ordine al tema della legittimazione ad agire delle associazioni (cfr.
appunto, ad es., ASCARELLI, T., Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, cit., p. 263 ss.),
ma non vale peraltro ad escludere il richiamo della sostituzione processuale.
90 Ancora a favore della sostituzione processuale, v. SPOLIDORO, M.S., Costituzione e li-
mitazioni soggettive della legittimazione ad agire per concorrenza sleale, in Giur. comm., 1982,
II, p. 74 ss., ma spec. p. 91, che, sostenendo la tesi dell’esercizio in via sostitutiva dei diritti
dei singoli imprenditori, ritiene che, fermo il presupposto che legittima l’azione collettiva, ov-
vero il «pregiudizio degli interessi che esse rappresentano», «si può […] escludere che esista
uno specifico interesse di categoria che imponga il risarcimento dei danni subiti dai singoli
imprenditori che siano stati le vittime degli atti di concorrenza sleale, del tipo di quello che,
ad esempio, giustifica […] la surrogazione dei creditori ex art. 2900 c.c.»; precedentemente,
già MOSCO, L., La concorrenza sleale, cit., p. 258 ss.; A. che la dottrina dedicatasi allo studio
della legittimazione delle associazioni professionali generalmente ed incomprensibilmente an-
novera tra i sostenitori della tesi del diritto soggettivo dell’associazione, ma che, invece, deve
essere ricondotto alla tesi della sostituzione processuale fondata non sul rapporto di rappre-
sentanza, ma sulla previsione legale del diritto di azione. Mosco, infatti, si riferisce espressa-
mente alla sostituzione processuale (p. 260, 261) e ritiene che l’«interesse connesso» che
detto potere di azione richiede non debba essere quello del singolo, ma quello – appunto –
collettivo della categoria, sicché l’azione collettiva sarebbe ammissibile solo a fronte di atti di
concorrenza sleale che pregiudicano gli interessi della categoria; questione, quest’ultima, che
porta l’A. ad ammettere solo la tutela inibitoria e non quella risarcitoria.
91 SPOLIDORO, M.S., Costituzione e limitazioni soggettive della legittimazione ad agire per
concorrenza sleale, cit., p. 93. Sussiste effettivamente un forte somiglianza tanto tra la fatti-
specie prevista dall’art. 2601 c.c. e quella del’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, quanto tra la
tesi presentata nel testo e la tesi autorevolmente sostenuta in materia di repressione della con-
dotta antisindacale da Lanfranchi, su cui v. infra, cap. VII, § 2.1.1.
92 In primo luogo, v. il già citato AULETTA, G., Soggetti passivi della concorrenza sleale e
diritto al risarcimento del danno, cit., p. 217 ss.; seguito da LO CIGNO, O., Sub. art. 2958, in
Del Lavoro, V, t. 4, Commentario del codice civile, redatto a cura di magistrati e docenti, To-
rino, 1978, p. 216; LIBERTINI, M., Azioni e sanzioni nella disciplina della concorrenza sleale, cit.,
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 133
p. 268, ma solo nell’ipotesi in cui si verifichi un danno indifferenziato che colpisca l’intero
ramo della produzione, mentre nel caso opposto l’azione sarebbe esercitata – come visto re-
tro – in via sostitutiva; FERRI, G., Manuale di diritto commerciale, a cura di C. Angelici e G.B.
Ferri, Torino, 2001, p. 163 (ma così anche nelle edizioni precedenti: cfr. ad esempio l’edizione
da noi consultata del 1960, a p. 124); ROVELLI, R., La concorrenza sleale e i beni immateriali di
diritto industriale, Torino, 1970, p. 29 ss.; UBERTAZZI, L.C., Legittimazione ad agire delle asso-
ciazioni di consumatori e procedimenti comunitari antitrust, in Monitore trib., 1977, p. 186 ss.,
ma spec. p. 200; FLORIDIA, G., Legittimazione ad agire delle associazioni professionali di cate-
goria e qualificazione di illiceità dell’atto di concorrenza ex art. 2601 c.c., in Monitore. trib.,
1970, 712 ss., ma spec. 720 ss.; ID., Correttezza e responsabilità dell’impresa, cit., p. 281 ss. e
p. 288 ss.; ID., Concorrenza sleale e camere di commercio: un ritorno al futuro, in Dir. ind.,
1994, p. 851 ss.; ID., Dall’illecito concorrenziale al diritto soggettivo e Le valutazioni in termini
di correttezza professionale, cit., p. 289 ss. e 308 ss. Di recente, la tesi è stata sostenuta da GHI-
DINI, G., La concorrenza sleale, cit., p. 61, in relazione, però, all’attribuzione della legittima-
zione ad agire alle Camere di commercio ai sensi dell’art. 2, comma 5, della l. 29 dicembre
1993, n. 580.
93 FERRI, G., Manuale di diritto commerciale, cit., p. 163; di recente, v. COSTANTINO, G.,
Note sulle tecniche di tutela collettiva (disegni di legge sulla tutela del risparmio e dei consu-
matori), in Riv. dir. proc., 2004, p. 1009 ss., ma spec. p. 1029 s.
94 V. innanzitutto la già esaminata posizione di AULETTA, G., Soggetti passivi della con-
correnza sleale e diritto al risarcimento del danno, cit., p. 222; cui adde, MOSCO, L., La concor-
134 CAPITOLO SECONDO
renza sleale, cit., 258 ss.; LO CIGNO, O., Sub. art. 2958, cit., p. 216; ROVELLI, R., La concorrenza
sleale e i beni immateriali di diritto industriale, cit., p. 30; FLORIDIA, G., Legittimazione ad
agire delle associazioni professionali di categoria e qualificazione di illiceità dell’atto di concor-
renza ex art. 2601 c.c., cit., ma spec. 720 ss. (e poi in ID., Correttezza e responsabilità dell’im-
presa, cit., spec. p. 54; ID, La tutela degli interessi dei consumatori di prodotti alimentari, in
Riv. dir. ind., 1986, I, p. 45 ss., ma spec. 59-60; ID., Concorrenza sleale e camere di commercio:
un ritorno al futuro, cit., p. 851 ss.; ID., Dall’illecito concorrenziale al diritto soggettivo e Le va-
lutazioni in termini di correttezza professionale, cit., p. 289 ss. e 308 ss.); LIBERTINI, M., Azioni
e sanzioni nella disciplina della concorrenza sleale, cit., p. 268; implicitamente, BROCK, F., Sulla
legittimazione ad agire ex art. 2601 c.c., in Riv. dir. ind., 1997, II, p. 47 ss., ma spec. 52.
95 In sintesi la natura sostanziale della norma può operare o unicamente al fine di rico-
noscere un’azione iure proprio dell’associazione aggiuntiva e concorrente rispetto a quelle in-
dividuali o piuttosto in diretto riferimento alla fattispecie repressiva rendendola autonoma ri-
spetto al disposto dell’art. 2598 c.c. Sulla questione, cfr., in particolare, AUTERI, P., La concor-
renza sleale, in Trattato di diritto privato, XVIII, t. 4, Impresa e lavoro, a cura di P. Rescigno,
Torino, 1983, p. 356 s., che – in relazione alla tesi della sostituzione processuale e a quella
della legittimazione ad agire iure proprio – osserva puntualmente: «la differenza tra le due
opinioni tende a ridursi se non a scomparire se si considera, da un lato, che a norma dell’art.
2601 c.c. le associazioni professionali sono legittimate ad agire “quando gli atti di concor-
renza sleale pregiudicano gli interessi di una categoria professionale” e non anche quando
l’atto arreca o può arrecare danno solo a determinati concorrenti, e che, pur relativizzando in
omaggio alla prima opinione il concetto di “pregiudizio agli interessi della categoria profes-
sionale”, questo non si identifica col danno (patrimoniale) ai singoli associati; dall’altro lato
che, anche se si segue la seconda opinione, la legittimazione delle associazioni professionali
(dotate di rappresentatività) presuppone pur sempre l’esistenza di un atto di concorrenza
sleale idoneo, secondo la definizione dell’art. 2598, n. 3 c.c., a danneggiare l’azienda di uno o
più concorrenti (anche se non necessariamente membri dell’associazione)». Continua poi Au-
teri, cogliendo veramente il punto: «la differenza fra le due opinioni o tendenze sarebbe in-
vece incolmabile se muovendo dalla seconda si ritenesse […] che le associazioni professionali
possono agire anche per la repressione di atti che siano contrari alla correttezza professionale,
ma non anche necessariamente idonei a danneggiare l’azienda di uno o più concorrenti, es-
INTERESSE COLLETTIVO NELL’ESPERIENZA POST-COSTITUZIONALE 135
sendo sufficiente che essi pregiudichino l’interesse collettivo o diffuso della categoria. È evi-
dente infatti che se così fosse, l’art. 2601 non si limiterebbe a regolare la legittimazione ad
agire, ma modificherebbe la fattispecie della concorrenza sleale caratterizzati dalla contrarietà
ai principi della correttezza professionale e dal pregiudizio agli interessi di una categoria pro-
fessionale, anziché dalla idoneità a danneggiare l’altrui azienda». E si conclude: «non sembra
però che questa opinione trovi fondamento nel sistema della legge e nel tenore dell’art. 2601
c.c.: questa disposizione si limita ad attribuire la legittimazione ad agire anche (e cioè in ag-
giunta o in luogo dei concorrenti) alle associazioni professionali e quindi presuppone l’esi-
stenza di atti di concorrenza conformi alla definizione contenuta nell’art. 2598 c.c. e quindi
idonei a danneggiare uno o più concorrenti». Oltre a ciò si può anche osservare che, come vi-
sto, la particolarità della fattispecie repressiva (che unanimemente è rivolta ad inibire com-
portamenti che si presentino anche solo potenzialmente dannosi di una certa cerchia di im-
prenditori legittimando l’azione inibitoria da parte di questi) non permette di separare i ri-
medi individuali da quelli collettivi-associativi in termini di due distinte sfere di tutela, come
se, da un lato, vi fossero le azioni a tutela di interessi individuali determinati e, dall’altro, vi
fosse l’autonoma e distinta azione a tutela dell’interesse collettivo globale e sovraordinato. Al
ricorrere di comportamenti ad offensività diffusa concorreranno comunque le azioni pari-
menti diffuse dei singoli imprenditori minacciati con la diversa azione collettiva.
96 FLORIDIA, G., Correttezza e responsabilità dell’impresa, cit., p. 288; ID., Dall’illecito
renza sleale e camere di commercio: un ritorno al futuro, cit., p. 855; ID., Dall’illecito concor-
renziale al diritto soggettivo, cit., p. 302.
98 Per FLORIDIA, G., Correttezza e responsabilità dell’impresa, cit., p. 291, (ma anche in
ID., Concorrenza sleale e camere di commercio: un ritorno al futuro, cit., p. 855; ID., Dall’ille-
cito concorrenziale al diritto soggettivo, cit., p. 302) l’art. 41 Cost. «proprio in contrapposi-
zione con l’ideologia corporativa, ha inteso attribuire diretta rilevanza ed autonomia di tutela
a quegli interessi diffusi che fanno capo a categorie di persone, indeterminate nell’estensione
numerica, ma individuabili in funzione di caratteristiche e qualità o anche solo circostanze di
136 CAPITOLO SECONDO
6.4. La natura dell’azione collettiva ex art. 2601 c.c. per le tesi «oggettive»
dell’illecito
Se si abbandona l’orientamento tradizionale, che – come visto – ri-
tiene che le norme sulla concorrenza sleale siano poste a tutela di diritti
soggettivi e si volge lo sguardo verso le tesi c.d. oggettive, due sono le po-
sizioni che vanno richiamate in questa sede.
Tra queste, poi, messa da parte la tesi che riconosce alle associazioni
professionali un’azione «propria» a tutela di un interesse «proprio»100 (e
che, nella sostanza, può essere assimilata alle posizioni che riconoscono a
dette associazioni un diritto soggettivo per la tutela dei suoi «interessi
morali e non economici»101), merita particolare approfondimento l’op-
zione ricostruttiva secondo cui l’oggetto del giudizio collettivo sarebbe
fatto che acquistano un significato “aggregante” rispetto ad un determinato interesse la cui ti-
tolarità viene così a configurarsi come collettiva a confronto della efficacia pregiudizievole
diffusa dell’atto lesivo».
99 FLORIDIA, G., Correttezza e responsabilità dell’impresa, cit., p. 293, per entrambi i
passi riportati. Ma v. anche ID., Concorrenza sleale e camere di commercio: un ritorno al futuro,
cit., p. 855.
100 SANTINI, G., I diritti della personalità nel diritto industriale, cit., p. 117, nota 37, che
102 JAEGER, P.G., Sulla legittimazione delle «associazioni professionali» ad agire per la
7. Considerazioni conclusive
Anche al termine di questo capitolo è opportuno chiudere il di-
scorso sul periodo storico qui oggetto di ricognizione individuando –
seppur con poche battute – le questioni di maggior rilievo da tener pre-
senti nei successivi passi del nostro itinerario di studio.
Sotto il profilo storico-evolutivo, il punto è presto fatto, in quanto a
più riprese abbiamo evidenziato come i profili di continuità della rifles-
sione scientifica rispetto alla fase pre-costituzionale siano di gran lunga
prevalenti e determinanti ai fini della prosecuzione e della maturazione
del dibattito attorno al tema degli interessi collettivi, nonché in riferi-
mento alla loro tutela giurisdizionale.
Sotto il profilo teorico, invece, va in primo luogo rimarcata la ten-
denziale accentuazione del contrasto tra due possibili raffigurazioni del
concetto di interesse collettivo. Nelle tesi incontrate in questo capitolo, in-
fatti, è agevole rilevare il delinearsi della coesistenza di queste due distinte
impostazioni: da un lato, quella che fa perno sull’elemento dinamico del-
l’organizzazione e con esso sul necessario perseguimento collettivo del-
l’interesse e, dall’altro, quella che al contrario insiste sulla natura del bene
oggetto di aspirazione sotto il profilo della sua idoneità a porsi come si-
tuazione volta a realizzare il contestuale soddisfacimento di più interessi.
104 JAEGER, P.G., Sulla legittimazione delle «associazioni professionali» ad agire per la
concorrenza sleale (art. 2601 c.c.), cit., p. 646 nel testo ed in nota.
105 JAEGER, P.G., Sulla legittimazione delle «associazioni professionali» ad agire per la
1. Cornice generale
1.1. Considerazioni introduttive
Delle quattro fasi in cui abbiamo ritenuto opportuno periodizzare il
nostro itinerario di studio l’arco temporale che si sviluppa dagli anni Set-
tanta sino ai giorni nostri costituisce sicuramente il momento di massimo
interesse scientifico per la nostra tematica.
È sin dagli inizi degli anni Settanta, infatti, che l’attenzione dedicata
dalla dottrina giuridica alla tutela degli interessi genericamente definibili
come sovraindividuali, specie sotto il profilo della loro protezione giuri-
sdizionale, raggiunge un’intensità mai raggiunta prima.
Non c’è dubbio – e l’abbiamo evidenziato più volte – che tanto du-
rante la fase tardo-liberale, quanto durante la parentesi del corporativi-
smo, la tutela degli interessi collettivi abbia goduto delle attenzioni spe-
culative di numerosi ed illustri studiosi del diritto. Anzi, come si ricor-
derà, proprio allorché la relazione tra l’ordinamento e la tutelabilità degli
interessi collettivi costituiva ancora un territorio d’indagine pressoché
inesplorato, potevano apprezzarsi le attualissime aperture di Mortara a
favore dell’introduzione di un’azione ad esercizio individuale e/o rappre-
sentativo destinata alla tutela degli interessi dei lavoratori.
Né un «passo soverchiamente ardito e prematuro», né una «riforma
sovvertitrice di principi già accolti dal diritto positivo» era per l’illustre
giurista l’opzione di politica del diritto appena richiamata1.
Non vanno d’altra parte nemmeno dimenticati gli articolati e ap-
profonditi tentativi di definizione del concetto di interesse collettivo
avanzati da Cesarini Sforza e da Carnelutti. Operazioni ricostruttive il cui
elevato grado di elaborazione è testimoniato dal loro frequente richiamo
operato da gran parte della dottrina successivamente dedicatasi allo stu-
dio dell’argomento.
Se – insomma – non si può di certo sostenere che la tutela degli in-
teressi collettivi costituisca, agli albori degli anni Settanta, una tematica
interamente nuova, è pur vero che numerosi sono gli elementi di rottura
rispetto alle esperienze anteriori.
La gran parte dei profili di novità ora accennati saranno oggetto di
riflessione nelle prossime pagine, allorquando procederemo all’esame
delle diverse posizioni interpretative proposte in materia. D’altro canto
alcuni di questi è bene siano indicati sin d’ora e ciò fondamentalmente
poiché il loro esame introduce e contribuisce a spiegare le ragioni che ri-
1 Cfr. retro, cap. I, § 2.2.2.2.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 143
materia sono divenute più di mille, come le celebri fiabe orientali»; così, LANFRANCHI, L., Le
animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, in La tutela giurisdizionale degli interessi
collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2003, p. XXVI.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 145
5 Si pensi, a mero titolo d’esempio, al fiorire degli studi sulla garanzia costituzionale
dell’azione, che, salvo il lavoro di Virgilio Andrioli (La tutela giurisdizionale dei diritti nella
Costituzione, in Nuova riv. dir. comm., 1954, p. 314 ss.) si moltiplicano proprio a partire dagli
anni ’70: cfr. COMOGLIO, L.P., La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Pa-
dova, 1970 (e successivamente ID., Commento all’art. 24 Cost., in Commentario della Costitu-
zione, Rapporti civili, a cura di G. Branca, Bologna, 1981, p. 1 ss.); CAPPELLETTI, M. - VIGO-
RITI, V., I diritti costituzionali delle parti nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc., 1971, p.
604 ss.; VIGORITI, V., Garanzie costituzionali del processo civile: due process of law e art. 24
Cost., Milano, 1973; TROCKER, N., Processo civile e costituzione, Milano, 1974, p. 191 ss. È così
che, gradatamente, si sviluppa il dibattito all’interno del nostro ordinamento attorno alla te-
matica del c.d. «giusto processo». Si pensi, ad esempio, che «solo» nel 1989 il Convegno Na-
zionale dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile, prende come argomento di con-
fronto il tema de I procedimenti in camera di consiglio e la tutela dei diritti (cfr. gli Atti del
XVII Convegno Nazionale, Palermo 6-7 ottobre 1989, Milano, 1991). Sull’argomento in que-
stione, v., per tutti, LANFRANCHI, L., La roccia non incrinata, Garanzia costituzionale del pro-
cesso civile e tutela dei diritti, Torino, 2004; cui adde, ANDOLINA, I. - VIGNERA, G., I fonda-
menti costituzionali della giustizia civile: il modello costituzionale del processo civile italiano,
Torino, 1997; COMOGLIO, L.P., Etica e tecnica del «giusto processo», Torino, 2004.
6 Rileva RESCIGNO, P., Introduzione al Codice civile, Bari-Roma, 1991, p. 59, con rara ca-
pacità di sintesi ed anticipando temi di indagine sui quali ci soffermeremo a lungo tra breve,
come nel periodo in esame si realizzi «l’affermazione di valori e dignità non patrimoniali con-
tro una concezione tipica del diritto privato e dei codici civili, inclini ad apprezzare i valori
148 CAPITOLO TERZO
della persona in termini puramente patrimoniali, riducibili al denaro che rappresenta il modo
più semplice di valutare la persona alla stregua di un bene. Si comprende allora come pene-
trino nell’ambito dello studio del privatista – promuovendo i suoi sforzi per trovare il fonda-
mento di una tutela costituzionale – interessi, beni valori che secondo la concezione rigida-
mente patrimoniale del diritto privato rifuggirebbero dalla considerazione del diritto in
primo luogo perché non sono appropriabili da parte dei singoli. Quando parliamo di tutela
dell’ambiente, della natura, dei beni culturali, e cioè di realtà in cui l’individuo si trova inse-
rito e che contribuisce a creare e trasformare, finiamo con l’attribuire a singoli o a gruppi
azioni a tutela di beni non solamente non suscettibili di appropriazione, ma per i quali manca
quel carattere di alienità rispetto alla persona, nel senso in cui abitualmente intendiamo la
conservazione e il godimento delle cose nella concezione che ha dominato e ancora costitui-
sce il segno tipico del diritto privato». E si rileva ancora con particolare efficacia: «si verifica
altresì […] la scoperta che le fonti di regolamento della condotta privata non sono racchiuse
soltanto nel contratto; altre se ne aggiungono, talvolta risiedono in un potere esterno e in con-
creto autoritario, pur se passa attraverso le forme tipiche del diritto privato, in apparenza co-
struite in termini di eguaglianza ma capaci di nascondere situazioni effettive di forza e sogge-
zione. Sorge allora il problema, sempre alla luce dei principi costituzionali, della necessità di
controllare l’esercizio delle autorità, di riportare a una parità sostanziale le situazioni di egua-
glianza formale, di scoprire la radice delle imposizioni: in breve, di escogitare forme di con-
trollo che corrispondano all’interesse della collettività circa i modi di esercizio dei poteri».
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 149
zione di massa, […] di conflitti di massa […]. Ne deriva che anche le si-
tuazioni di vita, che il diritto deve regolare, sono divenute sempre più
complesse, mentre a sua volta la tutela giurisdizionale – la “giustizia” –
sarà invocata non solo più soltanto contro violazioni di carattere indivi-
duale, ma sempre più spesso anche di carattere collettivo, in quanto coin-
volgono gruppi, classi, collettività. Si tratta, in altre parole, di “violazioni
di massa”»7.
Si assiste insomma ad una profonda alterazione delle dinamiche so-
ciali e dei rapporti inter-individuali, alla luce della quale numerose con-
dotte – incidendo su beni di rilevanza sovraindividuale, come l’ambiente,
la salute, la parità e molti altri valori fortemente legati alla qualità della
vita8 – risultano essere potenzialmente e simultaneamente lesive di plura-
lità di individui o categoria di persone, dando luogo, sotto il profilo
quantitativo, ad una polverizzazione del pregiudizio, tale da rendere il
medesimo esiguo se colto nella sua dimensione individuale, ma assai am-
pio se colto nella sua dimensione collettiva aggregata: di massa appunto9.
Riv. dir. proc., 1975, p. 363; ma anche ID., Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi col-
lettivi o diffusi, in Le azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., p. 191 ss. (pubblicato anche
in Giur. it., 1975, IV, p. 49 s.); ID., Accesso alla giustizia come programma di riforma e come
metodo di pensiero, in Riv. dir. proc., 1982, p. 233 ss., ma spec. 237. Ma nel medesimo senso,
ovvero con l’intenzione di evidenziare l’incidenza che il passaggio ad una società di «capitali-
smo maturo» ha determinato sull’emersione della problematica relativa alla tutelabilità giuri-
sdizionale degli interessi sovraindividuali ed in particolare sulla realizzazione di conflitti di
massa, v. anche, TROCKER, N., Interessi collettivi e diffusi, in Enc. giur. Trec., XVII, Roma,
1989, p. 1; VARRONE, C., Sulla tutela degli interessi diffusi nel processo amministrativo, in Riv.
dir. proc., 1976, p. 781 ss.; PANETTA, E., Gli interessi allo stato diffuso e le loro possibili forme
di tutela, in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi, cit., p. 379 (pubblicato anche in Riv.
amm. Rep. it., 1978, p. 9 ss.); RUFFOLO, U., Interessi collettivi e diffusi e tutela del consumatore,
I, Il problema e il metodo, Legittimazione, azione e ruolo degli enti associativi esponenziali, Mi-
lano, 1985, p. 106; TROCKER, N., Gli interessi diffusi e la loro tutela dinanzi al giudice civile, in
Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Scritti in onore di Paolo Barile, Padova, 1990, p. 193
ss., ma spec. p. 195 (pubblicato anche in lingua inglese con il titolo The Protection of Group
Interests through the Civil Courts, in Italian Yearbook of Civil Procedure, I, Milano, 1991, p.
125 ss.); FERRARA, R., Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), in
Dig. disc. pubbl., VIII, Torino, 1993, p. 481 ss., ma spec. 483.
8 Sulla natura dei beni che attivano la formazione degli interessi collettivi e sul ruolo
che gli stessi rivestono all’interno delle diverse ricostruzioni, ci soffermeremo tra breve nel te-
sto e in nota.
9 V. ancora CAPPELLETTI, M., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti la giustizia
civile, cit., p. 365. Di «carattere dispersivo» della lesione parla TROCKER, N., Gli interessi dif-
fusi e la loro tutela dinanzi al giudice civile, cit., p. 195. L’argomento ricorre sovente in dot-
trina e sovente viene ad essere utilizzato per risolvere la delicata problematica dei rapporti tra
150 CAPITOLO TERZO
singolo e gruppo, ovvero tra gestione individuale o collettiva della controversia, specie in
tema di legittimazione ad agire. Sulla questione v. infra, § 3.4.1.1.
10 Così, GRASSO, E., Gli interessi della collettività e l’azione collettiva, in Riv. dir. proc.,
1983, p. 24 ss., spec. p. 30; ma in linea con l’osservazione riportata v. anche TUCCI, M.A.,
Spunti per un diverso approccio metodologico allo studio degli interessi collettivi, in T.A.R.,
1983, II, p. 165 ss., ma spec. 168 ss.; SENSALE, M., La tutela degli interessi diffusi: un problema
ancora aperto, in Giust. civ., 1983, II, p. 140 ss., ma spec. p. 141.
11 V. oltre agli AA. cit. alla nota precedente, anche VIGORITI, V., Interessi collettivi e pro-
cesso, I, La legittimazione ad agire, Milano, 1979, p. 14, per il quale, «l’aggregazione in forma
collettiva degli interessi, di certi interessi in particolare, non è sicuramente fenomeno pecu-
liare dei nostri tempi, ma nuova è l’aspirazione di questi interessi a ricevere tutela giurisdi-
zionale nella loro dimensione reale, in quanto collettivi».
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 151
e mutata sensibilità sociale in cui le istanze provenienti dalla seconda trovano nel primo una
giusta sede di catalizzazione, contribuendo ad arricchirlo di nuovi contenuti e valori. Esem-
plificando si pensi alla tutela dell’ambiente in cui l’attivarsi di una nuova coscienza ambien-
tale contribuisce a dare nuova lettura agli artt. 9 e 32 sino all’elaborazione giurisprudenziale
del «valore» ambiente. Non è un caso, a tal riguardo, che la prima sentenza della Consulta in
cui ricorre l’uso del termine «ambiente» (n. 79), risalga al 1971, come segnalato da BILE, R.,
La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia ambientale, in Giurisdizione e controllo
per l’effettività del diritto umano all’ambiente, a cura di Postiglione, Napoli, 2001, p. 225 ss.,
ma spec. 228.
13 Per NIGRO, M., Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità della formula e media-
zioni della giurisprudenza, in Foro it., 1987, V, p. 12, «l’intera tematica dell’interesse diffuso si
152 CAPITOLO TERZO
Una delle voci che meglio delle altre è riuscita a individuare gli esatti
nessi tra i due fenomeni ha puntato l’attenzione sul ruolo maggiormente
attivo della società civile all’interno delle dinamiche istituzionali. Si è così
rilevato che, diversamente da quel che si verificava nello Stato liberale, in
cui la sua organizzazione assorbiva ogni possibile contrasto con la so-
cietà, restando impregiudicata la sola possibilità di configurare rapporti
conflittuali tra individuo e Stato, nello Stato sociale, «non […] più ca-
pace di assorbire i conflitti tra società e poteri, […] rimangono aperti e
visibili dei conflitti in aree di interessi collettivi tagliate fuori dall’orga-
nizzazione statale»14. Più precisamente, in una democrazia partecipativa
come la nostra, la società viene ad essere «animata da quell’ansia di par-
tecipazione che è propria delle democrazie mature, una volontà di non
rimanere esclusi, la volontà dei cittadini di non rimanere fuori dalla por-
muove, ben inteso, all’interno del fenomeno della partecipazione, al di là e prima dell’entrata
in campo dell’interesse collettivo»; vedi anche ID., Il nodo della partecipazione, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 1980, p. 225 ss., ma spec. p. 232 ss.; ID., Procedimento amministrativo e tutela
giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul proce-
dimento amministrativo), in Riv. dir. proc., 1980, p. 252 ss., ma spec. p. 267, in cui l’A. indi-
vidua il fondamentale nesso tra interessi diffusi e partecipazione procedimentale, questione
su cui amplius, v. infra, nota 93. Cfr. anche BARILE, P., Diritti dell’uomo e libertà fondamentali,
Bologna, 1984, p. 94; ROMANO, A., Intervento, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit.,
289 ss.; BERTI, G., Interessi senza struttura (i c.d. interessi diffusi), in Studi in onore di A.
Amorth, I, Milano, 1982, p. 67 ss.; ID., Il giudizio amministrativo e l’interesse diffuso, in Jus,
1982, p. 68 ss., ma spec. 73 s.; VARRONE, C., Sulla tutela degli interessi diffusi nel processo am-
ministrativo, cit., p. 781, ma anche 785 e poi p. 787, che parla a tal proposito di un processo
di «socializzazione del potere»; ARRIA, C., L’individuazione e la tutela degli interessi collettivi,
in Nuovo diritto, 1977, p. 340 ss., ma spec. p. 344; PATRONI GRIFFI, F., Note in tema di tutela
giudiziaria degli interessi diffusi, in Giust. civ., 1980, p. 294 ss., ma spec. 298; CARAVITA, B., In-
teressi diffusi e collettivi (Problemi di tutela), in Dir. soc., 1982, p. 167 ss., ma spec., p. 191 ss.;
COCCO, G., Spunti problematici in ordine all’individuazione ed alla tutela degli interessi diffusi,
in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi della collettività, cit., p. 348; SANTANIELLO, G., La tu-
tela giurisdizionale degli interessi diffusi nella prospettiva costituzionale, in Giustizia ammini-
strativa e attuazione della Costituzione, I, Controlli, Istruzione, Partecipazione, Padova, 1985,
p. 13 ss.; SANDULLI, A.M., Considerazioni conclusive e di sintesi (in tema di partecipazione e
giustiziabilità), in Giustizia amministrativa e attuazione della Costituzione, cit., p. 86 ss.; FE-
DERICI, R., Interessi diffusi, Il problema della loro tutela nel diritto amministrativo, Padova,
1984, spec. p. 18 s., ma v. anche p. 91, 111, 131 s.; FERRARA, R., Gli interessi superindividuali
fra giudice amministrativo e processo: problemi e orientamenti, in Dir. proc. amm., 1984, p. 48
ss.; ID., Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), cit., p. 483; ID.,
Contributo allo studio della tutela del consumatore, Profili pubblicistici, Milano, 1983, p. 391
ss.; ID., Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, a cura di A. Romano, Pa-
dova, 2001, p. 364; CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Mi-
lano, 1992, p. 92 ss.
14 BERTI, G., Interessi senza struttura, cit., p. 70.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 153
tata del potere», aspirando anzi «ad essere anche essi partecipi della rea-
lizzazione dell’interesse pubblico»15.
La dottrina prende atto del verificarsi di un complesso fenomeno in
cui la crisi di rappresentatività dei partiti politici e dei sindacati16, il pas-
saggio dallo Stato c.d. monoclasse a quello pluriclasse17, l’articolazione e
la frammentazione dell’apparato organizzativo della pubblica ammini-
strazione18, il graduale passaggio dal rigore del principio di legalità a
quello della ricerca del consenso come principi regolatori dell’attività
della pubblica amministrazione19 e non in ultimo la «liberazione» da
ministrativo), cit., p. 483, alla nota distinzione di GIANNINI, M.S., Il pubblico potere, Bologna,
1986, passim; ID., I pubblici poteri negli Stati pluriclasse, in Riv. trim. dir. pubbl., 1979, p. 389
ss. ed ancor prima Diritto amministrativo, I, Milano, 1970, p. 45 in cui appunto, alla luce del
passaggio da uno «Stato censitario» ad uno «Stato formalmente democratico», si individuano
i cambiamenti nella concezione del potere pubblico. «Sino al sorgere dello Stato pluriclasse –
si afferma (p. 106 s.) – la teorizzazione che facevano i giuristi era semplice: da un lato si po-
nevano gli interessi dei privati, rimessi al principio di autonomia privata; dall’altro l’interesse
pubblico, inteso come interesse della collettività statale […]. Con l’avvento dello Stato pluri-
classe questa teorizzazione si rivelò inadeguata, poiché accadde che gli interessi di gruppi ete-
rogenei furono gli uni e gli altri qualificati pubblici, e tutelati da apposite leggi dello Stato
[…]. Talché il mondo degli interessi di cui sono portatori soggetti pubblici si presenta oggi
identico al mondo degli interessi di cui sono portatori soggetti privati. Secondo i giuristi
meno recenti quest’ultimo era dominato e doveva essere dominato dalla regola del libero
gioco, mentre il primo doveva essere dominato da regole di ordine fra i vari interessi, perché,
si diceva, gli interessi del secondo erano eterogenei, quelli del primo omogenei perché pub-
blici. Oggi la realtà ci mostra che anche gli interessi della sfera pubblica sono eterogenei».
18 «L’amministrazione a sua volta si rompe in una pluralità disordinata di soggetti ed è
per questo incapace di imparzialità e di efficienza»; così, ancora BERTI, G., Interessi senza
struttura, cit., p. 72.
19 FEDERICI, R., Interessi diffusi, cit., 131 s., ove si evidenzia in richiamo della dottrina
che le ampie e articolate riflessioni proposte da CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela
degli interessi diffusi, p. 92 ss., per il quale, «siamo di fronte ad una evoluzione della stessa
nozione di interesse pubblico, da intendersi oggi non più come interesse riferito alla pubblica
amministrazione, completamente estraneo alla sfera giuridica dei cittadini, ma come valore
che emerge da una armonizzazione, da una comparazione di tutti gli interessi in qualche
modo coinvolti dall’azione dei pubblici poteri» (p. 92); realizzandosi, in altri termini, «un’at-
tività non tanto di comparazione di un interesse primario con gli interessi coinvolti dalla sua
attuazione, ma di definizione stessa dei fini da perseguire» con la conseguenza che «la pon-
derazione degli interessi è volta in primo luogo alla individuazione di quali siano meritevoli
di essere assunti fra le finalità di interesse pubblico» (p. 121).
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 155
lettivi, cit., p. 7 ss. (pubblicata anche in Riv. dir. proc., 1974, p. 533 ss.), che però a ben ve-
dere, svolge le sue riflessioni, non tanto in relazione al processo civile, ma piuttosto in rela-
zione a quello amministrativo; uguale considerazione vale in riferimento a ID., Interessi dif-
fusi, in Noviss. Dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, p. 305 ss., ma spec. p. 307 s.; ID.,
L’avvocato e la difesa di interessi collettivi, in Foro it., 1978, V, p. 112 ss., ma spec. p. 119; cfr.
anche CAPPELLETTI, M., Accesso alla giustizia come programma di riforma e come metodo di
pensiero, cit., p. 241 ss.; GABRIELLI, E., Appunti su diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi
collettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1984, p. 969 ss., ma spec. p. 993; LENER, A., Violazione
di norme di condotta e tutela civile dell’interesse all’ambiente, in Foro it., 1980, V, p. 105 ss.,
ma spec. 107; RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, cit., p. 89.
156 CAPITOLO TERZO
30 La prospettiva riportata nel testo trova la sua espressione più netta nella tesi della
dottrina che ritiene che gli interessi diffusi in senso più proprio, ovvero capaci di distinguersi
dalle figure del diritto soggettivo e dell’interesse legittimo, siano rappresentati dagli interessi
rivolti a contestare il merito dell’azione amministrativa; così, ROTA, R., Gli interessi diffusi nel-
l’azione della pubblica amministrazione, Milano, 1998, p. 54 s., ma cfr. infra, ad es. la signifi-
cativa posizione di Nigro, esaminata infra, alla nota 93.
158 CAPITOLO TERZO
profondito la prospettiva riportata nel testo, v. CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela
degli interessi diffusi, cit., spec. p. 92 ss.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 159
amministrativa, cit., p. 367, che rileva: «La (relativamente) fresca emersione del tema degli in-
teressi superindividuali ha originato un dibattito particolarmente nutrito, che non sembra
esente, tuttavia, da ambiguità e da confusioni, anche linguistiche e terminologiche. […] Tali
interessi furono definiti, in un primo momento, come collettivi […], per essere successiva-
mente qualificati come interessi diffusi […], per divenire, poi, in un’altra celebrazione con-
gressuale, interessi diffusi della collettività […]. Sembra fuori discussione che, almeno in un
primo momento, le espressioni “interessi collettivi”, “interessi superindividuali” furono usate
come (quasi) perfettamente fungibili e reciprocamente indifferenti, e che solo in una seconda
fase si elaborarono criteri e fattori di identificazione e di differenziazione degli uni rispetto
agli altri». Cfr. anche, ID., Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo),
cit., p. 487 ss.; CARRATTA, A., Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, in
La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi, Torino,
2003, p. 84.
160 CAPITOLO TERZO
34 PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per uno studio sulla tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi, cit., p. 263 ss.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 161
35 Questa prospettiva è, come si avrà modo di osservare nella trattazione che segue nel
testo e in nota, sicuramente ben presente nella letteratura in materia di interessi collettivi e
diffusi, sebbene in diversa misura e con finalità omogenee. Ciò rappresenta – d’altra parte –
la naturale risposta di una riflessione dottrinale che, di fronte ad una nuova classe di interessi
e nell’indubbia difficoltà di agevolarne il loro incontro con l’ordinamento, ha cercato innan-
zitutto di comprendere le dinamiche – in primo luogo – reali che attraversavano e animavano
il fenomeno. All’analisi particolareggiata della dottrina, va d’altra parte anteposta la posizione
di coloro che, più degli altri, o magari solo più espressamente, hanno nella sostanza negato la
possibilità di percorrere la prospettiva definitoria, specie se condotta su di un piano diverso
dai criteri di ricostruzione formale dettati dall’ordinamento. Si segnala ad esempio la posi-
zione di PARDOLESI, R., Il problema degli interessi collettivi e i problemi dei giuristi, in Le azioni
a tutela di interessi collettivi, cit., (ma anche in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, p. 1520 ss.) p.
259 s., per il quale è cosa impossibile fare uso di «un parametro rigoroso» idoneo a fungere
da strumento conoscitivo sul piano giuridico, rimanendo gli interessi collettivi una «nebulosa
dai contorni vaghi ed oscillanti». «L’alternativa – si è rilevato – tra una nozione che affondi le
sue radici nel “mondo” del diritto ed un’altra, che mutui altrove i suoi indici di rilevazione,
sembra […] destinata a sciogliersi, a tutto favore della seconda». Significativo è anche lo scet-
ticismo palesato da VOCINO, C., Sui cosiddetti interessi diffusi, in Studi in memoria di Salvatore
Satta, II, Padova, 1982, p. 1879 ss., per il quale, «per quanto ci si sforzi di trovare delle di-
versità nelle rappresentazioni di cui i vari scritti sull’argomento sono espressione, una vasta
letteratura, in larga misura ripetitiva, insiste a più e differenti voci, col medesimo registro e
col medesimo tono, sovra un unico leit-motiv e sovra le stesse superficialità, e non ci chiari-
sce sempre neppure se la superiore definizione intenda all’individuazione d’una categoria
d’interessi specificatamente contemplati dall’ordinamento […] o si limiti a rilevare l’esistenza
di quegli interessi come un dato empirico, una tesi d’esperienza, al fine d’invocare per la loro
protezione l’intervento legislativo» (p. 1883). Né le «solite giaculatorie sulla caratteristica
massificazione dell’attuale civiltà», né le «appassionate orazioni sulla progressiva metamorfosi
fatta subire al nostro stato da liberale a socializzato od a stato socialista tout court» (p. 1889)
sarebbero in grado di evitare che gli interessi collettivi o diffusi o sovraindividuali rimangano
un mero «turbinio di animulae vagulae blandulae» in attesa di riconoscimento.
162 CAPITOLO TERZO
teressi superindividuali in una prospettiva generale priva di nette distinzioni tra nozione di in-
teresse collettivo e diffuso è piuttosto ampia. Ciò può essere spiegato in virtù di diverse con-
siderazioni: a) sicuramente in una prima fase – come acutamente rilevato dalla dottrina citata
retro alla nota 33 – le due espressioni sono state impiegate con piena fungibilità; b) successi-
vamente, il richiamo da parte di alcuni A. sulla necessità di tenere distinti i due fenomeni –
cfr. innanzitutto l’Intervento di Giannini al Convegno di Pavia su cui v. infra, 2.4. – inizia pro-
gressivamente a svolgere la sua influenza, incentivando la dottrina successiva a porsi quanto
meno il quesito circa la correttezza formale di tale summa divisio, così favorendo evidente-
mente il crescere di posizioni dualiste; c) in generale il dibattito sulla preferibile nozione di in-
teresse sovraindividuale si è sviluppato – salvo rilevanti eccezioni che esamineremo tra breve
– su un piano di riflessione sovente poco problematica, ovvero non rilevando l’importanza di
penetrare la struttura formale dell’interesse superindividuale ai fini di una corretta ricostru-
zione giuridica che tenga inalterati i nessi tra soggetto e situazione favorevole tutelata dal di-
ritto (cfr. infra, capp. IV e V). Ciò premesso, senza alcuna pretesa di completezza, per la dot-
trina non orientata a tener separati gli interessi collettivi dai diffusi, v.: DENTI, V., Relazione
introduttiva, cit., p. 16, per il quale «la stessa nozione di interessi collettivi non è priva di am-
biguità, e ciò non soltanto per gli echi di sapore corporativo che inevitabilmente suscita a chi
ricordi le sottili distinzioni tra interessi di gruppo e interessi generali, o di serie, che caratte-
rizzarono la dottrina di quel periodo»; CAPPELLETTI, M., Appunti sulla tutela giurisdizionale di
interessi collettivi o diffusi, cit., p. 192; ID., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla
giustizia civile, cit., p. 361 ss.; PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per uno studio sulla tu-
tela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., p. 263, che, rilevando come l’espressione «in-
teressi collettivi» si presenti sotto il profilo definitorio «altamente equivoca», nonché difficil-
mente distinguibile rispetto a quella di «interessi diffusi» predilige riferirsi genericamente agli
«interessi superindividuali»; cfr. anche ID., Nuovi diritti e tecniche di tutela, in Dir. e giur.,
1991, p. 227 ss., spec. 236 ss., in cui si riferisce genericamente agli «interessi collettivi»;
SCOCA, F.G., La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, in Le azioni a tutela
di interessi collettivi, cit., p. 70 s., per il quale l’interesse collettivo non è distinto dall’interesse
diffuso, entrambi appartenenti a «una serie più o meno vasta di […] soggetti […] titolari
dello stesso interesse»; «non c’è contraddizione tra interesse collettivo e interesse personale;
l’interesse collettivo può essere la somma, o la risultante, di più interessi personali» (c.vo
mio); CARPI, F., Intervento, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 304 ss. (anche in
Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, p. 544 ss., con il titolo Cenni sulla tutela degli interessi col-
lettivi); ma v. anche ID., L’efficacia «ultra partes» della sentenza civile, Milano, 1974, p. 99 ss.;
164 CAPITOLO TERZO
ZANUTTIGH, L., La tutela degli interessi collettivi (a proposito di un recente convegno), in Foro
it., 1975, V, p. 71 ss., ma spec. p. 77, secondo la quale «conviene osservare come forse im-
propriamente si siano definiti “collettivi” interessi che probabilmente si potevano qualificare
semplicemente “superindividuali” (nel senso di non meramente individuali) o diffusi (nel
senso di comuni ad un numero indeterminato di soggetti)»; stessa prospettiva di studio che
sembra emergere anche in ID., Intervento, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p.
310 ss.; COSTANTINO, G., Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi davanti
al giudice civile, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 223 ss.; ID., Contributo allo
studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, p. 7 ss.; RAPISARDA, C., Gruppi privi di rico-
noscimento e processo, I, Problemi di accesso al giudizio civile, in Riv. giur. lav., 1977, IV, p.
609 ss.; POSTIGLIONE, A., L’iniziativa dei cittadini per la difesa degli interessi collettivi, in Giust.
civ., 1978, p. 1216 ss.; RUSSO, E., Interessi diffusi e teoria delle situazioni soggettive, in Vita no-
tarile, 1979, p. 793 ss. (ma anche in Annali della Facoltà di giurisprudenza dell’Università de-
gli Studi di Perugia, VI, Perugia, 1980, p. 63 ss.); CERRI, A., Interessi diffusi, interessi comuni
– Azione e difesa, in Dir. soc., 1979, p. 83 ss., che definisce gli interessi diffusi come «interessi
omogenei […] che presuppongono un bene suscettibile di godimento non separato bensì ne-
cessariamente (per natura o per legge) congiunto da parte di un insieme di consociati», ap-
partenenti a «collettività più o meno ampi[e] ed anche, talvolta, all’intera collettività nazio-
nale»; PIRAINO, S., L’interesse diffuso nella tematica degli interessi giuridicamente protetti, in
Riv. dir. proc., 1979, p. 202 ss.; LENER, A., Violazione di norme di condotta e tutela civile del-
l’interesse all’ambiente, in Foro it., 1980, V, p. 105 ss.; COMOGLIO, L.P., Commento all’art. 24
Cost., cit., p. 16; COLACINO, L., Alcune notazioni ricostruttive in tema di interesse legittimo, in-
teresse diffuso e interesse collettivo, in Giur. mer., 1981, p. 1086 ss., ma spec. p. 1100; GRASSO,
E., Gli interessi della collettività e l’interesse collettivo, in Riv. dir. proc., 1983, cit., 39 s., per il
quale «è illusorio pensare che il passaggio dalla collettività al gruppo organizzato comporti un
mero processo di soggettivazione dell’interesse della prima», anche se «l’interesse perseguito
dal gruppo è di regola quello di soddisfare gli interessi della collettività più ampia alla quale
appartenevano i suoi membri prima di organizzarsi»; interesse, quello della collettività, «non
soggettivo e non soggettivabile, per la genericità del punto di imputazione», che «ha invece
una sua naturale fluidità connessa con la normale evoluzione degli elementi socio-economici
che stanno alla sua base»; TUCCI, M.A., Spunti per un diverso approccio metodologico allo stu-
dio degli interessi collettivi, in TAR, 1983, II, p. 165 ss., ma spec., p. 188; GABRIELLI, E., Ap-
punti su diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi collettivi, cit., p. 969 ss.; RUFFOLO, U., In-
teressi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, cit., spec. p. 94 e 95; TROCKER, N., Interessi
collettivi e diffusi, cit., p. 1 s., che si riferisce a «interessi o situazioni giuridiche che perten-
gono identicamente ad una pluralità di soggetti più o meno determinata e determinabile,
eventualmente unificata più o meno strettamente in una collettività, e che hanno per oggetto
beni non suscettibili di appropriazione esclusiva»; ma già prima in ID., Processo civile e Co-
stituzione, Problemi di diritto tedesco e italiano, Milano, 1974, p. 204 ss.; FAZZALARI, E., Isti-
tuzioni di diritto processuale, Padova, 1996, p. 282, per il quale gli «“interessi diffusi” o, me-
glio, “collettivi”, [sono] empiricamente intesi come rapporti di utilità – rispetto a beni e/o si-
tuazioni –, i quali non hanno titolari individuati dalla legge (come accade, invece, per
l’interesse che costituisce il substrato del diritto soggettivo […]), ma riguardano la collettività
in genere o gruppi di essa»; ID., Il processo ordinario di cognizione, I, Primo grado, Torino,
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 165
1989, p. 46 s.; TOMMASEO, F., Lezioni di diritto processuale civile, I, Disposizioni generali, Pa-
dova, 2002, p. 22; LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna,
cit., p. XVI ss., che, affrontando lo studio della tematica in una prospettiva generale si pone
in chiave critica rispetto a tale distinzione, specie in relazione agli effetti giuridico-ricostrut-
tivi prevalentemente fatti conseguire a detta distinzione dalle teorie che viceversa la accol-
gono; ma in questo senso già in Situazioni giuridiche individuali a rilevanza collettiva ed at-
tuazione della condanna alla reintegrazione del lavoratore, in Riv. giur. lav., 1977, I, p. 343 ss.,
in cui è presente il riferimento agli interessi collettivi in senso proprio intesi come «situazioni
sostanziali a titolarità diffusa e/o indeterminabile»; ugualmente CARRATTA, A., Profili proces-
suali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 84 ss. (su cui cfr. infra, nota 45); sotto
il profilo ontologico non sembra distinguere nemmeno BIANCA, C.M., Note sugli interessi dif-
fusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., spec. p. 68 s., che rileva
che «l’espressione interessi collettivi ha una tradizionale connotazione legata al mondo delle
categorie professionali» ovvero «collettività a composizione indeterminata ma gli interessi che
vi fanno capo […] sono assunti da enti (ordini o organizzazioni sindacali) che hanno specifi-
che competenze e funzioni e che appartengono ormai ad un autonomo settore del diritto pri-
vato». Ma poi aggiunge: «può quindi dirsi che gli interessi collettivi sono interessi diffusi qua-
lificati, aventi un’autonoma rilevanza giuridica quali interessi di categorie professionali» (c.vo
mio). Al di là della distinguibilità storicamente determinata tra le due espressioni, quindi, il
nucleo comune a ambo due i fenomeni sarebbe costituito dal loro riferirsi ad una «collettività
a composizione indeterminata».
38 GIANNINI, M.S., Diritto amministrativo, II, Milano, 1970, p. 882 s.; tesi confermata
successivamente nella Relazione (La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti ammini-
strativi) e nell’Intervento, al Convegno di Pavia, entrambi in Le azioni a tutela di interessi col-
lettivi, cit., rispettivamente a p. 23 ss. e 352 ss. Ancora la dottrina amministrativistica – CAIA-
NIELLO, V., Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, p. 183 – ha acuta-
mente osservato come il concepire l’interesse privo di un suo referente soggettivo costituisca
sul piano concettuale una contraddizione in grado di mettere in discussione la stessa nozione
generale di interesse e a tal riguardo si è precisato come l’espressione «adespota» debba es-
sere intesa in senso non letterale, ma «traslato, dovendosi con esso esprimere il concetto di
interesse diffuso non frazionabile in capo ai singoli».
166 CAPITOLO TERZO
42 Salvo le precisazioni che seguono nel testo e in nota, in prima approssimazione pos-
siamo annoverare tra i sostenitori di questa tesi: GIANNINI, M.S., Diritto amministrativo, II,
cit., p. 882 s.; ID., Relazione e Intervento, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., ri-
spettivamente a p. 23 ss. e 352 ss., ma per l’esame più approfondito della posizione del Gian-
nini v. tra breve nel testo e in nota; VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 17 ss.;
LUCIANI, M., Il diritto costituzionale alla salute, in Dir. soc., 1980, p. 769 ss., ma spec. p. 794
s.; CARAVITA, B., Interessi diffusi e collettivi (Problemi di tutela), in Dir. soc., 1982, p. 167 ss.;
ID., La tutela giurisprudenziale degli interessi diffusi e collettivi, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p.
31 ss.; NIGRO, M., Le due facce dell’interesse diffuso, cit., p. 8 ss.; SANTANIELLO, G., La tutela
giurisdizionale degli interessi diffusi nella prospettiva costituzionale, cit., p. 13 ss., ma spec. p.
16; ALPA, G., Interessi diffusi, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 609 ss., ma spec.
610, per il quale «gli interessi diffusi differiscono dagli interessi collettivi e dagli interessi di
settore, perché non sono autorganizzati come i primi, né la loro cura è affidata ad un soggetto
istituzionalmente deputato a proteggerli»; CATALDO, A., Gli interessi diffusi, legittimazione at-
tiva al procedimento amministrativo ma non al processo, in Giur. mer., 1997, III, p. 367 ss.;
PUNZI, C., La tutela giudiziale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, in La tutela giu-
risdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 17 s.; PERUGINI, S., Interessi diffusi e col-
lettivi: profili sostanziali, in Gli interessi protetti nella responsabilità civile, III, Torino, 2005, p.
27 ss., spec. p. 32; CARINGELLA, F., Corso di diritto amministrativo, I, Milano, 2005, p. 643 ss.;
CASETTA, E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, p. 305.
43 In questo senso sembra indirizzarsi la dottrina che, secondo una prima linea di svi-
l’esterno (ed a gestirli dall’interno); gli interessi diffusi, invece, appaiono correlati a forma-
zioni sociali “allo stato diffuso”, cioè a formazioni ancora in fase di piena presa di coscienza
di sé e di autodistinzione nel seno della collettività generale (o di una più ampia collettività di
riferimento), ovvero a collettività assimilabili a mere categorie, la cui individuazione è affidata
ad altri, e in primo luogo al giurista, attraverso la rilevazione di una lesione, di una prevari-
cazione, di uno squilibrio di tutela attuati appunto in pregiudizio di una pluralità di individui
da questo accomunati»; sul punto cfr. anche, ID., Interessi diffusi, in Dizionari del diritto pri-
vato, I, Diritto civile, a cura di N. Irti, Milano, 1980, p. 419 ss. Nello stesso senso cfr. anche
FERRARA, R., Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), cit., p. 486 ss.,
che sembra comunque anteporre alle considerazioni di natura più propriamente giuridica (ri-
volte all’analisi delle diverse alternative di tutela degli interessi individuali nel processo am-
ministrativo), un piano pregiuridico-sociologico, sul quale l’interesse collettivo si apprezza
come effettivamente «corporativo», «comune ad una collettività determinata», mentre l’inte-
resse diffuso in senso proprio «vive […] allo stato fluido e magmatico, in quanto è riferibile
a collettività indeterminate, o non agevolmente determinabili di cittadini, ed ha ad oggetto
beni della vita a fruizione collettiva i quali non sempre risultano imputabili ad uno specifico
soggetto, e solo ad esso». Il fatto che sia il criterio oggettivo, quantomeno sul piano sociolo-
gico a fungere da discrimen tra i due fenomeni risulta confermato laddove l’A. afferma che
l’interesse collettivo, «pur grazie ad un’ingegnosa fictio iuris (il suo radicarsi presso l’ente
esponenziale, staccandosi, per così dire, dal gruppo come entità sociologica e dalla sfera dei
singoli membri del gruppo) è comunque giuridicizzato». Così anche SATTA, F., Giustizia am-
ministrativa, Padova, 1986, p. 153 ss. che, dopo aver ricondotto gli interessi diffusi a quelli
semplici e non tutelabili in sede giurisdizionale osserva: «assai diverso è il caso in cui l’inte-
resse si presenti riferito ad una categoria ben determinata di soggetti, che si presentano asso-
ciati […]; qui l’interesse viene riferito ad una universitas, non ad una collettività indetermi-
nata; e questo nulla toglie alla sua individualità». Nelle osservazioni avanzate dagli AA. ap-
pena citati la distinzione tra piano ontologico e ricostruzione giuridica sembrano potersi
apprezzare con particolare nitidezza. Cfr. anche TARZIA, G., Le associazioni di categoria nei
processi civili con rilevanza collettiva, in Riv. dir. proc., 1987, p. 774 ss., ma spec. p. 797, per il
quale gli interessi collettivi e quelli diffusi corrisponderebbero rispettivamente agli interessi di
gruppo ed a quelli di serie; ROTA, R., Gli interessi diffusi nell’azione della pubblica ammini-
strazione, Milano, 1998, p. XIV s., per la quale, occorre tener distinti dagli interessi diffusi,
«oltre che gli interessi privati in senso particolare del termine, anche gli interessi collettivi, in-
tesi come interessi aventi come portatore una associazione o gruppo che fa valere degli inte-
ressi specifici di categoria, anch’essi come interessi privati, non necessariamente coincidenti –
come al contrario accadrebbe nel pensiero dell’A. per gli interessi diffusi – con gli interessi
generali». Anche in tale ultima opinione, dunque, al di là della presenza dell’ente portatore,
ciò che differenzierebbe le due tipologie di interessi dovrebbe essere costituito dal porsi quali
settoriali i collettivi e generali i diffusi. Ma ugualmente a questo filone dottrinale può essere
ricondotto chi, al contrario, si sofferma più sulla «stabilità» del gruppo che sulla sua minore
o maggiore delimitabilità all’interno di una più ampia collettività: in tal senso sembra orien-
tarsi CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, cit., p. 3 ss., che, seb-
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 169
bene all’interno di un’analisi, che, come quella di Ferrara, è prevalentemente rivolta all’esame
delle diverse forme di tutela offerta agli interessi superindividuali all’interno del processo am-
ministrativo, recuperando un’affermazione di Giannini e pur ammettendo che gli interessi
diffusi possano talora appartenere a collettività indeterminate e indeterminabili, e talatra an-
che a collettività delimitate e più ristrette, e pur affermando che in tale ultima ipotesi gli in-
teressi diffusi si presentino in una veste similare agli interessi collettivi (anche in relazione alle
problematiche giuridiche che sollevano), comunque ritiene che gli interessi collettivi si di-
stinguano dai primi in relazione al carattere della «stabilità». Cfr. anche TRAVI, A., Lezioni di
giustizia amministrativa, Torino, 2005, p. 85 ss., per il quale gli interessi collettivi o di catego-
ria sono quelli comuni agli appartenenti ad un certo ceto professionale o gruppo di lavora-
tori, mentre gli interessi diffusi coincidono con l’«interesse generale dei cittadini a certi beni
comuni», sebbene, perealtro, la distinzione risulti più difficile allorché la cerchia di soggetti
interessati sia talmente ampia da estendersi sino alla generalità come nel caso degli interessi
collettivi dei consumatori; CARLETTI, F., Lesione degli interessi diffusi, in I precedenti, la for-
mazione giurisprudenziale del diritto civile, a cura di Bigiavi, II, Torino, 2000, p. 1161 ss., ma
spec. p. 1167 per il quale gli interessi collettivi sono «tipici di collettività “omogenee” a forte
e stabile autorganizzazione […] e sono qualificati proprio dai requisiti di appartenenza a quel
gruppo non occasionale al quale normativamente il legislatore riconosce rilevanza».
44 Cfr. retro nota 37.
45 TROCKER, N., Interessi collettivi e diffusi, cit., p. 2; ID., Gli interessi diffusi e la loro tu-
tela, cit., p. 194. Più di recente CARRATTA, A., Profili processuali della tutela degli interessi col-
lettivi e diffusi, cit., p. 95, ove si osserva che «in realtà, la presenza di una formazione sociale
in grado di far valere all’esterno l’interesse non […] pare di per sé idonea a trasformare la na-
tura intrinseca dell’interesse. Perché delle due, l’una: o l’interesse fa riferimento ad una cate-
goria ben delimitata di persone, e allora è definibile come “collettivo” anche in mancanza di
una formazione sociale che la rappresenti e la faccia valere all’esterno; oppure, fa riferimento
ad un gruppo diffuso di persone, e allora la presenza di una formazione sociale che persegua
170 CAPITOLO TERZO
anche COSTANTINO, G., Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., p.
231 s.; TROCKER, N., Interessi collettivi e diffusi, cit., p. 2; ZANUTTIGH, L., Intervento, in Le
azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 312; RAPISARDA, C., Gruppi privi di riconoscimento
e processo, cit., p. 628, per la quale «non può farsi sicuramente dipendere la natura diffusa
dell’interesse dalla semplice riferibilità del medesimo ad un numero indeterminato di sog-
getti, quanto piuttosto dal tipo particolare di bene cui esso risulta collegato e dal carattere
stesso del collegamento – tipicamente non proprietario – tra soggetto e bene»; nella sostanza
anche LENER, A., Violazione di norme di condotta, cit., p. 108, che parla di «nuovi interessi la
cui tutela non passa attraverso l’attribuzione di una “nuova possidenza”, incongrua a beni
come la salute e l’ambiente».
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 171
47 DENTI, V., Interessi diffusi, cit., p. 307; ID., Il processo come alienazione, in Soc. dir.,
1976, p. 149 ss., ma spec. p. 156; CORASANITI, A., La tutela degli interessi diffusi, cit., p. 183,
per il quale è preferibile avvicinarsi allo studio degli interessi diffusi in un ottica oggettiva, vi-
sto che, «a tale angolazione non può certamente addebitarsi, come a quella soggettivistica, di
presupporre un’influenza della struttura organizzatoria, considerata come modo di essere del
soggetto, conformativa del modo di essere dell’esperienza giuridica, laddove i rapporti fra i
due modi di essere, specialmente in relazione a questo tipo di esperienza giuridica, dovrebbe
essere rovesciato»; cfr. anche ID., Interessi diffusi, cit., p. 427, in cui si osserva che la prospet-
tiva soggettivistica travisa l’esperienza degli interessi superindividuali «raccogliendo l’eredità
della teoria “organica” degli enti».
48 DENTI, V., Interessi diffusi, cit., p. 307; FERRARA, R., Interessi collettivi e diffusi, cit.,
p. 483.
49 Cfr. ancora DENTI, V., Interessi diffusi, cit., p. 307. Ma soprattutto CORASANITI, per il
tivi, cit., p. 23 ss.), aveva esposto chiaramente l’ottica normativa in cui si poneva la sua ana-
lisi, rilevando che «gli interessi collettivi […] non sono caratterizzati, nel procedimento am-
ministrativo, diversamente da come siano caratterizzati in altri settori dell’ordinamento giuri-
dico positivo. Essi sono pertanto quegli interessi che, nell’ordinamento positivo, si
individuano sulla base di un criterio puramente soggettivo, che è quello del loro: sono tali in-
teressi che hanno come portatore (o centro di riferimento: in questa sede le due nozioni si
equivalgono) un ente esponenziale di un gruppo non occasionale». Per un esame critico com-
plessivo delle posizioni espresse nel Convegno di Pavia da parte di Giannini, v. ZANUTTIGH,
L., La tutela degli interessi collettivi, cit., p. 71 ss.
176 CAPITOLO TERZO
58 PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per uno studio sulla tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi, cit., p. 263 ss.
59 Va francamente ammesso peraltro, che, la distinzione tra i due piani operativi pre-
senti nella riflessione proposta da Giannini non sono comunque tenuti adeguatamente di-
stinti; e ciò probabilmente per il fatto che l’interesse dell’Autore è tutto polarizzato dalla pro-
spettiva soggettiva necessariamente privilegiata in ordine al fine di trovare accesso alla tutela
amministrativa in sede di procedimento. Conferme in tal senso derivano peraltro da un altro
illustre amministrativista nell’opinione del quale al contrario la distanza tra piano ontologico-
pregiuridico e piano ricostruttivo giuridico è nettissima. Cfr., a tal proposito, SANDULLI, A.M.,
Considerazioni conclusive e di sintesi, cit., p. 86 ss., ma spec. p. 90, per il quale, «su un piano
fattuale e pregiuridico (o metagiuridico) gli interessi rilevanti non sono soltanto gli interessi
individuali e gli interessi seriali […], bensì anche gli interessi comuni […], e cioè gli interessi
collettivi, cioè di gruppo, di categoria, settoriali, comunitari […], gli interessi delle comunità
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 177
zione della struttura – chiarisce l’A. interpretando l’indirizzo giurisprudenziale del giudice
amministrativo –, subentra qualcosa di più o di diverso, non un semplice accrescimento
quantitativo, ma una trasformazione “qualitativa”: l’interesse diffuso diventa totalmente ed
esclusivamente un interesse collettivo». Ed ancora: «Non v’ha dubbio che tutte le volte che
l’interesse diffuso emerga giurisdizionalmente mediante la tecnica della struttura di imputa-
zione, vecchia o nuova che sia la materia, l’interesse diffuso si è dissolto ed ha lasciato il po-
sto ad un interesse collettivo». Cfr. anche, sul punto, NIGRO, M., Ma che cos’è questo interesse
legittimo?, in Foro amm., 1988, I, p. 316 ss., ma spec. p. 322. Per l’analisi del pensiero dell’A.,
v. comunque infra, allorché ci soffermeremo, non più sulle distinzioni classificatorie tra inte-
ressi collettivi o diffusi, ma sul rapporto tra individuo e collettività all’interno delle diverse
posizioni dottrinali; argomento, quest’ultimo, tra i più delicati in materia, come più volte ab-
biamo osservato in questo lavoro.
61 VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., passim.
62 Questo è un aspetto particolarmente importante per la nostra ricerca, in quanto
porta chiarimento non solo sulla distinzione tra interesse collettivo e diffuso, ma anche sulle
posizioni che, più in generale, vedono la soggettivazione dell’interesse sovraindividuale nel
suo riferimento ad un ente esponenziale quale risposta alla necessità giuridica di assegnare la
posizione di vantaggio ad un soggetto sostanzialmente unico e determinato che poi diventi il
«padrone» – il «despota» appunto – dell’interesse sovraindividuale. Nella concezione di Vi-
goriti, ad esempio, come peraltro in quella di Angiuli (su cui v. infra, nota 123) o Garofalo (v.
infra, cap. VII, § 3.1.) il momento organizzatorio possiede una funzione propriamente aggre-
gante che dal piano fenomenologico poi proietta le sue conseguenze su quello tecnico-giuri-
dico giustificandone le soluzioni. In altre lettura, come ad esempio in Sandulli e Luciani (cfr.
retro, nota 59), è ugualmente presente il menzionato duplice piano di apprezzamento degli
interessi tutelandi; e pur sostenendosi la necessaria soggettivazione dell’interesse, si prospetta
l’alternativa tra una legittimazione diffusa o popolare ed un regime di legittimazione concen-
trata, con ciò dando evidentemente a far intendere una concezione ontologica dell’interesse
sovraindividuale come insieme di interessi individuali. Vi sono poi posizioni in cui l’atten-
zione alla consistenza di tali interessi sul piano pregiuridico è nella sostanza assente, come è
assente – di conseguenza – il rilievo attribuito al momento organizzatorio ai fini di una con-
figurazione unitaria dell’interesse tutelando. Così è in Giannini, Berti ed anche in Fazzalari,
180 CAPITOLO TERZO
rale, cioè l’interesse di tutti i soggetti facenti parte di una collettività, e l’interesse (collettivo)
di serie, quello i cui portatori non siano a priori identificabili»; b) «presuppone anche che la
comunanza di interessi non sia un dato naturale o acquisito per tradizione» ma «il risultato di
una volontà attiva». L’interesse collettivo sarebbe, dunque, l’«interesse i cui portatori sono
(sia pure astrattamente) identificabili tramite l’appartenenza ad un gruppo (ancora entità
astratta) in cui il dato unificante è costituito da condizioni di status, da qualità soggettive, da
condizioni lavorative o professionali comuni» e la cui reale identificazione avviene solo
quando sorge al suo interno una organizzazione; momento in cui, «in seguito alla individua-
zione, sintesi e ridefinizione di una base di interessi comuni […] il gruppo assume una sua
connotazione». Gli interessi diffusi in senso stretto, invece, sarebbero quelli che: a) hanno
«un radicamento ed una dimensione territoriale, cioè ne siano portatori (consapevoli o in-
consapevoli) soggetti fra loro collegati (o collegabili) in una dimensione territoriale»; b) espri-
mono «un bisogno di riorganizzazione di un dato ambito territoriale in modi tali da soddi-
sfare esigenze primarie (o anche non primarie […]) dei soggetti ivi insediati». Cfr. anche ID.,
La tutela giurisprudenziale degli interessi diffusi e collettivi, cit., p. 41, nota 21, in cui si af-
ferma che «più matura riflessione ci spinge a ritenere che anche gli interessi individuali attra-
verso il collegamento ed il radicamento territoriale vadano ricompresi nella categoria degli in-
teressi collettivi» restando comunque valido «il tentativo […] compiuto di individuare due
canali di aggregazione degli interessi: uno a base territoriale (che sfocia nella rappresentanza
politica); l’altro a base funzionale, che sfocia nelle diverse forme di rappresentanza (neo) cor-
porativa». In altri termini, sebbene anche in questa ricostruzione, si avverte l’influenza, in
sede di inquadramento astratto del fenomeno, di vicende concretamente e storicamente de-
terminate, l’elemento soggettivo dell’organizzazione, della «ridefinizione di una base comune
di interessi», della presa di coscienza della solidarietà degli interessi, sebbene agevolata e con-
sentita da «canali di aggregazione» obiettivamente esistenti, rappresenta il punto di separa-
zione dell’interesse collettivo dagli interessi presenti allo stato diffuso all’interno della società.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 183
69 Cfr., ad es., PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per uno studio sulla tutela giurisdi-
zionale degli interessi collettivi, cit., p. 263.
70 Quanto detto nel testo, talora, emerge dalle stesse affermazioni della dottrina più re-
cente, talaltra, si desume agevolmente dallo scarso interesse dimostrato dagli studiosi nei con-
fronti delle esperienze anteriori.
184 CAPITOLO TERZO
72 La distinzione tra interessi collettivi e diffusi è comunque accolta, oltre che dagli AA.
già citati alle note precedenti, anche da ANTONIUCCI, M.G., Elementi di diritto processuale am-
ministrativo, Milano, 2002, p. 13 ss.; CAIANIELLO, V., Manuale di diritto processuale ammini-
strativo, cit., p. 182; MARUOTTI, L., La tutela degli interessi diffusi e degli interessi collettivi in
sede di giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo: questioni di giurisdizione e sele-
zione dei soggetti legittimati alla impugnazione, in Dir. proc. amm., 1992, p. 255 ss.; GRASSANO,
P., In tema di interessi diffusi, Degli interessi diffusi quale momento di partecipazione dei citta-
dini nella tutela di interessi superindividuali e momento di supplenza giudiziale, in Nuova ras-
segna di dottrina, legislazione e giurisprudenza, 2002, p. 1091 ss.; FRITTELLI, A., L’interesse pub-
blico e le situazioni soggettive nel procedimento amministrativo, in Nuova rassegna di dottrina,
legislazione e giurisprudenza, 1997, p. 1119 ss.; VERBARI, G.B., Principi di diritto processuale
amministrativo, Milano, 2000, p. 165; SCIARRETTA, S., Appunti di giustizia amministrativa, Mi-
lano, 2002, p. 29.
73 Cfr. gli AA. citati retro, a nota 37.
186 CAPITOLO TERZO
davanti alla giustizia civile, cit., p. 367 ss., ID., Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi
collettivi o diffusi, cit., p., 191 ss.; che evidenzia come detta dicotomia si rifletta sulle correnti
concezioni in materia di tutele processuali. Secondo l’A. infatti l’esclusivo riferimento ad una
delle due tipologie di interesse sostanziale (individuale o pubblico) porta con sé la regola se-
condo la quale di norma nel processo civile il legittimato ad agire, a fronte di interessi indivi-
duali, è rappresentato dal titolare esclusivo della situazione giuridica soggettiva, mentre, allor-
ché l’interesse da tutelare sia anche, se non esclusivamente, pubblico, l’azione viene attribuita
anche al pubblico ministero. Situazione – quest’ultima – che trova completo svolgimento nel
processo penale, rivolto come è alla protezione esclusiva degli interessi pubblici. Si realizza,
quindi, un «profondo abisso» tra pubblico e privato in ragione del quale l’ordinamento so-
stanziale e processuale è rivolto sì – sotto il profilo dei contenuti – alla tutela di interessi ma-
teriali, ma per altro verso è concepito per offrire protezione unicamente a quelli che possano
essere qualificati come privati-individuali o alternativamente come pubblici, non sussistendo
dunque all’interno del sistema opzioni alternative volte alla tutela di interessi collettivi, ov-
vero interessi che si pongano in posizione intermedia tra i due opposti poli positivamente
contemplati. In dottrina ci si è inoltre interrogati sulla natura pubblica o privata di questa
particolare classe di interessi, ma il tema non solo ha dimostrato nel tempo tutta la sua steri-
lità, ma ha anche dimostrato essere il frutto di un errore di metodo in cui è incorsa la dot-
trina, che, pur consapevole dell’insufficienza della dicotomia pubblico-privato, non ha però
affrontato il tema con rinnovati strumenti di analisi. Il problema è stato, infatti, essenzial-
mente mal posto, come chiariscono definitivamente le osservazioni di DENTI, V., Profili civili-
stici della tutela degli interessi diffusi, cit., p. 44, per il quale «dovrebbe essere ormai chiaro
[…] che un interesse è “pubblico” non in ragione della qualità del bene che costituisce il suo
riferimento oggettivo, ma in ragione della qualità del soggetto al quale la gestione del bene è
istituzionalmente affidata. Gli interessi “pubblici” sono, quindi, tipicamente gli interessi per-
seguiti dalle pubbliche amministrazioni, di fronte ai quali stanno gli interessi di altri soggetti,
intesi alla fruizione dei medesimi beni, che in quanto non suscettibili di appropriazione esclu-
siva, danno luogo alle situazioni di interesse diffuso. Gli interessi diffusi sono, quindi, tipica-
mente interessi “privati” […]». Sulla crisi della distinzione pubblico/privato, v., in generale,
anche GIORGIANNI, M., Il diritto privato e i suoi attuali confini, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1961, p. 391 ss.; PUGLIATTI, S., Diritto pubblico e privato, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 187
696 ss.; CERRONI, U., Sulla storicità della distinzione fra diritto privato e diritto pubblico, in Riv.
int. fil. dir., 1960, p. 355 ss.;
77 Il peso del tradizionale formalismo dogmatico di derivazione pandettistica è in parti-
colare evidenziato dai civilisti (su cui v. la nota che segue), ma non ha mancato di sollevare
considerazioni anche da parte della dottrina processualcivilistica: v. a tal proposito, sin dal
Convegno di Pavia, DENTI, V., Relazione introduttiva, cit., p. 18; successivamente CARRATTA,
A., Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 81. In una prospet-
tiva comparatistica, v., TARUFFO, M., Some Remarkson Group Litigation in Comparative Per-
spective, in 11 Duke J. of Comp. & Int. l L., 405 (2001).
78 Così, con particolare efficacia, RODOTÀ, S., Le azioni civilistiche, cit., p. 90, che rileva
«la peculiarità degli strumenti civilistici, conformati in modo da servire alla tutela di interessi
esclusivamente individualistici e, di conseguenza, inadatti a risolvere conflitti non integral-
mente interprivati, a dar rilievo ad interessi non riconducibili alla sfera del singolo». È inte-
ressante notare come l’A. con sintetici ma incisivi cenni evidenzi l’influenza che la concezione
strutturale del diritto di proprietà ha rivestito nella configurazione di istituti che diversa-
mente potevano favorire per loro natura una diversa e maggiore valorizzazione della dimen-
sione collettiva degli interessi sostanziali tutelati: «tale vicenda si scorge in modo particolar-
mente netto – osserva a tal proposito l’A. – seguendo la storia dell’istituto della proprietà, in
cui è ravvisabile una linea lungo la quale si collocano […] lo smantellamento delle proprietà
collettive e la risoluzione della proprietà pubblica nella proprietà individuale dello Stato; la
costruzione in forme atomistiche anche della comproprietà identificandosi la posizione dei
comproprietari più con la titolarità di una singola quota “ideale” (accentuandosi cioè l’a-
spetto individualistico); l’utilizzazione dello schema della proprietà individuale come mezzo
per fissare in capo al singolo gli interessi di cui si fa portatore, scorporando tutti quelli che
non possono trovare un punto di riferimento in una situazione proprietaria formalizzata».
Cfr. PARDOLESI, R., Il problema degli interessi collettivi e i problemi dei giuristi, cit., p. 262, che
rileva quale ostacolo che si oppone al riconoscimento ed alla piena tutela degli interessi so-
vraindividuali «lo “spessore” degli istituti privatistici; o, per meglio dire, il modo di essere
della cultura giuridica che li tramanda, sorda ad ogni logica diversa da quella individuale».
188 CAPITOLO TERZO
Sulla stessa scia, successivamente RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi, cit., p. 106 ss., ma
spec. p. 130; GABRIELLI, E., Appunti su diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi collettivi,
cit., p. 973 ss., che rileva la «trasposizione dal piano filosofico-giusnaturalistico al piano giu-
ridico-positivo dell’idea dell’individuo-soggetto di diritto, con tutti i suoi attributi e i suoi
predicati», operata dalla Scuola storica con tutte le note conseguenze in termini di entifica-
zione delle nozioni, astrazione e generalizzazione del concettualismo giuridico; fenomeni pa-
radigmaticamente rappresentati dal profilo storico della nozione di diritto soggettivo (su cui
v. infra, cap. V). Particolarmente interessanti si rivelano sul punto le osservazioni di RUSSO, E.,
Interessi diffusi e teoria delle situazioni soggettive, cit., p. 794 ss., per il quale la dottrina ha
«perpetuato un ricorrente equivoco dogmatico; quello cioè di attribuire alla teoria delle si-
tuazioni soggettive, così come elaborate sulla base dei dati offerti dagli ordinamenti prece-
denti nel tempo, una validità universale e cioè non condizionata a quella degli ordinamenti ri-
spetto ai quali era stata elaborata». Con acuta sinteticità l’A. evidenzia infatti nel suo saggio
come non si sia sufficientemente «considerato che il diritto soggettivo e l’interesse legittimo
come strumenti di tutela, sono lo svolgimento coerente di […] concezioni, fondate su alcune
premesse ideologiche facilmente enucleabili: 1) parità delle parti del rapporto; 2) corrispon-
denza e simmetria tra obbligo e pretesa; 3) irrilevanza della qualità o della natura del soggetto
cui è attribuita la pretesa; 4) prevalenza assoluta della sfera patrimoniale individuale come og-
getto da tutelare; 5) assorbimento dell’interesse collettivo o diffuso nel generale interesse
pubblico di cui è gestore esclusivo la Pubblica Amministrazione; 6) delega assoluta ed in
bianco alla P.A. per enucleare e soddisfare i bisogni e gli interessi della comunità».
79 In dottrina, sebbene con differenti accentuazioni, v. CAPPELLETTI, M., Appunti sulla
tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, cit., p. 199 ss., che appunto si riferisce alle
«quattro difficoltà» indicate nel testo come quelle principali da doversi superare per assicu-
rare la giustiziabilità degli interessi collettivi; DENTI, V., Relazione introduttiva, cit., p. 15 ss.;
COSTANTINO, G., Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi davanti al giu-
dice civile, cit., p. 223; ZANUTTIGH, L., Intervento, cit., p. 310. Successivamente, cfr. ancora
CAPPELLETTI, M., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla giustizia civile, cit., p. 365
ss.; CORASANITI, A., La tutela degli interessi diffusi davanti il giudice ordinario, cit., p. 181; VI-
GORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 15, ed in particolare, sui limiti delle tradizio-
nali configurazioni della nozione di legittimazione ad agire p. 65 ss.; ALPA, G., Interessi dif-
fusi, cit., p. 611; DENTI, V., La giustizia civile, cit., p. 113, che evidenzia come i nostri codici
(civile e procedura civile) abbiano «come punto di riferimento i rapporti soggettivi interpri-
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 189
vati, bilaterali o plurilaterali, che fanno capo alle situazioni giuridiche tradizionali: i diritti
reali e i diritti di obbligazione. Ciò emerge chiaramente sia dalle norme che disciplinano la in-
staurazione del contraddittorio (artt. 101 e 102 c.p.c.), sia dalle norme che regolano i limiti
soggettivi della cosa giudicata (art. 2909 c.c.). Tutte queste disposizioni, infatti, muovono
dalla premessa che nel processo sia dedotto un rapporto giuridico facente capo a soggetti in-
dividuati o individuabili, anche se ne sia difficile la identificazione e sia possibile ricorrere alla
eccezionale notizia del processo mediante la notificazione per pubblici proclami (art. 150
c.p.c.). La regola fondamentale, al riguardo, è data dall’art. 102 c.p.c., che richiede la pre-
senza nel giudizio di tutti i soggetti nei confronti dei quali la sentenza deve produrre effetti
[…]»; mentre l’estensione ultra partes dell’efficacia della sentenza, magari secundum eventum
litis, è fenomeno – ricorda Denti in riferimento all’art. 2377 c.c. – del tutto eccezionale; cfr.
anche ID., Interessi diffusi, cit., p. 312. Più di recente, v. CARRATTA, A., Profili processuali della
tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 109; RESCIGNO, P., Sulla compatibilità tra il mo-
dello processuale della «class action» ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico ita-
liano, in Giur. it., 2000, p. 2224 ss.; MENCHINI, S., Azioni seriali e tutela giurisdizionale: aspetti
critici e prospettive ricostruttive, in www.judicium.it.
80 Cfr. retro, cap. II, nota 65 le osservazioni di Spagnuolo Vigorita e cap. I, § 2.1.3. s.,
quelle di Bonaudi.
81 Cfr. in particolare la Relazione di F.G. SCOCA al Convegno di Pavia (La tutela degli in-
teressi collettivi nel processo amministrativo, cit., p. 44 ss.), in cui l’A. richiama l’attenzione
sulla necessità di risolvere i problemi di diritto processuale procedendo innanzitutto da uno
studio delle questioni di diritto sostanziale ed in particolar modo dall’approfondimento e
dalla rimeditazione attenta di quella «raffinatissima creatura giuridica» costituita dall’inte-
resse legittimo. Più in particolare si rileva come «la giurisprudenza amministrativa ha conti-
nuato ad attenersi all’idea dell’interesse differenziato e qualificato, trovando sempre o quasi
sempre il criterio di differenziazione nel collegamento con un diritto soggettivo, anzi con al-
cuni diritti soggettivi, quali quello di proprietà e quello di impresa» (p. 63). «L’interesse le-
gittimo nasce, per separazione o partogenesi, dall’interesse semplice; e viene immediatamente
inteso come un nuovo strumento di protezione di utilità sostanziali già protette in termini di
diritto soggettivo» (p. 65). In definitiva, osserva Scoca, sin dalle prime decisioni il giudice am-
ministrativo «tendeva ad occuparsi più dei diritti, sia pure compressi, affievoliti o degradati,
che non degli interessi non derivanti da diritti; e, in conseguenza di ciò, tendeva a trasferire
nel processo amministrativo concetti, quali quello della tutela strettamente individuale, pro-
pri (forse) del processo civile» (p. 68). Cfr. anche, ROMANO, A., Intervento, cit., p. 289 ss.; ID.,
Il giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi c.d. diffusi, in Foro it.,
1978, V, p. 8 ss.; spec. p. 8 e 12 in cui si riferisce all’evoluzione ricostruttiva in materia di in-
teresse legittimo rimarcando l’«esaltazione dei momenti individuali, e della loro protezione
190 CAPITOLO TERZO
65 ss., ma spec. p. 81, espressamente a favore di un intervento di riforma dei requisiti di ac-
cesso alla giustizia innanzi al giudice amministrativo.
194 CAPITOLO TERZO
87 Tra gli AA. che giustamente evidenziano questa duplice possibilità di raffigurazione,
nella fase storica più recente, cfr. innanzitutto NIGRO, M., Le due facce dell’interesse diffuso,
cit., p. 7 ss., la cui posizione è nel dettaglio presa in esame infra, nota 93; ma v. anche, SCOCA,
F.G., Interessi protetti (dir. amm.), cit., p. 15; ID., Contributo sulla figura dell’interesse legit-
timo, cit., p. 46; e più, di recente, LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra fac-
cia della luna, cit., p. XXII.
88 Come vedremo nelle pagine che seguono, la dottrina maggiormente propensa a per-
vazioni di Aldo Sandulli (v. retro, nota 59) o di Angiuli (v. infra, nota 123). Già diversamente
accade in Fazzalari (v. infra, § 3.4.1.3.1.). Anche nella opinione presentata dall’autorevole
dottrina ora menzionata, è chiara la distinzione tra, da un lato, il piano meramente fattuale e
pregiuridico e, dall’altro, il piano della giuridicizzazione, ma, in assenza di ulteriori precisa-
zioni, la necessità giuridica di soggettivare l’interesse tutelato unicamente mediante l’imputa-
zione dell’interesse sovraindividuale ad un ente portatore, in realtà sembra mascherare una
concezione sostanzialmente asoggettiva del preesistente interesse materiale (su questo punto,
v. retro, nota 62).
89 Ammessa la possibilità di configurare gli interessi sovraindividuali in termini di inte-
90 Per tutti, v. RUSSO, E., Interessi diffusi e teoria delle situazioni soggettive, cit., p. 796
ss., che in un certo senso si spinge anche oltre, rimarcando l’opportunità di prendere atto del
«passaggio, per la tutela di certi interessi, da un sistema fondato sul diritto soggettivo o su un
interesse qualificato, ad un sistema di actiones». In una prospettiva assimilabile, di recente, v.
GENTILI, A., A proposito de «il diritto soggettivo», in Riv. dir. civ., 2004, p. 351 ss., ma spec.
362 s., in cui l’A. spezza una lancia a favore di un ordinamento costruito non più attorno ai
diritti soggettivi ma ai «rimedi» (c.d. diritto rimediale). Sulla questione v. comunque infra,
cap. V. Occorre inoltre ricordare come questa via interpretativa sia stata seguita anche dalla
Corte di cassazione nelle famose decisioni emesse in sede di regolamento di giurisdizione nel
corso del 1979, richiamate in questo cap. infra, nota 94 ed esaminate nel cap. IX, § 2.2.
91 Sono le osservazioni di CORASANITI, A., Profili generali di tutela giurisdizionale contro
vorevole alla riconduzione dei nuovi interessi all’interno della nozione di interesse legittimo
opportunamente rivisitata è il valore storico della interpretazione dominante: cfr., sul punto,
oltre all’opinione di Romano (che però preferisce optare per soluzioni alternative all’amplia-
mento dei margini concettuali dell’interesse legittimo; cfr. infra, nota 97), quella di SCOCA,
F.G., La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, cit., p. 60 e CERRI, A., In-
teressi diffusi, interessi comuni, cit., p. 90 s.; autorevoli opinioni, quest’ultime ricordate, con-
cordi nel ritenere tutt’altro che incompatibile il requisito della differenziazione dell’interesse
con il fenomeno degli interessi diffusi ed ugualmente concordi nel ritenere non richiesto dalla
legge l’ulteriore requisito di esclusività dell’interesse stesso. Sul punto, v. anche le consimili
osservazioni di NIGRO, M., Le due facce dell’interesse diffuso, cit., p. 18, la cui posizione, pe-
raltro, spicca per la lucidità e la chiarezza con cui è evidenziata la duplice configurazione del-
l’interesse sovraindividuale a seconda della propensione mentale coltivata: ossia la possibilità
di massimizzare la dimensione diffusa, dispersiva, sociale dell’interesse oppure, alternativa-
mente, cogliendo l’irriducibile individualità dell’interesse pur nella sua ripetibilità in capo a
più soggetti. Con particolare chiarezza Nigro riconosce come seguendo la prima direzione
l’interesse diffuso appaia «una realtà statica unica e compatta», «un’entità oggettiva». Così
operando – osserva figurativamente l’A. – «interno all’interesse diffuso si stringe un cerchio
di isolamento e di impenetrabilità che […] è insuperabile». Secondo questo modello si orien-
terebbero, dunque, le tesi per le quali la soglia della giustiziabilità dell’interesse è varcata con
l’imputazione ad una formazione sociale legittimata a richiederne tutela. Secondo questa linea
interpretativa, infatti, l’ente rappresentativo avrebbe la funzione di dotare di struttura l’inte-
resse diffuso (il riferimento è chiaramente alla definizione di Berti), favorendo – per mezzo di
questa «mutazione genetica» – la necessaria soggettivazione dell’interesse, la trasformazione
«qualitativa» e non «quantitativa» in virtù della quale l’interesse diffuso «diventa totalmente
ed esclusivamente un interesse collettivo». Con la conseguenza che, stando a questa ricostru-
zione votata all’«ideologia del controllo sociale», sebbene la trasfigurazione dell’interesse dif-
fuso in collettivo attribuisca una struttura capace di traghettare l’interesse all’interno del pro-
cesso, «quella struttura di cui per definizione manca in generale, viene acquistata non dall’in-
tera fascia degli interessi diffusi del settore considerato ma da quelle parti di esso alle quali si
riconosce “la condensazione” in formazioni sociali». Osserva, al contrario, Nigro come «la
adeguata considerazione del profilo soggettivo dell’interesse diffuso indirizzerebbe così, in
via astratta, […] verso un modello totalmente diverso […] che ha al suo centro appunto il
soggetto (soggetti) titolari (titolari) dell’interesse al quale l’interesse pertiene come “proprio”,
come “personale”. Niente (sempre in via di principio) strutture intermedie e intermediarie,
niente interessi sostitutivi (come sono quelli collettivi). La “individualità” dell’interesse ne fa
un interesse legittimo di tipo puro e comporta la tutelabilità piena di esso avanti la giustizia
amministrativa». Sul punto, v. anche ID., Il nodo della partecipazione, cit., p. 233, in cui l’A.
evidenzia tutti i tratti dell’interesse diffuso che conducono a coglierne l’essenza intimamente
individuale. Si afferma, infatti: «al massimo della dispersione – si intende quella propria degli
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 201
interessi diffusi – viene allora a corrispondere il massimo della vigenza, e può così accadere
che, mentre ci accingiamo a negare, per la sua diffusione e diluizione, rilevanza specifica e im-
putabilità soggettiva ad un interesse, ci accorgiamo che da questa sua massima diffusione,
dalla sua inerenza alla essenza “umana” dei soggetti deriva all’interesse una riferibilità imme-
diata e necessaria all’uomo come tale nella sua assoluta e gelosa singolarità, la quale giustifica
invece l’attribuzione ad esso interesse del massimo grado di soggettivazione». La complessa
posizione dell’A. vede comunque la natura individuale degli interessi diffusi come uno solo
degli elementi su cui basarsi per risolvere il problema della tutela giurisdizionale di questa
particolare tipologia di interessi. Particolare peso, infatti, per giungere alla definitiva giuridi-
cizzazione dei medesimi hanno ulteriori due considerazioni in stretta interdipendenza tra
loro: in primis il carattere dialettico dell’interesse diffuso e in secundis l’aspirazione parteci-
patoria che ad esso va ricollegata. In questa prospettiva, né la legittimazione sempre diffusa,
né la legittimazione concentrata nell’ente esponenziale costituiscono la soluzione privilegiata
(su questo profilo, v. in particolare NIGRO, M., Procedimento amministrativo e tutela giurisdi-
zionale contro la pubblica amministrazione, cit., p. 267, da cui è tratta la citazione che segue;
ID., Giustizia amministrativa, cit., p. 108 ss.), che al contrario viene ravvisata in una opzione
più elastica, rappresentata dall’attribuire al procedimento amministrativo, in virtù del suo
ruolo «immediatamente strumentale» nei confronti del processo giurisdizionale, il compito di
operare «come sede di prima coagulazione degli interessi diffusi». «È nel procedimento, in-
fatti, che gli interessi rivelano la loro consistenza, il loro valore, il loro fondamento normativo
e prendono, per così dire, grado nella scala delle aspirazione alla tutela giurisdizionale. Per
tali interessi, la tutela procedimentale non è solo l’anticamera della tutela giurisdizionale, ma
addirittura il luogo di acquisto della legittimazione stessa». Per la giurisprudenza presentata
a favore di questa opzione interpretativa, anche dopo l’introduzione dell’art. 9 della legge
241/90 (per il quale «qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i
portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiu-
dizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento») si tenga presente
un isolato gruppo di pronunce (Tar Lazio, sez. II, 22 aprile 1992, n. 433, in Cons. St., 1992,
I, p. 1838 ss., in TAR, 1992, I, p. 1838; Tar Veneto, sez. I, 16 dicembre 1998, n. 2509, in Ra-
giusan, 2000, p. 189), a cui si contrappone un ampio filone giurisprudenziale contrario (Cons.
St., Ad. gen., 19 febbraio 1987, n. 7, in Foro it., 1988, III, p. 22 ss.; Cons. St., sez. IV, 4 set-
tembre 1992, n. 724, in Foro amm., 1992, p. 1857 ss.; in Cons. St., 1992, I, p. 1042; Tar Friuli-
Venezia Giulia, 30 ottobre 1993, n. 541, in Cons. St., 1993, I, p. 4561; Tar Lazio, sez. II, 1
agosto 1995, n. 1474, in TAR, 1995, I, p. 3456; Tar Umbria, 19 agosto 1996, n. 304, in Giur.
merito, 1996, p. 366 ss.; Cons. St., sez. VI, 12 aprile 2000, n. 2185, in Foro amm., 2000, p.
1364; in Giur. it., 2000, p. 1945; in Urb. e app., 2000, p. 751 ss.; in Vita notar., 2000, p. 832;
Tar Veneto, 20 dicembre 1999, n. 2479, in TAR, 2000, I, p. 695 ss.; Cons. St., sez. IV, 22
marzo 2001, n. 1683, in Foro amm., CDS, 2001, p. 399; Cons. St., sez. IV, 29 agosto 2002, n.
4343, in Foro amm., CDS, 2002, p. 1672; Cons. St., sez. VI, 1 febbraio 2007, n. 416, in Foro
amm., CDS, 2007, p. 586). Diversamente per quel che attiene alla partecipazione c.d. orga-
nica, ovvero la cooptazione normativa dei rappresentanti degli enti esponenziali all’interno di
organismi amministrativi titolari di attribuzioni in materia di beni collettivi, questione rite-
nuta dalla giurisprudenza costante sufficiente ai fini della qualificazione dell’interesse e del
conseguente riconoscimento in capo all’ente della legittimazione ad agire per l’annullamento
dell’atto: cfr. Cons St., Ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, in Foro it., 1980, III, p. 1 ss., con
202 CAPITOLO TERZO
nota di A. Romano; in Le regioni, 1980, p. 733 ss., con nota di BERTI, G., La legge tutela l’in-
teresse diffuso, ma il giudice ne ricava un interesse individuale; Tar Lazio, sez. III, 4 ottobre
1980, n. 850, in TAR, 1980, I, p. 3806; Cons. St., sez. VI, 8 maggio 1981, n. 192, in Giur. it.,
1982, III, 1, p. 9 ss.; in Foro amm., 1981, I, p. 1110; in Cons. St., 1981, I, p. 552; Cons. St.,
sez. VI, 27 agosto 1982, n. 407, in Cons. St., 1982, I, p. 1103; Tar Friuli-Venezia Giulia, 22
marzo 1984, n. 91, in Foro it., 1985, III, p. 197 ss.; Cons. St., sez. VI, 16 maggio 1986, n. 486,
in Cons. St., 1986, I, p. 935; Cons. St., sez. VI, 7 luglio 1986, n. 491, in Foro amm., 1986, p.
1367; Cons. St., sez. V, 19 aprile 1994, n. 302, in Foro amm., 1994, p. 800; per ulteriori ap-
profondimenti, v. comunque FERRARA, R., Commentario breve alle leggi sulla giustizia ammi-
nistrativa, cit., p. 370 ss.; ID., Interessi collettivi e diffusi, cit., p. 491 ss. Volgendo nuovamente
lo sguardo alla dottrina, invece, una prospettiva affine a quella di Mario Nigro si rinviene
nello studio di CRESTI, M., Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, cit., spec.
p. 91 ss., in cui appunto la premessa da cui muovere è costituita dalla più volte rilevata crisi
della nozione di interesse pubblico «da intendersi oggi non più come interesse riferito alla
pubblica amministrazione, completamente estraneo alla sfera giuridica dei cittadini, ma come
valore che emerge da una armonizzazione di tutti gli interessi in qualche modo coinvolti dal-
l’azione pubblica» (p. 85 e 93). Da ciò, infatti, deriverebbero nell’opinione dell’A. varie con-
seguenze. La prima è il tipico rapporto che intercorre tra interesse diffuso e interesse pub-
blico, in quanto l’interesse diffuso si presenta «come componente dell’interesse pubblico,
come interesse che emerge all’interno del processo diretto alla individuazione ed alla realiz-
zazione di quest’ultimo» (p. 93). In sostanza secondo Cresti l’interesse diffuso si porrebbe ri-
spetto l’interesse pubblico, non in termini di contrapposizione, come i tradizionali interessi so-
stanziali tutelati in via di interesse legittimo, destinati ad essere sacrificati dall’azione ammini-
strativa, salvo l’inosservanza dei limiti imposti dalla legge all’esercizio del potere, ma di
collaborazione, ossia in posizione funzionale alla sua individuazione e determinazione (spec.
p. 94, 111, 124-125). Ulteriori conseguenze sarebbero, quindi, non tanto la «trasformazione
del principio di imparzialità» quanto piuttosto il suo stesso superamento, dovuto alla «pre-
senza infatti di un’attività non tanto di comparazione di un interesse primario con gli interessi
sociali coinvolti nella sua attuazione, ma di definizione stessa dei fini da perseguire» (p. 121;
c.vo mio). Il particolare rapporto di collaborazione tra interessi diffusi e interesse pubblico
porterebbe con sé, infine, come conseguenza determinate la valorizzazione del momento
della partecipazione al procedimento amministrativo da parte dei titolari dell’interesse dif-
fuso. «L’esperienza del processo amministrativo – osserva, infatti, Cresti – ha dimostrato […]
che la possibilità di un effettivo ed incisivo sindacato da parte del giudice è in buona misura
legata alle garanzie offerte sul piano sostanziale al titolare dell’interesse; garanzie che si con-
cretano anzitutto nell’intervento di questo soggetto nel procedimento amministrativo» (p.
126). La conclusione a cui giunge l’A. è dunque la seguente: mentre nel processo posto a tu-
tela di posizioni individuali, il giudizio tende sempre ad una effettiva tutela dell’interesse ma-
teriale del ricorrente, sebbene in via mediata, ovvero attraverso l’accertamento delle regole e
dei criteri secondo cui deve svolgersi in sede procedimentale il confronto tra autorità ed am-
ministrato, il giudizio a tutela degli interessi diffusi «è volto non alla realizzazione dell’inte-
resse materiale fatto valere dal ricorrente, ma alla individuazione di regole di carattere proce-
dimentale, secondo cui deve avvenire la comparazione dei diversi interessi coinvolti dalle
scelte dell’amministrazione. Regole che non si riferiscono agli aspetti formali del procedi-
mento, ma tendono invece ad assicurare che l’istruttoria sia completa, nel senso che l’ammi-
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 203
nistrazione pervenga alla individuazione della misura da adottare sulla base di una valuta-
zione comparativa delle diverse alternative cui i fatti in esame possono dar luogo» (p. 164).
Come nell’impostazione di Cresti, viene assegnato autonomo rilevo logico-giuridico agli inte-
ressi diffusi rispetto agli interessi tradizionalmente riconducibili alla figura dell’interesse le-
gittimo da ROTA, R., Gli interessi diffusi nell’azione della pubblica amministrazione, cit., spec.
p. 49 ss., per la quale (p. 55) «la situazione giuridica di interesse diffuso, distinta dalle situa-
zioni giuridiche di diritto soggettivo e interesse legittimo con riguardo all’ambito non solo
soggettivo ma anche funzionale, si configura invece allorché, di fronte ad una scelta della
P.A:, un soggetto privato o un ente esponenziale portatore di interessi generali intenda con-
testare il merito di detta azione». Diversa impostazione si trova, poi, più di recente, in VER-
BARI, G.B., Principi di diritto processuale amministrativo, cit., p. 165 ss., secondo cui il pro-
blema della tutela degli interessi diffusi deve essere impostato – in sintesi – negli stessi termini
in cui in ambito civilistico è stato risolto il problema dei diritti della personalità, ossia tute-
lando all’interno della veste giuridica dell’interesse legittimo quegli stessi interessi della per-
sonalità che mirano a tutelare un bene della vita che inerisce alla persona medesima e ai suoi
valori morali e sociali.
94 Cons. St., Ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24, cit. Il caso traeva origine dal ricorso pro-
posto da «Italia nostra» avverso il nulla osta rilasciato dalla Sopraintendenza ai monumenti
per l’Abruzzo e il Molise per la costruzione di una seggiovia in località – il Parco Nazionale
d’Abruzzo – soggetta a vincolo paesaggistico. Rigettato il ricorso da parte del TAR, la Sesta
sezione del Consiglio di Stato, chiamata a giudicare in sede di appello, con ordinanza rimet-
teva la questione all’Adunanza plenaria (in Foro it., 1977, III, p. 65). Allo stesso modello di
tutela va ricondotta anche la giurisprudenza della Corte di cassazione concretatasi in sede di
regolamento di giurisdizione in materia di interessi ambientali e rivolta a configurare i mede-
simi alternativamente, a seconda delle aree di afferenza, o come diritti soggettivi, o come in-
teressi legittimi. Al primo ambito devono essere ricondotte innanzitutto Cass., S.U., 9 marzo
1979, n. 1463 (in Giust. civ., 1979, I, p. 764 ss., con nota di POSTIGLIONE, A., Localizzazione
di centrali nucleari e tutela della salute e dell’ambiente e di PIGA, F., Diritti soggettivi, interessi
legittimi, interessi diffusi e tutela giurisdizionale, p. 703 ss.; in Giur. it., 1979, I, 1, p. 1493, con
nota di MONTESANO, L., Sulla tutela giurisdizionale degli «interessi diffusi» e sul difetto di giu-
risdizione per «improponibilità della domanda», in Riv. dir. proc., 1979, p. 720 ss., con nota di
ZANUTTIGH, L., Diritto all’ambiente e tutela giurisdizionale) e Cass., S.U., 6 ottobre 1979, n.
5172 (in Giur. it., 1980, I, 1, p. 464 ss., con note a p. 859 ss. di PATTI, S., Diritto all’ambiente
e tutela della persona e SALVI, C., La tutela civile dell’ambiente: diritto individuale o interesse
collettivo?; in Dem. e dir., 1980, p. 140 ss., con nota di SALVI, C., La cassazione, il diritto al-
l’ambiente e la supplenza dei giudici; in Riv. dir. proc., 1980, p. 342 ss., con nota di ZANUTTIGH,
L., Giudice ordinario e diritto all’ambiente: un passo avanti della Cassazione). Decisioni – le
due qui richiamate – nelle quali la Suprema corte giungeva ad attribuire rilevanza e tutelabi-
lità giurisdizionale agli interessi ambientali attraendo i medesimi nella sfera di protezione giu-
ridica offerta dal diritto di proprietà o dal diritto alla salute. Nella prima sentenza si rilevava
la possibilità di configurare il bene ambiente in termini di «bene collettivo divisibile», ossia di
un bene a «fruizione diretta» da parte dei singoli, imputabile solo in «via riflessa» alla società
e oggetto di «una pluralità d’interessi individuali dello stesso contenuto», precisando però
che detta utilità, sul piano giuridico, non era assicurata per il solo «essere una persona fisica»,
204 CAPITOLO TERZO
pure espressi nella Carta costituzionale, concernenti l’attuazione delle esigenze di partecipa-
zione e di controllo democratico, da parte di quanti sono soggetti ad un potere pubblico,
quanto all’esercizio di esso (artt. 3 e 5), esigenze le quali, a ben vedere, alla luce dei detti prin-
cipi sono da ritenere implicite nella stessa previsione normativa di ogni potere pubblico e
nella regolazione normativa dell’esercizio di esso». Circostanza non casuale, si crede, è rap-
presentata dal fatto che l’estensore di tutte le decisioni appena esaminate, fosse Aldo Corasa-
niti. È ben apprezzabile infatti nell’architettura argomentativa di dette decisioni la trasfusione
dei principi ricostruttivi presentati dall’A. nei saggi già richiamati retro ed in particolare in La
tutela degli interessi diffusi davanti il giudice ordinario, cit., p. 184 ss. e Interessi diffusi, cit., p.
432 ss.; ossia la prospettazione di due distinti modelli di tutela degli interessi sovraindividuali.
Il modello garantistico di esclusione o difesa, in cui si apprezzano una pluralità di posizioni
sostanziali, riconducibili agli schemi strutturali del diritto soggettivo, imputabili in capo ai
soggetti reali di una collettività e vantati all’esterno di questa, cioè nei confronti di soggetti
esterni alla collettività stessa; ed il modello partecipativo, in cui si apprezzano una pluralità di
posizioni sostanziali, riconducibili agli schemi strutturali dell’interesse legittimo, imputabili a
soggetti membri di una collettività e vantati all’interno di questa, verso atti di gestione della
collettività stessa.
95 Come già indicato nel testo, l’esame della giurisprudenza amministrativa in merito al-
l’applicazione del criterio della vicinitas, dimostra interesse ai nostri fini sotto il profilo, squi-
sitamente teorico, della riconducibilità degli interessi sovraindividuali alle figure soggettive
sostanziali note nel nostro ordinamento. Esorbita chiaramente da questo ambito qualsiasi giu-
dizio di merito sulla congruità propria di detto criterio, con particolare riguardo alle conse-
guenze che discendono dalla sua applicazione e più precisamente dall’effetto di circoscrizione
dell’ambito dei legittimati ai soggetti singoli e collettivi così individuati. Sul punto, v., tra gli
altri, BERTI, G., La legge tutela l’interesse diffuso, ma il giudice ne ricava un interesse indivi-
duale, cit. Sull’origine giurisprudenziale di tale criterio v. infra, la nota che segue. Detto crite-
rio, peraltro, ha trovato spazio applicativo anche a fronte della legittimazione ad agire ex lege,
prevista dal comma 5 dell’art. 18 l. 349/86 (da leggersi ora in coordinato disposto con l’art.
310 del d.legisl. 152/2006) ed attribuita alle associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi
dell’art. 13 della menzionata l. 349; con ciò determinando un potenziale concorso tra il crite-
rio di legittimazione di origine giurisprudenziale ed il criterio di legittimazione collettiva po-
sitivamente previsto. In breve sintesi si può innanzitutto osservare come il concorso appena
accennato si possa verificare astrattamente solo all’interno dei margini applicativi oggettivi
dell’azione attribuita in sede di giustizia amministrativa alle associazioni ambientaliste rico-
nosciute, ossia, stando ai criteri interpretativi enucleati dalla giurisprudenza, solo allorché il
ricorso sia avanzato ai fini della tutela di interessi a carattere ambientale e non meramente ur-
banistico, cioè allorquando il provvedimento amministrativo sia idoneo a pregiudicare il bene
ambiente nella sua qualificazione giuridica positiva (sull’interpretazione giurisprudenziale dei
limiti oggettivi di applicazione dell’art. 18 della l. n. 349/86, cfr., tra l’altro, Cons. St., sez. IV,
28 febbraio 1992, n. 223, in Riv. giur. amb., 1992, con nota di CIVITARESE MATTEUCCI, S., An-
cora sulla nozione giuridica di ambiente e sulla legittimazione delle associazioni ambientaliste
all’impugnazione di atti amministrativi; in Foro it., 1993, III, p. 97 ss., con nota di BENINI, S.,
Beni culturali e interessi diffusi; in Dir. proc. amm., 1994, p. 511, con nota di PUGLIESE, F., La
legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste: il limite è nella legge; Tar Marche, 21
settembre 1995, n. 457, in Foro amm., 1996, p. 2001; Cons. St., sez. V., 10 marzo 1998, n. 278,
in Cons. St., 1998, I, p. 386 ss.; Cons. St., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 3878, in www.giuffre.it/ri-
206 CAPITOLO TERZO
viste/rga, con massima annotata da MAESTRONI, A., La legittimazione delle associazioni am-
bientaliste all’impugnazione di atti urbanistici con valenza ambientale: il contrasto interno al
Consiglio di Stato e il criterio dello stabile collegamento come fonte di legittimazione attiva di
associazioni e privati, in Riv. giur. amb., 2002, p. 750 ss.; Cons. St., sez. IV, 12 marzo 2001, n.
1382, in Riv. giur. amb., 2002, p. 526 ss., con nota di MARCHESE, S., Legittimazione ad agire
delle associazioni ambientaliste riconosciute nel processo amministrativo e concetto giuridico di
ambiente; Tar Liguria, sez. I, 3 febbraio 2003, n. 129, in www.giuffre.it/riviste/foro, 2003,
fasc. 2, con massima annotata da GANDINO, A., Legittimazione delle associazioni ambientaliste
e natura del provvedimento impugnato: gli incerti confini del «valore ambiente», in Foro amm.,
TAR, 2003, p. 875; Tar Lazio, sez. I, 31 maggio 2004, n. 5118, in Foro amm., TAR, 2004, p.
1397 ss.; Tar Toscana, sez. III, 20 ottobre 2006, n. 4568, in Foro amm., TAR, 2006, p. 3200).
Per la giurisprudenza che applica il criterio del collegamento stabile ai fini del riconosci-
mento della legittimazione ad agire a singoli privati e dunque riconducendo gli interessi dif-
fusi alla figura dell’interesse legittimo, cfr. Cons. St., sez. IV, 27 agosto 1984, n. 646, in Foro
it., 1985, III, p. 1 ss.; in Foro amm., 1984, p. 1441; Cons. St., sez. VI, 7 febbraio 1996, n. 182,
in Foro it., 1996, III, p. 496; in Giur. it., 1996, III, 1, p. 354 ss.; in Riv. giur. amb., 1996, p.
694 ss., con nota di MAESTRONI, A., Il Consiglio di Stato e l’autocoscienza dell’effetto espansivo
del giudicato amministrativo: linee guida in tema di accordi di programma; in Foro amm., 1996,
p. 589; in Cons. St., 1996, I, p. 259; Cons. St., sez. VI, 26 luglio 2001, n. 4123, in www.giuf-
fre.it/riviste/rga, con massima annotata da MAESTRONI, A., La legittimazione delle associazioni
ambientaliste all’impugnazione di atti urbanistici con valenza ambientale, cit.; Cons. St., sez.
VI, 15 ottobre 2001, n. 5411, in Foro amm., 2001, p. 2851 ss.; Tar Lombardia, sez. II, 6 di-
cembre 2002, n. 5093, in TAR, 2002, I, p. 3329 ss.; in www.giuffre.it/riviste/foro, 2002, fasc.
12, con massima annotata da CALABRÒ, M., Sui presupposti della legittimazione ad agire delle
associazioni ambientaliste, in Foro amm., TAR, 2003, p. 410 ss.; Cons. St., sez. VI, 27 marzo
2003, n. 1600, in Cons. St., 2003, p. 723 ss.; Tar Lombardia, sez. II, 7 ottobre 2003, n. 4513,
in TAR, 2003, I, p. 4601 ss.; Tar Marche, 29 agosto 2003, n. 980, in Riv. giur. amb., 2004, p.
302 ss.). Per ciò che invece attiene alla legittimazione degli enti esponenziali, sempre in ma-
teria di interessi ambientali in senso proprio, parte della giurisprudenza amministrativa ri-
tiene che il criterio legale di legittimazione previsto dall’art. 18 della l. 349 del 1986 non ab-
bia «carattere preclusivo», ma solo «permissivo», sussistendo in materia un duplice sistema di
accertamento – c.d. doppio binario – della rappresentatività dell’ente esponenziale e correla-
tivamente un duplice criterio di attribuzione della legittimazione ad agire: uno legale, ope-
rante ex ante, in virtù del riconoscimento ministeriale ed uno giudiziale, operante in concreto
e rivolto ad attribuire al giudice il potere di accertare caso per caso la rappresentatività della
formazione intermedia: cfr., in tal senso, Tar Lazio, sez. II, 14 settembre 1990, n. 1342, in
Foro it., 1991, III, p. 180 ss.; Cons. St., sez. VI, 7 febbraio 1996, n. 182, cit.; Cons. St., sez.
VI, 7 febbraio 1996, n. 182, in Giur. it., 1996, III, 1, p. 354 ss.; Cons. St., sez. III, 9 agosto
1997, n. 1010, in Foro it., 1997, III, p. 264 ss.; Tar Veneto, sez. II, 12 agosto 1998, n. 1414, in
Riv. giur. amb., 1999, p. 364, con nota di S. Civitarese Matteucci; in Dir. e giur. agr., 1999, p.
110, con nota di DI SCIASCIO, E., Legittimazione delle associazioni ambientaliste e obbligo di
motivazione sugli strumenti urbanistici in materia di autorizzazione alla coltivazione di cave;
Tar Veneto, sez. I, 16 dicembre 1998, n. 2509, in Riv. giur. amb., 1999, p. 893, con nota di
MAESTRONI, A., Nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di impugnazione di provvedi-
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 207
menti di localizzazione di discariche; in Ragiusan, 2000, fasc. 189, p. 129; Tar Lombardia Bre-
scia, 19 settembre 2000, n. 696, in Riv. giur. amb., 2001, 639 ss., con nota di BELTRAME, S.,
Conferenza di servizi, valutazione di impatto ambientale e funzionalità della circolazione delle
informazioni sull’ambiente alla protezione dell’ecosistema; Cons. St., sez. VI, 26 luglio 2001, n.
4123, cit.; Tar Marche, 30 agosto 2001, n. 987, in Foro amm., 2001, p. 2485; Tar Lombardia,
sez. II, 6 dicembre 2002, n. 5093, cit.; Tar Marche, 29 agosto 2003, n. 980, cit.; Cons. St., sez.
IV, 9 novembre 2004, n. 7246, in Foro amm.-Cons. St., 2004, p. 3157; Tar Liguria, sez. I, 18
marzo 2004, n. 267, in Riv. giur. edil., 2004, I, p. 1444 ss., con nota di DAMONTE, R., Il T.A.R.
Liguria fa il punto sulla legittimazione a ricorrere in giudizio di un ente privato costituito a tu-
tela dell’ambiente; Cons. St., sez. VI, 20 maggio 2005, n. 2534, in Foro amm.-Cons. St., 2005,
p. 1557; Cons. St., sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760, in Riv. giur. amb., 2007, p. 360 ss., con
nota di ORLINI, F., Ancora sulla legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste:
quali limiti processuali e quali provvedimenti impugnabili; Cons. St., sez. IV, 14 aprile 2006, n.
2151, in Foro it., 2006, II, p. 449, con nota di DALFINO, D., Legittimazione e intervento in
causa delle associazioni ambientaliste; Cons. St., sez. V, 23 aprile 2007, n. 1830, in Resp. civ. e
prev., 2007, p. 1343 ss., con nota di POTO, M., Un semplice comitato di cittadini nulla può av-
verso la decisione di costruire una discarica. In senso contrario, v. però Cons. St., sez. VI, 16
luglio 1990, n. 728, in Riv. giur. amb., 1991, p. 90 ss.; Tar Trentino Alto Adige, 23 ottobre
1991, n. 161, in Riv. giur. amb., 1992, p. 905; Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 1992, n. 756, in
Cons. St., 1992, I, p. 1389 ss.; Tar Lazio, sez. II, 16 marzo 1993, n. 302, in Riv. giur. amb.,
1994, p. 275 ss.; Tar Molise, 21 dicembre 1995, n. 297, in TAR, 1996, I, 609; Cons. St., sez.
V, 10 marzo 1998, n. 278, in Foro it., 1998, III, p. 267 ss.; Cons. St., sez. IV, 11 luglio 2001,
n. 3878, in Foro it., 2003, III, p. 18 ss., con nota di V. Molaschi; in Riv. giur. amb., 2002, p.
751 ss., con nota di MAESTRONI, A., Associazioni ambientaliste e territorio. La legittimazione
delle associazioni ambientaliste all’impugnazione di atti urbanistici con valenza ambientale: il
contrasto interno al Consiglio di Stato e il criterio dello stabile collegamento come fonte di le-
gittimazione; Tar Marche, 23 novembre 2001, n. 1223, in Foro amm., 2001, p. 2963; Cons. St.,
sez. V, 5 dicembre 2002, n. 6657, in Riv. giur. amb., 2003, p. 781; Cons. St., sez. V, 17 luglio
2004, n. 5136, in Foro amm.-Cons. St., 2004, p. 2192; Tar Liguria, sez. I, 12 ottobre 2005, n.
1349, in Foro amm.-TAR, 2005, p. 3117.
208 CAPITOLO TERZO
96 Il riferimento è a Cons. St., sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, in Giur. it., 1970, III, 1, p.
193 ss., con nota di GUICCIARDI, E., La decisione del «chiunque»; per l’ampia riflessione aper-
tasi in dottrina a seguito della decisione v., oltre al contributo del Guicciardi appena citato,
SANDULLI, A.M., L’azione popolare contro le licenze edilizie, in Riv. giur. edil., 1968, II, p. 3 ss.;
SPAGNUOLO VIGORITA, V., Interesse pubblico popolare nella legge ponte per l’urbanistica, in Riv.
giur. edil., 1967, II, 398; TERESI, F., Considerazioni sull’azione popolare avverso le licenze edili-
zie e spunti di ricostruzione per l’azione popolare in genere, in Foro amm., 1971, III, 836 ss. Il
caso traeva origine dall’introduzione nel nostro ordinamento della legge del 6 agosto 1967 ed
in particolare da quanto previsto all’art. 10, comma 9, secondo il quale «chiunque può pren-
dere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto» e –
questo era il punto – «ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto
con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore gene-
rale e dei piani particolareggiati di esecuzione». Sul punto il giudice amministrativo presen-
tava una decisione in gran parte ambivalente. Essa, infatti, andava a porsi perfettamente a ca-
valiere tra vecchio e nuovo corso. Se, da una parte, infatti, era possibile riscontrare nella de-
cisione un atteggiamento ermeneutico di indubbia chiusura, dall’altra, non mancavano
importanti aperture verso il superamento delle concezioni tradizionali meramente individua-
listiche in punto di accesso al giudizio amministrativo. Nella prima prospettiva si muoveva di
certo quella parte della decisione volta a sciogliere l’interrogativo se la menzionata disposi-
zione introducesse un nuovo caso di azione popolare nel nostro ordinamento. La ricerca di
una risposta al quesito in questione conduceva, infatti, il giudice ad una perfetta inversione
dell’iter dimostrativo, ponendosi l’impossibilità di ricondurre la fattispecie indicata all’istituto
dell’azione popolare non come risultato, ma bensì come premessa dell’argomentazione. Il po-
stulato fondamentale era il seguente: «le azioni popolari […] sono, nel nostro ordinamento,
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 209
100 FERRARA, R., Interessi collettivi e diffusi - ricorso giurisdizionale amministrativo, cit.,
in particolare p. 497-498.
101 AGRIFOGLIO, S., Riflessioni critiche sulle azioni popolari come strumento di tutela de-
gli interessi collettivi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 181 ss.; BIAGINI, C., L’a-
zione popolare (e la tutela degli interessi diffusi), in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi, cit.,
p. 177 ss. ma anche in Cons. St., 1977, II, p. 862 ss.; BORGHESI, D., Azione popolare, interessi
diffusi e diritto all’informazione, cit., p. 259 ss., spec. p. 275 s.
102 Così, in particolare, BIAGINI, C., L’azione popolare (e la tutela degli interessi diffusi),
cit., p. 879 ss. A tal proposito rileva, d’altra parte, BORGHESI, D., Azione popolare, interessi dif-
fusi e diritto all’informazione, cit., p. 276, che, procedendo secondo le posizioni ricostruttive
tradizionali, è comprensibile «che l’a.p. non sia considerata come un punto, sia pure estremo,
cui può approdare l’azione ordinaria senza tuttavia rompere il normale schema della legitti-
mazione, ma piuttosto come un’azione oggettiva che ha alla base un interesse generale, co-
mune e indifferenziato e che perciò sfugge agli ordinati criteri di legittimazione, non presen-
tando, neppure ridotto ai minimi termini, l’ordinario collegamento tra l’azione e la situazione
soggettiva di chi la propone». «In buona sostanza – osserva efficacemente l’A. – se si ipotizza
un’utilizzazione dell’a.p. in materia di interessi diffusi, rappresentando i due termini secondo
la concezione della giurisprudenza maggioritaria, si ottiene il paradossale risultato di porre
delle azioni senza diritto a tutela di diritti senza azione e di considerare il cittadino legittimato
a proporre nell’interesse della collettività quella stessa azione che non può esperire a tutela del
proprio interesse». Ben si coordinano con queste osservazioni quelle avanzate da PROTO PI-
SANI, A., Nuovi diritti e tecniche di tutela, cit., p. 241. Si interroga infatti l’A.: «se il diritto fatto
valere con l’azione popolare è un diritto proprio ancorché inerente a un bene collettivo, che
bisogno c’è di discorrere di ammissibilità o no dell’azione popolare quasi che un simile diritto
di azione non esista prima della sua specifica, tipica, attribuzione in via legislativa?». E la ri-
sposta che ne consegue è decisamente risolutiva: «o il diritto, l’interesse protetto, alla stregua
del nostro ordinamento esiste davvero, ed allora il titolare del diritto ha il diritto di azione in
forza della clausola generale dell’art. 24, comma 1, Cost. – in forza del principio di atipicità del
diritto di azione –, senza necessità alcuna di fare ricorso allo schermo equivoco dell’azione po-
polare e peggio ancora alla necessità di una norma che conferisca in via tipica il diritto di
azione. O, invece, il diritto, l’interesse protetto, alla stregua del nostro ordinamento non esite,
ed allora il problema vero è quello tutto politico della giuridicizzazione dell’interesse: ed il ri-
chiamo all’azione popolare e all’esigenza del suo riconoscimento in via tipica, altro non è se
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 213
non l’evocazione di tale diverso problema […]». Ciò chiarisce – aggiungiamo – come in effetti
il richiamo dell’istituto non solo di per sé non offra nulla in più sul piano dell’effettività della
tutela dei singoli eventualmente legittimati ad invocare la protezione giurisdizionale del bene
collettivo, ma coltivi l’equivoco, non solo giuridico-formale – come esattamente osserva Proto
Pisani –, ma anche – per così dire – di sostanza, che il legittimato ad agire in via diffusa non
promuova l’azione per un interesse suo proprio. Ciò dimostra come il rinvio all’istituto dell’a-
zione popolare, sviluppatosi in un modello giurisdizionale fondato sulla dicotomica ed esclu-
siva contrapposizione tra interessi individuali-singolari e interessi pubblici-generali, risulti
privo di significato quantomeno sicuramente all’interno del processo civile e con grande pro-
babilità anche all’interno del processo amministrativo, in cui il rimando alla nozione, proprio
operandosi nel tentativo di cercare di far salve le prassi interpretative dominanti, specie in ma-
teria di interesse legittimo, nega lo stesso nucleo concettuale che si cerca di porre in risalto me-
diante l’apertura della legittimazione ai presunti attori popolari, ossia la titolarità individuale di
quegli interessi. In una prospettiva simile agli AA. citati in queste ultime note si colloca anche
la lettura avanzata da MADDALENA, P., Il diritto all’ambiente come fondamentale diritto dell’in-
dividuo ed interesse generale della collettività, in Cons. St., 1983, II, p. 427 ss., ma spec. p. 430.
Per questo A., infatti, stante il superamento della dicotomia pubblico-privato alla luce del det-
tato costituzionale, specie con riferimento al principio di sovranità popolare, l’interesse “col-
lettivo” o “diffuso” «è “pubblico” in quanto affidato alle cure di un Ente pubblico, ma è nello
stesso tempo “privato”, in quanto appartenente a tutti i singoli cittadini, che ne sono titolari in
quanto “singoli” ed in quanto “cittadini”». Da ciò deriverebbe, che a quest’ultimi spettino sia
gli strumenti di tutela riconducibili, come da tradizione, alla nozione del diritto soggettivo, sia
nuove forme di tutela consistenti nella possibilità di richiedere l’attuazione del diritto obiet-
tivo, scomparendo «l’interesse “formale” all’osservanza della legge» e subentrando – visto il
rapporto di appartenenza dello stesso interesse generale ai singoli – «al suo posto l’interesse
“sostanziale” all’attuazione concreta dell’ordinamento». Apparterrebbe quindi al singolo, os-
serva Maddalena, non un diritto individuale del cittadino, ma una mera azione, ossia il «diritto
di far valere il diritto obiettivo». Sull’articolata posizione di Maddalena, v. peraltro infra, cap.
IX, § 3.4.3.
214 CAPITOLO TERZO
103 Premettendo la considerazione già chiarita nel testo, e cioè che all’interno del filone
dottrinale individuato il problema è affrontato e risolto in senso implicito, ovvero come con-
seguenza delle scelte operate in sede di comprensione pregiuridica e poi di ricostruzione giu-
ridica degli interessi, possono richiamarsi le osservazioni proposte dagli AA. al contrario più
propensi a palesare le ragioni di una scelta favorevole all’attribuzione della legittimazione ad
agire anche ai singoli soggetti interessati. A tal proposito vanno ad es. richiamate in questa
sede le già note osservazioni di NIGRO, M., Le due facce dell’interesse diffuso, cit., spec. p. 12,
che rileva come la soluzione della legittimazione collettiva concentrata nelle mani degli enti
esponenziali sia ispirata alla «ideologia del controllo sociale» e vulneri l’aspirazione parteci-
patoria nonché il carattere dialettico dell’interesse diffuso. Nella medesima direzione si
orienta SCOCA, F.G., Interessi protetti (dir. amm.), cit., p. 15; ID., Contributo sulla figura del-
l’interesse legittimo, cit., p. 46, che, nell’evidenziare le questioni che inducono a privilegiare
l’opzione ricostruttiva favorevole alla legittimazione diffusa piuttosto che concentrata, rileva
come quest’ultima: a) «è di difficile attuazione, in quanto l’organizzazione del gruppo facil-
mente si pubblicizza, con la conseguenza che l’interesse diffuso rileverà semplicemente come
interesse pubblico»; b) «essa è peraltro anche poco opportuna, perché la figura soggettiva
espressa dal gruppo, per la forza delle cose, quanto più sarà formalizzata tanto più sarà in-
terprete meno autentica del modo di avvertire l’interesse da parte del gruppo stesso». Ancora
all’interno della dottrina amministrativistica, particolare interesse posseggono le osservazioni
critiche proposte nei confronti della configurazione giurisprudenziale dominante in materia
di tutela degli interessi collettivi (in senso proprio) nel processo amministrativo. Come
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 215
avremo occasione di esaminare con buona ampiezza (cfr. infra, nota 129), infatti, la giuri-
sprudenza amministrativa suole riconoscere la legittimazione ad agire a tutela dell’interesse
collettivo in senso proprio unicamente alle associazioni rappresentative della categoria di ri-
ferimento, escludendo invece quella dei singoli appartenenti alla medesima; sicché, in rela-
zione a questo filone giurisprudenziale ed in contrapposizione alle soluzioni diversamente ac-
colte in materia di legittimazione a tutela degli interessi diffusi (prima fra tutte la soluzione
accolta dalla decisione dell’Adunanza plenaria del 1979), si è acutamente osservato che «è
forse proprio sul terreno degli interessi collettivi che l’emarginazione del singolo appare più
stridente ed arbitraria, giacché non esiste alcuna ragione logico-giuridica – a parte, s’intende,
precise esigenze di economia processuale – che possa spingere a privilegiare il ricorso del-
l’organizzazione sindacale o dell’ordine professionale in luogo di quello del singolo allorché
la situazione giuridica soggettiva incisa dal provvedimento impugnato non sia riferibile in
modo nitido, e soprattutto esclusivo, all’ente esponenziale rappresentativo di interessi di
gruppo». Così, FERRARA, R., Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo),
cit., p. 499; ma nello stesso senso v. le osservazioni di CRESTI, M., Contributo allo studio della
tutela degli interessi diffusi, cit., p. 6-7. La dottrina da ultimo citata, infatti, pur accogliendo
la distinzione dottrinale e giurisprudenziale sussistente tra interessi sovraindividuali diffusi e
interessi sovraindividuali collettivi, ha rilevato tutta la problematicità insita in tale classifica-
zione, cogliendo esattamente il punto maggiormente critico della medesima, ovverosia la ten-
denza (vedremo infra, in quale misura presente) a configurare gli interessi di categoria in una
dimensione unitaria capace di recidere il legame tra interesse ed interessato reale. All’interno
della dottrina processualistica – la cui posizione complessiva emergerà chiaramente solo al
termine dello studio delle diverse propensioni ricostruttive concernenti anche i singoli e spe-
cifici procedimenti giurisdizionali rivolti a tutela di interessi lato sensu metaindividuali – la
questione è stata di recente oggetto di particolare attenzione da parte di LANFRANCHI, L., Le
animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, cit., XXI ss., secondo il quale «l’unico
porto sicuro d’arrivo per il riconoscimento effettivo degli interessi evocati dalla problematica
in esame è quello che è stato definito“modello soggettivo”», raggiungibile attraverso le «pos-
sibilità offerte innanzi tutto dall’interpretazione costituzionalizzante di molti istituti sostan-
ziali e processuali da sempre previsti per la tutela di pluralità omogenee di soggetti interessati
al medesimo bene-comportamento». Sempre secondo questa linea di pensiero l’A. critica
l’opposto modello «oggettivo», propenso al contrario a cogliere nel «momento organizzativo»
un ruolo effettivamente genetico dell’interesse collettivo; approccio, quest’ultimo richiamato,
valutato dall’autorevole dottrina ora richiamata effettivamente «paradossale» nella misura in
cui «capovolge il rapporto tra mezzo e fine nell’ottica di un esasperato presupposto ideolo-
gico». Ancora all’interno della dottrina processualcivilistica, cfr. la posizione di PROTO PISANI,
A., Nuovi diritti e tecniche di tutela, cit., p. 242 (ma anche precedentemente in Appunti preli-
minari per uno studio sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., p. 274 ss.), se-
condo il quale è bn possibile configurare due modelli normativi di tutela. E nello specifico,
«se il diritto di azione del garante – ossia, secondo la terminologia dell’A., l’ente rappresen-
tativo – non esclude il diritto di azione dei singoli […], si è in presenza o di un fenomeno di
legittimazione straordinaria (del tutto analogo ad es. a quello previsto dagli artt. 117 e 417
c.c. in tema di azione attribuita al pubblico ministero), o della creazione di una sovrastruttura
giuridica di un soggetto ulteriore cui imputare l’interesse collettivo giuridicamente protetto
senza però espropriazione alcuna del diritto soggettivo dei singoli». «Se, invece, – prosegue
Proto Pisani – il diritto di azione del garante esclude il diritto di azione dei singoli, allora –
piaccia o non piaccia questa soluzione – al giurista non resta che prendere atto che il processo
216 CAPITOLO TERZO
di lenta giuridificazione a livello di diritti soggettivi degli interessi pubblici generali non è an-
cora giunto a piena maturazione. In casi di questa specie il legislatore, parlando in termini di
diritto di azione, nella realtà escludendo il diritto di azione dei singoli, esclude il loro diritto
soggettivo sostanziale: se infatti una situazione soggettiva è riconosciuta a livello sostanziale
quale diritto soggettivo, il suo titolare non può essere privato del diritto di azione, del diritto
di agire a sua tutela. Ne segue che in ipotesi di tale specie si è alla presenza di una situazione
ibrida in cui ad un interesse collettivo non è attribuita più la mera rilevanza di interesse pub-
blico generale riferibile esclusivamente allo Stato, ma neanche la rilevanza di vero diritto sog-
gettivo; e questo è plasticamente evidenziato dalla circostanza che il potere discrezionale di
decidere se agire o no a tutela di tale interesse in caso di sua violazione o minaccia è attribuito
in via esclusiva al garante, che finisce in tal modo col porsi come “filtro” tra la norma gene-
rale astratta e la sua attuazione giurisdizionale». D’altra parte, è lo stesso A. ad aggiungere
che detta seconda soluzione ibrida «può essere accettata solo se si abbia consapevolezza del
suo carattere transitorio e se essa in tempi brevi si risolva nel pieno riconoscimento anche ai
singoli del diritto soggettivo sostanziale e quindi del diritto di azione», rilevando inoltre – in
relazione alla frequente considerazione secondo la quale la soluzione della legittimazione con-
centrata ovvierebbe ai rischi di paralisi processuale inerenti al modello della legittimazione
diffusa (si ricordi che già in Bonaudi veniva rilevata la questione; cfr. retro, cap. I, 2.1.2., spec.
nota 51) – che «a rilievi di tal genere il processualista deve rispondere con fermezza osser-
vando per un verso che il diritto di azione (eccezione fatta per forse per la tutela di valori su-
premi dell’ordinamento quale in corretto funzionamento della giurisdizione) non tollera filtri
preventivi di alcuna specie, per altro verso la disciplina delle obbligazioni indivisibili […] non
ha dato mai adito a quei rischi che si agitano come fantasmi contro l’unica soluzione davvero
coerente coi principi». Il punto qui appena esaminato attraverso le puntualizzazioni dottrinali
più significative, sarà chiaramente oggetto di riflessione accurata anche nel prosieguo del la-
voro (cfr. spec. cap. VI), d’altra parte, si può sin d’ora avanzare una considerazione per l’ap-
punto suggerita da quanto ora riportato, ovvero l’interrogativo se sia logicamente e giuridica-
mente possibile ritenere non rilevanti sul piano sostanziale gli interessi collettivi ritenuti ap-
partenenti ai singoli membri del gruppo allorché l’azione per la loro tutela sia attribuita ex
lege all’ente esponenziale. Il quesito è tutt’altro che peregrino, poiché se il quesito qui espo-
sto si risolvesse – come chiaramente deve essere risolto dando per buone le circostanze ap-
pena presupposte – nel senso della meritevolezza sostanziale di detti interessi, ecco che subito
rispunterebbe, in piena e doverosa applicazione dell’art. 24 Cost., il diritto di azione indivi-
duale. Ciò dovrebbe dimostrare due cose: l’importanza di comprendere la struttura degli in-
teressi (lato sensu) collettivi e l’intima incoerenza logico-sistematica della soluzione «ibrida»
menzionata da Proto Pisani allorché si acceda ad una certa nozione di interesse collettivo. Il
tema è efficacemente evidenziato anche da COSTANTINO, G., Contributo allo studio del liti-
sconsorzio necessario, cit., spec. p. 522, per il quale «il problema degli interessi collettivi è di
diritto sostanziale, ché si tratta di individuare le situazioni soggettive. Ma, una volta che que-
ste siano state individuate, non può negarsi la tutela giurisdizionale, perché la loro tutela può
essere anche assicurata dall’attività di organi amministrativi: se questi si attivano, tanto me-
glio; se, come di fatto avviene, restano inoperosi, i titolari degli interessi giuridicamente pro-
tetti devono avere la possibilità di rivolgersi al giudice».
104 La legittimazione collettiva (rectius, istituzionale; sul punto cfr. infra, cap. VI, § 4) si
ambito giurisprudenziale nuovamente nella nota decisione del Consiglio di Stato del 1979
prima citata. L’Adunanza plenaria, infatti, dopo aver determinato la legittimazione ad agire
dei singoli, in virtù della rinvenuta titolarità in capo ai medesimi di una posizione di interesse
legittimo, applicando il criterio dello stabile insediamento abitativo, esaminava la possibilità
di estendere la legittimazione ad agire anche ad associazioni rappresentative degli stessi sog-
getti interessati, trovandosi – peraltro – a dover risolvere preliminarmente la questione rela-
tiva alla necessità o meno della personalità giuridica in capo a soggetti collettivi ai fini del ri-
conoscimento della legitimatio ad processum. La questione, per tradizione giurisprudenziale
risolta in senso restrittivo, era stata poco prima oggetto di significative aperture. Relativa-
mente alle associazioni sindacali non riconosciute, infatti, il giudice amministrativo (cfr. Cons.
St., sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187 in Cons. St., 1978, I, p. 1759 ss.; per approfondimenti
v. CARULLO, A., Il sindacato e il processo amministrativo, in Riv. dir. lav., 1978, I, p. 125 ss.)
aveva già rilevato la necessità di rivedere l’orientamento teso a negare il difetto di legittima-
zione processuale di tali organismi, sostenendo di dover prendere atto della mutata «realtà
politico-sociale», sulla scorta del rilievo che le associazioni sindacali avevano oramai stabil-
mente acquisito in sede di contrattazione collettiva; questione quest’ultima da valutarsi
quindi come «giuridicamente rilevante» e non solo in termini di mero dato «metagiuridico».
Già in questa sede si era dunque osservato che «l’art. 26 t.u. n. 1054/1924 è stato formulato
in un momento storico diverso dall’attuale in cui prevaleva la considerazione individualistica
dell’interesse». Si osservava peraltro che, «superato […] dall’ordinamento […] lo stadio me-
ramente individualistico dell’interesse e riconosciuta la capacità di imputazione giuridica e di
agire anche ai soggetti sforniti di personalità giuridica (associazioni non riconosciute, con-
sorzi, società di fatto, ecc.), quest’ultima non si pone più come condizione necessaria e l’art.
24 Cost. va interpretato anche in coerenza con la norma costituzionale contenuta nell’art.
113». L’Adunanza plenaria, inserendosi nel medesimo solco con argomentazioni di rilievo ge-
neralmente riferibile a tutti gli enti rappresentativi privi della personalità giuridica, affermava:
«si deve […] ritenere che il riconoscimento governativo non sia né condizione sufficiente
della legittimazione sostanziale, e nemmeno presupposto necessario di quella processuale».
Se dunque la legitimatio ad processum doveva astrattamente riconoscersi anche alle associa-
zioni prive di personalità giuridica, l’interrogativo da doversi porre successivamente verteva
appunto sulla legittimazione ad agire: era il singolo membro della categoria a poter richiedere
la tutela o l’associazione rappresentativa della stessa? La risposta al quesito suonava come se-
gue: il «fatto che tale interesse, pur senza perdere il carattere dell’individualità, inerisca però
simultaneamente a tutti o a parte dei componenti di una collettività, non soltanto rende pos-
sibile, ma evidentemente agevola, ed anzi incoraggia siffatti fenomeni di aggregazione». Più in
particolare, con il richiamo all’art. 2 Cost., il giudice amministrativo, alla luce della garanzia
costituzionale dei diritti dell’uomo non solo come singolo, ma anche all’interno delle forma-
zioni sociali, giungeva a riconoscere l’accesso al giudizio, oltre che ai singoli legittimati, anche
alle formazioni sociali – sebbene prive di riconoscimento legale – che costituissero aggrega-
218 CAPITOLO TERZO
zione dei soggetti interessati valorizzando il momento organizzatorio degli interessi. Il per-
corso logico era dunque quello di individuare previamente i singoli soggetti legittimati e suc-
cessivamente ammettere alla tutela giurisdizionale gli stessi, non solo, tramite il ricorso indi-
viduale, ma anche mediante il ricorso in via associata. La legittimazione collettiva assumeva
quindi i contorni di una legittimazione derivata, ossia traente ragione e fondamento dalla pre-
via tutelabilità degli interessi in via individuale. La conseguenza, sotto altro profilo, era quella
di escludere la legittimazione degli enti rappresentativi – come nel caso di specie «Italia no-
stra» – che promuovessero la tutela dei medesimi beni nella loro dimensione astratta, non lo-
calizzata o comunque non localizzabile in un particolare ambiente naturale e ciò poiché,
come è evidente, in tale ipotesi, l’associazione veniva a perdere la funzione rappresentativa e
organizzativa dei soggetti appartenenti ad un determinato insediamento abitativo e con ciò la
possibilità di mutuare da tali soggetti la tutelabilità giurisdizionale dei loro interessi, presup-
posto imprescindibile per acconsentire l’accesso alla tutela di enti rappresentativi.
105 Esemplare, sul punto, è la posizione di GRASSO, E., Gli interessi della collettività e
l’azione collettiva, cit., p. 24 ss., la cui ricostruzione è, tra quelle qui in esame, una delle più
chiare e approfondite. Il presupposto alla luce del quale si muove l’A. è quello della «illimi-
tata libertà della norma nel conferire rilevanza alla realtà sociale, e di stabilire il modo in cui
questa diviene giuridicamente apprezzabile» (p. 36), presupposto accolto implicitamente an-
che da altri studiosi in materia (cfr. ad es. la posizione di Giannini), ma svolto da Grasso con
particolare ampiezza argomentativa. È questo il punto di partenza da cui muove l’A. per rile-
vare all’interno dell’ordinamento l’incontestabilmente diversa valutazione operata dal sistema
giuridico degli interessi collettivi rispetto a quelli individuali. L’appiglio esegetico sarebbe da
rinvenirsi nell’art. 32 della Costituzione, nel quale «la distinzione tra interesse (tutelato) del
singolo e interesse (anch’esso tutelato) della collettività, appuntati sullo stesso bene, è posta
nettamente» (p. 35). Da ciò, quindi, la conseguenza secondo la quale, «se l’ordinamento si li-
mita a normatizzare l’interesse della sola collettività come un corpo amorfo o come quid in-
determinabile non è possibile trarne conclusioni diverse a favore degli enti finiti ossia degli
individui che la compongono». Per Grasso, dunque, l’interesse della collettività deve essere
assunto come realtà oggettiva. Falsante sarebbe l’ottica proposta dalla dottrina al contrario
orientata a tutti i costi nel senso di soggettivare l’interesse collettivo. Questa tendenza costi-
tuirebbe per Grasso la risultante della tradizionale propensione della scienza giuridica verso
la soggettivazione degli interessi tutelati e la loro conseguente e necessaria traduzione in ter-
mini di situazioni giuridiche soggettive sostanziali. Come chiaramente si esprime Grasso, «l’i-
dea che l’ordinamento possa realizzarsi, proprio attraverso il processo, per l’azione di un sog-
getto che non sia titolare dell’interesse protetto, e addirittura per forza propria senza che die-
tro vi sia “alcun subietto giuridico, investito del compito di perseguirlo”, resta tuttora
estranea alla cultura giuridica contemporanea e, piuttosto che accettarla, si preferisce elevare
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 219
a soggetto la stessa generalità dei cittadini o la mitica figura del popolo». L’interesse collet-
tivo, quindi, non potrebbe essere imputato, né ai singoli membri della collettività (vista la di-
stinzione ontologica tra l’interesse individuale e l’interesse collettivo), né in capo alla colletti-
vità entificata, né in capo al gruppo organizzato o all’ente giuridico preposto a promuoverne
la tutela. In relazione a quest’ultima ipotesi, in particolare, l’A. rileverebbe la necessità di di-
stinguere tra l’interesse oggettivo della collettività e l’interesse, appartenente al soggetto col-
lettivo in quanto tale, al perseguimento dello scopo sociale. Quest’ultimo, costituzionalmente
tutelato se non illegittimo dall’art. 18 Cost., viene a costituire una «situazione giuridica sog-
gettiva che è una specificazione del generale diritto di libertà, e si risolve tutta nella possibilità
del gruppo di svolgere nella realtà socio-politica-economica attività comunque rivolta allo
scopo sociale» (p. 38-39). Visto però, osserva Grasso, che l’interesse perseguito è general-
mente quello di soddisfare l’interesse della comunità più ampia rispetto a quello del gruppo
organizzato, accade che si possa realizzare una sovrapposizione concettuale tra due entità che
al contrario devono rimanere distinte, ossia «l’interesse del gruppo (al perseguimento dello
scopo sociale e all’attività necessaria) che è una situazione soggettiva protetta, e l’interesse
della collettività al godimento del bene (anch’esso garantito, ma obiettivamente, dalla legge)».
«La confusione – evidenzia correttamente Grasso –, alimentata dall’idea ricorrente di un ente
“esponenziale”, quale porzione organizzata della collettività, è effetto della mancata perce-
zione di due entità giuridicamente apprezzabili, e ha avuto conseguenze decisive nello studio
degli interessi collettivi» (p. 39). Una prospettiva consimile a quella ora riportata la si trova in
CARRATTA, A., Brevi osservazioni sull’inibitoria a tutela di consumatori e utenti, in Giusto pro-
cesso civile e procedimenti decisori sommari, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2001, p. 119 ss.,
spec. p. 135; ID., Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 79 ss.,
ma spec. p. 102 ss. e poi p. 126.
106 Esemplare sul punto è la giurisprudenza amministrativa dominante in materia di tu-
tela giurisdizionale degli interessi collettivi in senso proprio, su cui, amplius, v. infra, in nota
e nel testo.
107 La strada è evidentemente quella proposta da Giannini, la cui posizione è già stata
108 Sul punto, v., per tutti, VIGORITI, Interessi collettivi e processo, cit., passim, la cui po-
sizione riguardo la nozione di interesse collettivo è stata già esaminata retro, nel testo ed in
nota, mentre, per ciò che attiene alle più specifiche problematiche relative alla legittimazione
e al trattamento processuale in materia di controversie collettive, v. infra, nel testo ed in nota.
109 Diciamo «tendenziale» per il fatto che in parte della dottrina che andremo ad esa-
minare, ovvero in quella traente ispirazione dalla disciplina delle class action nord-americane,
il privilegio accordato alla legittimazione concentrata in capo ad associazioni rappresentative,
non è una conseguenza di principio (ed in quanto tale assoluta), ma risponde per lo più ad
una scelta di opportunità.
110 Una rilevante eccezione la si trova in CARRATTA, A., in Profili processuali della tutela
degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 133. Se l’A., infatti, come già visto, sostiene, da un
lato, la tesi della distinzione ontologica dell’interesse collettivo rispetto a quello individuale
(v. p. 102 ss.), dall’altro, ritiene comunque doversi ammettere che, in caso di inerzia da parte
delle associazioni rappresentative, «non vi siano plausibili ragioni – una volta che si riconosca
la configurabilità degli interessi collettivi e diffusi come situazioni giuridiche superindividuali
rilevanti per l’ordinamento concorrenti con i diritti soggettivi e gli interessi legittimi dei sin-
goli – per negare il diritto ad agire in giudizio (costituzionalmente garantito) all’appartenente
alla categoria alla quale pertiene il tutelando interesse collettivo e diffuso. Ed anzi, non pos-
sono non far sorgere legittimi dubbi di conformità proprio con la garanzia costituzionale del
diritto di azione previsioni legislative che espressamente privino i singoli […] del potere di
agire in giudizio […] anche per la tutela […] dell’interesse collettivo e diffuso configurabile
in capo alla categoria alla quale essi appartengono».
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 221
che sotto il profilo teorico possono agevolare una visione più dinamica
dei diversi nessi di corrispondenza sussistenti tra premesse concettuali di
volta in volta accolte e conseguenze interpretative raggiunte.
Così operando è possibile individuare all’interno della dottrina pro-
pensa alla raffigurazione unitaria dell’interesse sovraindividuale ben
quattro indirizzi ricostruttivi.
111 Sul tema delle class actions, nella letteratura italiana, v., oltre agli AA. che richia-
miamo in questo stesso paragrafo, soprattutto l’ampio lavoro monografico di GIUSSANI, A.,
Studi sulle «class actions», Padova, 1996, cui adde: TARUFFO, M., I limiti soggettivi del giudi-
cato e le «class actions», in Riv. dir. proc., 1969, p. 609 ss.; PATTI, S., L’esperienza delle «class
actions» in due libri recenti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, p. 1559 ss.; VIGORITI, V., Interessi
collettivi e processo, cit., p. 251 ss.; DONDI, A., Funzione «remedial» delle «injunctive class ac-
tions», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 245 ss.; GIUSSANI, A., Le «mass tort class actions»
negli Stati uniti, in Riv. crit. dir. priv., 1988, p. 331 ss.; ID., Un libro sulla storia della «class ac-
tion», in Riv. crit. dir. priv., 1989, p. 171 ss.; ID., La prova statistica nelle «class actions», in Riv.
dir. proc. civ., 1989, p. 1029 ss.; CONSOLO, C., «Class actions» fuori dagli USA? Un’indagine
preliminare sul versante della tutela dei crediti di massa: funzione sostanziale e struttura pro-
cessuale, in Riv. dir. civ., 1993, I, p. 609 ss.; RESCIGNO, P., Sulla compatibilità tra il modello pro-
cessuale della «class action» ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, cit.,
p. 2224 ss.; CORAPI, D., La tutela dei consumatori e degli investitori nel diritto statunitense:
«class actions» e «derivative suites», in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e dif-
fusi, cit., p. 145 ss.; TARUFFO, M., Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in
La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 53 ss., ma spec. p. 57 ss.;
GIUGGIOLI, P.F., «Class action» e azioni di gruppo, Padova, 2006. Sull’argomento, anche per
ulteriori riferimenti, v. infra, cap. VI, §§ 5.1. ss. ma v. anche cap. X, § 3.3.
222 CAPITOLO TERZO
112 Per la definizione di azione collettiva in senso proprio v., per tutti, DENTI, V., Inte-
ressi diffusi, cit., p. 312; e poi, con maggior ampiezza di argomentazioni, ID., Profili civilistici
della tutela degli interessi diffusi, cit., p. 48. In questo scritto, infatti, l’A. avanza una serie di
precisazioni assai utili ai fini del nostro studio, per conseguire risultati condivisibili anche
nella prospettiva, tanto cara al giurista, propriamente definitoria. Stando a questa dottrina l’a-
zione collettiva in senso proprio sarebbe quella idonea, ponendosi su un piano di analisi fun-
zionale, a far emergere la dimensione collettiva della controversia, specie al fine di estendere
la cognizione del giudice alle reali dimensioni della causa, in particolare in riferimento all’a-
spetto istruttorio. Sebbene quindi – osserva Denti – l’uso dell’espressione in esame, invalso
nella prassi, tenda a riferire la nozione prevalentemente alle azioni promosse da gruppi o as-
sociazioni a tutela degli interessi collettivi in senso proprio, in realtà il suo utilizzo può ben
essere esteso, viste le affinità di materia, anche alla tutela degli interessi propriamente diffusi
(che per l’A. in esame – lo si ricorda – si differenziano dai primi per il difetto di carattere cor-
porativo). Questa scelta lessicale dovrebbe, quindi, caratterizzare le azioni promosse da parte
degli enti esponenziali relativamente ad entrambe le tipologie di interesse. Ed in particolare
dovrebbe essere preferito a diverse formule viceversa privilegiate all’estero, tra cui, in primis
la formula delle «azioni pubbliche», utilizzabile in sistemi, come quello nord-americano in cui
il concetto di interesse pubblico – ed in ciò l’A. rimarca correttamente una distinzione troppo
frequentemente oscurata dalla nostra dottrina – equivale a quello di interesse generale. Ma,
precisa Denti, «l’azione a tutela di interessi diffusi è azione collettiva anche quando è fatta va-
lere del singolo portatore dell’interesse, e non soltanto quando è promossa dal gruppo o dal-
l’associazione: il termine designa quindi, non l’aspetto soggettivo, bensì l’aspetto oggettivo
della domanda di tutela, e pone l’esigenza di una dimensione collettiva del processo, attra-
verso la possibilità di ampliamento del contraddittorio» (c.vo mio). Che il significato più
profondo sotteso a questo orientamento sia la necessità di concepire strumenti di tutela ca-
paci di far emergere la dimensione collettiva del conflitto risulta confermato anche dalle os-
servazioni di CAPPELLETTI, M., Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o dif-
fusi, cit., p. 202, che, in relazione all’auspicabile accoglimento nel nostro sistema processuale
della figura del «pubblico ministero privato», non esclude che detto istituto possa trovare at-
tuazione sia «a livello individuale», sia «a livello associazionistico»; nello stesso senso, con
ampiezza di esempi mutuati dal diritto straniero, cfr. ID., Formazioni sociali e interessi di
gruppo davanti alla giustizia civile, cit., p. 380 ss., riguardo a organismi pubblici specializzati,
e p. 385 ss., riguardo ad altre opzioni relative a soggetti privati individuali o collettivi. Ma per
una più precisa esposizione della prospettiva seguita dall’A. qui richiamato cfr. la nota che se-
gue. Diversamente da quanto sostenuto da Denti, comunque, la dottrina che successivamente
nei diversi ambiti tratterà il tema della tutela giurisdizionale degli interessi sovraindividuali
tenderà a riferirsi all’«azione collettiva» come all’azione assegnata di volta in volta dal legisla-
tore alle associazioni legittimate, dando, dunque, l’apparenza di una concezione fondamen-
talmente soggettiva della stessa (ovvero intenzionata unicamente a rilevare l’attribuzione del
potere di azione ad un soggetto collettivo) ma al contrario, nella sostanza, celando una con-
cezione di detta azione tutta fondata sulla distinzione ontologica dell’interesse collettivo ri-
spetto l’interesse individuale. Cfr., ad esempio, CAPPONI, B., Diritto comunitario e azioni di in-
teresse collettivo dei consumatori, in Foro it., 1994, IV, p. 439 ss., spec. p. 449, ove si afferma:
«l’azione collettiva […] non può essere confusa con la class action del diritto nordamericano:
in quest’ultimo sistema, il soggetto che il giudice riconosce legittimato ad agire dà impulso ad
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 223
un procedimento destinato a produrre effetti per l’intera classe, senza che abbia rilevanza
concreta la distinzione tra interesse “individuale” e interesse “collettivo”; il sistema dell’a-
zione collettiva nasce invece proprio dalla distinzione tra interesse individuale del singolo
(che può coincidere, ma non necessariamente coincide, con quello della collettività) e inte-
resse collettivo (o diffuso, superindividuale, ecc.) del gruppo organizzato».
113 Sul punto, in particolare, v. CAPPELLETTI, M., Appunti sulla tutela giurisdizionale di
interessi collettivi o diffusi, cit., p. 199 ss., di cui l’espressione cit., nel testo (p. 200), sulla scia
del fondamentale saggio di JAFFE, L.L., The Citizen as Litigant in Pubblic Action: the Non-
Hohfeldian or Ideological Plaintiff, 116 U. Pa. Law Rev. 1033 (1968). Cfr., poi, ancora CAP-
PELLETTI, M., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla giustizia civile, cit., p. 373 ss.;
DENTI, V., Relazione introduttiva, cit., p. 15 ss., per il quale il problema della tutela giurisdi-
zionale degli interessi collettivi appare «probabilmente insolubile» se impostato in termini di
legittimazione processuale. La strada indicata dall’A., sin da questo primo momento del di-
battito ed in relazione alle prime esperienze dottrinali in materia di azione per la repressione
della condotta antisindacale, è quella di evitare l’applicazione dei tradizionali istituti (diritto
soggettivo, sostituzione processuale, aut similia) e di scrutinare le feconde opzioni ricostrut-
tive che possono emergere dallo studio delle azioni pubbliche e dal concetto di mera azione;
ID., Interessi diffusi, cit., p. 312; ID., Interessi diffusi e controllo sulla legittimazione, in Le
regioni, 1983, p. 540, con particolare riferimento alla giurisprudenza amministrativa e alla di-
stinzione concettuale tra individuazione dei legittimati e determinazione della posizione di
interesse legittimo in capo all’ente rappresentativo; ID., Profili civilistici della tutela degli inte-
ressi diffusi, cit., p. 48 ss. Cfr. anche, ZANUTTIGH, L., Intervento, cit., p. 312; ID., La tutela de-
gli interessi collettivi, cit., p. 71 ss. (di cui v. anche, per ciò che attiene questa precisa que-
stione, ID., Diritto all’ambiente e tutela giurisdizionale in Riv. dir. proc., 1979, p. 720 ss., ma
spec., 360-361; ID; Legittimazione e danno nell’azione di parte civile degli enti esponenziali, in
Studi in onore di E.T. Liebman, IV, Milano, 1979, p. 2744 ss.); TARUFFO, M., Intervento, cit.,
p. 333.
114 Nel testo si riporta in corsivo l’espressione «titolarità esclusiva» non solo per con-
115 È in questa sede che, secondo questa dottrina – cfr. gli AA. cit., alla nota precedente
– dovrebbe trovare massima applicazione la funzione di «supplenza giudiziale», chiamata a
valutare, caso per caso, il requisito dell’adeguata rappresentatività. Specie in questo segmento
della progressione logico-ricostruttiva – ossia la determinazione dei legittimati ad agire – si
apprezza quindi l’influenza dell’esempio nord-americano delle class actions nell’orientamento
in esame. Non è un caso che questa tesi abbia trovato intenso svolgimento – come accennato
– specie nella prima fase del dibattito in materia; periodo in cui la linea seguita dal legislatore
nel disciplinare questo delicato aspetto processuale, era – tanto nel processo civile che ammi-
nistrativo – ben lungi dall’apparire chiaramente. È lo stesso DENTI, V., L’idea di codice e la
riforma del processo civile, cit., p. 105, infatti, che, in relazione alla opportunità di risolvere at-
traverso l’intervento legislativo le delicate questioni sostanziali e processuali che ineriscono
alla materia in esame ed in relazione alla già rilevata preferenza dell’A. per una normazione a
carattere generale piuttosto che settoriale, rileva il rischio di pervenire all’individuazione dei
legittimati in via di predeterminazione legale. Si evidenzia a tal proposito che «la ragione di
questi filtri preventivi sta nell’esigenza di controllare la serietà dell’agire delle associazioni, ma
il risultato che ne consegue è un rafforzamento dell’iniziativa di impresa, o del potere del
contraente forte». Ugualmente in Profili civilistici della tutela degli interessi diffusi, cit., p. 53.
Ancora esplicitamente per la verifica della rappresentatività «in concreto» e non per prede-
terminazione legislativa, v. CAPPELLETTI, M., Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi col-
lettivi o diffusi, cit., p. 204-205. Contra, GRASSO, E., Gli interessi della collettività e l’azione
collettiva, cit., p. 32, nota 30, per il quale, «nel nostro ordinamento non v’è norma che con-
senta al giudice di conferire caso per caso al gruppo la legittimazione ad agire nell’interesse
della collettività, secondo un suo “prudente apprezzamento”»; particolarmente perplesso
circa questa possibilità anche TROCKER, N., Interessi collettivi e diffusi, cit., p. 7; ID., Gli inte-
ressi diffusi e la loro tutela, cit., p. 211; con ampiezza di riflessione, VIGORITI, V., Interessi col-
lettivi e processo, cit., a p. 225 ss.; aperto ad entrambe le opzioni, PROTO PISANI, A., Appunti
preliminari per uno studio sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., p. 275.
116 La questione può prestarsi a fraintendimenti. Sul punto si tenga presente quanto
scrive CAPPELLETTI, M., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla giustizia civile, cit.,
p. 374: «l’individuo, “personalmente leso”, legittimato ad agire esclusivamente per la ripara-
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 225
zione del danno da lui subito, non è in grado di assicurare né a se stesso né alla collettività
un’adeguata tutela contro violazioni di interessi collettivi; non è in grado soprattutto, di mo-
nopolizzare tale tutela, la quale assume caratteristiche del tutto particolari e un’importanza
sconosciuta finora nella storia del diritto» (c.vo mio). «Si prenda il caso del consumatore –
continua la dottrina in esame – che debba proteggersi contro violazioni prodotte in serie, “a
catena”, da una grande industria. Il danno da lui personalmente subito sarà, normalmente,
troppo esiguo per incoraggiarlo ad agire contro un così potente avversario; e in ogni caso l’e-
ventuale condanna, limitandosi al danno subito da qualcuno soltanto fra migliaia o milioni di
danneggiati, sarà priva di un’efficace conseguenza, preventiva o repressiva, nei confronti del
danneggiante ed a vantaggio della collettività. Il consumatore isolato, da solo, non agisce; se
lo fa è un eroe; ma soltanto se è legittimato ad agire non meramente per sé, ma per l’intero
gruppo di cui è membro, tale “eroe” sarà sottratto al ridicolo destino del Don Chisciotte in
vana quanto patetica lotta contro i mulini a vento. Gli eroi di oggi […] sono coloro, cioè, che
sanno organizzare sul piano della lotta di gruppo la difesa degli interessi diffusi, collettivi, me-
taindividuali, riuscendo a piegare le tradizionali strutture individualistiche di tutela – tra cui
quelle giudiziarie – a bisogni nuovi, tipici delle moderne società “di massa”». Il passo appena
riportato rappresenta con particolare chiarezza l’iter logico seguito da questa parte della dot-
trina. L’azione individuale, se limitata agli effetti «individuali», è sostanzialmente inutile ai fini
collettivi e comunque praticamente poco vantaggiosa anche per il singolo. L’azione collettiva
– ossia quella rivolta a dedurre in giudizio l’intera violazione prodotta e dunque il globale in-
teresse alla repressione del comportamento antigiuridico – è l’unica capace di far emergere il
nucleo collettivo della controversia. D’altra parte, quest’ultima, non può essere attribuita in
«monopolio» al singolo – altrimenti inesorabilmente destinato a destini poco felici (v. Don
Chisciotte) – ma necessariamente a soggetti – quelli collettivi-associativi appunto – in grado
di impostare il conflitto come «lotta di gruppo». Sul punto, v., in particolare, anche DENTI,
V., Relazione introduttiva, cit., p. 15 ss.; ID., Interessi diffusi, cit., 312; ID., Profili civilistici
della tutela degli interessi diffusi, cit., p. 48 ss. In definitiva ciò che in termini di principio
deve essere escluso in materia di azioni collettiva, sembra essere, secondo questi AA., il fram-
mentamento della controversia in tanti rapporti bilaterali, ossia in giudizi aventi ad oggetto il
singolo interesse individuale e non tutto il fascio di interessi. In questa prospettiva, quindi, la
legittimazione individuale sembra essere esclusa solo se intesa nei termini appena esposti, ma
non nel senso della possibile deduzione da parte del singolo di tutto il fascio di interessi. Su
questo piano, invece, opera il requisito di adeguata rappresentatività, che pone seri ostacoli
pratici a che il singolo consegua la legittimazione nell’interesse di tutti. In conclusione, nelle
teorie appena esposte, l’esclusione del singolo dal processo non discende direttamente e pu-
ramente da un’applicazione dei principi, ma piuttosto deriva dalle ragioni di opportunità che
l’applicazione di detti principi porta con sé. Come vedremo tra breve, diversamente è da dire
in relazione alle tesi (in particolare quella di Vigoriti) in cui al requisito dell’adeguata rappre-
sentatività si affianca il fattore organizzatorio. Quest’ultimo, infatti, coordinandosi al princi-
pio della adeguata rappresentatività, si presenta in grado di escludere, anche su un piano più
propriamente teorico, la legittimazione del singolo interessato. Sul punto, v. infra, § 3.4.1.4.
Indipendente da tale distinguo, comunque, in relazione alle tesi, qui richiamate, sensibili al-
l’influenza delle esperienze nordamericane è possibile sollevare due diversi motivi di critica.
In primo luogo questo orientamento non tiene in adeguata distinzione le controversie pro-
226 CAPITOLO TERZO
priamente collettive da quelle collettive in senso improprio, ovvero da quelle non relative alla
lesione di un interesse collettivo, ma di tanti consimili interessi individuali-esclusivi. Gran
parte delle considerazioni svolte, infatti, possono valere più per le controversie collettive ri-
sarcitorie che per le controversie collettive inibitorie. In altri termini, non è stata prestata la
necessaria attenzione nel tener ferme le differenze funzional-strutturali che separano le due ti-
pologie di liti ora indicate. Sul punto avremo occasione di soffermarci in uno stadio più avan-
zato del nostro lavoro e pertanto rinviamo a quella sede ulteriori considerazioni esplicative
concernenti la questione ora sollevata (cfr. infra, cap. VI, § 5.1.). L’altra ragione di critica è
anch’essa relativa al piano del metodo ed è riferita alla tendenza – presente sovente nelle tesi
propense a configurare l’interesse collettivo in termini unitari – a risolvere le problematiche
che attengono alla gestione processuale delle controversie collettive sul piano dei rapporti tra
diritto e processo, operando – così – una perfetta inversione dell’itinerario ricostruttivo più
corretto, che vede al primo posto l’acquisizione della dovuta certezza sulla natura e sulla
struttura dell’interesse tutelato per poi adeguare ad esso il meccanismo processuale. È in
ballo lo stesso fondamentale principio di strumentalità del diritto processuale a quello so-
stanziale. Principio che impone che il processo segua le ragioni della sostanza e non viceversa.
Tutte le considerazioni inerenti alla indubbia difficoltà di concepire un processo a misura di
controversie collettive sono sicuramente fondate, ma non possono portare oltre il dovuto, ov-
verosia nella direzione di anteporre le ragioni del processo alle ragioni degli interessi tutelati,
cioè risolvendosi in una chiusura sul fronte della legittimazione ad agire, ovvero sul fronte
della tutelabilità stessa dei propri interessi.
117 GRASSO, E., Gli interessi della collettività e l’azione collettiva, cit., p. 45.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 227
della collettività e l’azione collettiva, cit., p. 43-44, riguardo alla legittimazione dell’ente espo-
nenziale. «La legittimazione ad agire per la tutela del diritto di perseguire il fine sociale non
228 CAPITOLO TERZO
può essere confusa con la legittimazione ad agire per la tutela dell’interesse della collettività»;
infatti, mentre la prima rappresenta una «naturale legittimazione del gruppo», la seconda è
concepibile solo alla condizione che l’agente ne sia investito «in forza di una specifica legitti-
mazione originaria», attribuita ex lege da una altrettanto «specifica previsione normativa».
120 FAZZALARI, E., Istituzioni di diritto processuale, cit., p. 285.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 229
quello di condurlo alla categoria, a seconda dei casi, del diritto soggettivo
o dell’interesse legittimo; posizioni giuridiche questa volta non più –
come nelle tesi favorevoli alla configurazione dell’interesse collettivo
quale semplice aggregato di più entità distinte – di titolarità dei singoli
soggetti facenti parte il gruppo interessato, ma direttamente dell’ente
esponenziale legittimato.
Si noti, quindi, come questa opzione ricostruttiva, sebbene sul piano
più puramente formale possa apparire assai distante dall’ultima tesi esa-
minata, specie per l’operazione di sostanzializzazione dell’interesse tute-
lato, al contrario le si rivela assai prossima sotto il profilo funzionale. An-
che in questa posizione ricostruttiva, infatti, si realizza, tanto l’effetto di
recisione tra membri della collettività di riferimento e interesse giuridica-
mente tutelato, quanto l’instaurazione di un collegamento «artificiale», di
natura esclusivamente legale, tra legittimato ed interesse materiale.
L’attribuzione della legittimazione in via legale ad un ente rappre-
sentativo è letta da questi due orientamenti come uno strumento di cui
l’ordinamento si serve per creare un ponte tra interesse e titolare del di-
ritto di azione: nel primo, poi, la traduzione formale del fenomeno passa
per il richiamo del concetto di mera azione; nel secondo, invece, l’attri-
buzione del diritto di azione è interpretata come riflesso processuale
della previa titolarità di una posizione sostanziale soggettiva.
121 BIANCA, C.M., Note sugli interessi diffusi, cit., p. 70-71, per il quale «è artificioso ne-
123 Per tutti, v. la posizione di Giannini, ampliamente esaminata retro, nel testo ed in
nota. Il principio dell’imputazione dell’interesse individuale ad un soggetto idoneo a rappre-
sentarlo e a determinarne la soggettivazione ha trovato applicazione anche nelle teorie che,
sebbene all’interno di una diversa cornice ricostruttiva, hanno comunque ritenuto opportuno
imputare l’interesse sovraindividuale, ed in particolare quello diffuso, o direttamente in capo
a soggetti pubblici, o in capo a soggetti riconosciuti dallo Stato quali idonei a promuoverne
la tutela in affiancamento ai pubblici poteri. Questa opzione interpretativa, che costituisce in
un certo senso la variante pubblicistica della tesi esposta nel testo, è caratterizzata da una
profonda affinità concettuale con le tesi appena esposte. Come in queste l’interesse sovrain-
dividuale è concepito in senso unitario, ossia privilegiandone la dimensione globale a scapito
di quella particolare e, ancora come in queste, l’interesse viene ad essere imputato ad un sog-
getto collettivo che, in virtù di questo processo di sua assunzione a centro di riferimento giu-
ridico dell’interesse, ne diviene titolare formale e gestore. Ciò che cambia è la natura dell’ente
portatore. La strada seguita da queste tesi, infatti, è forse la più tradizionale delle tradizionali,
ossia si rivolge nel senso di imputare l’interesse della collettività, generale, diffuso, indifferen-
ziato ecc. direttamente a soggetti pubblici. Nella prospettiva appena esposta v. ancora GIAN-
NINI, M.S., nel Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, in Foro it.,
1979, V, p. 289 ss., nonché in Foro amm., 1979, p. 2667 ss., ma spec. p. 2695 s., relativamente
alla costituzione di «associazioni di interesse nazionale», nonché il d.d.l. Spadolini del 19 ago-
sto 1981, su cui cfr. anche CARAVITA, B., Materiali legislativi sulla tutela degli interessi diffusi e
collettivi, in Riv. crit. dir. priv., 1985, p. 115 ss., ma spec. p. 121. Per un imputazione dell’in-
teresse sovraindividuale direttamente a soggetti pubblici ed in particolar modo agli enti pub-
blici territoriali tra cui in primis il comune, v. spec. ANGIULI, A., Interessi collettivi e tutela giu-
risdizionale, cit.; lavoro, quest’ultimo richiamato, in cui l’A. muove severa critica agli orienta-
menti tendenti a trovare spazi di giustiziabilità degli interessi sovraindividuali mediante
operazioni interpretative di adattamento delle situazioni giuridiche soggettive e ciò in parti-
colar riferimento alla nozione di interesse legittimo e ai criteri di determinazione del mede-
simo, ovvero i requisiti di differenziazione e qualificazione dell’interesse tutelato. Sotto il
primo profilo, infatti, si osserva come «gli stessi procedimenti proposti in sede dottrinaria e
giurisprudenziale per la soggettivizzazione del c.d. interesse diffuso non sempre appaiono
soddisfacenti: quest’ultimo, infatti, il più delle volte – rileva appunto Angiuli (p. 86) – si
confonde con l’interesse pubblico generale, di tal che la sua riferibilità ad un individuo […]
presuppone un processo di “privatizzazione” che mal si concilia con la natura pubblica del
bene tutelato». Sotto il secondo profilo, invece, quello della qualificazione (v. in particolare p.
90-93), si osserva che l’«imputazione (o imputabilità) ad un soggetto dell’ordinamento, del
c.d. interesse diffuso […] non è, tuttavia, sufficiente a far sorgere una situazione giuridica au-
tonomamente azionabile dinanzi al giudice amministrativo. Nessuno dubita che il singolo sia
titolare dell’interesse che condivide con gli altri della collettività più o meno ampia di cui fa
parte; così come, del pari, nessuno dubita che l’interesse “esposto” da una formazione sociale
sia proprio di quest’ultima, poiché da essa assunto tra le proprie finalità ed in fatto perse-
guito. Ma trattasi – come ognun vede – di interessi di mero fatto, la lesione dei quali non le-
gittima i titolari a promuovere un giudizio amministrativo». La questione a cui – insomma –
i diversi tentativi di adattamento dei concetti tradizionali non darebbero risposta rimarrebbe
proprio quella concernente la «giuridica rilevanza» dell’interesse. È svolgendo questa linea di
pensiero, dunque, che la dottrina ora in esame si indirizza verso lo studio della disciplina giu-
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 231
ridica degli enti pubblici territoriali ed in particolare verso lo studio della disciplina degli isti-
tuti maggiormente caratterizzati dalla valenza sovraindividuale degli interessi tutelati: la difesa
dei diritti di uso civico, della c.d. proprietà pubblica collettiva, dei diritti di uso pubblico. Ciò
che comunque interessa sotto il profilo più squisitamente teorico che qui si intende lumeg-
giare, non sono tanto o solo le soluzioni concretamente ritenute preferibili (azione attribuita
all’ente territoriale ed eventualmente in via surrogatoria dal singolo interessato in caso di
inerzia del soggetto pubblico), ma la strada seguita per conseguirle. Ammessa, infatti, la rife-
ribilità degli interessi collettivi esaminati anche ai singoli cives, Angiuli, per un verso (p. 162),
non si sottrae all’ammettere serie «perplessità esistenti in ordine alla giuridica possibilità di
configurare come autonomo soggetto di diritti una collettività al più individuabile alla stregua
di criteri meramente sociologici» e, dall’altro (p. 163), afferma «la sostanziale identità tra la
universitas degli utenti e l’ente collettivo di diritto pubblico costituito per l’amministrazione
e la tutela degli interessi collettivi». «Quest’ultimo, infatti, – afferma con particolare chiarezza
Angiuli – altro non è se non la struttura organizzatoria della prima, interprete qualificato e
“portavoce” di interessi che si manifestano nel mondo esterno soltanto attraverso l’associa-
zione […] entificata» (c.vo mio). Si realizza, come ben vedremo nel prossimo capitolo, quella
sorta di trasposizione concettuale in virtù della quale: a) l’interesse collettivo è concepito
nella sua visione unitaria e non aggregata; b) detto interesse è imputato alla categoria, intesa
come universitas; c) la categoria è assunta come sostanzialmente coincidente con l’ente giuri-
dico espressione organizzatoria della medesima o, più correttamente, di una parte di essa. La
sequenza logica appena esposta è tanto chiara in Angiuli quanto nella tesi – più articolata sul
punto specifico, ma non per questo meno criticabile – avanzata da Garofalo in materia di
procedimento per la repressione della condotta antisindacale in riferimento – chiaramente –
alla posizione dell’associazione sindacale legittimata (sul punto v. infra, cap. VII, § 3.1.). Non
è casuale, ma al contrario è perfettamente congruo alle premesse, anche l’approdo ricostrut-
tivo espresso in punto di qualificazione formale della posizione processuale dell’ente pub-
blico. Si osserva infatti (p. 163 s.) che, «in una situazione giuridica così caratterizzata, ricor-
rere agli schemi propri della sostituzione processuale per spiegare il fondamento della legitti-
mazione dell’ente di diritto pubblico ad agire in giudizio a tutela dell’interesse collettivo
all’uso civico sembra, in realtà, eccessivo. Nella fattispecie in argomento non appaiono, in-
fatti, nettamente distinguibili due soggetti giuridici […]». La conclusione è, dunque, rappre-
sentata dal ritenere che l’interesse sostanziale dedotto in giudizio sia di titolarità propria del-
l’ente, poiché assunto quale suo fine istituzionale ed in quanto «pertinente simultaneamente
all’intera comunità che costituisce il substrato personale dell’ente». Ancora nel senso della
pubblicizzazione dell’interesse sovraindividuale si tenga presente in giurisprudenza la posi-
zione assunta a cavallo tra anni Settanta ed Ottanta dalla Corte dei conti in materia di danno
ambientale. Cfr., ad es. C. conti, sez. I, 15 maggio 1973, n. 39, in Foro amm., 1973, I, p. 247
ss.; C. conti, sez. I, 20 settembre 1975, n. 108, in Foro it., 1977, III, p. 349 ss.; C. conti, sez.
I, 8 ottobre 1979, n. 61, in Foro it., III, p. 593 ss.; C. conti, sez. I, 18 settembre 1980, n. 86,
in Foro it., 1981, III, p. 167 ss.; C. conti, sez. I, 22 maggio 1982, n. 10, in Riv. Corte dei conti,
1982, I, p. 89 ss. In dottrina, su questo orientamento giurisprudenziale, v. la sintesi di CARA-
VITA, B., Corte dei conti e interessi diffusi. Un caso di interpretazione estensiva, in Dem. dir.,
1982, fasc. 3, p. 41 ss.; v. inoltre (oltre ai numerosi scritti di Paolo Maddalena su cui infra,
cap. IX) SCOCA, F.G., Giurisprudenza amministrativa e tutela dell’ambiente nella prospettiva di
232 CAPITOLO TERZO
tema di tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, v., per tutti, CRESTI, M.,
Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, cit., p. 55 ss.
126 Cons. St., sez. VI, 10 novembre 1978, n. 1187, cit.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 233
128 Cons. St., sez. VI, 15 giugno 1979, n. 494, in Foro it., 1980, III, p. 54 ss., con nota
di R. Ferrara, in cui il giudice amministrativo veniva ad essere chiamato a decidere sul ricorso
delle associazioni di categoria del personale di volo contro i provvedimenti con i quali il Re-
gistro areonautico italiano modificava la composizione dell’equipaggio minimo per talune ti-
pologie di areomobile.
129 Si noti bene, nella decisione appena riportata nel testo, l’orientamento seguito è nel
senso di tenere distinti l’interesse collettivo in senso unitario dai singoli interessi esclusiva-
mente individuali. Da qui la possibilità di concepire la giuridicità e la tutelabilità dell’inte-
resse collettivo riferendolo alla categoria come entità a sé. In questi termini, la giuridicizza-
zione dell’interesse collettivo risulta essere questione autonoma e distinta rispetto alla giuri-
dicizzazione degli interessi individuali dei singoli membri del gruppo. Anzi, operando in
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 235
questo senso, si può concepire la lesione del primo e non dei secondi, legittimando poi al ri-
corso l’associazione rappresentativa della categoria per la tutela dell’«interesse legittimo col-
lettivo». In altri termini, se il provvedimento amministrativo pregiudica direttamente un inte-
resse giuridicamente rilevante di titolarità individuale, allora si verte in tema di interessi le-
gittimi individuali e il singolo è legittimato a agire; se diversamente il pregiudizio si realizza
su un piano superiore che coinvolge direttamente e indifferenziatamente la collettività tutta,
allora si verte in tema di interessi legittimi collettivi e legittimata ad agire sarà l’associazione
esponenziale. Si segue, quindi, un’opzione ricostruttiva antitetica a quella sostenuta dal Con-
siglio di Stato con l’applicazione del criterio della vicinitas, in cui la legittimazione dell’ente
rappresentativo era derivata, ovvero condizionata da un previo riconoscimento in capo ai sin-
goli di una situazione di interesse legittimo all’annullamento del provvedimento. Nella sen-
tenza in esame, invece, la legittimazione è – come accennato anche nel testo – originaria ed
esclusiva, ovvero non solo indipendente ed autonoma rispetto a quella dei singoli, ma anche
riservata unicamente all’associazione, in virtù delle sue finalità rappresentative perseguite. In
questo senso sembra orientata, sebbene non sempre con una chiarezza definitoria adeguata,
gran parte della giurisprudenza: Cons. St., sez. V, 27 novembre 1981, n. 613, in Cons. St.,
1981, I, p. 1265 ss.; Tar Liguria, 28 novembre 1984, n. 638, in Foro it., 1986, III, p. 26 ss.; Tar
Lombardia, Brescia, 9 maggio 1984, n. 444, in Foro it., 1984, III, p. 243 ss.; Cons. St., sez. IV,
15 aprile 1985, n. 265, in Foro amm., 1986, 650 ss.; Cons. St., sez. V, 11 luglio 1985, n. 261,
in Cons. St., 1985, I, p. 725; Cons. St., sez. VI, 29 novembre 1988, n. 1291, in Foro it., 1989,
III, p. 423 ss.; Cons. St., sez. VI, 12 marzo 1990, n. 374, in Foro it., 1991, III, p. 270 ss.; Trga
Trentino-Alto Adige, 6 marzo 1990, n. 116, in TAR, 1990, I, p. 2003; Tar Toscana, sez. I, 27
novembre 1991, n. 651, in TAR, 1992, I, p. 253; Cons. St., sez. IV, 14 luglio 1995, n. 562, in
Foro amm., 1995, p. 1489; Cons. St., sez. V, 3 giugno 1996, in Cons. St., 1996, I, p. 887; Tar
Friuli-Venezia Giulia, 30 aprile 1996, n. 419, in Foro it., 1996, III, p. 578; Cons. St., sez. IV,
25 agosto 1997, n. 907, in Cons. St., 1997, I, p. 1032 s.; Tar Lombardia, 9 gennaio 1997, n.
11, in TAR, 1997, I, p. 955; Tar Veneto, 11 febbraio, n. 363, in TAR, 1997, I, p. 1331; Cons.
St., sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2915, in Foro amm., CDS, 2002, p. 1197; Cons. St., sez. V, 1
luglio 2002, n. 3586, in Foro amm., CDS, 2002, p. 2935 ss.; Cons. St., sez. IV, 7 novembre
2002, n. 6049, in Foro amm., CDS, 2002, p. 2806; Tar Bari, sez. I, 11 giugno 2003, n. 2394, in
TAR, 2003, I, 1363 ss.; Cons. St., sez. VI, 27 gennaio 2003, n. 426, in Foro it., 2004, III, p. 86
ss.; Cons. St., sez. VI, 27 gennaio 2003, n. 438, in Giur. it., 2003, p. 1489 ss.; Cons. St., sez.
V, 18 settembre 2003, n. 5307, in Foro amm., CDS, 2003, p. 2566; Tar Marche, 3 marzo 2003,
n. 51, in Ragiufarm, 2003, fasc. 76, p. 20 ss.; Tar Lazio, sez III ter, 25 novembre 2004, n.
14062, in TAR, 2004, I, p. 2800; Cons. St., sez. VI, 14 giugno 2004, n. 3874, in Cons. St.,
2004, I, p. 1229; Cons. St., sez. VI, 22 settembre 2004, n. 6185, in Cons. St., 2004, p. 1889 ss.;
Tar Lazio, sez. III, 11 marzo 2004, n. 2375, in TAR, 2004, I, p. 21 ss. V. anche Tar Lazio, sez.
I, 27 novembre 1985, n. 1440, in Foro amm., 1986, p. 876 ss.; Tar Lazio, sez. III-ter, 3 giugno
2003, n. 5417, in Ragiufarm, 2004, fasc. 79, p. 19 ss.; Cons. St., sez. IV, 2 aprile 2004, n. 1826,
in Foro amm., CDS, 2004, p. 1054; decisioni di particolare interesse, poiché si ritiene che il
provvedimento amministrativo possa essere concepito anche come plurioffensivo, ovvero re-
cante pregiudizio sia all’interesse di singoli, sia all’interesse della generalità della categoria e
si legittima all’azione pertanto, in contrasto con la giurisprudenza dominante, sia il singolo sia
l’ente rappresentativo. A fronte di questo gruppo di pronunce che in maniera più chiara
esprimono i principi richiamati, ve ne sono poi altre la cui interpretazione è meno immediata.
Un primo gruppo è costituito dalle decisioni in cui la legittimazione ad agire dell’ente espo-
236 CAPITOLO TERZO
nenziale è negata allorché gli interessi degli iscritti o degli appartenenti alla categoria non
siano univocamente conformi all’interesse a tutela del quale l’associazione agisce e possa sus-
sistere contrasto all’interno di essa. In questo senso, v. Tar Liguria, 28 novembre 1984, n. 638,
cit.; Trga Trentino-Alto Adige, 6 marzo 1990, n. 116, cit; Cons. St., sez. IV, 22 aprile 1996, n.
523, in Foro amm., 1996, p. 1178; in Cons. St., 1996, I, p. 565; Tar Veneto, 11 febbraio 1997,
n. 363, in TAR, 1997, I, p. 1330 ss.; Tar Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 11 marzo 1998, n.
131, in TAR, 1998, I, p. 1904 ss.; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 8 aprile 2002, n. 901, in Foro
amm., TAR, 2002, p. 893; Tar Lazio, sez. II, 6 luglio 2002, n. 5298, in TAR, 2002, I, p. 2331;
Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 8 aprile 2002, n. 893, in Foro amm., TAR, 2002, p. 1400; Tar Sar-
degna, 29 agosto 2003, n. 1045, in Ragiusan, 2004, fasc. 241-242, p. 349 ss.; Cons. St., sez. IV,
15 giugno 2004, n. 4020, in Foro amm., CDS, 2004, 1687 s.; Tar Milano, sez. I, 29 settembre
2004, n. 4196, in TAR, 2004, I, p. 2836 ss.; Tar Lazio, sez. II, 13 novembre 2006, n. 12320, in
Corr. merito, 2007, p. 674; Tar Lazio, sez. I, 31 luglio 2006, n. 6615, in Foro amm., TAR, 2006,
p. 2495; Cons. St., sez. VI, 1 febbraio 2007, n. 416 cit. Questo orientamento, d’altro canto,
deve essere semplicemente inteso come una diversa rappresentazione della posizione domi-
nante esaminata in questa nota, in quanto nel rimarcare il contrasto tra interesse del singolo
ed interesse della categoria per negare la legittimazione dell’ente rappresentativo, non si af-
ferma null’altro che l’irrilevanza dell’interesse collettivo, in quanto la differenziazione si rea-
lizza sul piano individuale (ovvero in riferimento a posizioni specifiche e singolari) e non su
quello collettivo (ovvero in riferimento alla categoria nel complesso). Con altre parole: se si
ritiene che la tutela dell’interesse legittimo collettivo sia possibile a fronte di pregiudizi indif-
ferenziati dei soggetti appartenenti alla categoria, allora il pregiudizio differenziato derivante
dalla lesione di una posizione individuale esclude a priori la rilevanza giuridica dell’interesse
collettivo. D’altra parte occorre anche rilevare che, probabilmente, proprio le decisioni che
cercano di trovare un ragionevole fondamento logico ad una concezione dell’interesse collet-
tivo che non si risolva nella mera sommatoria di interessi individuali (in particolare, v. Cons.
St., sez. V, 27 novembre 1981, n. 613, cit.; Tar Lombardia, Brescia, 9 maggio 1984, 444, cit.;
Tar Sardegna, 12 luglio 1994, n. 1118, in TAR, 1994, I, p. 3501; Cons. St., sez. IV, 27 maggio
2002, n. 2921, cit.), incorrono in contraddizioni che, se risulteranno di maggior evidenza al-
lorché cercheremo di tirare le somme circa la corretta nozione di interesse collettivo, sin da
ora devono essere rimarcate. Ci si riferisce alle decisioni che evidenziano l’elevazione dell’in-
teresse sul piano sovraindividuale e l’effetto della sintesi operata mediante il momento orga-
nizzatorio (l’importanza del passaggio logico è già emersa retro, cap. II, § 4.2., negli accenni
alle nozioni post-costituzionali dell’interesse collettivo in ambito sindacale). Esemplare sul
punto è Cons. St., sez. V, 27 novembre 1981, n. 613, cit., – ma v. anche Cons. St., sez. VI, 12
marzo 1990, n. 374, cit., – secondo il quale le associazioni sindacali costituiscono il «modulo
organizzativo» con il quale i singoli esercitano i loro diritti costituzionalmente garantiti; co-
sicché è possibile concepire le associazioni come «soggetti collettivi» sotto due distinti profili:
1) «perché rappresentano collettività di individui liberamente associati, i quali fanno parte
dell’associazione non uti singuli, bensì uti universi»; 2) «perché rappresentano interessi col-
lettivi, interessi cioè che sono propri della pluralità dei componenti una data collettività di
persone indeterminate e che sono sentiti da ciascuno dei membri in quanto tali». Si rileva an-
che che «la coesistenza nelle persone degli associati delle due qualità (il singulus e l’univer-
sum), che può divenire divaricazione, fa sì che l’organizzazione sindacale deve agire come
unità e che l’interesse collettivo sindacale è interesse unitario del gruppo, sotto la specie della
reductio ad unitatem delle volontà, anche divergenti, degli associati. Ecco perché l’interesse
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 237
una qualifica che tocca un gruppo di interessi fra loro correlati, ma non designa una situa-
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 239
sin d’ora – peraltro – che, come vedremo approfonditamente nel capitolo V, il concetto di di-
240 CAPITOLO TERZO
ritto soggettivo non può prescindere dalla possibilità riconosciuta al soggetto titolare dell’in-
teresse tutelato di attivare con il suo comportamento normativamente tipizzato l’attuazione
giudiziale degli obblighi sostanziali posti a tutela del suo interesse, sicché il sostenere che ai
singoli spettino diritti soggettivi sebbene con modalità di esercizio differenti ed effettiva-
mente esproprianti del loro potere di azione è operazione ricostruttiva incompatibile col con-
cetto di diritto soggettivo. In questa ricostruzione, infatti, l’unica posizione giuridica che può
essere predicata in termini di diritto soggettivo è quella dell’ente esponenziale e giammai
quella dei singoli. In ciò maggior coerenza dimostrano forse le tesi che – come quella in
esame – impiegano il veicolo organizzatorio per elevare gli interessi dal gruppo sino all’im-
putazione unificante in capo all’ente esponenziale e che poi, però, abbandonano gli interessi
dei singoli allo stato dell’irrilevanza giuridica, giammai assurgendo – detti interessi – al rango
di diritto soggettivo. Qui, invece, gli interessi dei singoli rimangono in campo accanto all’in-
teresse dell’associazione e, come quest’ultimo, sono qualificati in termini di diritti soggettivi,
seppur non azionabili.
135 Cfr. VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 107 ss., ove l’A. si sofferma
nell’esame della disciplina delle impugnazioni delle delibere assembleari e sull’istituto delle
azioni popolari, rilevando in particolare le problematiche di coordinamento (spec. p. 130 ss.)
che conseguono ad un’impostazione processuale di tal fatta in materia di interessi sovraindi-
viduali e concludendo nel senso che, sebbene detta opzione costituisca un efficace strumento
di partecipazione popolare alla giustizia, «proprio il fatto che l’iniziativa diretta ad ottenere
tutela giurisdizionale di posizioni superindividuali possa essere assunta da uno qualsiasi dei
legittimati, senza alcuna possibilità di verificare se questi sia davvero in grado di tutelare l’in-
teresse, costituisce un grave rischio e insieme il limite di questo tipo di situazioni, soprattutto
quando il numero dei legittimati è particolarmente rilevante». Come il lettore attento avrà no-
tato, il passo appena riportato mostra chiaramente quanto la prospettiva seguita da Vigoriti
presenti forti somiglianze con quella seguita dal primo degli orientamenti esaminati, ossia con
quello proposto in particolare da Cappelletti e Denti. Se si confrontano le osservazioni di Vi-
goriti con quelle di Cappelletti proposte retro (nota 116), infatti, le similitudini emergono
chiaramente. Emerge chiaramente, ad esempio, la volontà di concepire la controversia in ter-
mini necessariamente collettivi, globali, unitari, ossia finalizzata a porre giustizia una volta per
tutte riguardo alla lesione collettiva. Emerge anche – peraltro – quella tendenza a far sì che le
problematiche processuali, pur accuratamente esaminate dall’A., incidano, procedendo a ri-
troso, sul tema della legittimazione e dunque sulle questioni pienamente riconducibili al
piano più propriamente sostanziale o, se si vuole, dei rapporti tra diritto e processo.
136 VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 145 ss.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 241
137 VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., a p. 146 ss. Si noti che le opinioni che
ricostruiscono, come lo stesso Vigoriti, gli interessi collettivi in termini di distinti diritti sog-
gettivi, qualificano poi la legittimazione ad agire attribuita all’ente rappresentativo come so-
stituzione processuale (LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della
luna, cit., p. XLVI) o legittimazione straordinaria (così, invece, PROTO PISANI, A., Nuovi diritti
e tecniche di tutela, cit., p. 242). Nell’impostazione ora in esame, invece, queste soluzioni sono
valutate come inappaganti. Ciò emerge con chiarezza dalle seguenti osservazioni proposte
dall’A.: «i legittimati […] agendo in giudizio tutelano anche interessi, di uguale contenuto ed
ugualmente diretti, che non sono però loro propri, per cui, sotto questo profilo, essi si tro-
vano in una posizione analoga a quella dei legittimati straordinari; d’altra parte i legittimati
non traggono il loro titolo da uno status, o da una appartenenza ad una certa categoria, o
dalla titolarità di un rapporto legato da vincoli di pregiudizialità-dipendenza con quello de-
dotto in giudizio, ma lo traggono dalla titolarità di una delle posizioni sostanziali correlate in
maniera collettiva, e dalla loro capacità di tutelarla in giudizio in maniera rispondente alle esi-
genze di difesa di tutte le loro posizioni sostanziali globalmente considerate. Manca quindi in
questi casi anche quella piena dissociazione fra i titolari del diritto litigioso e i legittimati ad
agire, tipica delle ipotesi di legittimazione straordinaria. Si aggiunga ancora che spiegare in
termini di legittimazione straordinaria queste ipotesi porterebbe a gravissimi inconvenienti. E
infatti anche ritenendo che i principi fondamentali della legittimazione ad agire vadano adat-
tati al tipo di situazioni sostanziali a cui si riferiscono, sarebbe difficile superare un ostacolo
come quello della tassatività delle ipotesi di legittimazione straordinaria» (p. 149). «Si trat-
terà, se si vuole di una legittimazione ordinaria sui generis, perché essa presenta motivi e
tracce della legittimazione straordinaria, ma sembra indubbio che la concentrazione della le-
gittimazione in alcuni adeguati portatori, la quale traduce sul piano tecnico il senso di obiet-
tive esigenze di tutela degli interessi collettivi, sia fenomeno che rimane nella sfera della le-
gittimazione ordinaria» (p. 150). Sulle ragioni di perplessità sollevate dalla figura della legit-
timazione ad agire sui generis, v. infra, cap. VI, nota 17. Sin d’ora – comunque – va detto che
l’origine di questa equivoca figura è tutta da rilevarsi nelle premesse sostanziali da cui muove
la dottrina in questione e rispetto alle quali già sono state avanzate le dovute ragioni di per-
plessità (cfr. retro, nota 134). Indipendentemente da ciò, peraltro, è piuttosto agevole dimo-
strare che il qualificare la legittimazione come ordinaria, per poi aggiungervi la precisazione
del «sui generis», non dice nulla, né sotto il profilo tecnico-formale, né sotto quello delle ri-
sultanze concrete, e ciò non tanto perché la legittimazione ad agire in giudizio o è ordinaria o
è straordinaria senza possibili opzioni intermedie, ma fondamentalmente perché, se l’oggetto
del giudizio verrà ad essere costituito – come appunto stando alla tesi di Vigoriti occorre ri-
tenere – dal fascio di quegli interessi/diritti soggettivi collettivi tra cui andrà annoverato an-
242 CAPITOLO TERZO
che quello dell’associazione, allora – gioco forza – l’ente rappresentativo farà valere in giudi-
zio – per dirla in termini estesi – un diritto proprio in nome proprio e più diritti altrui in
nome proprio; più semplicemente cumulerà in sé tanto la veste del legittimato ordinario
quanto quella di legittimato straordinario, sollevando – peraltro – tutte le problematiche in-
terpretative individuate da Vigoriti, tra cui in primis la necessaria previsione legale in materia
di sostituzione processuale ex art. 81.
138 Tutto ciò trova coerente conferma nelle precisazioni che VIGORITI, V., Interessi col-
lettivi e processo, cit., a p. 221, svolge riguardo alla valutazione dei requisiti di cui tener conto
ai fini del conferimento dell’azione all’ente portatore. A tal scopo si osserva che la valutazione
dell’adeguatezza non deve dipendere unicamente da considerazioni che tengono conto della
«capacità tecnica nell’uso dello strumento giudiziale», ma al contrario deve essere incentrata
sulla base della «rappresentatività», requisito da ritenersi «la componente essenziale dell’ade-
guatezza». La rappresentatività viene, infatti, in questa tesi ad assumere il ruolo di indice este-
riore della coesione organizzatoria instauratasi tra gli interessi collettivi. Va comunque detto
che non è esclusa la possibilità di ammettere la legittimazione dei singoli non in via esclusiva,
ma congiuntamente con alcune formazioni sociali; «quello che importa – si osserva infatti
contaminando, a nostro parere, la linea ricostruttiva fondamentale sotto il profilo più squisi-
tamente teorico – non è la natura individuale o collettiva dei legittimati; quanto piuttosto l’i-
doneità di questi ad assumere o proseguire nell’iniziativa processuale».
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 243
139 Così, alle considerazioni avanzate dall’A. per ribadire la natura comunque indivi-
duale dei singoli interessi confluenti nel collettivo, fanno da contro-altare le osservazioni che
l’A. propone per porre in risalto la dimensione globale dell’interesse. Ciò, ad esempio, accade
in riferimento all’interesse collettivo colto nella sua dimensione pre-giuridica: «nel fenomeno
collettivo i bisogni possono e debbono essere soddisfatti attraverso un unico bene […]» ed
«appunto per questo fine le posizioni di vantaggio si organizzano e tendono a presentarsi al-
l’esterno come se fosse un’unica posizione di vantaggio, un unico interesse». Oppure allorché
si sottolinea l’incidenza dell’organizzazione sulla struttura formale dell’interesse, anche ai fini
della gestione processuale del medesimo: «l’organizzazione degli interessi assicurando la re-
golamentazione delle attività dirette al raggiungimento dello scopo comune, garantisce, anche
sul piano processuale, unità di trattazione delle posizioni di vantaggio collegate e uniformità
di effetti dell’accertamento giurisdizionale» (p. 60-61); «i legittimati, esercitando l’azione, de-
ducono in giudizio l’interesse collettivo unitariamente inteso, e cioè deducono in giudizio
tutto il fascio delle posizioni sostanziali correlate in modo collettivo». Vigoriti, insomma, se
da una parte predica l’individualità degli interessi collettivi e la loro indipendenza anche a
seguito del fattore organizzativo, de facto nega quanto la prima che la seconda osservazione,
visto che nella gestione dei medesimi premia unicamente il carattere unitario che l’interesse
collettivo assume a seguito della nascita dell’ente rappresentativo all’interno del gruppo degli
interessati. Potremmo dire che in Vigoriti, rispetto alla posizione di Cappelletti, il ruolo fon-
damentale riconosciuto al requisito della rappresentatività (in termini non solo di legittima-
zione, ma anche di garanzie processuali ed effetti della pronuncia) viene sostituito o comun-
que almeno corroborato dal momento organizzativo, che si coordina con quello della ade-
guata rappresentatività, conducendo, anche sul piano teorico, lì dove invece di per sé solo il
requisito della adeguata rappresentatività non conduceva, ovverosia alla preferibile legittima-
zione collettiva a fronte di quella individuale. Come vedremo tra breve, tutte queste osserva-
zioni trovano piena conferma nella posizione assunta dall’A. in riferimento alla compatibilità
di questa prospettiva ricostruttiva con la garanzia costituzionale del diritto di azione. È in
questo ambito, infatti, che la posizione dell’A. svela definitivamente una concezione unitaria
dell’interesse che sul piano pratico, al di là delle formule utilizzate, non si presenta in nulla
diversa dalle tre tesi poc’anzi esaminate.
244 CAPITOLO TERZO
140 Così, in particolare, CAPPELLETTI, M., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti
ditticamente afferma in relazione all’art. 24 Cost.: «il contenuto precettivo essenziale della
norma costituzionale non soffre deroghe per il fatto che in presenza di più interessi uguali, fra
loro correlati in maniera collettiva, la legittimazione ad agire venga attribuita ad alcuni sol-
tanto dei titolari di tali situazioni. In questi casi, infatti, le esigenze di garanzia e di tutela sono
obiettivamente diverse da quelle degli interessi strettamente individuali e il principio della
correlazione fra titolarità della posizione sostanziale e legittimazione ad agire adattandosi a
tali esigenze viene ad assumere un contenuto particolare. Esso suona nel senso che, mentre
sarebbe incostituzionale negare a tutti i titolari delle situazioni correlate la legittimazione ad
agire […] non è affatto necessario che tutti i titolari indistintamente debbano essere legitti-
mati ad agire, e non è pertanto in contrasto con l’art. 24 Cost. considerare in maniera unita-
ria il fascio delle situazioni sostanziali fra loro correlate ed attribuite ad alcuni soltanto dei
molti titolari la legittimazione ad agire a tutela dell’interesse proprio e collettivo». Queste os-
servazioni, d’altro canto, sollevano anch’esse diversi motivi di perplessità. Il discorso merite-
rebbe uno svolgimento in questa sede non possibile, ma in estrema sintesi i punti essenziali di
questo sono quelli che seguono. In primo luogo va di certo condivisa l’affermazione secondo
cui le garanzie costituzionali in materia di interessi collettivi si atteggiano in veste diversa ri-
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 245
tiva, cit., p. 43, nota 59 – postula la soggettivazione della situazione protetta perché volto a
garantire la libertà del singolo e a proporre una fattispecie alla quale è quindi necessariamente
estranea l’idea di un interesse non individuale».
143 Sul concetto di controversia collettiva torneremo infra, cap. VI, § 5.1., spec. nota 26.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 247
144 Cfr. retro note 116 e 135 in particolare in relazione alla posizione di Cappelletti e di
Vigoriti.
145 Lo osserva CERRI, G., Interessi diffusi, interessi comuni, cit., p. 92.
248 CAPITOLO TERZO
mento processuale delle controversie collettive è stato rilevato anche di recente dalla dottrina
più avvertita: cfr. CARRATTA, A., Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi,
cit., p. 82-83, ma spec. p. 110 s.
147 La considerazione è comune, in via implicita o esplicita, a tutti gli AA. intervenuti
in materia (su cui cfr. i riferimenti presenti retro a nota 79). Con particolare sintesi e chia-
rezza, v. comunque DENTI, V., La giustizia civile, cit., p. 113.
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 249
150 Sebbene con diversità di accenti, cfr. PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per uno
studio sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., p. 279-280; ID., Nuovi diritti e
tecniche di tutela, cit., p. 240; TROCKER, N., Interessi collettivi e diffusi, cit., p. 7; ID., Gli inte-
ressi diffusi e la loro tutela, cit., p. 211; COSTANTINO, G., Contributo allo studio del litisconsor-
zio necessario, cit., p. 524.
151 In tal senso, CAPPELLETTI, M., Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collet-
tivi o diffusi, cit., p. 205; ID., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla giustizia ci-
vile, cit., p. 398 ss.; VIGORITI, Interessi collettivi e processo, cit., spec. p. 150 ss.; ma v. anche
TROCKER, N., Interessi collettivi e diffusi, cit., p. 7; ID., Gli interessi diffusi e la loro tutela, cit.,
p. 211; CARPI, F., Intervento, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 304 ss., ma spec.
p. 309; ALPA, G., Interessi diffusi, cit., p. 616; LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae
e l’altra faccia della luna, cit., p. XLVI.
152 Così, infatti, COSTANTINO, G., Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi col-
lettivi davanti al giudice civile, cit., p. 234 ss.; ID., Contributo allo studio del litisconsorzio ne-
cessario, cit., p. 516; PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per uno studio sulla tutela giurisdi-
zionale degli interessi collettivi, cit., p. 279-280; ID., Nuovi diritti e tecniche di tutela, cit., p.
240; i quali muovono dal presupposto della generalizzabilità della disciplina prevista in ma-
teria di obbligazioni indivisibili; LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia
INTERESSE COLLETTIVO DAGLI ANNI SETTANTA AD OGGI 251
tenuto più opportuno propendere per una soluzione più moderata, ossia
tesa a riconoscere l’estensione ultra partes solo degli effetti c.d. favorevoli
della sentenza.
della luna, cit., p. XLVI. Cfr. anche TARUFFO, M., Intervento, cit., p. 335, che, sebbene so-
stenga la necessità di un intervento legislativo idoneo a configurare un modello processuale
capace di rispondere alle esigenze di tutela collettive, in particolare sotto il profilo del deli-
cato equilibrio tra effettività della tutela e garanzie processuali per i soggetti coinvolti, d’altra
parte, evidenzia che, in mancanza di meccanismi appositamente preposti a tutela del diritto
di difesa dei terzi, nella secca alternativa tra estensione indiscriminata degli effetti della sen-
tenza e rigorosa applicazione del principio di relatività del giudicato civile, la soluzione del
giudicato secundum eventum litis, sebbene sorto per la disciplina di rapporti non a titolarità
aprioristicamente indeterminata o indeterminabile, comunque consegue un effetto di allarga-
mento della tutela coessenziale alla natura degli interessi tutelati. Sul punto, v. anche ID.,
Some Remarks on Group Litigation in Comparative Perspective, cit., 417. Per ulteriori argo-
menti a favore del giudicato secundum eventum litis in materia di tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi, v. anche gli scritti di Ada Pellegrini Grinover (Le garanzie costituzionali del
processo nelle azioni collettive, in Studi in onore di Enrico Allorio, Milano, 1989, I, p. 471 ss.;
Il nuovo processo brasiliano del consumatore, in Riv. dir. proc., 1991, p. 1057 ss.; Significato so-
ciale, politico e giuridico della tutela degli interessi diffusi, in Riv. dir. proc., 1999, p. 17 ss.; e,
più di recente, La difesa degli interessi transindividuali: Brasile e Iberoamerica, in La tutela giu-
risdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 154 ss.). D’altra parte in dottrina si sono
sollevate diverse obiezioni nei confronti di detto regime degli effetti della sentenza tanto sotto
il profilo della sua ammissibilità tecnico-teorica, quanto sotto il profilo della sua stessa op-
portunità pratica: nel primo senso, oltre alla particolare posizione di Denti, che esamineremo
tra breve all’interno di questa stessa nota, cfr., VOCINO, C., Sui cosiddetti interessi diffusi, cit.,
spec. p. 1907. In entrambi i sensi cfr., invece, VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit.,
p. 110 s., che, da una parte, rileva l’impossibilità di attribuire valore paradigmatico alla disci-
plina delle obbligazioni indivisibili, specie riguardo ad una tematica di assoluta novità come
la tutela degli interessi collettivi, e, dall’altra, evidenzia l’onere eccessivo a cui è sottoposta la
parte eventualmente vittoriosa – ma costretta a subire ripetuti giudizi da parte dei soggetti
non investiti dal vincolo preclusivo sfavorevole – a fronte di preoccupazioni individualistiche
eccessive e alla lunga controproducenti. Più di recente, v. CARRATTA, A., Profili processuali
della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 102 ss., che parimenti, da una parte, nega
la riconducibilità dei nuovi interessi alla struttura formale dei rapporti obbligatori solidali o
indivisibili (specie in ragione dell’«estrema indeterminatezza e indeterminabilità dei singoli
appartenenti alla categoria», nonché della conseguente necessità di ammettere forme di tutela
giurisdizionale non rigorosamente ispirate al principio di corrispondenza tra legittimato ad
agire e titolare del diritto sostanziale; sul punto, v. amplius, le osservazioni riportate retro,
nota 89) e, dall’altra, sottolinea – a fronte del silenzio legislativo sulla delicata questione dei
limiti soggettivi del giudicato in materia – tutti i profili di problematicità insiti sia nella scelta
favorevole alla soluzione dell’efficacia secundum eventum litis, sia in quella favorevole all’e-
stensione generalizzata dell’efficacia della sentenza, specie – sotto un primo profilo – in rela-
zione alla svantaggiosa posizione del titolare passivo del rapporto, ma anche – sotto un se-
condo profilo – in relazione alle garanzie da riconoscersi ai soggetti interessati rimasti estra-
nei al giudizio. Su quest’ultimo aspetto, su cui torneremo più avanti, si ricordino, d’altra
parte, le osservazioni avanzate da PROTO PISANI, A., preliminari per uno studio sulla tutela giu-
risdizionale degli interessi collettivi, cit., spec. p. 285; ID., Nuovi diritti e tecniche di tutela, cit.,
252 CAPITOLO TERZO
153 Così, PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per uno studio sulla tutela giurisdizionale
degli interessi collettivi, cit., p. 279-280. Cfr. anche, in seguito, ID., Nuovi diritti e tecniche di
tutela, cit., p. 240.
154 TROCKER, N., Interessi collettivi e diffusi, cit., p. 7; ID., Gli interessi diffusi e la loro
tutela, cit., p. 211; implicitamente, nonché in chiave di mera opzione, cfr. anche DENTI, V.,
Profili civilistici della tutela degli interessi diffusi, cit., p. 51 e, adesivamente, ALPA, G., Inte-
ressi diffusi, cit., p. 616.
254 CAPITOLO TERZO
155 Cfr., in particolare, le osservazioni proposte da GRASSO, E., Gli interessi della col-
lettività e l’azione collettiva, cit., p. 54 ss., che afferma: «quanto al contraddittorio, scartata
l’ipotesi del litisconsorzio necessario, si teorizza un’ampia pubblicizzazione del processo, an-
che con ricorso allo strumento dei pubblici proclami, tale da consentire ad ogni interessato di
intervenire. In realtà, l’opportunità di questi interventi, con funzione di controllo più che di
effettivo ausilio, è evidente solo nella concezione di un soggetto agente che sia legittimato alla
tutela dell’interesse collettivo per essere già titolare di un proprio interesse collegato al primo,
ma dal quale, per le ragioni già esposte, si differenzia e col quale in astratto può anche entrare
in conflitto. La stessa opportunità non si ravvisa, o assume scarsa rilevanza, nell’ipotesi di
soggetto dotato di mera azione per la tutela dell’interesse della collettività, risolvendosi nel-
l’attendibilità che può e deve attribuirsi ad un siffatto sistema di tutela la cui efficacia è affi-
data al civismo dei legittimati e alla sensibilità e alla cultura giuridica dei magistrati (pubblico
ministero agente e giudice) più che alle tecniche processuali». La conseguenza che logica-
mente discende da questa impostazione è l’insussistenza della problematica relativa ai limiti
del giudicato. Come afferma Grasso, infatti, la sentenza è «priva di limiti soggettivi i quali
presuppongono due parti titolari di una propria situazione di diritto sostanziale dedotta in
giudizio, posizione di cui l’agente popolare è privo».
156 In questo senso, v. ancora CAPPELLETTI, M., Formazioni sociali e interessi di gruppo
individualmente “sentiti”, avranno tuttavia avuto il loro fair hearing attraverso le garanzie di
difesa e di contraddittorio assicurate al rappresentante ideologico o private attorney general
della classe medesima»; così CAPPELLETTI, M., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti
alla giustizia civile, cit., spec. p. 401. Con l’attribuzione della legittimazione alle formazioni
sociali, «meno pressante appare […] la necessità di una disciplina differenziata per la pub-
blicità degli atti del giudizio, né esiste un particolare bisogno di attribuire al giudice poteri in-
quisitori, di fissare regole di prova differenziate, di dettare una disciplina particolare per le
ipotesi di estinzione del processo»; così VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 218.
CAPITOLO QUARTO
IL CONCETTO DI INTERESSE
E DI INTERESSE COLLETTIVO
New York, 1982, cap. I, § 5, p. 12. In lingua italiana, Introduzione ai principi della morale e
della legislazione, a cura di E. Lecaldano, trad. S. Di Pietro, Torino, 1998.
2 Di ciò si ha dimostrazione nella normale coincidenza che nelle riflessioni dottrinali
– giuridiche e non – si riscontra tra la nozione di interesse tout court e la nozione di inte-
resse individuale. È allora comprensibile che CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale
civile, I, Introduzione (1920), Padova, rist. 1930, p. 5; ID., Sistema di diritto processuale ci-
vile, I, Funzione e composizione del processo, Padova, 1936, p. 8, affermi – tra l’altro im-
piegando (per le ragioni spiegate infra, § 3.) il termine «bisogno» al posto di quello di «in-
teresse» – che «tutti i bisogni sono individuali. Il bisogno è attitudine dell’uomo singolo;
non vi sono bisogni della collettività come tale; quando si parla di bisogni collettivi si usa
un’espressione traslata per significare che sono sentiti da tutti gli individui appartenenti a un
dato gruppo».
3 Sul punto, per tutti, v. ORNAGHI, L., Introduzione a Il concetto di «interesse», antolo-
4 De l’esprit, Paris, 1758, D. III, ch. IV, cit., da FALZEA, A., Introduzione alle scienze giu-
ridiche, I, Il concetto di diritto, Milano, 1996, p. 180, che, nel presentare una panoramica sulle
teorie giuridiche dell’interesse (p. 155 ss.), ripercorre l’itinerario che la nozione di interesse
ha compiuto partendo dalle dottrine utilitaristiche inglesi, passando poi per l’illuminismo
continentale francese di Helvetius ed approdando in campo giuridico ad opera di Rudolf von
Jhering. È interessante notare, tra l’altro, che se – come ad esempio osserva PROTO PISANI, A.,
Dell’esercizio dell’azione, Art. 100, Interesse a agire, in Commentario del codice di procedura ci-
vile, diretto da E. Allorio, I, 2, Torino, 1973, p. 1066 – la formula prevista dall’art. 100 c.p.c.
deriva dall’art. 36 c.p.c. del 1865 in cui si «elevò a dignità di norma giuridica la corrente di
idee particolarmente diffusa nella dottrina e giurisprudenza francese espressa dagli aforismi
“point d’intérêt, point d’action”, ovvero “l’intérêt est la mesure des actions”», allora probabil-
mente proprio nella formula di Helvetius riportata nel testo è da rinvenirsi anche l’origine del
nostro art. 100 c.p.c., in cui l’«azione», intesa originariamente come attività materiale umana,
sarebbe divenuta poi l’«azione» come concetto giuridico processuale.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 259
3. La nozione di interesse
Precisati i limiti entro cui occorre muoversi per trarre massimo
frutto dall’impiego della figura, possiamo finalmente chiedersi cosa si
debba intendere con tale formula verbale.
Sebbene la dottrina giuridica – da Jhering ad oggi – se ne sia servita
frequentissimamente, non sono molti gli Autori che si sono «attardati» a
chiarire il loro concetto di interesse. E se, peraltro, si osservano le defini-
sede dogmatica è rappresentato non tanto e non solo dalla pur deprecabile circostanza che
sono presenti diverse nozioni dello stesso all’interno del dibattito scientifico, ma piuttosto dal
fatto che – in genere – non viene chiarita quale sia la definizione di interesse a cui si fa riferi-
mento, con la conseguenza che anche all’interno di uno stesso contributo, spesso si alternano
diverse nozioni usate promiscuamente. Se a ciò si aggiunge, inoltre, che talora il termine in-
teresse è servito non solo per contrassegnare una realtà pregiuridica, ma anche una certa ti-
pologia di situazioni giuridiche allora ci si rende conto di quale grado di incertezza concet-
tuale e terminologica abbia potuto colpire l’argomentazione giuridica. In quest’ultimo senso,
v. ad es. GUARINO, G., Potere giuridico e diritto soggettivo, Napoli, 1949 (estratto da Rass. dir.
pubbl., 1949), nel cui studio, in sede di esame delle situazioni giuridiche inattive (p. 37 ss., 47
ss.), l’A. indicato fa uso del termine «interesse» tanto per indicare la posizione favorevole di
un soggetto (detta appunto «di interesse») quanto per accostare alla pretesa e alla soggezione
una terza species di situazione giuridica inattiva: l’«interesse» appunto. Con il risultato di co-
struire proposizioni in cui il lettore deve compiere uno sforzo di decifrazione del linguaggio
che poteva di certo evitarsi; circostanza, quest’ultima, che rende palese l’errore di tecnica de-
finitoria in cui si incorre. Il punto è che la scienza giuridica crea concetti di realtà fittizie,
ideali; e per questo semplice motivo la relazione che intercorre tra linguaggio e concetto è
strettissima, in quanto di regola manca un quid materiale che dia consistenza fattuale all’og-
getto delineato in sede definitoria. La scelta linguistica è quindi investita di una portata con-
cretante enorme e per questa ragione deve, per quanto possibile, essere maneggiata con cura
e scrupolosità.
7 CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, I, cit., p. 3; ID., Sistema di diritto
lano, 1979, p. 17, che però – più condivisibilmente – definisce il concetto in senso soggettivo,
ovvero come l’«aspirazione dell’uomo verso determinati beni (intesi in senso lato) capaci di
soddisfare un’esigenza individuale».
11 Condivisibili sono, quindi, le critiche che FALZEA, A., Introduzione alle scienze giuri-
diche, cit., p. 384-385, ha rivolto alla definizione avanzata da Carnelutti: «quando […] si de-
finisce nel modo corrente l’interesse come situazione utile alla soddisfazione dei bisogni del-
l’uomo, da un lato si danno equivalenti tautologici di ciò che si tratta di chiarire – utilità, sod-
disfazione, bisogno; dall’altro si riferisce all’oggetto – la situazione – un fenomeno che
comunque si intenda è da riportare al soggetto – l’interesse è sempre di qualcuno –; da un al-
tro lato ancora si fa rimando a fenomeni fisiologici e psicologici, quali i bisogni, che oltre ad
essere incapaci, per la loro portata meramente individuale, a spiegare la vita sociale ed esterna
del diritto – e lo abbiamo riscontrato nel pensiero utilitaristico inglese – presuppongono in
fondo l’originaria esperienza del reale in noi e fuori di noi sotto la categoria del valore».
12 Un’ulteriore sovrapposizione concettuale in definizioni di tal fatta si rinviene nel
fatto che il fenomeno del soddisfacimento coinvolge tanto l’interesse che il bisogno.
13 Così, infatti, è allorché CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, I, cit., p. 3
14 Per FALZEA, A., Introduzione alle scienze giuridiche, cit., p. 384-385, come visto, (a)
l’«interesse» viene ad essere definito come «qualunque situazione della realtà in quanto le si
attribuisca, per qualsiasi motivo, una qualifica positiva di valore» (p. 385). Il «bisogno», in-
vece, viene a rifluire all’interno della più ampia categoria dell’interesse stesso (p. 325 ss.). La
ragione è che secondo questa autorevole dottrina, se nelle sfere inferiori della vita il bisogno
materiale riveste un ruolo primario (si fa l’esempio del bisogno di nutrizione), nelle sfere su-
periori e spirituali, «nei quali la libertà conquista spazi via via maggiori», detto concetto si
stempera in quello di interesse, indicando quest’ultimo non, come il primo, un’idea di neces-
sità, ma piuttosto di possibilità (p. 326-327). Lo stesso A., peraltro, poco prima osserva anche
che: (b) «le situazioni esterne sono utili o favorevoli se influiscono beneficamente sul soddi-
sfacimento dei bisogni vitali e così sull’essere o sul benessere del vivente» e nel far ciò, a
quanto pare, cade in contraddizione. Se si coordinano, infatti, i due distinti ordini di consi-
derazioni – ovvero quelle riportate dopo (a) con quelle riportate dopo (b) – ne deriverebbe
che una situazione della realtà è «di interesse» allorché sia favorevole al soddisfacimento del
bisogno ovvero (appartenendo quest’ultimo concetto alla più ampia categoria dell’interesse)
al soddisfacimento dell’interesse stesso. Anche questa definizione si trasformerebbe per que-
sta via in tautologia. Premettendo, infatti, come chiarito nel testo, che tutte le nostre osserva-
zioni non mirano ad altro che a dare una rappresentazione di sintesi delle dinamiche dei rap-
porti tra uomo e realtà circostante nella misura in cui ciò rilevi per la comprensione del
mondo del diritto ed escludendo, dunque, qualsiasi finalità pur latamente filosofica, va detto
che, per coerenza argomentativa, o l’interesse è premessa della positiva valutazione della
realtà o l’interesse è conseguenza della valutazione positiva della realtà. La dottrina, da ultimo
richiamata, laddove indica il bisogno, prima species dell’interesse e poi causa della valutazione
positiva di valore della situazione della realtà, sembrerebbe propendere per il primo corno
dell’alternativa. Laddove, invece, definisce l’interesse come la «situazione della realtà in
quanto le si attribuisca, per qualsiasi motivo, una qualifica positiva di valore» sembrerebbe
propendere per il secondo corno dell’alternativa, ovvero intendere appunto l’interesse come
il risultato se non la stessa «qualifica positiva», ponendo, per altro verso, il «qualsiasi motivo»
come causa di detta qualifica. Da quanto osservato, dunque, per maggior chiarezza, a nostro
parere il fenomeno in questione dovrebbe descriversi nei termini che seguono. L’uomo entra
264 CAPITOLO QUARTO
in relazione con la realtà esterna. I più diversi fattori influiscono sulle valutazioni di detta
realtà. Tali fattori possono essere rappresentati da bisogni imprescindibilmente legati alla sua
stessa natura ed esitenza (v. l’esempio del nutrimento proposto da Falzea) o da attitudini
dello spirito (a loro volta influenzate da esperienze familiari, culturali, ecc.) o addirittura da
atti di pura follia; ciò, ai fini della definizione della struttura formale dell’interesse (specie in
senso normativo), peraltro, poco importa. Con la valutazione positiva e dunque col giudizio
favorevole circa la situazione della realtà, si attiva l’interesse, ovvero la tensione dell’uomo alla
situazione predetta. È per questa ragione, e solo per questa, quindi, che si ritiene inserire
nella nostra definizione, al posto del «bisogno», il «qualsiasi motivo», ovvero per evidenziare
l’imprescrutinabilità delle ragioni che nella dinamica dell’interesse – si badi bene – concreto
determinano la valutazione positiva della situazione della realtà. Se, invece, si cercano di com-
prendere le ragioni che hanno condotto la dottrina qui in esame a espungere il riferimento al
bisogno nella definizione di interesse, allora probabilmente ciò deve ricercarsi nell’intenzione
di fornire una definizione di interesse sostanzialmente valida tanto in riferimento all’interesse
concreto quanto in riferimento all’interesse astratto (v. a tal riguardo le osservazioni nel testo),
ovvero, più precisamente nella necessità di depurare il concetto da quella «portata mera-
mente individuale» del bisogno, che, secondo l’A. (cfr. quanto riportato retro, nota 11), im-
pedisce di spiegare «la vita sociale ed esterna del diritto».
15 Ciò emerge chiaramente dalle magistrali pagine di FALZEA, A., Introduzione alle
scienze giuridiche, cit., p. 155, laddove, riguardo alle diverse concezioni esaminate, di volta in
volta viene evidenziato se la concezione in esame sia o non sia di impronta soggettivistica.
16 CESARINI SFORZA, W., Lezioni di teoria generale del diritto, I, Padova, 1930, p. 127.
17 CESARINI SFORZA, W., Lezioni di teoria generale del diritto, cit., p. 127.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 265
18 È singolare che lo stesso BENTHAM, J., An introduction to Principles of Moral and Le-
gislation, cit., cap. I, § 5, p. 12, affermi in nota al suo celeberrimo lavoro che l’«interesse è una
di quelle parole che, non avendo nessun genere superiore, non può essere definita nel modo
ordinario».
19 Il lemma «interesse» costituisce la forma sostantivata dell’infinito latino «inter-esse»,
cioè «essere-tra» (v. ORNAGHI, L., Introduzione a Il concetto di «interesse», cit., p. 4).
20 Nel nostro modello il motivo, ciò che appartiene alla dimensione intrasoggettiva del
concetto è fuori dal campo di indagine. Ciò determina il fatto che nel nostro sistema per ri-
spondere all’interrogativo se una situazione sia favorevole o non favorevole per un certo sog-
getto, non importa verificare ciò che il soggetto in questione si rappresenta nel foro interno,
ma, o si postula detta relazione in via di ipotesi, o ci si limita a dedurre dal comportamento
concreto l’esistenza o meno di un interesse che lo sorregga. Per il giurista è semplice potersi
muovere in questo senso, poiché egli ha a che fare non con interessi concreti, ma con interessi
normativamente rilevanti. Ha a che fare, per dirla in altri termini, con schemi relazionali
«soggetto↔situazione favorevole» già astrattamente determinati, in quanto l’interesse tute-
lato è sempre un interesse la cui meritevolezza è già stata valutata in sede legislativa.
21 Il termine «tensione» è preferito ad «aspirazione» adottato da altra definizione come
la nostra di marca soggettiva (VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 17), ma ciò
266 CAPITOLO QUARTO
lato, si attiva tra l’uomo e la situazione della realtà allorché questa sia og-
getto di valutazione positiva e che, dall’altro, si esaurisce – è evidente-
mente il fenomeno del soddisfacimento dell’interesse22 – allorché detta si-
tuazione si verifichi. Volendo esprimere il concetto con una formula po-
tremmo scrivere:
soggetto↔situazione favorevole
in cui il simbolo ↔ è posto a rappresentare ciò che appunto sta tra
l’uomo e la situazione favorevole della realtà, ovvero l’inter-esse.
Stando a quanto detto, dunque, il concetto di interesse ha una va-
lenza eminentemente soggettiva, in quanto nasce sì in riferimento alla
realtà, ma attraverso l’uomo; ed in tale dimensione soggettiva risiede la
natura concreta e mutevole dell’interesse stesso23.
solo per una ragione squisitamente lessicale e non concettuale, essendo il termine «tensione»
più neutro rispetto al termine «aspirazione», più frequentemente adottato in riferimento a
fini elevati eticamente.
22 Il termine «soddisfacimento» è da preferirsi a quello di «attuazione» utilizzato da JAE-
GER, N., Attività processuali con efficacia normativa e tutela di interessi generali (di serie), spec.
p. 13. Ciò non solo perché tale scelta trova corrispondenza nel linguaggio comune, ma anche
perché il soddisfacimento si consegue ogni qual volta si realizzi la situazione favorevole e non,
necessariamente, mediante un’azione del soggetto titolare dell’interesse. Il termine «attua-
zione» invece, sembra rinviare al comportamento del soggetto, cioè all’interesse che, per
mezzo della volontà, si traduce in atto. Se peraltro vi sono delle ipotesi in cui può accadere che
la situazione favorevole includa al suo interno – per come viene ad essere concepita – anche
un comportamento del titolare, ciò non sempre si verifica. Se, invece, si verifica detta circo-
stanza, questa particolare situazione va definita – anche qui in aderenza al lessico comune –
come «perseguimento» dell’interesse, intendendo con tale termine l’attività necessaria che il
soggetto titolare dell’interesse deve compiere per consentire il realizzarsi della situazione favo-
revole. Da ciò si evince anche che il concetto di «soddisfacimento» è distinto, seppur talora
praticamente dipendente, dal concetto di «perseguimento». Sul punto v. ampiamente nel testo.
23 La tendenza del concetto di interesse a sfuggire da inquadramenti definitori è dun-
que determinata da due circostanze, la prima è rappresentata dalla valenza soggettiva della
nozione, ancorata al giudizio di valore positivo sulla situazione della realtà. La realizzazione
di tale giudizio di valore è, infatti, rimessa alla più piena libertà del singolo. Ad es. l’assun-
zione di Tizio al posto di lavoro appare verosimilmente come una situazione favorevole per
Tizio ed a tal riguardo possiamo ragionevolmente affermare che Tizio ha interesse all’assun-
zione. In altri termini, è naturale prospettarsi questa dinamica, visto che Tizio, il soggetto che
sarà assunto, è colui su cui ricadono i vantaggi diretti della situazione. Ma si potrebbe imma-
ginare che anche un soggetto terzo abbia interesse all’assunzione di Tizio. Si pensi a Caia, ma-
dre di Tizio, per la quale l’assunzione del figlio è evidentemente una situazione favorevole, vi-
sto che la solleva dalle preoccupazioni che le derivano dal vedere il figlio disoccupato. Così,
il rapporto di strumentalità che si realizza tra i diversi interessi, congiunto con la piena libertà
di valutazione del soggetto, apre la strada ad una facile moltiplicazione degli interessi all’in-
terno della quale è evidentemente facile perdersi. La seconda circostanza è determinata, in-
vece, dal fatto che il divenire storico è rappresentato da un infinita successione di situazioni
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 267
della realtà, cosicché la concatenazione tra queste situazioni conduce anche alla difficoltà di
isolare con precisione le situazioni della realtà a cui dare rilievo nella ricostruzione della di-
namica degli interessi, favorendo anche sotto questo profilo una dannosa e difficilmente ge-
stibile complessificazione del quadro fenomenologico a cui ci si riferisce. Se però si pone ad
oggetto della riflessione non l’interesse concreto ma l’interesse astratto cioè quello normati-
vamente rilevante allora la situazione si semplifica, poiché è sufficiente esaminare la natura
degli obblighi che la legge impone ai consociati per determinare con esattezza quale sia la si-
tuazione favorevole la cui realizzazione è garantita dalla legge e dalla quale si può procedere
per la determinazione dei soggetti giuridicamente interessati a detta situazione. Come già
detto addietro, (cfr. nota 14 in fine) nel doversi confrontare con interessi normativamente ri-
levanti, noi operiamo con schemi relazionali tipici, in cui, cioè, la norma determina la classe
dei comportamenti doverosi (cioè la situazione favorevole) e la classe dei soggetti interessati
a tale situazione (cioè il titolare dell’interesse), con esclusione assoluta, tanto di altre e diverse
situazioni favorevoli, quanto di altri e diversi soggetti interessati sul piano normativo.
24 Potremmo parlare anche di interesse medio o interesse in senso sociologico per inten-
dere l’interesse statisticamente prevalente all’interno di un certo corpo sociale, ma ciò in fun-
zione meramente classificatoria, vista la possibilità che detto interesse pur statisticamente pre-
valente non sia attratto nell’orbita del giuridicamente rilevante.
25 Sulla distinzione tra interesse in senso psicologico ed interesse in senso normativo, v.
tra gli altri, BETTI, E., Interesse (teoria generale), in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 838
ss., spec. p. 839.
26 Con ciò si vuol dire che la situazione favorevole la cui realizzazione il diritto – per
quanto possibile – garantisce non è il godimento della cosa, come sembrerebbe ad esempio
leggendo il disposto dell’art. 832 c.c. Tale godimento, infatti, dipende dal soggetto titolare del
268 CAPITOLO QUARTO
diritto oltre che da numerose circostanze su cui il diritto non ha modo di influire (cfr. am-
plius, il prossimo capitolo, spec. § 2.3.2. nel testo e in nota). Ciò che è garantito sono invece
i comportamenti di non godimento della res, che così è posta a servizio del titolare del diritto
che – concretamente – può o non può – a seconda del suo effettivo interesse nonché pratica
possibilità – avvantaggiarsi di essa.
27 Sul punto, v. ancora FALZEA, A., Introduzione alle scienze giuridiche, cit., p. 385:
«come l’interesse sociale valutato positivamente diventa valore giuridico, così l’azione del
consociato, fatta oggetto di valutazione positiva in funzione dell’interesse assunto a valore
giuridico, diventa a sua volta valore giuridico». E così ancora, «la definizione del diritto come
un insieme di valori dell’azione umana utilizza una forma letteraria ellittica per significare che
il diritto è un insieme di valori di azione collegati funzionalmente ad un insieme di interessi
valutati giuridicamente in forma positiva».
28 Cfr. retro, note 14 (in fine) e 23.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 269
astensione.
31 In cui il comportamento-Y sta ad indicare l’attività di godimento del bene.
32 Il tema delle relazioni tra interessi è generalmente trattato dalla dottrina dedicatasi al
tema degli interessi collettivi: v. infatti CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, I,
cit., p. 4 ss.; ID., Sistema di diritto processuale civile, cit., p. 12 ss.; CESARINI SFORZA, W., Le-
zioni di teoria generale del diritto, cit., p. 130 ss.; JAEGER, N., Attività processuali con efficacia
normativa e tutela di interessi generali (di serie), cit., p. 14 ss.; JAEGER, P.G., L’interesse sociale,
cit., p. 7; VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 18 s. Le nostre definizioni non
sempre coincidono con quelle proposte da queste posizioni e ciò è comprensibilmente do-
vuto alla difforme definizione di interesse accolta. È per lo più superfluo, dunque, entrare
nell’esame critico specifico delle diverse definizioni relazionali proposte, visto che le ragioni
di dissenso sul punto in questione replicano e derivano in gran parte le ragioni di dissenso sul
concetto di interesse. Su un piano più generale, premesso l’eccesso classificatorio in cui talora
la dottrina incorre (v. ad es. JAEGER, N., Attività processuali con efficacia normativa e tutela di
interessi generali (di serie), cit., p. 14 ss.), si può comunque dire che le categorie prevalente-
mente individuate sono quelle della relazione di «indifferenza», «incompatibilità», «strumen-
talità» e «coincidenza» (a cui taluno – Nicola e Pier Giusto Jaeger – riconduce l’«interesse
collettivo» e talaltro – Vigoriti – riconduce il concetto di «interesse diffuso»). Questa classifi-
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 271
cazione però non va condivisa, poiché contrappone quattro catagorie classificatorie tra loro
reciprocamente disomogenee. Occorre al contrario con attenzione determinare quali delle
quattro qualificazioni indicate si pongano come genus e quali come species: cfr., sul punto,
COPI, I.M. - COHEN, C., Introduzione alla logica, Bologna, 1999, p. 153 ss. Le categorie di «in-
differenza» e «incompatibilità», infatti, sebbene con un ritocco terminologico, sono le due
uniche categorie che presentano quel nucleo concettuale minimo tale da essere erette a genus,
ovvero a categoria autonoma. Le classi della «strumentalità» e della «coincidenza», invece,
sono spurie, cioè non autonome. Il quadro complessivo va dunque impostato diversamente.
È corretto, innanzitutto, contrapporre il concetto di «incompatibilità» all’opposto, che si rea-
lizza, come ammette la dottrina indicata, allorché il soddisfacimento di un interesse non
esclude il soddisfacimento di un altro interesse. Ma così poste le cose, ognun vede quanto sia
preferibile parlare di «compatibilità» in senso opposto all’«incompatibilità». Al concetto di
«indifferenza», che fornisce un immagine più di non-relazione che di relazione, va preferito,
per favorire la corrispondenza tra lessico e concetto, il termine «compatibilità», che più esat-
tamente contrassegna quel rapporto di non esclusione che lega due interessi. Se poi si esa-
mina la categoria della «strumentalità» ci si accorge, come detto, che questa non è un genus
autonomo, ma al contrario una species della «compatibilità». Qui si ha una relazione tra gli
interessi che, infatti, specifica quella di «compatibilità», come si dice nel testo: il soddisfaci-
mento di un interesse non solo non esclude l’altro, ma lo condiziona. Se, infine, si esamina la
categoria della «coincidenza», anche qui ci si avvede come questa sia inesatta. Innanzitutto se
questa categoria ha una minima portata identificativa di una certa relazione, dovrebbe averla
anche l’opposta, quella della «diversità», che al contrario poco illumina sulla relazione che
contraddistingue gli interessi che vi dovrebbero appartenere. Ma anche qui, il punto è lo
stesso, non siamo in presenza di una categoria autonoma. La relazione che intercorre tra gli
interessi in questione, va invece apprezzata come ulteriore specificazione della categoria della
«compatibilità». In essa, infatti, vanno ricondotti tutti gli interessi in cui il soddisfacimento
dell’uno non solo non esclude – cioè non è incompatibile con – quello dell’altro, ma, più pre-
cisamente, include il suo soddisfacimento. Ma, per finire, quest’ultima categoria indicata deve
probabilmente anch’essa, come quella di «indifferenza», essere ritoccata sul piano lessicale.
La dottrina parla a tal riguardo di interessi uguali, coincidenti, comuni, omogenei ecc. Ma a
noi sembra che in realtà questi non sono né uguali, né coincidenti, né omogenei e nemmeno
comuni. Se è vero, infatti, che la situazione favorevole è unica per tutti gli interessi (il bene
collettivo, appunto), è altrettanto vero che il concetto di interesse comprende per noi anche
il soggetto (tensione che si attiva tra uomo e situazione giudicata favorevole), allora potremmo
dire che questi interessi, pur uguali sul fronte oggettivo, divergono su quello soggettivo. Più
adeguata quindi sembra l’idea della «concorrenza», che indica appunto l’uguale orienta-
mento di più soggetti, più tensioni – reciprocamente compatibili – allo stesso bene. Anche il
concetto di comunanza deve essere quindi escluso. Possiamo, dunque, parlare per semplicità
o per consuetudine, di interessi uguali o comuni, visto che con queste formule si indica so-
vente il fenomeno che noi vogliamo diversamente contraddistinguere sul piano lessicale, ma
tenendo ben presenti le osservazioni appena proposte. Operando diversamente, si potrebbe
giungere alle non condivisibili, ma in un certo senso coerenti, considerazioni di JAEGER, P.G.,
L’interesse sociale, cit., p. 20, che rileva come la coincidenza di due interessi in capo a due o
più soggetti possa alternativamente dar luogo a due opposte dinamiche: si può, infatti, assi-
272 CAPITOLO QUARTO
stere – sostiene l’A. ora citato – ad una situazione di conflitto tra gli interessi, allorché il bene
sia inidoneo a soddisfare il bisogno di tutti o, alternativamente, si può assistere ad una situa-
zione di solidarietà, che si realizza allorché sussista una strumentalità reciproca tra gli inte-
ressi, determinata dal fatto che solo la collaborazione fra gli interessati permette il consegui-
mento del bene e il contestuale soddisfacimento del bisogno. Ma queste proposizioni sono
particolarmente oscure in quanto sono gravate di numerose contraddizioni definitorie. Si so-
stiene, infatti, una tesi, che non solo non appare condivisibile per ciò che riguarda la pretesa
coincidenza degli interessi (che appunto non sussiste), ma ancor più per il tentativo di com-
pletare l’attività definitoria – ovvero specificare la categoria della «coincidenza» – facendo
uso, prima del criterio della idoneità/inidoneità di una situazione a soddisfare gli interessi di
più soggetti (l’ottica del soddisfacimento) e poi del criterio della necessaria/non necessaria col-
laborazione dei soggetti interessati in ordine al perseguimento dell’interesse (ottica del perse-
guimento). Appare evidente, dunque, sotto un profilo più generale, l’errore di metodo insito
nel mutare criterio classificatorio in corso d’opera e, sotto un profilo più specifico, l’inconfe-
renza del criterio del soddisfacimento per determinare la relazione tra i diversi interessi esi-
stenti (cfr. infra, §§ 6.3. ss.). Sicché, se la dottrina ora richiamata avesse operato diversamente,
si sarebbe di certo dovuta arrestare nel rilevare la contrapposizione tra compatibilità ed in-
compatibilità ed avrebbe semplicemente affermato – sempre alla luce delle regole che gover-
nano il sistema proposto – che a fronte di un unico bene possono realizzarsi due distinte si-
tuazioni: una prima, in cui due o più interessi coincidenti (rectius: concorrenti) sono incom-
patibili ed un’altra in cui questi sono al contrario compatibili, ovvero il soddisfacimento
dell’uno non esclude quello dell’altro.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 273
33 Quanto affermato nel testo determina la difficoltà in cui sovente ci si imbatte nel de-
cifrare le opinioni che i diversi studiosi nutrono riguardo la nozione di interesse collettivo.
Ciò diviene particolarmente arduo specie, come è ovvio, in riferimento alle posizioni che
hanno per lo più affrontato l’interpretazione degli specifici strumenti – positivamente previ-
sti – di tutela giurisdizionale di interessi sovraindividuali, spesso – ahimé – prescindendo da
uno studio a carattere generale della nozione che a noi interessa. D’altra parte, mentre la dot-
trina che costruisce l’azione civile collettiva come autonoma e distinta dalle azioni civili indi-
viduali sente tendenzialmente la necessità di riferirsi una concezione dell’interesse collettivo
tale da giustificare l’operazione ricostruttiva proposta e, quantomeno con formule di mero
rinvio, manifesta l’accoglimento di una concezione lato sensu oggettiva ovvero unitaria del-
l’interesse collettivo, al contrario, la dottrina che non propone ricostruzioni giuridiche di tal
fatta e che magari nella specie mira a riconoscere anche al singolo la legittimazione ad agire
per la repressione dei comportamenti pregiudizievoli degli interessi collettivi, sovente non fa
cenno alcuno circa la struttura formale da attribuirsi a questi interessi sul piano pregiuridico.
274 CAPITOLO QUARTO
In altri termini, la confutazione della concezione lato sensu oggettiva ed unitaria dell’interesse
collettivo, non sempre appare – grave errore! – il campo o uno dei campi su cui deve essere
sconfitta la tesi dell’ontologica contrapposizione tra azione collettiva ed azione individuale.
Ciò – appunto – rende più difficile per chi scrive intendere – e quindi riportare al lettore – le
concezioni accolte, magari implicamente, in particolare da quella parte della dottrina più
propensa ad attribuire al singolo un ruolo attivo sul piano della tutela giurisdizionale. Ciò
pertanto valga come premessa per intendere i riferimenti che si propongono al lettore nelle
note che seguono, in cui porremo in evidenza la prospettiva generale o specifica di studio
seguita dai diversi AA. citati ed inoltre cercheremo, per quanto praticamente possibile, di
distinguere tra coloro che piuttosto espressamente danno conto dell’accoglimento di una
certa concezione dell’interesse collettivo e coloro, invece, la cui posizione è possibile evincere
dalle soluzioni tecnico giuridiche adottate specie per ciò che riguarda i rapporti tra l’azione
individuale e l’azione collettiva; operazione quest’ultima particolarmente complessa, visto
che, come detto, lo studio della dottrina dimostra che le soluzioni prese sul piano pregiu-
ridico non sono la necessaria premessa di quelle accolte sul piano ricostruttivo giuridico e
viceversa.
34 L’orientamento indicato nel testo determina la nozione di interesse collettivo sullo
stesso piano in cui si determina la nozione di interesse individuale, ovvero il piano del soddi-
sfacimento. Così, se una situazione è idonea a realizzare un solo interesse individuale avremo
un bene individuale ed un interesse individuale solitario; se, invece, una situazione è idonea a
realizzare il soddisfacimento di più interessi, avremo un bene collettivo e un interesse collet-
tivo, cioè un insieme di interessi individuali. Questo è quanto sostenuto più o meno implici-
tamente e pur all’interno di diverse prospettive ricostruttive dagli AA. cit. alla nota che segue.
Va peraltro ricordato che l’accento sul bene comune è presente anche in SANTORO PASSARELLI,
F., Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1995, p. 29, ma con aspetti di contraddittorietà (che
meglio chiariremo infra nel testo), che lo conducono a ritenere peraltro l’interesse collettivo
la «combinazione» degli interessi della collettività. Similmente VIGORITI, V., Interessi collettivi
e processo, cit., p. 19, che, però, si riferisce unicamente all’interesse diffuso, ovvero comune a
più soggetti, cioè ad un insieme di interessi «identici», e da questi distingue l’interesse «col-
lettivo», in cui l’identità del bene oggetto di aspirazione è superata dall’elemento dell’orga-
nizzazione.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 275
35 In una prospettiva generale, v.: CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile,
cit., p. 6; ID., Sistema di diritto processuale civile, I, cit., p. 7 ss.; ID., Teoria generale del diritto,
Roma, 1951, p. 12; JAEGER, N., Contributo alla determinazione del concetto di «rapporto col-
lettivo», in Riv. dir. comm., 1937, I, p. 619; ID., Attività processuali con efficacia normativa e
tutela di interessi generali (di serie), cit., p. 17, seguito, seppur con particolarità di accenti, da
JAEGER, P.G., L’interesse sociale, cit., p. 20; Nel dibattito successivo agli anni ’70, al quale per
i doverosi approfondimenti si deve rimandare necessariamente alle riflessioni svolte retro, al
cap. III, indipendentemente dalle soluzioni accolte sul conseguente piano della giuridicizza-
zione, gli interessi sovraindividuali (collettivi o diffusi che siano) sono stati apprezzati come
più interessi rivolti ad un unico bene da gran parte della dottrina. Tra coloro che sembrano
seguire questa prospettiva ricostruttiva con maggior decisione, v., in particolare, SCOCA, F.G.,
La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, in Le azioni a tutela di interessi
collettivi, cit., p. 44 ss., spec. p. 70 s.; AGRIFOGLIO, S., Riflessioni critiche sulle azioni popolari
come strumento di tutela degli interessi collettivi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit.,
p. 181 ss.; COSTANTINO, G., Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in Le
azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 231 s.; PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per
uno studio sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in Le azioni a tutela di interessi
collettivi, cit., p. 263 ss. (e poi in Nuovi diritti e tecniche di tutela, in Dir. e giur., 1991, p. 227
ss., spec. p. 241 ss.); ROMANO, A., Intervento, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p.
289 ss. (ma spec. in Il giudice amministrativo di fronte il problema della tutela degli interessi
c.d. diffusi, in Foro it., 1978, V, p. 8 ss.; ma per altre citazioni, v. retro, cap. III, nota 97);
DENTI, V., Il processo come alienazione, in Soc. dir., 1976, p. 156 (ma anche in ID., Interessi dif-
fusi, in Noviss. dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, p. 307 e soprattutto in Profili civilistici
della tutela degli interessi diffusi, in Strumenti per la tutela degli interessi diffusi della colletti-
vità, Atti del convegno nazionale promosso dalla sezione di Bologna di Italia Nostra, Bolo-
gna, 5 dicembre 1981, Rimini, 1982, p. 44-45); BIAGINI, C., L’azione popolare (e la tutela degli
interessi diffusi), in Cons. St., 1977, II, p. 862 ss.; LANFRANCHI, L., Situazioni giuridiche indivi-
duali a rilevanza collettiva ed attuazione della condanna alla reintegrazione del lavoratore, in
Riv. giur. lav., 1977, I, spec. p. 343 (e, di recente, in Le animulae vagulae blandulae e l’altra
faccia della luna, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, Torino, 2003, a
cura di L. Lanfranchi, p. XLIII); CORASANITI, A., La tutela degli interessi diffusi davanti al giu-
dice ordinario, in Riv. dir. civ., 1978, p. 180 ss., spec. p. 183 (ma anche in ID., Interessi diffusi,
in Dizionari del diritto privato, I, Diritto civile, a cura di N. Irti, Milano, 1980, p. 419 ss., spec.
p. 426); CERRI, A., Interessi diffusi, interessi comuni - Azioni e difesa, in Dir. e soc., 1979, p. 83
ss., ma spec. p. 89 s.; PIRAINO, S., L’interesse diffuso nella tematica degli interessi giuridica-
mente protetti, in Riv. dir. proc., 1979, p. 202 ss., spec. p. 219 in nota (anche in ID., L’azione
nel processo amministrativo, Milano, 1981, 170 s.); LUCIANI, M., Il diritto costituzionale alla sa-
lute, in Dir. e soc., 1980, p. 769 ss., ma spec. p. 794 s. (su cui v. retro, cap. III, note 59 e 62);
COLACINO, L., Alcune notazioni ricostruttive in tema di interesse legittimo, interesse diffuso e
interesse collettivo, in Giur. mer., 1981, p. 1086 ss., spec. p. 1098; CARAVITA, B., Interessi dif-
fusi e collettivi (Problemi di tutela), in Dir. e soc., 1982, p. 167 ss.; FEDERICI, R., Interessi dif-
fusi, Il problema della loro tutela nel diritto amministrativo, Padova, 1984, p. 19 ss., 40 s., 151;
GABRIELLI, Appunti su diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi collettivi, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1984, p. 969 ss., spec. p. 992 ss.; BORGHESI, D., Azione popolare, interessi diffusi e
diritto all’informazione, in Pol. dir., 1985, p. 259 ss., spec. p. 275; SANDULLI, A.M., Considera-
276 CAPITOLO QUARTO
primo capitolo di questo lavoro – è stato meglio definito dalla dottrina ri-
correndo al concetto di serie di interessi individuali36.
Alla seconda concezione sono giunti coloro che, al contrario, hanno
valorizzato la dimensione lato sensu oggettiva dell’interesse37. Ciò è ap-
parso chiaramente, ad esempio, in tutte quelle letture che, pur talora
prendendo atto di una situazione di infinita duplicazione di interessi
ugualmente orientati, proprio per l’adespotia dell’interesse, ovvero per
l’impossibilità di riferire lo stesso ad un soggetto in particolare, hanno
cordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, in Scritti giuridici, IV, Scritti di diritto
del lavoro, Milano, 1948, p. 26 (cfr. retro, cap. I, § 2.2.1.); torna più chiaramente in CARNE-
LUTTI, F., spec. in Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, 1930, p. 139,
e in Funzione del processo del lavoro, in Riv. dir. proc. civ., 1930, p. 122 (cfr. retro, cap. I, §
3.1.2.). In JAEGER, N., Contributo alla determinazione del concetto di «rapporto collettivo», in
Riv. dir. comm., 1937, I, p. 619, invece, si distingue tra «interessi collettivi» ed «interessi plu-
rali» e poi lo stesso A. in Attività processuali con efficacia normativa e tutela di interessi gene-
rali (di serie), cit., p. 19, ripropone la distinzione contrapponendo gli «interessi collettivi di
gruppo» e «interessi collettivi di genere (o serie)» o «interessi generali»; opinione ripresa
nella sostanza da JAEGER, P.G., L’interesse sociale, cit.; ID., Sulla legittimazione delle «associa-
zioni professionali» ad agire per la concorrenza sleale (art. 2601 c.c.), in Problemi attuali del di-
ritto industriale, Milano, 1977, p. 639 ss., ma spec. p. 644 ss. Per certi versi, questa distinzione
sembra anticipare la teoria dualista oggettiva (su v. retro, cap. III, § 2.2. e 2.3.): cfr., ad esem-
pio, TARZIA, G., Le associazioni di categoria nei processi civili con rilevanza collettiva, in Riv.
dir. proc., 1987, p. 774 ss., ma spec. p. 797, per il quale gli interessi collettivi e quelli diffusi
corrisponderebbero rispettivamente agli interessi di gruppo ed a quelli di serie.
37 Oltre agli AA. citati nelle note che seguono, una certa valorizzazione della dimen-
sione unitaria è presente anche in MORTARA, L., Per la riforma della legge sui probiviri. 15 giu-
gno 1893, in Giur. it., 1904, IV, p. 25 ss. (su cui v. retro, cap. I, § 2.2.2.1. s.). Particolare ac-
cento è posto dalla giurisprudenza amministrativa sulla nozione di «interesse legittimo collet-
tivo» (v. retro, cap. III, nota 129); nonché dalla giurisprudenza in materia di azione ex art. 28
S.L. (v. infra, cap. VII, § 3.)
278 CAPITOLO QUARTO
Si è già detto come questa concezione sia stata in massima parte in-
fluenzata dalla mancata separazione tra ottica pre-giuridica ed ottica pro-
priamente giuridica o, più correttamente, come quest’ultima abbia irrime-
diabilmente gravato sulle conclusioni cui giungere muovendosi sul primo
piano di studio indicato. La questione – nel suo profilo destruens – è stata
peraltro già ampliamente dimostrata39 e va per il momento accantonata
per tornarvi – nel suo profilo construens – nel prossimo capitolo.
Interessante è ancora notare, invece, come la concezione unitaria in
esame sia stata anche favorita da una visione antropomorfa della colletti-
vità, concepita come soggetto d’interesse autonomo rispetto ai membri
della stessa40 o dalla più decisa imputazione dell’interesse, nemmeno –
tal caso, infatti, il presupposto dogmatico da cui si muove sembra essere il carattere indiffe-
renziato degli interessi che confluiscono nel collettivo. Stesso discorso vale, poi, per le tesi
che, in materia di giudizio antidiscriminatorio, vedono l’azione pubblica-collettiva a tutela di
un interesse generale ed in assenza di lesione di soggetti individuali. In particolare, v. RAPI-
SARDA, C., Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, IV, La tutela
dei soggetti discriminati, Azione individuale, Azione pubblica e tentativo di conciliazione, in Le
nuove leggi civ. comm., 1994, p. 73 ss., spec. p. 75 (ma cfr. infra, cap. VIII, § 3.2.1.). In mate-
ria di tutela dell’ambiente ed in riferimento all’art. 18 della l. n. 349/86 questa concezione
sembra essere il presupposto delle seguenti tesi: GIAMPIETRO, F., Danno all’ambiente e legitti-
mazione al giudizio dello Stato, degli enti territoriali e delle associazioni protezionistiche - art.
18 della legge n. 349/1986, in Riv. giur. amb., 1987, p. 541 ss. (oltre che in ID., La responsabi-
lità per danno all’ambiente, Profili amministrativi, civili e penali, Milano, 1988, p. 334; ID.,
Azione dello Stato e degli enti territoriali. Poteri di intervento in giudizio delle associazioni am-
bientali, in AA.VV., Il danno ambientale con riferimento alla responsabilità civile, a cura di
Perlingieri, Napoli, 1991, p. 171 ss.); GRECO, G., Danno ambientale e tutela giurisdizionale, in
Riv. giur. amb., 1987, p. 525 ss.; ALBAMONTE, A., Danni all’ambiente e responsabilità civile, Pa-
dova, 1989, p. 14 ss.; BORGONOVO RE, D., Contributo allo studio del danno ambientale, in Riv.
giur. amb., 1992, p. 257 ss.; SPAGNA MUSSO, B., Riflessioni critiche in tema di tutela civilistica
dell’ambiente, in Rass. dir. civ., 1991, p. 837 ss., spec. p. 839; AMATO, A., Le azioni delle asso-
ciazioni nei giudizi di danno ambientale, in Dir. giur. agr. e amb., 1995, p. 337. Tutte posizione
in cui l’interesse non è proprio dello Stato ente, ma dell’intera collettività da questo rappre-
sentata (amplius, v. infra, cap. IX, § 3.4.1.). La prospettiva oggettiva è poi particolarmente
marcata nella tesi secondo cui la tutela è rivolta direttamente al bene e non ad interessi: cfr.
FRANCARIO, L., in particolare in Danni ambientali e tutela civile, Napoli, 1990 (su cui, v. infra,
cap. IX, § 3.4.2.).
39 V. retro, cap. III, §§ 2.4. e 2.5.
40 Sin dal periodo tardo-liberale, tale concezione è presente in MESSINA, G., I concordati
di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, cit., p. 24. Nel sistema corporativo, (cfr. retro,
cap. I, § 3.2.1.) pur in assenza di pretese definitorie espresse l’entificazione della collettività (e
le sue ricadute in termini di conseguente possibile imputazione dell’interesse ad essa) costitui-
sce una immagine rappresentativa del fenomeno che sovente ricorre: v. ad es. GUIDI, D., Note
di diritto corporativo, IV, La nozione di «rapporto collettivo di lavoro», in Dir. lav., 1927, I, p.
1038 ss., spec. 1044, che parla in riferimento alla categoria di «un’entità giuridica vera e pro-
pria»; SECRETI, G., La distinzione tra controversia individuale e controversia collettiva, in Mass.
280 CAPITOLO QUARTO
giur. lav., 1929, p. 85 ss., spec. p. 87; la medesima soluzione è implicita evidentemente anche
in chi parla di personificazione della categoria come sostenuto da ASQUINI, A., Controversie col-
lettive e controversie individuali di lavoro, in Dir. lav., 1930, I, p. 231 ss., p. 334. All’interno del
dibattito a carattere generale sulla nozione, l’imputazione dell’interesse collettivo alla colletti-
vità piuttosto che al singolo è soluzione espressamente sostenuta da CAPPELLETTI, M., Appunti
sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, in Le azioni a tutela di interessi collet-
tivi (Atti del convegno di Pavia, 11-12 giugno, 1974), Padova, 1976, 191 ss., ma p. 192;
GRASSO, E., Gli interessi della collettività e l’azione collettiva, in Riv. dir. proc., 1983, p. 24 ss.,
argomentando sulla base dell’art. 32 Cost.; più di recente, CARRATTA, A., Brevi osservazioni sul-
l’inibitoria a tutela di consumatori e utenti, in Giusto processo civile e procedimenti decisori som-
mari, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2001, p. 119 ss., spec. p. 135; ID., Profili processuali della
tutela degli interessi collettivi e diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e dif-
fusi, cit., p. 79 ss., ma spec. p. 102 ss. e poi p. 126, che peraltro, nonostante questa concezione,
ammette la legittimazione ad agire del singolo membro della collettività; in questo senso sem-
bra orientarsi anche BIANCA, C.M., Note sugli interessi diffusi, in La tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi e diffusi, cit., p. 70-71; CHIARLONI, S., Appunti sulle tecniche di tutela collet-
tiva dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 385 ss., ma spec. p. 395 e 398. In ma-
teria di repressione della condotta antisindacale, v. PROTO PISANI, A., Il procedimento di repres-
sione dell’attività antisindacale, in Studi di diritto processuale del lavoro, Milano, 1976, p. 13 ss.,
spec. 58. In riferimento all’interesse all’ambiente, v., in particolare, DI GIOVANNI, F., Strumenti
privatistici e tutela dell’«ambiente», Padova, 1982, p. 89; SALVI, C., spec. in Ambiente, giustizia
civile e partecipazione, in Dem. e dir., 1982, p. 5 ss., spec. p. 8; ID., Il danno extracontrattuale,
Modelli e funzioni, Napoli, 1985, p. 274.
41 Non ci si riferisce alle tesi che nell’imputazione l’interesse sovraindividuale materiale
all’ente esponenziale vedono il necessario presupposto della tutela giuridica – vuoi disinteres-
sandosi sostanzialmente di apprezzare la struttura formale dell’interesse sul piano pregiuridico
(ad es, Giannini ed in parte Fazzalari), vuoi imputando l’interesse materiale alla collettività (ad
es. Bianca) – quanto, piuttosto a coloro che ritengono che l’interesse materiale tutelato sia pro-
prio dell’ente rappresentativo come soggetto giuridico e non come imputazione di un interesse
che appartiene ad una collettività indeterminata (come appunto in Giannini o Fazzalari). In
materia di concorrenza sleale, v. FERRI, G., Manuale di diritto commerciale, a cura di C. Ange-
lici e G.B. Ferri, Torino, 2001, p. 163 (ma così anche nelle edizioni precedenti: cfr. ad esempio
l’edizione da noi consultata del 1960, a p. 124), che ritiene che l’interesse fatto valere sia quello
morale e non economico dell’associazione. In relazione alle azioni previste dal nostro ordina-
mento in materia di repressione della condotta antisindacale, dell’azione di concorrenza sleale,
di danno ambientale, alle azioni a tutela dei consumatori, v. COSTANTINO, G., Note sulle tecni-
che di tutela collettiva - disegni di legge sulla tutela del risparmio e dei consumatori, in Riv. dir.
proc., 2004, p. 1009 ss., ma spec. p. 1029 s.; ID., La tutela dei risparmiatori: i nuovi orizzonti
della tutela collettiva, in Società, 2005, p. 325 ss., ma spec. p. 327. In materia di azione di re-
pressione della condotta antisindacale, si pensi ad es. agli AA. che nel rimedio in questione ve-
dono uno strumento di tutela di un interesse dell’associazione stessa: tra gli altri, v. TARUFFO,
M., Efficacia della pronuncia sul licenziamento per motivi antisindacali, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1971, p. 1503 ss.; GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenziamento per motivi antisin-
dacali, in Riv. dir. proc., 1973, p. 596 ss.; SANTORO PASSARELLI, F., Diritto soggettivo e interesse
legittimo dei sindacati al rispetto della libertà sindacale nei luoghi di lavoro, in Riv. dir. lav.,
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 281
1973, I, p. 4 ss.; GRANDI, M., Attività sindacale e repressione della condotta antisindacale, in Riv.
it. dir. lav., 1978, p. 13 ss.; CIPRESSI, P., I comportamenti antisindacali del datore di lavoro, Mi-
lano, 1983, p. 42. Va detto che in questa materia la posizione in questione è apparsa più com-
prensibile in ragione dell’indubbio interesse dell’associazione stessa ad operare senza limita-
zioni del suo diritto di libertà ed attività sindacale. In materia di tutela dell’ambiente ed in ri-
ferimento all’art. 18 della l. 349/86, v., in particolare, TISCI, A., Azione di risarcimento ed
intervento delle associazioni nel giudizio civile, in Danno ambientale e tutela giuridica (legge 8
luglio 1986 n. 349), a cura di Cesarò, Padova, 1987, p. 7 ss. Per quel che concerne la tutela de-
gli interessi collettivi dei consumatori, oltre al già citato Costantino, v. CAMERO, R. - DELLA
VALLE, S., La nuova disciplina dei diritti del consumatore, Milano, 1999, p. 33. In questa cate-
goria, per il risultato a cui pervengono, andrebbero anche inserite le tesi che, affidandosi al
momento organizzatorio, vedono appunto nell’ente rappresentativo la struttura organizzatoria
dell’interesse e per questa via giungono a rappresentare un rapporto di coicidenza tra colletti-
vità ed ente e tra interesse collettivo e interesse individuale dell’ente. Ciò è particolarmente
chiaro nella tesi di Garofalo (cfr. infra, cap. VII, § 3.1.) in cui: a) l’interesse trova origine e ri-
levanza giuridica nella e con l’organizzazione; b) l’interesse collettivo, in quanto interesse e in
quanto collettivo, deve essere attribuito in titolarità ad un ente collettivo; c) questo soggetto
collettivo è costituito dal gruppo organizzato; d) gruppo organizzato, organizzazione e sinda-
cato, sono sinonimi indicanti la stessa realtà pratica e concettuale, in quanto il sindacato non è
una realtà organizzatoria diversa dal gruppo, ma anzi con esso coincide. Ma, visto il ruolo spe-
cifico che è attribuito all’organizzazione degli interessi in queste letture sembra più corretto te-
nere separato questo filone ricostruttivo.
42 Si pensi alle parole di GALIZIA, A., Il contratto collettivo di lavoro, Napoli, 1907, ora
nella ristampa con presentazione di Napoli, Milano, 2000, p. 73, per il quale il conflitto in-
dustriale «ha prodotto […] nei rapporti tra gli operai, un sentimento e un vincolo nuovo, che
tutti li riunisce in una comunanza di interessi e di aspirazioni e per cui, oggi, nessuno di essi
si crede mai estraneo a gli interessi dell’altro: voglio dire – sintetizza Galizia – il sentimento e
il vincolo della solidarietà professionale»; BARASSI, L., Il contratto di lavoro nel diritto positivo
italiano, II, Milano, 1917, p. 100; RATTO, L., L’efficacia collettiva delle sentenze nelle contro-
versie del lavoro, in La legge, 1904, p. 21; RASELLI, A., Giustizia e socialità, in Studi in onore di
Enrico Redenti, Milano, 1951, 249 ss., che rileva come «sui fenomeni della solidarietà e del-
l’interdipendenza sociale si basa […] la nozione di interesse collettivo, che ha un’importanza
fondamentale nello sviluppo della socialità e nella sua organizzazione giuridica. Tale nozione
si distingue da quella di interesse comune a più singoli. Nella nozione di interesse comune
vengono unificati, con un processo di astrazione e di sintesi concettuale, gli interessi partico-
lari di più soggetti, che si dirigono ad un unico scopo ed il cui soddisfacimento ha importanza
solo per i titolari degli interessi stessi. Per esempio è interesse comune quello di più persone
che si uniscono per un impresa economica, all’unico scopo di trarne un vantaggio per loro.
Sorge la nozione di interesse collettivo, quando gli effetti del soddisfacimento di un interesse
(che può essere individuale o comune) non si esauriscono nei soggetti di esso, ma riguardano,
per un processo di ripercussioni e di risultati indiretti più o meno estesi, una cerchia più va-
sta di persone, determinata da rapporti sociali in precedenza costituiti». Cr. anche JAEGER,
P.G., L’interesse sociale, cit., p. 20. Echi di questa concezione sono presenti anche in VIGORITI,
V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 19.
282 CAPITOLO QUARTO
47 BECCARIA, C., Dei delitti e delle pene (1764), Milano, 1964, p. 7: «apriamo le istorie,
e vedremo che le leggi, che pur sono, o dovrebbero essere patti di uomini liberi, non sono
state per lo più che lo strumento delle passioni di alcuni pochi, o nate da una fortuita e pas-
seggera necessità; non già dettate da un freddo esaminatore della natura umana, che in un sol
punto concentrasse le azioni di una moltitudine di uomini, e che le concentrasse in questo
punto di vista: – la massima felicità divisa nel maggior numero –». Per ulteriori indicazioni
circa l’utilizzazione del principio di massimazione nella letteratura che ha influenzato il pen-
siero benthamiano, v. FALZEA, A., Introduzione alle scienze giuridiche, cit., p. 186, spec. nota
283. Sui rapporti tra Cesare Beccaria e Jeremy Bentham, v. anche qualche cenno in FASSÒ, G.,
Storia della filosofia del diritto, III, Ottocento e Novecento, Bari-Roma, 2002, spec. p. 25.
286 CAPITOLO QUARTO
48 «Con l’espressione principio di utilità si intende quel principio che approva o disap-
prova ogni azione, qualunque essa sia, in conformità alla tendenza che l’azione stessa sembra
avere ad aumentare o a diminuire la felicità della parte di cui è in giuoco l’interesse. […] E
dico ogni azione, qualunque essa sia; e di conseguenza non solo ogni azione di un individuo
privato, ma anche ogni misura di governo»; così, BENTHAM, J., An Introduction to the Princi-
ples of Moral and Legislation, cit., cap. I, § 2., p. 12.
49 BENTHAM, J., A Fragment on Government, London, 1823, Preface, p. 3; cfr., se si
§ 5, p. 12.
51 V. tra breve, invece, il mutamento dei rapporti tra interesse collettivo-generale ed in-
mente, dal punto di vista della concezione filosofica di riferimento. In Bentham si ha la radi-
cale negazione di ogni radice giusnaturalistica della teoria della legge e dello Stato che invece
sono centrali in Locke. Ai diritti naturali si sostituisce, infatti, il principio di utilità.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 287
53 Su questi aspetti, v. le belle pagine di SOLARI, G., Filosofia del diritto privato, I, Indi-
vidualismo e diritto privato, Torino, 1939, p. 23 ss., ma spec. p. 32, per l’esame dei rapporti
tra individuo e Stato nel pensiero del filosofo inglese, da cui sono tratte – peraltro – le parole
virgolettate richiamate nel testo. Il principio di massimazione è accolto ad esempio anche da
LEIBNIZ, G.W., De tribus Juris naturae et gentium grandibus, in Lesebuch zur geschichte der
deutschen staatswissenschaft, Tübingen, 1891, p. 83 ss., su cui v. ancora, SOLARI, G., Filosofia
del diritto privato, I, cit., p. 72 s. Sul pensiero giuridico di Locke, v. anche FASSÒ, G., Storia
della filosofia del diritto, II, L’età moderna, Bari-Roma, 2003, p. 152 ss., nonché p. 397 ss. per
amplissime indicazioni bibliografiche in materia.
54 ROUSSEAU, J.J., Du contract social, ou essai sur la forme de la république, I, cap. 6. Nu-
merosissime sono le traduzioni italiane della celebre opera in questione e ulteriori citazioni
appaiono superflue.
55 ROUSSEAU, J.J., Du contract social, I, cap. 6.
56 ROUSSEAU, J.J., Du contract social, II, cap. 2.
288 CAPITOLO QUARTO
dividuale a cui tante volte la dottrina – non sempre con la dovuta consa-
pevolezza – ha fatto riferimento.
L’interesse generale trova alla sua origine l’interesse individuale per
poi affrancarsi da questo ed assumere una dimensione sua propria e di-
versa: autonoma.
Questo aspetto è un punto cruciale di qualunque teoria sugli inte-
ressi, o più precisamente – come chiariremo tra breve57 – di qualunque
teoria che studia i comportamenti collettivi per mezzo della nozione di in-
teresse. L’autonomia ontologica dell’interesse collettivo rispetto all’inte-
resse individuale autorizza, infatti, – sul piano logico – a ritenere che l’in-
teresse di un gruppo ristretto di individui o, per ipotesi, l’interesse sin-
golare di un individuo, si presenti come interesse generale; e ciò poiché
l’interesse generale per giustificare sé stesso non abbisogna più del pre-
sentarsi come «massima felicità per il massimo numero di persone»58. Ed
inoltre, per questa via, l’interesse collettivo finale può non trovare nes-
suna corrispondenza, sotto il profilo del contenuto, con gli interessi indi-
viduali iniziali 59.
É questa insomma la strada che conduce al concetto di interesse col-
lettivo-sintesi, il quale non indica null’altro che un meccanismo formale
– in quanto ovviamente disarcorato da valutazioni assiologiche – di coor-
dinamento di più interessi individuali incompatibili.
Noi possiamo, infatti, distinguere nel processo di determinazione
dell’interesse collettivo tre momenti: un momento iniziale, di partenza, in
cui si presentano interessi individuali originari incompatibili; un mo-
mento dinamico, o genetico, in cui si realizza la determinazione del rap-
porto di prevalenza tra i diversi interessi; un momento conclusivo in cui
sul campo rimane un unico interesse finale collettivo.
Come la stessa storia ha dimostrato, la possibilità di concepire un in-
teresse collettivo distinto dagli interessi individuali originari rappresenta
– sul piano logico – il primo passo per liberare l’interesse collettivo dai
vincoli di derivazione che – più o meno strettamente – possono legarlo
all’interesse individuale. Si può, in definitiva, giungere ad un modello
teorico in cui i legami tra l’interesse collettivo finale e gli interessi indivi-
duali iniziali risultano completamente recisi.
Impostato nei termini da ultimo indicati, infatti, il punto focale del-
l’annosa problematica circa i rapporti tra interesse individuale ed inte-
57 V. il prossimo paragrafo.
58 Cfr. retro.
59 V. infra, § 6.3. e nota 66.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 289
60 FASSÒ, G., Storia della filosofia del diritto, II, cit., p. 289, evidenzia, infatti, la perico-
losità latente insita nella concezione roussoviana dell’interesse e della volontà generale. Si è
infatti evidenziato che in essa «resta il germe della teoria che sarà detta dello Stato etico, dello
Stato cioè che, pretendendo con argomentazioni filosofiche di rappresentare e di realizzare la
volontà dell’individuo anche all’insaputa od a dispetto di questo […] in realtà gli impone la
volontà propria intesa come volontà avente valore assoluto, aprendo la via ad una nuova
forma di assolutismo».
61 È la distinzione che abbiamo nella sostanza già esaminato nella contrapposizione tra
Peraltro, ammette Rousseau, «questo non vuol dire che gli ordini
dei capi non possano passare per volontà generali, finché il corpo sociale,
che è libero di opporvisi, non lo faccia», ma, anche «in tal caso, dal si-
lenzio universale si deve presumere il consenso del popolo».
L’individuo – e con esso l’interesse individuale – è, quindi, posto al
centro della sintesi nel ruolo di matrice genetica dello stesso, secondo un
modello efficacemente definito di «democrazia totalitaria»63.
63 FASSÒ, G., Storia della filosofia del diritto, II, cit., p. 289.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 291
cere, o forse, quello veramente finale, il «più finale» di tutti, è vantarsi l’indomani della so-
nora sconfitta inferta ai colleghi.
292 CAPITOLO QUARTO
interesse collettivo ad una futura situazione della realtà che verrà in esi-
stenza solo se tutti lo vorranno.
Chiedo ora al lettore: c’è conflitto in questa ipotesi tra l’interesse di
ogni singolo individuo e interesse finale collettivo?
Chi ha risposto affermativamente è in errore.
Il processo di sintesi modifica gli interessi individuali potenziali. Ti-
zio, Caio e Sempronio si trovavano in una condizione iniziale di conflitto
di interessi, ma al termine del processo di sintesi hanno tutti lo stesso in-
teresse; ed infatti – a riprova di ciò – porranno in essere il comporta-
mento collettivo che consentirà il realizzarsi della situazione favorevole65.
Favorevole per chi? Solo per Caio che era il titolare originario di
quell’interesse? Ovviamente no; anche per Sempronio e Tizio, il cui inte-
resse individuale originario è cambiato nell’indicato interesse individuale
finale66.
Può sì realizzarsi il conflitto tra interesse individuale originario po-
tenziale ed interesse collettivo finale, ma non tra interesse individuale fi-
che per realizzarsi vede la necessaria partecipazione di Caio e Sempronio. Caio si prefigura
una diversa situazione favorevole, che però, come l’altra, necessità di un comportamento di
Sempronio e Tizio. Senza ripetersi, lo stesso vale, mutatis mutandis, per Sempronio. Abbiamo
tre interessi individuali esclusivi che sono incompatibili per il fatto che, anche per il solo vin-
colo temporale (il sabato sera), se si verifica una delle tre situazioni della realtà non si verifi-
cano le altre. Secondo la formula proposta potremmo rendere questi tre interessi potenziali
incompatibili, come segue:
Tizio ↔ (comportamento-X)Tizio + (comportamento-X)Caio + (comportamento
X)Sempronio
Caio ↔ (comportamento-Y)Tizio + (comportamento-Y)Caio + (comportamento
Y)Sempronio
Sempronio↔ (comportamento-K)Tizio + (comportamento-K)Caio + (comportamento
K)Sempronio
In cui, ovviamente le lettere X, Y, K corrispondono alla natura dei tre diversi compor-
tamenti individuali che ogni soggetto configura essere quello idoneo a soddisfare il suo inte-
resse individuale esclusivo. Se i tre amici giungeranno, per qualsiasi motivo, ad un accordo, la
situazione che verrà a realizzarsi sarà ad esempio la seguente:
Tizio↔
Caio↔
Sempronio↔
} (comportamento-Y)Tizio + (comportamento-Y)Caio + (comportamento
Y)Sempronio
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 293
67 Posto il problema in termini formali, non si può pervenire ad altro risultato. Di ciò
non si avvede JELLINEK, G., Sistema dei diritti pubblici soggettivi, trad. it. G. Vitigliano, Mi-
lano, 1912, p. 78, la cui posizione tanta influenza ha avuto sulla dottrina italiana. Tra i tanti si
porta a titolo di esempio – e ciò per la convinzione con la quale è riproposta la lettura del giu-
rista tedesco – l’impostazione di CASSARINO, S., Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giuri-
sdizione amministrativa, Milano, 1956, p. 43 (c.vo mio): «l’interesse generale non è la somma
degli interessi di tutti i membri della collettività, poiché è chiaro che, di fronte a qualsiasi
comportamento, anche se l’interesse di moltissimi consociati viene a coincidere, tuttavia ci
sarà sempre un interesse opposto di alcuni soggetti. Si dice che è la risultante degli interessi
della maggioranza degli individui che compongono la collettività, ma neanche ciò è esatto,
come è dimostrato dagli ordinamenti di tipo non democratico, nei quali spesso viene presen-
tato come interesse generale ciò che in effetti è solo l’interesse della minoranza al potere.
Sembra invece che per giungere ad una soddisfacente nozione si debba abbandonare ogni ri-
ferimento ai singoli individui e rivolgere piuttosto lo sguardo all’intera collettività, concepita
come entità unitaria e soprattutto diversa dai soggetti che in un dato momento storico la
compongono». Ora, se ci fermassimo a criticare ogni passo di quanto riportato inizieremmo
un discorso in gran parte già svolto nel testo. Basti qui evidenziare i seguenti punti. Che
all’interno di una data collettività siano presenti soggetti portatori di un interesse differente
dall’interesse collettivo è cosa tanto ovvia quanto comune, ma ciò non incide sull’opera di
determinazione della struttura formale dell’interesse collettivo. I soggetti in questione, difatti,
saranno posti innanzi alla seguente alternativa: a) uscire – sempre che possano – dal gruppo;
b) continuare a far parte di esso. Nel primo caso, l’interesse collettivo non sarà più anche il
loro; nel secondo, invece, o – con gli strumenti consentiti – riusciranno ad incidere sull’inte-
resse collettivo modificando o, anche e necessariamente per loro, in quanto parti del gruppo,
varrà l’interesse collettivo del gruppo stesso. Infinite obiezioni si possono rivolgere avverso la
scelta di far uso di un metodo formale di tal fatta, ma non ai risultati a cui perviene una volta
che ne si faccia applicazione. La questione si risolve, dunque, nel ricercare quale metodo di
spiegazione dei comportamenti umani collettivi sia la più corretta e quale sia la più adatta re-
lativamente ad uno specifico problema. Per chi scrive tale metodo è particolarmente utile al
giurista perché fornisce un semplice modello di comprensione delle relazioni tra uomo e si-
tuazione della realtà. Se poi lo si confronta con un’indagine assiologicamente orientata, in cui
294 CAPITOLO QUARTO
rileva il piano – per così dire – ideologico o valoristico, sembra che tale approccio metodolo-
gico ponga adeguatamente in risalto i nessi logico-strutturali di derivazione dell’interesse col-
lettivo da quelli individuali-esclusivi, evidenziando, quindi, quanto delicata sia l’elaborazione
di una regola di selezione degli interessi che sappia garantire il minor trauma nel passaggio
dall’interesse individuale potenziale all’interesse collettivo finale. Sul punto, v. anche le note
che seguono, ma spec. nota 70.
68 Si noti come il sistema democratico, per come è concepito, può essere perfetta espres-
sione del modello teorico-formale adottato nel testo; un modello cioè in cui il contenuto del-
l’interesse è irrelevante. Non è un caso, infatti, che il sistema democratico si sia specificato nel
sistema democratico costituzionale, nel quale, appunto la costituzione, veicolando valori,
esclude che certi interessi possano prevalere nel processo di sintesi. In questo senso la costi-
tuzione può essere intesa come uno strumento di correzione del processo di sintesi democra-
tica degli interessi della collettività.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 295
70 In altri termini, le due formule hanno avuto impiego non per illuminare una diversa
natura dell’interesse collettivo, ma solo per cercare di influire sulle modalità di determina-
zione dell’interesse collettivo in tutte le ipotesi in cui occorreva conseguire risultati mediante
comportamenti collettivi uniformi, come tipicamente avviene nell’attività legislativa (in cui
appunto hanno trovato origine), in virtù della quale è posta una regola da tutti e – più che al-
tro – per tutti. Più di preciso il concetto di interesse somma cerca di far sì che il bene che
deve essere di interesse per tutti (bene collettivo) lo sia almeno per la maggior parte della col-
lettività, mentre la formula dell’interesse sintesi tende a superare questo vincolo quantitativo
in una lettura che per alcuni versi assume contorni ancor più formali, poiché, se è vero, come
già rilevato nel testo, che il perno del meccanismo della determinazione dell’interesse collet-
tivo risiede nella completa e totalitaria partecipazione della collettività al processo di sintesi è
pur vero che, come afferma Rousseau, «questo non vuol dire che gli ordini dei capi non pos-
sano passare per volontà generali, finché il corpo sociale, che è libero di opporvisi, non lo fac-
cia», proprio perché «in tal caso, dal silenzio universale si deve presumere il consenso del po-
polo». In questa affermazione si apprezza tutta la tenuta rigorosamente formale della costru-
zione, che poi è quella stessa che ci ha consentito di poter dire che anche in un sistema di
eterodeterminazione degli interessi collettivi, l’interesse collettivo sarà comunque sempre l’in-
teresse collettivo di tutti, ovvero un aggregato di interessi individuali concorrenti. Uscendo
dai parametri formali è evidente che in tal caso l’interesse collettivo è in realtà verosimilmente
solo l’interesse del sovrano che ha la forza di imporlo agli altri. Ma rientrando in un modello
puramente logico-formale, quell’interesse, che vale, comunque per tutti, è l’interesse di tutti
e cioè appare nella prassi come interesse collettivo e non come interesse individuale – esclu-
sivo – del sovrano.
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 297
73 SANTORO PASSARELLI, F., Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1995, p. 29.
74 SANTORO PASSARELLI, F., Autonomia: d) Autonomia collettiva, in Enc. dir., IV, Milano,
1959, p. 369 ss., ma cit., p. 369-370 (c.vo mio).
75 Una non limpida distinzione delle due diverse prospettive sembra ricorrere in alcuni
passi di CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 8; chiara, invece, è la so-
vrapposizione delle prospettive in JAEGER, P.G., L’interesse sociale, cit., p. 20, che, come già
visto, nell’interesse collettivo vede tanto il rapporto di coincidenza, quanto quello di solida-
rietà, che si realizza allorché sussista una strumentalità reciproca tra gli interessi, determinata
dal fatto che solo la collaborazione fra gli interessati permette il conseguimento del bene e il
contestuale soddisfacimento del bisogno.
76 SANTORO PASSARELLI, F., Nozioni di diritto del lavoro, cit., p. 29, (c.vo mio).
IL CONCETTO DI INTERESSE E DI INTERESSE COLLETTIVO 299
tratto in errore nel credere che per questa via si giunga alla nozione di in-
teresse collettivo77.
In realtà tutte le teorie che seguono questa strada non si avvedono
di operare una falsante sovrapposizione di prospettive, da tenersi al con-
trario separate, e non si avvedono che l’impiego del concetto di processo
di sintesi degli interessi, come nulla dice – in riferimento al singolo –
sulla nozione di interesse individuale, nulla dice – in riferimento ad una
collettività – sulla nozione di interesse collettivo.
Possiamo, dunque, parlare di interesse individuale-sintesi per voler
evidenziare le dinamiche che nel foro interno portano il soggetto a de-
terminare quale sia il suo interesse prevalente ed attuale; e possiamo pa-
rimenti fare – come visto – in riferimento ad una collettività entificata.
Tanto nel primo, quanto nel secondo caso il concetto di interesse-sintesi,
non incide sulla nozione strutturale (ovvero logico-relazionale) di inte-
resse (individuale o collettivo che sia), che è al contrario indipendente e
presupposta.
namento giuridico del lavoro, cit., p. 9-10, per il quale sussistono «relazioni di dipendenza che
legano ogni subietto ai suoi simili, relazioni che sfruttate convenientemente possibilitano ed
assicurano un’influenza nelle volontà individuali»; ma non si dimentichi GALIZIA, A., Il con-
tratto collettivo di lavoro, cit., p. 78, che evidenzia come «le volontà dei singoli non riman-
gono separate e distinte, né la volontà dell’associazione è una somma meccanica della volontà
dei singoli, ma queste, organicamente e armonicamente manifestandosi e coordinandosi, per
il raggiungimento dello scopo fissato nel contratto, si fondono in una volontà organica e
unica». All’interno della giurisprudenza amministrativa, v. Cons. St., sez. V, 27 novembre
1981, n. 613, in Cons. St., 1981, I, p. 1265 ss., secondo cui «la coesistenza nelle persone degli
associati delle due qualità (il singulus e l’universum), che può divenire divaricazione, fa sì che
l’organizzazione sindacale deve agire come unità e che l’interesse collettivo sindacale è inte-
resse unitario del gruppo, sotto la specie della reductio ad unitatem delle volontà, anche di-
vergenti, degli associati. Ecco perché l’interesse collettivo sindacale non è puramente e sem-
plicemente somma di interessi individuali, bensì sintesi, cioè superamento degli interessi dei
singoli nell’interesse dell’universitas, e l’area della legittimazione dell’associazione non coin-
cide con la somma delle aree dei singoli associati […], onde non vi è contraddizione […] tra
il negare la legittimazione dei singoli e l’affermare quella dell’associazione». Sull’interesse col-
lettivo in ambito sindacale, v. retro, il cap. II, § 4.1. s., nonché infra, cap. VII, in riferimento
all’azione ex art. 28 S.L., all’interno del quale ambito, particolare menzione merita la dottrina
di Garofalo, riportata specificatamente al § 3.1. Il fenomeno indicato nel testo trova piena
corrispondenza nelle osservazioni di PERSIANI, M., Diritto sindacale, Padova, 2005, p. 30, nel
quale si rimarcano le seguenti tre fondamentali questioni: a) la titolarità dell’interesse spetta
solo alle persone fisiche; b) l’indivisibilità dell’interesse è da cogliersi nella circostanza che
l’interesse non può che risultare soddisfatto o insoddisfatto per tutti (la relazione di compati-
bilità e concorrenza, appunto); c) la contrattazione collettiva ed ogni altra attività sindacale
mira comunque sempre alla realizzazione di interessi individuali.
300 CAPITOLO QUARTO
non ha alcun ruolo nello spiegare la struttura dell’interesse collettivo, che rappresenta una ti-
pica reazione di interessi individuali non traducibile né con il concetto di somma né con
quello di sintesi.
302 CAPITOLO QUARTO
1. Considerazioni introduttive
Seguendo il criterio metodologico che in più occasioni abbiamo
avuto modo di ribadire, una volta acquisito il dovuto grado di certezza
sulla nozione di interesse collettivo e chiarito, dunque, che non ci rife-
riamo ad una «nebulosa dai contorni vaghi ed oscillanti»1 non traducibile
in un contesto giuridico scientificamente rigoroso, sono maturi i tempi
per confrontare detta nozione con le categorie dogmatiche più adatte a
rivestire la figura delle appropriate forme giuridiche e a veicolarla all’in-
terno dell’ordinamento.
1 PARDOLESI, R., Il problema degli interessi collettivi e i problemi dei giuristi, in Le azioni
a tutela di interessi collettivi (Atti del convegno di Pavia, 11-12 giugno, 1974), Padova, 1976,
(ma anche in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, p. 1520 ss.) p. 259 s.
306 CAPITOLO QUINTO
2 Così, già RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, I, Il pro-
blema e il metodo - Legittimazione, azione e ruolo degli enti associativi esponenziali, Milano,
1985, p. 130 s., su cui v. infra, cap. X, § 2.1.2.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 307
3 Per tutti, v. SANDULLI, A.M., Considerazioni conclusive e di sintesi (in tema di parteci-
stinzione tra interesse collettivo e interesse diffuso (cfr. retro, cap. III, §§ 2.4. e 2.5.).
5 Cfr. infra, §§ 2.5.1. ss.
308 CAPITOLO QUINTO
7 CALAMANDREI, P., La relatività del concetto di azione, in Riv. dir. proc., I, 1939, p. 22 ss.,
ora in Opere giuridiche, I, Napoli, 1965, p. 427 ss., ma cit., p. 444 (da cui trarremo i passi ri-
portati nel testo).
8 Il vocabolo è utilizzato nel testo nella sua accezione più piena, ovvero riferita all’«es-
senza»; e ciò poiché – come vedremo nel prosieguo – la letteratura sull’argomento proprio
all’«essenza» del diritto soggettivo guarda sempre per ricavare il criterio sicuro per giungere
alla corretta definizione dello stesso.
310 CAPITOLO QUINTO
9 Per tutti, v. RUSSO, E., Interessi diffusi e teoria delle situazioni soggettive, in Vita nota-
rile, 1979, p. 793 ss., ma cit., p. 796 ss., che in un certo senso si spinge anche oltre, lungo una
linea di pensiero secondo cui occorrerebbe prendere atto del «passaggio, per la tutela di certi
interessi, da un sistema fondato sul diritto soggettivo o su un interesse qualificato, ad un si-
stema di actiones». Sul punto cfr. retro, cap. III, nota 78. La prospettiva indicata ha trovato
ulteriore e recente svolgimento nella voce Diritto soggettivo, I, Teoria generale, in Enc. giur.
Trec., Roma, XI, 2005. Sulla posizione dell’A. appena richiamato ci soffermeremo tra breve
(cfr. infra, nota 25), va sin d’ora detto, peraltro, che la prospettiva consistente nel negare alla
nozione di diritto soggettivo la capacità di accogliere al suo interno tutte le diverse forme di
tutela e l’alternativa opzione rappresentata dall’operare una graduazione tra diverse situazioni
soggettive rappresentano entrambe soluzioni a nostro parere inopportune; e ciò perché, così
procedendo, da un lato, si incide sull’armonia sistematica dell’ordinamento, che è garantita
anche dalla centralità del concetto di diritto soggettivo (cfr. ad es. l’art. 24 Cost., per quel che
attiene ai rapporti tra diritto sostanziale e processuale), e, dall’altro, si tende ad edificare ele-
menti strutturali nuovi (situazioni giuridiche soggettive) in ragione della mera differenza di
intensità della tutela apprestata, confondendo così profili strutturali e funzionali nello studio
del diritto.
10 Sono le osservazioni di CORASANITI, A., Profili generali di tutela giurisdizionale contro
11 COSTANTINO, G., Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, p.
10-11.
12 Si vedano in particolare i contributi di Romano (specie la monografia Giurisdizione
amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975), Ferrara (sin dal Contributo
allo studio della tutela del consumatore, Profili pubblicistici, Milano, 1983, e poi in Gli interessi
superindividuali fra giudice amministrativo e processo: problemi e orientamenti, in Dir. proc.
amm., 1984, p. 48 ss.; Interessi collettivi e diffusi - ricorso giurisdizionale amministrativo, in
Dig. disc. pubbl., Torino, 1993, p. 481 ss.; Commentario breve alle leggi sulla giustizia ammi-
nistrativa, a cura di A. Romano, Padova, 2001, p. 364), Cresti (Contributo allo studio della tu-
312 CAPITOLO QUINTO
tela degli interessi diffusi, Milano, 1992), sulle cui posizioni v. le riflessioni svolte retro, cap.
III, spec. note 93, 97 e 99.
13 Sotto questo profilo il dibattito esposto nel capitolo III rappresenta una esemplifica-
zione particolarmente significativa; volendo entrare più nello specifico, v. ad esempio l’ampio
lavoro di VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., spec. p. 65 ss., tutto incentrato sul
tema della legittimazione ad agire e senza riferimento alcuno al concetto di diritto soggettivo.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 313
14 Un’ampia panoramica dei diversi piani di studio la si trova in GRAZIADEI, M., Diritto
soggettivo, potere, interesse, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, La parte generale
del diritto civile, 2, Il diritto soggettivo, Torino, 2001, p. 3 ss.
15 Per tutti, v. DEL VECCHIO, G., Lezioni di filosofia del diritto, Milano, 1948, p. 2; ID.,
Il concetto del diritto, Bologna, 1906. Cfr. poi il saggio di BOBBIO, N., Filosofia del diritto e teo-
ria generale del diritto, in Scritti giuridici in onore di F. Carnelutti, I, Padova, 1950, p. 43 ss.,
nonché il noto lavoro monografico sviluppato sul medesimo argomento ID., Teoria generale
della scienza giuridica, Torino, 1950.
16 Sul tema, v. i classici scritti di Salvatore Pugliatti, Arturo Carlo Jemolo, Guido Calo-
gero e Widar Cesarini Sforza, di recente raccolti e ripubblicati da Giuffrè nel volume La po-
lemica sui concetti giuridici, a cura di N. Irti, Milano, 2004.
17 Cfr. infra, note 20-22.
314 CAPITOLO QUINTO
18 L’espressione è presa da FALZEA, A., Efficacia giuridica, in Enc dir., XIV, Milano,
1965, p. 432 ss., ma p. 500.
19 L’A. che ha sviluppato con maggior argomenti la tipica tendenza all’ontologismo che
appartiene agli studi attorno al concetto di diritto soggettivo, è sicuramente Riccardo ORE-
STANO nella voce Azione (storia del problema), in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 785 ss. e nel
saggio Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, linee di una vicenda concettuale, in Jus, 1960,
p. 149 ss., ora in Azione, diritti soggettivi, persone giuridiche, Bologna, 1978, rispettivamente
p. 11 ss. e p. 113 ss., ma spec. 71 ss. e 173 ss. Ma l’insegnamento in questione ci giunge an-
che da illustre dottrina processualistica, v., infatti, SATTA, S., Interesse ad agire e legittimazione,
in Foro it., 1954, IV, p. 169 ss., ma spec. p. 171, che tra l’altro precisa a piè di pagina come le
idee esposte nello scritto or ora citato siano state oggetto di «comune meditazione e discus-
sione col collega carissimo Riccardo Orestano»; ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel pri-
sma dell’accertamento giudiziale, in Problemi di diritto, I, Milano, 1957, p. 3 ss., ma spec. p.
83; ID., Saggio polemico sulla «giurisdizione» volontaria, in Problemi di diritto, II, Milano,
1957, p. 3 ss., ma spec. p. 53; IRTI, N., Introduzione allo studio del diritto privato, 1990, spec.
p. 48. Sulla questione, in particolare riferimento alla giurisprudenza dei concetti, v. le fonda-
mentali pagine di WIEACKER, F., Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla
germania, II, Milano, 1980, p. 123 ss., ove si afferma che «per tener l’occhio sulla forza ger-
minale della “costruzione produttiva”, questo tipo di Giurisprudenza concettuale finisce con
il perdere di vista che tutti i principi e concetti giuridici si fondano su norme e su complessi
di norme e quindi sono affermazioni concernenti un dover essere giuridico e non un essere
materiale».
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 315
costruttivi o comunque alla luce di pur diverse premesse lato sensu ideo-
logiche, ha condotto – e inesorabilmente conduce tutt’ora – alla crea-
zione di astrazioni concettuali che, più o meno figlie in origine della
norma o delle norme, finiscono per rendersi autonome rispetto ad esse e
mutare il loro stato di fattore condizionato in fattore condizionante. Tale
tendenza va guardata con sospetto in quanto genera sovrastrutture che,
inserite nel tessuto ricostruttivo, possono determinarvi una necessaria
piega ogni qual volta a tali entificazioni concettuali si debba ricorrere20.
Di ciò, l’esperienza dottrinale e giurisprudenziale relativa agli interessi
collettivi è prova schiacciante (oltre che sconfortante).
In estrema sintesi, la direttrice di metodo che sembra dover essere la
guida di ogni riflessione sul punto è quella precisamente chiarita dalle
parole di Enrico Allorio: «il diritto soggettivo non è, né una realtà natu-
rale riposta […], né alcunché di necessariamente connaturato con le
norme, quasi una proiezione di esse. Si tratta invece di una nozione di
comodo, cui si dà un contenuto e si attribuiscono confini, che […] ri-
spondono a un utile intento sistematico»21.
20 «Di fronte alla serie infinita dei comportamenti individuali, di fronte ai rapporti in-
tersoggettivi e alle aggregazioni sociali, di fronte alle strutture organizzative e ai loro elementi
normativi impliciti, di fronte alle credenze e alle ideologie che su questi fatti si creano e si in-
trecciano, di fronte a quella che con espressione riassuntiva abbiamo chiamata “realtà con-
creta’, il giurista è portato a costruire su di essa una rete di concetti (i “suoi” concetti) con i
quali cerca di coglierla, di analizzarla, di descriverla, di possederla, di dominarla, di ordinarla,
di volerla spesso ricondurre a schemi tipici, di plasmarla, di vincolarla. Da qui l’incessante
formarsi – a miriadi – di metafore, di immagini, di figure, di moduli, di stereotipi, di catego-
rie, di simboli, di miti e altre forme intellettive che sono sempre e soltanto il risultato di “rap-
presentazioni” empiriche basate sull’esperienza. […] Tali nozione astratte svolgono in qua-
lunque discorso una funzione vicariale della realtà, tanto più accentuata quanto più forte è il
distacco dai fatti sui quali ciascuna esperienza si è costituita. […] Il processo di “reificazione”
delle astrazioni, nel senso di attribuir loro un valore di sostanze, è evidente in più campi. Ma
certo è di assoluta chiarezza nell’esperienza giuridica, in cui spesso le concettualizzazioni dei
fatti finiscono poi per porsi […] sul piano dei fatti medesimi, generando a loro volta nuovi
fatti, nuove astrazioni enuova esperienza […]. Le astrazioni fanno parte – inovviabilmente –
del nucleo primario, costitutivo della scienza iuris e ad esse sono da ricondurre gli altri pro-
cedimenti in cui si concreta l’attività di ogni giurista. Ma proprio per questo è assolutamente
indispensabile che ciascuno si renda cosciente – con lucidità estrema – delle implicazioni e
dei limiti che queste comportano. Le astrazioni sono infatti in primo luogo “strumenti” del
pensiero», così, ORESTANO, R., Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna, 1987, p.
396 ss.
21 ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, cit., p.
90. Per questa questione di metodo, tanto ovvia quanto frequentemente disattesa in dottrina,
cfr. le puntuali osservazioni di TAVORMINA, V., Contributo alla teoria dei mezzi di impugnazione
delle sentenze, Milano, 1990, p. 4, nota 3 ed ancor prima l’ammonimento di REDENTI, E., Il
316 CAPITOLO QUINTO
giudizio civile con pluralità di parti, Milano, 1911, p. 24: «i concetti di entità giuridiche, che
ciascuno può foggiare a proprio talento, sono infiniti, illimitati; ma solo quelli, che possono
servire di ausilio alla soluzione dei problemi giuridici e cioè in sostanza all’integrazione del
corpo del diritto, meritano di essere introdotti per così dire nel commercio scientifico da
prima e nel commercio volgare di poi, in materia di diritto. Onde non basta dimostrare che
un proprio preteso concetto non è assurdo o contraddittorio in se stesso e che non contrad-
dice alla legge, per essere legittimati ad avvalersene in una esposizione o discussione scienti-
fica; occorre dimostrare che esso ha valore pratico nel senso sopra veduto. Ciò sembra aver
dimenticato la moderna scienza giuridica, soprattutto del diritto processuale, onde ci dibat-
tiamo in un pelago di concetti e concettuzzi individuali e personali ed arbitrarii, senza poter
giungere a quella feconda collaborazione collettiva, da cui solo può emergere la invocata for-
mazione del sistema».
22 Cfr. ad es. BALLADORE PALLIERI, G., Diritto soggettivo e diritto reale, in Jus, 1952, p.
1 ss.
23 Su cui, per tutti, v. LA TORRE, M., La lotta contro il diritto soggettivo: Karl Larenz e la
giuridico, I, Il diritto subiettivo non è un potere giuridico, in Jus, 1941, p. 550 ss., spec. p. 560
s., (saggio poco dopo entrato a far parte della nota monografia La sostituzione processuale,
Milano, 1942, p. 25 ss.) che, tra l’altro, evidenzia come il precetto rispetto al quale è decisiva
la volontà del titolare del diritto, non sia il precetto primario, ovvero quello su cui si do-
vrebbe fondare il diritto soggettivo, ma solamente il precetto secondario a carattere sanzio-
natorio. Si tengano presenti anche le acute riflessioni svolte da PUGLIESE, G., Actio e diritto su-
biettivo, Milano, 1939, p. 47 ss.; ID., Introduzione, in WINDSCHEID, B. - MUTHER, T., Polemica
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 319
intorno all’«actio», Firenze, 1954, p. XXXII, che non solo ha – come tra l’altro l’appena ci-
tato Garbagnati e gli AA. richiamati infra, nota 30 – avanzato critiche riguardo la possibilità
di concepire il diritto soggettivo come «potere» su un piano generale, ma ha anche dimo-
strato come il coerente svolgimento di questa direttrice ricostruttiva conduca a risolvere il di-
ritto soggettivo nell’unico potere che al titolare dello stesso sicuramente appartiene, ovvero
l’azione.
28 WINDSCHEID, B., Diritto delle pandette, cit., p. 171-172. V. peraltro, ovviamente,
ID., L’«actio» del diritto civile romano dal punto di vista del diritto odierno, in WINDSCHEID, B.
- MUTHER, T., Polemica interno all’«actio», cit., p. 3 ss.
29 Questa componente appartiene a molte delle teorie che riguardo al diritto soggettivo
valorizzano l’idea del potere o del comando soggettivatosi. Tra breve nel testo si riporterà la
concezione di Carnelutti, ma gran parte delle teorie che ricorrono all’idea del potere sono
state da noi esaminate non tanto assumendo come elemento caratterizzante il profilo appena
accennato, quanto il contenuto di libertà che da tale potere dovrebbe essere «protetto». È, in-
fatti, quest’ultimo aspetto indicato, un profilo molto più insidioso rispetto alla valorizzazione
dell’elemento del potere, il quale – in realtà – appare come la traduzione in chiave idealistica
del carattere stesso di giuridicità e vincolatività della norma proiettato sul soggetto; carattere
che, in un discorso animato da un intento ricostruttivo dogmatico-formale, è evidentemente
assunto come elemento «dato», ovvero, presupposto al concetto di diritto soggettivo. Tale
tentativo di voler far partecipare il diritto soggettivo all’idea di protezione giuridica, di forza
imperativa, ecc. è peraltro comune a diverse impostazioni e si esterna valorizzando il ruolo
del comando che dovrebbe appartenere al soggetto (Carnelutti), o la desività della volontà ri-
spetto alla vincolatività del precetto (Windschied), o nel riconoscimento della volontà del
soggetto (Pugliatti, su cui infra, nel testo e in nota), se non anche nella pretesa che il titolare
del diritto rivolge alla comunità organizzata in ordinamento (Cicala, su cui v. infra, nota 59 e,
per osservazioni critiche, nota 88). Sul punto, v. anche la nota che segue.
30 Le parole riportate nel testo sono di BARBERO, D., Il diritto soggettivo, in Foro it.,
1939, IV, p. 1 ss., ma p. 21 (ma anche in Studi di teoria generale del diritto, Diritto naturale e
diritto positivo, Diritto soggettivo e credito, Milano, 1953, p. 79 ss.). Ma l’argomento critico in-
dicato era stato già rilevato da THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo (Rechtsnorm und
subjectives recht, Weimar, 1878), traduzione italiana con annotazioni di A. Levi, Padova,
1951, p. 118, a cui Windscheid aveva replicato nella nota al testo della successiva edizione
delle Pandette con affermazioni di adesione («chi attraversa un fondo altrui viola il diritto del
proprietario, sebbene questi non gli abbia proibito ciò; chi al tempo debito non soddisfa il
proprio creditore, viola il diritto del creditore, sebbene questi gli abbia ingiunto di soddi-
sfarlo»; «la volontà imperante nel diritto soggettivo è soltanto la volontà dell’ordinamento
giuridico, non la volontà del titolare»), ma senza ritenere di dover mutare la definizione pre-
viamente avanzata di diritto soggettivo, visto che «per questo precetto, emanato a favore del
titolare, l’ordine giuridico ha resa decisiva la volontà del titolare medesimo. La sua volontà è
320 CAPITOLO QUINTO
seguisse questa impostazione, la volontà del titolare del diritto, dalla sua
formale posizione di signoria verrebbe ad essere ridotta «ad un pallido,
quasi evanescente riflesso del volere dello Stato»31.
Questa medesima obiezione può essere rivolta, peraltro, alla posi-
zione sostenuta da Francesco Carnelutti – assai simile nell’essenza a
quella appena esposta – che concepisce il diritto soggettivo come «po-
tenza di comandare inter partes», «iubere licere»32. Secondo questa let-
tura, infatti, il diritto soggettivo dovrebbe essere individuato in quelle
ipotesi in cui la tutela dell’interesse sostanziale che anima la norma è ri-
messa al comando dell’interessato, in cui l’obbligo corrispondente al di-
ritto «esista per virtù non soltanto del comando giuridico, ma altresì
della volontà del titolare dell’interesse garantito»33. Si pensi al seguente
norma al comportamento di coloro cui si trova di fronte, perché dispone di un comando giu-
ridico che a sua volta è norma al loro comportamento». Comprensibile l’accusa di «giuoco di
parole, con cui si vuol larvare la contraddizione effettiva» avanzata da Fadda e Bensa, nelle
note al Diritto delle pandette, p. 539 s. Ugualmente, v. KELSEN, H., Problemi fondamentali
della dottrina del diritto pubblico, esposti a partire dalla dottrina della proposizione giuridica
(Hauptprobleme der Staatsrechtslehre, entwickelt aus der Lehre vom Rechtssatze, Tübingen,
1911), trad. it. A. Carrino e G. Stella, Napoli, 1997, p. 645 ss., spec. p. 650 s. Sul punto, ol-
tre agli AA. appena citati, per ulteriori posizioni critiche, v. anche BALLADORE PALLIERI, G.,
Diritto soggettivo e diritto reale, cit., p. 1 ss., ma spec. 8; LEVI, A., Teoria generale del diritto,
Padova, 1953, p. 269 ss.; ATTARDI, A., L’interesse ad agire, Padova, 1955, p. 89; CASSARINO, S.,
Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, p. 79-80;
opinioni, queste ultime indicate, tutte dirette ad evidenziare l’insuperabile contraddizione che
viene a porsi configurando il diritto soggettivo come potere. Sul puto, v. ancora le lucide os-
servazioni di Barbero riportate infra, nota 58.
31 LEVI, A., Teoria generale del diritto, cit., 273. In una prospettiva assimilabile v., già
JHERING, R., L’esprit du droit romain dans le diverses phases de son développement (Geist des
römischen Rechts auf den verschiedenen Stufen seiner Entwicklung, III, Leipzig), traduzione
francese di O. de Meulenaere, Paris, 1880, p. 317, a cui, come è noto, si deve la critica più vi-
gorosa alla teoria della volontà.
32 CARNELUTTI, F., Sistema di diritto processuale civile, I, Funzione e composizione del
processo, Padova, 1936, p. 25 ss.; ID., Teoria generale del diritto, Roma, 1951, p. 154 ss. La de-
finizione riportata nel testo la si può anche trovare coniugata in stretto riferimento all’inte-
resse sostanziale del titolare del diritto e così il diritto soggettivo si presenta come potere di
far prevalere il proprio interesse (v. ad es. ancora il Sistema di diritto processuale civile, I, cit.,
p. 25); se d’altro canto si riflette sul fatto che, con l’attribuzione del diritto soggettivo, all’in-
teresse sostanziale tutelato la posizione di prevalenza è già stata assegnata e garantita, ci si av-
vede come tale definizione presenti la stessa contraddizione intrinseca di quella riportata nel
testo; cfr. infatti, le puntuali critiche di NICOLÒ, R., L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano,
1936, p. 73; BARBERO, D., Il diritto soggettivo, cit., p. 24; NATOLI, U., Il diritto soggettivo, Mi-
lano, 1943, p. 26 s. e poi 47 s.; SPERDUTI, G., Contributo alla teoria delle situazioni giuridiche
soggettive, Milano, 1944, p. 55 ss.; PUGLIESE, G., Introduzione, in WINDSCHEID, B. - MUTHER,
T., Polemica intorno all’«actio», cit., XXXII.
33 CARNELUTTI, F., Sistema di diritto processuale civile, I, cit., p. 26.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 321
36 Cfr., di recente, RUSSO, E., Diritto soggettivo, I, cit., p. 7, 10, 14. La critica a questa
impostazione, con particolare riguardo all’esclusione dei diritti indisponibili dalla generale
categoria del diritto soggettivo, è d’altra parte già presente in THON, A., Norma giuridica e di-
ritto soggettivo, cit., p. 206. Sul punto, v. anche GARBAGNATI, E., Diritto subiettivo e potere giu-
ridico, I, cit., p. 558; cui adde BALLADORE PALLIERI, G., Diritto soggettivo e diritto reale, cit., p.
8. Riguardo, invece, alla contitolarità di diritti – questione rilevante per la materia oggetto
della nostra ricerca – è interessante notare che CARNELUTTI, F., Sistema di diritto processuale
civile, I, cit., p. 27, se, da una parte, affermava che per poter apprezzare la distinzione tra in-
teresse protetto e diritto soggettivo occorre «intendere per diritto subbiettivo quell’interesse
la cui tutela dipende non già solo in parte, ma totalmente dalla volontà dell’interessato», suc-
cessivamente osservava che l’interesse tutelato può essere tanto un interesse «individuale»
quanto un interesse «collettivo» ed in quest’ultima ipotesi «si presenta egualmente la figura
del diritto subbiettivo, con questo solo di diverso che […] la tutela avviene mediante la vo-
lontà di uno o di alcuni anziché di tutti gli interessati».
37 Per tutti, v. appunto la già citata osservazione di WINDSCHEID, B., Diritto delle pan-
dette, cit., p. 170, che plasticamente descrive tale fenomeno laddove afferma che con l’asse-
gnare alla volontà del soggetto il valore decisivo in ordine all’attuazione, l’ordinamento giuri-
dico «si è spogliato a favore di quello del precetto che ha pronunciato: del precetto proprio
ha fatto un precetto di lui. Il diritto è divenuto il diritto di lui».
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 323
38 Come vedremo, infatti, anche nell’ampio orientamento a cui ci riferiamo nel testo,
sono presenti teorie in cui si assiste all’impiego del concetto di potere all’interno della defini-
zione del diritto soggettivo, e ciò non tanto nel tentativo di ritrovare il fondamento della vin-
colatività della regola giuridica – più o meno direttamente – nella volontà del titolare del di-
ritto (come accade nella concezione avanzata da Windscheid o nella posizione di Carnelutti),
ma più limitatamente come strumento concettuale per far partecipare il diritto soggettivo alla
forza giuridica che appartiene alla norma. Sul punto, v., come esemplare esemplificazione di
quanto si sta dicendo, la posizione di Pugliatti riportata infra, nel testo e alla nota 65, nonché
le osservazioni critiche avanzate da Barbero richiamate alla nota 30.
39 Ed, infatti, si osserva acutamente che queste concezioni che si vanno ad esaminare
mantengono il discorso pur sempre nella prospettiva normativistica: così, MAIORCA, C., Di-
ritto soggettivo: I) Teoria generale, in Enc. giur. Trec., XI, Roma, 1989, p. 4. In dottrina si è an-
che rilevata la possibilità di distinguere due grandi orientamenti fondamentali in materia di
diritto soggettivo, quella in cui il potere della volontà si fa legge agli altri e quella in cui la vo-
lontà è posta sotto il potere della legge: così, condivisibilmente, FROSINI, V., Diritto soggettivo
e dovere giuridico, in Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo, IV, Milano, 1963, p.
207 ss., ma spec. 218 (anche in Riv. dir. civ., 1961, I, p. 124 ss.).
40 Per tutti, KELSEN, H., Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, cit.,
p. 629.
324 CAPITOLO QUINTO
41 Cfr. ad es. NATOLI, U., Il diritto soggettivo, cit., p. 27, 60 ed espressamente a p. 41,
ove si afferma: «la situazione del soggetto esprime una relazione tra il soggetto e la norma,
che culmina in un giudizio di possibilità (diritto), o di necessità (obbligo) di un comporta-
mento». Va detto peraltro che per Natoli il rapporto giuridico è ritenuto essere una relazione
funzionale tra due diverse situazioni soggettive e non, come in Barbero, tra soggetto e norma.
V. anche la complessa posizione di GUARINO, G., Potere giuridico e diritto soggettivo, cit., p.
25 ss., in cui si sostiene che il diritto soggettivo e il dovere sono situazioni giuridiche attive
che «attengono non all’atto ma alla posizione del soggetto, e loro contenuto non è un com-
portamento, ma un rapporto» cioè «il rapporto che intercorre tra un soggetto e la fattispecie
normativa di un comportamento dello stesso soggetto». Tale rapporto può essere di «liceità»
o di «necessità», nel primo caso «la norma si limita a stabilire che tanto la situazione attuale,
quanto il comportamento futuro sono leciti» e «quindi il soggetto si trova, di fronte alla
norma, in una posizione consentita sia che permanga nella situazione iniziale, sia che questa
abbandoni per assumere il comportamento dalla norma previsto in schema»; nel secondo
caso «la norma dispone che solo il comportamento in esso previsto è lecito e che quindi il
soggetto, ove non lo assuma, si trova, di fronte alla norma, in posizione non tutelata, illecita».
«Quando il rapporto è di liceità si ha il diritto soggettivo: quando il rapporto è di necessità si
ha il dovere» e così, dunque, «il diritto soggettivo […] è agere licere, il dovere necessitas
agendi».
42 Affermato che la concezione tradizionale del rapporto giuridico appare lo «stru-
mento più imperfetto, attraverso il quale si possa guardare la realtà giuridica», si sostiene che
«diritto (soggettivo) e dovere non si stanno […] di fronte, sebbene l’uno possa accompagnarsi
all’altro nel senso di coesistere simultaneamente all’altro per virtù di una stessa norma […];
essi stanno, ciascuno per conto proprio, di fronte alla norma; non comunicano fra loro, ma
comunicano con la norma»; così, BARBERO, D., Il diritto soggettivo, cit., p. 31-32, che afferma
ancora (p. 35-36): «viene spontaneo obiettare che è una specie di assurdo affermare che il de-
bitore ignori (non casualmente, ma direi, costituzionalmente) il proprio creditore. L’assurdo
non c’è ed è tutta una questione d’intendere il valore di questa conoscenza, che il debitore
non solo normalmente ha, ma deve regolarmente avere del proprio creditore. Questa è la co-
noscenza non dell’altro termine del rapporto giuridico, non di colui a cui debba sottomis-
sione, ma d’un elemento di fatto, assunto nel comando della norma, la conoscenza del quale
è perciò necessaria come condizione per avere la conoscenza stessa del comando che da
quella emana e poter, quindi, prestare ad essa l’obbedienza che vuole». Affinità con tale im-
postazioni sono ben rilevabili nella nota tesi di Cicala, tra i primi a rigettare la figura del rap-
porto giuridico in senso savigniano, ovvero in senso intersoggettivo: cfr. infra, nota 59.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 325
mente essere legati di fronte alla norma e aver diritto significa invece es-
sere sciolti di fronte alla norma»43, ragion per cui il diritto soggettivo ap-
pare essere la «valutazione dell’agire d’un soggetto rispetto alla volontà
manifestata della norma, che culmina nel giudizio di licitum o di licere»44.
43 BARBERO, D., Il diritto soggettivo, cit., p. 34.
44 BARBERO, D., Il diritto soggettivo, cit., p. 28. Di recente, nella manualistica, v. AA.VV.,
Diritto privato, I, Torino, 2003, p. 148 ss. Va posta peraltro in evidenza l’adesione a tale orien-
tamento da parte di ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudi-
ziale, cit., p. 61, ma solo con riguardo ad un ordinamento a carattere paritario e non nell’am-
bito del diritto statale. In questa seconda prospettiva, ovvero nella prospettiva marcatamente
kelseniana in cui gli unici destinatari delle norme sono i giudici, il diritto soggettivo dovrebbe
essere concepito in diversa guisa. Più precisamente i punti essenziali che indicano le direttrici
lungo le quali si sviluppa la costruzione del concetto di diritto soggettivo da parte dell’illustre
processualcivilista sono i seguenti: a) l’appena indicata concezione della norma; b) la centra-
lità della stessa quale criterio esclusivo di qualificazione giuridica; c) l’accertamento giudiziale
come «ragione sistematica» di determinazione dell’entità «diritto soggettivo» (p. 81; ma cfr.
anche, almeno ID., Saggio sulla «giurisdizione» volontaria, in Riv. trim. dir. proc. dir., 1948, p.
487 ss., ma ora in Problemi di diritto, II, Milano, 1957, p. 3 ss., ma spec. p. 53 ss.); d) l’o-
rientamento di pensiero volto a valorizzare il ruolo attivo del soggetto all’interno dell’orien-
tamento. Questi quattro fattori ed in particolare quelli riportati al punto b) e d) – più che i ri-
manenti – conducono Allorio a vedere nel potere giuridico (su cui v. infra, nota 172) l’ele-
mento formale in cui il singolo, rispetto all’ordinamento, «è di scena»; sicché, il diritto
soggettivo diviene un potere o gruppo di poteri suscettibile/i di accertamento giurisdizionale
(spec. p. 76 ss.). Ma anche la concezione appena richiamata solleva diversi motivi di perples-
sità. In primo luogo, come meglio vedremo tra breve nel testo, anche questa concezione si fa
fuorviare dalla necessità di ricercare qualche pur esistente forma di soggettivazione del diritto
obiettivo per poter invertire la prospettiva oggettiva in soggettiva non sul piano funzionale
ma formale (cfr. infra, § 2.5.4.1.). Con riferimento più specifico all’architettura interna della
ricostruzione, invece (per quanto sia possibile separare i due piani), in primo luogo emerge
l’inconciliabilità tra la concezione della norma propugnata, da un lato, e il preteso oggetto
dell’accertamento, dall’altro. Afferma Allorio: «le norme del diritto privato, non le reputo
giudizi-regole sulla condotta dei privati, bensì giudizi-regole, rivolti a disciplinare il contegno,
principalmente, degli uffici giurisdizionali nella decisione sulle pretese dei privati» (p. 48).
Esemplificando: «in presenza di una fattispecie così e così descritta, se X non adempie una
certa prestazione, il giudice avrà il dovere di prendere un determinato provvedimento (che
tecnicamente si chiama condanna)» (p. 49). Stando così le cose, in questa concezione non ab-
biamo insomma un obbligo del soggetto privato, ma il comportamento non voluto dall’ordi-
namento da parte di tale soggetto diviene la fattispecie costitutiva del dovere giudiziale. Bene.
Si chiede ora: posta questa norma, come è possibile sostenere che l’accertamento cada sui po-
teri che secondo Allorio dovrebbero essere il contenuto del diritto soggettivo (p. 76 ss.)?
Questi sarebbero: il potere concreto di azione dichiarativa e condannatoria, il potere di co-
stituzione in mora, il potere di disposizione, il potere d’iniziativa surrogatoria e revocatoria
ecc., per ciò che riguarda il diritto di credito. Il potere concreto di azione dichiarativa, il po-
tere di disposizione, il potere concreto di rivendica, di azione negatoria ecc., per ciò che at-
tiene al diritto di proprietà. Il potere di far nascere con la proposizione della domanda e con
le iniziative successive, il dovere giudiziale di rendere una sentenza costitutiva ed il potere di
disposizione, per ciò che riguarda il diritto potestativo (su cui cfr. infra, nota 172). È evidente
326 CAPITOLO QUINTO
– e lo dice lo stesso Allorio nello spiegare lo schema ipotetico in cui a suo parere si risolve la
norma (cfr. retro) – che appare difficile – partendo da tali premesse – trovare un ragionevole
punto di compromesso tra questi due aspetti della sistematica proposta. Se, infatti, una
norma siffatta è rivolta al giudice, l’accertamento può investire gioco forza solo l’unico effetto
giuridico rimasto in piedi, ovvero il dovere del giudice di condannare (cfr. l’es. poc’anzi ri-
chiamato) o – forse più correttamente – il dovere dell’apparato giurisdizionale di procedere
esecutivamente nei confronti dell’obbligato. L’accertamento non investirà di certo l’insieme
eterogeneo di poteri elencati per ogni distinta categoria di diritto soggettivo. Il punto è che
Allorio, come in tutte le teorie che andiamo esaminando nel testo, è ugualmente attratto dal
contenuto di attività, dalla posizione di possibilità che appartiene al diritto soggettivo e non
si avvede che, cedendo a tale naturale propensione mentale, infirma una geniale intuizione
quale quella del valore sistematico dell’accertamento in ordine alla determinazione dell’entità
formale da apprezzare sul piano sostanziale. Prendiamo per semplicità l’esempio del diritto di
credito. In un’azione di condanna, posta o non posta la norma poc’anzi citata, non sembra
plausibile ritenere che il giudice accerti il diritto soggettivo di credito nel senso di accertare il
potere concreto di azione inteso come potere di costituire il dovere giudiziale di pronunciare
sentenza favorevole. E così deve dirsi riguardo al potere di costituire in mora l’obbligato o
agli altri poteri enumerati. Così ragionando andrebbe perso quanto meno il principale effetto
che, realizzatasi la fattispecie costitutiva, si è prodotto sul piano sostanziale, ovvero l’obbligo
del debitore di pagare la somma dovuta. E non è un caso – ovvero un fenomeno giuridico se-
parato dal precedente accertamento – che tale dovere debba essere spontaneamente adem-
piuto dal debitore o, alternativamente, attuato in via coattiva con l’espropriazione forzata. Al
contrario, se il potere è un effetto che deve essere concepito per dare sistemazione alla proie-
zione dinamica dell’ordinamento (cfr. infra, nota 132), pare difficile immaginare che il titolare
del diritto desideri ottenere l’accertamento di sue «possibilità» future e non di «necessità» at-
tuali dell’obbligato ed infatti è stato giustamente rilevato (TAVORMINA, V., Contributo alla teo-
ria dei mezzi di impugnazione delle sentenze, cit., p. 20) che «non ha senso parlare di un po-
tere che miri a farsi accertare». La questione meriterebbe in effetti riflessioni più ampie delle
misere osservazioni avanzate in questa nota, ma pur muovendo da questi brevi spunti, sem-
bra a chi scrive che la dottrina qui in esame corra – per così dire – su due binari paralleli: da
un lato, la concezione della norma, che, pur depurata dalla coloritura sanzionatoria del do-
vere giudiziale, nel suo esser indirizzata agli organi giudiziari, ovvero proprio per come è con-
cepita, rimane comunque rivolta all’epilogo coattivo-attuativo del diritto (cfr. infatti l’origina-
ria concezione di Kelsen, che pur Allorio critica, individuando nel tener ferma la concezione
della norma come «programma di sanzione» uno degli «aspetti caduchi» della dottrina kelse-
niana); dall’altro, la supervalutazione della prospettiva strutturale (posta a superamento di
quella finalistica e capace di fornire l’esauriente spiegazione dei fenomeni giuridici), la quale
conduce l’illustre processualista a cogliere l’essenza della giurisdizione nel giudicato, quale
l’effetto tipico dell’attività giurisdizionale (spec. Saggio sulla «giurisdizione» volontaria, cit., p.
48 ss.), con ciò isolando l’istituto rispetto alla sua funzione, ovvero, più precisamente, da quel
«processo di determinazione del concreto» che si realizza nella «progressione ideale dalla
legge all’azione» (secondo la formula insuperabilmente insegnataci da SATTA, S., Il processo
nell’unità dell’ordinamento, in Soliloqui e colloqui di un giurista, Padova, 1968, p. 116 ss.). Per
dirla con altre parole la regola espressa dall’art. 2909 c.c. è una regola tra le tante. Ovvero, se
colta nella sua dimensione puramente formale, giammai illuminerà sull’essenza dell’istituto,
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 327
presenta quindi – e non a caso, ovviamente – forti affinità con quella già
avanzata da Savigny45 e di chiara ascendenza Kantiana46, specie laddove,
da un lato, il diritto in senso soggettivo è descritto come «una sfera nella
quale la volontà di questa regna, e regna con il suo consenso»47, oppure
come «il riconoscimento di una invisibile linea di confine, entro la quale
la esitenza e la attività di ciascuno possa godere di uno spazio libero e si-
curo» e, dall’altro, si precisa che «la regola, che fissa quel confine e de-
termina questo spazio libero, è il diritto»48.
È vero che Savigny si riferisce al diritto soggettivo quale «potere,
che spetta a ciascuna persona»49, ma tale «potere» non si appalesa nella
veste «spirituale» propria delle letture poc’anzi esaminate, bensì piutto-
sto come attività sul mondo materiale consentita e protetta dalla regola di
diritto50.
sul suo fondamento, che è a priori e non stà nelle forme. In altri termini, il rilevare che l’atto
«sentenza passata in giudicato» è più stabile rispetto all’atto «provvedimento amministrativo
inimpugnabile» piuttosto che all’atto «lodo non impugnabile» di per sé chiarisce unicamente
«qualità relative» dell’oggetto. Per capirci, noi possiamo dire che Tizio corre più veloce di
Caio, ma da tale constatazione giammai sapremo perché ciò avviene. Così, la regola di stabi-
lità della sentenza a cui ci riferiamo non può dirci nulla sulla sua essenza, sulla – come piace
dire ai noi giuristi – «natura» dell’attività giurisdizionale che ad essa conduce, se non viene
inserita – quale elemento logico imprescindibile – in quel percorso di concretamento del di-
ritto che è il processo.
45 Il legame sussistente tra la teoria del Savigny e quelle che nella definizione del diritto
soggettivo valorizzano il lato c.d. interno del diritto, ovvero la libertà che spetta al titolare
dello stesso è rilevato correttamente da BALLADORE PALLIERI, G., Diritto soggettivo e diritto
reale, cit., spec. p. 3.
46 Cfr. il concetto di diritto in KANT, I., Metafisica dei costumi, Introduzione alla dottrina
del diritto, § B (VI, p. 230), diretto a rispondere all’esigenza di coordinamento delle libertà
individuali: «Il diritto è l’insieme delle condizioni per le quali l’arbitrio di ognuno può accor-
darsi con l’arbitrio di altri secondo una legge universale di libertà»; la quale «legge univer-
sale» risulta la seguente: «agisci esternamente in modo che il libero uso del tuo arbitrio possa
accordarsi con la libertà di ogni altro secondo una legge universale». Su questa definizione v.
le stimolanti osservazioni di CESARINI SFORZA, W., Diritto, Teoria generale: IV) Diritto sogget-
tivo, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 659 ss., spec. p. 680 ss. Per ulteriori riferimenti, anche
riguardo le radici filosofiche di questo modo di vedere, v., per tutti, ESPOSITO, C., Lineamenti
di una dottrina del diritto, Fabriano, 1930, p. 50 ss.
47 SAVIGNY, F.C., Sistema del diritto romano attuale, traduzione italiana di V. Scialoja, I,
che comunque da tale posizione prende le distanze proprio per l’inserzione nella definizione
del diritto soggettivo del concetto di potere. Sul punto, sebbene in preciso riferimento alla
posizione di Pugliatti (su cui infra, nota 65) v. anche PUGLIESE, G., Actio e diritto subiettivo,
cit., p. 62, nota 2.
328 CAPITOLO QUINTO
definizione nonostante poi (p. 55 ss.) dia pieno accoglimento ai risultati della giurisprudenza
analitica circa la relazione tra diritto e obbligo ed affermi che la presenza di pretese è nel di-
ritto soggettivo «essenziale».
57 Cfr. infra, anche la posizione di Pugliatti, tra poco citata nel testo e quella di Cicala,
13 ss. e poi 21 ss., svolge nei confronti dell’impiego del concetto di potere nella definizione
del diritto soggettivo. Si osserva, infatti, che (p. 25) posta una norma, emanato il comando
giuridico da parte dell’ordinamento, «tutto è […] trasformato nelle condizioni d’ambiente
esteriori al soggetto, in quanto, mentre prima, allo stato naturale, doveva adoperare forza
contro forza per far prevalere il proprio interesse, ora non già deve operarne di meno oppure
ne ha di più a disposizione, ma non deve impiegarne affatto, non ne ha bisogno, perché nes-
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 329
suno può ormai lecitamente impedirgli di soddisfarlo senza incorrere nel torto. Direi così che
l’interesse, anziché trasformato – come recentemente si è detto – in un quid diverso e formale
che sarebbe il potere [la critica è rivolta a NICOLÒ, R., L’adempimento dell’obbligo altrui, cit.,
p. 72], è trasportato in un ambiente diverso: un ambiente di giuridica composizione d’ogni
conflitto. Cos’è, ora, che in questa situazione ha ragion di diritto soggettivo? Precisamente
l’opposto, a me sembra, di ciò che prima e fuori dell’ordine giuridico, aveva ragione di forza.
Non preminenza o superiorità o, comunque, attrezzatura di forza, di potere-forza; ma antitesi
e superfluità della forza (fin quando non intervenga la violazione e con questa sia già in atto
il torto). Al dovere degli obbligati non fa così da contrapposto, come diritto soggettivo, il po-
tere d’un altro soggetto esprimentesi a fianco del diritto del diritto obiettivo nell’irradiazione
(da questo soggetto) di una nuova pretesa reclamante l’osservanza del comando, ma fa da
contrapposto ciò che può empiricamente chiamarsi «avere, mancando il conflitto, la via libera
al soddisfarsi». Sul punto, tra gli altri, cfr. anche GUARINO, G., Potere giuridico e diritto sog-
gettivo, cit., p. 10-11; PUGLIESE, G., Actio e diritto subiettivo, cit., p. 47 ss.
59 Per CICALA, F.B., Il rapporto giuridico, Milano, 1959, p. 21, il diritto soggettivo sa-
rebbe l’effetto del rapporto giuridico ideale «dal carattere squisitamente tecnico-giuridico e
filosofico insieme», che, distinto da «qualsiasi speciale relazione empirica tra l’una e l’altra
persona», si instaura «tutte le volte che l’individuo, volontariamente o non, entrerà in una
delle condizioni previste dall’ordinamento giuridico, […] tra l’individuo (termine soggettivo,
o soggetto) e le norme giuridiche (termine oggettivo, od oggetto del rapporto medesimo) ap-
plicabili alla rispettiva fattispecie» (p. 18). L’«essenza» di tale effetto, ovvero, l’«essenza» del
diritto soggettivo sarebbe dunque un «potere ideale che sorge in favore del soggetto, sulla
sfera d’influenza del termine oggettivo del rapporto»; sfera di influenza corrispondente alla
«società retta da un determinato ordinamento giuridico» (p. 60, ma anche 21). Come spiega
lo stesso Autore, «in sostanza […] avere un comando (essere, cioè, titolare di un diritto su-
biettivo) equivale ad avere un potere: il potere del soggetto, sulla sfera sopra accennata, non
è che l’impero della stessa norma, ma non già obiettivo ed astratto, bensì subiettivo (per de-
finizione), cioè concretatosi nel soggetto» (p. 62). Nell’ulteriore svolgimento del concetto si
precisa – poi – che, se l’oggetto del diritto soggettivo è – come detto – la «giuridica comu-
nanza» quale sfera di influenza della norma, allora l’oggetto del diritto soggettivo può essere
inteso anche come l’«entità ideale oggettiva» che «emana e si svolge dal diritto soggettivo»,
ovvero il «bene ideale, giuridico» che appartiene al soggetto. Nella prospettiva così reimpo-
stata l’oggetto del diritto soggettivo diventa la «pretesa astratta che, in virtù del proprio di-
ritto, egli avanza di fronte a tutti i consociati in generale» (p. 96), ovvero «la generale ed
astratta affermazione di un’attività, concepita come possibile, spettante al soggetto del rap-
porto giuridico» (p. 97-98). Su questa base, quindi, i diritti soggettivi possono essere meglio
definiti come «la legittimazione del soggetto ad avanzare delle pretese nella giuridica comu-
nanza» (p. 97) ed, infine, il contenuto del diritto soggettivo può essere accolto secondo due
direzioni: rispetto al soggetto, il contenuto dovrà essere apprezzato in riferimento al conte-
nuto della pretesa astratta, è sarà dunque rappresentato dalle «facoltà astratte», cioè dall’«at-
tività astratta, concepita come possibile» (p. 110-111); rispetto ai consociati il contenuto del
330 CAPITOLO QUINTO
trina60 che ha ritenuto corretto dare ampio svolgimento teorico alla defi-
nizione di diritto soggettivo quale «potestà di volere che ha l’uomo, rico-
diritto del soggetto consisterà nel loro «giuridico assoggettamento al comando o potere di
lui», cioè nell’obbligo imposto ai consociati da cui deriverà, da un lato, «una necessità gene-
rale ed assoluta, di non violare i rapporti giuridici che s’incentrano nel soggetto» e, dall’altro
– allorché «si aggiunga una particolare relazione col soggetto» – «una necessità, specifica, re-
lativa, dell’obbligato, di compiere determinati atti, a cui espressamente si dirige la pretesa del
soggetto, o di astenersi da atti cui il soggetto espressamente proibisce» (p. 112). Anche in Ci-
cala, dunque, depurando tale lettura dalla proiezione idealistica che la caratterizza, non v’è
dubbio che la sostanza del fenomeno vada a concentrarsi nelle «facoltà astratte», cioè
nell’«attività astratta, concepita come possibile». Non è un caso, ma anzi risponde ad una ben
precisa esigenza ricostruttiva, quindi, che dalla ricostruzione di Cicala venga escluso il rap-
porto che si instaura tra titolare dell’obbligo e norma. Se, infatti, il rapporto giuridico si in-
staura semplicemente ogni qual volta «l’individuo, volontariamente o non, entrerà in una
delle condizioni previste dall’ordinamento giuridico», ci si chiede prima di ogni cosa per
quale ragione tale fenomeno non si verifichi in egual misura riguardo il titolare dell’obbligo
oltre che riguardo il titolare del diritto. Nessuno credo possa dubitare del fatto che quanto-
meno anche il titolare dell’obbligo entri nelle condizioni previste dalla norma. Peraltro que-
sto è il naturale esito a cui è giunta la dottrina che, come Cicala, ha ritenuto corretto rigettare
la tradizionale concezione intersoggettiva del rapporto giuridico, ponendo il soggetto diretta-
mente in relazione con la norma (cfr. infatti retro, nota 42, la posizione di Barbero). Anche
l’articolata posizione di Cicala, quindi, rilancia l’idea del diritto soggettivo concepito attorno
all’idea di libertà del soggetto, del poter fare. Ed anche qui torna immancabilmente l’imma-
gine del diritto soggettivo formato da «il lato positivo: quello che si riferisce al soggetto, da
cui parte, erga omnes, l’affermazione astratta delle proprie pretese, riguardo alla libera espli-
cazione della propria volontà, entro la sfera delimitata dalle norme di diritto» e da «il lato ne-
gativo: quello che si rivolge ai consociati e allo Stato» e che «nega implicitamente qualsiasi in-
debita menomazione della propria libertà di azione (o di omissione)» (p. 439-440, conclusioni
espresse da Cicala con riguardo ai diritti di libertà, ma con esplicita possibilità di estensione
a tutti i diritti soggettivi, cfr., infatti, anche p. 110 s.). Per ulteriori considerazioni sulla posi-
zione di Cicala, v. infra, nel testo e nota 88.
60 Per tutti, v. PUGLIATTI, S., Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, p. 56-
60. A questa concezione detta frequentemente combinatoria o mista aderiscono, ancor prima
di Pugliatti, ROCCO, Alf., La sentenza civile, Torino, 1906, p. 26 (p. 23, della ristampa del
1962); CAMMEO, F., Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, I, Milano, s.d., p.
13 ss.; ROCCO, Art., L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale, Milano-Torino-Roma,
1913, p. 570 ss.; ROCCO, U., L’autorità della cosa giudicata e i suoi limiti soggettivi, I, Roma,
1917, p. 241, in nota; con particolare chiarezza e rigore, BETTI, E., Il concetto dell’obbligazione
costruito dal punto di vista dell’azione (1920), ora in Diritto sostanziale e processo, Milano,
2006, p. 11-12, anche in nota; ID., Diritto romano, I, Padova 1935, p., 70 ss. Cfr. anche, FI-
LOMUSI GUELFI, F., Enciclopedia giuridica, Napoli, 1904, p. 10-11; ID., Introduzione alle scienze
giuridiche e istituzioni di diritto civile, Roma, 1897, p. 28; COVIELLO, N., Manuale di diritto ci-
vile italiano, Parte generale, Milano, 1915, p. 18 s.; SIMONCELLI, V., Istituzioni di diritto privato
italiano, Roma, 1917, p. 41; DE RUGGIERO, R., Istituzioni di diritto civile, cit., p. 191 ss.; BOZZI,
C., Diritto subiettivo e interesse, in Nuovo Dig. it., a cura di M. D’Amelio, IV, Torino, 1938,
p. 1232 ss., ma spec. p. 1233; ROCCO, U., Trattato di diritto processuale civile, I, Parte generale,
Torino, 1957, p. 21; FURNO, C., Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Fi-
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 331
renze, 1942, p. 31, spec. nota 3; DE CUPIS, A., Istituzioni di diritto privato, Milano, 1977, p.
23 s.; più di recente, v. TRABUCCHI, A., Istituzioni di diritto civile, Padova, 1998, p. 50 s.; SAN-
TORO PASSARELLI, F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 2002, p. 70; PERLINGIERI,
P., Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, p. 67 e 68; TORRENTE, A. - SCHLESINGER, P., Ma-
nuale di diritto privato, Milano, 2004, p. 64 s.; ALPA, G., Manuale di diritto privato, Padova,
2005, p. 174; GAZZONI, F., Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, p. 56-57.
61 JELLINEK, G., System der subjektiven öffentlichen recte, Tübingen, 1905, p. 44; nella
versione italiana, Sistema dei diritti pubblici soggettivi, trad. it. G. Vitigliano, Milano, 1912, p.
49. Ma la concezione a cui ci riferiamo trova origine in BERNATZIK, E., Kritische Studien über
Begriff der juristischen Person und über die jurisdische Persönlichkeit der Behörden insbeson-
dere, in Archiv für öffentliches Recht, 1890, V, p. 169 ss.
62 Di teoria combinatoria parlava già KELSEN, H., Problemi fondamentali della dottrina
diziale, cit., p. 69 e CESARINI SFORZA, W., Diritto, Teoria generale: IV), cit., p. 684.
64 PUGLIATTI, S., Esecuzione forzata e diritto sostanziale, cit., p. 50.
332 CAPITOLO QUINTO
65 PUGLIATTI, S., Esecuzione forzata e diritto sostanziale, cit., p. 59. Come si accennava in
chiave problematica poc’anzi nel testo, il riferimento all’«interesse protetto» presente nella
definizione di Pugliatti, ed ereditato fondamentalmente da Jellinek e Bernatzik, è qualcosa di
completamente diverso da quello che vuole esprimere Jhering mediante l’impiego di tale for-
mula. Per Jhering, infatti, lo strumento di protezione dell’interesse, non è la volontà, ma la tu-
tela giurisdizionale, l’azione (cfr. infra, § 2.5.1.). Per farsi chiarezza su come la volontà possa
proteggere l’interesse del titolare del diritto non c’è insomma altra strada che comprendere a
fondo la tesi in esame. Lontano dal vero sarebbe chi ritenesse che secondo Pugliatti la vo-
lontà protegge l’interesse nel senso che essa è decisiva per l’attuazione del precetto violato o,
semmai, del precetto secondario-sanzionatorio. Volendo semplificare l’architettura concet-
tuale a cui si affida Pugliatti per spiegare il rapporto tra la tutela giuridica e l’interesse (già au-
torevolmente fatta propria da BETTI, E., Il concetto dell’obbligazione costruito dal punto di vi-
sta dell’azione, cit., p. 11), il ragionamento dovrebbe essere impostato come segue. L’ordina-
mento giuridico consente al titolare del diritto di volgere la sua volontà verso il
perseguimento dei suoi interessi, ovvero – liberandosi da formule equivoche che hanno solo
l’effetto di rendere oscuro ciò che si vuole esprimere – di porre in essere quei comportamenti
che costituiscono attuazione concreta delle facoltà che il diritto gli riconosce. Ad es. il pro-
prietario può coltivare il fondo (potere di volere) per trarne frutto (interesse del proprieta-
rio). Visto che la coltivazione del fondo costituisce un’attività consentita e protetta da parte
dell’ordinamento la quale rappresenta il concretarsi della volontà del soggetto e visto che con
essa questi persegue l’interesse a trarre frutti dal fondo, allora possiamo dire che tale interesse
è protetto dall’ordinamento. Con questi chiarimenti credo si possa comprendere quanto af-
fermato dall’autorevole giurista laddove, senza alcuna esemplificazione concreta e ripren-
dendo formule note alla dottrina (interesse occasionalmente protetto, interesse legittimo,
ecc.), si distingue tra protezione dell’interesse in via diretta e quella in via indiretta (p. 57 ss.).
La diretta corrisponde al diritto soggettivo e si realizza – come detto – allorché si realizzi il
meccanismo del c.d. «riconoscimento della volontà» del soggetto titolare del diritto (esempio
appena indicato qui in nota). Alla tutela indiretta invece può corrispondere tanto l’«interesse
semplice» quanto l’«interesse occasionalmente protetto». La prima ipotesi si ha quando, pur
mancando il riconoscimento della volontà del soggetto, questi si avvantaggia indifferenziata-
mente, uti cives, della tutela diretta di un interesse generale, mentre la seconda ipotesi è
quando l’interesse del soggetto riceve dalla tutela diretta dell’interesse pubblico un vantaggio
particolare. L’interesse legittimo, infine, è protetto direttamente ma «vive nella sfera di un in-
teresse pubblico, il quale, acquistando prevalenza, può neutralizzare o annullare la prote-
zione» (p. 58-9). Riguardo questa classificazione numerose sarebbero le critiche di dettaglio
da avanzare, ma ciò ci porterebbe molto lontano dal punto specifico. Messa da parte, dun-
que, la questione relativa all’opportunità ed alla correttezza di riferirsi ad una tutela diretta ed
indiretta dell’interesse, specie se condotta nei termini appena accennati ovvero ancorati alla
rilevazione del vantaggio più o meno particolare ricevuto dal soggetto (ma v. infra, nel testo
§ 2.5.3. e a nota 131), basti, per tutte, la seguente osservazione: l’operazione concettuale pro-
posta da Pugliatti, secondo la quale l’interesse protetto è l’interesse a cui mira la volontà che
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 333
concetto di diritto soggettivo ed alcune sue applicazioni, Milano, 1947, spec. p. 48 s., in cui si
constata che «tutte le prescrizioni giuridiche che contengono la determinazione che l’uomo
faccia valere un dato aspetto di sé, conferiscono, automaticamente, alla volontà individuale il
potere di attuare il contenuto normativo necessario a realizzare l’aspetto della vita preso in
considerazione: tale potere chiamiamo diritto soggettivo». Ulteriori elementi di affinità con le
tesi in esame sono presenti, seppur all’interno di un’impostazione teorica originale, in FRO-
SINI, V., Diritto soggettivo, in Noviss. Dig. it., V, Torino, 1960, p. 1048 ss.; ID., La struttura del
diritto, cit., p. 3 ss.; ID., Diritto soggettivo e dovere giuridico, cit., p. 207 ss., che nel diritto sog-
gettivo vede «l’esigenza di far valere la volontà soggettiva dell’agente come una volontà og-
gettiva (cioè legalmente definita), ed è dunque una facultas exigendi, una facoltà di esigere un
certo riconoscimento giuridico della propria azione» (p. 211), un «diritto al diritto» (p. 223);
non sembra dunque doversi ricondurre questa posizione all’orientamento che intende il di-
ritto soggettivo come diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligo (su cui infra, § 2.4.),
come, invece, risulterebbe dalla lettura datane da COMPORTI, M., Formalismo e realismo in
tema di diritto soggettivo, in Riv. dir. civ., 1970, I, p. 435 ss., spec. p. 444, nota 26. La dicoto-
mia potere-dovere la si trova anche in RESCIGNO, P., Manuale di diritto privato, Milano, 2000,
p. 206 ss., ma senza il carico concettuale e dogmatico che generalmente si assegna alla figura
del potere quale situazione attiva all’interno del rapporto giuridico.
67 NATOLI, U., Il diritto soggettivo, cit., p. 60, seppur in riferimento alla figura della pre-
tesa.
334 CAPITOLO QUINTO
proietta nel concetto di diritto soggettivo per far partecipare questo all’i-
dea di protezione e di prevalenza giuridica che in realtà già a quella
stessa norma appartiene68, allora diviene agevole rendersi conto come la
definizione del diritto soggettivo in questione rinvii, pur rivestendola di
diverse forme terminologiche e con la moltiplicazione delle componenti
concettuali, alla stessa sostanza del fenomeno cui si dà rilievo nelle più
appaganti teorie del diritto soggettivo come agere licere, che non necessi-
tano né della figura del potere, né di quella della volontà, né – ancora –
del concetto di interesse per dare veste giuridica alla posizione di libertà
che è vista animare l’essenza del diritto soggettivo.
2.3.1. I rapporti tra la possibilità di agire e l’obbligo nelle concezioni del di-
ritto soggettivo come posizione di libertà
Determinata, dunque, questa classe di teorie, tutte nella sostanza
concepite attorno all’idea del diritto soggettivo come posizione di libertà
del soggetto, si può ora concentrare l’attenzione proprio sulle osserva-
zioni critiche che contro il nucleo centrale di queste concezioni possono
essere rivolte, che poi è in fin dei conti la stessa idea di diritto soggettivo
come posizione di libertà.
Indirizzandoci, dunque, verso l’obiettivo or ora indicato, è peraltro
opportuno dar conto – procedendo per esemplificazioni significative – di
alcuni aspetti, solo apparentemente di dettaglio, che caratterizzano que-
ste teorie e che meglio definiscono l’immagine complessiva della strut-
tura concettuale da queste definita diritto soggettivo; è opportuno, in al-
tri termini, esaminare più analiticamente tale struttura formale nel suo
aspetto complessivo e non unicamente limitato alla componente ritenuta
essenziale.
A tal scopo appare fondamentale distinguere al loro interno tra due
fondamentali orientamenti ricostruttivi di cui il primo – la consistenza
del quale si andrà ora a chiarire – trova un’adeguata rappresentazione se
non, forse, nella posizione di Pugliatti, sicuramente in quella elaborata da
Natoli71.
degli altri AA. è l’aver ritenuto possibile concepire il diritto soggettivo quale possibilità di
agire senza la necessità di circondarlo di obblighi che lo assistono; concezione a cui ad es.
aderisce BIGLIAZZI GERI, L., Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato,
Milano, 1976, p. 71 ss. Vista poi anzi la posizione di PUGLIATTI, S., Esecuzione forzata e diritto
sostanziale, cit. (appunto caratterizzata dal rinvenire l’essenza del diritto soggettivo nel rico-
noscimento della volontà del soggetto che si indirizza, concretandosi, al soddisfacimento dei
336 CAPITOLO QUINTO
diche, nuove considerazioni intorno alla categoria degli atti meramente facoltativi, in Studi se-
nesi, 1902, ora in Scritti giuridici, I, Torino, 1965, p. 45.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 337
generale del diritto, cit., p. 171, per il quale la «combinazione tra facoltà e obbligo consiste in
due uomini, uno dei quali è libero e l’altro guardato da un terzo armato, pronto a impedirgli
di sbarrare al primo la strada».
76 DEL VECCHIO, G., Il concetto del diritto, cit., p. 99. Cfr. anche ID., Lezioni di filosofia
del diritto, Milano, 1965, p. 225: «se si afferma che una data azione è, in questo senso obiet-
tivo, conforme al principio etico, si afferma con ciò soltanto che non deve avvenire da parte
di altri un’azione incompatibile con essa: ciò che un soggetto può fare non deve essere im-
pedito da un altro soggetto. Il principio etico in questa forma tende dunque ad istituire un
coordinamento obiettivo dell’operare, e si traduce in una serie correlativa di possibilità e im-
possibilità di contegno rispetto a più soggetti. Questo coordinamento etico obiettivo è il
campo del diritto». La coesistenza tra lato interno ed esterno del diritto, così concepita, oltre
338 CAPITOLO QUINTO
gibilità del rispetto, ossia la ragion di pretendere si riscontra in ogni diritto, ma sarebbe,
prima della violazione, solamente «latente», divenendo a seguito di essa vera «reazione giuri-
dica» ed esprimendosi sul piano concreto e tecnico con l’azione (p. 101 s.).
78 SANTORO PASSARELLI, F., Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 71. V. anche DO-
NATI, B., Interesse e attività giuridica, Bologna, 1909, p. 44 ss.; VANNI, I., Lezioni di filosofia del
diritto, Bologna, 1920, p. 106; BARASSI, L., Istituzioni di diritto civile, Milano, 1921, p. 48 e
102 ss.; RAVÀ, A., Istituzioni di diritto privato, Padova, 1938, p. 25, che cita Romagnosi per il
quale il diritto è «la potestà dell’uomo tanto di agire senza ostacolo a norma di legge, quanto
di conseguire da altri ciò che gli è dovuto in forza della legge medesima»; ID., Lezioni di filo-
sofia del diritto, III, Il concetto del diritto, Padova, 1936, p. 147 ss.; BARILE, G., I diritti asso-
luti nell’ordinamento internazionale, Milano, 1951, p. 31 ss.; BATTAGLIA, F., Alcune osserva-
zioni sulla struttura e sulla funzione del diritto, in Riv. dir. civ., 1955, p. 509 ss.; ID., Corso di
filosofia del diritto, II, Roma, 1957, p. 165 ss.; GASPARRI, P., Relatività dei concetti di diritto og-
gettivo e di diritto soggettivo, in Studi in onore di G.M. De Francesco, Milano, 1957, p. 267 ss.,
che (spec. 295) afferma che «il riconoscimento di una facoltà di agire è connesso, e bisogna
che sia connesso, perché la facoltà non rimanga sterile di effetti pratici, con [la] pretesa», pro-
ponendo – così – un esempio la cui inesattezza rileviamo infra, nel testo: «la mia facoltà di
camminare sulle pubbliche vie non avrebbe praticamente senso, se io non avessi anche la fa-
coltà di reagire nei modi legalmente stabiliti contro chi mi impedisca la deambulazione». Seb-
bene all’interno della sua particolare concezione, v. anche FROSINI, V., Diritto soggettivo e do-
vere giuridico, cit., p. 233. Questo orientamento tende poi ad evolversi nelle concezione
«composite» del diritto soggettivo, il quale diviene aggregato di situazioni soggettive semplici:
cfr. oltre agli AA. che si citano nel testo (spec. Guarino), la posizione di Fazzalari, su cui v.
infra, nota 99, ma spec. nota 122. Nella manualistica più recente, specie per ragioni di sem-
plificazione espositiva, questo orientamento trova peraltro un buon seguito, tant’è che – so-
vente – la materia da trattare è organizzata proprio prevedendo una parte più generale dedi-
cata alle «situazioni giuridiche soggettive», che si sottoarticola in più voci tra cui il diritto sog-
gettivo, il quale appare come aggregato di più situazioni soggettive semplici. Cfr., ad es.:
TRIMARCHI, P., Istituzioni di diritto privato, cit., p. 60, che evidenzia l’essenzialità della sola
pretesa nel concetto di diritto soggettivo, ma ciononostante non ritiene opportuno superare
la nozione di questo quale insieme di pretese, facoltà, poteri, immunità; GALLO, P., Istituzioni
di diritto privato, Torino, 2000, p. 41 ss.; NIVARRA, L. - RICCIUTO., V. - SCOGNAMIGLIO, C., Isti-
tuzioni di diritto privato, Torino, 2002, p. 49 ss.; IUDICA, G. - ZATTI, P., Linguaggio e regole del
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 339
Preme notare che la posizione dell’A. indicato muove proprio dalla necessaria intersoggetti-
vità delle norme (p. 68 ss.) ponendo in risalto l’importanza sistematica della posizione di «de-
stinatarietà» dell’obbligo (su cui v. infra, § 2.4.) quale situazione favorevole inattiva (p. 71). È
così che l’A. giunge a chiedersi come definire tale posizione e se ad essa corrisponda il diritto
soggettivo. La risposta negativa a tale ultimo quesito giunge sulla scorta dell’osservazione se-
condo la quale «o si rifiuta il concetto di “agere licere”, di lecito in senso giuridico – ma chi
vorrà farlo per appianare una questione terminologica –; o si conclude per la non coincidenza
dei concetti di diritto soggettivo e di situazione giuridica risultante dalla combinazione della
destinatarietà di obblighi altrui con proprie facoltà di agire, per quanto intimo possa essere il
340 CAPITOLO QUINTO
legame tra l’uno e l’altro elemento, per quanto possa avvenire – ed avviene in caso di attri-
buzione di obblighi di “pati”, di lasciar fare – che l’uno è semplicemente inconcepibile senza
l’altro» (p. 75-76). Tale considerazione porta, dunque, Sperduti a definire tale posizione di
destinatarietà come «pretesa» riservando al diritto soggettivo il compito di tenere assieme l’a-
gere licere con la pretesa. È proprio sulla base dell’impossibilità di concepire la facoltà di
agire slegata dall’obbligo, dunque, (cfr. anche la nota che segue) che tale scelta classificatoria
trova origine.
85 SPERDUTI, G., Contributo alla teoria delle situazioni giuridiche soggettive, cit., p. 85-86,
ferma che la norma «sia pure guidata al fine di dar luogo a dei diritti, impone però, appunto
per raggiungere questo fine, direttamente e immediatamente dei doveri. Il diritto potrà, or sì
or no, secondo la ragion politica, precedere al dovere, come fine del comando: ma non può
mai preesistere logicamente (cronologicamente poi coesistono) come effetto del comando
medesimo».
87 Cfr. retro, nota 59.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 341
88 CICALA, F.B., Il rapporto giuridico, cit., p. 110 ss., e poi, p. 439 ss. Riguardo questa dot-
trina, numerose sarebbero le osservazioni critiche da muovere, ma – tolte quelle che diretta-
mente attengono alla concezione del diritto soggettivo come libertà (sulle quali ci dilugheremo
ampliamente nel testo), nonché quelle (su cui, cfr. retro, nota 59) che potrebbero essere mosse
contro la proiezione idealistica che anima tale impostazione (proiezione che peraltro qui si ma-
nifesta in una variante particolarmente forte visto che la pretesa si dimostra essere effettiva-
mente generatrice dell’assoggettamento e dell’obbligo dei consociati), nonché ancora quella re-
lativa all’inspiegabile assenza di un rapporto giuridico ugualmente instaurantesi tra titolare
dell’obbligo e norma giuridica (su cui v. ancora retro, nota 59) – ci limitiamo in questa sede ad
evidenziare l’insostenibilità della contestuale esistenza di una necessità generica con una ne-
cessità specifica. Qui si è in presenta di una lampante forzatura ricostruttiva, dovuta all’effetto
congiunto dell’impronta idealistica della concezione, assieme alla tenace propensione a co-
struire il concetto di diritto soggettivo prendendo a modello esemplare ed esaurientemente
rappresentativo i diritti assoluti. Così, se si assume – per definizione – che il diritto soggettivo
consista in una pretesa, che parte dal soggetto per dirigersi verso tutta la collettività organiz-
zata, imponendo ad ogni consociato di riconoscere al titolare del diritto il libero esercizio della
sua attività lecita, allora, nelle ipotesi in cui, come tipicamente accade nei diritti di credito, il
contenuto della regola di diritto impone comportamenti attivi e specifici da parte degli stessi
consociati, occorre anche far sì che questo ulteriore fenomeno trovi posto nella definizione of-
ferta ed ecco che lungo questa linea si approda necessariamente alla coesistenza di una «ne-
cessità generale» con una «necessità specifica». Ma detto epilogo non solo è evidentemente ar-
tificioso, ma è anche intrinsecamente contraddittorio oltre che oscuro, poiché non è spiegato
per quale ragione la portata lato sensu costitutiva della pretesa, talora possegga una portata ge-
nerica e talaltra una portata specifica oltre che anche generica. La concezione di Cicala appare
in realtà, come molte altre, gravata dall’ennesima superfetazione di componenti concettuali
inutili. Anche in essa si è troppo legati ad immagini e metafore; immagini che poi si pongono
come necessari interlocutori da cui non è più dato prescindere.
89 GUARINO, G., Potere giuridico e diritto soggettivo, cit., p. 15 ss.
90 GUARINO, G., Potere giuridico e diritto soggettivo, cit., spec. p. 23-24.
342 CAPITOLO QUINTO
91 GUARINO, G., Potere giuridico e diritto soggettivo, cit., p. 25 ss., ma cfr. anche retro,
nota 41. Da ciò deriva la possibilità di concepire una serie di possibili combinazioni tra fatti-
specie normative dinamiche e situazioni attive: diritti-poteri, diritti-potestà, diritti-comporta-
menti prescritti, doveri-poteri, doveri-facoltà, doveri-comportamenti-prescritti (cfr. p. 31)
92 GUARINO, G., Potere giuridico e diritto soggettivo, cit., p. 37.
93 GUARINO, G., Potere giuridico e diritto soggettivo, cit., p. 39.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 343
2.3.2. Critica alla concezione del diritto soggettivo come posizione di libertà
tazione della libertà dei terzi la figura del diritto reale e quella del diritto assoluto in genere
possono sorgere in un ordinamento positivo». Similmente in ID., Diritti soggettivi: b) Diritti
reali, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 755 ss., ma spec. p. 765 s. Cfr. anche GIULIANO, M.,
Norma giuridica, diritto soggettivo ed obbligo giuridico, Modena, 1952, p. 26; ALLORIO, E.,
L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, cit., p. 60; SANTORO PASSA-
RELLI, F., Diritti soggettivi: a) Diritti assoluti e relativi, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 748 ss.,
ma spec. p. 751 ss.
98 AUSTIN, J., Lectures on Jurisprudence or The Philosofy of Positive Law, London, 1873,
p. 353 ss. e poi 404 ss.; ma successivamente tali concetti sono stati definitivamente chiariti da
HOHFELD, W.N., Concetti giuridici fondamentali (Fundamental Legal Conceptions, New Ha-
ven, 1923), Torino, 1969, p. spec. p. 17 ss.; e poi, ROSS, A., Diritto e giustizia (On Law and Ju-
stice, London, 1958), trad. it., Torino, 2001, spec. p. 149 ss., 154 ss.
99 Come appare ovvio il presupposto logico dell’esemplificazione che andiamo svol-
gendo nel testo è che il non vietato sia lecito. Ossia concepiamo l’ordinamento come votato a
«ritagliare», all’interno degli infiniti possibili comportamenti umani, quelli doverosi; ciò pe-
raltro può esser sostenuto o immaginando che il lecito cada nell’irrilevante giuridico o imma-
ginando che sia posta una norma generale che qualifica come lecite tutte le attività umane e
che faccia da sfondo alle norme specifiche rivolte ad isolare quelle vietate (così, ad es., PU-
GLIESE, G., Facoltà e proprietà temporanea nella struttura dell’usufrutto, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1956, p. 444 ss., p. 458; cfr. anche ID., Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato di diritto ci-
vile italiano, Torino, 1972, p. 56 s.). La questione è tanto delicata quanto importante: proce-
diamo cautamente. Nelle esemplificazioni presentate nel testo facciamo spesso impiego di un
linguaggio con funzione prescrittiva, che potrebbe far pensare che gli schemi logici delineati
possano trovare fondamento solo all’interno di una concezione imperativistica del diritto.
Questa opinione ad esempio la si ritrova in FAZZALARI, E., Note in tema di diritto e processo,
cit., p. 68 ss. (ma cfr. anche Introduzione alla giurisprudenza, Padova, 1984, p. 54 s.), secondo
346 CAPITOLO QUINTO
Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., spec. p. 279 ss. da noi, cfr. FERRARA, F., Trattato di di-
ritto civile italiano, I, cit., p. 325 ss.; ma soprattutto ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel
prisma dell’accertamento giudiziale, cit., p. 16; CESARINI SFORZA, W., Il diritto soggettivo, in Riv.
it. sc. giur., 1947, p. 181 ss., ma spec. p. 205; ID., Diritto, Teoria generale: IV), cit., p. 689 ss.;
ROSS, A., Diritto e giustizia, cit., p. 155; più di recente, IRTI, N., Introduzione allo studio del di-
ritto privato, cit., p. 51 ss.). Così, ugualmente, coglieva nel segno THON, A., Norma giuridica e
diritto soggettivo, cit., affermando che l’attività di godimento – che di regola è configurata
quale contenuto del diritto di proprietà in tutte le teorie che muovono dall’idea di diritto sog-
gettivo come libertà – è, di per sé, attività di mero fatto. La diversa opinione ha condotto ad
aporie concettuali di non poco rilievo. Non solo, infatti, come diamo conto nel testo, anche il
contenuto del diritto di credito è stato concepito come possibilità giuridica, ma è stato anche
negato che, in ipotesi quali la nuda proprietà, si verifichi la separazione della facoltà di godi-
mento dal contenuto del diritto di cui fa parte, ritenendo che tale fenomeno sia al contrario
una particolare manifestazione di questa stessa facoltà di godimento o della facoltà di dispo-
sizione. Più precisamente si è detto che in tali casi il soggetto «non si spoglia della facoltà di
godimento, ma pone dei limiti (naturalmente temporanei) alla libera esplicazione di essa, legit-
timando nella sfera del proprio diritto l’attività di godimento di un altro soggetto» (NATOLI,
U., Il diritto soggettivo, cit., p. 81-82). Ma, ammesso – come queste tesi ammettono (cfr. Pu-
gliatti, Natoli) – che la tutela offerta dal diritto soggettivo non investa il godimento effettivo,
ma la possibilità di godimento – appartenendo al diritto quale suo contenuto non l’attività
concreta ma lo schema secondo cui questa attività deve svolgersi (PUGLIATTI, S., Esecuzione
forzata e diritto sostanziale, cit., p. 87; NATOLI, U., Il diritto soggettivo, cit., p. 75) – ci si chiede
come sia possibile non avvedersi che proprio tale schema non appartiene più attualmente al
contenuto del diritto soggettivo in questione e che tali «limiti (naturalmente temporanei)» a
cui si fa riferimento, altro non sono che l’obbligo del proprietario di astenersi dal godimento
del bene; obbligo che – come ben può accadere – non si proietta nell’eternità, ma la cui sus-
sistenza è a priori limitata nel tempo. Né è dotata di efficacia dimostrativa l’affermazione se-
condo cui, «se […] scopo del diritto ne è l’attuazione, la possibilità di godimento ne è un mo-
mento essenziale» (come afferma FINZI, E., Il possesso dei diritti, Milano, 1968, p. 300).
Ognun vede, infatti, che una cosa è ritenere che il diritto abbia come scopo quello di realiz-
zare a favore del proprietario la migliore condizione (giuridicamente possibile) per trarre dal
bene tutte le utilità che esso gli può offrire, altra cosa è determinare quali siano gli strumenti
che il diritto utilizza per raggiungere detto scopo. Questo modo di vedere è comunque straor-
dinariamente radicato nella nostra dottrina, come è dimostrato dal recente ed ampio lavoro
di GRAZIADEI, M., Diritto soggettivo, potere, interesse, cit., p. 53 ss. In conclusione, quindi, la
questione che dovrebbe essere chiara al termine di questa lunga nota è la seguente: anche l’o-
rientamento metodologico che pone la norma al centro del fenomeno giuridico, pur costi-
tuendo un passo avanti lungo la strada dell’affrancamento del concetto di diritto soggettivo
dalla prospettiva giusnaturalistica, può dar luogo a distorzioni dovute alla stessa concezione
della norma accolta. La concezione della norma come giudizio di valutazione, prevalente-
mente seguita – sebbene lungo percorsi non sempre lineari – dalla nostra dottrina, ne può
creare di particolarmente dannosi allorché si guardi alla proposizione normativa come ad una
possibile fonte di infiniti criteri di valutazione dei comportamenti umani. Da questa prospet-
tiva la dottrina tende a tessere infinite trame tra diverse qualificazioni, cioè tra diversi nessi
relazionali che possono essere istaurati tra norma e fatto, tra norma e comportamento, tra
norma e soggetto. Questa è ad esempio la strada che conduce alla proliferazione delle situa-
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 349
zioni giuridiche c.d. elementari (facoltà, potere, onere, dovere, aspettativa, ecc.); assunte poi
come elementi costitutivi di situazioni complesse (tra cui, come visto retro, nota 78, ovvia-
mente in testa il diritto soggettivo, o, come vedremo infra, nota 183, lo stesso concetto di
azione). A queste concezioni, spesso seguite come visto nella manualistica, non è stata riser-
vata specifica trattazione nel testo, in quanto anch’esse sono sostanzialmente fondate sull’idea
di poter concepire il diritto soggettivo come posizione di libertà, di possibilità di agire, ecc.
La critica svolta nel testo alla concezione appena indicata, nonché la critica alla raffigurazione
della facoltà come situazione giuridica elementare – argomentata in questa stessa nota – im-
plicano, ovviamente, anche la presa di distanza dall’impostazione metodoligica appena ac-
cennata. Sul punto, già ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giu-
diziale, cit., p. 10 s., avanzava seccate critiche avverso la tendenza proliferante delle situazioni
giuridiche elementari che ad esempio rilevava nell’impostazione carneluttiana (di «flora giu-
ridica» parlava l’illustre giurista).
100 Il possibile ricorso alla forza per tramutare la libertà in prevalenza ed esclusività o
disposizione non si limita a descrivere il contenuto del diritto affermando che il proprietario
350 CAPITOLO QUINTO
«ha diritto di godere» e non si limita nemmeno a dire che tale diritto gli è riconosciuto «in
modo pieno», ma, aggiunge – dando risalto esplicito al contenuto precettivo della norma –
che tale godimento è garantito in modo «esclusivo»; cosa che sta a voler significare che il pro-
prietario, «e non tutti», ha il diritto di godere del bene. E potremmo addirittura dire che se
il requisito dell’«esclusività» non apparisse espressamente nella disposizione legislativa in
questione, si dovrebbe leggere la stessa come se tale requisito vi fosse; sempre ovviamente
ammettendo che al proprietario si voglia dare la posizione di vantaggio rappresentata dal quid
che noi chiamiamo diritto di proprietà. D’altra parte, come autorevolmente osservato (CAR-
CATERRA, G., Il normativismo e la forza costitutiva delle norme, Roma, 1988, p. 11) «l’impor-
tanza del nesso norma-linguaggio stà in ciò: se non si può dire che ogni norma è sempre at-
tualmente espressa in un enunciato del legislatore, si può dire che essa è sempre potenzial-
mente esprimibile in un enunciato ricostruttivo del giurista».
102 Cfr., per tutti, KELSEN, H., Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico,
cit., p. 357.
103 V. già AUSTIN, J., Lectures on Jurisprudence or The Philosofy of Positive Law, cit., p.
355, che riguardo al termine «libertà» afferma: «a term which, not unfrequently, is synony-
mous with right; but which often denotes simply exeption from obbligation». Sulla sua scia, v.
KELSEN, H., Teoria generale del diritto e dello Stato (General Theory of Law and State, Cam-
bridge-Mass., 1945), trad. it. S. Cotta e G. Treves, 2000, p. 75-76: «dicendo: io ho il diritto di
fare qualcosa, può darsi che intenda dire soltanto: io non sono obbligato ad astenermi dal
farlo; e dicendo: io ho il diritto di astenermi dal fare qualcosa, può darsi che intenda dire sol-
tanto: io non sono obbligato a farlo». Successivamente, v. HOHFELD, W.N., Concetti giuridici
fondamentali, cit., p. 17 ss.; ROSS, A., Diritto e giustizia, cit., p. 156, il quale, se, da un lato, af-
ferma che «la mia libertà dopotutto, significa soltanto che gli altri non hanno alcuna pretesa
su di me, cioè non possono giuridicamente impedirmi di godere della libertà», dall’altro, su-
bito aggiunge che «d’altra parte, nella libertà non è insita alcuna pretesa affinché gli altri mi
concedano di fatto la piena possibilità di fare come mi garba».
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 351
104 Vorrei far notare come questa coessenzialità che lega libertà ed obbligo trova la sua
espressione più manifesta nell’impostazione di Cicala in cui, non solo l’obbligo è il riflesso
della libertà, ma esso non deriva nemmeno, come nelle altre concezioni, dalla posizione del-
l’obbligato rispetto alla norma. Difatti la sola relazione a cui l’A. richiamato ritiene dover dare
rilievo è quella che intercorre tra titolare del diritto e norma. Così l’obbligo nasce diretta-
mente dall’assoggettamento in cui si trovano i consociati in ragione della pretesa astratta che
a loro è rivolta da parte del titolare del diritto (cfr. retro, note 59 e 88).
105 Si pensi innanzitutto – oltre ovviamente alle concezioni che ho poc’anzi esposto e
che nel costruire il diritto soggettivo si affidano a diverse forme di sintesi tra facoltà e pretesa
– a KELSEN, H., Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, cit., p. 632-633; ID.,
Teoria generale del diritto e dello Stato, cit., p. 76, che, sebbene sostenga che il diritto è cor-
relativo del dovere sembra non fare applicazione rigorosa di tale principio, nel far coincidere
diritto e possibilità di agire. Afferma l’illustre studioso: «per essere giuridicamente libero, ri-
spetto ad un dato comportamento, un altro individuo o tutti gli altri individui devono essere
obbligati ad una linea di condotta corrispondente. Io non sono giuridicamente libero di fare
ciò che desidero, se gli altri non sono giuridicamente obbligati a lasciarmi fare ciò che desidero.
La mia libertà giuridica è sempre il vincolo giuridico altrui, il mio diritto è sempre l’altrui do-
vere giuridico» (c.vo mio). Cfr. anche BOBBIO, N., Norma giuridica, in Noviss. Dig. it., XI, To-
rino, 1957, p. 330 ss., ma spec. 333; ID., Teoria della norma giuridica, Torino, 1958, p. 30 s.,
ove si sostiene che «avere un diritto […] significa […] avere il potere di compiere una certa
azione», visto che «il diritto non è che il riflesso soggettivo di una norma autorizzativa», men-
tre «il dovere non è che il riflesso soggettivo di una norma imperativa»; cfr. anche ID., Teoria
generale del diritto, cit., p. 250. Ma questo modo di vedere – estremamente frequente tra i
giuristi – non convince appieno. Oltre agli scritti più volte citati di Hohfeld e Ross, v. le acute
osservazioni di PUGLIESE, G., Facoltà e proprietà temporanea nella struttura dell’usufrutto, cit.,
spec. 449 ss., rivolte all’affermazione di Kelsen poc’anzi citata, che però, conformemente alla
sua impostazione (cfr. retro, nota 99), parla di «tutela» della «facoltà» in relazione al fatto che
gli organi giurisdizionali «non hanno il potere di giudicare in concreto illecito quel compor-
352 CAPITOLO QUINTO
tuto, facoltà ed obbligo vanno concepite come facce della stessa medaglia
allora è pur vero che l’uno protegge l’altra, ma anche vero che esso esiste
in funzione di quella106.
Il problema a cui ci riferiamo è nella sua essenza lo stesso che ri-
corre riguardo al concetto di «libertà protetta», per intendere il quale ba-
sti il ricordo delle chiare parole di Norberto Bobbio107.
L’illustre filosofo del diritto distingue, infatti, tra «libertà protetta» e
«libertà non protetta», identificando la prima con la libertà «che viene ri-
conosciuta nel momento stesso in cui viene imposto ai terzi l’obbligo giu-
ridico […] di non impedirne l’esercizio» ed identificando la seconda con
la «libertà non garantita contro l’altrui impedimento».
Ma, sulla scorta di tale distinzione, si evidenzia che se tale seconda ca-
tegoria dovesse essere contemplata «ciò vorrebbe dire che l’uso della forza
da parte di un terzo per impedire l’esercizio di questa libertà sarebbe
lecito». In altre parole la «libertà non protetta» significherebbe «liceità
dell’uso della forza». L’unica conclusione logicamente corretta, stante il
monopolio dell’uso della forza da parte dello Stato negli ordinamenti sta-
tuali moderni, sarebbe dunque l’inammissibilità di tale seconda categoria.
Procediamo ancora per esemplificazioni.
Pensiamo per ipotesi ad una comunità formata dai soggetti A, B, C
e D, che ritiene di regolare i reciproci rapporti mediante una sola regola
di comportamento: il divieto per tutti di far uso della forza. Ogni altro
comportamento è libero. A, B, C, D hanno ad esempio la libertà di ru-
bare, la libertà di ingannarsi a vicenda, la libertà di insultarsi reciproca-
tamento o la sua omissione, né di autorizzare od irrorare qualsiasi misura contro il soggetto»;
osservazione quest’ultima non sottrattasi alla giusta critica di CORDERO, F., Le situazioni sog-
gettive nel processo penale, cit., p. 247, nota 21, che però sembra cedere anch’Egli all’idea
della «libertà protetta» (cfr. p. 247, nota 22). Puntuale è invece CESARINI SFORZA, W., Diritto,
Teoria generale: IV), cit., p. 691.
106 È evidentemente in questa cornice teorica che si pone il problema della c.d. priorità
dell’obbligo. Che peraltro, proprio all’interno di tale cornice rappresenta uno pseudo-pro-
blema. Difatti secondo queste teorie facoltà ed obbligo sono due facce della stessa medaglia.
I passaggi logici in cui si articola questo modo di vedere è il seguente: il diritto è facoltà; l’ob-
bligo protegge la facoltà; il rapporto giuridico è dato dal diritto, da un lato, e dall’obbligo,
dall’altro. Come ognun vede, se così fosse, sarebbe effettivamente inutile interrogarsi sulla
priorità dell’obbligo sul diritto o viceversa, in quanto equivarrebbe a chiedersi quale metà di
una mela nasca prima allorché la si tagli in due con un coltello: è evidente, le due parti na-
scono assieme! A scopo esemplificativo si pensi alle posizioni di Alfredo, Ugo e Arturo Rocco
(cfr. retro, nota 71), che, da un lato, insistono sulla priorità dell’obbligo e sull’essere il diritto
soggettivo il mero riflesso dell’obbligo (HOLD VON FERNECK, A., Die Rechtswidrigkeit, I, Jena,
1903, p. 98 ss., ma spec. p. 120) e poi, dall’altro, con contraddizione palese, ritengono che, in
taluni diritti, l’obbligo sia la mera conseguenza del riconoscimento delle facoltà di agire.
107 BOBBIO, N., Teoria generale del diritto, cit., p. 250.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 353
mente, ecc. Possiamo dire che queste libertà sono protette solo perché
non è possibile che qualcuno ne impedisca l’esercizio con l’uso della
forza? La risposta spontanea è negativa, ovviamente. Ed è quella cor-
retta. Ma dove si annida allora l’errore?
Immaginiamo, una diversa ipotesi, in cui, A, B, C e D, pongono la
seguente regola (solo questa, per ora): per C e D il godimento del bene b
è vietato.
Stando a quanto detto poc’anzi, A e B possono godere del bene. Ol-
tre a ciò potremmo dire che essi hanno il diritto a che C e D si astengano
dal godimento. Ma l’aspetto su cui occorre prestare attenzione, è piutto-
sto il rapporto tra la libertà di A e quella di B. Entrambi – come detto –
possono godere del bene, ma se uno dei due volesse conseguire il godi-
mento esclusivo per evitare l’intralcio che gli arreca la pari libertà dell’al-
tro, potrebbe porre in essere tutti i comportamenti idonei a raggiungere
tale scopo. Questi comportamenti possono essere i più vari incluso l’uso
della forza. E ciò è evidente, in quanto nell’ideale ordinamento in que-
stione manca la regola secondo cui A, B, C e D devono astenersi dal far
ricorso alla forza per perseguire i loro interessi. Se viene inserita anche
questa regola, vorrà dire – ora sì – che, A e B non possono far uso della
forza per conseguire il godimento esclusivo e dovranno-potranno «far
uso» di tutti i possibili comportamenti che nel loro micro-ordinamento
sono «non esclusi» dal lecito. Anche qui, come prima, il divieto di far uso
della forza «protegge» forse la libertà di godimento di A e di B? La pro-
tegge come, nel primo esempio fatto, proteggeva la libertà di rubare e le
altre libertà richiamate; ossia la protegge nella misura in cui esclude uno
dei possibili comportamenti che possono impedirla in concreto.
Il fatto che, dunque, un certo comportamento X, potenzialmente
impeditivo di una certa attività facoltativa Y, sia escluso dal lecito me-
diante un dovere di astensione non dà alcuna dignità teorico-formale alla
figura delle «libertà protetta». Ragionando in questi termini tutte le fa-
coltà sono protette, ma tale qualificazione nulla dice in quale esatta mi-
sura precisamente esse lo siano, ovvero quali, tra gli infiniti possibili com-
portamenti incompatibili con quello facoltativo per ipotesi preso in con-
siderazione, non sono ammessi dall’ordinamento108.
108 È facile spiegare allora anche la controversa polemica sul lecito giuridico e sulla dif-
ficoltà/necessità di distinguere il lecito qualificato dal lecito semplice (per tutti, v. LEVI, A.,
Lecito, illecito, non tutelato, in Saggi di teoria del diritto, Bologna, 1924, p. 129; ROCCO, U.,
L’autorità della cosa giudicata e i suoi limiti soggettivi, cit., p. 298 ss., ove si distingue tra «le-
cito giuridico in senso stretto», corrispondente ad un «diritto generalissimo» di libertà indi-
viduale e «lecito giuridico propriamente obbligatorio»). Se si ritiene che al «non vietato» cor-
354 CAPITOLO QUINTO
risponda un’area di rilevanza giuridica esplicantesi nella qualificazione di liceità dei compor-
tamenti ivi riconducibili, il problema che si pone all’interprete è il seguente: in che cosa con-
siste questa rilevanza. Una conclusione apparentemente congrua rispetto alle premesse è
quella di ritenere che tali attività lecite siano «riconosciute» e quindi anche «garantite»; e così
si è ritenuto che tutte «le azioni comprese nella sfera della libertà siano atti di esercizio di un
diritto della personalità e trovino in questo la propria legittimazione, giustificazione e rile-
vanza giuridica» (cfr., esemplarmente, CICALA, F.B., Il rapporto giuridico, cit., p. 425 ss., spec.
p. 433, ma anche prima a p. 102, nota 98). Ma in cosa consista precisamente questo diritto
della personalità e come poi si coordini con i diritti soggettivi la cui sussistenza dipende da
obblighi specifici diviene allora il quesito problematico successivo; quesito, peraltro, a cui
non è possibile rispondere in termini convincenti. Se, infatti, il diritto soggettivo corrisponde
all’agere licere, cioè il suo contenuto è costituito da comportamenti leciti, una volta concepito
un diritto soggettivo che include tutti questi comportamenti, non residua più spazio per so-
stenere l’esitenza di diritti soggettivi ulteriori, in quanto questi sarebbero figure sostanzial-
mente superflue. E se così non è, ovvero si avverte la necessità di concepire diritti soggettivi
«assistiti» da obblighi specifici, allora ciò sta a rimarcare l’inconsistenza del diritto soggettivo
generico, ovvero, l’irrilevanza giuridica – in termini di configurabilità di situazioni giuridiche
soggettive autonome – della sfera del lecito.
109 Sul punto, v. le osservazioni di CARCATERRA, G., Il normativismo e la forza costitutiva
che le affligge e da cui forse solo Guarino si sottrae, ovvero quello di pensare che la mia li-
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 355
bertà dipenda da un obbligo altrui. Ciò è inesatto. La mia libertà non dipende dall’obbligo al-
trui, ma solo dal fatto che l’ordinamento non richiede che il mio comportamento si debba
conformare all’obbligo. Per me una data attività è libera semplicemente perché non vietata.
L’ordinamento ben potrebbe consentirmi una certa attività e poi fare lo stesso con un altro
soggetto riguardo ad un’attività incompatibile con la prima. È proprio per questa ragione che
il diritto esprime un concetto diverso da quello di libertà e che tale concetto deve essere co-
struito partendo dall’obbligo, che è la figura fondamentale con cui costruire l’ordinamento,
in quanto è quella che traduce in strumento tecnico le modalità con cui il diritto opera sulla
vita reale dell’uomo, ovvero vincolando taluni degli infiniti comportamenti umani possibili. Il
fatto, peraltro, che sovente al diritto vada accostato un contenuto di libertà ha più di una
spiegazione. Già l’evidenza del risultato – per così dire – pratico che l’apparato protettivo
produce in capo al titolare dei diritti reali di godimento basterebbe per darne una giustifica-
zione. In altri termini, specie nei diritti che si risolvono in obblighi di astensione (come ap-
punto tipicamente accade nei diritti reali), l’osservazione della realtà sulla quale incide la di-
sciplina giuridica palesa l’attività libera di coloro che dall’ordinamento sono posti in posi-
zione di vantaggio piuttosto che la non attività dei soggetti vincolati all’osservanza del dovere.
Difatti, non a caso, molte posizioni dottrinali proprio da tale risultato pratico si sono fatte ab-
bagliare nell’elaborazione del concetto di diritto soggettivo; e ciò non solo vale per le conce-
zioni che valorizzano l’idea di libertà appartenente al loro modo di vedere il diritto sogget-
tivo, ma anche per quelle che hanno dato particolare rilievo al «vantaggio», all’«utilità», alla
«posizione di preminenza» ecc., che si realizza in ragione della regolamentazione giuridica
(sul punto, v. le tesi richiamate infra, nota 122). Ma, oltre a questa ragione si può anche ag-
giungere la stessa origine storica delle libertà civili; intese come libertà dal sovrano e poi dallo
Stato. Esse, infatti, possono sì essere concepite come diritti nel più ristretto e corretto signifi-
cato che si può attribuire a questo termine, perché esprimono il principio, o – se si vuole – la
regola, secondo cui certi comportamenti sono doverosi da parte del sovrano o dello Stato nei
confronti dei sudditi; comportamenti, che, a seconda della fase storica a cui è possibile rife-
rirsi, possono aver avuto il carattere di comportamenti negativi, come nella tradizionale im-
postazione liberale, o positivi come si confà, invece, all’ideologia dello Stato sociale e nello
Stato costituzionale. Un cenno a questo fenomeno è presente già in AUSTIN, J., Lectures on
Jurisprudence or The Philosofy of Positive Law, cit., p. 366-367.
111 AUSTIN, J., Lectures on Jurisprudence or The Philosofy of Positive Law, cit., p. 366;
p. 554, anche a nota 2; cui adde, PUGLIESE, G., Actio e diritto subiettivo, cit., p. 49 ss.; ID.,
Usufrutto, uso e abitazione, cit., p. 56 s.
116 NATOLI, U., Il diritto soggettivo, cit., p. 76.
117 NATOLI, U., Il diritto soggettivo, cit., p. 96. Destano perplessità le affermazioni che
dovrebbero chiarire che cosa corrisponda a tale comportamento che si dirige al debitore:
«l’affermazione […] che il titolare dei cosiddetti diritti di credito non possa esplicare alcuna
attività rispetto all’oggetto del preteso diritto è certamente dovuta ad una non chiara nozione
di oggetto del diritto. Anche ove si voglia infatti partire da una nozione economica di questo
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 357
e concepire l’oggetto del diritto in termini di utilità, come bene (materiale o immateriale), la
nozione comprenderebbe evidentemente anche la prestazione del soggetto passivo del rap-
porto, ad ottenere la quale è rivolto il comportamento del titolare del diritto di credito» (p.
100). Ciò che vuole affermare Natoli ben si comprende allorché si proceda nella sua conce-
zione del diritto soggettivo come contenitore in cui far rientrare distinte facoltà (diritti com-
plessi; cfr. p. 72), cosicché, se il diritto di credito comprende nel suo contenuto anche una
sola facoltà (ad es. la facoltà di mettere in mora il debitore), allora il diritto di credito può es-
sere predicato come facultas agendi. Ma il risultato paradossale in cui incorre questa conce-
zione è che dal concetto di diritto di credito – come detto nel testo – verrebbe escluso il di-
ritto di ottenere il bene dovuto a vantaggio del diritto ad attivare l’adempimento dell’obbligo.
Cfr., infatti, più correttamente GUARINO, G., Potere giuridico e diritto soggettivo, cit., p. 89-90,
su cui, v. infra, nel testo.
118 LEVI, A., Teoria generale del diritto, cit., spec. p. 304 s. Similmente, RAVÀ, A., Istitu-
zioni di diritto privato, cit., p. 25; GASPARRI, P., Relatività dei concetti di diritto oggettivo e di
diritto soggettivo, cit., p. 291; SANTORO PASSARELLI, F., Dottrine generali del diritto civile, cit.,
p. 71:
119 Per tutti, v. le acute osservazioni di GARBAGNATI, E., Diritto subiettivo e potere
giuridico, I, cit., p. 554-555 e poi p. 563 ss. Cfr. anche ATTARDI, A., L’interesse ad agire, cit.,
p. 89; CASSARINO, S., Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, cit.,
p. 87-88.
120 Carattere intersoggettivo, che sta semplicemente a significare che il diritto opera in-
cidendo su relazioni intersoggettive che possiamo anche concepire come rapporti tra diversi
soggetti animati al loro interno da conflitti tra interessi incompatibili che la regola di diritto
mira a risolvere a favore di uno degli interessi antagonisti. Ma ciò non sta a significare che tale
modo di configurare la relazione tra diritto e circostanze della vita reale possa tradursi in
un’assunzione di tali rapporti e tali relazioni sul piano formale. Sul punto, v. insuperabilmente
ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, cit., p. 18, che af-
ferma: «nel momento finalistico della norma, è presente senza dubbio la considerazione del-
358 CAPITOLO QUINTO
stata seguita da altra illustre dottrina (BALLADORE PALLIERI, G., Diritto soggettivo e diritto
reale, cit.; e soprattutto GARBAGNATI, E., Diritto subiettivo e potere giuridico, I e II, cit., ma v.
spec. II, p. 217 ss., a cui si riferiscono le frasi qui di seguito riportate) che ha visto nel diritto
soggettivo «la posizione giuridica di vantaggio di un subietto relativamente ad un dato bene,
creato dal diritto obiettivo mediante un concreto comando giuridico, diretto a favore del su-
bietto medesimo». L’interesse che questa concezione presenta è proprio insito nella circo-
stanza che l’A., come il gruppo di teorie presentato nel testo, correttamente: a) esclude che
nel diritto soggettivo debba vedersi una posizione di potere o una posizione di libertà nelle
diverse accezioni che queste due hanno assunto nel dibattito dottrinario; b) pone al centro
del fenomeno il vincolo che l’imperativo (abbiamo a che fare – ma questo ai nostri fini può
anche essere una questione secondaria – con una concezione imperativistica assai simile a
quella proposta da Thon, su cui, v. infra, § 2.5.1.; cfr., infatti, GARBAGNATI, E., Diritto subiet-
tivo e potere giuridico, II, cit., p. 212 ss.) proietta sui comportamenti umani colorandoli di ne-
cessità giuridica; c) esclude che si possa far ricorso alla figura della possibilità di pretendere
senza incorrere nelle imperfezioni definitorie di cui diamo cenno nel testo. Ma esclude anche
che il diritto soggettivo possa essere concepito come mera destinatarietà dell’obbligo e ciò
per il fatto che, se così si sostenesse, si giungerebbe a «spezzare l’unità concettuale dei diritti
subiettivi assoluti» ed essi dovrebbero «scindersi nella somma di altrettanti diritti subiettivi,
quanti sono gli obblighi negativi dei terzi, e quindi in un numero indefinito di diritti» (simile
osservazione in COMPORTI, M., Formalismo e realismo in tema di diritto soggettivo, cit., p. 444,
nota 24, ma v. sul punto le osservazioni di CASSARINO, S., Le situazioni giuridiche e l’oggetto
della giurisdizione amministrativa, cit., p. 98). Ecco, dunque, che anche l’impostazione ora ri-
portata non evita di «lasciarsi ipnotizzare dai diritti reali» (per riprendere l’espressione di
BALLADORE PALLIERI, G., Diritto soggettivo e diritto reale, cit., p. 15) e dalla loro immagine di
«spazio libero e sicuro», di «sfera» entro cui l’uomo liberamente opera. Anche qui, per dirla
con diverse parole, si cede al dare rilevanza all’effetto pratico che il diritto, quale strumento
tecnico, produce sulla realtà. Ma sul piano tecnico-teorico, ossia ponendosi l’obiettivo di iso-
lare gli elementi strutturali con cui il diritto opera, questo aspetto, ovvero il risultato pratico
prodotto, è irrilevante di per sé. Potrà esser rilevante sul piano dei contenuti, cioè con riferi-
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 359
ecc.)»; ROMANO, Santi, Principi di diritto costituzionale generale, Milano, 1947, p. 106 ss.; ID.,
Frammenti di un dizionario giuridico, cit., p. 172 ss.; FAZZALARI, E., Introduzione alla giuri-
sprudenza, cit., p. 57 ss.; ma più ampliamente in ID., Note in tema di diritto e processo, cit., p.
56 ss., spec. p. 83 ss., in cui, poste le posizione soggettive primarie (facoltà, potere, dovere),
si ritiene che esse si colleghino sino a formare una posizione soggettiva complessa (il diritto
soggettivo appunto) per la comunanza dell’oggetto a cui esse si riferiscono, cosicché il diritto
soggettivo sarebbe la «posizione di preminenza […] rispetto ad un bene […]» che «è realiz-
zata mediante le facoltà del titolare e/o i doveri degli altri»; COMPORTI, M., Formalismo e rea-
lismo in tema di diritto soggettivo, cit., p. 463, che parla di «una particolare situazione ogget-
tiva, effettiva e concreta di utilità instauratasi nella relazione tra soggetto e bene» o di «fon-
damentale situazione giuridica di tutela accordata in modo diretto e speciale dalla norma ad
un soggetto rispetto a determinati beni, per la realizzazione di interessi ritenuti meritevoli di
protezione dall’ordinamento». Tutte queste concezioni sollevano, come si potrà immaginare
alla luce delle considerazioni svolte nel testo, diverse obiezioni circa la modalità costruttiva
del concetto, tra cui ad esempio, la valorizzazione sul piano formale del contenuto di attività
che al diritto soggettivo dovrebbe appartenere, ma peraltro destano perplessità ancor mag-
giori proprio per l’intenzione di porre al centro della definizione una realtà non giuridica, ma
«economico-sociale» (per riprendere la critica che già BETTI, E., Il concetto dell’obbligazione
costruito dal punto di vista dell’azione, cit., p. 11, nota 2, muoveva alla citata definizione di
Chiovenda e alla, tra breve ricordata, definizione di Dernburg); realtà altamente sfuggente,
come la posizione di preminenza, utilità, o vantaggio ecc. Che l’ordinamento ponga regole di
comportamento in capo a terzi per creare posizioni di vantaggio in capo ad altri, qui non è
dato contestare, ma che tale elemento funzionale voglia essere assunto sul piano formale al
pari dell’obbligo è inaccettabile e determina la stessa opzione interpretativa indicata riguardo
la concezione di Garbagnati. Ovvero: o si depura il piano rigorosamente formale dal riferi-
mento all’utilità, al vantaggio, ecc. e si tiene per buono solo il riferimento agli elementi strut-
turali che tali teorie reclutano per determinare il risultato pratico a cui tanto rilievo esse
danno (salvo poi vedere se tali strutture reclutate siano quelle corrette, come in Garbagnati,
in Chiovenda e in Attardi o non lo siano, come ad esempio in Fazzalari, con particolare rife-
rimento – ovviamente – alla facoltà); o si accolgono nella loro interezza, destinandole peral-
tro alla loro inservibilità dogmatica, alla stregua di teorie quali quella avanzata da DERNBURG,
H., Pandette, trad. it. a cura di B. Cicala, I, Torino, 1906, § 39 («la quota di beni della vita ga-
rantita dall’ordinamento giuridico al soggetto»), o come l’altrettanto nota definizione di DA-
BIN, J., Le droit subiectif, Paris, 1952, p. 80 («relation d’appartenance entre le sujet et une
cose»). Per chiudere, richiamiamo le parole di ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel pri-
sma dell’accertamento giudiziale, cit., p. 60 s., che, riguardo a nozioni di tal fatta, affermava:
«chi parla di signoria, o peggio di rapporto con la cosa, non formula nulla di specificatamente
giuridico; spiega obscurum per obscurius».
123 Già JHERING, R., L’esprit du droit romain dans le diverses phases de son développe-
ment, cit., p. 326, osservava che «il destinatario di tutto il diritto è l’uomo», ma ovviamente
tale affermazione non aveva il rilievo tecnico che invece qui interessa. Alla concezione del di-
ritto soggettivo come destinatarietà dell’obbligo pervengono diversi studiosi. Sul punto, in
particolare, v. IRTI, N., Introduzione allo studio del diritto privato, cit., p. 34 ss., che spiega: «in
taluni casi la norma enuncia la valutazione di doverosità, disinteressandosi delle attese o del
sentire dei consociati; in altri, invece, la volge e la indirizza ad uno o più soggetti determinati.
Qui si profilano veri e propri destinatari dell’obbligo, che perciò si isolano e si caratterizzano
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 361
rispetto a tutti i consociati. Tale posizione di destinatari, o di destinatarietà, è ciò che si suole
definire diritto soggettivo e che a rigore è soltanto il riflesso secondario ed eventuale dell’ob-
bligo altrui. Diciamo eventuale, poiché la considerazione dei destinatari non è indispensabile
al giudizio normativo di doverosità». Si aggiunge poi: «abbiamo finora parlato di destinatario
dell’obbligo, e non di destinatario del comportamento dovuto. Le due figure non coincidono.
La destinazione dell’obbligo identifica il titolare del diritto soggettivo; la destinazione del
comportamento dovuto identifica il soggetto a cui l’obbligato indirizza la propria condotta». Ed
ancora: «risolto nella mera destinatarietà dell’obbligo altrui, il diritto soggettivo ha soltanto il
compito di identificare la persona, che proponendo la domanda, fa sorgere nel giudice il do-
vere di pronunciare una sentenza sfavorevole all’obbligato». Già da tempo questa concezione
trova conferma in sede di giurisprudenza analitica: cfr. già AUSTIN, J., Lectures on Jurispru-
dence or The Philosofy of Positive Law, cit., p. 353 ss.; e poi HOHFELD, W.N., Concetti giuri-
dici fondamentali, cit., p. 17 ss.; ROSS, A., Diritto e giustizia, cit., spec. p. 149 ss. Ugualmente,
il già citato, HOLD VON FERNECK, A., Die Rechtswidrigkeit, cit., spec. p. 120. Nella nostra dot-
trina, oltre alla fondamentali osservazioni poc’anzi riportate di Natalino Irti, v. anche GIU-
LIANO, M., Norma giuridica, diritto soggettivo ed obbligo giuridico, cit., p. 23; FAZZALARI, E., La
volontaria giurisdizione, Profilo sistematico, Padova, 1953, p. 84 ss. (ma poi v. l’articolata po-
sizione espressa in ID., Note in tema di diritto e processo, cit., p. 55 ss., su cui cfr. retro, 122);
nella sostanza sembra essere questa (ma v. le precisazioni retro, nota 99) la posizione di PU-
GLIESE, G., Actio e diritto subiettivo, cit., p. 65; ID., «Res corporales», «res incorporales» e il
problema del diritto soggettivo, in Riv. it. sc. giur., 1951, p. 237 ss., spec. 272 ss.; ID., Usu-
frutto, uso e abitazione, cit., p. 52 ss.; ID., Facoltà e proprietà temporanea nella struttura del-
l’usufrutto, cit., spec. 449 ss.; ALLARA, M., Le nozioni fondamentali del diritto civile, I, Torino,
1953, p. 229 ss., sebbene – come noto – molto legato al concetto di rapporto giuridico; CA-
SETTA, E., Diritto soggettivo e interesse legittimo: problemi della loro tutela giurisdizionale, in
Riv. trim. dir. pubbl., 1952, p. 611 ss.; in una elegante ricostruzione CESARINI SFORZA, W., Di-
ritto, Teoria generale: IV), cit., p. 692 e poi p. 694; ID., Il diritto soggettivo, cit., p. 195 ss.; TA-
VORMINA, V., Profili dell’azione civile di cognizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1973, p. 959 ss.
spec. 968 ss.; ID., In tema di condanna, accertamento ed efficacia esecutiva, in Riv. dir. civ.,
1989, II, p. 21 ss., spec. p. 25 nota 12.
124 Spero di non tediare il lettore se mi dilungo nella citazione di PEROZZI, S., Istituzioni
di diritto romano, I, 1947, rist., p. 82, nota 1 (ma ugualmente nella più breve edizione del
1906, p. 58, nota 1): «noi diciamo che il diritto subiettivo è la “facoltà di esigere una certa
condotta altrui” e non “facoltà di tenere una certa condotta” perché il diritto obiettivo ridu-
cendosi […] a norme con le quali il sovrano vieta di fare o impone di fare, ma non anche per-
mette di fare, non può appunto procurare ad una persona che la facoltà di esigere che altri
faccia o non faccia, ma non anche la facoltà di fare. Talora nella definizione dei singoli diritti
subiettivi questa natura del diritto si rende manifesta. Ciò avviene ad es., quando si dice che
il venditore ha diritto che gli sia pagato il prezzo. Talora invece resta nascosta. Così ad es.
quando si dice che il proprietario ha il diritto di disporre della sua cosa, si descrive apparen-
temente una facoltà di tenere una condotta e non di esigerla da altri. Nel fatto però anche il
proprietario di una cosa non riceve dal sovrano che la facoltà di esigere che gli altri si asten-
gano dall’intervenire senza il suo consenso nella cosa. È solo perché questa facoltà ha per ef-
fetto che egli sia in grado di esplicare le sue facoltà organiche di azione sulla cosa, senza te-
mere l’opposizione altrui, che si trova più opportuno definire questo diritto subiettivo dal-
l’effetto che importa anzi che dalla sua vera essenza. Il riguardo all’effetto che hanno per
362 CAPITOLO QUINTO
l’uno le imposizioni di non fare rivolte agli altri importa che nell’uso, anche scientifico, si
parli di diritto in senso subiettivo e si identifichino i diritti subiettivi come facoltà di fare in
infinite altre ipotesi. Contro quest’uso non v’ha nulla da obiettare; esso è giustificato dall’e-
sprimersi con esso appunto che le facoltà organiche naturali d’azione d’un uomo sono tute-
late dal diritto obiettivo nella loro esplicazione con le prescrizioni di non fare rivolte agli al-
tri uomini. Ma quando si viene alla definizione del diritto subiettivo, allora la scienza, se
vuole cogliere questo nella sua realtà, deve muovere, come abbiamo fatto, dal concetto di di-
ritto obiettivo e fermar la sua mira al potere che questo dà all’uomo e cui questi prima non
aveva». Cfr. anche BOZZI, C., Interesse e diritto, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1957, p. 844
ss., ma spec. p. 850; ESPOSITO, C., Lineamenti di una dottrina del diritto, cit., p. 50 ss.; GAL-
GANO, F., Diritto civile e commerciale, I, Le categorie generali, Le persone, La proprietà, Pa-
dova, 1993, p. 24 ss.; ID., Diritto privato, Padova, 2001, p. 20.
125 Su questa linea, già HOLD VON FERNECK, A., Die Rechtswidrigkeit, cit., p. 120.
126 Per tutti, v. CARNELUTTI, Diritto e processo nella teoria delle obbligazioni, in Studi
di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Chiovenda, Padova, 1927, p. 221 ss., spec.
p. 281 ss., poi in Studi di diritto processuale, II, Padova, 1928, p. 190 ss. e recentemente
ripubblicato in Diritto sostanziale e processo, Milano, 2006, p. 203 ss.; GARBAGNATI, E., Di-
ritto subiettivo e potere giuridico, I, cit., p. 554; FAZZALARI, E., Note in tema di diritto e pro-
cesso, Milano, 1957, p. 60; CASSARINO, S., Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdi-
zione amministrativa, cit., p. 80 e poi 109 s.; PUGLIESE, G., Actio e diritto subiettivo, cit., p. 49
ss.; ID., Introduzione, in WINDSCHEID, B. - MUTHER, T., Polemica intorno all’«actio», cit.,
XXXIII.
127 Per quest’ultima considerazione, oltre agli AA. cit. alla nota precedente, v. CAMMA-
RATA, A.E., Limiti tra formalismo e dogmatica nelle figure di qualificazione giuridica [1936], in
Formalismo e sapere giuridico, Studi, Milano, 1963, p. 345 ss., spec. p. 369 ss.
128 «Problema di nomi», dice FAZZALARI, E., La volontaria giurisdizione, cit., p. 87.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 363
129 Non casuale è peraltro il fatto che le due definizioni si presentano sovente come
fungibili.
130 L’opinione è talmente frequente che ogni citazione risulta superflua.
131 Solo apparentemente supera l’ostacolo la tesi avanzata da CASSARINO, S., Le situa-
zioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, cit., p. 102 ss. Questa conce-
zione può essere così sintetizzata: le situazioni giuridiche primarie sono due e cioè la facoltà
e l’obbligo; situazioni che riflettono la duplice valutazione che l’ordinamento offre dei com-
portamenti umani. Con ciò, da un lato, i comportamenti facoltativi non sono indifferenti per
il diritto (p. 46 ss., 168 ss.) e, dall’altro, l’obbligo appare lo strumento con cui il diritto inter-
viene per soddisfare gli interessi umani e rispetto al quale il diritto soggettivo deve essere po-
sto in posizione correlativa (p. 98). Si giunge così alla definizione secondo cui il diritto sog-
gettivo è «la situazione di interesse correlativa all’obbligo altrui». Anche questa concezione,
d’altra parte, pur presentando particolari affinità con quella da noi presentata tra breve nel
364 CAPITOLO QUINTO
Ma questo modo di ragionare sarebbe alquanto singolare e comunque non condivisibile. Se,
infatti, l’interesse alla rimozione della clausola è di certo un interesse che sul piano normativo
viene ad essere riferito ai consumatori (e ciò in ragione del fatto che sono loro – e non l’as-
sociazione – ad operare sul mercato), ciononostante è dato rilevare un interesse protetto,
avente il medesimo oggetto, anche in capo all’associazione; interesse che è appunto strumen-
tale rispetto ad altri ed ulteriori interessi (relativamente) finali e giuridicamente irrilevanti. La
considerazione che l’ente esponenziale abbia come movente dell’azione la speranza del sod-
disfacimento di un interesse ulteriore (quale ad esempio quello alla notorietà o all’acquisi-
zione di nuovi iscritti) non può condurre ad un ribaltamento della prospettiva imposta dalla
norma negando che la dichiarazione di abusività della clausola rappresenti una situazione fa-
vorevole – e quindi di interesse – anche per l’associazione. Sicché, prendere come punto di vi-
sta privilegiato per la ricostruzione del fenomeno in questione il possibile interesse finale che
anima in concreto l’associazione sovrapponendolo all’interesse preso in rilievo dalla norma
costituisce un’operazione non corretta. Ciò a cui al contrario occorre attribuire rilevanza sono
gli schemi normativi di interesse che possono essere tracciati sulla base della legge in ordine
ad una certa situazione; sicché, in questo caso, la dichiarazione di abusività è oggetto di inte-
resse tanto per i consumatori, quanto per gli enti esponenziali legittimati. La tutela è quindi
diretta: qui come sempre. In altri termini, la rimozione della clausola rappresenta una situa-
zione tutt’altro che indifferente per l’associazione; che poi ciò avvenga perché l’interesse alla
dichiarazione accennata si pone come interesse mediato rispetto a quello finale poc’anzi indi-
cato (acquisizione notorietà, ecc.) o ad altri interessi ancora, ciò non autorizza a concepire
una tutela indiretta di eventuali e prefigurabili interessi finali. Il concetto di interesse occa-
sionalmente protetto nasce invece nella prospettiva opposta, generalmente seguita in materia
di interesse legittimo, come detto (cfr. i tradizionali contributi di RANELLETTI, O., Diritti su-
biettivi e interessi legittimi nella competenza, in Foro it., 1893, I, p. 490 ss.; ID., Principi di di-
ritto amministrativo, Napoli, 1912, I, nn. 256 ss.; ID., Le guarentigie della giustizia nella pub-
blica amministrazione, Milano, 1934, p. 150 ss.; ZANOBINI, G., Interessi occasionalmente pro-
tetti nel diritto privato, in Studi in memoria di Francesco Ferrara, II, Milano, 1943, p. 705 ss.
oltre che in Studi di diritto pubblico, Milano, 1955, p. 345 ss.; per una pungente critica del
concetto, v. SATTA, A., Ultime tendenze della teoria dell’azione, ora in Soliloqui e colloqui di un
giurista, Padova, 1968, p. 223 ss., ma spec. p. 231.). Si pensi all’espropriazione del bene di
Caio da parte della p.a.: Caio ha evidentemente interesse alla conservazione della proprietà
sul bene (interesse finale non tutelato) e se fosse per lui farebbe qualsiasi cosa per trattenerla,
ma l’ordinamento riserva prevalenza al suo interesse solo nei limiti in cui l’atto amministra-
tivo possa essere rimosso (interesse strumentale tutelato). L’immagine tradizionalmente for-
nita di questo fenomeno è che la tutela diretta sia quella riservata all’interesse generale, cioè
all’interesse alla legittimità del provvedimento; sicché si dice che l’interesse di Caio è tutelato
occasionalmente, ovvero solo nella misura in cui coincida con l’interesse generale. Ma questo
modo di vedere non appare pienamente convincente. D’altra parte, offrire una ricostruzione
maggiormente condivisibile di questo fenomeno giuridico è tutt’altro che agevole e ciò fon-
damentalmente per due questioni. La prima concerne la determinazione dei rapporti tra in-
teresse generale, interesse pubblico e interesse del cittadino. La seconda è, invece, relativa al
fatto che il fenomeno giuridico in questione non concerne direttamente il soddisfacimento
degli interessi mediante l’imposizione di obblighi che vincolano i comportamenti materiali,
ma piuttosto il momento logicamente anteriore e relativo alla modificazione-produzione delle
norme; sicché, per addivenire ad una sistemazione soddisfacente della fattispecie in esame oc-
366 CAPITOLO QUINTO
corre rifarsi al concetto di potere giuridico e ciò con le complicazioni ulteriori che a questo
consegue (sul concetto di potere giuridico, v. infra, nota 172). Cercando, dunque, di fare uno
sforzo di sintesi, a giudizio di chi scrive occorre in primo luogo soffermarsi sulle due que-
stioni ora indicate. Riguardo alla prima occorre subito evidenziare che l’impiego del concetto
di interesse conduce nella fattispecie esemplificativa appena indicata alla rilevazione di un du-
plice piano di conflitti di interesse. Cercando di semplificare un discorso assai complesso,
muoviamo dal comma 3 dell’art. 42 Cost., laddove è previsto che la proprietà privata può es-
sere nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo espropriata per motivi di interesse gene-
rale ed immaginiamo per un attimo – con uno sforzo di fantasia – che la collettività intera
possa essere concepita in veste antropomorfa e pienamente in grado di determinare i suoi in-
teressi. Se così fosse, sempre al ricorrere dei casi previsti dalla legge, allorché il soggetto-col-
lettività ritenesse suo interesse appropriarsi del bene in proprietà di Caio, potrebbe senz’altro
espropriare il bene in ragione del rapporto di prevalenza che la legge assegna al suo interesse
rispetto a quello di Caio. D’altra parte, operando la collettività per mano della p.a. ed es-
sendo la p.a. un soggetto distinto dalla collettività unitariamente intesa, occorre contemplare
e tenere distinti sul piano concettuale, da un lato, l’interesse generale e, dall’altro, l’interesse
(del soggetto) pubblico (sulla distinzione tra interesse pubblico e generale, v. retro, cap. IV,
§ 8). Compito dell’amministrazione procedente è proprio quello di farsi interprete dell’inte-
resse generale, ovvero uniformare l’interesse concreto della p.a. a detto interesse attraverso
l’operazione di selezione e contemperamento degli interessi in sede di procedimento ammi-
nistrativo. Se da questo punto di vista guardiamo al conflitto di interessi che si realizza tra
p.a. e cittadino, ci si avvede che la prevalenza dell’interesse della p.a. su quello del cittadino
dipende dalla corrispondenza dell’interesse della stessa con quello della collettività, nonché
dal rispetto degli ulteriori profili che incidono sulla legittimità del provvedimento ammini-
strativo. Vi sono, quindi, due distinti piani di interesse, quello dei rapporti tra l’interesse della
p.a. e l’interesse del cittadino e quello del rapporto tra interesse della collettività e l’interesse
della p.a., con la particolarità, peraltro, che dal rapporto di conformità-difformità intercor-
rente tra questi ultimi due interessi, dipende il rapporto di prevalenza dell’interesse della p.a.
su quello del cittadino. Venendo all’altra questione, ovvero alla particolare tecnica di soddi-
sfacimento degli interessi qui in esame, va detto per l’appunto che la fattispecie indicata ne-
cessita dell’impiego della nozione generale di potere giuridico (v. infra, nota 172). La partico-
larità di questo effetto sta nel fatto che il diritto, mediante l’attribuzione di poteri giuridici,
garantisce ai soggetti il soddisfacimento di interessi strumentali (cfr., per tutti, PERASSI, T., In-
troduzione alle scienze giuridiche [1922], Padova, 1967, p. 51), ovvero di interessi che non in-
cidono direttamente sui comportamenti umani per l’attribuzione – come si suol dire – di beni
della vita ai consociati, ma piuttosto sulle regole di diritto che a questo provvedono. Sicché
potremmo per semplicità parlare, anziché di interessi al comportamento di interessi alla modi-
ficazione giuridica. Nella fattispecie in questione, quindi, l’interesse della p.a. trova come suo
strumento di tutela un potere giuridico di modificazione della regola di diritto che assegna la
proprietà del bene a Caio e quest’ultimo è titolare di un contro-potere di modificazione (po-
tere di annullamento) volto alla conservazione della regola di diritto preesistente che assegna
a lui la posizione prevista dall’art. 832 c.c. Il contenuto dell’interesse legittimo, in questo
caso, ha anch’esso natura strumentale ed è dunque rappresentato dall’interesse alla conserva-
zione della regola, mentre il limite della sua tutela, ovvero più precisamente il punto di in-
versione dei rapporti di prevalenza tra l’interesse della p.a. e l’interesse del cittadino è segnato
dalla legittimità del provvedimento, ovvero dal corretto esercizio del potere pubblico. In altri
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 367
termini, fintanto che il provvedimento è legittimo, ovvero sono stati rispettati i requisiti che
la legge prescrive, garantendo – così – anche la conformità dell’interesse generale all’interesse
della p.a., quest’ultimo è prevalente rispetto all’interesse del cittadino, allorché, invece, il
provvedimento è illegittimo il rapporto di prevalenza tra i due interessi ora indicati si inverte
e prevale l’interesse del cittadino.
132 JHERING, R., L’esprit du droit romain dans le diverses phases de son développement,
cit., p. 326. Sul superamento della prospettiva giusnaturalistica avvenuto nella celebre defini-
zione a cui ora ci riferiamo, v. le considerazioni di LA TORRE, M., Disavventure del diritto sog-
gettivo, Una vicenda teorica, Milano, 1996, p. 63. La nozione avanzata da Jhering trova talora
accoglimento nella nostra dottrina: cfr. ZATTI, P. - COLUSSI, V., Lineamenti di diritto privato,
1997, p. 77 ss.; BIANCA, C.M., Diritto civile, VI, La proprietà, Milano, 1999, p. 12 e poi 20, che
difende la genericità della nozione osservando come essa sia l’unica in grado di assicurare la
sicura unitarietà sul piano sistematico e normativo, ponendosi come punto di riferimento per
l’applicazione di principi comuni. Particolare interesse desta a tal riguardo la posizione di RE-
DENTI, E., Profili pratici del diritto processuale civile, Milano, 1938, p. 12 s., che fa chiaramente
impiego del concetto di interesse per descrivere la posizione di diritto soggettivo, ma con l’ac-
cortezza di dare particolare risalto formale al dovere (o anche alla soggezione), che si pone
correlativamente al diritto soggettivo; va detto peraltro, che la concezione in esame assegna
poi eccessivo risalto formale alla figura del rapporto giuridico come rapporto intersoggettivo
(p. 18 s.); ID., Diritto processuale civile, I, Milano, 1957, p. 15.
133 Cfr. JHERING, R., L’esprit du droit romain dans le diverses phases de son développe-
cit., p. 325-326.
135 Le citazioni sarebbero superflue, basti ricordare la replica dello stesso WINDSCHEID,
136 THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., p. 207, il quale peraltro, pur va-
lorizzando la prospettiva indicata nel testo, dimostra comunque di continuare a far uso del-
l’interesse per la comprensione dei fenomeni giuridici. Successivamente, KELSEN, H., Pro-
blemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, cit., p. 632 ss.; ID., Teoria generale del
diritto e dello Stato, cit., p. 81, la cui critica, però, ampliamente svolta, ha un’impostazione
più accentuatamente formale. Ragionando con formule breviloquenti potremmo dire che per
Jhering il diritto soggettivo è l’«interesse protetto», per Thon è la «protezione dell’interesse»,
per Kelsen è solo «protezione», mera tecnica, struttura formale. L’influsso di Thon è evidente
in FERRARA, F., Trattato di diritto civile italiano, I, cit., p. 319. Con tutta franchezza, peraltro,
non si comprende come sia possibile sostenere (CASSARINO, S., Le situazioni giuridiche e l’og-
getto della giurisdizione amministrativa, cit., p. 83) che tale critica mossa da Thon alla defi-
nizione di Jhering «colga nel segno solo se si concepisce il diritto soggettivo come potere o
facoltà».
137 «Il normativismo, sciogliendosi dalla fisicità terrestre e dalla concretezza dell’ordine
originario, rivela intera la potenza dell’artificialità. Il ‘fare con arte’ è proprio del diritto se-
colarizzato. Divisa per sempre dal diritto naturale, la norma si fa positiva, cioè posta dalla vo-
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 369
pura del diritto elaborata da Kelsen. Ma come si vede nel testo, tale idea di fondo la si trova
già in Thon, la cui diffusione del pensiero si deve proprio a Kelsen (Problemi fondamentali
della dottrina del diritto pubblico, cit., p. 650 ss.). Ciò che però attrae dell’opera di Thon è
370 CAPITOLO QUINTO
Napoli, 1916, p. 493 ss., ma cit., p. 498, (ora in Scritti e discorsi giuridici di mezzo secolo, I,
Milano, 1962, p. 227 ss.), che afferma: «le singole norme oggi, non bisogna dimenticarlo, non
hanno esistenza empirica come cose finite e materiali del mondo esterno, come un quadro, un
libro, una pianta, cosicché il diritto si possa decomporre in esse come si decomporrebbe un
tessuto nei suoi fili. Esse sono in realtà figure logiche o mentali costruite in astratto per
gruppi più o men vasti di casi ipotetici […]».
144 SATTA, S., Il processo nell’unità dell’ordinamento, in Soliloqui e colloqui di un giurista,
cit., p. 116 ss., ma cit., p. 118; ID., Commentario al codice di procedura civile, III, Processo di
esecuzione, Milano, 1965, p. 36. Sul punto v. anche ID., L’attualità di Ludovico Mortara, in So-
liloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 459 ss., spec. p. 476 s.; e poi ID., Azione in generale: b)
L’azione nel diritto positivo, in Enc. dir., III, Milano, 1958, p. 822 ss.; ID., Commentario al co-
dice di procedura civile, I, Disposizioni generali, Milano, 1959, p. 16 ss., 43 ss.; ma spec. ID.,
Giurisdizione: II) Nozioni generali, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, p. 218 ss., di cui va se-
gnalato il richiamo del poc’anzi citato REDENTI, E., Intorno al concetto di giurisdizione, ri-
spetto alla cui posizione lo stesso Satta rileva (nella voce cit., alla nota 9) la particolare mo-
dernità che va ben oltre un superficiale apprezzamento della dottrina appena indicata che
faccia perno sul richiamo del concetto di sanzione. Cfr. anche SATTA, S. - PUNZI, C., Diritto
processuale civile, Padova, 2000, p. 10 ss.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 371
145 JHERING, R., L’esprit du droit romain dans le diverses phases de son développement,
cit., p. 326 e poi 337.
146 THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., p. 114 ss.
147 Ciò è stato già evidenziato nel capitolo IV, in cui abbiamo rilevato la fondamentale
è dato trarre. La medesima constatazione ha orientato la nostra lettura critica delle posizioni
dottrinali che al contrario tendono a farsi guidare da una sensibilità direi empirica che può di
per sé apparire fuorviante riguardo a concetti che hanno origine puramente normativa (cfr.
retro, nota 122).
148 THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., p. 133.
149 THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., p. 224.
150 THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., p. 133 (c.vo.).
151 THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., p. 117 (c.vo.). Cfr. anche p. 205.
152 KELSEN, H., Teoria generale del diritto e dello Stato, cit., p. 82 (c.vo.).
153 In questi termini, già CHIOVENDA, G., L’azione nel sistema dei diritti (1903), in Saggi
di diritto processuale civile, I, Milano, 1993, p. 3 ss., ma spec. p. 72, nota 65. Successivamente,
v. BETTI, E., Il concetto dell’obbligazione costruito dal punto di vista dell’azione, cit., p. 15, nota
8; PUGLIESE, G., Actio e diritto subiettivo, cit., p. 60, nota 2, che aderisce alla lettura critica
che di Thon ha offerto KELSEN, H., Hauptprobleme der Staatsrechtslehre, Tübingen, 1911, p.
624 ss. (ora nella già citata trad. it., KELSEN, H., Problemi fondamentali della dottrina del di-
ritto pubblico, cit., p. 651), il quale, dopo aver mosso profonde critiche sulla concezione della
norma che è presente in Thon, liquida piuttosto rapidamente l’idea di diritto soggettivo da
questi avanzata, affermando appunto che essa si rivolva inevitabilmente nel concepire il di-
ritto soggettivo come diritto alla realizzazione della sanzione; ma, come si cerca di dimostrare
nel testo ed infra alla nota 160, questa lettura non convince e la concezione di Kelsen sembra
essere ben più vicina a quella già proposta da Thon. Per ulteriori critiche della posizione di
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 373
Thon orientate nel senso qui indicato, v. anche FAZZALARI, E., Note in tema di diritto e pro-
cesso, cit., p. 61, nota 14, e, di recente, GRAZIADEI, M., Diritto soggettivo, potere, interesse, cit.,
p. 43.
154 Cfr. lo stesso THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., p. 206. Sul piano
definitorio potrebbe avvicinarsi a tale concezione FERRARA, F., Trattato di diritto civile italiano,
I, cit., p. 317, che del diritto soggettivo parla in termini di potere giuridico inteso come «po-
tere esclusivo di attuare a suo vantaggio la tutela giuridica», oppure come – riprendendo una
definizione di Jhering – «auto-protezione dell’interesse».
155 WINDSCHEID, B., Diritto delle pandette, cit., p. 171-172, in nota. Critica puntual-
mente fatta propria, tra gli altri, da CICALA, F.B., Il rapporto giuridico, cit., p. 72 ss.
156 Come poi Kelsen avrebbe rilevato (cfr. Problemi fondamentali della dottrina del di-
157 «Dovunque si attribuisca ad una persona uno dei diritti dei quali si è parlato, tro-
viamo anzitutto un bene o un interesse della stessa, che l’ordinamento giuridico prende sotto
la propria tutela. In quanto quest’ultima viene assicurata per mezzo dell’esistenza degl’impe-
rativi statuali come anche per mezzo della minaccia di conseguenze giuridiche per il caso di
trasgressione (degl’imperativi stessi) o finalmente per mezzo dell’esecuzione d’ufficio delle
conseguenze giuridiche, l’interessato per quanto riguarda questa tutela è meramente passivo.
Suo è l’interesse tutelato, del pari del vantaggio della tutela – ma a quest’ultima in sé stessa
egli è completamente estraneo. Non c’è dunque ancora nessun motivo per designare la vo-
lontà statuale che lo tutela come un suo diritto. Ciò si può soltanto nel caso che l’interessato
stesso venga insieme chiamato all’attuazione della tutela» (p. 205).
158 THON, A., Norma giuridica e diritto soggettivo, cit., p. 133.
159 Tale criterio è lo stesso che trova impiego in Kelsen. Cfr. FERRARA, F., Trattato di di-
ritto civile italiano, I, cit., p. 313, che, sebbene suggestionato dall’idea del potere giuridico a
cui il diritto soggettivo è ricondotto, nella sostanza, al di là delle sintetiche formule definito-
rie, presenta questa stessa concezione esposta nel testo. Per Ferrara, infatti, centrale nei fe-
nomeni giuridici è la figura del dovere e il diritto soggettivo è degradato a «ripercussione fa-
vorevole nel beneficiario del dovere» (p. 303).
160 La serie concettuale in cui si articola la ricostruzione in esame è, in estrema sintesi
È interessante notare come questa esatta idea, calata poi nella di-
versa concezione della proposizione giuridica avanzata da Kelsen161, ac-
primo aspetto, infatti, si vuole solo sottolineare il fatto – da nessuno messo in dubbio – che
l’attività di attuazione coercitiva della legge opera solo – se per ragioni pratiche o ideologiche,
qui non interessa minimamente – a fronte di una trasgressione della stessa. Riguardo al se-
condo punto, invece, va evidenziato, che Thon non afferma semplicemente che il diritto sog-
gettivo è un diritto del soggetto, ma piuttosto che, la tutela offerta dalla norma diventa un di-
ritto del soggetto. Se si riflette sul fatto che l’A. in questione – sebbene escluda l’interesse dal
concetto di diritto e sebbene ritenga correttamente la sola analisi teleologico-funzionale delle
norme non risolutiva – percepisce chiarissimamente la fondamentale relazione che sussiste tra
interesse e protezione offerta dalla norma, tanto da affermare che ognuna delle teorie sul di-
ritto soggettivo racchiude un nocciolo di vero (p. 131) e che un interesse privato, a favore del
quale sia stabilita la tutela, «non fa ancora» di quest’ultima un diritto privato, ovvero non può
essere assunto come criterio «decisivo» (p. 131), se – dicevamo – si riflette su quanto appena
osservato, allora l’affermazione in questione [«la tutela della norma diventa un diritto del
(soggetto) tutelato»] sta a significare appunto che quando nel diritto oggettivo rinveniamo un
meccanismo, un’insieme coordinato di norme, che risponde a detti criteri, allora, la tutela di
queste norme, di tutte queste norme sostanziali (e non del precetto secondario, né tanto
meno degli imperativi ulteriori attivati con la pretesa esercitata) è una tutela offerta al sog-
getto, cioè rivolta immediatamente a soddisfacimento dell’interesse suo. Si pensi al punto in
cui si afferma che «la tutela della personalità diventa un diritto di questa, e precisamente un
suo diritto privato, solo allora quando dalla violazione delle norme protettrici sorge nell’offeso
una pretesa privata alla rimozione dell’illiceità» (p. 154, c.vo mio). Le «norme protettrici»
sono gli imperativi primari e non i secondari. Si prendano ancora ad esempio i punti in cui
Thon rimarca che la giuridicità del diritto non riposa sulla sanzione (p. 14 ss.) o in cui si
evidenzia che la tutela giuridica, ad es. riguardo la proprietà, non è appunto solo quella che
offre il precetto secondario, ma anche quello primario (p. 171). Ed ovviamente, al fine di
quanto osserviamo, poco o nulla importa che il valore di tali precetti primari, la loro giuri-
dicità, consista nel «peso della volontà generale […] che si indirizza alla volontà di chi la
deve osservare» (p. 17). La concezione imperativistica del diritto coltivata da Thon, non in-
fluisce, infatti, sulle considerazione che stiamo svolgendo. Insomma, anche quando Thon af-
ferma che «il diritto soggettivo viene fondato per mezzo della promessa di eventuali pretese»
e anche quando poi aggiunge che «esso consiste nella prospettiva delle stesse (es besteht in der
Aussicht auf solche)» (p. 205, c.vo mio), l’obiettivo che anima l’argomentazione dell’illustre
giurista è sempre lo stesso: l’ordinamento è un insieme di norme e ciò che chiamiamo diritto
privato non corrisponde a null’altro che a quelle norme in cui è possibile rinvenire quella par-
ticolare tecnica di applicazione coattiva delle stesse da cui è dato desumerne una particolare
natura. Si tenga presente ancora la seguente ed ulteriore definizione: «il diritto privato consi-
sterebbe, dunque, nella somma di quegli obblighi imposti ai singoli dall’ordinamento giuri-
dico, il cui coattivo adempimento, se non vengano spontaneamente prestati, è rimesso al sin-
golo interessato» (p. 137).
161 È ovviamente centrale, per comprendere la differente impostazione tra Thon e Kel-
sen comprendere la loro diversa concezione dell’ordinamento e soprattutto della norma, sem-
plificando, per entrambi l’ordinamento è un insieme di norme, ma mentre il primo ritiene che
vi siano norme rivolte ai cittadini ed altre rivolte agli organi dello Stato in ordine a garantire
l’attuazione degli imperativi che tra queste possono essere qualificati come secondari, per
Kelsen la norma è rivolta allo Stato stesso e la norma che per Thon corrisponde all’impera-
376 CAPITOLO QUINTO
nerale del diritto e dello Stato, cit., p. 83, ma la forma più pura di questo concetto la ritro-
viamo in Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, cit., p. 682, in cui il condi-
zionamento opera non sull’attuazione o l’esecuzione, ma direttamente su «la volontà dello
Stato». Nella nostra dottrina, un’immagine simile la si trova in PEKELIS, A., Azione, in Nuovo
Dig. it., II, Torino, 1937, p. 91 ss. (e poi, in Noviss. Dig. it., II, Torino, 1958, p. 29 ss.), in cui
si afferma, riguardo al diritto soggettivo (p. 96): «si potrebbe, forse, designare questa situa-
zione, che è indicata generalmente coll’espressione titolarità di un interesse giuridicamente
protetto, con quella di titolarità di un diritto soggettivo; senonché, un’altra ed assai notevole
situazione, cui dà luogo l’attività dello Stato, ha attirato l’attenzione degli studiosi e l’applica-
zione del termine diritto. Quest’altra e notevolissima situazione è quella in cui le leve di co-
mando dell’attività statale sono poste […] nelle mani dell’interessato, in cui, cioè, l’effettuarsi
o meno di una determinata azione statale, vantaggiosa per il singolo, dipende dalla volontà
del singolo stesso. Solo di lui e non di quello che è protetto dallo Stato indipendentemente
dalla sua volontà, si può dire, sia pur per traslato, che è lui che agisce, che l’azione dello Stato
è la sua azione, che il diritto obiettivo diventa per un istante suo diritto, diritto soggettivo». È
così, quindi, che il diritto soggettivo diviene «il diritto oggettivo, soggettivato nel momento
della dipendenza dal volere di un singolo consociato». Concezione, quest’ultima richiamata,
che, completata dall’opinione secondo cui l’«essenza» del diritto soggettivo dipende dall’esi-
stenza della coazione (p. 98), conduce a configurare l’azione come «diritto soggettivo in senso
proprio e primario», mentre il «rapporto giuridico sostanziale intercorrente direttamente, per
es., fra creditore e debitore, altro non è che l’ombra gettata dai due rapporti che il creditore
e il debitore hanno con lo Stato e consistenti, il primo, nel diritto d’azione dell’uno, nel di-
ritto cioè all’azione dello Stato, ed il secondo, nello stato di soggezione effettiva nella quale si
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 377
mente – gli aspetti critici delle stesse, che non si avvede della sostanziale unità di fondo del-
l’impostazione seguita rispetto a quella di Thon e Jhering. Rispetto al primo la sua critica si
lancia contro gli eccessi imperativistici della concezione della norma, mentre rispetto al se-
condo il concetto di interesse appare come il simbolo della inesatta prospettiva funzionale e
psicologica della norma e del fenomeno giuridico in sé. Ciò mi pare particolarmente evidente
nei Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, cit., p. 343 ss., 632 ss., 651.
378 CAPITOLO QUINTO
165 V. JHERING, R., L’esprit du droit romain dans le diverses phases de son développement,
cit., p. 337-338.
166 JHERING, R., L’esprit du droit romain dans le diverses phases de son développement,
cit., p. 338.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 379
167 Ed infatti, rispetto al valore precettivo del primo comma dell’art. 24 della nostra
vile, cit., p. 60, in cui si evidenzia come la condizionalità che in genere l’esercizio dell’azione
svolge sull’applicazione delle sanzioni ricorre solo in senso improprio in riferimento all’azione
«pubblica», poiché in tal caso tale esercizio non dipende dalle valutazioni soggettive dell’in-
teresse del soggetto legittimato.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 381
172 IRTI, N., Sul concetto di titolarità (Persona fisica e obbligo giuridico), cit., p. 9-10. Se-
guendo l’orientamento appena citato, sembrerebbe più corretto ritenere che la stessa figura
del potere non debba essere intesa quale effetto giuridico autonomo (cfr. spec. ID., Introdu-
zione allo studio del diritto privato, cit., p. 37 ss.; cui adde, tra gli altri, GIULIANO, M., Norma
giuridica, diritto soggettivo ed obbligo giuridico, cit., p. 31 ss.). Il discorso meriterebbe uno
svolgimento che per evidenti necessità di economia espositiva non può essere svolto nel testo.
In estrema sintesi, comunque, le fondamentali questioni che gravitano attorno alla delicata
questione appena indicata sono tre: a) la riconducibilità del fenomeno in cui un soggetto, con
la propria manifestazione di volontà, può produrre un effetto giuridico alla figura del diritto
382 CAPITOLO QUINTO
volta derivato dal verbo struere, costruire. Sul punto di fondamentale interesse è il volume
Usi e significati del termine struttura, Nelle scienze umane e sociali, Milano, 1966, trad. it. di
Sens et usages du terme structure, Dans le sciences humains et sociales, a cura di R. Bastide, ‘S.
Gravenhage, 1962, con contributi di illustri studiosi, tra cui, per ciò che attiene alla scienza
del diritto, v. CARBONNIER, J., Le strutture in diritto privato e MATHIOT, A., La parola «strut-
tura» in diritto pubblico.
174 Tra gli AA. che evidenziano con particolare chiarezza e profondità il carattere pura-
mente logico in cui si esprime la situazione soggettiva e nello specifico quella di dovere, quale
valutazione anticipata di un comportamento futuro, v., in particolare, CORDERO, F., Le situa-
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 385
zioni soggettive nel processo penale, cit., p. 64 ss. Più di recente, IRTI, N., Introduzione allo stu-
dio del diritto privato, cit., p. 23. Peraltro, la definizione che noi riportiamo nel testo è più
aderente alla concezione della norma come giudizio ipotetico, piuttosto che alla concezione
della norma come giudizio valutativo. E ciò poiché, come già detto (cfr. retro, nota 99), a chi
scrive sembra che il momento della valutazione sfugga alla norma presa in sé per sé, diversa-
mente appartenendo, tale valutazione di doverosità dei comportamenti conformi a quelli pre-
visti dalla norma, alla comunità che pone e riceve la stessa e che riconosce in essa il requisito
della giuridicità. Comunque, seguendo la concezione della norma come giudizio valutativo,
alla quale si ispirano tra l’altro, gli ultimi due illustri AA. citati e che trova nella nostra tradi-
zione dottrinale illustri esponenti (cfr., in particolare, PERASSI, T., Introduzione alle scienze giu-
ridiche, cit., spec. p. 31 ss.; ricche riflessioni sul punto in ESPOSITO, C., Lineamenti di una dot-
trina del diritto, Fabbriano, 1930, p. 12 ss. e successivamente in GIULIANO, M., Norma giuri-
dica, diritto soggettivo ed obbligo giuridico, cit., p. 1 ss.; per altre indicazioni e per l’esame
delle diverse impostazioni in cui si può tradurre questo indirizzo di pensiero v. il già cit. IRTI,
N., Introduzione allo studio del diritto privato, cit., p. 8 ss.) il concetto può essere tradotto con
le parole di ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, cit.,
p. 16, che definisce il dovere «la condizione del destinatario della norma, di non potersi esi-
mere da un certo comportamento, previsto astrattamente o concretamente dalla norma, per
meritare alla sua azione una valutazione di conformità al diritto, e al tempo stesso per non in-
cappare, con l’attività opposta in una valutazione di difformità». Più in generale, per ap-
profondimenti sulla nozione, si tenga presente che praticamente tutti gli AA. citati in rela-
zione all’esame della nozione di diritto soggettivo affrontano più o meno direttamente la que-
stione, per approfondimenti, v. comunque CAMMARATA, A.E., Limiti tra formalismo e
dogmatica nelle figure di qualificazione giuridica, cit., p. 345 ss.; GIULIANO, M., Norma giuri-
dica, diritto soggettivo ed obbligo giuridico, cit., p. 21 ss.; ROMANO, Santi, Frammenti di un di-
zionario giuridico, cit., p. 91 ss.; CESARINI SFORZA, W., Sul concetto di obbligo, in Riv. int. fil.
dir., 1963, p. 435 ss.; BETTI, E., Dovere giuridico: a) Cenni storici e teoria generale, in Enc. dir.,
XIV, Milano, 1965, p. 53; FROSINI, V., Dovere, in Noviss. dig. it., VI, Torino, 1957, p. 302 ss.;
ID., Diritto soggettivo e dovere giuridico, cit., p. 207 ss.; CASSARINO, S., Le situazioni giuridiche
e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, cit., p. 15 ss.; CORDERO, F., Le situazioni sogget-
tive nel processo penale, cit., p. 97 ss.; GUASTINI, R., Dovere giuridico, in Enc. giur. Trec., XII,
1989, Roma; IRTI, N., Sul concetto di titolarità (Persona fisica e obbligo giuridico), cit., p. 1 ss.;
ROMANO, F., Obbligo: I) Obbligo (nozione generale), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, p. 500
ss.; IRTI, N., Introduzione allo studio del diritto privato, cit., p. 23.
386 CAPITOLO QUINTO
unitarietà, da due distinte prospettive, cioè quando non sia possibile con-
cepire l’intero ordinamento come un sistema di regole o come sistema di
diritti soggettivi175.
Di questa questione non pare che la dottrina sia sempre pienamente
consapevole; il diritto soggettivo non è più il diritto a parte subiecti, ma è
problema che si risolve nell’individuazione di un’area specifica del di-
ritto, di quella parte o settore di esso predicabile ancora in senso sog-
gettivo. È da questo punto che occorre procedere per chiudere il di-
scorso attorno alla figura in esame.
175 Efficacemente SPERDUTI, V., La struttura del diritto, cit., p. 3, afferma che tale di-
stinzione corrisponde «non già ad una differenza di carattere ontologico o reale, giacché il suo
oggetto, la sua res, è pur sempre l’azione [intesa qui come comportamento]; bensì ad una dif-
ferenza di ordine criteriologico, giacché, se si considera l’ordinamento giuridico astraendo
dalla persona singolare e ponendosi, per così dire, al centro di esso, allora l’esperienza giuri-
dica si presenta tutta di diritto obbiettivo; e se invece si prende in esame particolare lo stesso
ordinamento giuridico ponendosi alla sua periferia, dal punto di vista del soggetto esistente
hic et hunc, allora l’esperienza giuridica assume l’aspetto del diritto soggettivo» (c.vo mio).
Aggiungerei qui a chiarimento del concetto che se si segue questa dicotomia prospettica al-
lora tutto e ripeto tutto l’ordinamento – ogni sua norma – può essere inteso come diritto sog-
gettivo!
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 387
getto della medesima. In questo senso ogni teoria del diritto soggettivo si
appalesa come tentativo – necessario – di soggettivazione del diritto
obiettivo, anche – se non specialmente – in quelle in cui il diritto è libertà
di agire. Ciò che cambia è il piano su cui tale soggettivazione opera, ma
la direttrice dell’intelletto è la stessa.
Ora, comunque, il discorso va fondamentalmente rivolto alla possi-
bilità di far chiarezza, riguardo al fenomeno del diritto soggettivo, me-
diante la valorizzazione del contributo attivo del soggetto che si esprime
nel potere di azione – o magari anche in quello di disposizione della re-
gola – e più precisamente verificare se per tale strada si giunge ad esiti
formali appaganti.
Ed a questo interrogativo la risposta non può essere che la più riso-
luta: l’idea della soggettivazione del diritto, di per sé, non ha valore scien-
tifico176, poiché si risolve solo in uno strumento di presentazione fiabesca
della realtà. Sul piano del metodo non si può che richiamare l’efficace os-
servazione secondo cui «il discorso giuridico non può, senza smarrire la
sua tagliente esattezza, trasferirsi sul piano delle metafore immagi-
nose»177.
Quanto detto si apprezza plasticamente allorché si assuma come
banco di prova della concezione in esame quello dei risultati applicativi.
Ragionando in termini di soggettivazione, infatti, ovvero riguardo
alla determinazione degli indici normativi da cui è dato desumere la
stessa, non v’è dubbio che l’attribuzione dell’azione possa rappresen-
tarne uno ed il potere di disporre del diritto – volendo – possa costi-
tuirne certamente un altro.
Se si adotta il secondo – ovvero il requisito di disponibilità della
norma – staremo sicuri di esserci affidati ad un grado di soggettivazione
particolarmente elevato, perché qui, veramente, dell’obbligo il titolare
del diritto soggettivo può fare quello che vuole: non solo ne fa valere la
violazione in giudizio, ma ne può – questo sarebbe l’elemento specifico –
decretare la nascita o la morte. D’altra parte, però, seguendo questa via,
dovremmo negare – come visto – che siano diritti soggettivi tutte le ipo-
tesi in genere ricondotte ai diritti indisponibili. L’assolutizzazione di que-
sto criterio sarebbe, quindi, inopportuna; e ciò poiché il tracciare una li-
nea di demarcazione tra i diritti soggettivi disponibili e le situazioni che
invece non presentano tale carattere ben poca utilità produce sul piano
176 CESARINI SFORZA, W., Diritto, Teoria generale: IV), cit., p. 687, che parla in relazione
a questa rappresentazione del fenomeno al centro delle nostre attuali attenzioni di «immagini
incomprensibili nella loro rozzezza».
177 CORDERO, F., Le situazioni soggettive nel processo penale, Torino, 1956, p. 196.
388 CAPITOLO QUINTO
operativo, visto che, definitivamente acclarato che ciò che conta è la di-
sciplina normativa correttamente interpretata, un’operazione classificato-
ria a cui non corrisponda una ricaduta sistematica positiva rilevante rap-
presenta un inutile o dannoso esercizio di ars distinguendi.
Se, invece, ci si affida all’azione valorizzando il profilo del preten-
dere, del diritto al diritto, sicuramente potremo beneficiare di un criterio
in grado di tradurre in termini tecnici l’idea – fondamentale – della sicu-
rezza giuridica del soddisfacimento; cioè dell’ordinamento a servizio del
soggetto. Questo è un aspetto sicuramente molto rilevate e che anima
ben di più – per tradizione – il diritto soggettivo rispetto a quello della
sua disponibilità. Si è, infatti, autorevolmente osservato che «l’essenza
della giuridicità, il momento germinale di essa, consiste nella volontà
come virtuale potere sulle azioni, ossia come pretesa rivolta all’agire al-
trui»178.
Ciononostante anche questo criterio è necessariamente empirico.
Per dirla con le parole di Cammarata «apre la via ai “su per giù” e ai
“press’a poco”»179.
Se, infatti, l’attribuzione del potere di azione già rappresenta, ri-
spetto al criterio della disponibilità, l’esser scesi su un gradino più basso
nella scala della soggettivazione del diritto, tra i diversi regimi di legitti-
mazione contemplabili è ben avvertibile la possibilità di rilevare un’am-
pia gamma di diversi gradi di condizionamento dell’attuazione dell’ob-
bligo, che va dal massimo della legittimazione esclusiva al minimo della
legittimazione popolare o, più correttamente, diffusa. Si pensi anche al
semplice caso dell’azione conferita a due soggetti: non solo l’attivarsi del-
l’uno non condiziona più l’esecuzione del precetto, ma addirittura l’inte-
resse dell’uno rende irrilevante l’indifferenza o l’interesse contrario del-
l’altro. Seguendo questa opzione teorica, insomma, potremmo parlare di
un diritto mio ed un diritto quasi mio o quasi completamente mio, sino
ad arrivare a un diritto di tutti ma anche mio.
Ma comunque, se vi fossero ulteriori dubbi sull’affidabilità di tale
criterio, si pensi ancora ad un altro esempio che mi pare sollevi dai resi-
dui indugi: l’azione penale su querela di parte. Qui abbiamo un potere
che sul puro piano del condizionamento ha incidenza non minore a
178 CESARINI SFORZA, W., Diritto, Teoria generale: I) Diritto (principio e concetto), in Enc.
dir., XII, Milano, 1964, p. 630 ss., ma p. 644 ed anche, con incisive considerazioni, ID., Av-
venture del diritto soggettivo, in Arch. fil., 1941, p. 5 ss.
179 CAMMARATA, A.E., Limiti tra formalismo e dogmatica nelle figure di qualificazione giu-
180 PUGLIESE, G., «Res corporales», «res incorporales» e il problema del diritto soggettivo,
cit., p. 273 (c.vo mio).
390 CAPITOLO QUINTO
181 Diversamente avremmo a che fare con un’operazione intellettiva che cerca di cono-
Le situazioni soggettive nel processo penale, cit., p. 78 ss., ove si rileva, in relazione alla classi-
ficazione proposta da Guarino (su cui, cfr. retro, § 2.3.1.), che «non esistono situazioni sog-
gettive inattive, almeno se per tali si intende la condizione in cui “oggetto della fattispecie
normativa è esclusivamente il comportamento altrui”. Ci troviamo di fronte ad una involuta
e riflessa raffigurazione di autentiche situazioni considerate dal punto di vista di soggetti che
non sono i loro titolari; ora, una simile posizione di pensiero, oltre che logicamente scorretta
per il misconoscimento in essa implicato del carattere essenzialmente monosoggettivo ed
esclusivo di ogni situazione (che non può esprimersi in termini di linguaggio giuridico se non
col riferimento ad un determinato comportamento di un dato soggetto), conduce poi sul
piano delle applicazioni concrete e nello sforzo dialettico inteso a dare una consistenza a fe-
nomeni che non sono giuridicamente definibili, all’inevitabile intrusione di notazioni econo-
miche e psicologiche […]».
183 Per tutti, v. ALLORIO, E., Riflessioni sullo svolgimento della scienza processuale, in
Problemi di diritto, III, Milano, 1957, p. 183 ss., ma spec. p. 200 ss., in cui ben si evidenzia il
regime normativo secondo cui «senza domanda, il giudice non deve provvedere», mentre «in
presenza d’una domanda giudiziale, il giudice deve provvedere»; ID., L’ordinamento giuridico
nel prisma dell’accertamento giudiziale, cit., p. 30 ss., ove meglio si riferisce la figura del po-
tere alla condizione di compiere un «atto normativo», ovvero l’«atto che rende intellegibile,
nell’obiettivo suo tenore, il proprio contenuto giuridico, conforme agli effetti giuridici pro-
dotti» (p. 29, ma cfr. anche ID., Diritto processuale tributario, Torino, 1962, p. 434 ss.) e ciò in
precisazione della più lata definizione del potere giuridico avanzata da GARBAGNATI, E., La so-
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 391
gono che la figura del diritto soggettivo sta per scomparire ed all’ultimo
– invece di tirare dritto per la loro strada – gli tendono la mano per sal-
ritto processuale civile, cit., p. 42 ss.; Istituzioni di diritto processuale civile, I, p. 17 ss.). Ma in
questa concezione è agevole rilevare lo hyatus che viene a realizzarsi tra titolare del potere di
azione e Stato (cfr., puntualmente, CALAMANDREI, P., Relatività del concetto di azione, cit., p.
438; ID., Istituzioni di diritto processuale civile, I, Padova, 1941, p. 123, 130) e, indipendente-
mente da questo, la formulazione del concetto di diritto potestativo appare comunque criti-
cabile per le ragioni già esposte (v. retro, nota 172). In una proiezione privatistica (stando alla
qualificazione di uso corrente, ma che andrebbe sotto diversi profili meglio precisata), e senza
distinguere – come pur dovremmo – tra diverse fasi di evoluzione del pensiero, v., ovviamente
SATTA, S. ed in particolare gli scritti ora raccolti in Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p.
177 ss., cui adde gli scritti citati retro, nota 144. In posizione particolare REDENTI, E., Intorno
al concetto di giurisdizione, cit., p. 493 ss.; ID., Profili pratici del diritto processuale civile, cit.,
p. 92 ss., che parla di «diritto di una parte a provocare l’applicazione della sanzione»; ID., Di-
ritto processuale civile, cit., p. 45 ss.; cfr. più di recente REDENTI, E. - VELLANI, M., Lineamenti
di diritto processuale civile, Milano, 2005, p. 39 ss. Va peraltro detto che le due ultime conce-
zioni appaiono più specificatamente animate dall’intento di dare un’immagine dell’azione ca-
pace condurre a soluzione il problema dei rapporti tra diritto e processo. In questa prospet-
tiva il processo appare, come disse con particolare chiarezza Liebman, quale «macchina
chiusa» (L’azione nella teoria del processo civile, cit., p. 434) da cui vedere dal di fuori, diver-
samente da quel che accade in uno studio analitico e formale del fenomeno, che, su questo
piano, deve perdere necessariamente la sua unitarietà funzionale. Occorre, insomma, essere
molto rigorosi; se si vuole studiare l’azione come fenomeno giuridico in termini formali,
l’azione appare di certo come potere giuridico; se, diversamente, l’intenzione è quella di in-
vestigare i rapporti tra diritto e processo o il rapporto tra soggetto ed ordinamento, allora le
altre prospettive colgono ognuna un profilo di un fenomeno assai complesso, che peraltro
rinvia ad altre tematiche di primissimo rilievo, quali la tradizionale questione della corretta
funzione da assegnare al processo o alla connessa problematica del giusto processo civile.
Dalle considerazioni ora svolte, anche la posizione (in particolare v. FAZZALARI, E., Note in
tema di diritto e processo, cit., p. 266 e 313; ID., Azione civile - Teoria generale e diritto pro-
cessuale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, p. 30 ss., ma spec. 39 s.; ID., Il processo
ordinario di cognizione, I, Primo grado, Torino, 1989, spec. p. 115 ss.; ID., «Processo» e giuri-
sdizione, in Riv. dir. proc., 1993, p. 1 ss., spec. p. 11 ss.; ID., La dottrina processualistica ita-
liana: dall’«azione» al «processo» (1864-1994), ivi, 1994, p. 911 ss., ma spec. p. 922 s.; ID., Isti-
tuzioni di diritto processuale, Padova, 1996, spec. p. 419 ss.; ma cfr. anche MANDRIOLI, C., La
rappresentanza nel processo, Torino, 1959, p. 66 ss. e ora in Diritto processuale civile, I, No-
zioni introduttive e disposizioni generali, Torino, 2006, p. 49 ss.; PROTO PISANI, A., La trascri-
zione delle domande giudiziali, Napoli, 1968, p. 50 ss.; ID., Dell’esercizio dell’azione, art. 99,
Principio della domanda, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio,
Torino, 1973, I, 2, p. 1046 ss.) tesa a ricostruire l’azione quale «posizione soggettiva compo-
sita», costituita dalle facoltà, dai poteri e dai doveri che fanno capo alle parti (attore, conve-
nuto, interventori, ecc.), in contrapposto a quella che appartiene al giudice («funzione»), ri-
sulta non condivisibile, non solo per la nostra mancata adesione a questo modo di concepire
la norma giuridica, ovvero come criterio di valutazione dei comportamenti tanto nella dire-
zione del lecito che dell’illecito (cfr. retro, §§ 2.3.2.2. s. e spec. nota 99), ma più precisamente
per l’accorpamento di più effetti all’interno di uno stesso contenitore classificatorio con il
conseguente scoloramento del grado di specificità che ad ogni singolo effetto appartiene in
ragione della disciplina normativa. Sulla questione, v., infatti, DENTI, V., Azione: I) Diritto pro-
394 CAPITOLO QUINTO
cessuale civile, cit., p. 3 e, altrettanto incisivamente, TAVORMINA, V., Contributo alla teoria dei
mezzi di impugnazione delle sentenze, cit., p. 25; di recente TURRONI, D., La sentenza civile sul
processo, Profili sistematici, Torino, 2006, p. 39. In conclusione, il ricondurre l’azione alla fi-
gura del potere o a quella del diritto non sembra propriamente una «questione puramente
terminologica» (così, LIEBMAN, E.T., L’azione nella teoria del processo civile, cit., p. 450, a cui
di recente aderiscono FORNACIARI, M., Presupposti processuali e giudizio di merito, L’ordine di
esame delle questioni nel processo, Torino, 1996, p. 95; ROMANO, A.A., L’azione di accerta-
mento negativo, Napoli, 2006, p. 4, nota 6; TURRONI, La sentenza civile sul processo, cit., p. 32
ss., spec. nota 24) essendo fondamentale determinare l’obiettivo scientifico perseguito per
orientarsi nella prospettiva euristica corretta e non impiegare nozioni che nel campo prescelto
potrebbero condurre a risultati fuorvianti.
184 Ed infatti è agevole per ALLORIO, E., L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accerta-
scindere da un’indagine analitica che vada a cogliere gli elementi strutturali formali, costanti,
del diritto, d’altra parte, necessita anche di una cornice funzionale idonea a ricondurli ad
unità dandone un’immagine organica, che ponga in evidenza i nessi relazionali che li legano
reciprocamente e danno loro un significato.
LA TUTELA GIURIDICA DELL’INTERESSE 395
186 CESARINI SFORZA, W., Diritto, Teoria generale: IV), cit., p. 692.
187 Sul punto, cfr. ancora IRTI, N., Introduzione allo studio del diritto privato, cit., p. 34
ss. Cfr. anche CARCATERRA, G., Corso di filosofia del diritto, Roma, 1996, p. 126, secondo cui
«un diritto soggettivo è appunto un interesse protetto mediante la imposizione di un obbligo,
o più esattamente mediante l’imposizione di un duplice obbligo: l’obbligo, sostanziale, che
l’interesse sia soddisfatto e l’obbligo, sanzionatorio, che da parte della magistratura (ordina-
ria) sia applicata una sanzione nell’ipotesi di violazione del primo obbligo».
CAPITOLO SESTO
PROFILI GENERALI
DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE
DEGLI INTERESSI COLLETTIVI
1. Considerazioni introduttive
Con le riflessioni svolte nei due capitoli che precedono abbiamo ac-
quisito un’utile nozione di interesse e di diritto soggettivo da poter ora
impiegare nel nostro principale ambito di studio, ovvero la tutela giuri-
sdizionale degli interessi sovraindividuali.
Visto comunque il non breve itinerario che abbiamo percorso, si ri-
tiene opportuno riepilogare i principi essenziali che abbiamo individuato
398 CAPITOLO SESTO
Legge n. 8.078 dell’11 settembre 1990 – prevede all’art. 81, secondo cui: «A defesa dos inte-
resses e direitos dos consumidores e das vítimas poderá ser exercida em juízo individual-
mente ou a título coletivo. Parágrafo único. A defesa coletiva será exercida quando se tratar
de: I - interesses ou direitos difusos, assim entendidos, para efeitos deste Código, os transindi-
viduais, de natureza indivisível, de que sejam titulares pessoas indeterminadas e ligadas por
circunstâncias de fato; II - interesses ou direitos coletivos, assim entendidos, para efeitos deste
Código, os transindividuais, de natureza indivisível, de que seja titular grupo, categoria ou
classe de pessoas ligadas entre si ou com a parte contrária por uma relação jurídica base; III
- interesses ou direitos individuais homogêneos, assim entendidos os decorrentes de origem co-
mum». Sulla disposizione, oltre ai cenni che verrano più avanti nel testo, v., in lingua italiana,
PELLEGRINI GRINOVER, A., Il nuovo processo brasiliano del consumatore, in Riv. dir. proc., 1991,
p. 1057 ss.; ID., Significato sociale, politico e giuridico della tutela degli interessi diffusi, in Riv.
dir. proc., 1999, p. 17 ss., spec. p. 20; più di recente ID., La difesa degli interessi transindivi-
duali: Brasile e Iberoamerica, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a
cura di Lanfranchi, Torino, 2003, p. 154 ss., spec. p. 157 ss. In lingua brasiliana, la letteratura
è vastissima, cfr., ad esempio, l’ampio e completo lavoro di DE BARROS LEONEL, R., Manual do
processo coletivo, San Paolo, 2002, p. 81 ss. Più in generale, sull’azione collettiva, v. MACIEL
JÙNIOR, V., Teoria das ações coletivas, as ações coletivas como ações temática, San Paolo, 2006.
In lingua inglese, all’interno di una dotta cornice comparatistica, v. GIDI, A., Class actions in
Brasil, A model for civil Law Countries, in 11 American Law Journal of Comp. Law 311, 349
(2001) (se il lettore desidera, v. la traduzione ID., Las acciones y la tutela de los derechos difu-
sos, colectivos e individuales en Brasil, Un modelo para paises de derecho civil, trad. L.C. Ace-
vedo, Mexico, 2004).
4 Cfr. infra, cap. VIII, spec. § 3.2.1.
5 Cfr., infra, cap. VII, spec. § 2.1.3.
402 CAPITOLO SESTO
tri soggetti esterni alla collettività tutelata, che però si propongono come
portatori istituzionali degli interessi della collettività stessa.
Il discorso va ovviamente affrontato nel contesto specifico delle sin-
gole discipline e a questo non mancheremo nel prosieguo del lavoro, ma,
posta tale osservazione a mo’ di premessa, va anche detto che tali dispo-
sizioni sono tutt’altro che da intendersi come attribuzioni esclusive di
azioni giudiziali in capo a tali soggetti c.d. esponenziali.
Come vedremo analiticamente nei prossimi capitoli, riguardo questa
questione la dottrina ha sovente risolto i suoi doveri ermeneutici facendo
affidamento sulla formulazione letterale delle singole disposizioni legali.
Ora; che l’interprete non possa innalzare castelli di concetti giuridici che
non trovino fondamento nella legge non pare questione di cui dubitare,
ma desta al contrario serie perplessità il pieno ed incondizionato credito
da darsi alle opzioni verbali e linguistiche di cui il legislatore fa uso12, di-
menticando che, specie in relazione a concetti giuridici che non abbiano
raggiunto l’adeguata maturazione e interiorizzazione nemmeno all’interno
della comunità scientifica, l’interpretazione deve essere incardinata entro
una cornice teorica definita e solida, oltre che costituzionalmente orien-
tata. E ciò ovviamente al fine di capire quale sia l’esatto valore precettivo
da ricondursi al tenore di una certa proposizione legale o ad un suo silen-
zio riguardo a questioni che sembrerebbero diversamente rilevanti.
Venendo al punto, il discorso è molto più semplice di quanto po-
trebbe immaginarsi, visto che, nelle previsioni specificamente dettate per
apprestare tutela ai nostri interessi, noi abbiamo solamente un legislatore
che – per così dire – parla prevalentemente per legittimazioni collettive,
ovvero – più precisamente – per legittimazioni istituzionali, cioè me-
diante il conferimento della legittimazione ad agire a soggetti esponen-
ziali istituzionalmente protesi alla promozione e tutela degli interessi
della collettività di riferimeno.
Ci spieghiamo meglio. Le disposizioni in questione hanno spesso
una intonazione in linea di massima processuale in cui, da un lato, si enu-
clea la fattispecie lesiva e, dall’altro, si determinano i rimedi, sovente a
carattere inibitorio, nonché i soggetti legittimati istituzionalmente prepo-
sti a garantirne l’attivazione.
Tenendo separati per il momento i due profili, se esaminiamo le for-
mule impiegate per la descrizione della fattispecie lesiva appare chiara-
mente – si pensi a mero titolo di esempio alle norme ora inserite nel co-
dice del consumo – quali siano gli interessi che gli obblighi di volta in
12 Sivedano ad esempio talune impostazioni interpretative riguardanti la l. n. 281/98
(ora codice del consumo) riportate infra, cap. X, § 3.2.2.3.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 405
terminato (cfr. retro, cap. V, § 2.5.3.); modello tecnico di tutela in cui la denucia del singolo
vincola il legittimato all’esercizio dell’azione. Si noti, quindi, come all’aumentare del numero
degli interessi tutelati dal diritto, ovvero della rilevanza sovraindividuale dell’interesse, non si
realizza, come talune posizioni vorrebbero, un incoerente riduzione dei soggetti legittimati ed
una conseguente diminuzione della tensione all’attuazione dell’obbligo. Per ciò che attiene al
profilo della legittimazione, invece, «effettività» significa pluralità di legittimati. Se si ritenesse,
invece, che gli enti rappresentativi siano legittimati esclusivi all’esercizio dell’azione si verifi-
cherebbe una paradossale inversione di quella curva ascendente che il regime di legittimazione
descrive all’aumentare degli interessi tutelati. Non si realizza, dunque, una singolare recisione
tra interesse del soggetto e tutela. Recisione che si verifica, invece, se, da un lato, si ipotizza che
gli interessi tutelati siano dei membri della classe di riferimento e, dall’altro, poi si assegna l’a-
zione in via esclusiva a soggetti esponenziali. Se si seguisse questo modello gli interessi effetti-
vamente protetti non sarebbero gli interessi riferibili ai soggetti che appartengono alla catego-
ria, ma gli interessi delle associazioni legittimate, pienamente libere di valutare a loro discre-
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 407
zione l’opportunità o meno di esercitare l’azione; e ciò con patente contraddizione, ancor
prima che riguardo ai principi costituzionali, rispetto alla stessa funzione di tutela a cui sono
rivolti gli strumenti di protezione degli interessi collettivi apprestati dal nostro ordinamento.
408 CAPITOLO SESTO
Come visto addietro, infatti, ogni qual volta ci si confronti con que-
sti istituti è facile trovarsi ad operare all’interno di quel cono d’ombra
che la nozione di diritto soggettivo necessariamente proietta sull’ordina-
mento allorché lo si voglia concepire – detto concetto – essenzialmente
come entità pseudomaterica di appartenenza del soggetto titolare.
Per cercare di fare chiarezza sul punto, gli aspetti su cui occorre la-
sciar cadere l’attenzione sono sempre gli stessi: da un lato, l’esistenza sul
piano meramente formale-sostanziale del solo obbligo e non di una situa-
zione soggettiva attiva che possa essere predicata quale effetto della
norma ed imputata in capo al soggetto in termini di diritto soggettivo e,
dall’altro, la perdurante necessità – in ordine alla corretta interpretazione
della norma – di integrare la prospettiva meramente strutturale col chie-
dersi a favore di chi l’obbligo sia posto. Grazie all’interpretazione del si-
stema normativo, infatti, tra gli infiniti ed indeterminabili soggetti che di
fatto possono eventualmente porsi in quella specifica relazione con la si-
tuazione favorevole che noi chiamiamo interesse, è possibile individuare il
soggetto o i soggetti che, in ragione di valutazioni di volta in volta diffe-
renti, sono eletti a destinatari dell’obbligo, cioè, secondo la terminologia
corrente, sono titolari del diritto soggettivo a che quel certo comporta-
mento sia tenuto; posizione che frutta loro l’attribuzione sul piano pro-
cessuale del potere di azione, cioè la previsione di un loro comportamento
quale tipicamente idoneo a costituire il dovere del giudice di pronunciarsi
nel merito. Nel paragrafo precedente, ad esempio, abbiamo fatto applica-
zione di tale criterio ed abbiamo verificato quale significato giuridico at-
tribuire alle proposizioni precettive che si rinvengono in genere nella de-
finizione legale delle fattispecie lesive degli interessi collettivi.
Ciò detto, però, può accadere – come tipicamente accade nelle
azioni collettive riservate agli enti rappresentativi – che l’azione venga at-
tribuita anche a soggetti il cui interesse, stando al canone interpretativo
ora indicato, dovrebbe, in assenza di tale attribuzione, trovarsi in quella
zona di indifferenza normativa in cui versano i diversi ed eventuali inte-
ressi concretamente esistenti nella vita reale, ma a cui né sul piano for-
male, né sul piano funzionale la norma attribuisce rilievo alcuno. E pro-
prio per questa ragione, infatti, che poc’anzi abbiamo evidenziato come
l’espressa previsione della legittimazione all’ente esponenziale – diversa-
mente da quel che accade per i membri della collettività – sia assoluta-
mente necessaria, posto che la tutela apprestata è inequivocabilmente ri-
volta agli interessi della categoria e non a quelli delle associazioni in
quanto tali e degli altri soggetti terzi di volta in volta legittimati.
Quale significato deve essere attribuito, dunque, al riconoscimento
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 409
perché colui che dovrebbe essere sostituito manca […] o perché esso non avrebbe neppure
la legittimazione ad agire» e, dall’altro, poiché il p.m. «non sta in giudizio per lo Stato come
subietto di diritti, ma, parte in senso puramente formale, e sciolto da ogni vincolo colle parti
del rapporto sostanziale». Queste considerazioni, ossia, per un verso, la presenza di ipotesi in
cui l’azione è riservata al p.m. in via esclusiva e, dall’altro, l’assenza di un rapporto sostanziale
che lega il p.m. al preteso sostituito, sono riprese ed ampliate da VELLANI, M., Il pubblico mi-
nistero nel processo, cit., rispettivamente a p. 83 e a p. 80, spec. nota 58. Va peraltro rilevato
che anche le opinione favorevoli – quanto meno in talune ipotesi – alla ricostruzione dell’a-
zione riservata al pubblico ministero in termini di sostituzione processuale sono sempre state
consapevoli delle particolarità proprie dell’istituto. Si veda ad esempio già BIONDI, P., Alcuni
rilievi sulla posizione dogmatica del pubblico ministero, in Riv. dir. proc. civ., 1930, I, p. 297 ss.,
ma spec. p. 317 ss., che, in posizione critica rispetto a Cristofolini, evidenziava che «l’esigenza
generale per cui tanto nei casi di sostituzione processuale in senso tecnico, quanto nei casi di
azione del p.m., al soggetto della lite è sostituito, per l’esercizio dell’azione (o dell’eccezione
in senso lato), un soggetto diverso, privato od organo dello Stato, è la medesima cosa: quella
di conferire l’esercizio dell’azione ad un soggetto che, per la sua particolare struttura, per la
sua posizione con le circostanze di fatto della lite, per il suo rapporto di dipendenza diretta o
di assoluta indipendenza rispetto agli interessi in lite, per la presunta (in quanto presumibile)
o eventuale inerzia di alcuni e l’efficacia di altri stimoli, sia maggiormente in grado di espli-
care l’azione o resistere a questa, con vantaggio dell’interesse pubblico supremo che l’azione
tende a soddisfare, e per cui è concessa dall’ordinamento giuridico». «La sola profonda dif-
ferenza – si osservava – sta nello stimolo, che per il p.m. è un interesse pubblico supremo, e nel
sostituto processuale (che può essere anche la pubblica amministrazione) un interesse privato
(o pubblico interno) sfruttato a servigio dell’interesse pubblico supremo». Ma si aggiungeva
anche, ad ulteriore precisazione, che «lo stimolo non ha niente a vedere con la funzione espli-
cata sotto la spinta dello stimolo». Si tengano presenti, poi, anche le osservazioni di CALA-
MANDREI, P., Istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice, Padova, 1941, p. p.
148, peraltro orientato a distinguere tra due distinte tipologie di fattispecie: una prima, in cui
l’azione è esercitata in via non sostitutiva ma principale, cioè miri «a far valere, per motivi di
ordine pubblico, un interesse che non appartiene alle persone interessate al rapporto, ma che
è ad esse superiore ed aspira a soddisfarsi anche in contrasto colla loro volontà» ed in cui
«l’azione, del tutto indipendente da ogni scopo di tutela dell’interesse individuale, appare or-
mai come un potere pubblico, unicamente indirizzato a far osservare il diritto oggettivo»; ed
una seconda, in cui appunto il p.m. opera in qualità di sostituto processuale e richiede la tu-
tela di diritti soggettivi altrui «non in vista di una speciale posizione individuale in cui esso si
trovi nel rapporto sostanziale di cui si discute, ma […] impersonalmente come organo dello
Stato, qualificato dalla sua funzione e stimolato dal dovere d’ufficio». Cfr. anche la posizione
di LIEBMAN, E.T., Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1973, p. 111, ove si parla di
«legittimazione ad agire, riconosciuta a quest’organo in via straordinaria, rispetto a un rap-
porto giuridico cui lo Stato è estraneo, per la tutela della legge per mezzo della proposizione
della domanda, in sostituzione di quella del titolare del rapporto, che non vuole o non può
agire (sostituzione ufficiosa)»; qualificazione rivolta proprio a condensare nell’aggettivazione
ora riportata i particolari caratteri strutturali e funzionali dell’azione del pubblico ministero;
similmente CONSOLO, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Profili generali, Padova,
414 CAPITOLO SESTO
2006, p. 282, che appunto parla di legittimazione straordinaria in via officiosa. È infine inte-
ressante rilevare come anche ALLORIO, E., Il pubblico ministero nel nuovo processo civile, in
Riv. dir. proc. civ., 1941, I, p. 212 ss., p. 237, critichi l’argomento per il quale non sia possi-
bile parlare di sostituzione processuale allorché l’azione sia riservata esclusivamente al sosti-
tuto, poiché «in verità, la sostituzione processuale null’altro presuppone che la separazione
del soggetto dell’azione dal soggetto del rapporto litigioso, o con altri termini la legittima-
zione conferita, in via eccezionale, a chi non è né s’afferma soggetto del rapporto contro-
verso». «Anche la formula legislativa – aggiunge l’illustre dottrina ora richiamata – si riferisce
al “far valere nel processo in nome proprio un diritto (recte: rapporto) altrui”: senza distin-
guere secondo che il soggetto del rapporto possieda o meno, dal canto proprio, la legittima-
zione a dedurlo in giudizio». Particolare menzione merita poi l’opinione di GRASSO, E., Pub-
blico ministero, in Enc. giur. Trec., XXV, Roma, 1990, p. 1 ss.; ID., Gli interessi della colletti-
vità e l’azione collettiva, cit., p. 24 ss., spec. p. 43 ss.; ID., Una tutela giurisdizionale per
l’ambiente, in Riv. dir. proc., 1987, p. 505 ss., spec. p. 515 ss., che oltre a ritenere che la legit-
timazione ad agire del pubblico ministero sia espressione di un potere di mera azione per la
tutela dell’interesse della collettività (interesse per Grasso non soggettivato né soggettivizza-
bile), esclude anche che l’oggetto del giudizio avviato dal p.m. possa essere predicato in ter-
mini di diritto soggettivo (magari anche di titolarità altrui). Si afferma, infatti, che nei proce-
dimenti che possono essere avviati, sia dal singolo interessato, che dal pubblico ministero,
quest’ultimo tutela l’interesse collettivo senza tutelare quello individuale che, simultanea-
mente protetto dall’ordinamento, può comunque trarre di riflesso un vantaggio dall’azione
pubblica (Pubblico ministero, cit., p. 2). La medesima impostazione viene poi seguita allorché
questa dottrina si sofferma nello studio dei limiti soggettivi del giudicato emesso al termine
dei procedimenti a tutela degli interessi collettivi e diffusi, esplicitamente accostati dall’A. alle
azioni esercitate dal pubblico ministero e dall’attore popolare. A tal riguardo, infatti, è pro-
prio il ritenere che l’oggetto del giudizio non possa essere predicato in termini di rapporto
giuridico intersoggettivo che esclude tanto l’applicazione del principio di relatività della cosa
giudicata quanto il regime di litisconsorzio necessario a vantaggio dell’efficacia erga omnes
della sentenza (Gli interessi della collettività, cit., p. 54 s.). Per ulteriori indicazioni sulle
difficoltà di inquadramento della posizione processuale del pubblico ministero v. infine VI-
GORITI, V., Il pubblico ministero nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc., 1974, p. 296 ss.,
spec. p. 308 ss.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 415
dacale a fronte di una condotta plurioffensiva tipica quale può essere il licenziamento anti-
sindacale. Qui il pregiudizio verificatosi in capo al lavoratore è evidente; direi palpabile visto
la materialità degli eventi che lo riguardano: mancato pagamento della somma di denaro;
mancata possibilità di recarsi sul posto di lavoro per svolgere la propria attività lavorativa,
ecc. Altrettanto evidente è che la repressione della condotta antisindacale in detta fattispecie
produce effetti e vantaggi pratici a favore del lavoratore che sarà reitegrato nel posto di la-
voro e tornerà a percepire il denaro che gli spetta in virtù della prestazione svolta. Eppure
ampia dottrina ed unanime giurisprudenza hanno ritenuto che l’azione ex art. 28 S.L. sia
espressione di un diritto soggettivo proprio dell’associazione sebbene la reintegrazione del la-
voratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro rappresenti certamente per questi un
evento favorevole, ancor prima che per il sindacato. In assenza dell’art. 28 S.L., l’interesse
dell’associazione sarebbe rimasto tra gli interessi magari pur presenti nella prassi, ma irrile-
vanti sul piano normativo, invece, la legittimazione ad agire attribuita al sindacato sta proprio
a dimostrare che la situazione che corrisponde agli obblighi imposti al datore è giuridica-
mente favorevole tanto per il sindacato che per il lavoratore.
22 In realtà il degradamento dell’interesse del sostituito al rango di interesse esclusiva-
mente processuale non è altro che il riflesso della carenza di titolarità di un diritto soggettivo
in capo al medesimo e questo modello rappresentativo trova a sua volta fondamento nella
tendenza a voler sostanziare un quid da dare in appartenenza al soggetto preteso titolare del
diritto soggettivo. Un esemplare dimostrazione di quanto si sta dicendo la si trova nella let-
tura della dottrina che più delle altre ha dedicato approfondimento alla figura della sostitu-
zione processuale. Ci riferiamo evidentemente al lavoro di GARBAGNATI, E., La sostituzione
416 CAPITOLO SESTO
processuale, cit., spec. p. 97 ss., ma spec. p. 205 ss. In esso, infatti, proprio il rigore metodo-
logico che impronta l’indagine fa – per così dire – balsare agli occhi l’aspetto che si sta cer-
cando di evidenziare. Si tengano presenti i seguenti passaggi logici in cui si articola la linea in-
terpretativa dell’A. ora richiamato. Innanzitutto, punto fondamentale per l’inquadramento
della questione è quanto segue: «si è […] fedeli interpreti del pensiero espresso dal legisla-
tore nell’art. 81 c.p.c., ove si ammetta che le parole “in nome proprio”, ivi adoperate, equi-
valgono a: “nel proprio interesse”; e che pertanto, è sostituto processuale, in base a codesto
articolo, ogni subietto al quale sia riconosciuto, da una speciale disposizione di legge, il po-
tere di far valere processualmente, nel proprio interesse, un diritto altrui» (p. 211). Si aggiunge
allora condivisibilmente: «col verificarsi delle fattispecie contemplate dalle singole norme
speciali, il legislatore giudica probabile, in base alle regole fornite dalla comune esperienza,
l’esistenza di un interesse del sostituto all’esercizio della funzione giurisdizionale». Quando
poi si passa ad una più precisa qualificazione della natura di questo interesse, allora si afferma
che «l’unico interesse del sostituto giuridicamente tutelato sia l’interesse all’emanazione di un
provvedimento giurisdizionale, che accerti l’esistenza del diritto del sostituto» e ciò in con-
trapposizione alla concezione sattiana della sostituzione. A critica di questa lettura, infatti, da
un lato, si afferma che tale impostazione «urta nettamente contro il concetto legislativo della
sostituzione processuale, secondo cui il sostituto fa valere processualmente un diritto altrui»
e, dall’altro, ci si interroga retoricamente su quale possa essere la «posizione giuridica di van-
taggio» appartenente al sostituto sul piano sostanziale. Ora, ponendo da parte la prima que-
stione – rispetto alla quale basti dire che lo stesso rinvio ad un «concetto legislativo» (ovvero
il ritenere che riguardo l’elaborazione dei concetti fondamentali sia il linguaggio prescelto dal
legislatore ad essere risolutivo) appare una scelta di metodo non adeguatamente convincente
– l’attenzione va fatta tutta cadere sull’impossibilità di rinvenire sul piano sostanziale una
«posizione giuridica di vantaggio» in capo al sostituto. Si ricorda, infatti, che per Garbagnati
il diritto soggettivo è proprio «la posizione giuridica di vantaggio di un subietto relativamente
ad un dato bene». Ma si ricorda anche che tale definizione appare criticabile proprio nel vo-
ler elevare ad elemento formale e giuridico un dato non giuridico, ma pratico, come quello
del vantaggio che si produce in relazione all’osservanza dell’obbligo in capo ad un soggetto
(cfr. amplius quanto sostenuto retro, cap. V, alla nota 122). Se quindi si accetta il fatto che sul
piano formale questa «posizione di vantaggio» non ha cittadinanza, ci si avvede che l’attribu-
zione di un autonomo potere di azione porta con sé – come detto nel testo, nonché retro,
nota 21 – l’inequivocabile apprezzamento dell’interesse sostanziale del legittimato straordina-
rio. Già il dibattito sulla sostituzione processuale (cfr. infra, nota 23) aveva dato posizioni dot-
trinali maggiormente propense a valorizzare la dimensione sostanziale dell’interesse del c.d.
sostituto (cfr. ovviamente la nota posizione di SATTA, S., Azioni popolari e perpetuazione iuri-
sdictionis, in Teoria e pratica del processo, Roma, 1940, p. 361 ss.; ID., Interesse e legittima-
zione, in Foro it., 1954, V, p. 160 ss., ma spec. p. 177; ID., Diritto processuale civile, Padova,
1973, p. 85 ss.; ID., Commentario al codice di procedura civile, I, cit., p. 272 ss.; ID., Variazioni
sul tema della «legittimatio ad causam», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1967, p. 638 ss.; ma v. an-
che, MONACCIANI, L., Azione e legittimazione, Milano, 1951, p. 401 ss.; ANDRIOLI, V., Com-
mentario al codice di procedura civile, I, Napoli, 1962, p. 231; ID., Il principio del «ne bis in
idem» e la dottrina del processo, in Annali Triestini di diritto economia e politica, XII, 1941, p.
259-260 e 267, che, come noto, impiega il concetto di interesse legittimo per procedere alla
ricostruzione della posizione del sostituto; di recente, v. anche PUNZI, C., Il processo civile. Si-
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 417
stema e problematiche, I, I soggetti e gli atti, Torino, 2008, p. 313 s.), ma la stessa letteratura
in materia di interessi collettivi dà significativi esempi a tal proposito. Ciò è particolarmente
evidente – come si dice anche nel testo – allorché si noti che la qualificazione della legittima-
zione dell’ente rappresentativo ha talora oscillato tra la figura della sostituzione processuale o
del diritto soggettivo non tanto per una mancata condivisione della natura sostanziale dell’in-
teresse che muove l’ente, ma in ordine al connesso problema del coordinamento tra le azioni
individuali e quelle collettive. Sul punto, cfr. infra, nel testo e nota 24.
23 Cfr., per tutti, GARBAGNATI, E., La sostituzione processuale, cit., p. 283: «se si ha […]
riguardo alla ratio dell’art. 81, è d’uopo logicamente concludere che, nel pensiero del nostro
legislatore, la sostituzione processuale presuppone precisamente il potere di un subietto di far
valere processualmente, nel proprio interesse, un diritto altrui, in guisa tale, che la cosa giu-
dicata sostanziale scaturente dalla sentenza pronunciata nei suoi confronti venga a colpire di-
rettamente il titolare del diritto stesso». Posto che la figura della sostituzione processuale –
come già accennato nel testo – appare tratteggiata dalla dottrina con contorni tutt’altro che
stabili, definiti e pienamente condivisi (di «precarietà dogmatica» parlava opportunamente
NENCIONI, G., Sostituzione processuale e legittimazione, in Foro it., 1935, IV, p. 379 ss., ma p.
385; cfr. infatti, riguardo alla categoria, già le perplessità di REDENTI, E., Il giudizio civile con
pluralità di parti, cit., p. 111; ID., Profili pratici del diritto processuale civile, cit., p. 369; SEGNI,
A., L’intervento adesivo, I, Roma, 1919, p. 132 ss.; ROCCO, U., La legittimazione ad agire,
Roma, 1929, p. 60 ss.; direi superflua la citazione di Salvatore Satta le cui opere sul punto
sono già state citate alla nota che precede), nel senso appena palesato dall’affermazione or ora
riportata di Garbagnati, v. CHIOVENDA, G., Principi di diritto processuale civile, cit., p. 281,
597; ID., Istituzioni di diritto processuale civile, cit., I, p. 379-380, II, p. 230; BETTI, E., D.42,
I, 63, Trattato dei limiti soggettivi della cosa giudicata in diritto romano, Macerata, 1922, spec.
p. 221 ss.; ID., Diritto romano, I, cit., p. 638; ID., Diritto processuale civile italiano, cit., p. 611
ss.; CARNELUTTI, F., Lezioni di diritto processuale civile, Padova, 1930, II, p. 214 ss., spec. p.
218, IV, p. 436; ID., Sistema di diritto processuale civile, cit., p. 381 (ma v. poi la successiva di-
stinzione tra sostituzione assoluta e relativa a seconda che il vincolo del giudicato si estenda
o meno al sostituito rimasto terzo al giudizio: ID., Cosa giudicata e sostituzione processuale, in
Riv. dir. proc., 1942, II, p. 24 ss.); ALLORIO, E., La cosa giudicata rispetto ai terzi (1935), Mi-
lano, rist. 1992, p. 128 s., e poi p. 249 ss.; ANDRIOLI, V., La legittimazione ad agire, in Riv. it.
sc. giur., 1935, p. 273 ss., ma spec. p. 289 ss. (ma cfr. poi i lavori citati infra); LIEBMAN, E.T.,
Efficacia ed autorità della sentenza (ed altri scritti sulla cosa giudicata) [1935], Milano, 1962, p.
74; BARBERO, D., La legittimazione ad agire in confessoria e negatoria servitutis, Milano, 1950,
p. 41 ss.; CARPI, F., L’efficacia «ultra partes» della sentenza civile, Milano, 1974, p. 251 ss. e 305
s. La medesima radice funzionale appartiene ovviamente all’orientamento che fa del titolare
del diritto fatto valere dal legittimato straordinario parte necessaria del giudizio da questo av-
viato; orientamento le cui note di fondo già erano variamente emerse in letteratura (v. infatti
le pagine di SEGNI, A., Parti, in Enc. it., XXVI, p. 418 ss.; REDENTI, E., Il giudizio civile con
418 CAPITOLO SESTO
pluralità di parti, cit., p. 83 ss., 90 ss.; VOCINO, C., La testimonianza del debitore surrogando,
in Temi emil., 1950, p. 331 ss. e anche poi in ID., Su alcuni problemi del diritto processuale ci-
vile: II) Interesse e legittimazione ad agire, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, p. 1445 ss., ma
spec. p. 1465, nota 66 e poi 1468 ss.; MANDRIOLI, C., La rappresentanza nel processo civile, cit.,
p. 138 ss.), ma che ha acquisito successivo vigore e stabilizzazione dogmatica a seguito del ri-
lievo costituzionale del diritto di difesa del titolare del diritto fatto valere in via sostitutiva. In
particolare, v. PROTO PISANI, A., Opposizione di terzo ordinaria, Napoli, 1965, spec. p. 99 ss.,
p. 634 s., e poi ID., Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi di efficacia della sentenza civile e
la garanzia costituzionale del diritto di difesa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 1216 ss., spec.
p. 1221; ID., Dell’esercizio dell’azione, in Dell’esercizio dell’azione, Art. 102, Litisconsorzio ne-
cessario, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, I, 2, cit., p. 1111
s.; ID., Parte (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 917 ss., ma spec. p. 927; ID.,
Note in tema di limiti soggettivi della sentenza civile, in Foro it., 1985, I, p. 2387 ss., ma ora in
ID., Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, p. 321 ss. spec. p. 325; ID., Lezioni di di-
ritto processuale civile, Napoli, 2006, p. 295 e 300. Ma già CALAMANDREI, P., Istituzioni di di-
ritto processuale civile, II, Padova, 1943, p. 196 s.; ANDRIOLI, V., ID., Commentario al codice di
procedura civile, I, cit., p. 286; ID., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1973, p. 459;
ID., Diritto processuale civile, I, 1979, Napoli, p. 591; TOMMASEO, F., L’estromissione di una
parte del giudizio, Milano, 1975, p. 89 ss., ma spec. 110, nonché poi in ID., Parti: I) Diritto
processuale civile, in Enc. giur. Trec., XXII, Roma, 1990, p. 4; MONTELEONE, G.A., I limiti sog-
gettivi del giudicato civile, Padova, 1978, p. 117 ss.; COSTANTINO, G., Contributo allo studio del
litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, p. 429 ss. e poi ID., Litisconsorzio: I) Diritto processuale
civile, in Enc. giur. Trec., XIX, Roma, 1990, p. 8; ID., Legittimazione ad agire, ivi, XVIII, 1990,
p. 8; TOMEI, G., Alcuni rilievi in tema di litisconsorzio necessario, in Riv. dir. proc., 1980, p.
669 ss., ma spec. p. 671; MONTESANO, L., La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1997, p.
111; FRASCA, R., Note sui presupposti del litisconsorzio necessario, II, in Riv. dir. proc., 1999, p.
745 ss., ma spec. p. 753 ss.; ZANUTTIGH, L., Litisconsorzio, in Dig. disc. priv., sez. civ., XI, To-
rino, 1994, p. 40 ss., ma p. 50; MENCHINI, S., Il giudicato civile, Torino, 2002, p. 190. Vi è an-
che un noto orientamento dottrinale, teso a qualificare come ipotesi di sostituzione proces-
suale in senso proprio solamente quelle in cui il giudizio avviato dal sostituto si svolga in as-
senza del sostituito, titolare del rapporto dedotto ad oggetto dal giudizio e comunque colpito
dall’efficacia di accertamento della sentenza: cfr. FAZZALARI, E., Sostituzione (dir. proc. civ.), in
Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 159 ss., ma spec. p. 160, ma v. anche ID., Il processo ordi-
nario di cognizione, I, Torino, 1989, p. 93 ss.; ID., Istituzioni di diritto processuale, Padova,
1986, p. 336 s.; ed anche CECCHELLA, C., Sostituzione processuale, in Dig. disc. priv., sez. civ.,
XVIII, 1998, Torino, p. 640 ss., che – per quel che più specificamente interessa – ritiene che
proprio la situazione giuridica dell’ente esponenziale di interessi diffusi debba ricevere tale
qualificazione in virtù del fatto che in detta ipotesi l’istituto in questione troverebbe un suo
tipico caso di applicazione dovuta alla pratica irrealizzabilità del contraddittorio. Riguardo
quest’ultima questione si aggiunge, infatti, che i più recenti interventi normativi – il riferi-
mento è indirizzato alla l. 349/86, all’art. 1469 sexies c.c., nonché anche al già esaminato art.
2601 c.c. – sembrerebbero fondare una «nuova e inaspettata stagione dell’istituto della sosti-
tuzione».
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 419
tisindacale. Come è noto parte della dottrina processualistica ha visto nell’azione sindacale un
potere di sostituzione del sindacato nell’esercizio del diritto individuale (cfr., in particolare,
LANFRANCHI, L., Prospettive ricostruttive in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1971, p. 388 ss., spec. p. 427; PUNZI, C., Repressione della condotta anti-
sindacale: b) Profili di diritto processuale, in Commentario dello statuto dei lavoratori, diretto
da U. Prosperetti, II, Milano, 1975, p. 966 ss.; ma anche GARBAGNATI, E., Profili processuali
del licenziamento per motivi antisindacali, in Riv. dir. proc., 1973, p. 596 ss., spec. p. 636),
mentre altra parte della dottrina, specie giuslavorista, e con essa la giurisprudenza, ha indivi-
duato in tale azione un diritto soggettivo proprio del sindacato; e ciò fondamentalmente per
il fatto che il riconoscimento di un diritto soggettivo proprio garantiva al sindacato una posi-
zione processuale di autonomia rispetto ai singoli pregiudicati dalla medesima condotta ben
maggiore di quella che avrebbe garantito la figura della sostituzione processuale. Ma, d’altra
parte, la dottrina che nello specifico aveva optato per la sostituzione processuale si era in ta-
luni casi (cfr. Lanfranchi) orientata verso una concezione della stessa – quella sattiana – come
noto tendenzialmente propensa a smorzare la contrapposizione tra tecnica giuridica del di-
ritto soggettivo e tecnica della sostituzione e con essa lo stesso rapporto di alterità del sosti-
tuto rispetto all’interesse tutelato. In altri termini, sotto questo specifico profilo, le due posi-
zioni (su cui amplius, cap. VII), erano molto meno lontane nella sostanza di quanto potesse
sembrare a prima vista. Sotto questo specifico profilo, si è detto; perché ovviamente la tesi
della sostituzione processuale gettava ponti tra i due giudizi di ben diverso spessore rispetto
a quella completa autonomia ed indifferenza delle procedure che al contrario garantiva la tesi
del diritto soggettivo proprio del sindacato. E difatti, la sostituzione processuale o si tradu-
ceva in estensione ultra partes del giudicato (così, in Lanfranchi) o puntava direttamente al-
l’esito più funesto per l’autonomia sindacale: il litisconsorzio necessario del lavoratore nel
giudizio collettivo (così, ad es. in Punzi e Garbagnati). Come detto nel testo, insomma, l’al-
ternativa tra sostituzione e diritto soggettivo si risolveva nell’interrogativo essenzialmente
420 CAPITOLO SESTO
senso proprio meritano particolare rilievo le osservazioni di DENTI, V., Interessi diffusi, cit., p.
312; ID., Profili civilistici della tutela degli interessi diffusi, cit., p. 48, secondo cui il concetto
in questione non dovrebbe dipendere da requisiti soggettivi del soggetto legittimato (ad es.
soggetto collettivo piuttosto che semplice cittadino), quanto da elementi funzionali e struttu-
rali connessi alla natura dell’interesse tutelato e alla capacità del giudizio di adeguarsi alla na-
tura sovraindividuale dello stesso. È per questa ragione che a parer nostro l’azione deve es-
sere definita collettiva quando è idonea a provocare l’accertamento di un effetto giuridico po-
sto a tutela di un interesse collettivo, ovvero di un insieme di interessi individuali concorrenti.
Questo approccio isola la definizione proposta da altre pur rilevanti questioni, ovvero dalla
natura del soggetto legittimato o dal regime di efficacia della sentenza. Sicché deve essere de-
finito propriamente collettivo anche il giudizio provocato dal singolo membro della colletti-
vità e magari anche privo di un provvedimento conclusivo dotato di efficacia vincolante erga
omnes; ma ciò purché conduca all’accertamento di un obbligo sostanziale imposto per la tu-
tela di un interesse collettivo. Per questa ragione non ci sentiamo di aderire all’impostazione
definitoria di recente avanzata da CHIARLONI, S., Per la chiarezza di idee in tema di tutele col-
lettive dei consumatori, in Riv. dir. proc., 2007, p. 567 ss., secondo cui bisognerebbe distin-
guere tra «azioni di classe», in cui il giudizio è instaurato da un soggetto singolo nell’interesse
di una pluralità di soggetti che si trovano in «una comune situazione giuridica bisognosa di
tutela giurisdizionale», con vaglio di ammissibilità giustificante il vincolo al giudicato per ogni
membro della classe, e «azioni collettive», esercitate da associazioni nate ed affermatesi come
«centri di imputazione» di interessi comuni che fanno capo ad una collettività di individui.
L’impostazione ora indicata, infatti, tende nella sostanza a coincidere con la distinzione-con-
trapposizione tra damages class action statunitense e azione collettiva inibitoria associativa, ov-
vero con due tipologie di giudizio puntualmente connotate sul piano positivo in riferimento
ad uno specifico regime di legittimazione ad agire e di efficacia della sentenza. A parer no-
stro, invece, occorre valorizzare gli elementi funzionali e strutturali essenziali, che indicano
chiaramente la differenza che intercorre tra giudizio collettivo proprio, nel quale la tutela è
volta al soddisfacimento di interessi individuali concorrenti mediante l’accertamento di un
unico effetto giuridico, e giudizio collettivo improprio, nel quale la tutela è volta al soddisfa-
cimento di interessi individuali esclusivi mediante l’accertamento di più e diversi effetti giuri-
dici sostanziali.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 423
is intended to reach situations where a party has taken action or refused to take action with
respect to a class, and final relief of an injunctive nature or of a corresponding declaratory na-
ture, settling the legality of the behavior with respect to the class as a whole, is appropriate.
Declaratory relief “corresponds” to injunctive relief when as a practical matter it affords
injunctive relief or serves as a basis for later injunctive relief. The subdivision does not extend
to cases in which the appropriate final relief relates exclusively or predominantly to money
damages. Action or inaction is directed to a class within the meaning of this subdivision even
if it has taken effect or is threatened only as to one or a few members of the class, provided
it is based on grounds which have general application to the class».
28 Stando alla CPR 19.6, «where more than one person has the same interest in a claim:
a. the claim may be begun; or b. the court may order that the claim be continued, by or
against any one or more of the persons who have the same interest as representative of any
other persons who have that interest». Prima della riforma del 1999, le azioni rappresentative
trovavano disciplina nelle pressoché coincidenti regole previste dalle RSC Ord 15, r 12 e
CCR Ord 5, r 5. Sulle representative suits, v. ANDREWS, N., Multy-party proceedings in En-
gland: representative and group actions, 11 Duke J. of comp. & int’l L. 249 (2001); ID., English
Civil Procedure, Oxford, 2003, p. 987 ss.; Prima della Woolf’s reform, v. JOLOWICZ, J.A., On
Civil Procedure, Oxford, 2000, p. 97 ss.; ID., Protection of Diffuse, Fragmented and Collective
Interest in Civil Litigation: English Law, 42 Cambridge L.J. 222 (1983). Ampia è la letteratura
sulle connessioni sussistenti tra representative suits e class actions, specie lungo un itinerario
storico-evolutivo; sull’argomento v. GIUSSANI, A., Studi sulle «class actions», Padova, 1996, p.
4 ss.; in lingua inglese, v. lo studio di YEAZELL, S.C., From Medieval Group Litigation to the
Modern Class Action, New Haven, 1987. Per uno studio sull’influenza delle representative
suits inglesi sulla successiva legislazione in materia di class actions all’interno di un’ampia cor-
nice comparatistica, v., più di recente, MULHERON, R., The Class Action in Common Law Le-
gal System: A Comparative Perspective, Oxford, 2004, p. 83 ss.; ID., From representative rule
to class action: steps rather than leaps, 24 Civil Justice Q. 424 (2005).
29 ANDREWS, N., English Civil Procedure, cit., p. 988, evidenzia che la formula «same in-
terest» sta a significare che «the representative’s cause of action must be ‘the same’ as that of
the represented parties» e, – questo è il punto che va da noi rimarcato – citando una risalente
opinion espressa nel leading case Markt & Ltd v. Knight Steamship Co Ltd, puntualizza che
ciò si verifica quando il rimedio richiesto si dimostra «in its nature beneficial to all whom the
plaintiff proposed to represent» (c.vo mio). Da ciò la tendenziale esclusione dei rimedi risar-
citori (cfr. però le precisazioni avanzate ancora da ANDREWS, N., English Civil Procedure, cit.,
p. 991 ss.; HODGE, C., Multi-party Actions, Oxford, 2001, p. 123). Si è dunque rilevato come
l’interpretazione restrittiva del requisito del same interest abbia favorito, da un lato, la scarsa
applicazione delle representative suits e, dall’altro, l’introduzione della Group Litigation Order
Rule a seguito della riforma del 1998 (così, HODGE, C., Multi-party Actions, cit., p. 124). Per
424 CAPITOLO SESTO
interessanti approfondimenti circa il requisito del same interest, alla luce del caso poc’anzi ci-
tato (Markt & Co Ltd v. Knight Steamship Co Ltd), v. MULHERON, R., The Class Action in Com-
mon Law Legal System, cit., p. 78 ss.
30 Cfr. retro, nota 3.
31 Cfr. retro, cap. IV, § 6.
32 In dottrina si parla di contenzioso seriale, o di massa, di azioni di classe, ecc., per in-
dicare i giudizi che hanno ad oggetto una pluralità di diritti soggettivi omogenei.
33 Cfr. ancora retro, cap. IV, § 8.
34 Nel nostro ordinamento solo di recente, ovvero in seguito ai crack finanziari i cui ef-
fetti hanno investito il popolo dei consumatori, si pensa all’introduzione di azioni collettive
risarcitorie, sul punto, v. le riflessioni svolte infra, cap. X, § 3.3., relativamente all’introdu-
zione del nuovo art. 140 bis del c. consumo.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 425
torie possono richiedere l’estensione degli effetti della sentenza oltre le parti del giudizio se si
ritiene che l’azione inibitoria sia in grado di condurre all’accertamento idoneo al giudicato
delle questioni pregiudiziali che sorreggono l’accertamento dell’obbligo di astensione. In que-
sta ipotesi, infatti, l’effettività del rimedio collettivo è in gran parte rimessa alla possibilità che
i singoli si giovino di tale accertamento all’interno dei giudizi individuali sugli effetti conse-
guenti.
37 Sul punto, v. le considerazioni svolte infra (nota 122), per ciò che concerne l’in-
una corretta e scientificamente appagante sistemazione del fenomeno con cui ci confron-
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 427
tiamo. Sia nel giudizio collettivo proprio, sia nel giudizio collettivo improprio, abbiamo più
pretese individuali. Certo, in un caso l’oggetto delle pretese è lo stesso, mentre nell’altro è
molteplice ed eterogeneo (seppur talora assimilabile), ma comunque, se prendiamo come cri-
terio di classificazione e comprensione dei diversi giudizi collettivi la presenza-assenza di più
pretese individuali, tale requisito non ci conduce ad alcuna differenziazione significativa. Per
dirla con altre parole, tanto nel giudizio che nel testo abbiamo definito proprio, quanto nel
giudizio improprio, abbiamo a che fare con un fenomeno giuridico descrivibile in termini di
pluralità di diritti soggettivi. Se, peraltro, l’attenzione si pone sull’effetto giuridico, che per
noi – dovrebbe oramai esser chiaro – è solo l’obbligo, lo schema formale entro cui circoscri-
vere il fenomeno è individuabile con ben altra immediatezza e chiarezza e ciò perché riceve
valorizzazione il dato propriamente strutturale del fenomeno. In altri termini, la valorizza-
zione anche lessicale, oltre che di impostazione mentale e concettuale, del lato attivo del rap-
porto crea, o può creare, una fluidità concettuale dannosa, favorendo il realizzarsi dell’equa-
zione tra «più pretese» (del primo genere) e «più pretese» (del secondo), ovvero tra «più di-
ritti soggettivi» e «più diritti soggettivi». Ma così, ovvero facendo uso del concetto di diritto
soggettivo come strumento classificatorio in grado di dire tutto ciò che c’è da dire sul feno-
meno giuridico che si esamina, cioè come concetto-termine onnicomprensivo ed esaustivo
circa la giuridicità di un dato fenomeno, è facile trovarsi a camminare su terreni scivolosi. È
al contrario il comportamento doveroso e le note che lo descrivono che si pongono come
punto formale di riferimento, come elemento strutturale ineliminabile e centrale. E ciò per la
più volte ripetuta ragione che il diritto persegue i suoi obiettivi acquisendo come suo piano di
incidenza i comportamenti umani e come punto di incidenza l’obbligo, ovvero imponendo vin-
coli di comportamento che se disattesi necessitano di accertamento giurisdizionale e di con-
seguente attuazione coattiva. Sicché, così ragionando, è agevolmente rilevabile la differenza
tra il giudizio collettivo proprio, in cui l’oggetto del giudizio è rappresentato da un solo ef-
fetto giuridico, e il giudizio collettivo improprio, in cui – invece – l’oggetto del processo è co-
stituito da più effetti giuridici a contenuto e funzione risarcitori.
39 In generale, in chiave comparatistica, v. MULHERON, R., The Class Action in Common
Law Legal System, cit., p. 407 ss., e, con particolare riguardo all’esperienza canadese, v. JONES,
C., Theory of Class Actions, Toronto, 2003, p. 126.
40 Significativamente, nelle Notes of Advisory Committee on 1966 Amendments to
Rules, si legge – con riguardo alle controversie collettive previste dalla rule 23 (b) (3) e a
breve evocate nel testo – che «in the situations to which this subdivision relates, class-action
treatment is not as clearly called for as in those described above, but it may nevertheless be
convenient and desirable depending upon the particular facts. Subdivision (b) (3) encompas-
428 CAPITOLO SESTO
ses those cases in which a class action would achieve economies of time, effort, and expense,
and promote uniformity of decision as to persons similarly situated, without sacrificing
procedural fairness or bringing about other undesirable results».
41 Cfr. PELLEGRINI GRINOVER, A., Il nuovo processo brasiliano del consumatore, cit., spec.
p. 1065 s.; GIDI, A., Class actions in Brasil, A model for civil Law Countries, cit., p. 359 e 388
ss., il quale chiarisce come, in realtà, la disciplina brasiliana in materia di diritti individuali
omogenei, ovvero in materia di azioni collettive risarcitorie, segua di regola il modello delle
azioni collettive dichiarative su questioni, ovvero non miri direttamente alla liquidazione dei
danni individualmente patiti dai membri della collettività. Come meglio chiariremo tra breve
nel testo, una tecnica di semplificazione estremamente frequente in materia di azioni collet-
tive risarcitorie è proprio quella di limitare l’accertamento alle questioni comuni alle diverse
pretese, per poi successivamente rimettere i singoli ai giudizi individuali per determinare l’e-
satta liquidazione della somma dovuta a titolo di risarcimento o per proseguire in una suc-
cessiva fase dello stesso giudizio in cui, terminata la conduzione collettiva del giudizio, i sin-
goli possono intervenire per la trattazione separata delle questioni differenziate individuali la
cui esistenza deve essere verificata per completare l’accertamento del diritto al risarcimento.
Nel sistema brasiliano – si diceva – è questo secondo modello che di regola viene seguito (cfr.
art. 95 e 97 CDC, in cui da un lato è prevista la condanna generica del danneggiante e dal-
l’altro è prevista l’azione individuale del danneggiato); peraltro, stando all’art. 98 CDC, gli
enti portatori legittimati ad agire possono richiedere la liquidazione del danno collettivo se,
decorso un anno dal passaggio in giudicato delle sentenza di condanna generica, solo un esi-
guo numero di danneggiati ha esercitato l’azione individuale. Sul punto, v. DE BARROS LEO-
NEL, R., Manual do processo coletivo, cit., spec. p. 385 ss.; e soprattutto MIRANDA PIZZOL, P.,
Liquidação nas ações coletivas, San Paolo, 1998, spec. p. 179 ss.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 429
celebre caso Eisen v. Carlisle & Jacquelin, 417 US 157, 179 (1974). Sul punto, v. in generale
JASPER, M.C., Your Rights in a Class Action Suit, New York, 2005, p. 17 ss.
45 «The grant of out-put rights makes sense only if individuals removed from the class
can truly be insulated fron the effect of the class judgement. Thus, the distinction rule 23
draws between (b) (1) and (b) (2) classes, whose member have no right to exclude themsel-
ves, and (b) (3) classes, whose members may opt-out, has at least some practical justification.
Most (b) (1) and (b) (2) classes are suing for relief which cannot be readily limitated to only
some class members. […] Rule 23 (b) (3) class suits […] are generally brought to recover mo-
430 CAPITOLO SESTO
ney damages, relief which may be awarded in a manner which distinguishes among indivi-
duals class members, and which therefore may be shaped to respect the rights of individuals
who have excluded themselves fron lawsuit»: così, Note, Developments in the Law – Class ac-
tions, 89 Harvard L.R. 1318, 1487 (1976). Va peraltro detto che l’istituto dell’out-put è tra i
più controversi nel dibattito sulle class actions statunitensi, specie in ordine agli effetti dan-
nosi che può produrre su un eventuale esito conciliativo della controversia. La mancata pos-
sibilità di chiuderla una volta per tutte riguardo a tutta la classe dei possibili danneggiati
opera sovente un’efficacia disincentivante alla conciliazione. La questione, pur estremamente
interessante, specie se posta sullo sfondo del possibile conflitto tra garantismo individuale e
garantismo collettivo, ha dato luogo ad un ampio dibattito: sul punto, v. ad es. FRIEDMAN,
M.W., Constrained Individualism in Group Litigation: Requiring Class Members to Make a
Good Cause Showing Before Opting Out of a Federal Class Action, 100 Yale L.J. 745 (1990);
BONE, R.G., Rethinking the «Day in Court» Ideal and Nonparty Preclusion, 67 N.Y.U.L. Rev.
193 (1992); MORABITO, V., Class Actions: The Right to Opt Out, 19 Melbourne U.L. Review
615, pt. IV (1994); ISSACHAROFF, S., Preclusion, Due Process, and the Right to Opt Out of Class
Action, 77 Notre Dame L.Rev. 1057 (2002); ROSEMBERG, D., Mandatory-litigation Class Ac-
tions: The Only Option for Mass Tort Cases, 115 Harvard L.R. 831 (2002); NAGAREDA, R.A.,
Autonomy, Peace, and Put Options in The Mass Tort Class Action, 115 Harv. L.Rev. 747
(2002); ID., The Preexistence Principle and Structure on the Class Action, 103 Colum L.Rew.,
149 (2003). Se peraltro si volge lo sguardo ad altri ordinamenti di common law che preve-
dono procedure di class actions, si può notare come il diritto di opting-out trovi frequente-
mente un suo riconoscimento generalizzato, ovvero non legato a talune tipologie di contro-
versie, sebbene sia talora riconosciuto al giudice il potere di esonerare la parte rappresenta-
tiva del dovere di informare gli altri membri della classe dell’inizio della controversia
collettiva e del loro diritto di opt-out. Nella Part IV-A (Representative Proceedings) del Fede-
ral Court of Australia Act (1976) [d’ora in poi FCA (Australia)], ad esempio, è previsto alla
section 33J (Right of group member to out put) che «the Court must fix a date before which a
group member may opt out of the representative proceeding», ma – ciò va rimarcato – stando
alla s. 33X (2), relativo alla procedura di notice, il giudice può impedire la notice, se il rime-
dio richiesto non ha natura risarcitoria. Similmente nel Supreme Court Act (1986) dello Stato
della Victoria. Nel Class Proceeding Act, S.O. 1992, Chapter 6, dell’Ontario [d’ora in poi CPA
(Ontario)], come risulta dalla s. 9, «any member of a class involved in a class proceeding may
opt out of the proceeding in the manner and within the time specified in the certification
order»; ma anche qui – v. s. 17 (2) e (3) – ampi poteri sono riconosciuti al giudice circa la pos-
sibilità di esonerare il rappresentate dalla notice tra l’altro in relazione alla natura del provve-
dimento richiesto. Nel Class Proceedings Act (1996) della British Columbia [d’ora in poi CPA
(British Columbia)], è ugualmente previsto rispettivamente alla s. 16 (1) e alla s. 19 (3) (f).
Nel Code de procedure civil, R.S.Q. 1977, del Quebec [d’ora in poi CPC (Quebec)], all’art.
1006, è previsto che «l’avis aux membres indique: […] (e) le droit d’un membre de s’exclure
de groupe, les formalités à suivre et le délai pour s’exclure» e non è prevista la possibilità per
il giudice di esonerare l’attore dalla notice. Sul punto, v. JONES, C., Theory of Class Actions,
cit., p. 126.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 431
disciplina legale che, a seconda di come è concepita, può ben dar luogo
a diverse ipotesi di commistione o modificazione delle due generali cate-
gorie schematicamente indicate.
Se ne possono dare alcuni rapidi esempi.
Il più scontato è sicuramente riconducibile alle ipotesi in cui azione
collettiva propria e azione collettiva impropria (stando alla terminologia
di cui abbiamo fatto sino ad ora uso) siano esercitabili congiuntamente.
È il caso in cui si richieda tanto l’inibitoria di comportamenti futuri,
quanto il risarcimento dei danni causati dalla già avvenuta violazione de-
gli obblighi legali imposti.
In questo caso il fenomeno si presenta in questi termini. Un certo
dovere sostanziale X, posto a tutela dell’interesse collettivo, viene violato.
Tale violazione non estingue l’obbligo di tenere quello stesso comporta-
mento nel futuro, ma contribuisce a costituire una serie di doveri risarci-
tori K, Y, Z, ecc. in ragione dei pregiudizi arrecati. Così l’ordinamento, a
seguito della violazione del dovere X, continua a valutare come doveroso
quel medesimo comportamento X, ma, oltre a ciò, prevede che il sog-
getto gravato sia anche tenuto all’osservanza degli obblighi di risarci-
mento anzidetti.
Se concepiamo un giudizio in cui sia possibile non solo ottenere l’or-
dine inibitorio di astenersi dal comportamento X, ma anche l’accerta-
mento dei diversi obblighi risarcitori K, Y, Z, allora avremo un giudizio
che presenta tanto la struttura di quello che potremmo definire collettivo
proprio che di quello improprio, con la conseguente necessità di preve-
dere tutte le accortezze processuali che da ciò derivano.
Oltre a questa prima esemplificazione se ne può fornire un’altra
estremamente interessante.
È il caso dei giudizi che si concludano con sentenze dichiarative che
abbiano ad oggetto solo (mere) questioni comuni a pur differenziate pre-
tese e i cui effetti siano in grado di coinvolgere più soggetti interessati al
giudizio.
In tali casi, la particolarità dell’oggetto dell’accertamento, accompa-
gnata dal regime degli effetti della sentenza, dà luogo ad un giudizio pro-
priamente collettivo anche (ma non necessariamente) in riferimento a fe-
nomeni che sul piano sostanziale non sarebbero descrivibili in termini di
interesse collettivo.
Si pensi ad un giudizio il cui accertamento sia limitato all’antigiuri-
dicità di una certa condotta, alla pericolosità di un certo prodotto, all’il-
legittimità di un certo atto, ecc.; tutte questioni che possono rappresen-
tare fatti costitutivi di distinte pretese risarcitorie (più o meno differen-
432 CAPITOLO SESTO
48 Ampio riscontro si trova in sede giurisprudenziale: Olden v. LaFarge Corp., 383 F.3d
495, 509 (6th Cir. 2004), che si riferisce alla possibilità di «bifurcate the issue of liability from
issue of damages, and if liability is found, the issue of damages can be decided by a special
master or by another method»; Carnegie v. Household Int’l. Inc., 376 F.3d 656, 661 (7th Cir.
2004), per la quale, «rule 23 allows discrict courts to devise imaginative solutions to problems
created by the presence in a class action litigation of individual damages issues»; In re Visa
Check/Mastermoney Antitrust Litigation, 280 F.3d 124, 139-140 (2th Cir. 2001): «common is-
sues may predominate when liability can be determined on class-wide basis, even when there
are some individualized damage issues»; Valentino v. Carter-Wallace, Inc., 97 F3d 1227, 1234
(9th Circ. 1996): «even if common questions do not predominate over individual questions so
that class certification of entire action is warrented, Rule 23 authorizes the district court in
appropriate cases to isolate the common issues under Rule 23 (c) (4) (A) and proceed with
class treatment of the particular issues». Ovviamente la possibilità di isolare le questioni co-
muni rispetto a quelle individuali esclusive conduce ad un possibile conflitto con la regola
della «predominance», che è prevista dalla rule 23 (b) (3): su tali tensioni sistematiche, v.
MULHERON, R., The Class Action in Common Law Legal System, cit., p. 262-263.
49 V. ad es. le ss. 33Q, 33R e 33S del FCA (Australia), stando ai quali, se la decisione
delle questioni comuni non è idonea a definire tutte le controversie individuali, il giudice
può: a) stabilire delle sotto-classi; b) autorizzare che un membro della classe intervenga a ti-
tolo individuale per la decisione della singola questione che gli appartiene; c) dare direttive ri-
guardo l’inizio e lo svolgimento di separati giudizi individuali; d) se le questioni da accertare
apparengono ad un gruppo separato, dare direttive riguardo l’inizio e lo svolgimento di un
giudizio collettivo su dette questioni. Il CPA (Ontario) prevede alla s. 6 che l’azione collettiva
non trovi ostacolo nella presenza di questioni individuali accanto a quelle comuni, alla s. 8 (2)
prevede la sotto-articolazione delle classi. Nelle sections 11 e 12, poi, è previsto che il giudice
434 CAPITOLO SESTO
Nelle Civil Procedure Rules inglesi, a fronte della stessa esigenza «pra-
tica», la risposta del legislatore è stata la seguente: in coerenza con l’incre-
mento dei poteri di management giudiziale50, il giudice – su istanza di par-
te o anche d’ufficio51 – può emettere un group litigation order (GLO)52
articoli gli stages della procedura definendo le questioni comuni a tutta la classe, quelle pro-
prie delle sotto-classi ed infine le questioni individuali che richiedono una partecipazione dei
singoli al giudizio o, alternativamente, la separazione del giudizio collettivo da quelli indivi-
duali. Ulteriori disposizioni si ritrovano in materia di monetary relief e concernono, da un
lato, la ripartizione della somma liquidata in via collettiva tra i diversi membri della classe al-
lorché detta liquidazione possa avvenire in forma aggregata (v. la section 24) e, dall’altro, l’al-
ternativa necessità di determinare previamente singole questioni a carattere individuale con la
partecipazione dei membri della classe al giudizio (s. 25). Simile è la disciplina prevista dalla
legge della British Columbia, altra provincia canadese. Per approfondimenti, v. MULHERON,
R., The Class Action in Common Law Legal System, cit., in particolare p. 167 ss. sulla mancata
necessità che la decisione sulle questioni comuni sia idonea a determinare la responsabilità
del convenuto, p. 184 ss. sull’impiego delle sotto-classi, p. 196 ss. sui rapporti tra questioni
comuni e individuali, 407 ss. sui rapporti tra liquidazione collettiva dei danni e riparti-
zione/liquidazione individuale. Con particolare riferimento all’esperienza canadese, v. anche
JONES, C., Theory of Class Actions, cit. Anche nel recente Group Proceeding Act svedese [d’ora
in poi GPA (Svezia)], entrato in vigore il 1° gennaio del 2003, alla section 20 è prevista la pos-
sibilità di determinare sotto-classi riguardo a questioni particolari.
50 Nelle Group Litigations spetta al giudice amplia discrezionalità nelle determinazione
delle questioni comuni rispetto a quelle differenziate nonché, più in generale, su tutta la con-
troversia così avviata, che, non a caso, è trattata nelle forme del multi-track, ovvero con il per-
corso processuale più complesso e a minor tasso di predeterminazione legale della procedura.
Si è detto infatti: «The earlier the court exercises control in a potential multi-party action the
better chance of managing the case to a satisfactory resolution» (LORD WOOLF, Access to Ju-
stice, Final Repor to the Lord Chancellor on Civil Justice System in England and Wales, Lon-
don, 1995, cap. XVII, reperibile sul sito internet www.dca.gov.uk). Sui rapporti tra predeter-
minazione legale e discrezionalità giudiziale sia concesso il rinvio al nostro La fase preliminare
del nuovo processo civile inglese e l’attività di case management giudiziale, in Davanti al giu-
dice, Studi sul processo societario, a cura di L. Lanfranchi e A. Carratta, Torino, 2005, p. 515 ss.
51 PD 19b (4).
52 CPR 19.11 (Group Litigation Order). Sul punto, v. in particolare HODGE, C., Multi-
party Actions, cit., p. 29 ss. Cfr. anche MULHERON, R., The Class Action in Common Law Le-
gal System, cit., p. 97 ss.; ANDREWS, N., Multy-party proceedings in England: representative and
group actions, cit., p. 258 ss.; ID., English Civil Procedure, cit., p. 974 ss., che appunto rileva
come la tecnica processuale accolta dalle CPR in materia di Group Actions rappresenti il con-
cretamento – in materia di giudizio collettivo – delle direttive assiologiche indicate dall’Over-
riding Objective. Per un raffronto tra la soluzione inglese e quella similare del c.d. «processo
modello» fatta propria dal legislatore tedesco, v. CONSOLO, C. - RIZZARDO, D., Due modi di
mettere le azioni collettive alla prova: Inghilterra e Germania, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006,
p. 891 ss.; IURILLI, C., Taluni aspetti della legge italiana sul risparmio: il conflitto di interesse.
La mancata attuazione della «class action» e la nuova legge tedesca sull’azione di classe in ma-
teria di risparmio: «Gesetz zur einführung von kapitalanlegermusterverfahren» del 16 agosto
2005 (seconda parte), in Studium iuris, 2006, p. 983 ss.; CAPONI, R., Modelli europei di tutela
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 435
collettiva nel processo civile: esperienze tedesca e italiana a confronto, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
2007, p. 1229 ss.
53 La CPR 19.10 (Definition) prevede: «A Group Litigation Order (‘GLO’) means an
order under rule 19.11 to provide for the case management of claims which give rise to com-
mon or related issues of fact or law (the ‘GLO issues’)».
54 Peraltro, diversi argomenti critici sono stati rivolti alla disciplina, specie in ordine alla
che il group register rappresenta un efficiente strumento nella determinazione del gruppo, per
verificare chi fa parte o no di esso, chi è entrato o ha abbandonato la controversia collettiva
e in quale momento l’ha fatto. Ciò non solo in ordine agli effetti della sentenza, ma anche con
riferimento alla ripartizione delle spese processuali.
56 CPR 19.11 (3) stando al quale «A GLO may: (a) in relation to claims which raise one
or more of the GLO issue: (i) direct their transfer to the management court; (ii) order their
stay until further order; and (iii) direct their entry on the group register; (b) direct that from
a specified date claims which raise one or more of the GLO issuees should be started in the
management court and entered on the group register; and (c) give directions for publicising
the GLO». Cfr., più nello specifico, PD 19b §§ 9.1-9.2 e 10. In generale, su tali questioni, v.
436 CAPITOLO SESTO
HODGE, C., Multi-party Actions, cit., p. 41. È interessante notare che la disciplina processuale
in esame, alla luce delle diverse alternative procedurali a cui può dar luogo, da un lato, non
può essere assimilato ad un regime di estensione ultra partes degli effetti della sentenza, e ciò
perché questa vincola solo le cause iscritte nel register, ma, dall’altro, non va dimenticato che
il giudice può ordinare l’iscrizione delle cause già sorte o che eventualmente sorgeranno al-
lorché queste presentino le questioni comuni già determinate in sede di GLO. Nemmeno, du-
que, possiamo ragionare in termini di relatività del giudicato, perché in effetti l’iscrizione non
è detto sia rimessa alla libera scelta delle parti. Di contro, se il giudice non provvede in tal
senso, starà a coloro che sono coinvolti in liti contrassegnate dalla presenza della questione
comune decidere se iscrivere o no la controversia nel register e comunque, come clausola di
chiusura, è sempre ammessa la possibilità di chiedere la cancellazione dal register.
57 CPR 19.12 (Effect of the GLO).
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 437
58 Si ricorda che un giudizio di tal fatta era stato già adombrato nell’intervento di Mor-
tara seguito alla lettura della sua relazione Sui collegi dei probiviri per le industrie nella seduta
del 28 giugno 1902 della Commissione per la statistica giudiziaria e notarile (cfr. Annali di sta-
tistica, Atti della Commissione per la statistica giudiziaria e notarile, sessione del giugno 1902,
Roma, 1903, p. 26-27); sul punto, cfr. retro, cap. I, nota 83.
59 Cfr. retro, nota 47.
438 CAPITOLO SESTO
recente CARNEVALE, V., Appunti sulla natura giuridica della tutela inibitoria, in Riv. dir. proc.,
2007, p. 63 ss.
64 Cfr. ad es. ATTARDI, A., L’interesse ad agire, Padova, 1958, p. 99 ss.; ID., Diritto pro-
cessuale civile, Padova, 1999, p. 107 s., che esclude risolutamente che il processo di condanna
possa aver ad oggetto obblighi sostanziali di natura infungibile, quali ad esempio gli obblighi
di mera astensione; e ciò affermando – di conseguenza – che anche le disposizioni di legge
nelle quali – anche implicitamente – si parla di condanna debbono essere ricondotte alla tu-
tela di mero accertamento. Nello stesso senso, v. SPOLIDORO, M.S., Le misure di prevenzione
nel diritto industriale, Milano, 1982, p. 48 ss. e spec. p. 80 ss. La tutela inibitoria è ricondotta
alla tutela di mero accertamento anche da RAPISARDA, C., Profili della tutela civile inibitoria,
Padova, 1987, p. 238 ss., ma in una cornice teorica ben diversa dall’ultima richiamata. Difatti,
se Attardi giunge a tale ricostruzione in virtù di una rigorosa applicazione del principio di
correlazione necessaria tra condanna ed eseguibilità forzata dell’obbligo, Rapisarda, che al
contrario si oppone alla vigenza di tale principio (p. 216 ss.), muove dalla premessa secondo
cui non è dato distinguere da un punto di vista interno al processo tra tutela di mero accer-
tamento e tutela di condanna, in quanto in entrambe la tutela giurisdizionale «si risolve nella
dichiarazione dell’effetto giuridico che la legge riconduce al verificarsi degli elementi produt-
tivi di una determinata fattispecie» (p. 226 ss.).
65 In questo senso, v. in particolare lo studio di PROTO PISANI, A., Appunti sulla tutela
di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 1104 ss., ora in Le tutele giurisdizionali dei
diritti, Napoli, 2003, p. 75 ss. (raccolta nella quale si ritrovano i successivi scritti dell’A. sul
tema, ma cfr. anche ID., Sentenza di condanna, in Dig. disc. priv., sez. civ., 1998, XVIII, To-
rino, p. 295 ss., ID., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, p. 145 ss.) nel quale
ampi argomenti sono avanzati a superamento del principio della correlazione necessaria tra
440 CAPITOLO SESTO
condanna ed esecuzione forzata, su cui v. invece MANDRIOLI, C., Sulla correlazione necessaria
tra condanna ed eseguibilità forzata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, p. 1342 ss. e di recente
ID., Diritto processuale civile, I, Torino, 2006, p. 68, nota 37. Riconduce l’inibitoria alla tutela
di condanna anche CHIARLONI, S., Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, spec. p.
200 ss., ma solo nei casi in cui la legge sorregga l’ordine inibitorio con l’applicazione di mi-
sure coercitive in caso di sua inosservanza e ciò alla luce del principio secondo cui la sentenza
di condanna trova la sua collocazione sistemativa proprio in ragione dell’esistenza di un ap-
parato sanzionatorio idoneo a garantire l’osservanza del dovere accertato in sentenza. Per al-
tre ricostruzioni non favorevoli all’esistenza del principio di correlazione necessaria poc’anzi
menzionato, v. TARUFFO, M., Note sul diritto alla condanna e all’esecuzione, in Riv. crit. dir.
priv., 1986, p. 635 ss., spec. p. 640 e 646 s., che riguardo al principio della correlazione af-
ferma risolutamente che «la tesi in esame può essere formulata solo a condizione di ignorare
la dimensione costituzionale del problema della tutela dei diritti»; RAPISARDA, C. - TARUFFO,
M., Inibitoria (azione): I) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Trec., XVII, 1989, Roma, p.
12; FRIGNANI, A., Azione in cessazione, in Noviss. Dig. it., Appendice, I, Torino, 1980, p. 639
ss., spec. p. 667; ID., L’injunction nella common law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano,
1974, p. 459, spec. p. 475; ID., Inibitoria (azione), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, p. 559 ss.;
A., quest’ultimo richiamato, il quale, peraltro, si muove in una cornice ricostruttiva che al-
l’interno della tutela inibitoria fa rientrare anche i provvedimenti di rimozione a contenuto
positivo che conseguono all’illecito, sicché la riconduzione del rimedio alla tutela di con-
danna assume una configurazione particolare rispetto alle tesi, che, al contrario, si riferiscono
all’inibitoria – a nostro giudizio correttamente – con esclusivo riguardo agli obblighi a conte-
nuto negativo.
66 Cfr. MONTESANO, L., Condanna civile e tutela esecutiva, Napoli, 1965, spec. p. 194;
ID., Condanna: I) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Trec., VII, Roma, 1988, p. 13 s.; ID.,
Tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e dei concessionari di servizi di pubblica utilità
nelle normative sulle clausole abusive e sulle autorità di regolazione, in Riv. dir. proc., 1997, p.
1 ss.; ma soprattutto ID., La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1997, p. 200 ss., 222 ss.;
ID., Problemi attuali su limiti e contenuti (anche non patrimoniali) delle inibitorie, normali e
urgenti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, p. 775 ss.; ID., Attuazione delle sanzioni e delle cau-
tele contro gli obbligati a fare e non fare (diritto vigente e riforme opportune), in Tecniche di at-
tuazione dei provvedimenti del giudice, Milano, 2001, p. 9 ss.; LIBERTINI, M., La tutela civile
inibitoria, in Jus, 1988, p. 42 ss., nonché in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, a cura
di S. Mazzamuto, I, Napoli, 1989, p. 314 ss., spec. p. 320 ss.; PIETROBON, V., Illecito e fatto il-
lecito, inibitoria e risarcimento, Padova, 1998, p. 144 ss.
67 È l’opinione di MARINUCCI, E., Gli effetti della sentenza inibitoria prevista dall’art.
1469 sexies c.c., in Riv. dir. proc., 2002, p. 216 ss.; ID., Azioni collettive e azioni inibitorie da
parte delle associazioni dei consumatori, in Riv. dir. proc., 2005, p. 125 ss., sulla quale avremo
occasione di intrattenerci infra, cap. X, § 3.2.3.6.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 441
68 Come noto la contrapposizione qualificatoria accennata nel testo tra tesi favorevoli a
ricondurre il rimedio inibitorio alla tutela di condanna e tesi viceversa inclini a ricondurla alla
tutela di mero accertamento è andata radicalizzandosi a seguito degli anni Settanta come ma-
nifestazione tipica – sul piano dei rimedi – della progressiva depatrimonializzazione del di-
ritto privato a cui più volte abbiamo fatto cenno in ragione della profonda influenza che que-
sto generale fenomeno ha avuto anche sul nostro tema di studio. Ugualmente noto è – più in
particolare – il principale motivo di divisione attorno al quale si è coagulato il dibattito, ov-
vero la sussistenza o meno, all’interno del nostro ordinamento, di un principio di correlazione
necessaria tra sentenza di condanna ed esecuzione forzata. Ciò comunque – venendo alla que-
stione che più ci sta a cuore – non sembra aver toccato il contenuto dell’accertamento, che,
per ambo due gli orientamenti, viene comunque ad essere costitutito (quantomeno) dall’ef-
fetto giuridico dedotto in giudizio, ovvero, nel nostro caso, dall’obbligo di astensione dai
comportamenti dichiarati illegittimi. Per questa via, dunque, la corretta qualificazione della
sentenza inibitoria, secondo l’alternativa ora accennata, da un lato, appare irrilevante in or-
dine alla determinazione dell’oggetto del giudizio, dall’altro, rinvia alla determinazione del li-
mite superato il quale la tutela dichiarativa, da mero accertamento diviene di condanna. Sul
punto i diversi orientamenti dottrinali presenti a tal riguardo sono piuttosto noti. Posto da
parte l’orientamento di stampo imperativistico-volontaristico volto a rinvenire nel comando
del giudice impartito al soccombente o nell’ordine rivolto agli organi dell’esecuzione il fon-
damento della efficacia costitutiva propria della sentenza di condanna (cfr., nel primo senso,
ad es. DE PALO, M., Teoria del titolo esecutivo, I, Napoli, 1901, p. 115 ss.; ROCCO, Alf., La sen-
tenza civile, Torino, 1906, p. 156 ss.; nel secondo, v. FURNO, C., Condanna e titolo esecutivo,
in Riv. it. sc. giur., 1937, p. 97 ss.), un primo gruppo di posizioni rinviene il discrimen tra sen-
tenza di mero accertamento e sentenza di condanna facendo in sostanza perno sull’efficacia
costitutiva che quest’ultima possiede in ordine all’attribuzione all’attore vittorioso dell’azione
esecutiva (cfr. in particolare LIEBMAN, E.T., La sentenza come titolo esecutivo, in Riv. dir. proc.,
1929, I, p. 117 ss., spec. p. 128 s., ma soprattutto in ID., Le opposizioni di merito nel processo
esecutivo, Roma, 1931, p. 101 ss. e p. 116 ss., secondo cui nella sentenza di condanna si rea-
lizza l’«applicazione» della sanzione, intesa come concretamento e determinazione di una vo-
lontà di legge sanzionatoria prima prevista dalla legge solo in via astratta; CALAMANDREI, P., La
condanna, in Studi sul processo civile, III, Padova, 1934, p. 179 ss., ora in Opere giuridiche, V,
Napoli, 1972, p. 483 ss., per il quale tale forma di tutela produrrebbe la conversione dell’ob-
bligo in soggezione, ovvero assoggettamento all’esecuzione forzata; MONTESANO, L., Con-
442 CAPITOLO SESTO
specie in ordine alla querelle relativa alla natura sostanziale o meramente processuale della
norma in questione, v. infra, cap. VII, § 5.2.3.
73 In dottrina il punto ha ricevuto esauriente e convincente sviluppo da parte di SAS-
SANI, B., Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto, cit., spec. p. 215 ss.; e poi da CAPONI,
R., L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, p. 71 ss.; recentemente ripreso da
CARNEVALE, V., Appunti sulla natura giuridica della tutela inibitoria, cit., spec. p. 75. Cfr. an-
che DENTI, V., «Flashes» su accertamento e condanna, in Riv. dir. proc., 1985, p. 255 ss., ma
spec. p. 261-262; RAPISARDA, C., Profili della tutela civile inibitoria, cit., p. 238 ss.; PROTO PI-
SANI, A., Appunti sulla tutela cd. costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostan-
ziali), in Riv. dir. proc., 1991, p. 60 ss., ora in Le tutele giurisdizionali dei diritti, cit., p. 195 ss.,
spec. p. 222 ss.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 445
74 Cfr.
la dottrina citata alla nota che precede. Sulle norme elastiche, v., in generale, FA-
BIANI, E., Clausole generali e sindacato della cassazione, Torino, 2003, p. 17 ss.
75 In materia di tutela dei consumatori, talora la giurisprudenza, avallata da parte della
dottrina, tende a configurare in termini di provvedimento inibitorio anche quello che im-
ponga al professionista comportamenti positivi; questa impostazione, peraltro, non può es-
sere accettata, rimandando al contrario l’ambito di applicazione dell’inibitoria strettamente
legato ai comportamenti doverosi a contenuto negativo. Come avremo occasione di verificare,
infatti, gli ordini volti ad imporre al professionista comportamenti positivi vanno più corret-
tamente ricondotti alle midure idonee a cui il giudice ricorre allo scopo di rimuovere le con-
seguenze prodotte dall’illecito accertato. Va in definitiva rigettata l’opinione che l’inibitoria
possa avere contenuto positivo (cfr. ad es. l’opinione di Frignani citata retro, nota 65) e ciò
poiché l’inibitoria non è altro che una forma di tutela dichiarativa la cui particolarità si ap-
prezza sul piano positivo proprio in ragione delle conseguenze che sul piano della tecnica ri-
mediale (ineseguibilità diretta dell’obbligo, necessità dell’impiego di misure coercitive, accen-
tuazione della portata specificativa dell’accertamento, ecc.) porta con sé la natura negativa e
continuativa del comportamento doveroso. In relazione agli obblighi a contenuto positivo,
dunque, ragionare in termini di inibitoria, non solo appare poco corretto sul piano lessicale,
ma ha anche l’effetto di scardinare il perimetro concettuale entro cui circoscrivere il rimedio
per poterne apprezzare gli elementi tipici.
446 CAPITOLO SESTO
76 Ponendoci in una prospettiva funzionale, possiamo dire che di regola si è soliti ra-
gionare, anche per semplicità, in relazione a obblighi positivi a carattere «puntuale» come ad
esempio tipicamente avviene con riferimento agli obblighi di pagamento di somme di denaro,
o più in generale agli obblighi di consegna. In tali casi l’obbligo tutela un interesse a soddi-
sfacimento istantaneo, avente cioè ad oggetto, come situazione favorevole, un comporta-
mento positivo ad esecuzione istantanea. Può anche accadere che il comportamento positivo
debba essere ripetuto nel tempo (cfr. il contratto di mutuo), ma proprio la variabile tempo-
rale induce a raffigurare il comportamento doveroso non in una veste unitaria ma come se-
parato in tanti distinti obblighi. Talora, invece, negli obblighi di fare, ma ancor più, ontologi-
camente, in quelli di non fare, l’obbligo tutela un interesse a soddisfacimento prolungato o
durevole, poiché la situazione favorevole è determinata da un comportamento negativo ad
esecuzione prolungata o, più correttamente, temporalmente indeterminata (per approfondi-
menti, v. CAPONI, R., L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit., p. 76 ss.; cfr. anche ID., In
tema di accertamento sulla norma astratta, sui diritti futuri e sui rapporti di durata, in Riv. dir.
proc., 1991, p. 1155 ss.; ID., Efficacia dell’inibitoria nel tempo, in Foro it., 2002, I, p. 1487 ss.).
77 Si pensi alle concezioni che ritengono addirittura che taluni diritti soggettivi non
diano suolo a rapporti giuridici nei quali ricomprendere anche l’esistenza di obblighi di com-
portamento contrapposti alle situazioni giuridiche semplici attive (cfr. retro, cap. V, § 2.3.1.
nel testo e in nota).
78 Va pienamente condivisa, quindi, l’opinione della dottrina che tiene debitamente se-
parato il concetto di azione inibitoria con quello di azione di condanna in futuro, visto che la
prima contiene l’accertamento di un obbligo attuale e come tale, in assenza di sopravvenienze
ad efficacia estintiva, è destinato a priettarsi nel futuro, mentre la seconda è destinata a pre-
costituire un titolo esecutivo in ordine ad un obbligo non ancora attuale. Cfr. VACCARELLA, R.,
Il procedimento di repressione della condotta antisindacale, Milano, 1977, p. 171 ss.; PROTO
PISANI, A., Appunti sulla tutela di condanna, cit., p. 89 nota 26, 132 s.; ID., Sentenza di con-
danna, cit., p. 299, nota 8; SASSANI, B., Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto, cit.,
p. 204 ss.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 447
79 Cfr. retro, cap. V, nota 99. Il fenomeno della qualificazione giudiziaria dei comporta-
menti inibiti è spiegata con particolare chiarezza da SASSANI, B., Impugnativa dell’atto e disci-
plina del rapporto, cit., spec. p. 181 ss., in cui si osserva che, sebbene talora l’accertamento
giudiziale di un certo effetto giuridico tipico imponga alle parti di riferirsi alla disciplina le-
gale dell’effetto in questione in ordine a rinvenire i criteri di qualificazione della condotta, in
altri casi, l’accertamento giudiziale può contenere una portata specificativa tale da portare in
sé tali criteri ed imporre di riferirsi ad esso per rinvenirli.
80 Cfr. ancora CAPONI, R., L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit., p. 85 ss.
81 Anche in dottrina di frequente si parla di accertamento della condotta illecita: cfr.
CHIARLONI, S., Misure coercitive e tutela dei diritti, cit., p. 154, ove, in polemica con la rico-
struzione avanzata da Proto Pisani, orientata – come noto – a ricondurre l’inibitoria alla tu-
tela di condanna, si afferma che «la c.d. inibitoria non ha niente a che fare con la sentenza di
condanna, limitandosi in realtà il giudice, con il suo “ordine”, a dichiarare al soccombente
che un certo comportamento che ha costitutito oggetto del giudizio è illecito, significandogli
nel contempo che questo accertamento colpirà eventuali comportamenti successivi identici e
costituirà, pertanto, uno dei presupposti di una eventuale condanna futura»; similmente sem-
brerebbe porsi SPOLIDORO, M.S., Le misure di prevenzione nel diritto industriale, cit., p. 31,
per il quale «per necessità logica, l’accertamento dell’illiceità di un determinato comporta-
mento implica l’accertamento dell’obbligo di astenersene»; osservazione – quest’ultima – che,
448 CAPITOLO SESTO
se dovesse essere accolta, in realtà priverebbe fors’anche di significato l’interrogarsi se, oltre
all’accertamento dell’obbligo, la sentenza contenga anche l’accertamento dell’illecito, impli-
cando il secondo anche il primo e viceversa. Peraltro la posizione da ultimo indicata si dimo-
stra inappagante sotto diversi profili. Difatti, inteso l’accertamento dell’illecito come la di-
chiarazione di antigiuridicità di un certo comportamento storicamente determinato, ovvero la
qualificazione giuridica di un fatto concreto avvenuto, non può ritenersi sussistere alcuna cor-
relazione necessaria tra detto accertamento e l’accertamento dell’obbligo quale effetto giuri-
dico attuale della fattispecie costitutiva realizzatasi. In altri termini non c’è alcuna coinci-
denza logica tra l’accertamento dell’obbligo e l’accertamento dell’antigiuridicità del compor-
tamento, tanto che può ben essere – come sovente accade – che, accertato l’illecito, l’obbligo,
alla luce del quale è stata valutata la condotta concretamente tenuta, si sia estinto proprio in
ragione del suo inadempimento essendo stato sostituito dall’obbligo secondario. Ciò ovvia-
mente – come detto – nell’inibitoria non accade, poiché l’oggetto del giudizio è un obbligo
negativo-continuativo, ma tale fenomeno, lungi dall’infirmare il ragionamento ora avanzato,
non fa che confermarlo, poiché il compito della sentenza è proprio quello di accertare che
quel certo dovere di comportamento tuttora sussiste ed il soggetto passivo è tenuto ad osser-
varlo. Tornando agli AA. che discorrono di accertamento dell’illecito, v. ancora MONTESANO,
L., Attuazione delle sanzioni e delle cautele contro gli obbligati a fare e non fare (diritto vigente
e riforme opportune), cit., p. 25; CARNEVALE, V., Appunti sulla natura giuridica della tutela ini-
bitoria, cit., p. 63, 74. Va, d’altra parte, evidenziato che quando la dottrina parla di accerta-
mento dell’illecito sembra riferirsi – sebbene con terminologia non appropriata – all’accerta-
mento dell’obbligo di astensione che grava sul soggetto passivo. In altri termini, essendo il
giudizio inibitorio incentrato sul comportamento illecito effettivamente tenuto, e ciò allo
scopo di acquisirne i tratti fenomenologici da impiegare per specificare l’obbligo di asten-
sione da reiterare con l’ordine giudiziale, il discorrere di accertamento dell’illecito costituisce
un’espressione traslata per riferirsi all’accertamento dell’obbligo negativo, ovvero dell’effetto
giuridico in senso proprio.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 449
cit., p. 358 s.; ma già prima, con estrema chiarezza, MENESTRINA, F., La pregiudiciale nel pro-
cesso civile (1904), Milano, 1963, p. 108 s.
450 CAPITOLO SESTO
24 Cost., 99, 81, 112 c.p.c., 2907 e 2909 c.c.; in virtù dei quali l’attività
giurisdizionale di cognizione si attiva su domanda di parte per la tutela di
diritti soggettivi ed il dovere decisorio del giudice, che conduce all’accer-
tamento, prende a suo oggetto proprio l’effetto fatto valere con l’eserci-
zio dell’azione in sede di proposizione della domanda o in ragione delle
sue ammissibili modificazioni successive83.
Da ciò la conseguenza necessaria secondo cui le diverse questioni
lato sensu pregiudiziali che supportano l’accertamento dell’effetto de-
dotto – sotto il profilo della loro rilevanza meramente fattuale e/o anche
giuridica – costituiscono la materia logica delle decisione, rimanendo
esterne all’ambito dell’accertamento destinato ad imporsi ad ogni effetto
alle parti, i loro eredi e aventi causa con la stabilizzazione del provvedi-
mento che lo contiene84.
Se, dunque, da tale prospettiva, si guardasse alla problematica ap-
pena indicata, l’interprete dovrebbe prender atto dell’ennesimo caso in
cui le regole tradizionalmente forgiate con riferimento ai giudizi posti a
risoluzione di conflitti di interesse a dimensione meramente individuale-
esclusiva si parano ad ostacolo per un trattamento processuale adeguato
delle controversie collettive85.
83 Cfr., MENCHINI, S., I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, p. 45 ss.; ID., Il
giudicato civile, cit., p. 67 ss.
84 Cfr. la dottrina citata retro, nota 82. Noto è peraltro l’orientamento giurisprudenziale
tela contro le discriminazioni di sesso, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1995, p. 425 ss., p. 433, che
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 451
tamento logico e autoritativo è posto in chiara evidenza da TARUFFO, M., «Collateral estoppel»
e giudicato sulle questioni, cit., p. 285, nota 184, richiamato da POLI, R., I limiti oggettivi delle
impugnazioni ordinarie, Padova, 2001, p. 38, in particolare nella lunga nota n. 66.
87 Che ciò sia possibile è indubbio, ma a fronte di una «norma espressa di legge» che
ponga l’eccezione; cfr. già CHIOVENDA, G., Istituzioni di diritto processuale civile, cit., p. 353.
452 CAPITOLO SESTO
rale, della stessa ampia materia degli status, che, come sostenuto dalla
dottrina più attenta ad una ricostruzione tecnico-normativa del feno-
meno giuridico devono essere ritenuti elementi di fattispecie più com-
plesse88.
In questi casi, insomma, abbiamo accertamenti che non investono
l’effetto giuridico, che non accertano direttamente la regola di comporta-
mento che le parti devono tenere tra loro nei rapporti sostanziali, ma più
propriamente mere questioni pregiudiziali, ovvero «pezzi di fattispecie»
che, insieme ad altri, contribuiscono in vario modo a completare lo
schema legale che condiziona il venire in esistenza di un effetto.
Ciò detto, gli argomenti che potrebbero condurre a ritenere che le
questioni pregiudiziali poc’anzi indicate siano idonee a confluire nell’ac-
certamento con efficacia di giudicato sono le seguenti.
In primo luogo è constatazione unanime che l’effettività della tutela
giurisdizionale degli interessi sovraindividuali sia in gran parte rimessa
alla possibilità di estendere gli effetti della sentenza ultra partes; e pro-
prio in questa prospettiva – dunque – parte della dottrina ha ritenuto
possibile superare il principio di relatività della cosa giudicata in rela-
zione all’accertamento delle questioni pregiudiziali accennate89. Quanto
ora detto è in particolar modo accaduto in riferimento alle questioni di
«antisindacalità»90 o di «discriminatorietà»91 del comportamento posto in
essere dal datore di lavoro, ma, d’altra parte – come meglio vedremo –
non sono mancate opinioni che hanno esteso il discorso in questione an-
che alla stessa abusività della clausola generale di contratto92, la quale,
come per le questioni appena indicate, costituisce ugualmente il nucleo
88 Già ALLORIO, E., La cosa giudicata rispetto ai terzi, cit., p. 298 ss.; ID., Per una teoria
dell’oggetto dell’accertamento giudiziale, in Jus, 1955, p. 187 ss. e poi in Problemi di diritto, I,
L’ordinamento giuridico nel prima dell’accertamento giudiziale e altri studi, Milano, 1957, p. 67
ss.; ed ora, ampliamente, IRTI, N., Introduzione allo studio del diritto privato, cit., p. 29 ss.
È interessante notare anche la definizione di CHIOVENDA, G., Istituzioni di diritto processuale
civile, cit., p. 353, che parlava di «stato giuridico, inteso in senso largo» in riferimento ad
«ogni condizione giuridica, che, essendo il presupposto comune a svariatissimi rapporti giuri-
dici, sia dal diritto considerata come possibile oggetto principale d’un giudizio autonomo»
(c.vo mio).
89 Intendiamoci, il problema in questi casi non concerne in via diretta la problematica
missibilità anche sotto il profilo equitativo del giudicato in punto di fatto; argomento teso ad
evidenziare l’impossibilità delle parti pur presenti in giudizio ad articolare le loro difese sui
diversi fatti virtualmente compresi nel materiale logico (che peraltro include anche i fatti non
dedotti ma implicitamente accertati in senso negativo: fatto costitutivo alternativo non alle-
gato, fatto estintivo non allegato) della decisione non più in ordine al riconoscimento o alla
negazione dell’effetto specifico dedotto in giudizio (con la domanda dell’attore o con le mo-
dificazioni dell’oggetto naturalmente ammesse in corso di processo), ma in riferimento a tutti
i possibili effetti che nel fatto storico eventualmente accertato vedono un elemento rilevante
della loro fattispecie costitutiva. È insomma il problema della pluri-sussumibilità di un sin-
golo fatto materiale in più norme, rispetto alla quale ovviamente, di per sé non sembra possi-
bile garantire in via effettiva l’adeguato esercizio dei poteri di difesa delle parti, poiché que-
ste non possono a priori sapere in che misura siano interessate all’accertamento positivo e ne-
gativo di un certo fatto materiale e dunque valutare in base a questo l’apprestamento
concreto della loro strategia difensiva. L’argomento in questione è chiaramente esplicato in
CHIOVENDA, G., Istituzioni di diritto processuale civile, cit., p. 359; successivamente, con par-
ticolare vigore, vedi la riaffermazione del principio da parte di MONTESANO, L., Giudicato sui
fatti, efficacia riflessa della sentenza e tutela giurisdizionale dei diritti nella pronuncia costitu-
zionale sull’art. 28 c.p.p., in Foro it., 1971, I, p. 1798 ss.; ID., Sentenze endoprocessuali nei giu-
dizi civili di merito, in Riv. dir. proc., 1971, I, p. 17 ss., spec. p. 43; questione, quest’ultima,
evidenziata anche dalla dottrina tradizionalmente più aperta verso un’estensione virtualmente
più lata dei limiti oggettivi del giudicato: cfr., infatti, TARUFFO, M., «Collateral estoppel» e giu-
dicato sulle questioni, cit., p. 291. Va detto, peraltro, che, come osservato nel testo tra breve,
nelle ipotesi verso le quali è indirizzata la nostra attenzione, il problema in esame sembra non
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 455
La strada più agevole per chiarire questo delicato profilo del pro-
blema ora in esame prende l’avvio da quanto già affermato intorno al
concetto di obbligo97; rispetto al quale avevamo avuto modo di rilevare
come esso si risolvesse in quella valutazione a priori di conformità che il
titolare dell’obbligo compie tra il comportamento descritto dalla norma,
quale effetto della fattispecie costitutiva realizzatasi, ed un suo futuro
nonché eventuale comportamento.
Se ci avviamo in questa prospettiva, che è l’unica corretta allorché ci
si ponga sul piano tecnico-giuridico, ci accorgiamo che anche ciò che si
nasconde dietro la generale formula «antigiuridicità della condotta» può
e deve essere descritto in termini di pura relazione logica.
In tali casi l’oggetto che dovrebbe venire accertato dal giudice nul-
l’altro è che l’illecito, ovvero la relazione di difformità tra il comporta-
mento doveroso che la norma prescrive e il comportamento che il sog-
getto obbligato ha effettivamente tenuto98; non dunque l’accertamento di
un effetto giuridico né l’accertamento di un mero accadimento colto
nella sua dimensione storico-naturalistica eventualmente frammentabile
in più entità fenomeniche ed eventualmente sussumibile all’interno di in-
determinabili fattispecie legali con le anzidette conseguenze in termini di
lesione del diritto di difesa delle parti, ma l’accertamento della relazione
di conformità-difformità intercorrente tra il primo elemento e il secondo;
specifica questione, dunque, che sul piano sostanziale rappresenta la
fonte di distinti e separati effetti giuridici che di regola sono posti a ripa-
razione del pregiudizio arrecato con l’illecito stesso99.
porsi nei termini qui accennati, poiché l’accertamento vincolante non investe fatti materiali,
ma l’illecito, ovvero un fatto materiale qualificato alla luce della prescrizione normativa e che
peraltro costituisce il nucleo centrale attorno al quale viene a svolgersi la controversia.
97 Cfr. retro, cap. V., § 2.5.4.
98 Per tutti, v. CORDERO, F., Le situazioni soggettive nel processo penale, Torino, 1956, p.
120 ss. spec. p. 133, secondo cui «l’obbligo, inteso come la condizione del soggetto che non
può esimersi da un certo contegno se vuole evitare una sanzione, funziona come titolo in base
a cui si legittima la valutazione di illiceità, la quale si risolve essenzialmente nella constata-
zione che un certo fatto collima con quello previsto dalla norma come fattispecie del dovere
avente ad oggetto un comportamento sanzionatorio» (si noti che Cordero, come Allorio, se-
gue l’impostazione teorico-generale secondo cui la norma va ricostruita come un giudizio di
valutazione ma con destinatari gli organi statali). Non convince, dunque, la tesi secondo cui
l’illecito dovrebbe configurarsi come l’esercizio di una facoltà inesistente (cfr. ad es. CAPONI,
R., L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, p. 60); difatti, senza riprendere il
discorso su lecito ed illecito svolto retro (cap. V, nota 99), la facoltà inesistente è una non-fa-
coltà e la non-facoltà è il dovere o – se si preferisce – l’obbligo. E dunque, l’esercizio di una
facoltà inesistente e la violazione dell’obbligo non sono cose diverse, ma coincidono.
99 Per certi versi il fenomeno in questione non è poi così lontano dai fenomeni che
parte della dottrina suole ricondurre al nesso di pregiudizialità logica. Sulla scia di Salvatore
456 CAPITOLO SESTO
Satta (cfr. Commentario al codice di procedura civile, I, Disposizioni generali, Milano, 1959, p.
146; ID., Accertamento incidentale, in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 243 ss.), v. in particolare
MENCHINI, S., I limiti oggettivi del giudicato civile, cit., p. 82 ss.; ID., Accertamenti incidentali,
in Enc. giur. Trec., I, Roma, 1987, p. 8; ID., Regiudicata civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI,
Torino, 1997, p. 404 ss., spec. p. 435 ss.; ID., Il giudicato civile, cit., p. 81 ss.; cui adde, FAB-
BRINI, G., Connessione: I) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Trec., VIII, Roma, 1988, p. 8;
PROTO PISANI, A., Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990,
p. 386 ss., spec. p. 395 ss.; ID., Lezioni di diritto processuale, Napoli, 2006, p. 68 ss.; LUISO,
F.P., Diritto processuale civile, I, Principi generali, Milano, 2006, p. 158 ss. Per argomenti con-
trari, v. ad es. CONSOLO, C., Oggetto del giudicato e principio dispositivo, I, Dei limiti oggettivi
e del giudicato costitutivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, p. 215 ss.; RECCHIONI, S., Pregiudi-
zialità processuale e dipendenza sostanziale nella cognizione ordinaria, Padova, 1999, p. 163 ss.,
spec. p. 181 ss. Come nei fenomeni giuridici in genere ricondotti alla pregiudizialità logica an-
che nelle fattispecie esaminate nel testo si presenta il rischio di «disarticolazione tramite il
processo di una realtà sostanziale indissolubilmente unitaria» (PROTO PISANI, A., Appunti sul
giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, cit., p. 399), accompagnato dalla «struttura giuridica
irradiante» che in detti fenomeni ricorre (CONSOLO, C., Oggetto del giudicato e principio di-
spositivo, cit., p. 219). Come è noto, l’orientamento dottrinale qui richiamato ha posto in evi-
denza le ricadute tecnico-processuali che – in termini di limiti oggettivi di giudicato – derive-
rebbero dalla configurazione sul piano sostanziale di rapporti giuridici obbligatori complessi.
Le ipotesi classiche del contratto di compravendita o del mutuo, palesano l’immagine di un
unico fatto giuridico normativo – il contratto ad es. – da cui si irradiano più effetti giuridici
funzionalmente e strutturalmente inscindibili. Il vincolo strutturale che li tiene assieme è evi-
dentemente rappresentato dal loro unico fondamento comune, il contratto appunto, mentre
la loro connessione funzionale deriva dal contribuire tutti assieme – e non individualmente –
al conseguimento dell’utilità sostanziale complessiva che le parti si sono volontariamente pre-
fisse di conseguire con la pattuizione, tanto che, di per sé, il c.d. rapporto obbligatorio fon-
damentale, privato dei singoli effetti rimarrebbe – come puntualmente osservato (MENCHINI,
S., I limiti oggettivi del giudicato civile, cit., p. 89, richiamando Rubino) – «neutro», ovvero
non autonomamente attributivo di una posizione di prevalenza rispetto beni della vita so-
stanziali. Alla luce di queste premesse e stando all’orientamento dottrinale qui richiamato, al-
lorquando i singoli effetti vengano dedotti in giudizio singulatim ed il giudice per pronun-
ziare su di essi debba occuparsi dell’esistenza o della qualificazione del rapporto, l’accerta-
mento dovrebbe estendersi anche al rapporto stesso. Peraltro, ragionando – come si fa nel
testo – in termini di accertamento di mere questioni, pare interessante approfondire l’effet-
tiva consistenza strutturale del rapporto fondamentale menzionato ed a tal riguardo la nostra
dottrina, sulla scia della tedesca ne ha evidenziato i tratti essenziali con estremo rigore: a) è
una entità giuridica individua che è distinta dai singoli effetti, o, più precisamente, è l’entifi-
cazione dell’insieme dei rapporti semplici e la prima conseguenza della fattispecie; b) non at-
tribuisce di per sé alcun bene della vita; c) esaurisce la fattispecie stessa dei diversi effetti che
lo compongono; d) la relazione che lega il rapporto fondamentale ai singoli effetti è quella
della parte al tutto e non si ha, come nella pregiudizialità tecnica, una separazione tra effetti
giuridici diversi (così, ancora MENCHINI, S., I limiti oggettivi del giudicato civile, cit., p. 89 ss.).
Va detto peraltro che parte della dottrina che ha aderito a questo orientamento, pur ammet-
tendo la figura del rapporto complesso, ha offerto un’immagine meno «strutturata» dello
stesso e più in generale – sebbene in un contesto più sintetico – ha dato minor risalto al ten-
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 457
5.3. Le possibili soluzioni teoriche al problema dei limiti soggettivi del giu-
dicato in materia di giudizi collettivi nel nostro ordinamento
Il risultato a cui siamo giunti sembra aver contribuito ulteriormente
alla delineazione di un possibile schema tipo di giudizio collettivo previ-
sto nel nostro ordinamento.
Certamente tale considerazione necessiterebbe di ulteriori distin-
zioni e specificazioni che trovino fondamento nelle singolari discipline
che rinveniamo in materia di azioni a tutela di interessi collettivi. Ma a
questo lavoro più propriamente applicativo sono destinati – come detto
– i prossimi capitoli, per cui ora la nostra strada prosegue con l’impo-
stare una riflessione a carattere generale sul problema dei limiti soggettivi
102 Amplius, v. infra, cap. X.
460 CAPITOLO SESTO
103 Ciò deriva non solo, ovviamente dalla studio della dottrina – sino ad ora esaminata
– in merito alla riflessione generale sui rimedi di tutela processuale degli interessi collettivi,
ma anche – se non soprattutto – dall’esame della dottrina cimentatasi nello studio dei diversi
procedimenti di regola ricondotti alla nostra materia. Cfr. infra, i capitoli che seguono.
104 È la soluzione più strettamente aderente al principio di relatività della cosa giudi-
cata, che appunto dovrebbe coinvolgere solo coloro che hanno preso parte al giudizio. È il
modello tradizionalmente noto come concorso soggettivo di azioni, su cui v., ovviamente,
LIEBMAN, E.T., Azioni concorrenti, in Studi in memoria di Umberto Ratti, Milano, 1934, p. 665
ss.; ID., Pluralità di legittimati alla impugnazione di un unico atto, in Riv. dir. proc., 1937, II, p.
87 ss., pubblicati poi in Problemi del processo civile, Milano, 1962, p. 54 ss. e p. 64 ss.; ID., Ef-
ficacia ed autorità della sentenza, cit., p. 77; ID., La cosa giudicata nelle questioni di stato, in Ef-
ficacia ed autorità della sentenza, cit., p. 157 ss., ma spec. p. 168. È noto, d’altra parte, come
da sempre (cfr., per tutti, BETTI, E., Diritto processuale civile italiano, cit., p. 619, in nota) la
dottrina abbia sostenuto che detta concezione conduca ad un effetto pratico sostanzialmente
coincidente al giudicato secundum eventum litis. Ed è altrettanto noto come lo stesso Lieb-
man, (Azioni concorrenti, cit., p. 62 s; Efficacia ed autorità della sentenza, cit., p. 15, 57; Plu-
ralità di legittimati alla impugnazione di un unico atto, cit., p. 69; Giudicato: I), Diritto proces-
suale civile, in Enc. giur. Trec., 1989, XV, Roma, p. 15) si sia dichiarato contrario a tale regime
processuale. Potrebbe apparire per certi versi una disputa sterile, ma ovviamente non è così.
Come è noto, muovendosi nell’ottica liebmaniana, l’efficacia imperativa della sentenza opera
nei confronti di tutti i consociati (c.d. efficacia naturale della sentenza), ma la cosa giudicata
(ovvero l’immutabilità degli effetti), non opera nei confronti di coloro che non hanno parte-
cipato al giudizio. Cosicché, come afferma lo stesso A. (Giudicato, cit., p. 15), i terzi contra-
steranno l’accertamento ottenuto inter alios solo se questo li pregiudica. In altri termini, in
questa concezione, la separazione degli effetti dalla vincolatività degli stessi, da un lato, per-
mette l’estensione indiscriminata ai terzi e, dall’altro, consente – a chi vuole – di non avvan-
taggiarsene facendo valere la propria mancata soggezione al giudicato (cfr. LUISO, F.P., Princi-
pio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso i terzi, cit., p. 210). D’altra parte le con-
siderazioni appena avanzate non sono sufficienti per acquisire l’esatto inquadramento della
posizione teorica dell’A., e ciò specie riguardo ai fenomeni sostanziali che a noi qui interes-
sano; l’apparente paradosso è costituito dal fatto che, proprio laddove più frequentemente la
dottrina ha parlato di giudicato secundum eventum litis, ovvero in presenza di un regime di
collegittimazione, seguendo l’impostazione liebmaniana non si può pervenire a pari risultato,
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 461
mentre tale risultato si ottiene, ad esempio, in presenza di rapporti legati da nessi di pregiu-
dizialità-dipendenza. Il punto è che Liebman, da un lato, non fa uso della distinzione tra ef-
fetti diretti e riflessi del giudicato, e, dall’altro, nella presentazione della sua teoria del con-
corso di azioni, si riferisce prevalentemente alle azioni costitutive; fattori, che rendono meno
immediata l’intellezione di tale autorevole dottrina. Ci spieghiamo meglio. Nonostante la sen-
tenza – stando alla posizione di Liebman – indirizzi la sua imperattività nei confronti di tutti
i consociati, per aversi un risultato analogo a quello che si ottiene con il regime di giudicato
secundum eventum litis, anche ragionando all’interno della sistematica liebmaniana occorre
che si realizzi quella relazione sostanziale tra distinti oggetti di accertamento che è l’unica che
consente alle parti di un giudizio di avvalersi dell’accertamento già ottenuto all’interno di un
processo al quale non hanno partecipato; solo al ricorrere di questa condizione, come è ov-
vio, per le parti di un secondo giudizio potrà praticamente rilevare nel loro processo l’accer-
tamento ottenuto inter alios. Così, come detto, se tale accertamento sarà sfavorevole potranno
svincolarsi dall’autorità del giudicato, mentre in caso contrario la sentenza svolgerà i suoi ef-
fetti di accertamento anche nel giudizio che interessa loro (cfr. retro). Ciò, come è ovvio, può
ben realizzarsi allorché la sentenza passata in giudicato contenga l’accertamento dell’effetto
pregiudiziale e il secondo giudizio verta sull’effetto dipendente. In altri termini, nelle ipotesi
che comunemente vengono descritte in termini di efficacia riflessa, abbiamo un regime com-
plessivo degli effetti della sentenza assimilabile – per i motivi già detti – al giudicato secun-
dum eventum litis. Occorre ora chiedersi se questa stessa lettura possa essere proposta in ma-
teria di concorso soggettivo di azioni. Alla questione risponde lo stesso Liebman sin dai suoi
primi scritti, nei quali nega la condizione imprescindibile poc’anzi indicata. Fondamentale è
il passo in cui (Azioni concorrenti, cit., p. 63) viene avversata la posizione di Giuseppe Chio-
venda, denunciando l’impossibilità logica di predicare l’estensione ultra partes in materia di
concorso di azioni di impugnativa avverso lo stesso atto. Sebbene la disputa vertesse in ma-
teria di azioni costitutive, il fondamento della critica è chiarissimamente indicato da Liebman:
«qui non si tratta di limiti soggettivi del giudicato, quanto dei limiti dell’oggetto stesso del
giudizio e della pronuncia: oggetto che è la sola azione del socio che ha proposto la do-
manda». In altri termini, in materia di concorso soggettivo di azioni (come più di recente ri-
marcato dalla dottrina: cfr. RICCI, E.F., Sugli effetti del rigetto dell’impugnazione di delibera as-
sembleare di S.P.A., in Riv. dir. proc., p. 49 ss., ma spec. p. 64 ss.), l’oggetto dei diversi giudizi
non è il medesimo, ovvero manca la condizione necessaria (relazione giuridica – in questo
caso ovviamente di identità – tra gli effetti giuridici da accertare) affinché le parti possano
giovarsi dell’accertamento che le favorisce. Se quanto detto è vero, due sono i risultati che
possono essere tratti da queste riflessioni: a) nell’impostazione liebmaniana i regimi di legitti-
mazione plurima non producono un risultato analogo al giudicato secundum eventum litis, in
quanto il concorso soggettivo di azioni sta proprio ad evidenziare il fatto che l’oggetto dei di-
versi giudizi è diverso; b) l’estensione della c.d. efficacia diretta della sentenza impone la de-
terminazione di un nesso di identità tra l’oggetto dell’accertamento di due o più giudizi. Ciò
è comunemente affermato dalla dottrina, ma, come vedremo più avanti, la consueta configu-
razione dell’oggetto del giudizio in termini di rapporto giuridico costituisce sovente un osta-
colo al verificarsi di detta relazione e della conseguente estensione ultra partes del giudicato.
Sul punto, v. infra, § 5.4.2.1. e nota 156.
462 CAPITOLO SESTO
105 Posta l’efficacia di un unico regolamento giudiziale per i diversi interessati, la ne-
cessaria partecipazione ad un unico processo degli stessi o l’estensione ultra partes degli ef-
fetti della sentenza emessa a conclusione di un giudizio avviato e condotto da solo alcuni dei
legittimati rappresentano soluzioni alternative comunemente prospettate dalla dottrina dedi-
catasi allo studio delle situazioni sostanziali plurisoggettive. Già – sebbene implicitamente –
CHIOVENDA, G., Sul litisconsorzio necessario (1904), in Saggi di diritto processuale civile, II, Mi-
lano, rist. 1993, p. 427 ss., spec. p. 449-453, in riferimento alle fattispecie in cui più soggetti
hanno diritto ad impugnare un unico atto giuridico (come ad es. accade riguardo l’impugna-
zione dei provvedimenti amministrativi o delle delibere assembleari). V. anche REDENTI, E., Il
giudizio civile con pluralità di parti, cit., p. 172 (su cui v. retro, cap. I, § 2.2.2.3), che però af-
ferma che «l’estensione del giudicato a terzi è un fenomeno del tutto sconosciuto al nostro di-
ritto; in ogni caso di fronte ai testi degli artt. 1351 c.c., 35 e 38 c.p.c. […] deve considerarsi
come eccezionale»; ALLORIO, E., La cosa giudicata rispetto ai terzi, cit., p. 131; BETTI, E., Di-
ritto processuale civile italiano, cit., p. 621; FAZZALARI, E., Litisconsorzio necessario ed azione di
filiazione legittima, in Giur. compl. cass. civ., 1946, II, 2, p. 338 ss., ma p. 341; PROTO PISANI,
A., Opposizione di terzo ordinaria, cit., p. 634; FABBRINI, G., Contributo alla dottrina dell’in-
tervento adesivo, Milano, 1964, spec. p. 168-170; ID., Litisconsorzio, in Enc. dir., XXVI, Mi-
lano, 1974, p. 811 ss., ma spec. p. 820 e 826; MONTELEONE, G.A., I limiti soggettivi del giudi-
cato civile, cit., p. 120 s.; MENCHINI, S., Il processo litisconsortile, I, Struttura e poteri delle
parti, Milano, 1993, spec. 463; ID., Il giudicato civile, cit., p. 197.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 463
l’attività di case management giudiziale, cit., spec. p. 567 ss. L’elasticità delle forme processuali
come requisito strutturale essenziale per rispondere adeguatamente alle diverse esigenze che
ruotano attorno al processo civile è rimarcata con forza da TROCKER, N., Il processo civile in
prospettiva comparatistica: recenti tendenze evolutive, in Rass. forense, 2006, p. 1465 ss.
110 In quest’ottica, il fatto che le azioni collettive risarcitorie previste dal nuovo art. 140
bis c. cons. possano essere decise secondo le forme del rito societario previsto dal d.legisl. 5
del 2003, appare una scelta di politica del diritto così alienata dalle reali esigenze che ani-
mano i giudizi collettivi da lasciare senza parole.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 465
Ed il giudizio collettivo, non fosse altro che per il numero dei possi-
bili soggetti interessati al giudizio, si presenta, come insegna la letteratura
nord-americana, quale tipica ipotesi di complex litigation, ovvero di con-
troversie ad elevata complessità processuale111.
Acquisita quale sia la giusta cornice entro cui inquadrare – all’interno
del nostro ordinamento – il problema dei limiti soggettivi del giudicato in
materia di azioni collettive, si palesa con chiarezza che l’unica scelta me-
todologicamente corretta non è rappresentata dal sottoporre a valutazione
comparativa diretta le quattro opzioni teoriche poc’anzi indicate, ma piut-
tosto dal valutare le stesse in relazione non solo alle diverse esigenze che
in generale caratterizzano tali controversie, ma anche al valore aggiunto
che riguardo ciascuna di esse può offrire l’applicazione degli strumenti di
elasticità che il nostro ordinamento mette a disposizione dell’interprete
specie sul piano delle tecniche di estensione del contraddittorio ai soggetti
che non hanno assunto la veste di parti originarie del giudizio112.
Questa è stata, difatti, come visto e come ancora vedremo, la strada
percorsa dalla dottrina, la quale, indipendentemente dai risultati di volta
in volta raggiunti, ha fatto perno, da un lato, sull’istituto dell’intervento
in causa (artt. 105, 106 e 107 c.p.c.) e, dall’altro, sulla disciplina della no-
tificazione prevista dall’art. 150 c.p.c.113
111 Per avere una lampante prova di ciò che si dice basti aprire il FEDERAL JUDICIAL CEN-
TER, Manual for Complex Litigation, Fourth, 2004, che tratta le class actions da p. 242 a 340 e
i mass tort litigations da p. 341 a 468. Sul tema, v. anche MARCUS, R.L. - SHERMAN, E.F., Com-
plex Litigation, Cases and Materials on Advanced Civil Procedure, St. Paul, 2004.
112 Sul piano del metodo questo è il percoso d’indagine, come detto nel testo, preva-
lentemente seguito per inquadrare il problema dei limiti soggettivi del giudicato in un ottica
non unicamente inchiodata al punto di vista degli effetti della sentenza: in generale, v. PROTO
PISANI, A., Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi di efficacia della sentenza civile e la ga-
ranzia costituzionale del diritto di difesa, cit., passim.
113 Ampia ed autorevole la dottrina ha rimarcato l’assoluta necessità di far impiego dei
correttivi processuali ora ora indicati nel testo. Senza ripetere le pur opportune distinzioni tra
le diverse prospettive seguite a seconda della configurazione dell’oggetto del giudizio e dei li-
miti soggettivi da attribuire alla sentenza collettiva (su cui v. retro, cap. III, § 4.) in una cor-
nice di riflessione generale sul tema degli interessi collettivi, v., in particolare, DENTI, V., Re-
lazione introduttiva, in Le azioni a tutela di interessi collettivi (Atti del convegno di Pavia, 11-
12 giugno, 1974), Padova, 1976, p. 21; e poi ID., Interessi diffusi, in Noviss. Dig. it.,
Appendice, IV, Torino, 1983, p. 305 ss., spec. p. 312; ID., Profili civilistici della tutela degli in-
teressi diffusi, Profili civilistici della tutela degli interessi diffusi, in Strumenti per la tutela degli
interessi diffusi della collettività (Atti del convegno nazionale promosso dalla sezione di Bolo-
gna di Italia Nostra, Bologna, 5 dicembre 1981), Rimini, 1982, p. 49; PROTO PISANI, A., Ap-
punti preliminari per uno studio sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in Le azioni
a tutela di interessi collettivi, cit., p. 263 ss., spec. p. 279-280; ID., Nuovi diritti e tecniche di
tutela, in Dir. e giur., 1991, p. 227 ss., spec. p. 239-240; ANDRIOLI, V., Diritto processuale civile,
466 CAPITOLO SESTO
mazioni che in genere ricorrono negli ambiti di disciplina dei rimedi posti a tutela di interessi
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 467
che ritiene che l’accertamento dell’abusività della clausola generale non abbia effetto nei giu-
dizi individuali, poiché qui, ovviamente, stante la mancata legittimazione dei singoli ad eser-
citare detto rimedio, il regime del concorso non è configurabile (cfr. amplius, infra, cap. X,
§ 3.2.3.5.).
116 Sono in genere le obiezioni che la dottrina muove, sullo specifico piano del rispetto
delle garanzie costituzionali, al giudicato secundum eventum litis. In questo senso, nella pro-
spettiva di una riflessione generale sui limiti soggettivi del giudicato, v. in particolare LUISO,
F.P., Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso i terzi, cit., p. 210. All’interno
di una riflessione precipuamente orientata allo studio degli strumenti di tutela degli interessi
collettivi, v. invece VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, I, La legittimazione ad agire, Mi-
lano, 1979, p. 112; VOCINO, C., Sui cosiddetti interessi diffusi, in Studi in memoria di Salvatore
Satta, II, Padova, 1982, p. 1879 ss., spec. p. 1907; e, più di recente, CARRATTA, A., Profili pro-
cessuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi
collettivi e diffusi, cit., p. 79 ss., spec. p. 102 ss. Come già rilevato addietro (cfr. cap. III, nota
152), peraltro, sebbene queste osservazioni siano perfettamente condivisibili, oltre che condi-
vise, non sembrano assumere valore decisivo. Infatti, sin dalle prime riflessioni attorno al pro-
blema dei limiti soggettivi del giudicato in materia di azioni collettive, abbiamo cercato di ri-
marcare il fatto che – pur assumendo come criterio di riferimento solo quello dell’opportu-
nità e delle garanzie processuali – le quattro opzioni teoriche logicamente contemplabili
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 469
riguardo al problema del coordinamento delle legittimazioni non possono essere valutate in
termini assoluti, ma devono essere valutate in una prospettiva di reciproca comparazione ed
ancor più alla luce dei possibili correttivi processuali di cui ciascuna di queste può benefi-
ciare. Come vedremo (infra, § 5.4.3.), il giudicato secundum eventum litis, per ciò che attiene
al problema delle garanzie processuali riservate ai soggetti coivolti nella controversia collet-
tiva, risulta, in assenza di una più articolata (ed auspicabile) disciplina del processo, il regime
maggiormente accettabile, specie se coordinato con quanto dispongono gli artt. 106 c.p.c. e
150 c.p.c.
117 Cfr. retro, § 5.2.3.
118 Che l’effettività della tutela giurisdizionale collettiva sia correlata anche alla possi-
bilità di prevedere forme di estensione del giudicato nei confronti dei membri del gruppo
costituisce una considerazione unanimemente condivisa. Citazioni sul punto appaiono su-
perflue.
119 Ci riferiamo al § 5.1.3. in cui abbiamo esaminato la funzione e la struttura dei giu-
dizi collettivi su questioni. Nell’ipotesi prospettata nel testo, ovviamente, non si ha a che fare
con un giudizio in cui l’oggetto dell’accertamento è dato da una singola questione. Al con-
trario, l’accertamento con efficacia di giudicato investe di certo il comportamento doveroso
che si ritiene debba tenere il convenuto, ma ciò non toglie che sia preferibile ritenere che tale
accertamento si estenda anche alla questione pregiudiziale che lo sorregge.
470 CAPITOLO SESTO
120 Ovviamente non deve escludersi la chiamata in causa per ordine del giudice di altri
legittimati, ma non v’è dubbio che detto rimedio manifesti tutta la sua opportunità e decisi-
vità nell’ipotesi – che tra breve esamineremo – dell’estensione ultra partes degli effetti favore-
voli e sfavorevoli della sentenza nei confronti degli altri legittimati rimasti terzi al giudizio. Un
ulteriore correttivo del modello ora in esame potrebbe essere visto anche nell’intervento vo-
lontario degli altri legittimati nel giudizio già avviato. Ma tale correttivo – come è noto – si di-
mostra più virtuale che reale. Sicuramente l’intervento in causa consentirebbe all’interventore
di giovarsi di un eventuale giudicato favorevole, secondo una sorta di sistema di opt-in, ma
tanto – da un lato – la mancanza di un adeguato sistema di pubblicizzazione del giudizio,
quanto – dall’altro – il regime preclusivo che colpisce l’interventore volontario nel nostro or-
dinamento privano di qualsiasi rilievo concreto tale correttivo.
121 Sull’istituto, v., in generale, PUNZI, C., Delle comunicazioni e notificazioni, Art. 150,
Notificazione per pubblici proclami, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E.
Allorio, I, 2, cit., p. 1528 ss.; ID., Notificazione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXVIII, Milano,
1978, p. 641 ss.; LA CHINA, S., Notificazione: II) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Trecc.,
XXI, Roma, 1990, p. 7 s.; BALENA, G., Notificazione e comunicazione, in Dig. disc. priv., sez.
civ., XII, Torino, 1995, p. 259 ss., spec. p. 273 s.
122 Oltre agli AA. già cit. retro, alla nota 113, v. già REDENTI, E., Diritto processuale ci-
vile, I, Milano, 1958, p. 221, che osservava come con tale disposizione si aprisse «la possibi-
lità di promuovere dei giudizi ordinari di cognizione contro intere categorie o ceti di persone
non tutte identificate nominativamente ed anzi identificate solo in base a certe qualificazioni
od a certe situazione in cui si possono trovare (per esempio: tutti i portatori di certi determi-
nati titoli obbligazionari di prestiti pubblici o privati, gli utenti di certi usi civici, i comunisti
di una certa frazione comunale ecc.)»; successivamente tale lettura trovava conferma in AN-
DRIOLI, V., Diritto processuale civile, cit., p. 528 s., che la prospettava proprio in relazione alla
tutela degli interessi collettivi («di serie») in combinazione con l’art. 107 c.p.c. Il meccanismo
di funzionamento dell’istituto nell’ipotesi in cui non sia possibile la notificazione in forma or-
dinaria per il numero dei destinatari è peraltro descritto con particolare efficacia da SASSANI,
B., A proposito di notificazione per pubblici proclami, efficacia soggettiva della sentenza e «obi-
ter dicta» giudiziali, in Giur. it., 1991, I, 2, p. 99 ss. La dottrina or ora citata, infatti, non solo
rimarca – come fatto cenno nel testo – il diverso tenore letterale che l’attuale art. 150 presenta
rispetto al vecchio art. 146 del c.p.c. del 1865 (in cui tale forma di notificazione era ammessa
solo allorché quella ordinaria fosse «sommamente difficile per il numero delle persone da ci-
tarsi»), ma evidenzia anche come «la sentenza, resa in processi generati da notificazioni per
pubblici proclami si impone anche alle parti non nominativamente indicate nell’atto di cita-
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 471
del consumo, sebbene in coordinamento con un efficacia del giudicato secundum eventum li-
tis. Sul punto, v. qualche cenno, infra, nota 128.
124 Ci riferiamo al § 21 dell’AGBG tedesca, sul quale, con riferimento al testo origina-
rio della legge (riportato in Foro it., 1979, V, p. 46 ss.), v. innanzitutto RAPISARDA, C., Spunti
in tema di efficacia del giudicato secundum eventum litis con particolare riguardo all’esperienza
della legge tedesca sulle condizioni generali del contratto, in Studi in onore di E. Allorio, I, Mi-
lano, 1989, p. 757 ss.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 473
del CDC. In lingua italiana, v. PELLEGRINI GRINOVER, A., Il nuovo processo brasiliano del con-
sumatore, cit., p. 1068 ss.; ID., La difesa degli interessi transindividuali: Brasile e Iberoamerica,
cit., p. 163 ss. Per approfondimenti, v. GIDI, A., Class Actions in Brasil, A Model for Civil Law
Countries, cit., p. 388 ss.; ID., Coisa julgada e litispendência em ações coletivas, San Paolo,
1995; e, più di recente, MIRANDA PIZZOL, P., Coisa julgada nas ações coletivas, in
www.pucsp.com.br.
126 In particolare, v. COSTANTINO, G., Brevi note sulla tutela giurisdizionale degli interessi
collettivi davanti al giudice civile, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 223 ss.,
spec. p. 234 ss.; PROTO PISANI, A., Appunti preliminari per uno studio sulla tutela giurisdizio-
nale degli interessi collettivi, cit., spec. p. 279-280 (ma anche in ID., Nuovi diritti e tecniche di
tutela, cit., spec. p. 240); TARUFFO, M., Intervento, in Le azioni a tutela di interessi collettivi,
cit., p. 330 ss., spec. p. 335; PELLEGRINI GRINOVER, A., Le garanzie costituzionali del processo
nelle azioni collettive, in Studi in onore di Enrico Allorio, Milano, 1989, I, p. 471 ss., spec. p.
482 ss.; ID., Il nuovo processo brasiliano del consumatore, cit., p. 1068 ss.; ID., Significato so-
ciale, politico e giuridico della tutela degli interessi diffusi, in Riv. dir. proc., 1999, p. 17 ss.; e,
più di recente, ID., La difesa degli interessi transindividuali: Brasile e Iberoamerica, cit., p. 163
ss. Particolare ed estremamente significativa è la posizione di DENTI, V., Relazione introdut-
tiva, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., p. 5 ss., spec. p. 21; ID., Interessi diffusi,
cit., p. 305 ss., spec. p. 313; ID., Profili civilistici della tutela degli interessi diffusi, cit., spec. p.
51, che, come esaminato retro, cap. III, nota 152, da una lettura più problematica si è pro-
gressivamente orientato in senso favorevole. Ancora in un cornice di riflessione generale sulla
tutela collettiva, v., di recente, LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia
della luna, cit., p. XLVI; MENCHINI, S., Azioni seriali e tutela giurisdizionale: aspetti critici e
prospettive ricostruttive, cit., § 5. In materia di giudizio per la repressione della condotta an-
tisindacale, seppur all’interno di una ricostruzione sua propria, a tale risultato giunge MON-
TESANO, L., La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., p. 202. In materia di giudizi antidiscrimi-
natori, v. CICCHITI, V.E., Profili processuali della tutela della parità tra uomini e donne in ma-
teria di lavoro, in Riv. dir. proc., 1996, p. 1187 ss., spec. p. 1200; ID., L’azione civile contro la
discriminazione ex art. 44 t.u. 286/98, in Lavoro giur., 2000, p. 729 ss., spec. p. 743; ID., La tu-
tela processuale della parità dopo il d.lgs. del 23 maggio 2000 n. 196, in Riv. dir. proc., 2003, p.
175, spec. p. 200; ed anche chi scrive in Considerazioni sulla natura dell’azione esercitata dal
consigliere di parità in materia di discriminazioni uomo-donna, in Riv. giur. lav., 2004, p. 611
ss., spec. p. 647 ss. In materia di azioni a tutela degli interessi dei consumatori, per ciò che ri-
guarda il concorso tra azioni riservate agli enti rappresentativi, senza distinguere ora tra
azione ex art. 1469 sexies e rimedio generale ex art. 3 l. 281/98, v. BELLELLI, A., Art. 1469-
sexies, Azione inibitoria, I, La tutela inibitoria, in Commentario al capo XVI bis del codice ci-
vile: dei contratti del consumatore, in Le nuove leggi civili comm., 1997, p. 1261 ss., spec. p.
1271, che peraltro si era già espressa in tal senso sin dal contributo su L’inibitoria come stru-
mento di controllo delle condizioni generali di contratto, in Le condizioni generali di contratto,
a cura di C.M. Bianca, II, Milano, 1981, p. 301 ss.; PAGNI, I., Tutela individuale e tutela col-
lettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art.
3, l. 30.7.1998, n. 281), in La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti: l. 30 luglio
474 CAPITOLO SESTO
1998, n. 281, a cura di A. Barba, Napoli, 2000, p. 127 ss., spec. p. 164 ss.; BENUCCI, S., La di-
sciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, in Squilibrio e usura nei contratti, Padova,
2002, p. 169 ss., ma spec. p. 185 s.; ODORISIO, E., La tutela giurisdizionale dei diritti dei con-
sumatori e degli utenti: concorso di azioni e «giusto processo» civile, in La tutela giurisdizionale
degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 491 ss.; CHIARLONI, S., Appunti sulle tecniche di tutela
collettiva dei consumatori, cit., p. 385 ss., spec. p. 393 ss.; ID., Per la chiarezza di idee in tema
di tutele collettive dei consumatori, cit., p. 575 ss. Ancora in questo ambito di tutela, a favore
del giudicato secundum eventum litis (o ad un regime di efficacia sostanzialmente analogo),
sebbene lungo percorsi argomentativi tutt’altro che uniformi (ampius, v. § 3.2.3.5. del cap. X),
si è espressa la maggior parte della dottrina con riferimento ai rapporti tra azione degli enti
rappresentativi e singoli. Ancora senza dilungarci nella distinzione tra rimedio ex art. 1469
sexies e rimedio ex art. 3 l. 281/98: oltre ai già citati Bellelli, Pagni, Benucci, Odorisio, Chiar-
loni, v. LAPERTOSA, F., Profili processuali della disciplina delle clausole vessatorie nei contratti
con il consumatore, cit., p. 724 ss.; MONTESANO, L., Tutela giurisdizionale dei diritti dei consu-
matori e dei concessionari di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e
sulle autorità di regolazione, in Riv. dir. proc., 1997, p. 1 ss., spec. p. 6; TOMMASEO, F., Art.
1469-sexies, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, I, a cura di G. Alpa e S.
Patti, Milano, 1997, p. 755 ss., p. 785 ss.; MARINUCCI, E., Azioni collettive e azioni inibitorie
da parte delle associazioni dei consumatori, in Riv. dir. proc., 2005, p. 125 ss., spec. p. 158 ss.
127 Il testo del progetto è pubblicato in Foro it., 1981, IV, p. 293 s., con commento di
TONDO, S., Su un progetto di riforma della disciplina delle condizioni generali di contratto. Per
ulteriori indicazioni, v. infra, cap. X, nota 53.
128 Sul punto, v. ROSSI CARLEO, L., L’azione inibitoria: dalla norma sulle clausole abusive
al nuovo codice dei consumatori, in Europa e dir. priv., 2005, p. 847 ss., ma spec. 852.
129 Per tutti, v. MENCHINI, S., Il processo litisconsortile, cit., spec. 532 ss.; ID., Regiudicata
civile, cit., p. 404 ss.; ID., Il giudicato civile, cit., p. 195 ss. (su cui amplius, v. infra, nota 154).
130 Cfr. retro, la dottrina citata a nota 116. È stato osservato, inoltre, che l’estensione se-
cundum eventum litis leda il diritto di difesa del convenuto soccombente, in virtù del fatto
che costui, nei futuri giudizi, perderebbe la possibilità di esercitare i suoi poteri processuali
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 475
nei confronti dei soggetti intenzionati a giovarsi del giudicato favorevole: così, CARRATTA, A.,
Brevi osservazioni sull’inibitoria a tutela di consumatori e utenti, cit., p. 132, in riferimento ai
rapporti tra azione degli enti rappresentativi ex art. 1469 sexies e giudizi individuali. Peraltro,
non sembra che il diritto di difesa del convenuto soccombente possa essere pregiudicato an-
che sotto questo profilo. Questi, infatti, non è assolutamente privato della possibilità di arti-
colare le proprie argomentazioni difensive in fatto ed in diritto riguardo la questione o le que-
stioni su cui poi risulterà soccombente e su cui cadrà l’accertamento che lo vincolerà nei fu-
turi giudizi. La possibilità di aggiudicarsi il giudizio gli è stata riconosciuta ed una volta
mancato il risultato favorevole non si vede per quale ragione occorra dargli ulteriori chances,
sulla stessa questione, rispetto agli altri interessati. In questo senso, v., infatti, CHIARLONI, S.,
Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori, cit., p. 397. L’opinione dell’autore-
vole dottrina citata, d’altro canto, nasce probabilmente in stretta relazione con i rapporti tra
il giudizio di abusività sulla clausola generale concepito in «astratto» ed il giudizio sulla stessa
oramai calata e contestualizzata alla luce delle specificità proprie di un successivo rapporto
contrattuale; ipotesi in cui ovviamente il discorso abbisogna di ulteriori distinguo e correttivi
(cfr., però, anche infra, nota 160).
131 REDENTI, E., La riforma dei probiviri, in Riv. dir. comm., 1910, I, p. 626 ss., ma spec.
p. 637; all’interno del più recente dibattito sugli interessi collettivi, v. CAPPELLETTI, M., Ap-
punti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, in Le azioni a tutela degli inte-
ressi collettivi, cit., p. 191 ss., spec. p. 205; ID., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti
la giustizia civile, in Riv. dir. proc., 1975, p. 363, spec. p. 398 ss.; VIGORITI, V., Interessi collet-
tivi e processo, cit., spec. p. 150 ss.; ma v. anche TROCKER, N., Interessi collettivi e diffusi, cit.,
p. 7; ID., Gli interessi diffusi e la loro tutela, cit., p. 211; CARPI, F., Intervento, in Le azioni a
tutela di interessi collettivi, cit., p. 304 ss., ma spec. p. 309; ALPA, G., Interessi diffusi, cit., p.
616; LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, cit., p. XLVI,
ma v. già quanto sostenuto in materia di giudizio ex art. 28 S.L. (ID., Prospettive ricostruttive
in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 388 ss., p.
433 ss.). In questo stesso ambito, v. ROMAGNOLI, U., Aspetti processuali dell’art. 28 dello sta-
tuto dei lavoratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 1309 ss., spec. 1323 (e poi ID., Com-
mento all’art. 28, in ROMAGNOLI, U. - MONTUSCHI, L. - GHEZZI, G. - MANCINI, F., Statuto dei
lavoratori, Bologna-Roma, 1972, p. 411 ss., spec. p. 445; GHEZZI, G. - ROMAGNOLI, U., Il di-
ritto sindacale, Bologna, 1984, p. 299 ss.); PROTO PISANI, A., Il procedimento di repressione del-
l’attività antisindacale, in Studi di diritto processuale del lavoro, Milano, 1976, p. 13 ss., spec.
p. 58 s. (prima pubblicato in Foro it., 1973, V, p. 57 ss.); TARUFFO, M., Efficacia della pronun-
476 CAPITOLO SESTO
Numerosi sono gli aspetti positivi che esso presenta. Questi sono
quantomeno i seguenti: a) massimo rispetto del principio di economia
processuale, visto che, con un unico giudizio, si ottiene la soluzione del-
l’intera controversia collettiva; b) massima certezza del diritto, visto che,
accertata la regola di comportamento, questa diviene un punto fermo nei
rapporti tra la collettività e soggetto terzo; c) elevata effettività dell’azione
collettiva, anche qui – in particolare – per gli effetti riflessi che si produ-
cono nei giudizi sugli effetti conseguenti132; d) pieno rispetto del diritto
cia sul licenziamento per motivi antisindacali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 1503 ss.,
spec. p. 1520; SILVESTRI, E. - TARUFFO, M., Condotta antisindacale: II) Procedimento di repres-
sione della condotta antisindacale, in Enc. giur. Trec., VIII, Roma, 1997, p. 12. In questo stesso
senso, in materia di giudizi antidiscriminatori, v.: DE ANGELIS, L., Profili della tutela proces-
suale contro le discriminazioni tra lavoratori e lavoratrici, in Riv. it. dir. lav., 1992, p. 457 ss.,
ma spec. p. 479; ID., Considerazioni in tema di decisione della causa promossa contro le discri-
minazioni sessuali collettive, in Riv. crit. dir. lav., 1992, p. 798 ss., spec. p. 799; RAPISARDA, C.,
La tutela giudiziale dei diritti di parità tra azione individuale e azione pubblica, in Riv. crit. dir.
lav., 1992, p. 785 ss., spec. p. 789; ID., Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-
donna nel lavoro, IV, La tutela dei soggetti discriminati, Azione individuale, Azione pubblica e
tentativo di conciliazione, in Le nuove leggi civ. comm., 1994, p. 73 ss., spec. p. 82; IZZI, D., Di-
scriminazioni di sesso nel rapporto di lavoro: il nuovo regime processuale, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1994, p. 517 ss., ma spec. p. 576 s.; PULEO, A., Discriminazioni di sesso nel mercato del la-
voro. Novità ed aporie di un modello processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, p. 89 ss., ma
spec. p. 132; BASILICO, G., La tutela della parità uomo-donna nei rapporti di lavoro, in La tu-
tela giurisdizionale degli interessi collettivi e/o diffusi, cit., p. 513 ss., spec. 547. In materia di
tutela collettiva dei consumatori, per ciò che riguarda il concorso tra legittimazioni degli enti
rappresentativi (infra, cap. X, § 3.2.3.5.), v. LIBERTINI, M., Prime riflessioni sull’azione inibito-
ria dell’uso di clausole vessatorie (art. 1469-sexies c.c.), in Contratto e impresa, Europa, 1996, p.
555 ss., spec. p. 575; TARZIA, G., La tutela inibitoria contro le clausole vessatorie, in Riv. dir.
proc., 1997, p. 629 ss., spec. p. 637 ss.; DANOVI, F., L’azione inibitoria in materia di clausole
vessatorie, in Riv. dir. proc., 1996, p. 1046 ss., spec. p. 1073; GIUSSANI, A., La tutela di interessi
collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori, cit., p. 1062 s.; SAPIO, G., L’inibito-
ria ex art. 1469-sexies c.c. tra problemi risolti e questioni ancora aperte, in Giust. civ., 2000, I,
p. 245 ss., spec. p. 248 s. È interessante notare, come già rilevato nel cap. III, § 4., che tale
opzione ricostruttiva, ovviamente diretta a dare massimo rilievo alla natura sovraindividuale
dell’interesse tutelato, ha trovato maggior sostegno nella dottrina tesa a concepire l’interesse
collettivo in senso unitario. Talora, sul piano dogmatico, si è vista favorita anche dalla confi-
gurazione dell’oggetto del giudizio in termini di giurisdizione sui fatti. Va peraltro detto che,
in una prospettiva generale, l’unicità dell’oggetto del giudizio (situazione giuridica soggettiva
comune o singola questione) è argomento tutt’altro che sufficiente per argomentare l’effica-
cia erga omnes dell’accertamento in quanto comunque occorre coordinare l’esigenza di coor-
dinamento uniforme con il diritto di difesa dei diversi legittimati. Sul punto ci pare significa-
tiva la posizione di Tommaseo, che in materia di giudizio sull’abusività di clausola generali,
pur richiamandosi alla giurisdizione sui fatti, non esita a dare diretta applicazione all’art. 24
Cost. Sul punto, cfr. infra, cap. X, § 3.2.3.5. Nella stessa cornice dogmatica, ma in senso oppo-
sto, cfr. invece, Romagnoli, in materia di giudizio ex art. 28 S.L., su cui v. infra, cap. VII, § 2.2.
132 Per questo aspetto, v. ampius, tra breve nel testo.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 477
di difesa del convenuto, autore del preteso illecito, non esposto, come
nelle precedenti ipotesi, ad una possibile reiterazione del giudizio.
Per altro verso, particolarmente grave appare il lato negativo espo-
sto da tale regime processuale, ovvero, ovviamente, l’attentato alla garan-
zia del diritto di azione e di difesa degli altri legittimati.
Negli ordinamenti che prevedono l’estensione ultra partes degli ef-
fetti della sentenza collettiva, detta vincolatività è sempre espressamente
prevista dalla legge133 e, di regola, come contrappeso, è prevista la possi-
bilità di sottrarsi al giudicato oltre all’adeguata pubblicità circa l’introdu-
zione del giudizio in forma collettiva134.
Si potrebbe osservare – a replica di tale ultima osservazione – che
talora il diritto di out-put è previsto sono nei giudizi collettivi volti a tu-
telare interessi individuali esclusivi, come tipicamente accade nei giudizi
collettivi risarcitori. Ci riferiamo – come il lettore avrà inteso – alle rifles-
sioni poc’anzi svolte, alla luce delle quali era emerso come nei giudizi col-
lettivi inibitori taluni ordinamenti dimostrano una minor propensione
133 Che il problema dei limiti soggettivi del giudicato sia questione non di pura logica
alla tutela del diritto di difesa dei terzi assenti135. Si è visto, infatti, a titolo
esemplificativo, che le Federal Rules of Civil Procedure statunitensi – ma
non gli altri ordinamenti ispirati a tale modello – prevedono l’outing put
solo riguardo le classi 23 (b) (3).
Volendo comunque cercare ulteriori argomenti a favore del modello
teorico qui in esame ed in ispecie per ciò che riguarda l’esigenza di rin-
venire un’espressa previsione legale sul punto, sembrerebbe schiudersi
un’ulteriore strada all’interprete attratto dalla prospettiva dell’estensione
indifferenziata degli effetti della sentenza nei confronto di tutti gli inte-
ressati.
Si potrebbe ragionare nei seguenti termini. Le norme che attribui-
scono la legittimazione ad agire anche a soggetti pur terzi rispetto alla
collettività di riferimento, ma comunque istituzionalmente orientati alla
tutela degli interessi in questione, riconoscono a detti soggetti una parti-
colare affidabilità. Ciò posto, tale riconoscimento potrebbe essere letto
dall’interprete come l’attribuzione di un’potere di azione idoneo a pro-
vocare un giudizio che conduca ad un’accertamento vincolante erga om-
nes. In altri termini, il valore precettivo di tali disposizioni si rileverebbe
idoneo, con un sol colpo, a risolvere tanto il problema della necessità di
deroga legale – qui appunto presente in via implicita – alla normale peri-
metrazione soggettiva degli effetti del giudicato, quanto il problema della
garanzia del diritto di difesa dei singoli legittimati.
Seguendo questa lettura, similmente a quello che avviene nella mag-
gior parte degli ordinamenti fedeli al modello delle class actions, avrem-
mo a che fare con due distinte classi di legittimati ad agire: una classe,
composta dai singoli membri della collettività, dotati di un potere di
azione idoneo ad attivare un giudizio nel pieno rispetto del principio di
relatività del giudicato ivi ottenuto, ed una seconda classe – qui ovvia-
mente predeterminata e costituita dagli enti esponenziali rappresentativi
– viceversa capace di provocare un giudizio vincolante rispetto a tutto il
fascio di interessi concorrenti136.
Questa scelta interpretativa potrà apparire ardita, ma per altro verso
non sembra esser priva di un certo rigore logico137.
essere spiegato nei seguenti termini: diritto autonomo dei singoli, potere di sostituzione pro-
cessuale dell’ente portatore ed estensione ultra partes degli effetti della sentenza. Si rica-
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 479
139 È questo, si crede, il significato più profondo che ad esempio è dato trarre dalle os-
nerale e interesse pubblico. Nei nostri processi abbiamo una generalizzazione dell’interesse e
non una pubblicizzazione dello stesso.
141 Questo rilievo è importante perché sta a significare che la garanzia del diritto di di-
fesa non è solo e tanto un presidio all’individualismo tradizionale all’interno del processo, ma
si pone essenzialmente come risvolto della stessa effettività del precetto sostanziale. Se, in-
fatti, come vedremo, con l’estensione ultra partes non si è in grado di garantire un processo
idoneo a concludersi con una decisione effettivamente accettabile da tutta la collettività inte-
ressata, allora si realizza una distorsione del meccanismo di tutela giuridica che dal piano pro-
482 CAPITOLO SESTO
cessuale presenta dirette ricadute sulla precettività stessa della disciplina sostanziale; e ciò per
il noto principio di strumentalità della tutela giurisdizionale. È, mutatis mutandis, lo stesso di-
scorso che si pone in generale rispetto alla problematica del «giusto processo». E difatti, in
questo capitolo, più volte abbiamo parlato di «giusto processo» collettivo. Come è noto la
tradizionale problematica del giusto processo gravita tutt’attorno al problema di conciliare un
processo improntato al principio dispositivo, ma che peraltro non presenti una disciplina
delle forme in grado di falsare l’equilibrato confronto delle parti sulle questioni di merito. Per
non allungare troppo la discussione si pensi a titolo d’esempio al processo societario di co-
gnizione, della cui disciplina si è proprio lamentata la pericolosità delle forme; irte di mecca-
nismi idonei a sviare con eccessiva facilità la controversia dal merito verso la procedura (sul
punto, v., anche per ulteriori riferimenti, CARRATTA, A., Premessa, in Il nuovo processo societa-
rio, commentario diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2004, p. 17 ss.). Così, l’estensione dell’ef-
ficacia erga omnes, se non adeguatamente temperata, non inciderebbe tanto sul diritto di tutti
a partecipare alla ricognizione dei presupposti che garantiscono l’emissione della misura giu-
risdizionale, ma inciderebbe direttamente sull’effettività del rimedio processuale stesso e dun-
que sul vigore del precetto sostanziale.
142 Cfr., peraltro, l’autorevole dottrina (MENCHINI, S., Azioni seriali e tutela giurisdizio-
nale: aspetti critici e prospettive ricostruttive, in www.judicium.it., § 3.) che, sebbene in occa-
sione di uno studio propriamente rivolto ai giudizi collettivi risarcitori, ha di recente affer-
mato che le regole costituzionali che limitano l’estensione soggettiva del giudicato a soggetti
rimasti terzi al processo non sono derogabili nemmeno in ordine ad esigenze di tutela effet-
tiva delle pretese sostanziali e nemmeno sulla base del requisiti di rappresentatività apparte-
nenti ai legittimati collettivi o in virtù del diritto di opt out riconosciuto ai soggetti coinvolti.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 483
143 In questa cornice la chiamata ex art. 107 c.p.c. verrebbe ovviamente ad assumere
pubblicizzazione del processo collettivo appare conseguibile solo per la via prospettata nel te-
sto, ovvero con l’applicazione del regime ex art. 102 c.p.c.; non invece con lo strumento della
chiamata ex art. 107 c.p.c.; sul punto, v. TROCKER, N., L’intervento per ordine del giudice, Mi-
lano, 1984, p. 439, nota 132.
484 CAPITOLO SESTO
mente in materia di giudizio per la repressione della condotta antisindacale in ragione della
sua forte somiglianza con la disciplina prevista dall’art. 2900 c.c. o comunque della strettis-
sima relazione tra interesse sindacale e interesse dei singoli pregiudicati dalla condotta dato-
rile: cfr., pur all’insegna di differenti ricostruzioni dogmatiche, GARBAGNATI, E., Profili proces-
suali del licenziamento per motivi antisindacali, in Riv. dir. proc., 1973, p. 596 ss., spec. p. 637
ss.; SANTORO PASSARELLI, F., Diritto soggettivo e interesse legittimo dei sindacati al rispetto della
libertà sindacale nei luoghi di lavoro, in Riv. dir. lav., 1973, I, p. 4 ss., spec. p. 5; PUNZI, C., Re-
pressione della condotta antisindacale: b) Profili di diritto processuale, in Commentario dello
statuto dei lavoratori, diretto da U. Prosperetti, II, Milano, 1975, p. 966 ss., spec. p. 984; e,
più di recente, ID., La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, in
La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 17 ss., ma spec. 24; GRANDI,
M., Attività sindacale e repressione della condotta antisindacale, in Riv. it. dir. lav., 1978, p. 13
ss., spec. p. 29 s. A questo modello conduce ovviamente il principio generale – ampliamente
sostenuto in dottrina (cfr. retro, nota 23) – per cui chi subisce in qualità di sostituito proces-
suale gli effetti del giudicato, è parte necessaria del giudizio. Come vedremo peraltro, questo
principio è, a par nostro, non generale in quanto va applicato solo allorché in via espressa o
in via sistematica si debba escludere l’operatività dell’art. 1306 c.c.
147 Ci riferiamo al passo in cui Giuseppe Chiovenda (Sul litisconsorzio necessario, cit.,
p. 449, in nota), in relazione alla corretta interpretazione dell’art. 163 del codice di commer-
cio, vertente – come è noto – in materia di opposizione dei soci alle delibere assembleari, pur
scartando – per altre ragioni che qui non interessano – la possibilità di ipotizzare un giudizio
in litisconsorzio necessario con tutti i legittimati all’impugnazione, affermava che «la diffi-
coltà processuale non basterebbe a escludere per sé questa necessità: tanto più per la nostra
legge che ammette la citazione per pubblici proclami propter multitudinem citandorum, la
quale può applicarsi in caso di persone indeterminate o sconosciute, secondo che ritiene la
dottrina […] e secondo la stessa essenza dell’istituto […]».
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 485
148 Per tutti, v. MONTELEONE, G.A., I limiti soggettivi del giudicato civile, cit., p. 146 ss.
149 Questa strada è stata peraltro indicata dall’autorevole dottrina (CARPI, F., L’efficacia
«ultra partes» della sentenza civile, cit., passim) ha cercato un fondamento sistematico all’e-
stensione ultra partes del giudicato proprio valorizzando la natura non esclusivamente indivi-
duale dell’interesse di volta in volta tutelato. Non è qui possibile esaminare articolatamente
tale percorso ricostruttivo, ma è d’altra parte opportuno prestare attenzione al dato sistema-
tico e teorico che viene posto in evidenza dall’orientamento ora richiamato, ovvero al fatto
che anche l’efficacia ultra partes della sentenza dovrebbe essere contestualizzata all’interno
della nota linea evolutiva diretta verso la tendenziale pubblicizzazione del diritto e contrasse-
gnata dalla crisi del diritto soggettivo con conseguente superamento del monopolio della
parte sul processo (spec. p. 49 ss.). Quanto ora riportato induce, peraltro, a riflettere su due
separate questioni. Una prima è di tenore più generale. Che nei fenomeni processuali carat-
terizzati dal generalizzarsi della legittimazione vada attenuandosi il condizionamento del sin-
golo sul processo, non è cosa da contestare, ma semmai – come già detto – da ribadire (cfr.
retro, cap. V, § 2.5.3.). Ma tale fenomeno di per sé, sul piano logico, non porta come conse-
guenza automatica l’estensione degli effetti della sentenza agli altri legittimati che non hanno
preso parte al giudizio. L’aspetto che deve essere privilegiato è il seguente: il fatto che più
soggetti possano agire per la tutela di un certo interesse potrà anche diminuire il loro condi-
zionamento sul processo, ma senza che ciò alteri la misura e il tasso di effettività che la tutela
giurisdizionale apprestata dimostra in riferimento a quel certo interesse. Questo profilo è
molto importante e – come visto nel cap. III – spesso viene sottovalutato all’interno del di-
battito sugli interessi superindividuali, nel quale – paradossalmente – la natura collettiva del-
l’interesse porta con sé una diluizione del suo carattere personale-esclusivo, che – ancora pa-
radossalmente – ha ricadute negative sul grado di meritevolezza dell’interesse stesso; e ciò av-
viene ad esempio conferendo la legittimazione ad agire solo a soggetti esponenziali che non
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 487
garantiscano adeguatamente l’effettivo ed opportuno esercizio del loro diritto di azione e de-
gli ulteriori poteri processuali che da questo discendono, oppure facendo derivare l’efficacia
erga omnes della sentenza come conseguenza logica della natura sovraindividuale dell’inte-
resse senza che ciò comporti la previa verifica dell’idoneità del processo a porsi come stru-
mento di tutela effettiva degli interessi tutelati. In altri termini, la problematicità dell’esten-
sione ultra partes della sentenza non sta certamente – come diremo tra breve nel testo – nel
voler lasciare al singolo la posizione di «signore» del processo, ma piuttosto nella necessità
che l’estensione del giudicato avvenga solo a conclusione di un giudizio il cui svolgimento ap-
pare essere ragionevolmente idoneo a garantire la giustizia della sentenza. Sotto un profilo
più specifico, invece, va ribadito, che nella materia in esame non si verifica nessuna crisi del
diritto soggettivo, se per diritto soggettivo si intende uno strumento tecnico-giuridico di tu-
tela degli interessi individuali. In materia di interessi collettivi, come in materia di interessi ti-
picamente individuali-esclusivi, l’ordinamento tutela l’interesse nella stessa identica maniera:
imposizione dell’obbligo e azione. Ragionando in questa prospettiva, dunque, il richiamo,
operato frequentemente dalla dottrina in materia di interessi sovra-individuali, del concetto
di «interesse legittimo di diritto privato» o di «interesse occasionalmente protetto» (cfr. ad es.
la dottrina da ultimo cit., p. 49 ss.), non colpisce favorevolmente in quanto veicola implicita-
mente l’idea che la tutela offerta all’interesse individuale sia meno completa di quella che
avrebbe ricevuto con le forme del diritto soggettivo (una mezza-tutela insomma). Sul piano
teorico-dogmatico, poi, la scelta qualificatoria in questione non appare condivisibile per le ra-
gioni più volte rimarcate in varie parti del testo, cioè per il suo rappresentare il tentativo di
tenere ferme le concezioni tradizionali del diritto soggettivo creando nuove figure giuridiche
soggettive, anziché procedere ad una rilettura di dette concezioni in una prospettiva mag-
giormente svincolata dagli specifici contenuti di tutela a cui la figura del diritto soggettivo è
stata sinora asservita (cfr. retro, cap. V). Sull’interesse legittimo di diritto privato, v. comun-
que BIGLIAZZI GERI, L., Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, cit.,
spec. p. 55 ss. e 79 ss.; ID., Interesse legittimo: diritto privato, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX,
Torino, 1993, p. 527 ss., ma spec. 543 ss., cui adde RUBINO, D., Le fattispecie e gli effetti giu-
ridici preliminari, Milano, 1939, p. 261 ss.; ZANOBINI, G., Interessi occasionalmente protetti nel
diritto privato, in Studi in memoria di Francesco Ferrara, II, Milano, 1943, p. 705 ss. oltre che
in Studi di diritto pubblico, Milano, 1955, p. 345 ss., con il titolo Interessi legittimi nel diritto
privato; più di recente DELL’UTRI, M., Poteri privati e situazioni giuridiche soggettive (Rifles-
sioni sulla nozione di interesse legittimo nel diritto privato), in Riv. dir. civ., 1993, p. 303 ss.
488 CAPITOLO SESTO
153 Così, in un primo momento, PROTO PISANI, A., Opposizione di terzo ordinaria, cit., p.
201, nota 39, secondo cui l’art. 1306 c.c. doveva essere valutato come una disposizione a ca-
rattere eccezionale, giustificabile per ragioni storiche e non espressione di un principio ricon-
ducibile a logica (ma per la più recente posizione, v. la nota che segue).
154 Come è noto la dottrina tradizionale si è dimostrata tendenzialmente contraria al
giudicato secundum eventum litis, sulla scorta dell’osservazione che il giudicato deve colpire
le parti in egual misura, abbia esso esito favorevole o sfavorevole. Sul punto, v. CHIOVENDA,
G., Sul litisconsorzio necessario, cit., p. 438, in nota; ID., Principi di diritto processuale civile,
cit., p. 924 e 1099; ID., Istituzioni di diritto processuale civile, cit., p. 349; REDENTI, E., Il giu-
dizio civile con pluralità di parti, cit., p. 173 ss.; BETTI, E., Diritto processuale civile italiano,
cit., p. 603 ss. e p. 619 nota 58; ALLORIO, E., La cosa giudicata rispetto ai terzi, cit., p. 242; FAB-
BRINI, G., Contributo alla dottrina dell’intervento adesivo, cit., spec. p. 190, nota 41; PROTO PI-
SANI, A., Opposizione di terzo ordinaria, cit., p. 201, nota 39, implicitamente anche a p. 634;
PUGLIESE, G., Giudicato civile (dir. vig.), cit., p. 889; VOCINO, C., Su alcuni concetti e problemi
del diritto processuale civile: IV) Cosa giudicata e suoi limiti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971,
p. 481 ss., ma spec. p. 570; CARPI, F., L’efficacia «ultra partes» della sentenza civile, cit., p. 92,
156, 187, 347; RAPISARDA, C., Spunti in tema di efficacia del giudicato secundum eventum litis
con particolare riguardo all’esperienza della legge tedesca sulle condizioni generali del contratto,
cit., spec. p. 768; BONSIGNORI, A., Della tutela giurisdizionale dei diritti, t. 1, Disposizioni ge-
nerali, art. 2907-2909, Bologna-Roma, 1999, p. 207, 209, 221 ss.; FERRI, C., in COMOGLIO, L.P.
- FERRI, C. - TARUFFO, M., Lezioni di diritto processuale civile, I, Bologna, 2006, p. 699; sem-
brerebbe di questo orientamento anche MANDRIOLI, C., Diritto processuale civile, I, cit., p.
153. Parimenti, LUISO, F.P., Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso i terzi,
Milano, 1981, che, peraltro, talora viene annoverato dalla dottrina tra gli AA. favorevoli. E
ciò perché, sebbene, da un lato (p. 101 s.), l’A. ora citato dimostri la coerenza logica dell’art.
1306 c.c., operando un parallelo tra efficacia della sentenza e gli effetti che gli atti di disposi-
zione sostanziale producono nei confronti dei soggetti coinvolti nei rapporti obbligatori soli-
dali, dall’altro (p. 210), si dimostra perplesso nei confronti di un’applicazione generalizzata
del principio. In questo orientamento va infine annoverata anche la posizione di Liebman, ma
in un senso ed entro limiti particolari, sui quali ci siamo abbondantemente intrattenuti retro,
nota 104. Se si rimanesse, peraltro, fermi a registrare questa attestazione di tendenziale con-
trarietà non si andrebbe molto lontano. Diversamente, va rimarcato che la stragrande mag-
gioranza della dottrina contraria (Redenti, Allorio, Pugliese, Vocino, Carpi, Luiso, Rapisarda,
Bonsignori) non si è opposta al giudicato secundum eventum litis in ragione di una sua pre-
tesa inammissibilità logica (così, invece, il già citato Proto Pisani, la cui più recente e distinta
posizione è peraltro esaminata tra breve), ma piuttosto argomentando sulla base di una ne-
cessaria previsione di legge che espressamente contempli tale regime. Sul punto, ad esempio,
v. ALLORIO, E., La cosa giudicata rispetto ai terzi, cit., p. 242, il quale evidenziava che tale av-
versione nei confronti dell’efficacia differenziata della sentenza non meritasse le critiche ri-
voltale, essendo in realtà semplicemente l’espressione dell’esigenza che l’accertamento non
pregiudicasse chi non ha preso parte al giudizio. E proprio per questo motivo, alla possibile
estensione del giudicato di rigetto ottenuto a seguito dell’esercizio di una azione costitutiva,
Allorio si chiedeva quale potesse essere la ragione contraria a tale estensione nei confronti de-
gli altri titolari di diritti potestativi «in assenza d’una norma che li tuteli». Alla luce di queste
osservazioni è interessante notare che, tra gli AA. poc’anzi citati, molti di questi hanno
espresso la propria opinione successivamente all’entrata in vigore del codice civile del 1942 e,
490 CAPITOLO SESTO
dunque, la loro posizione contraria al giudicato secundum eventum litis ha anche comportato
un giudizio di sostanziale eccezionalità – quasi sempre implicito – rispetto a quanto disposto
dall’art. 1306 c.c. in materia di obbligazioni solidali (oltre agli AA. già citati, v. anche ATTARDI,
A., Sui limiti di efficacia dell’art. 1306 c.c., in Riv. proc. civ., 1953, II, p. 56 ss.; ed inoltre BU-
SNELLI, F.D., La cosa giudicata nelle obbligazioni solidali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, p.
403 ss., che ha addirittura negato che l’art. 1306 c.c. prevedesse un’ipotesi di giudicato se-
cundum eventum litis). Comunque, all’orientamento appena indicato, se ne contrappone un
secondo, viceversa favorevole all’estensione ultra partes del giudicato in utilibus; orienta-
mento via via affermatosi con maggior vigore con il crescere di quel fenomeno di costituzio-
nalizzazione del diritto vigente (cfr. retro, cap. III, § 1.2.), rispetto al quale, per ciò che attiene
alla specifica questione dei limiti soggettivi del giudicato, un punto di svolta (come osservato
da MENCHINI, S., Il giudicato civile, cit., p. 187) può sicuramente rinvenirsi nel noto ripensa-
mento alloriano (ALLORIO, E., Trent’anni di applicazione del codice di procedura civile, in Com-
mentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, I, 1, cit., p. LXIV ss., su cui v.
TROCKER, N., Enrico Allorio e la dottrina della riflessione della cosa giudicata rispetto ai terzi,
in Riv. dir. proc., 2001, p. 339 ss.) e nella sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 22
marzo 1971 (in Foro it., 1971, I, p. 824 ss.) dichiarante l’illegittimità dell’art. 28 c.p.p. del
1930. Questo orientamento si è generalmente sviluppato attorno a due distinti seppur asso-
lutamente compatibili filoni di riflessione. Una prima linea di sviluppo è quella avanzata da
ATTARDI, A., Diritto processuale civile, cit., p. 489 ss., secondo cui tanto l’art. 2909 c.c. quanto
l’art. 1306 c.c. non sarebbero risolutivi per escludere o confermare la vigenza nel nostro or-
dinamento del regime di giudicato secundum eventum litis, ma – se ben si intende – tale effi-
cacia troverebbe fondamento nella stessa pienezza del valore del giudicato; dal quale discen-
derebbe il seguente principio generale: «il vincolo delle parti al contenuto del giudicato opera
tra di loro e di fronte ai terzi» (c.vo mio). Più distesamente, il contenuto del giudicato vinco-
lerebbe coloro che hanno preso parte al giudizio (parti in senso processuale), ovvero sia la
parte vincitrice che la parte soccombente, nei futuri giudizi tra loro; ma tale contenuto li vin-
colerebbe anche nei futuri giudizi nei confronti di terzi, i quali peraltro sarebbero gli unici a
non esserne vincolati se il contenuto del giudicato – per loro pregiudizievole – si ponesse in
conflitto con diritto di difesa che la Costituzione garantisce. Ancor prima, peraltro, una let-
tura interpretativa di simile tenore era stata convincentemente avanzata da TARUFFO, M.,
«Collateral estoppel» e giudicato sulle questioni, cit., p. 294, il quale aveva osservato che «l’art.
2909 risolve la questione dei limiti soggettivi del giudicato esclusivamente sotto il profilo che
può chiamarsi “passivo”, mentre non contiene alcun riferimento esplicito alla determinazione
della sfera soggettiva “attiva”, ossia a quella dei soggetti che possono valersi degli effetti del
giudicato». Cosicché, «non esite – si concludeva – alcuna ragione per escludere a priori che
possano valersi degli effetti favorevoli del giudicato soggetti diversi da quelli che in base al-
l’art. 2909 ne subiscono gli effetti sfavorevoli». Oltre a questa posizione, va peraltro rilevata
– come accennato – una seconda linea di sviluppo, che sovente ha trovato svolgimento in ma-
teria di litisconsorzio necessario o, più correttamente, in materia di rapporti plurisoggettivi.
Area di riflessione all’interno della quale il regime di giudicato secundum eventum litis si è pa-
lesato come principio utile per limitare i casi di necessaria partecipazione di più soggetti al
giudizio ai sensi dell’art. 102 c.p.c. In quest’ottica, il perno sistematico su cui far leva per giu-
stificare detto regime degli effetti è apparso non tanto e non solo quanto dispone l’art. 2377
c.c. in materia di decisione comportante l’annullamento delle delibere assembleari, quanto
piuttosto la disciplina prevista dall’art. 1306 c.c.; disposizione deputata a garantire – in via di
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 491
155 Con la consueta chiarezza, MENCHINI, S., Il giudicato civile, cit., p. 189 s.
156 Non a caso – come ricordato (cfr. retro, nota 104) – in materia di azioni concorrenti,
ovvero tanto con riferimento alle obbligazioni solidali, quanto in riferimento ad azioni costi-
tutive, LIEBMAN, E.T., Azioni concorrenti, cit., p. 63, si trovava a ribadire che il modello del
concorso soggettivo di azioni proposto non poteva dar luogo a fenomeni di giudicato secun-
dum eventum litis proprio per l’ostacolo dei limiti oggettivi del giudicato. E ancora ALLORIO,
E., La cosa giudicata rispetto ai terzi, cit., p. 117 ss., per le medesime ragioni si trovava a do-
ver separare i casi di «normale» estensione del giudicato verso i terzi dall’«anormale» feno-
meno dell’«allargamento», il quale, ultimo, trovava come sua sede di applicazione proprio le
ipotesi di concorrenza tra rapporti giuridici. La lettura dell’illustre dottrina da ultimo richia-
mata è particolarmente significativa, a tal riguardo; in essa, infatti, l’impostazione di metodo
seguita per la sistemazione della problematica è di impronta rigorosamente strutturale. Tre
sono i principali elementi ricostruttivi impiegati: a) il rapporto giuridico sostanziale inteso nei
precisi termini indicati da noi nel testo e assunto quale entità elementare oggettiva dell’accer-
tamento (p. 50 ss.); b) il valore assoluto del giudicato inteso come forza precettiva e vinco-
lante (p. 87 ss.); c) il vincolo di subordinazione che lega i rapporti sin dalle loro radici so-
stanziali e che costituisce il nesso strutturale necessario e sufficiente a giustificare il fenomeno
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 493
dell’espansione del giudicato stesso (p. 68 ss.). Proprio l’applicazione di questi tre strumenti,
se, da un lato, conduce con estremo rigore logico – poste ovviamente le premesse ed in par-
ticolare la «forza propulsiva» del modello, che ovviamente risiede nel valore assoluto della
sentenza – alla delineazione del fenomeno della riflessione della cosa giudicata, dall’altro, in-
nalza una barriera logica insuperabile all’estensione ultra partes dell’efficacia diretta della sen-
tenza. Nei rapporti concorrenti, infatti, viene a mancare proprio quella relazione strutturale
idonea a far scorrere da un rapporto all’altro la vincolatività del giudicato. E così, riguardo
questa tipologia di rapporti, non ricorre un effetto di estensione della cosa giudicata in senso
proprio ma un fenomeno similare meglio definibile come «allargamento»; corrispondente ad
«una sorta d’amplificazione della sfera di ripercussione consueta del giudicato, la quale si ri-
solve in un superamento non solo, e non tanto, dei limiti soggettivi […] quanto piuttosto dei
limiti oggettivi della cosa giudicata» (p. 123). Ai fini di quanto si afferma nel testo, uno degli
aspetti più interessanti di questa ricostruzione, è peraltro verificare quale sia lo strumento ri-
costruttivo in grado di giustificare tale «superamento» e di sostituirsi al dato ontologico del-
l’elemento strutturale-relazionale che appunto manca tra i diversi rapporti concorrenti. E
questo strumento non è null’altro che «la esigenza pratica che […] il rapporto del terzo ri-
ceva un regolamento giuridico correlativo». Non è, insomma, il vincolo logico di subordina-
zione tra rapporti che qui rileva, ma un «nesso di coordinamento necessario», che evidente-
mente, per superare l’insuperabile, ovvero – si badi bene – l’oggettiva difformità intercor-
rente tra i due rapporti, deve essere «reso giuridico dalle norme» (p. 121), le uniche
effettivamente in grado di far valere il regolamento del rapporto X come regolamento anche
per il rapporto Y. In altri termini qui assistiamo ad un vero e proprio salto logico il quale può
essere compiuto solo con l’avallo della legge. È interessante inoltre evidenziare un ulteriore
aspetto particolarmente delicato di tale ricostruzione. Difatti, diversamente da quanto soste-
nuto da Liebman, Enrico Allorio, se riconduceva di certo ai rapporti concorrenti, quei rap-
porti giuridici aventi a contenuto diritti potestativi dal lato attivo e soggezioni da quello pas-
sivo, d’altra parte, ne escludeva le ipotesi di solidarietà attiva. E questo risultato ricostruttivo
sembrerebbe essere determinato dal fatto che nella concorrenza di diritti potestativi ad eser-
cizio giurisdizionale, vista la logica scindibilità tra momento dell’accertamento del diritto po-
testativo e momento della produzione dell’efficacia costitutiva da parte della sentenza, poteva
forse risultare più plausibile affermare che «l’efficacia d’accertamento è limitata al rapporto
accertato», ma «l’efficacia disciplinatrice della sentenza riguarda, invece, un intero fascio di
rapporti» (p. 123). Nel caso della solidarietà passiva, invece, il superamento dei limiti ogget-
tivi del giudicato passava per un percorso ancor più periglioso e occorreva – poste le solite
premesse – accedere ad una soluzione ricostruttiva differente. Due erano quindi le possibilità
che Allorio presentava al lettore. La prima era appunto richiamare l’istituto della sostituzione
processuale: «la soluzione – si rimarcava a p. 265 – sarebbe più plausibile, dal momento che
il creditore solidale agisce evidentemente, e per l’intero credito, in nome proprio, quale parte.
Senonché, appar chiaro com’egli agisca anche per conto proprio, sebbene nel remoto interesse
altrui». Questa ambivalenza conduceva, quindi, l’illustre dottrina ora in esame, notoriamente
contraria alla configurazione di rapporti unici plurisoggettivi, ad accedere ad una seconda al-
ternativa ricostruttiva viceversa assai simile se non coincidente con il concetto dogmatico ap-
pena richiamato. Si sosteneva, infatti, che la posizione di titolarità del creditore solidale fosse
– a ben vedere – una sorta di «titolarità relativa» e che l’estensione del giudicato trovasse fon-
damento nella stessa legittimazione del concreditore a dedurre in giudizio «l’intero rap-
porto». Come affermato nel testo, insomma, anche Allorio, partendo dalle premesse di diritto
494 CAPITOLO SESTO
tezza in GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenziamento per motivi antisindacali, in Riv.
dir. proc., 1973, p. 596 ss. in materia di giudizio di repressione della condotta antisindacale;
ma v. anche, nella stessa materia, PROTO PISANI, A., Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi
di efficacia della sentenza civile e la garanzia costituzionale del diritto di difesa, cit., p. 1228,
nota 29 e p. 1229. Sul punto, v. infra, cap. VII, § 2.1.2. Più in generale, v. quanto riportato
alla nota che precede in merito alla ricostruzione alloriana della solidarietà attiva. Un’ulte-
riore interessante applicazione la si ha avuta – mutatis mutandis – in materia di impugnazione
delle delibere assembleari. Cfr., in particolare, PROTO PISANI, A., Opposizione di terzo ordina-
ria, cit., p. 154 ss.; ID., Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi di efficacia della sentenza ci-
vile e la garanzia costituzionale del diritto di difesa, cit., p. 1245 ss. (seguito da TARUFFO, M., I
limiti soggettivi del giudicato e le «class actions», in Riv. dir. proc., 1969, p. 609 ss., spec. p. 612
ss.; e successivamente da CHIZZINI, A., L’intervento adesivo, II, Struttura e funzione, Padova,
1992, p. 538 ss.), per il quale i singoli soci legittimati agirebbero in via straordinaria eserci-
tando un’azione in grado di determinare l’«affievolimento» delle altre legittimazioni e di con-
seguenza l’estensione ultra partes degli effetti della sentenza (opzione peraltro successiva-
mente abbandonata in ID., Note in tema di limiti soggettivi della sentenza civile, in Foro it.,
1985, I, p. 2385 ss., ma spec. p. 2392 s., pubblicato anche in Studi in onore di Enrico Allorio,
I, Milano, 1989, p. 399 ss.).
158 Questa sembra la strada seguita dalla dottrina che ha valorizzato il disposto dell’art.
1306 c.c. in materia di rapporti plurisoggettivi: PROTO PISANI, A., Note in tema di limiti sog-
gettivi della sentenza civile, cit., ma spec. p. 2388; ID., Appunti sul litisconsorzio necessario e su-
gli interventi, cit., p. 357 ss.; ID., Processo di cognizione e terzi nel diritto italiano, cit., p. 557 s.;
ID., Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 300 ss., 365-366, 375; MENCHINI, S., Il processo
litisconsortile, cit., spec. 524 ss.; ID., Regiudicata civile, cit., p. 455 ss.; ID., Il giudicato civile, cit.,
p. 195 ss. Questo orientamento dottrinale, peraltro, pur ricostruendo i fenomeni in esame in
termini di situazione plurisoggettiva e prevedendo appunto l’estensione del giudicato secun-
dum eventum litis, facendo perno anche, ma non solo, sull’art. 1306 c.c. (amplius, cfr. retro,
nota 154), non fa cenno alcuno alla sostituzione processuale e ciò si giustifica di certo con il
fatto che in queste ipotesi il giudizio che si svolge in assenza dei contitolari non produce ef-
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 495
unica plurisoggettiva)159, in realtà non si farebbe altro che dire cose simili
con parole diverse. Anche leggendo il fenomeno in esame con queste
fetto sfavorevole nei loro confronti e dunque non si realizza la piena operatività di quanto di-
spone l’art. 81 c.p.c. Ma ribaltando perfettamente il discorso, non pare nemmeno dubbio che
in tali ipotesi si abbia comunque un giudizio idoneo a concludersi con un’accertamento che,
investendo tutta la situazione plurisoggettiva proietta sulla natura della legittimazione ad agire
del singolo contitolare una doppia valenza, appunto ordinaria e sostitutiva assieme.
159 È la nota e complessa ricostruzione avanzata da FABBRINI, G., Contributo alla dot-
trina dell’intervento adesivo, Milano, 1964, spec. p. 183 ss., per spiegare l’estensione ultra par-
tes dell’efficacia diretta della sentenza in riferimento alla collegittimazione ordinaria semplice,
nella quale si riscontra appunto un fenomeno di plurisoggettività, ovvero di contitolarità, di
una unica azione, oltre che una contitolarità dell’oggetto del giudizio e della situazione legit-
timante (diversamente dalla collegittimazione straordinaria in cui ricorre solo la plurisoggetti-
vità dell’azione e dalla collegittimazione ordinaria litisconsortile, nella quale, come nella ordi-
naria, si realizzano le medesime tre condizioni poc’anzi indicate, sebbene con un rapporto di
coincidenza tra situazione legittimante ed oggetto del giudizio). Anche per questa costruzione
valgono in gran parte le stesse considerazioni svolte alla nota che precede. Difatti, specie alla
luce del concetto di azione e di potere giuridico su cui ci siamo già intrattenuti (cfr. retro, cap.
V, spec. nota 172 e nota 183), la figura dell’«azione unica plurisoggettiva» non può essere ac-
colta (cfr., in questo senso, le osservazioni critiche di PROTO PISANI, A., Opposizione di terzo
ordinaria, cit., p. 163, nota 21; e successivamente CARPI, F., L’efficacia «ultra partes» della sen-
tenza civile, cit., p. 259). Se, infatti, il potere di azione è la possibilità che appartiene a colui
che si propone come titolare dell’interesse tutelato di porre in essere quel comportamento ti-
pico (proposizione della domanda secondo i canoni che la legge prescrive) idoneo a comple-
tare la realizzazione della fattispecie costitutiva del dovere decisorio giudiziale, due sono le
possibilità logiche entro cui rimane astretto l’interprete: quella in cui il comportamento or ora
descritto debba essere tenuto da due o più soggetti assieme e quella in cui, invece, il com-
portamento ha l’effetto indicato, anche se esso è tenuto solo da un unico soggetto. La prima
ipotesi è l’unica in cui noi potremmo parlare di contitolarità di un potere, facendo uso – come
sovente – di un linguaggio figurato ed entificante che può esser valido, tra l’altro, solo nella
consapevolezza del preciso valore rappresentativo, cioè di comodo, che ad esso si dà rispetto
all’essenza del fenomeno normativo. Visto che in tutte le ipotesi ricondotte alla figura dell’a-
zione unica plurisoggettiva una sola parte può porre in essere il comportamento idoneo a co-
stituire il dovere decisorio del giudice – ovvero il comportamento assunto della norma come
costitutivo di tale dovere è il suo e non di un altro – non è mai possibile parlare di contitola-
rità. Nessuno, infatti, ha strumenti per impedire che il soggetto, titolare dell’azione ed inten-
zionato a promuovere il giudizio, realizzi la fattispecie costitutiva secondo le note legali che il
diritto processuale prevede. Chi ora pensasse che quanto detto patisca eccezione o smentita
nelle ipotesi di litisconsorzio necessario cadrebbe in errore, poiché la necessità che più parti
partecipino al giudizio affinché il giudice possa pronunziarsi nel merito non centra nulla con
la questione in esame. Nelle ipotesi di litisconsorzio necessario, infatti, si assiste unicamente
ad un vincolo imposto al comportamento del soggetto che vuole ottenere la pronuncia sul
merito, come un vincolo è quello di proporre la domanda al giudice, che sia competente, con
l’esatta determinazione dell’oggetto, ecc. Dal punto di vista formale tutti questi vincoli, che si
presentano naturalmente nelle loro proprie dimensioni normative derivanti dalla specifica di-
sciplina di volta in volta ricorrente, non toccano in alcun modo l’essenza del fenomeno del
potere e rappresentano unicamente connotazioni del comportamento idoneo a costituire il
dovere giudiziale. E ciò è talmente evidente che forse non sarebbe nemmeno il caso di ri-
496 CAPITOLO SESTO
160 La non riconducibilità degli strumenti di tutela degli interessi collettivi alla disci-
plina prevista dall’art. 1306 c.c. è stata in particolare sostenuta da VIGORITI, V., Interessi col-
lettivi e processo, cit., p. 111; ID., Impossibile la class action in Italia? Attualità del pensiero di
Mauro Cappelletti, in Resp. civ. e prev., 2006, p. 31 ss.; CARRATTA, A., Profili processuali della
tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 102 ss. e 110 s.; ID., Effetti del giudicato e tutela
collettiva, in Le azioni collettive in Italia, a cura di C. Belli, Milano, 2007, p. 100 ss., ma spec.
p. 115 ss. Questo orientamento dottrinale, da un lato, ha rimarcato come la tutela degli inte-
ressi sovraindividuali costituisca effettivamente un fenomeno nuovo, caratterizzato da esi-
genze differenti da quelle a cui cerca di dare risposta l’art. 1306 c.c., e, dall’altro, ha opinato
la stessa riconducibilità formale della situazione sostanziale tutelata allo schema dei «diritti
plurisoggettivi». Se il secondo argomento non trova ovviamente la nostra adesione per le ra-
gioni di natura teorico-formale che sono state svolte non solo in questo capitolo, ma soprat-
tutto nei capp. IV e V, il primo può essere accolto sono in una prospettiva de iure condendo,
anzi potremmo dire sia cosa estremamente opportuna se non doverosa dotarsi finalmente di
un processo che sia in grado di seguire i riconoscimenti che sul piano sostanziale arrivano agli
interessi collettivi. Rebus sic stantibus, peraltro, ovvero nella prospettiva de iure condito, tale
argomento è privato della sua persuasività e conduce l’interprete ad orientarsi nella prospet-
tiva suggerita nel testo.
498 CAPITOLO SESTO
della sentenza e «obiter dicta» giudiziali, cit., p. 99 ss., su cui cfr. ampius, retro, nota 122.
162 Cfr. retro, cap. I, § 3.2.2..
163 Su queste questioni, v., soprattutto, CARNELUTTI, F., Funzione del processo del lavoro,
in Riv. dir. proc. civ., 1930, p. 109 ss.; ID., Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di la-
voro, Padova, 1930, p. 152 ss.; ID., Sistema di diritto processuale civile, cit., p. 291. Ma cfr. JAE-
GER, N., Corso di diritto processuale del lavoro, cit., p. 154 s.; e D’AGOSTINO, G., Il processo col-
lettivo del lavoro, cit., p. 140 ss.
500 CAPITOLO SESTO
collettivi, specie nelle fattispecie che possono dar luogo ad ampie schiere di interessati, ha
sempre visto con estremo sospetto l’ipotesi di richiamare il regime previsto dall’art. 102 c.p.c.
per ottenere il coordinamento delle decisioni.
PROFILI GENERALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE 501
165 Ciò non solo in chiave generale, ma anche con diretto riferimento alle norme che in
«indeterminatezza» o anche per «numerosità» dei destinatari, in diverse ipotesi non preven-
tivabili, potrebbe effettivamente risultare un metodo inappropriato. Il problema è sempre lo
stesso. All’interno della categoria «giudizio collettivo» c’entra di tutto, dai giudizi in cui la
collettività è formata da pochissimi interessati, ai giudizi in cui la collettività assume la forma
di un insieme aperto ed indeterminabile di soggetti; dai giudizi in cui gli interessi coinvolti
hanno contenuto patrimoniale (peraltro di entità variabile), a giudizi in cui gli interessi hanno
invece contenuto non patrimoniale afferendo direttamente al valore della persona. Possono
quindi ben verificarsi ipotesi in cui, pur a fronte di una collettività anche estesa, sia necessa-
rio provvedere ad una notificazione secondo le regole ordinarie. Si pensi al caso di un’azione
inibitoria volta a reprimere una pratica discriminatoria. Se si ritiene, come credo si debba ri-
tenere, che tale discriminatorietà sia comunque oggetto di accertamento e possa essere utiliz-
zata nei giudizi individuali, allora la vincolatività della sentenza nei confronti di tutti gli inte-
ressati potrebbe verosimilmente consigliare un utilizzo particolarmente cauto dell’autorizza-
zione ex art. 150 c.p.c. e gli effetti sarebbero quelli indicati nel testo: paralisi dell’azione per
impossibilità della determinazione puntuale di ogni soggetto eventualmente discriminato; pa-
ralisi dell’azione per il costo della notificazione; instabilità della sentenza.
502 CAPITOLO SESTO
testo167, in cui sono numerosi gli strumenti tecnici che pongono ex ne-
cesse a diretto contatto il giudice con il cuore della controversia in ordine
alla stessa opportunità di garantirne la trattabilità in forma collettiva
(cioè con effetti vincolanti per tutti), il nostro giudice arriva sostanzial-
mente sul «merito» delle diverse questioni solo al momento di decidere.
Ed è evidentemente per questa ragione che già da tempo autorevole dot-
trina ha evidenziato come il potere previsto dall’art. 107 c.p.c. si riveli
«uno strumento meramente astratto a tutela del diritto di difesa costitu-
zionalmente garantito dei terzi soggetti all’efficacia riflessa ultra partes
della sentenza»168.
Detto questo, peraltro, la soluzione appena indicata appare comun-
que meno efficiente se comparata con il modello del giudicato secundum
eventum litis, temperato dalla chiamata in causa ex art. 106 c.p.c.
Qui, infatti, lo strumento di correzione teso a neutralizzare gli effetti
negativi dell’indicato regime di efficacia della sentenza, spetta proprio al
soggetto colpito da tali effetti, ovvero al convenuto, che, proprio per es-
sere la parte direttamente interessata ad evitare la reiterazione delle do-
mande, è anche il soggetto più appropriato per attivare i poteri correttivi
che gli sono messi a disposizione; ed oltretutto – quantomeno di regola –
nei nostri giudizi è la parte economicamente più forte ed in grado, se lo
vuole, di sobbarcarsi costi di notificazione elevati allorché il giudice non
autorizzi la notificazione dell’atto di chiamata in causa secondo le forme
previste dall’art. 150 c.p.c. Cosa – peraltro – probabilmente non necessa-
ria, poiché questi potrà valutare le specificità della situazione e diversifi-
care la sua strategia processuale a seconda delle circostanze. E così potrà
estendere il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri legittimati ad
agire, oppure, se ad esempio il giudice – pur a fronte di una fattispecie in
cui i soggetti appartenenti al gruppo siano sostanzialmente indetermina-
bili – non autorizzi la notificazione prevista dalla seconda parte del
primo comma dell’art. 150, potrà rivolgere la chiamata in causa solo nei
confronti dei soggetti esponenziali legittimati e non nei confronti dei sog-
getti appartenenti alla collettività di riferimento, conseguendo – se vi riu-
scirà – un giudicato che, per l’essere stato emesso in contraddittorio con
gli enti rappresentativi, varrà come un precedente di particolare cogenza
nei successivi giudizi individuali, che, tra l’altro, vista tale situazione,
forse nemmeno verranno mai avviati.
5.4. Conclusioni
Dopo le osservazioni svolte è piuttosto agevole tirare le somme.
Il problema dei limiti soggettivi del giudicato si risolve solo alla luce
di una disciplina espressa degli effetti della sentenza; ed in tale contesto
la soluzione tesa ad estendere ultra partes il vincolo del giudicato – sia fa-
vorevole che sfavorevole – si presenta probabilmente come quella prefe-
ribile in quanto appare in grado di portare con sé il maggior numero di
vantaggi. Ciò vale, comunque, solo se tale regime viene adeguatamente
supportato da specifici correttivi che non lo rendano pregiudizievole
delle garanzie costituzionali in punto di azione e difesa ed al contrario ne
facciano un ragionevole strumento di equilibrio tra i diversi valori in
gioco.
In assenza di una disciplina espressa dei limiti soggettivi del giudi-
cato o anche in presenza di una disciplina legale sostanzialmente silente
riguardo i necessari ed adeguati correttivi richiesti, il regime di giudicato
secundum eventum litis sembra proporsi come la soluzione comparativa-
mente più soddisfacente, in quanto è quella che, a conti fatti, si dimostra
– relativamente parlando – più elastica.
Aspetto, quest’ultimo, fondamentale, visto l’esteso e a priori indeter-
minabile quadro fenomenologico delle controversie collettive concreta-
mente possibili, che possono coinvolgere collettività ristrette, costituite
da soggetti facilmente individuabili e magari con buona propensione al-
l’aggregazione organizzativa o collettività estremamente ampie, fluide e
sostanzialmente indeterminate nella loro consistenza soggettiva.
Indipendentemente da queste considerazioni di opportunità, poi, il
regime di giudicato secundum eventum litis risulta essere la disciplina
giuridica dell’efficacia della sentenza che il nostro ordinamento prevede
in via generale per ciò che attiene ai giudizi che abbiano ad oggetto ef-
fetti giuridici volti a tutelare più interessi individuali compatibili concor-
renti, risultando al contrario troppo tenui gli appigli esegetici idonei a
giustificare una deroga a tale regime nel senso dell’estensione della vin-
colatività dell’accertamento a contenuto sfavorevole ottenuto inter alios
nei confronti degli altri legittimati a provocarlo.
CAPITOLO SETTIMO
1. Considerazioni introduttive
Dei diversi strumenti che la dottrina suole ricondurre all’ampio no-
vero dei rimedi posti a tutela di interessi sovraindividuali, il primo a cui
occorre prestare attenzione è sicuramente costituito dal già più volte ri-
chiamato procedimento per la repressione della condotta antisindacale1.
mamente ampia e gran parte dei contributi dottrinali, specie quelli in particolare orientati allo
studio delle delicate questioni relative ai rapporti tra diritto e processo, verranno esaminati
nelle pagine di questo capitolo. Per una panoramica generale delle diverse problematiche
sorte in sede di interpretazione del procedimento in questione, v. i diversi lavori monografici
in materia: TREU, T., Condotta antisindacale del datore di lavoro e atti discriminatori, Milano,
1974; VACCARELLA, R., Il procedimento di repressione della condotta antisindacale, Milano,
1977; GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
Napoli, 1979; CIPRESSI, P., I comportamenti antisindacali del datore di lavoro, Milano, 1983;
CHERICONI, E., La condotta antisindacale, Milano, 1989; COLLIA, F. - ROTONDI, F., Il comporta-
mento antisindacale (aspetti sostanziali e processuali), Padova, 2004. Tra le voci enciclopedie
ed i commentari, si tengano presente i seguenti contributi: SCOGNAMIGLIO, R., Condotta anti-
sindacale: I) Disciplina sostanziale, in Enc. giur. Trec., VIII, Roma, 1988; SILVESTRI, E. - TA-
RUFFO, M., Condotta antisindacale: II) Procedimento di repressione della condotta antisindacale,
in Enc. giur. Trec., VIII, Roma, 1997; PAPALEONI, M., Repressione della condotta antisindacale,
in Dig. disc. priv., sez. comm., XII, Torino, 1996, p. 345 ss.; LUNARDON, F., La condotta anti-
sindacale – Aspetti sostanziali, in Le fonti del diritto sindacale, a cura di C. Zoli, in Diritto del
lavoro, Commentario diretto da F. Carinci, Torino, 1999, p. 389 ss.; PERONE, G.C., La repres-
sione della condotta antisindacale, in Trattato di diritto privato, diretto da Pietro Rescigno, XV,
Impresa e lavoro, I, 2, Torino, 2001, p. 183 ss.; LUNARDON, F., in Il processo del Lavoro, a cura
di Borghesi, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da F. Carinci, Torino, 2005, p. 458 ss.;
LEANZA, P., Il processo del lavoro, Il giudizio di primo grado, le impugnazioni, l’escuzione, i pro-
cedimenti speciali, Milano, 2005, p. 868 ss.; DI CERBO, V., in AMOROSO, G. - DI CERBO, V,-MA-
RESCA, A., Art. 28 (Repressione della condotta antisindacale), in Il diritto del lavoro, II, Statuto
dei lavoratori e disciplina dei licenziamenti, Milano, 2006, p. 923 ss.
2 Cfr. ad es. DENTI, V., Relazione introduttiva, in Le azioni a tutela di interessi collettivi
(Atti del convegno di Pavia, 11-12 giugno, 1974), Padova, 1976, p. 7 ss. (pubblicata anche in
Riv. dir. proc., 1974, p. 533 ss.).
3 Le considerazioni riportate sono di PROTO PISANI, A., Il procedimento di repressione
dell’attività antisindacale, in Studi di diritto processuale del lavoro, Milano, 1976, p. 13 ss.,
pubblicato anche in Foro it., 1973, V, p. 57 ss.; ma similmente TROCKER, N., Interessi collettivi
e diffusi, in Enc. giur. Trec., XVII, Roma, 1989, p. 3, per il quale il procedimento per la re-
pressione della condotta antisindacale costituisce «l’esempio più vistoso, e al tempo stesso più
ricco di implicazioni costruttive anche fuori dall’ambito precipuo della sua incidenza regola-
trice».
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 507
voratori, v., per tutti, MANCINI, F., Costituzione e movimento operaio, Bologna, 1976, spec. il
cap. V, significativamente intitolato Lo Statuto dei lavoratori dopo le lotte operaie del 1969.
508 CAPITOLO SETTIMO
5 Relazione al disegno di legge sull’art. 28 dello Statuto dei lavoratori del Ministro on.
Brodolini. In dottrina, per tutti, v. LANFRANCHI, L., Prospettive ricostruttive in tema di art. 28
dello Statuto dei lavoratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 388 ss., ma p. 403, per il quale
risulta «plausibile una interpretazione funzionale della legge nel senso di un chiaro riferi-
mento a qualsiasi comportamento diretto ad impedire o limitare l’esercizio di tutti i diritti in-
dividuali del titolo I, di tutte le libertà ed attività sindacali previste dai titoli II e III […], di
tutte le manifestazioni (legittime) del diritto di sciopero»; con la conseguenza che, «a seconda
del tipo di violazione di cui sono oggetto, la tutela giurisdizionale dei diritti sostanziali dei la-
voratori è affare che può interessare direttamente anche l’organizzazione sindacale perché un
certo tipo di violazione degli stessi può al contempo essere violazione del suo interesse ad or-
ganizzarsi per esistere e per svolgere liberamente la sua attività istituzionale, e la tutela del-
l’uno essere al contempo la tutela dell’altro» (p. 419). Sviluppando questa linea di pensiero,
come meglio si vedrà infra, l’A. nega che il peso della legittimazione esclusiva prevista dalla
norma, debba incidere risolutivamente sulla determinazione delle situazioni giuridiche sog-
gettive tutelabili, potendosi diversamente ritenere pienamente ammissibile l’azione ex art. 28
anche al verificarsi di comportamenti plurioffensivi, quali ad esempio l’ipotesi in cui il datore
di lavoro intimi il licenziamento per motivi sindacali. Sul punto, cfr. anche PERSIANI, M., Con-
dotta antisindacale, interesse del sindacato, interesse collettivo e interesse individuale dei lavo-
ratori, in Pol. dir., 1971, p. 543 ss., ma spec. p. 556 s., per il quale «il sindacato, ancorché do-
tato di una soggettività che ne fa centro di imputazione di interessi e di posizioni giuridiche
autonomi e, sotto certi aspetti, diversi dagli interessi e dalle posizioni delle quali sono titolari
gli uomini che fanno parte e che agiscono per lui, esite ed opera soltanto attraverso questi uo-
mini. In altri termini: nonostante la legge ponga il sindacato a soggetto delle proposizioni
normative che si riferiscono al fenomeno sindacale, dobbiamo renderci conto che il sindacato
non ha un’esistenza reale: nella realtà delle cose e dei rapporti esistono solo i sindacalisti».
Contra, isolatamente, cfr. RIVA SANSEVERINO, L., Parere pro veritate sull’art. 28 dello Statuto dei
lavoratori, in Orient. giur. lav., 1970, p. 371 ss.; ARANGUREN, A., A proposito di una peculiare
interpretazione dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, in Mass. giur. lav., 1970, p. 538 ss.
6 Così, GHEZZI, G., Statuto dei diritti dei lavoratori, in Noviss. dig. it., XVIII, Torino,
1971, p. 418, per il quale – appunto – la norma rappresenta «la chiave di volta che assicura,
nella sua attuazione pratica, la credibilità dei principi stessi e di gran parte delle statuizioni
contenute nello Statuto». Similmente, FRENI, A. - GIUGNI, G., Lo Statuto dei lavoratori, Mi-
lano, 1971, p. 121.
GHEZZI, G., Statuto dei diritti dei lavoratori, cit., p. 418.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 509
al corretto inquadramento sistematico del rimedio, v., in particolare, LANFRANCHI, L., Il diritto
processuale e la repressione della condotta antisindacale, in Riv. giur. lav., 1972, I, p. 3 ss., spec.
p. 11.
510 CAPITOLO SETTIMO
beni oggetto di tutela, perché la classe dei legittimati ad agire era limitata
agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali?
In terzo luogo, come risolvere, una volta ottenuta risposta ai primi
due quesiti e nel completo silenzio della norma, il problema dell’integrità
del contraddittorio e dei limiti soggettivi del giudicato ottenuto a termine
del giudizio sull’antisindacalità della condotta plurioffensiva?
Come è naturale tutte queste delicate questioni, animate dallo spi-
rito di novità che per un lungo periodo ha avvolto il procedimento9,
hanno nel tempo prodotto un’amplissima letteratura, che riflette quello
stesso valore paradigmatico che alla disposizione è da sempre ricono-
sciuto; con la conseguenza che tale percorso di riflessione, nel bene o nel
male, ha rappresentato un punto di costante riferimento per la dottrina
successiva dedicatasi allo studio di altre fattispecie similari e ciò proprio
per l’elevato grado di articolazione ed approfondimento delle diverse
questioni problematiche che in questo settore si è raggiunto.
L’art. 28, dunque, in virtù dei profili or ora accennati, costituisce il
ponte ideale da percorrere nel passaggio dalla parte del nostro studio a
carattere più propriamente generale alla parte al contrario dedicata all’a-
nalisi dei procedimenti speciali che il nostro ordinamento attualmente
pone a tutela degli interessi collettivi.
Le diverse posizioni avanzate in materia rappresentano, infatti,
un’occasione imperdibile per godere di una fotografia fedele delle pro-
blematiche processuali che la materia solleva e delle corrispondenti e
possibili risposte ricostruttive.
In chiave preliminare, comunque, prima di procedere all’esame del-
l’ampio dibattito in materia, occorre segnalare, a mo’ di avvertenza, il cri-
terio ordinatorio prescelto al fine di agevolare un’esposizione ordinata e
auspicabilmente chiara delle distinte opinioni.
Le numerose e spesso inconciliabili diversità che intercorrono tra le
differenti posizioni dottrinali, infatti, tanto in merito alla determinazione
dell’esatta natura del precetto contenuto nella norma (sostanziale per al-
cuni o meramente processuale per altri), quanto in merito all’oggetto del
giudizio (interesse collettivo sindacale o diritto soggettivo individuale del
lavoratore, diritto collettivo del sindacato o ancora più semplicemente di-
9 Si pensi appunto, che per ottenere dal legislatore italiano una nuova azione civile da
esercitarsi in settori sicuramente caratterizzati dalla presenza o quantomeno dall’interferenza
di interessi a dimensione anche superindividuali occorrerà aspettare il 1977 per ciò che ri-
guarda l’azione a difesa della parità di trattamento delle lavoratrici di sesso femminile, e, an-
cor più in là, la legge istitutiva del Ministero dell’ambiente del 1986. Sulle quali v. infra i pros-
simi capitoli.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 511
FRANCHI, L., Il diritto processuale e la repressione della condotta antisindacale, cit., p. 24 ss.) e,
dal secondo, per quel che riguarda l’esatta individuazione della situazione giuridica sostan-
ziale dedotta – per Proto Pisani corrispondente ad «una situazione sostanziale immediata-
mente riferibile non ai singoli lavoratori, ma ad una comunità» – ed in riferimento alla quali-
ficazione della natura della legittimazione riconosciuta al sindacato – «legittimazione ordina-
ria e straordinaria al contempo».
11 LANFRANCHI, L., Prospettive ricostruttive in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori,
cit., p. 416 s.; ma, cfr. anche ID., Il diritto processuale e la repressione della condotta antisinda-
cale, cit., p. 5 s.
12 LANFRANCHI, L., Prospettive ricostruttive in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori,
Prosperetti, II, Milano, 1975, p. 966 ss., ma p. 968; ID., La tutela giurisdizionale degli interessi
diffusi e degli interessi collettivi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a
cura di Lanfranchi, Torino, 2003, p. 17 ss., ma spec. 22 ss. (pubblicato anche in Riv. dir. proc.,
2002, p. 647 ss.), a seguito di una lettura sistematica del titolo Secondo dello Statuto, riguar-
dante la libertà sindacale, e del Terzo, avente ad oggetto la disciplina dell’attività sindacale.
14 L’immagine riportata nel testo è di ROMAGNOLI, U., Aspetti processuali dell’art. 28
art. 28 dello Statuto dei lavoratori, cit., p. 388 ss.; ID., Intervento, in Atti del IX Convegno na-
zionale dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile (Sorrento, 30 ottobre – 1 novembre
1971), Milano, 1972, p. 277 ss.; ID., Il diritto processuale e la repressione della condotta antisin-
dacale, cit., p. 3 ss.; ID., Nuovo processo del lavoro, statuto, tutela dei lavoratori e del sindacato,
in Riv. giur. lav., 1973, I, p. 347 ss.; ID., Omessa reintegrazione quale autonomo comportamento
antisindacale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1973, p. 1652 ss.; ID., L’interesse del datore di lavoro
ad agire in mero accertamento, in Riv. giur. lav., 1975, II, p. 483 ss.; ID., Situazioni giuridiche in-
dividuali a rilevanza collettiva ed attuazione della condanna alla reintegrazione del lavoratore, in
Riv. giur. lav., 1977, I, p. 343 ss.; più di recente, ID., Le animulae vagulae blandulae e l’altra fac-
cia della luna, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. XVII ss.; PERA,
G., Art. 28 (Repressione della condotta antisindacale), in Commento allo Statuto dei diritti dei
lavoratori, Padova, 1972, p. 297 ss.; PUNZI, C., Repressione della condotta antisindacale, cit., p.
966 ss.; ID., La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, cit., p. 22 ss.
514 CAPITOLO SETTIMO
16 LANFRANCHI, L., Prospettive ricostruttive in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori,
cit., p. 407 (c.vo mio); ID., Il diritto processuale e la repressione della condotta antisindacale,
cit., p. 18 ss.
17 LANFRANCHI, L., Prospettive ricostruttive in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori,
cit., p. 427, che richiama SATTA, S., Diritto processuale civile, Padova, 1967, p. 82 ss.; ID., Il di-
ritto processuale e la repressione della condotta antisindacale, cit., spec. p. 23.
18 Cfr. retro, cap. VI, spec. nota 22.
19 LANFRANCHI, L., Situazioni giuridiche individuali a rilevanza collettiva ed attuazione
della condanna alla reintegrazione del lavoratore, cit., p. 352. Più precisamente (p. 351 s.), in
questa ricostruzione «l’art. 28 non attiene direttamente agli interessi diffusi, ma riguarda – in
molti casi e neppure con certezza – l’interesse istituzionale del sindacato, e – nella maggior
parte dei casi comunque – per l’appunto l’interesse individuale, a rilevanza o dimensione col-
lettiva, dei lavoratori».
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 515
Statuto dei lavoratori, cit., p. 422, la formula «su ricorso degli organismi locali delle associa-
zioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse» «ha essenzialmente il valore di operare un
collegamento tra fattispecie lesiva prodotta dalla “condotta antisindacale” […] e […] interesse
collettivo fatto valere dal sindacato». È comprensibile, dunque, che l’A. sostenga l’identità,
quanto meno parziale, dell’oggetto del giudizio, ovvero del diritto alla reintegrazione nel posto
di lavoro. Più precisamente, secondo questa impostazione, tra azione speciale ex art. 28 ed
azione ordinaria individuale sussisterebbe un rapporto caratterizzato, per un verso, dalla com-
pleta identità di causa petendi e, dall’altro, da un petitum, che, nell’azione promossa dal lavo-
ratore, si presenta più ampio in ragione dell’opportunità di limitare l’accertamento svolto nel
giudizio speciale alla sola sussistenza delle obbligazioni a carattere patrimoniale del datore, ri-
servando la liquidazione delle stesse al giudizio ordinario individuale. Su quest’ultimo punto,
infatti, ovvero in riferimento all’ampiezza del petitum, due sono le opposte esigenze interpre-
tative a cui la dottrina qui richiamata tenda di dare risposta: da una parte, la possibilità di in-
terpretare la lettera dell’art. 28 in senso ampio e cioè comprendente nella locuzione «rimo-
zione degli effetti» anche la condanna al pagamento delle somme dovute a vario titolo al lavo-
ratore a seguito della condotta antisindacale e, dall’altra, i vincoli strutturali del giudizio
speciale costituiti dalla prima fase sommaria, inidonea ad una condanna al pagamento delle
somme comprendente la liquidazione delle stesse. Conseguentemente si sostiene la possibilità
di limitare l’accertamento al diritto alla reintegrazione o anche di estenderlo al pagamento
delle somme, ma limitandolo all’an con una richiesta di condanna generica, per poi passare alla
liquidazione delle stesse su iniziativa del lavoratore nel giudizio individuale. Così in, Prospet-
tive ricostruttive in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori, cit., p. 409, 432 nota 80 e 435.
21 Questione anche di recente ribadita da questa stessa dottrina in un recente inter-
vento sul tema, rilevando appunto «la plausibile individuabilità di un “diritto” dietro l’“in
nome proprio” di ogni sostituzione processuale»: così, LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae
blandulae e l’altra faccia della luna, cit., p. XXXV.
22 PUNZI, C., Repressione della condotta antisindacale, cit., p. 972 s., che poi precisa: «se
l’art. 28 dello Statuto avesse effettivamente proclamato l’esclusione di altre forme di tutela dei
516 CAPITOLO SETTIMO
diritti sociali dei lavoratori, la denuncia di incostituzionalità sarebbe veramente fondata». De-
terminante è per l’A. ritenere che tutti i diritti soggettivi previsti e disciplinati all’interno dello
Statuto dei lavoratori siano attribuiti in titolarità ai singoli lavoratori. Non osterebbe a tale ri-
costruzione la diversa modalità di esercizio propria dei diritti di libertà sindacale – a titolarità
ed esercizio individuale – e dei diritti di attività sindacale – a titolarità individuale, ma ad
esercizio collettivo –, non potendosi ragionevolmente sostenere che detta circostanza sia ini-
donea ad alterare la natura degli stessi, che appunto «sono e restano diritti individuali dei la-
voratori» (p. 969). Diritti individuali, che però, nell’opinione della dottrina qui in esame sve-
lano, se sottoposti ad un’analisi più penetrante, la loro rilevanza generale e collettiva. Essi
sono, infatti, propriamente diritti sociali, «il cui riconoscimento positivo realizza quel princi-
pio costituzionale di uguaglianza sostanziale tra i cittadini (art. 3, comma 2, Cost.), per cui
tutti devono essere messi in condizione di fruire in pari grado – e nonostante le disparità di
partenza – delle libertà e di operare, anche nel campo dei rapporti economici e di lavoro,
senza discriminazioni e con la possibilità di partecipare con strumenti adeguati alla dialettica
aziendale ed ai conflitti di lavoro».
23 PUNZI, C., Repressione della condotta antisindacale, cit., p. 970. Più di recente, ID., La
tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, cit., p. 22 ss.
24 Così, PERA, G., Art. 28 (Repressione della condotta antisindacale), cit., p. 322 s.: il
«sindacato agisce per un interesse superiore a quello meramente privatistico delle parti indi-
viduali, in quello che può ben dirsi, dopo lo “statuto”, l’ordine pubblico sindacale nelle unità
di lavoro» (c.vo mio).
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 517
antisindacale, cit., p. 23, è se sia utile e corretto «l’impiego dello schema sostitutivo o della
mera azione, se il soggetto, investito della legittimazione attiva speciale, fa valere in giudizio
una propria posizione d’interesse tutelata dall’ordinamento». «Il dubbio – prosegue la dot-
trina ora richiamata (p. 26) – è, se, con l’ammissione di un siffatto interesse, non si giunga, in
realtà a negare il carattere eccezionale della norma sul procedimento sommario rispetto alla
regola, per cui chi agisce in giudizio è ordinariamente titolare della situazione giuridica, della
quale invoca la tutela giurisdizionale».
30 TARUFFO, M., Efficacia della pronuncia sul licenziamento per motivi antisindacali, cit.,
p. 1520, che precisa: «tale unico fatto […] ha una diversa efficacia costitutiva nell’ambito
delle due fattispecie, poiché nella prima – quella disciplinata dall’art. 28 – opera come viola-
zione delle libertà sindacali, mentre nella seconda – ovvero quella del rapporto datore-dipen-
dente – costituisce una violazione dei diritti che spettano al lavoratore sulla base del rapporto
contrattuale che lo lega al datore di lavoro». Ed aggiunge: «è facile rilevare, infatti, che, men-
tre il lavoratore che agisce individualmente può solo chiedere che venga dichiarata l’illegitti-
mità del licenziamento (sia pure disposto per motivi sindacali), in quanto privo di giusta
causa o di giustificato motivo, l’organizzazione sindacale che agisce ex art. 28 può solo chie-
dere che si accerti la violazione delle libertà sindacali compiuta dal datore di lavoro» Secondo
questa lettura, dunque, l’antisindacalità del comportamento imprenditoriale non potrebbe es-
sere dedotta in sede di giudizio individuale, ove la garanzia del singolo verrebbe ad essere li-
mitata alla mancanza del giustificato motivo o della giusta causa. Si assite, quindi, a quella
propensione ricostruttiva sovente presente nelle posizioni dottrinali favorevoli al parallelismo
delle azioni (cfr. in particolare la posizione di Vaccarella e, più velatamente, quella di Garo-
falo, su cui infra, §§ 3.1. e 3.2.) indirizzata a determinare un autonomo ambito di applica-
zione dell’azione speciale rispetto a quella individuale. La tesi in esame si espone, dunque, ai
seri dubbi di legittimità costituzionale che più avanti vedremo doversi muovere avverso la tesi
del parallelismo, sebbene in essa sia ben percepibile la convinzione concernente l’impossibi-
lita logico-equitativa di ritenere che il licenziamento illegittimo – illegittimo ai sensi dell’art.
28, ovvero antisindacale – sia diversamente legittimo all’interno del giudizio ordinario. Con-
siderazione, quest’ultima, che – come vedremo infra – porta la dottrina qui in esame ad am-
mettere l’estensione del giudicato emesso in sede di art. 28 anche nei confronti del lavoratore
licenziato. Ma questa ulteriore svolta ricostruttiva introduce elementi di contradditorietà non
secondari nella lettura in questione. Se, difatti, il lavoratore non può dedurre in sede di giu-
dizio ordinario i profili di antigiuridicità che il sindacato può diversamente dedurre nel giu-
dizio speciale, perché ovviamente il profilo dell’antisindacalità non rileva, non appartenendo
quest’ultimo – così è nella ricostruzione proposta da Taruffo – alla fattispecie giuridica costi-
tutiva del suo diritto alla reintegra, appare poco plausibile il ritenere che il giudicato emesso
ex art. 28, contenente l’accertamento dell’antisindacalità del licenziamento, possa rilevare nel
giudizio individuale ordinario. La prospettiva ricostruttiva or ora indicata è stata peraltro og-
getto di rivisitazione da parte della dottrina qui in esame in due diverse occasioni. In un
primo momento, ad esempio, proprio la critica dell’orientamento giurisprudenziale domi-
nante, ha condotto l’A. in questione a dubitare seriamente della natura contrattuale dell’inte-
resse tutelato dal singolo in sede di giudizio ordinario; e ciò proprio per la scarsa plausibilità
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 519
ziamento per motivi antisindacali, in Riv. dir. proc., 1973, p. 596 ss.; cfr. anche ID., Procedi-
mento di repressione della condotta antisindacale e cosa giudicata, in Riv. dir. proc., 1981, p. 1
ss.; ID., Ancora sulla pretesa abrogazione tacita dell’art. 28, terzo comma, legge 20 maggio 1970,
n. 300, in Mass. giur. lav., 1976, p. 733 ss.
32 GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenziamento per motivi antisindacali, cit.,
p. 619.
33 Ciò che peraltro contraddistingue l’impostazione in esame è il fatto che, al ricorrere
di questa ipotesi, l’oggetto della lesione non viene ad essere costituito dal o dai diritti di li-
bertà ed attività sindacale appartenenti al singolo lavoratore, bensì dal diritto – sempre ed
esclusivamente del lavoratore licenziato – alla conservazione del posto. Come, infatti, si af-
520 CAPITOLO SETTIMO
p. 625.
35 «Neppure è possibile elevare a situazione giuridica soggettiva superindividuale il ge-
nerico interesse collettivo ad una stabilità del posto di lavoro, idonea a porre ciascun lavora-
tore in grado di esercitare i suoi diritti sindacali, senza il timore di rappresaglie da parte del
datore di lavoro»: così, GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenziamento per motivi anti-
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 521
dinaria ed in parte straordinaria poiché esso fa valere processualmente, con un’unica do-
manda giudiziale, un proprio diritto ed un diritto del lavoratore licenziato, dal quale inscin-
dibilmente dipende»: così GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenziamento per motivi an-
tisindacali, cit., p. 636; sul punto cfr. anche la posizione di PROTO PISANI, A., Il procedimento
di repressione dell’attività antisindacale, cit., p. 62, su cui v. infra, nota 43. Più in generale, si
tengano presenti le considerazioni avanzate retro, cap. VI, § 5.4.2.1., in cui abbiamo appunto
osservato come la tecnica della sostituzione processuale sia l’unica dogmaticamente corretta
per far sì che, posta la tradizionale concezione intersoggettiva del rapporto giuridico, un mo-
dello di legittimazioni concorrenti possa pervenire a fenomeni di vincolatività erga omnes del-
l’efficacia diretta del giudicato. Nell’impostanzione di Garbagnati il risultato finale è quello
del litisconsorzio necessario, ma ciò non cambia in nulla la validità dell’osservazione appena
fatta. Difatti, nell’ipotesi di concorrenza di azioni volte all’accertamento di un unico effetto
giuridico, la regola del litisconsorzio necessario, non deriva da ragioni di diritto sostanziale
(come accade nelle ipotesi che la dottrina tradizionale riconduce al rapporto plurisoggettivo),
ma unicamente dalla questione – presupposta e fondamentale – che la sentenza debba avere
efficacia – positiva o negativa – nei confronti di tutti i legittimati.
522 CAPITOLO SETTIMO
ss., ma spec. p. 16, e poi p. 22; ID., Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi di efficacia della
sentenza civile e la garanzia costituzionale del diritto di difesa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971,
p. 1252 ss.; ID., La partecipazione delle associazioni sindacali al processo, in ANDRIOLI, V. - BA-
RONE, C.M. - PEZZANO, G., - PROTO PISANI, A., Le controversie in materia di lavoro, Bologna,
1987, p. 551 ss. Occorre però segnalare come in quest’ultimo contributo l’A., a seguito del
consolidarsi della posizione giurisprudenziale – che, come vedremo, ritiene le azioni ordina-
rie e quella speciale autonome ed indipendenti – si discosti dalla sua originaria impostazione,
ritenendo – da un lato – le sue prime tesi ricostruttive in materia non più «del tutto appa-
ganti, perché fondate su di una esasperazione della contrapposizione tra situazione superin-
dividuale dedotta in giudizio dal sindacato e situazione individuale del singolo lavoratore» ed
aderendo – dall’altro lato – alle diverse opinioni a favore del perfetto parallelismo delle
azioni. All’interno delle diverse linee interpretative comunque riconducibili alla tesi del pa-
rallelismo, peraltro, l’adesione ora menzionata è precisamente rivolta alla posizione sostenuta
da Garofalo e da Dell’Olio, ritenendo più opportuno prendere le distanze da quella, pur
sotto diversi aspetti simile, avanzata da Vaccarella (su cui v. infra), nella quale si giunge sì al
parallelismo delle azioni, ma dando massima rilevanza al fatto che l’antisindacalità del licen-
ziamento possa rivestire un ruolo effettivo in termini di possibile declaratoria di illegittimità
del medesimo solo nel giudizio speciale. In relazione a questa particolare prospettazione del
parallelismo, Proto Pisani, valuta detta lettura «sostanzialmente inconciliabile con gli artt.
1343, 1345 c.c. e 4 legge 604-1966 che consentono al lavoratore di impugnare il licenzia-
mento individuale allegando la sua antisindacalità» (La partecipazione delle associazioni sin-
dacali al processo, cit., p. 591, ove, peraltro, non si rileva come nella sostanza anche le tesi di
Garofalo e di Dell’Olio pervengano al medesimo risultato interpretativo-riduttivo dell’azione
sindacale; cfr. infra, § 3.1.1. e nota 94). Comunque occorre ancora precisare che l’adesione
dell’A. – anche in riferimento alle versioni maggiormente apprezzate della teoria del paral-
lelismo – sia tutt’altro che completa, poiché lo stesso Proto Pisani, nell’atto di adesione, da
un lato, sostiene la «parziale identità di petitum e causa petendi» tra le due azioni (circo-
stanza che non sembra corrispondere né al pensiero di Garofalo né a quello di Dell’Olio) e,
dall’altro, evidenzia quanto segue: «è innegabile […] che ove siano proposte nello stesso arco
di tempo sia l’azione ex art. 28 sia l’azione ex art. 18, un problema di coordinamento si
impone, in quanto tutte le norme in tema di connessione sono dirette, sia pure tendenzial-
mente, ad evitare il formarsi di giudicati logicamente contraddittori (e nel caso di specie la
contraddittorietà non sarebbe pratica solo perché i processi si svolgono tra parti diverse)»
(p. 592).
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 523
p. 58 (c.vo mio).
39 Cfr. retro, cap. IV, § 6., per approfondimenti e per i relativi rilievi critici.
40 Cfr. ad es., infra, cap. X, § 3.2.1.1.
41 Si può sin d’ora notare come le difficoltà rilevate nel testo siano conseguenza, non
tanto della particolarità dell’oggetto del giudizio, quanto della sua sostanziale indetermina-
tezza concettuale. Questo problema affligge tutte le posizioni che, per un verso, negano la
possibilità di risolvere le azioni civili a tutela di interessi non esclusivamente individuali me-
diante l’ausilio del tradizionale armamentario concettuale dei diritti soggettivi individuali e,
dall’altro, prefigurano azioni aventi ad oggetto interessi collettivi o superindividuali o pub-
blici o generali, senza affrontare il preliminare ed obbligatorio sforzo di comprendere l’esatta
natura di queste posizioni giuridiche. Questo fenomeno, come vedremo, raggiunge livelli api-
cali in materia antidiscriminatoria e precisamente in relazione alle azioni del consigliere di pa-
rità (su cui infra cap. VIII, spec. § 3.2.1.).
42 La dottrina ora in esame (Il procedimento di repressione dell’attività antisindacale,
cit., p. 28 ss.), infatti, in relazione alla qualificazione della natura della legittimazione ad agire
riconosciuta agli organismi sindacali, sostiene che «la questione è influenzata da un duplice
ordine di fattori: a) in primo luogo dalla problematicità della distinzione tra legittimazione
ordinaria e straordinaria (c.d. legittimazione processuale) nella dottrina processualistica, di-
stinzione che andrebbe riesaminata ab ovo, specie in relazione alla nuova realtà sociale in cui
è chiamata spesso ad operare; b) in secondo luogo dalla stretta, ma diversa a seconda delle
singole ipotesi, interdipendenza tra profili individuali e collettivi degli interessi implicati nel-
l’azione ex art. 28, quale che sia la ricostruzione che si ritenga accogliere con riferimento
524 CAPITOLO SETTIMO
all’individuazione dell’oggetto del processo, interdipendenza che fa sorgere molti dubbi circa
l’utilizzabilità in questo settore della contrapposizione: legittimazione ordinaria-sostituzione
processuale». Sul punto, v. anche la nota che segue.
43 PROTO PISANI, A., in Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi di efficacia della sen-
tenza civile e la garanzia costituzionale del diritto di difesa, cit., p. 1228 a nota 29 e p. 1229, in
cui, in chiave comunque problematica, l’A. accosta la fattispecie in esame a quelle previste
dagli artt. 184, comma 3, 220 c.c., ipotesi che sembrano «addirittura costituire esempio di più
complesse fattispecie caratterizzate da ciò: che un soggetto è legittimato ad agire contem-
poraneamente e cumulativamente in via straordinaria ed in via ordinaria: oggetto del pro-
cesso sarebbe cioè una situazione sostanziale complessa ed inscindibile immediatamente ri-
feribile – nelle ipotesi ex artt. 184 comma 3, e 220 c.c. – sia al marito che alla moglie».
Nel nostro caso, dunque, se si interpreta correttamente il pensiero dell’A., la situazione com-
plessa ed inscindibile sarebbe appunto di titolarità riferibile tanto al sindacato quanto ai la-
voratori. Al di là dei nominalismi, quindi, la tesi proposta è ben diversa da quella avanzata da
Garbagnati al ricorrere di condotte plurioffensive, che pure ha qualificato la legittimazione
ad agire del sindacato come in parte ordinaria ed in parte straordinaria, ma, diversamente da
Proto Pisani, ha anche individuato nell’oggetto del giudizio non una situazione complessa ed
inscindibile, ma una doppia situazione giuridica soggettiva, di cui una di titolarità dell’asso-
ciazione ed una di titolarità del lavoratore. Altri profili si similitudine intercorrono tra la tesi
di Proto Pisani e quella di VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, La legittimazione ad
agire, Milano, 1979, p. 157 ss.; quest’ultimo A. infatti, come si vedrà, qualifica la legittima-
zione ad agire dell’«ente portatore» dell’interesse collettivo, in termini di legittimazione ordi-
naria sui generis, volendo evidenziare con detta specificazione la non perfetta riconducibilità
della legittimazione ad agire delle associazioni, né alla legittimazione straordinaria, né a quella
ordinaria.
44 ROMAGNOLI, U., Aspetti processuali dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, cit., p. 1309
ss.; ID., Commento all’art. 28, in ROMAGNOLI, U. - MONTUSCHI, L. - GHEZZI, G. - MANCINI, F.,
Statuto dei lavoratori, Bologna-Roma, 1972, p. 411 ss.; GHEZZI, G. - ROMAGNOLI, U., Il diritto
sindacale, Bologna, 1988, p. 292 ss. (l’edizione più recente, quella del 1997, risulta più sinte-
tica e priva di svolgimento argomentativo); cfr. anche ID., Attuazione e attualità dello statuto
dei lavoratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, p. 387 ss.
45 Cfr. retro, cap. I, § 2.1. e cap. III, § 3.3.1.2.
46 Cfr. retro, cap. III, § 3.3.1.2.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 525
47 ROMAGNOLI, U., Aspetti processuali dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, cit., p.
1317; GHEZZI, G. - ROMAGNOLI, U., Il diritto sindacale, cit., p. 299.
48 ROMAGNOLI, U., Aspetti processuali dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, cit., p.
1317, in cui, la nozione di giurisdizione sui fatti è ripresa da FRANCHI, G., La litispendenza,
Padova, 1963, p. 30 ss.
526 CAPITOLO SETTIMO
49 Va peraltro detto che, messe da parte le premesse ricostruttive, le tesi favorevoli al-
l’applicazione dell’art. 102 c.p.c. comunque concorderebbero nel ritenere che il lavoratore sia
parte necessaria nel giudizio speciale avviato dal sindacato e non anche il sindacato nel giu-
dizio ordinario individuale (cfr. in particolare GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenzia-
mento per motivi antisindacali, cit., p. 639, per il quale «il sindacato non è litisconsorte ne-
cessario nel processo promosso ex art. 18; ma ciò per l’unica ragione che con l’azione ex art.
18 è fatto valere soltanto il diritto del lavoratore e non anche l’eventuale concorrente diritto
del sindacato»), sebbene poi, per alcuni, il lavoratore dovrebbe essere chiamato a partecipare
sin anche dalla fase sommaria (cfr. ancora GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenzia-
mento per motivi antisindacali, cit., p. 637 ss.), mentre per altri tale circostanza si verifiche-
rebbe solamente instauratosi il giudizio di opposizione (PUNZI, C., Repressione della condotta
antisindacale, cit., p. 984; ID., La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi col-
lettivi, cit., p. 24).
50 Così è per PUNZI, C., Repressione della condotta antisindacale, cit., p. 984; ID., La tu-
tela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, cit., p. 24, che, come visto,
ritiene che al ricorrere di condotte plurioffensive l’oggetto eventuale del giudizio ex art. 28 sia
costituito solo dal diritto alla reintegrazione del lavoratore. Ma a medesima conclusione
giunge GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenziamento per motivi antisindacali, cit., p.
637 ss., pur sulla base del duplice oggetto del giudizio speciale.
51 In questi esatti termini, v. GARBAGNATI, E., Profili processuali del licenziamento per
motivi antisindacali, cit., p. 637 ss. Per la dottrina processualistica che aderisce in via generale
a questo orientamento interpretativo, v. retro, cap. VI, nota 23.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 527
55 LANFRANCHI, L., Prospettive ricostruttive in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori,
cit., p. 433 ss., che esclude la possibilità di richiamare la complessa disciplina prevista dall’art.
102 c.p.c. alla luce delle drastiche conseguenze processuali derivanti dalla mancata integra-
zione del contraddittorio. D’altra parte, però, nel tentativo di raggiungere un giusto punto di
equilibrio tra interessi del sindacato e diritti del lavoratore, la dottrina in esame ravvede altre
alternative possibili da avanzare quali risposte all’indubitabile esigenza di realizzazione del si-
multaneus processus. Si ritiene ad esempio auspicabile l’intervento del singolo in veste di in-
terventore volontario litisconsortile ex art. 105, comma 1, c.p.c. Il coordinamento delle ini-
ziative, però, dovrebbe avvenire solo a seguito della comunicazione del decreto emesso al ter-
mine della fase sommaria e al successivo avvio della fase di opposizione (p. 438). In tal caso
occorrerà distinguere a seconda che dopo la comunicazione del decreto sia promossa l’azione
individuale o, al contrario, che il giudizio ordinario sia pendente e magari sia già giunto ad
una pronuncia conclusiva. Nel primo caso, pendente il giudizio speciale nella fase d’opposi-
zione e promossa l’azione ordinaria, l’A. ritiene si debba procedere alla pronuncia di liti-
spendenza, allorché il lavoratore sia anche intervenuto nella fase di opposizione, allargando
l’oggetto del giudizio mediante la domanda di liquidazione delle obbligazioni a carattere pa-
trimoniale nei confronti del datore di lavoro, mentre, in mancanza di intervento, ritiene ri-
corra più semplicemente un’ipotesi di continenza. Qualora poi sia il giudizio individuale ad
essere avviato per primo e si sia giunti ad una pronuncia conclusiva, escluso ovviamente il
caso in cui questa sia già passata in giudicato, la dottrina in esame sostiene che, in presenza
di una pronuncia favorevole nei confronti del lavoratore, il sindacato rimanga privo di inte-
resse ad agire, mentre, nel caso contrario, si debba ricorrere nuovamente alle ipotesi di con-
nessione esaminate antecedentemente.
56 Cfr. in particolare PROTO PISANI, A., Il procedimento di repressione dell’attività anti-
sindacale, cit., p. 58 s., che ritiene che «il decreto non opposto […] o la sentenza emanata a
seguito del giudizio di opposizione facciano stato sull’esistenza o meno della condotta anti-
sindacale, cioè sulla situazione sostanziale immediatamente riferibile alla comunità dei lavo-
ratori, ed esplichino efficacia riflessa nei confronti del (o dei) singoli lavoratori che siano stati
lesi anch’essi dalla condotta antisindacale». «La pronuncia emanata ex art. 28 accerta, cioè, –
chiarisce la dottrina ora richiamata – l’esistenza o meno di una situazione […] pregiudiziale
rispetto ai diritti individuali riferibili ai singoli e deducibili in giudizio ad es. ex art. 18 in ipo-
tesi di licenziamento»; con la conseguenza che, «in caso di accoglimento del ricorso ex art. 28
il giudizio individuale potrà servire solo alla determinazione delle conseguenze patrimoniali
[…] del licenziamento». Mentre, in caso di rigetto, il lavoratore non potrà «vantare diritti che
trovino un elemento della loro fattispecie costitutiva (causa petendi) nella condotta antisinda-
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 529
cale accertata come inesistente». Ma cfr. anche ID., Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi,
cit., p. 1253 s. La tesi in questione presenta, dunque, marcate affinità con la posizione
espressa da Romagnoli in quanto l’accertamento della situazione riferibile alla comunità dei
lavoratori nella prospettiva qui seguita non sembra essere null’altro che l’antisindacalità della
condotta, sicché l’accertamento di tale questione potrà estendersi ultra partes e vincolare il
giudice chiamato a decidere sulla domanda avanzata dal singolo lavoratore volta a far valere
gli effetti giuridici derivanti dall’illecito antisindacale. A questa posizione aderiscono, come
accennato retro, nota 30, anche SILVESTRI, E. - TARUFFO, M., Condotta antisindacale, cit., p. 12,
per i quali: «vero è […] che il lavoratore non può agire individualmente ex art. 28, ma non è
vero che il lavoratore non possa dedurre, nell’azione individuale ex art. 18, l’antisindacalità
del licenziamento come causa di illegittimità dello stesso, posto che la dizione testuale della
norma (con il rinvio alla legge n. 604/1966) non esaurisce tutte le possibili ipotesi di licenzia-
mento viziato». È su questo presupposto, dunque, che la dottrina in esame – in richiamo
della tesi sostenuta da Proto Pisani – tende ad ammettere un coordinamento tra i giudizi alla
luce del rapporto di pregiudizialità che la questione di antisindacalità avrebbe rispetto l’og-
getto del giudizio ordinario, con la sua possibile sospensione ex art. 295 c.p.c. in attesa della
pronuncia emessa ex art. 28; pronuncia che comunque verrebbe a far stato anche nei con-
fronti del lavoratore singolo nell’eventuale e successivo giudizio ordinario per quel che at-
tiene alla illegittimità del licenziamento. Cfr. peraltro anche TARUFFO, M., Efficacia della pro-
nuncia sul licenziamento per motivi antisindacali, cit., p. 1520.
57 Specialmente in GHEZZI, G. - ROMAGNOLI, U., Il diritto sindacale, cit., p. 299 ss.
58 Così, ROMAGNOLI, Aspetti processuali dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, cit., p.
1324; ID., Commento all’art. 28, cit., p. 445; ma v. anche similmente GHEZZI, G. - ROMAGNOLI,
U., Il diritto sindacale, cit., p. 299.
59 ROMAGNOLI, U., Aspetti processuali dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, cit., p.
60 L’eccezione è come visto rappresentata dalla prima posizione di Taruffo, su cui am-
plius, v. retro, nota 30.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 531
tuto dei lavoratori, Commentario, diretto da G. Giugni, 1979, p. 455 ss.; ma ben più ap-
profonditamente in ID., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit.
62 V. innanzitutto FRENI, A. - GIUGNI, G., Lo Statuto dei lavoratori, cit., p. 115 ss. in cui,
a p. 125, si legge per la prima volta, in materia di repressione della condotta antisindacale,
quanto segue: «risulta […] evidente come le due procedure rispondano a finalità diverse, sic-
ché per ottenere la piena soddisfazione dei due interessi, individuale e collettivo, potrà essere
necessario l’esperimento parallelo di entrambe» (c.vo mio).
63 FRENI, A. - GIUGNI, G., Lo Statuto dei lavoratori, cit., spec. p. 124 s.
64 ASCARELLI, T., Norma giuridica e realtà sociale [1955] ora in Problemi giuridici, Mi-
p. 391 ss., in cui si legge che «la teoria dell’ordinamento intersindacale è stata elaborata con
l’intento specifico di allargare ed articolare il campo di indagine, al di là dei limiti della me-
todologia civilistica. Laddove questa rinvia tendenzialmente a categorie concettuali precosti-
tuite […]» (p. 391).
68 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 128.
69 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 131.
70 L’A. (Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore, cit., p. 129)
richiama JHERING, R., Lo scopo nel diritto (1877-1883), trad. it., Torino, 1972, p. 52 e WEBER,
M., Economia e società (1922), trad. it., V, 1, Milano, 1974, p. 21 ss.
71 DAHRENDORF, R., Classi e conflitto di classe, cit., p. 277 ss.
72 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 172.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 533
cit., p. 156.
74 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 149.
75 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 165. Come chiaramente spiega GIUGNI, G., Diritto sindacale, 1997, p. 73, è con l’atto
di organizzazione del gruppo che «ha luogo la selezione, tra i vari criteri classificatori dei
ruoli produttivi, di quelli intorno ai quali si costituisce il gruppo stesso. Ogni determinazione
aprioristica dell’area sociale di riferimento dell’azione sindacale appare ingannevole, perché,
nella sua sequenza logica, salta il momento fondamentale, e cioè la selezione del criterio di or-
ganizzazione, che, alla luce della stessa esperienza, appare fondato sulla volontà, non sulla ne-
cessità».
76 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 141.
77 Così, GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’impren-
ditore, cit., p. 122, in critica alla posizione espressa da Proto Pisani e da Persiani.
534 CAPITOLO SETTIMO
cit., p. 177.
80 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 177-178 e poi p. 185. Sulla nozione o, più correttamente, sulle diverse nozioni di di-
ritto collettivo avanzate dalla dottrina, v., all’interno di una riflessione generale sugli strumenti
di tutela giuridica degli interessi collettivi, in particolare le osservazioni di Vigoriti (retro, cap.
III, § 3.4.1.4.); in materia di tutela ambientale, invece, v. le osservazioni di Maddalena (infra,
cap. IX, § 3.4.3.) proposte, invece in materia di tutela ambientale. La nozione si è presentata
d’altronde anche in materia di tutela dei consumatori, cfr. infatti cap. X, § 3.2.1.2.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 535
3.1.2. La piena autonomia del giudizio speciale rispetto alle iniziative dei
singoli lavoratori
Da quanto sinora osservato risulta quindi piuttosto agevole rilevare
come nello studio in questione si assista ad uno dei più intensi tentativi
di differenziazione ontologica tra l’interesse collettivo e l’interesse indivi-
duale.
Come già visto – infatti – nei capitoli precedenti e come avremo oc-
casione di evidenziare anche in quelli che seguono, l’antinomia tra i due
concetti ha rappresentanto sovente uno strumento impiegato dalla scienza
81 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 140.
82 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 169.
83 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 179. «Per il lavoratore singolo, infatti, si tratta di difendere la propria posizione giuri-
dica di parte di un rapporto individuale di lavoro dalle reazioni imprenditoriali alla sua atti-
vità strumentale alla realizzazione alla realizzazione del conflitto industriale; per l’organizza-
zione sindacale, invece, si tratta di proteggere la sua capacità di essere la momento il mo-
mento di aggregazione dell’interesse collettivo prescelto» (p. 229).
85 Entrambe le citazioni in GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento anti-
sindacale dell’imprenditore, cit., p. 229, che, peraltro, come chiaramente risulta dall’afferma-
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 537
zione riportata, per quel che riguarda la determinazione del petitum di certo incorre in un ra-
gionamento tautologico, dovuto al fatto che, anche a tal fine, la strada che conduce alla dif-
ferenziazione dei petita è nuovamente rappresentata dalla diversificazione degli interessi tute-
lati e dei beni giuridici protetti, ma risulta piuttosto evidente come tale osservazione sia in-
congrua rispetto all’obiettivo di sistemazione teorica perseguito, poiché tra – ad esempio – la
domanda di reintegrazione rivolta al giudice dal sindacato e la domanda di pari contenuto ri-
volta dal lavoratore al giudice in sede di giudizio ordinario non corre differenza alcuna ed il
fatto che l’obbligo di reintegrazione in un caso trovi fondamento sulla lesione degli interessi
collettivi e nell’altro caso sulla lesione dell’interesse individuale se forse può valere – ma non
vale! – come argomento su cui diversificare le causae petendi di certo non può essere nuova-
mente speso sul piano della determinazione del petitum. Per una panoramica sulle diverse
concezioni in materia di determinazione del petitum, v. di recente CARBONARA, F., Questioni di
merito e idoneità al giudicato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, p. 671 ss., spec. p. 673 nota 3.
86 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 232.
87 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 232 s. Si ritiene, infatti, che non si possa parlare di nesso di pregiudizialità-dipendenza
«in primo luogo perché non si comprende quale processo debba prevalere sull’altro tramite
il vincolo di pregiudizialità, ma soprattutto perché questa relazione si realizza quando la si-
tuazione pregiudiziale è un elemento della fattispecie costitutiva della situazione dipendente.
Nella nostra ipotesi, invece, né la libertà sindacale del singolo deriva da quella del gruppo
[…], né quella del gruppo da quella del singolo lavoratore».
88 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 236.
89 GAROFALO, M.G., Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore,
cit., p. 234, che appunto esclude apoditticamente la ricorrenza nella fattispecie in questione
di quell’atto unico ed indivisibile che avrebbe potuto giustificare il regime indicato e che,
d’altra parte, ben poteva essere rinvenuto nel licenziamento antisindacale. Sul concorso sog-
gettivo di azioni, v. retro, cap. VI, nota 104.
90 Proprio la risoluzione di delle «identiche questioni» richiamate dal disposto dell’art.
103 c.p.c., induce la dottrina in esame ad ammettere l’utilizzazione degli strumenti proces-
suali idonei a consentire lo svolgimento del simultaneus processus al fine di rendere armoni-
che le due decisioni, ma compatibilmente con i vincoli strutturali imposti dal procedimento;
sicché, pendente il giudizio speciale, nella fase sommaria sarà possibile unicamente un inter-
vento adesivo dipendente del lavoratore direttamente inciso dalla condotta, mentre nella fase
di opposizione le possibili alternative si apriranno anche all’intervento volontario di tipo liti-
sconsortile, nonché a quello su chiamata di parte o iussu iudicis.
538 CAPITOLO SETTIMO
Per quanto attiene poi ai limiti soggettivi del giudicato emesso nei
rispettivi giudizi, l’accertamento del diritto del sindacato alla repressione
della condotta antisindacale ottenuto in sede di giudizio speciale avrebbe
efficacia vincolante solo riguardo alle parti, ovvero il sindacato e il datore
di lavoro, senza possibilità alcuna che il medesimo abbia effetto – nem-
meno riflesso – nei confronti del lavoratore rimasto terzo, il quale potrà
unicamente avvantaggiarsi in via di fatto della materiale reintegrazione
nel posto di lavoro.
Sempre secondo questo orientamento, poi, lo stesso discorso do-
vrebbe valere per il giudizio ordinario individuale, ove il giudicato, anche
se di esito sfavorevole per il lavoratore attore, non costituirà alcun vin-
colo per la proposizione della domanda su iniziativa del sindacato nel
giudizio di repressione della condotta antisindacale potendosi, dunque,
pervenire a pronunzie di segno opposto; si potrebbe, ad esempio, otte-
nere la dichiarazione d’illegittimità del comportamento con il conse-
guente ordine di reintegrazione del lavoratore licenziato nel giudizio spe-
ciale e poi, magari in seguito, veder rigettata la domanda di pagamento
del risarcimento del danno proposta dal lavoratore nel giudizio ordina-
rio, alla luce della perfetta legittimità del recesso da parte dell’imprendi-
tore, senza potersi d’altra parte parlare di contraddittorietà di giudicati,
visto che i due accertamenti avrebbero ad oggetto diritti distinti, unica-
mente accomunati dalla eventuale identità del facere che ne costituisce il
contenuto.
anche, per ulteriori spunti, ID., Profili processuali della legge sull’esercizio del diritto di sciopero
nei servizi pubblici essenziali, in Riv. dir. proc., 1991, p. 466 ss.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 539
l’azione del singolo lavoratore sulla scorta della contrapposizione tra l’in-
teresse collettivo e l’interesse individuale92, evidenziando il rischio di raf-
figurare – al di là dei nominalismi – due procedure comunque accomu-
nate dall’«accertamento dei medesimi fatti costitutivi» e confluenti in
«provvedimenti del tutto fungibili»93.
Per questa via si è dunque messa a nudo la necessità di giustificare
la diversificazione dei percorsi processuali e l’autonomia degli stessi alla
luce della previa differenziazione dei criteri di sindacabilità della con-
dotta imprenditoriale: «il vero problema – si è acutamente osservato –
consiste nello stabilire se l’art. 28 abbia creato una tutela non concessa da
altre norme dello Statuto e, quindi, reso ‘giustiziabili’ situazioni di van-
taggio altrimenti non deducibili in giudizio»94.
118, nota 11. Rileva infatti l’A. (p. 69), richiamando l’opinione di Lanfranchi, che «la tesi
della sostituzione processuale […] ha avuto buon gioco nel mostrare, in modo definitivo, l’in-
sostenibilità del presupposto sostanziale su cui si fonda la teoria del c.d. parallelismo delle
azioni e, inoltre, nell’indicare un modo di risolvere il problema del possibile conflitto di giu-
dicati più soddisfacente che non il ricorso al litisconsorzio necessario o alla dubbia categoria
della giurisdizione sui fatti – e proseguendo in chiave critica rispetto alla stessa tesi delle so-
stituzione –, ma essa ha utilizzato solo parzialmente il momento processuale nella (necessa-
riamente contestuale) verifica e costruzione del momento sostanziale, avendo trascurato di
analizzare l’oggetto del giudizio individuale correlato a quello ex art. 28 e di dare adeguato ri-
lievo alla struttura del procedimento ex art. 28».
94 VACCARELLA, R., Il procedimento di repressione della condotta antisindacale, cit., p. 65.
distinti, ma inoltre ravvedono nel procedimento per la repressione della condotta antisinda-
cale l’esistenza di indici positivi a carattere squisitamente processuale, tali da dare definitiva
conferma circa la natura collettiva degli interessi in questo tutelati: la legittimazione esclusiva
attribuita all’associazione sindacale; «la forma urgente [del provvedimento conclusivo] come
forma di tutela giurisdizionale ordinaria»; «la maggiore accentuazione dei poteri istruttori del
giudice»; «il contenuto del provvedimento conclusivo della fase sommaria» (così, CECCHELLA,
C., Coordinamento tra azione individuale e azione sindacale nel procedimento ex art. 28 dello
Statuto dei lavoratori, in Riv. it. dir. lav., 1984, I, p. 408 ss., spec. 441; di cui v. anche ID., Di-
versità tra giudizio individuale ex art. 18 st. lav. e giudizio sindacale ex art. 28 stesso statuto:
questioni di competenza territoriale, in Giust. civ., 1984, I, p. 1865 ss.; ID., Repressione della
condotta antisindacale e terzi (a seguito della l. 12 giugno 1990, n. 146), in Riv. it. dir. lav.,
1992, I, p. 494, spec. 515; ID., La tutela giurisdizionale nella riforma del pubblico impiego, in
Riv. trim. dir. proc., 1995, p. 1339, spec. 1371 ss.). Va peraltro evidenziato che, come in pre-
cedenza indicato, esistono anche posizioni dottrinali che, pur non diversificando le fattispe-
cie costitutive poste a fondamento delle rispettive domande, ossia ritenendo che l’antisinda-
calità del licenziamento sia deducibile tanto all’interno del procedimento speciale quanto in
quello ordinario ed instaurato dal singolo lavoratore, ciononostante propendono per il paral-
lelismo delle azioni. Per una prima tesi, ad esempio, «la situazione di interesse del sindacato
che agisce in base all’art. 28, consiste in un diritto soggettivo proprio del sindacato, che ha ad
oggetto la conservazione e il rispetto dell’esercizio della libertà e dell’attività sindacale e del
diritto di sciopero nei luoghi di lavoro, contro le condotte impeditive o di ostacolo poste in
essere dal datore di lavoro» (CIPRESSI, P., I comportamenti antisindacali del datore di lavoro,
cit., p. 169). Se sotto questo profilo, quindi, la posizione ora richiamata è assai simile alle pre-
cedenti, d’altro canto ciò che la distingue dalle altre teorie favorevoli al parallelismo è la let-
tura unificante del coordinato disposto degli artt. 15, lett. b), e 18 dello Statuto, da un lato, e
28, dall’altro. Infatti, per questa dottrina, «la fattispecie di discriminazione sindacale di cui al-
l’art. 15 “coincide puntualmente” con quella prevista nell’art. 28» e «tale coincidenza, poi,
non riguarda soltanto i mezzi ed i modi delle violazioni dei divieti di discriminazione sinda-
cale e di comportamento antisindacale, ma anche l’accertamento delle violazioni stesse» (p.
98 e poi p. 112 ss., in cui si parla appunto di «coincidenza della fattispecie di discriminazione
sindacale di cui all’art. 15 con quella prevista nell’art. 28»). Cosicché, anziché mirare all’indi-
viduazione di un surplus di tutela offerto dall’art. 28 – come abbiamo visto fare nelle tesi
poc’anzi esposte – si assegna proprio alla nozione di discriminazione il ruolo di strumento
esegetico in grado di armonizzare il quadro delle tutele individuali e collettive. Ugualmente
rivolta a sostegno del parallelismo delle azioni è poi la posizione della dottrina processualci-
vilistica a cui già abbiamo dedicato ampio spazio in sede di esame dei diversi contributi de-
dicati allo studio delle tecniche di tutela degli interessi sovraindividuali (cfr. retro, cap. III, §
3.4.1.4.). Il riferimento è rivolto a quella teoria, che, alla luce – lo si ricorderà – di una rico-
struzione volta a dare particolare rilevanza al momento organizzatorio dei diversi interessi ap-
partenenti al collettivo, ha ritenuto che il sindacato sia legittimato all’esercizio dell’azione per
la tutela degli interessi collettivi dei lavoratori, in qualità di legittimato ordinario sui generis
(così, VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 149 ss.). Più precisamente l’azione spe-
ciale di repressione della condotta antisindacale mirerebbe alla tutela «dei diritti soggettivi di
cui sono titolari individualmente i singoli lavoratori, e a cui si aggiunge un diritto soggettivo
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 541
dotta antisindacale, cit., p. 42 s. – come […] la causa petendi della domanda proposta dal la-
voratore sia sempre la stessa, sia quando s’impugni il licenziamento per mancanza di giusta
causa o di giustificato motivo, sia quando se ne deduca l’inefficacia per difetto delle forme
prescritte dall’art. 2, sia quando, infine, se ne assuma la nullità perché disposto per motivi po-
litici, religiosi o sindacali: il fatto costitutivo della domanda, cioè, è sempre dato dall’esistenza
del rapporto di lavoro e dal successivo licenziamento (impugnato ex art. 6 legge n. 604)».
96 VACCARELLA, R., Il procedimento di repressione della condotta antisindacale, cit., ri-
spettivamente a p. 46 e 49. «Ancora deve notarsi – sostiene l’A. – che l’espressa qualificazione
di nullità attribuita al licenziamento antisindacale […] significa che è attribuito al giudice il
potere di rilevare ex officio che quel licenziamento, privo di giusta causa o giustificato motivo,
è stato in realtà determinato da motivi antisindacali, per cui sembra non solo di poter esclu-
542 CAPITOLO SETTIMO
p. 78 ss.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 543
negato la legittimazione ad agire delle associazioni sindacali non riconosciute per la tutela del-
l’interesse collettivo (cfr. Cass., S.U., 27 maggio 1955, n. 1612, in Giur. it., 1956, I, 1, p. 427
ss. Sul tema, v. ROMAGNOLI, U., Le associazioni sindacali nel processo, Milano, 1969, p. 70 ss.).
La Corte esclude espressamente che «l’organismo sindacale possa agire unicamente in surro-
gazione in sostituzione o in ausilio del singolo e non come titolare di un interesse autonomo
e indipendente da quello del lavoratore»; l’ipotesi della sostituzione processuale è scartata im-
plicitamente da tutte le decisioni nel loro riferirsi all’esercizio, da parte del sindacato, di un
suo interesse collettivo, ma per una presa di posizione espressa, v. Cass., 26 gennaio 1979, n.
602, in Foro it., 1979, I, p. 945; in Giust. civ., 1979, I, p. 824; Cass., 10 dicembre 1983, n.
7313, in Mass. giur. lav., 1984, p. 91 ss.
104 Ci riferiamo a C. cost. 6 marzo 1974, n. 54 in Foro it., 1974, I, p. 963, con nota di
G. Pera; in Giust. civ., 1974, III, p. 180; in Giust. cost., 1974, p. 199; in Riv. giur. lav., 1974,
II, p. 338; in Mass. giur. lav., 1974, p. 3.
105 Si noti, ad esempio, che in una successiva sentenza (C. cost., 21 luglio 1988, n. 860,
in Foro it., 1989, I, p. 623 ss) avente ad oggetto l’illegittimità costituzionale dell’art. 28 in re-
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 547
lazione alla possibilità che la pronuncia ivi emessa si ponga in contrasto di giudicato rispetto
alle decisioni emesse in sede individuale, la Consulta ha respinto la questione tra l’altro so-
stenendo in riferimento all’azione individuale e a quella sindacale che «nei due giudizi la con-
dotta del datore di lavoro è esaminata, ricostruita, valutata da angolazioni e con finalità
profondamente differenti, dal momento che il giudice del procedimento repressivo speciale è
chiamato a verificare se l’atto o il comportamento del datore di lavoro abbia leso gli interessi
collettivi di cui sono titolari esclusivi le associazioni sindacali, mentre il giudice dell’azione in-
dividuale ha il compito di controllare la legittimità del medesimo atto o comportamento sul
terreno della disciplina del rapporto di lavoro».
106 Cass., 24 maggio 1976, n. 1050, in Mass. giur. lav., 1976, p. 220, con nota di GARBA-
GNATI, E., Ancora sulla pretesa abrogazione tacita dell’art. 28, terzo comma, legge 20 maggio
1970, n. 300, cit., p. 733 ss.; in Giur. it., 1976, p. 477, con nota di TARUFFO, M., Competenza e
procedimento per l’opposizione ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori; la distinzione tra gli ele-
menti soggettivi e oggettivi delle azioni è spesso sinteticamente richiamata dalle decisioni, ma
per una presa di posizione più netta, in una prospettiva assai simile a Cass. n. 1050/76, v. Cass.,
23 giugno 1976, n. 2343 e Cass., 3 giugno 1976, n. 1986, entrambe in Giur. it., 1976, p. 451,
con nota di PERA, G., Il procedimento di repressione della condotta antisindacale ed il rito del la-
voro; Cass., 16 dicembre 1986, n. 7561, in Mass. giur. lav., 1987, p. 41, che però, in termini si-
curamente più equivoci rispetto all’orientamento appena richiamato sostiene che nelle due
azioni «variano […] i soggetti attivi, che sono i sindacati e i lavoratori; le causae petendi, che
sono rispettivamente la lesione del diritto al legittimo esercizio delle attività sindacali e le le-
sioni di diritti del singolo; e gli stessi petita, che, anche quando (in tutto o in parte) coincidano
nell’oggetto materiale, ontologicamente si distinguono tra loro in quanto intesi, rispettiva-
mente, ad ottenere la rimozione di condizionamenti anti-sindacali, o la riconduzione […] delle
posizioni delle parti alla funzionalità del sinallagma contrattuale». Si ripropone in altri termini,
la commistione concettuale tra profili attinenti alla causa petendi e profili invece appartenenti
al petitum, che abbiamo avuto già modo di rilevare nella tesi di Garofalo (v. retro, nota 85).
548 CAPITOLO SETTIMO
4.2. Uno sguardo oltre i principi: l’individuazione dei limiti esatti in cui
viene ad essere intesa l’autonomia e l’indipendenza delle azioni
Come detto poc’anzi, i principi enucleati da questo primo gruppo di
decisioni costituiscono le coordinate di costante riferimento della giuri-
sprudenza successiva pronunciatasi in materia di oggetto ed effetti del
giudizio di repressione della condotta antisindacale.
Se, d’altro canto, si procede ad un esame più attento della giuri-
sprudenza, emergono piuttosto chiaramente gli elementi di dettaglio che
meglio chiariscono non solo i limiti in cui la tesi del parallelismo delle
azioni è stata nel tempo accolta, ma anche in che misura il frequente rin-
vio alla figura dell’interesse collettivo debba essere intesa.
Iniziando l’analisi dal profilo riguardante l’effettivo grado di auto-
nomia e separatezza attribuito dalla giurisprudenza al giudizio antisinda-
cale rispetto alle azioni ordinarie, va in primo luogo rilevata la frattura tra
le decisioni, che hanno raffigurato le diverse procedure in un rapporto di
piena ed assoluta autonomia e le decisioni che al contrario hanno preso
atto di significativi punti di interferenza tra i due itinera processuali.
Così, per un primo e numeroso gruppo di pronunzie, il procedi-
mento ex art. 28, prima nella fase sommaria e poi nella eventuale fase di
cognizione piena, si instaura, si svolge e si conclude in maniera perfetta-
mente indipendente rispetto le sorti del giudizio ordinario avviato dal la-
voratore107, potendo questi unicamente intervenire nel giudizio speciale
107 Per una prospettazione particolarmente incisiva del parallelismo, v. Cass., 1 giugno
1987, n. 4824, in Lav. prev. oggi, 1987, p. 1871, in cui la «distinzione ontologica delle azioni»
conduce ad una «reciproca indifferenza» delle procedure, sicché «l’esperimento di una di
esse non può incidere sulle vicende e sulla sorte dell’altra». Cfr. anche Cass., 10 dicembre
1983, n. 7313, cit., in cui si sostiene che le due azioni, «si pongono tra loro in rapporto di pa-
rallelismo e non già di pregiudizialità o di continenza o di specialità»; Cass., 22 ottobre 1983,
n. 6216, in Giust. civ., 1984, I, p. 1864, che però, pur rilevando la diversità degli elementi sia
oggettivi che soggettivi delle azioni, ritiene che anche nell’azione individuale il lavoratore
chieda la tutela di un «proprio diritto alla libertà sindacale»; Cass., 26 gennaio 1982, n. 515,
in Foro it., 1982, I, 1043; in Lav. 80, 1982, p. 317; Cass., 16 dicembre 1986, n. 7561, cit., in
cui si sostiene che le rispettive azioni «si svolgano autonomamente anche se esercitate in liti-
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 549
sconsorzio in uno stesso processo, senza reciproche interferenze […] e con la possibilità di
esiti diversi, ma non perciò – stante la rilevata distinzione ontologica – contraddittori»; Cass.,
21 ottobre 1997, n. 10339, in Riv. giur. lav., 1998, II, p. 331, con nota di BELLINI, M.L., Re-
pressione della condotta antisindacale: verifica dei requisiti per la concessione del provvedimento
repressivo; Cass., 9 ottobre 2000, n. 13456, in Dir. prat. lav., 2001, fasc. 14, p. 940; di recente,
v. Cass., 6 giugno 2005, n. 11741, in Riv. giur. lav., 2006, II, p. 323 ss., con nota di GAROFALO,
M.G., Attualità della condotta antisindacale e tempestività della proposizione dell’azione, in cui
viene ad essere ribadita la piena autonomia delle azioni, la specificità degli elementi identifi-
cativi dell’azione del sindacato, l’ontologica differenza tra interessi collettivi ed interessi indi-
viduali.
108 A favore dell’intervento adesivo dipendente: Cass., S.U., 6 maggio 1972 n. 1380,
cit.; Cass., 28 gennaio 1982, n. 515, cit.; Cass., 12 maggio 2005, n. 9950, in Guida lav., 2006,
fasc. 31, p. 29; in Not. giur. lav., 2005, p. 761 ss.; Cass., 6 giugno 2005, n. 11741, cit.; per
quello autonomo: Cass., 29 marzo 1979, n. 1826, cit.; Cass., 10 dicembre 1983, n. 7313, cit.;
Cass., 16 dicembre 1986, n. 7561, cit.
109 Cass. 24 maggio 1976, n. 1050, cit.
110 Per riprendere un’efficace espressione di MAZZOTTA, O., nella nota di commento a
111 Cass., 27 febbraio 1979, n. 1313, cit.; Cass., 13 giugno 1977, n. 2443, in Rep. Foro
it., 1977, voce Sindacati, nn. 174 e 205; Cass., 15 aprile 1976, n. 1366, in Foro it., 1976, I,
1132.
112 Cass., 27 febbraio 1979, n. 1313, cit.
113 In questa decisione la Corte richiama l’attenzione su tre aspetti: a) l’autonomia ed il
tenza il rigetto delle tesi che distinguono esasperatamente, specie sotto il profilo delle causae
petendi, le due azioni, dall’altro, avvicinare questa prospettiva a quella avanzata, in termini e
con sfumature anche distinte, dalle opinioni della dottrina che, all’interno della tesi c.d. del
concorso, ha posto l’accento, da un lato, sull’autonomia dell’azione sindacale – in particolar
modo sub specie di negazione del richiamo della disciplina del litisconsorzio necessario – dal-
l’altro sulla necessità di ammettere forme di interferenza tra le due procedure, quanto meno
in termini di efficacia ultra partes dell’accertamento del carattere antisindacale del comporta-
mento. Così, infatti, accade nelle letture del rimedio proposte da Taruffo, Proto Pisani, e Ro-
magnoli; dovendosi al contrario escludere la tesi avanzata da Lanfranchi, per stessa ammis-
sione della Corte, che nella decisione qui richiamata ha affermato che, al ricorrere di condotte
plurioffensive, sebbene «la locuzione testuale dell’art. 28 autorizzi a ritenere leso un solo di-
ritto (quello pertinente al rapporto individuale di lavoro) e legittimate due azioni (delle quali
quella del sindacato dovrebbe configurarsi come mera azione conferita nel pubblico interesse
ed a tutela dell’ordine pubblico)», ciononostante il fenomeno giuridico in questione è costi-
tuito dalla «scissione di un’unica situazione di vantaggio preesistente (libertà ed attività sin-
dacale e diritto di sciopero) – caratterizzata dall’essenza individuale della titolarità e della ri-
levanza collettiva dell’esercizio – nei due momenti di proiezione e l’attrazione di ciascuno di
essi nell’orbita di distinti mezzi di tutela con distinte ed autonome legittimazioni».
114 Cass. 21 aprile 1983, n. 2753, in Giust. civ., 1984, p. 243; ma contra, Cass. 16 di-
in Dir. lav., 1983, II, p. 50; decisione, quest’ultima indicata, di recente ripresa e confermata
da Cass., 12 maggio 2005, n. 9950, cit., a cui adde, Cass. 25 luglio 1984, n. 4374, in Giust. civ.,
1984, I, p. 3005; in Not. giur. lav., 1984, p. 548; Cass. 27 maggio 1982, n. 3250, in Rep. Foro
it., 1982, Sindacati, n. 117; evidenzia, pur nella diversità oggettiva e soggettiva delle azioni, la
funzione di tutela di un diritto di libertà sindacale dell’azione individuale anche Cass., 22 ot-
tobre 1983, n. 6216, cit.
552 CAPITOLO SETTIMO
1976, n. 1050, cit.; LANFRANCHI, L., Situazioni giuridiche individuali a rilevanza collettiva ed at-
tuazione della condanna alla reintegrazione del lavoratore, cit., p. 371; ma v. anche le osserva-
zioni di SANTORO-PASSARELLI, F., Diritto soggettivo e interesse legittimo dei sindacati al rispetto
della libertà sindacale nei luoghi di lavoro, cit., p. 5.
118 La decisione in cui è dato rinvenire la presentazione più estesa ed argomentata del-
l’azione speciale ex art. 28 come strumento tipicamente volto a tutela degli interessi collettivi
è forse Cass., 3 giugno 1976, n. 1986, cit. In tal caso, infatti, si è sostenuto in termini espressi
– seppur sempre all’insegna di una modalità espositiva a carattere descrittivo e non dimo-
strativo – che «la particolare rilevanza dell’istituto della repressione della condotta antisinda-
cale introdotto con l’art. 28 dello Statuto dei lavoratori va ricercata […] in ciò, che con esso
il legislatore ordinario sancisce per la prima volta (predisponendone concretamente e specifi-
camente la realizzazione con disposizioni sulla legittimazione, sulla competenza, sul rito) la
tutela giurisdizionale di una classe di quegli interessi collettivi (in ordine di latitudine cre-
scente: di gruppo, di collettività, di categoria), della cui azionabilità davanti al giudice si av-
verte sempre più intensamente e diffusamente la esigenza».
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 555
119 Cass., 17 ottobre 1998, n. 10324, in Rep. Foro it., 1998, voce Sindacati, n. 88, per la
quale, «l’interesse a cui l’art. 28 […] collega la legittimazione attiva […] non è solo quello alla
libertà sindacale propria del sindacato ricorrente, poiché l’interesse tutelato è, in termini più
ampi, quello alla libertà di tutti i lavoratori e di tutti i sindacati».
120 Cass., 23 giugno 1976, n. 2343, cit., per la quale «lo scopo del legislatore, quindi,
non è stato quello di tutelare le ragioni del singolo lavoratore, bensì l’altro – diverso – di ga-
rantire gli interessi del mondo del lavoro che trascendono l’individuo ed attengono alla vita
nazionale»; diversamente, Cass., 26 gennaio 1979, n. 602, cit., ripresa poi nei medesimi ter-
mini da Cass., 22 aprile 1992, n. 4839, cit., e da P. Firenze, 2 dicembre 1997 cit. In queste ul-
time decisioni, relativamente alla medesima problematica, si legge che, «poiché il sindacato
ha in ogni caso un interesse autonomo e indipendente da quello del lavoratore, deve esclu-
dersi la necessità di un collegamento “personale” con quest’ultimo, collegamento che do-
vrebbe concretarsi nell’appartenenza del lavoratore al sindacato. In altri termini, poiché agi-
sce non come rappresentante dei suoi associati, bensì come titolare e gestore autonomo del-
l’interesse collettivo alla realizzazione dei diritti sociali dei singoli lavoratori, è da ritenere che
tale interesse sussista anche se il singolo lavoratore non è iscritto al sindacato agente o non è
inquadrato in alcuna organizzazione sindacale e che esso non venga meno per il fatto che lo
stesso sindacato non sia ‘presente’ nell’azienda».
556 CAPITOLO SETTIMO
121 Per una sintesi delle sentenze della Cassazione sul punto, cfr. Cass., 17 marzo 1995,
n. 3105, pronunzia in cui vengono richiamate le antecedenti decisioni della Corte a cui si fa
riferimento nel testo (Cass., 29 marzo 1979, n. 1826, in Foro it., 1979, I, 1443, con nota di O.
Mazzotta; in Mass. giur. lav., 1979, p. 756; in Not. giur. lav., 1979, p. 560 e Cass. 6 marzo
1987, n. 2392, in Giust. civ., 1987, I, 2595; in Not. giur. lav., 1987, p. 270; in Giur. it., 1988,
I, 1, p. 98). Sulla stessa linea si pongono alcune decisioni anche di merito, nelle quali si sot-
tolinea che gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali non sono legittimati ad
agire ex art. 28 per la tutela degli interessi collettivi nazionali (P. Roma, 21 novembre 1994, in
Not. giur. lav., 1994, p. 721), oppure ove si afferma che il solo conflitto preso in considera-
zione dall’art. 28 è quello tra datore e sindacato all’interno di una determinata azienda, do-
vendosi escludere che l’associazione sindacale possa agire sul mero presupposto delle proprie
funzioni istituzionali di rappresentanza degli interessi collettivi dei lavoratori (T. Roma, 1°
giugno 1998, in Not. giur. lav., 1998, p. 263), oppure ancora dove si sostiene che l’art. 28 tu-
teli unicamente i diritti sindacali lesi nei luoghi di lavoro e non l’interesse collettivo generale
(P. Roma, 21 febbraio 1996, in Not. giur. lav., 1996, p. 14; in Mass. giur. lav., 1996, p. 159).
122 Cass., 8 agosto 1997, n. 7368, cit.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 557
123 Cass., S.U., 26 luglio 1984, n. 4411; Cass., S.U., 26 luglio 1984, n. 4399; Cass., S.U.,
26 luglio 1984, n. 4397; Cass., S.U., 26 luglio, 4390; Cass. 26 luglio 1984, n. 4389; Cass., S.U.,
26 luglio 1984, n. 4386, tutte in Foro it., 1984, I, p. 2105 ss., con nota di A. PROTO PISANI.
124 Le parti riportate sono tratte da Cass., S.U., 26 luglio 1984, n. 4390, cit.
558 CAPITOLO SETTIMO
125 V., tra le altre, Cass., 22 aprile 1992, n. 4839, cit.; Cass., 10 dicembre 1983, n. 7313,
cit.; Cass., 26 gennaio 1979, n. 602, cit. L’insanabile contraddizione presente in tale afferma-
zione è spiegata agevolmente dalla considerazione, che, come rapidamente accennato nel te-
sto, o l’interesse è riferibile ad un gruppo di soggetti intesi nel loro insieme ed allora avrà
senso parlare di interesse collettivo, oppure l’interesse sarà riferibile ad un soggetto singolo
ed allora sarà semplicemente e sempre individuale. Ora, visto che, sino a prova contraria, l’as-
sociazione sindacale, in quanto associazione non riconosciuta, comunque dotata di soggetti-
vità giuridica, è per diritto positivo trattata alla stregua di un soggetto individuale, sia in am-
bito sostanziale, che processuale, allora il riferimento alla titolarità dell’interesse collettivo da
parte del sindacato porta alla necessaria alternativa secondo la quale o l’errore è insito nel vo-
ler riferire la titolarità all’associazione o l’errore è diversamente legato alla qualificazione col-
lettiva della natura dell’interesse.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 559
5. Considerazioni ricostruttive
5.1. La rilevanza paradigmatica del dibattito in materia di azione «ex» art.
28 e gli influssi di ordine «lato sensu» politico che lo hanno caratte-
rizzato
Concluso lo studio critico della significativa giurisprudenza svilup-
patasi attorno all’interpretazione della controversa norma in esame, ci
troviamo ad un punto del nostro itinerario di riflessione in cui sono ora-
mai acquisiti tutti gli elementi di specificità che appartengono al dibattito
in materia.
Elementi, che si presentano non solo riferiti alla corretta ricostru-
zione del rimedio processuale in questione, ma che più latamente chiari-
scono l’ambiente operativo entro cui il dibattito di studio si è sviluppato
specie nel corso dei primi anni di applicazione della norma.
Già nelle prime pagine di questo capitolo avevamo evidenziato
– quale chiave di lettura privilegiata – il contenuto lato sensu politico, che
lo strumento in questione veniva ad assumere all’interno del conflitto tra
datore e lavoratori, ovvero il ruolo effettivamente promozionale che lo
stesso art. 28 dello Statuto mutuava dal quadro generale della normativa
di sostegno.
Questo aspetto è effettivamente fondamentale per inserirsi con pro-
fitto nel dibattito in materia e ciò sotto due separati seppur connessi
profili.
In primo luogo, questa opera di contestualizzazione storica è utile
per procedere ad una lettura più serena ed attuale della norma, specie
alla luce delle indicazioni sistematiche che ora giungono dall’odierno
quadro positivo che il nostro ordinamento prevede nel campo della tu-
tela degli interessi collettivi; e ciò con possibili ed interessanti ricadute
interpretative che possano ampliare il grado di effettività che il rimedio
ha da sempre posseduto.
In secondo luogo, l’acquisita consapevolezza circa la doverosa opera
di contestualizzazione or ora menzionata illumina più chiaramente le ra-
gioni di fondo che hanno contrapposto la dottrina sul piano delle scelte
tecniche.
560 CAPITOLO SETTIMO
131 Per la distinzione tra libertà di associazione e libertà sindacale, oltre ai riferimenti
presenti alla note che segue, v. in particolare PERSIANI, M., Saggio sull’autonomia privata col-
lettiva, Padova, 1972, p. 43 ss.; RUSCIANO, M., Libertà di associazione e libertà sindacale, in
Riv. it. dir. lav., 1985, I, p. 585 ss.
132 Sulla dimensione collettiva della libertà sindacale, v., in particolare, GIUGNI, G., Sub
art. 39, in Commentario alla Costituzione, Rapporti economici, I, a cura di G. Branca, Bo-
logna-Roma, 1979, p. 257 ss., che, peraltro, valorizzando il termine «organizzazione» presente
al primo comma dell’art. 39 Cost., giunge all’esito interpretativo secondo cui la titolarità di
tale posizione costituzionale spetterebbe al singolo nella fase preliminare e formativa del
corpo intermedio, ovvero nella fase costitutiva, di proselitismo, divenendo poi collettiva nel
momento successivo dell’attività sindacale. Più in generale, sull’argomento, v. PROSPERETTI,
U., Libertà sindacale (Premesse generali), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, p. 494 ss.; ID., La
libertà sindacale, in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da L. Riva Sanseverino e
G. Mazzoni, I, Padova, 1971, p. 5 ss.; GIUGNI, G., Libertà sindacale, in Dig. disc. priv.,
sez. comm., IX, Torino, 1993, p. 17 ss.; BALDUCCI, C., Libertà: X) Libertà sindacale, in
Enc. giur. Trec., XIX, Roma, 1990. Sulla libertà sindacale, nella manualistica più recente,
v. CARINCI, F. - DE LUCA TAMAJO, R. - TOSI, P. - TREU, T., Diritto del lavoro, I, Il diritto sinda-
cale, Torino, 2006, p. 53 ss.; GALATINO, L., Diritto sindacale, Torino, 2006, p. 1 ss.; GIUGNI,
G., Diritto sindacale, Bari, 2006, p. 23 ss.; PERSIANI, M., Diritto sindacale, Padova, 2005, p.
19 ss.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 565
Condotta antisindacale del datore di lavoro e atti discriminatori, cit., p. 29-30, in riferimento
alla costituzionalità della legittimazione ad agire esclusiva.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 567
139 Che è appunto l’ottica del perseguimento (cfr. retro, cap. IV, §§ 6.3. e 7.), sulla quale
si apprezzano le dinamiche di uniformazione degli interessi all’interno del gruppo e non la
struttura dell’interesse collettivo. Questa prospettiva, peraltro, è stata seguita in dottrina fon-
damentalmente nello studio addietro esaminato di Garofalo, in cui l’ontologica differenzia-
zione dell’interesse collettivo rispetto all’interesse individuale è stata conseguita proprio ar-
gomentando sulla base del momento organizzatorio come veicolo di sintesi e luogo di supe-
ramento delle contrapposizioni tra diversi interessi individuali. D’altro canto, come già visto
nel capitolo IV di questo lavoro, in cui ci siamo soffermati sugli elementi lato sensu struttu-
rali dell’interesse, il concetto di interesse collettivo inteso come sintesi degli interessi indivi-
duali rappresenta l’esito di un’indagine fenomenologica che non attiene alla struttura dell’in-
teresse, ma alla determinazione delle condizioni che garantiscono il soddisfacimento dello
stesso; e ciò in ragione del fatto che sovente il realizzarsi della situazione favorevole dipende
da un comportamento umano coordinato e uniforme. Precisato, dunque, che il concetto di
sintesi degli interessi individuali non serve a determinare la struttura dell’interesse collettivo,
va poi aggiunto che, comunque, allorquando l’interesse in questione è costituito da un inte-
resse giuridicamente rilevante, la stessa opportunità di riflettere sui meccanismi di uniforma-
zione e coordinamento delle volontà non ha alcun senso per il fatto che gli interessi giuridici
sono soddisfatti dall’imposizione di un obbligo in capo ad un soggetto, sicché la prospettiva
del perseguimento dell’interesse non ha alcuno spazio di applicazione, in quanto nella situa-
zione favorevole non è incluso il comportamento del titolare dell’interesse giuridicamente ri-
levante. Per chiarimenti sui concetti ora esposti è d’obbligo – peraltro – il rinvio al cap. IV.
140 C. cost. 6 marzo 1974, n. 54, cit. Successivamente, v. C. cost. 24 maggio 1988, n.
334, in Foro it., 1988, I, p. 1774, con nota di R. Greco; in Giust. cost., 1988, I, p. 1414, con
nota di M. Dell’Olio; in Mass. giur. lav., 1988, p. 189, con nota di R. Pessi; in Giur. it., 1989,
I, 1, p. 1665, con nota di A. Giuliani; C. cost., 21 luglio 1988, n. 860, cit. Indirizzo nella so-
stanza confermato in C. cost., 17 marzo 1995, n. 89, in Foro it., 1995, I, p. 1735, con nota di
A. Cerri; in Mass. giur. lav., 1995, p. 143; in Dir. lav., 1995, II, p. 55; in Dir. e pratica lav.,
1995, p. 2483; in Not. giur. lav., 1995, p. 514; in Giur. cost., 1995, p. 775; in Orient. giur. lav.,
1995, p. 556; in Leg. pen., 1995, p. 429.
141 C. cost. 24 maggio 1988, n. 334, cit., (c.vo mio).
568 CAPITOLO SETTIMO
tuto, secondo cui tutti i lavoratori hanno diritto, nei luoghi dove pre-
stano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero senza
distinzione di opinioni sindacali, e dell’art. 14, secondo cui tutti i lavora-
tori hanno il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e so-
prattutto di svolgere attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro. Ma
il valore precettivo di queste disposizioni è completato, da un lato, dal-
l’art. 15, il quale, peraltro è orientato più verso la disciplina degli effetti
degli atti giuridici discriminatori piuttosto che verso meri comporta-
menti, e, dall’altro, dallo stesso art. 28, il quale, se, per un verso, prende
contenuto dalle altre disposizioni che disciplinano la libertà e l’attività
sindacale che esso stesso inequivocabilmente richiama, per altro verso,
contribuisce in via mediata alla loro specificazione precettiva.
In dottrina si è spesso discusso sulla natura sostanziale o processuale
di questa disposizione e la disputa è apparsa solo un modo di vedere il di-
battito attorno alla posizione meramente processuale o anche sostanziale
da attribuire al sindacato. In realtà, però, il problema è stato in parte mal
posto, in quanto – messo da un lato il discorso sulla legittimazione ad
agire conferita agli organismi sindacali142 – tale divaricante lettura ha in
qualche modo presupposto un rapporto di coincidenza quantomeno ten-
denziale tra norma, intesa in senso stretto, e disposizione di legge143.
142 Va rigorosamente distinto – cosa che la dottrina ha in genere evitato di fare – il di-
scorso sulla natura sostanziale dell’art. 28 S.L. in ordine al farne derivare un diritto soggettivo
del sindacato e non un mero potere di azione dello stesso ed il discorso sul valore precettivo
della disposizione in riferimento alla sua portata specificativa – in senso teleologico – delle ge-
nerali previsioni di diritti di libertà o attività sindacale che ricorrono nello Statuto come al-
trove. Come detto anche in sede generale nel cap. V, § 2.3.2.3., infatti, il concetto di diritto di
libertà è fondamentale sul piano dei valori, ma terribilmente ostico sul piano tecnico-applica-
tivo, perché – appunto – la dimensione logica del concetto di libertà vale unicamente come
non-obbligo. Cosicché la domanda che occorre porsi a fronte di previsioni di tal fatta è cer-
care di comprendere quali siano i comportamenti esclusi dalla sfera del lecito in capo a sog-
getti terzi. In altri termini il discorso cade nuovamente sull’obbligo, ovvero specificamente sui
criteri di determinazione dello stesso. E su questo piano l’art. 28 è norma fondamentale non
solo dal punto di vista processuale riguardo alla determinazione dei legittimati, ma in riferi-
mento a tutti i diritti di libertà ed attività sindacale a qualunque soggetto appartenenti. Sia
questi individuale o collettivo. E ciò perché, come si dice nel testo, la disposizione in esame,
per la sua formulazione teleologica esclude dal lecito tutti i comportamenti del datore che si
oppongano all’esercizio di quelle attività strumentali al miglioramento delle condizioni di la-
voro.
143 La distinzione è come noto un punto fermo in sede di teoria generale, sebbene
troppo frequentemente non venga in maniera adeguata posta in risalto in sede applicativa e
interpretativa, ove la tendenza comune è quella di sovrapporre i concetti con conseguenze
dannose sul piano della corretta ricostruzione del diritto positivo. Per un’ampia e completa
570 CAPITOLO SETTIMO
analisi dei diversi significati attribuiti al termine «norma», v. GUASTINI, R., Teoria e dogmatica
delle fonti, Milano, 1998, p. 21 ss.
144 Per chiarimenti sulla terminologia impiegata nel testo, v. retro, cap. V, spec. nota 99.
145 Di recente, correttamente, v. NAPPI, S., Il procedimento di repressione della condotta
antisindacale tra valori costituzionali e questioni processuali, in Dir. lav., 2004, p. 233 ss., spec.
p. 236 s.
146 Relazione al disegno di legge sull’art. 28 dello Statuto dei lavoratori del Ministro on.
Brodolini. Sull’indeterminatezza strutturale della regola di condotta prevista dall’art. 28, sia
in dottrina che in giurisprudenza vi è concordia assoluta; particolarmente incisiva sul punto è
comunque, Cass., S.U., 12 giugno 1997, n. 5295, in Foro it., 1997, I, p. 2416 ss.
147 C. cost., 13 febbraio 1974, n. 28, in Foro it., 1974, I, p. 997 ss., con nota di G. Pera.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 571
148 C. cost., 6 marzo 1974, n. 54, cit., la cui affermazione, riportata nel testo, sarebbe
priva di significato concreto, se si ritenesse, come parte della dottrina ha ritenuto fosse cor-
retto fare, che il controllo di antisindacalità del comportamento datorile potesse essere svolto
solo su domanda del sindacato e non del lavoratore colpito dalla condotta.
149 Cfr. l’articolata ricostruzione di Vaccarella, riportata retro, § 3.2.
572 CAPITOLO SETTIMO
150 In questo senso, v. PROTO PISANI, A., La partecipazione delle associazioni sindacali al
processo, cit., p. 563; VIGORITI, V., Interessi collettivi e processo, cit., p. 160, n. 18; SILVESTRI, E.
- TARUFFO, M., Condotta antisindacale, cit., p. 12.
151 L’art. 28 S.L. di per sé è muto sul punto e semmai rinvia alle norme che lo prece-
dono, tra cui figurano appunto le disposizioni esaminate nel testo. In realtà, VACCARELLA, R.,
Il procedimento di repressione della condotta antisindacale, p. 77 ss., individua nell’art. 38
dello Statuto un chiaro segnale di conferma di quanto sostenuto, visto che questa norma pre-
vede una sanzione penale in caso di violazione del disposto dell’art. 15 unicamente per quel
che riguarda la lettera a), lasciando alla tutela garantita dal diritto comune la violazione della
lettera b). In altri termini questa diversità di trattamento confermerebbe la volontà del legi-
slatore di ricondurre alla tutela offerta dalle norme di diritto comune che regolano i poteri
imprenditoriali all’interno del rapporto di lavoro la violazione dell’art. 15, comma 1, lett. b),
senza offrire alcun surplus di tutela al lavoratore discriminato. Un’analisi attenta della natura
degli atti previsti alla lettera a), d’altronde, indica una via interpretativa preferibile; difatti, la
disposizione in esame alla lettera a) dichiara la nullità dei patti o degli atti diretti a subordi-
nare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad un’asso-
ciazione sindacale ovvero cessi di farne parte, mentre alla lettera b) si riferisce agli atti diretti
a licenziarlo, a discriminarlo nelle qualifiche o mansioni, nei trasferimenti ecc. L’art. 38 dello
Statuto appresta una sanzione penale unicamente per la lettera a), poiché, mentre gli atti alla
lettera b), in quanto atti inerenti al rapporto, ricevono una congrua sanzione, unicamente con
la dichiarazione di nullità, vale a dire con il determinare la loro inefficacia giuridica; gli atti
previsti alla lettera a), al contrario, operando spesso ancor prima che il rapporto si costituisca
o inibendo la costituzione stessa del rapporto, potrebbero risultare del tutto esenti da san-
zione qualora il legislatore non avesse previsto una misura idonea ad operare in via preven-
tiva e deterrente e non meramente caducatoria rispetto a quei comportamenti del datore pro-
dromici alla costituzione del rapporto. In altri termini la differente sanzione non trova fon-
damento sulla diversa rilevanza degli interessi tutelati o nella volontà di offrire una tutela
differenziata, ma è giustificata da una scelta di natura efficientistica, nel senso di una scelta
condizionata dall’idoneità del mezzo (sanzione) al raggiungimento del fine in ordine alle cir-
costanze del caso.
152 Difatti, come vedremo nel prossimo capitolo, il fronte individuale di tutela antidi-
scriminatoria, se, da un lato, prevede per i diversi fattori di rischio separate definizioni di di-
scriminazione diretta ed indiretta, dall’altro, per ciò che riguarda la discriminazione che si
estrinseca in atti giuridici come i licenziamenti, trasferimenti, ecc., confluisce tutto in ciò che
dispone l’art. 15 dello Statuto, predisponendo la nullità degli atti e dei patti discriminatori. Se
quindi tale previsione non avesse alcun valore nel giudizio individuale in ordine ad estendere
il sindacato del giudice sul corretto esercizio dei poteri dell’imprenditore, ciò non solo prive-
rebbe di senso l’azione individuale in materia di discriminazione per ragioni sindacali, ma an-
che i rimedi specificamente apprestati per qualsiasi altra discriminazione subita all’interno del
rapporto di lavoro. Il che, allo stato attuale della legislazione in materia, è di certo escluso.
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 573
L’art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300: profili processuali, cit., p. 184, secondo cui «i li-
cenziamenti […] solitamente detti antisindacali […] possono bensì essere nulli, ma non sono,
per ciò solo, comportamenti antisindacali». Lo sarebbero, invece, «se diretti, e idonei, ad im-
pedire o limitare, anche con il c.d. effetto intimidatorio deterrente, purché riscontrabile o ra-
gionevolmente presumibile in concreto, la libertà e più sensibilmente l’attività sindacale,
guardate nella loro dimensione collettiva e non dal punto di vista del soggetto, bensì se mai
del ruolo in esse svolto da quest’ultimo». Ma anche riguardo questo argomento, è dato avan-
zare due osservazioni. In primo luogo questa autorevole opinione assume il tenore letterale
della prima parte del primo comma dell’art. 28 in senso restrittivo. L’antisindacalità sarebbe
una nota di antigiuridicità ulteriore e superiore rispetto alla nullità. Così operando, peraltro,
si altererebbe profondamente il profilo teleologico della norma, che appunto è tesa – come
già detto e come unanimemente riconosciuto – a richiamare a sé il maggior numero di fatti-
specie lesive e non a ridurle. L’art. 28 diverrebbe non più una norma generale entro cui ri-
condurre tutte le fattispecie lesive – in diversa maniera e per diverse vie – dei beni giudici ivi
tutelati, ma diverrebbe norma speciale rispetto alle altre, da leggersi appunto alla luce del-
l’effetto pregiudizievole a portata diffusa ora indicato. In realtà, peraltro, è evidentemente
l’art. 15 ad essere la norma speciale, visto che detta disposizione è appunto volta a discipli-
nare essenzialmente il regime di inefficacia giuridica degli atti (giuridici) discriminatori. In se-
condo luogo, se va ritenuta sussistente – riguardo ai diritti di libertà sindacale – l’interdipen-
denza reciproca tra profili individuali e profili collettivi, allora pare di tutta evidenza che un
licenziamento nullo per ragioni sindacali abbia anche quell’effetto deterrente e plurioffensivo
«riscontrabile o ragionevolmente presumibile in concreto» che questa dottrina richiede. Que-
stione, l’ultima indicata, che peraltro sembra emergere dalla stessa opinione della autorevole
dottrina qui richiamata (p. 190 s.), allorché si osserva che il licenziamento «anche quando
[…] è, in senso lato, antisindacale, e perfino se consiste nella rappresaglia o nell’intento di
impedire l’attività sindacale del soggetto colpito e di dissuadere gli altri, o di “disarticolare”
l’organizzazione sindacale in azienda, non è esso come tale ma l’effetto, attuale o addirittura
potenziale, del comportamento sull’esercizio della libertà o attività sindacale o del diritto di
sciopero, di per sé, a fondare l’azione ex art. 28». In altri termini, non è la discriminazione del
singolo in sé, quanto gli effetti che essa comporta su un piano più generale.
154 Il riferimento è a TREU, T., Attività sindacale e interessi collettivi, cit., p. 574.
574 CAPITOLO SETTIMO
155 CIPRESSI, P., I comportamenti antisindacali del datore di lavoro, cit., p. 98 e poi p. 112
ss., in cui si parla appunto di «coincidenza della fattispecie di discriminazione sindacale di cui
all’art. 15 con quella prevista nell’art. 28», precisando opportunamente che «nelle violazioni
delle disposizioni contenute nell’art. 15 l’antisindacalità del comportamento del datore di la-
voro sia in re ipsa e, pertanto, che l’applicabilità della procedura dell’art. 28 ne costituisca una
necessaria conseguenza».
156 Ci riferiamo specialmente a Cass., S.U., 17 febbraio 1992, n. 1916, ed alle altre pro-
nunce richiamate retro, nota 115. Piuttosto paradossali sono gli esiti a cui si giunge allor-
quando si neghino le evidenti interrelazioni sistematiche presenti nel generale quadro delle
tutele in materia. Ci riferiamo a T. Busto Arsizio, 12 aprile 2006, in Riv. crit. dir. lav., 2006, p.
766, decisione nella quale, a fronte di un licenziamento collettivo, viene ad essere dichiarata
l’antisindacalità del comportamento, interrogandosi successivamente sull’eventualità – negata
– di ordinare «la revoca dei licenziamenti e la riammissione dei dipendenti nel posto di la-
voro». La miopia sistematica di detta interpretazione fa sì che della qualificazione normativa
dell’antisindacalità si faccia un’aggettivazione generica con cui colorare l’atto illegittimo,
senza rendersi conto che la disciplina specifica del comportamento antisindacale allorquando
questo prende le forme dell’atto giuridico è appositamente disciplinata dal legislatore proprio
in ordine alla tutela dei valori costituzionali rilevanti in sede di giudizio ex art. 28.
157 Così, TREU, T., Condotta antisindacale del datore di lavoro e atti discriminatori, cit.,
p. 41; ID., Atti e trattamenti discriminatori, in Enc. giur. Trec., III, Roma, 1988, p. 6, secondo
cui occorrerà, dunque, ampliare l’ambito di indagine dal riferimento al caso di specie «che
preclude spesso l’accertamento del fenomeno, non permettendo di cogliere il parametro di ri-
ferimento normale di comportamento rispetto al quale verificare gli eventuali trattamenti di-
scriminatori». Nello stesso senso VALLEBONA, A., L’onere della prova nel diritto del lavoro, Pa-
dova, 1988, p. 137 ss., che precisa ulteriormente che la dimostrazione del motivo antisinda-
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 575
cale «è immediatamente rilevante quando si tratta di un atto datoriale per il quale non sia im-
posta una giustificazione, come ad esempio nel caso del licenziamento nella residua area di
applicabilità dell’art. 2118 cod. civ. […] altrimenti diviene rilevante solo dopo che il datore
abbia dimostrato la sussistenza formale della necessaria giustificazione, come ad esempio nel
caso di una serie fraudolenta di assunzioni a termine ciascuna in sé legittima».
158 Dalle considerazioni svolte nel testo deriva la fondamentale importanza di tenere di-
delle nullità e della simulazione dei contratti come situazioni preliminari, in Riv. dir. proc.,
1994, p. 652 ss. Per quanto riguarda questa ipotesi, ovvero quella del comportamento anti-
sindacale corrispondente ad un atto giuridico idoneo ad incidere sul rapporto di lavoro può
ben accadere, sebbene la dottrina vi abbia dato poca attenzione in questa sede, che la cadu-
cazione dello stesso in sede di giudizio collettivo o individuale rimettano in discussione anche
la posizione di altri lavoratori. È ad esempio il caso dell’atto discriminatorio con il quale il da-
tore opera una diversificazione di trattamento tra due o più lavoratori. In tale ipotesi – ap-
punto – l’azione di nullità e la domanda di reintegrazione possono condurre a fenomeni di li-
tisconsorzio necessario. Le conseguenze di fattispecie verranno esaminate nel prossimo capi-
tolo, in particolare al § 3.3.5.2. Si pensi comunque, all’ipotesi dei trattamenti economici
collettivi che prevede l’art. 16 dello Statuto: cfr. Cass., 11 marzo 2005, n. 5343, in Guida lav.,
2005, fasc. 23, p. 32; App. Milano, 25 gennaio 2002, in Riv. crit. dir. lav., 2002, p. 337; T. Mi-
lano, 10 luglio 2000, in Riv. crit. dir. lav., 2000, p. 928.
576 CAPITOLO SETTIMO
160 La persistente instabilità dogmatica riguardo al rimedio inibitorio (cfr. retro, cap.
conta dovrebbe, infatti, essere la determinazione delle condizioni di ammissibilità del rime-
dio. Ragionando in questi termini, l’attenzione cade – quindi – sul primo comma dell’art. 28
laddove è espressamente menzionato l’ordine di «cessazione» della condotta antisindacale
posta in essere; previsione, quest’ultima che solleva l’interrogativo se la domanda inibitoria
possa essere proposta anche al ricorrere di un comportamento antigiuridico oramai cessato.
È questa insomma la tipologia di fattispecie sostanziali concrete che hanno dato luogo alla di-
sputa in questione, facendo ritenere che si possa accertare l’obbligo violato, ma senza ordine
di astenersene per il futuro, o al contrario che ciò sia possibile anche dopo la cessazione della
condotta. Questo modo di ragionare non sembra però corretto, poiché in realtà, posto che
l’efficacia del provvedimento non dipende di certo dall’esistenza o meno di formule impera-
tive condannatorie nel dispositivo giudiziale (cfr. retro, cap. VI, nota 68), il quesito unico e
fondamentale consiste – lo si ripete – nel determinare se in tali ipotesi sia ammissibile la tu-
tela inibitoria. E la risposta più plausibile a detto interrogativo sembra dover essere quella po-
sitiva. Difatti, il tenore costituzionale e non patrimoniale degli interessi tutelati, nonché la na-
tura negativa degli obblighi sostanziali in questione, che non sono suscettibili di esecuzione in
via diretta, impongono una tutela preventiva, che, al ricorrere di una violazione già concreta-
tasi, impedisca in futuro il ripetersi dell’illecito. Sicché, in conclusione, anche a fronte di con-
dotte antisindacali non più attualmente sussistenti, sarà ben ammissibile il ricorso alla tutela
speciale inibitoria, la quale condurrà all’accertamento dell’attuale esistenza dell’obbligo so-
stanziale violato e con conseguente applicazione delle misure sanzionatorie previste allorché
l’imprenditore incorra in un altro comportamento contrario alla prescrizione normativa
(senza che ciò – peraltro – dia la possibilità, come già visto, di parlare di condanna in futuro).
Sul punto, per tutti, v. VACCARELLA, R., Il procedimento di repressione della condotta antisin-
dacale, cit., p. 169 ss. Ugualmente favorevoli sono ROMAGNOLI, U., Aspetti processuali dell’art.
28 dello statuto dei lavoratori, cit., p. 1319 s.; SCOGNAMIGLIO, R., Considerazioni sull’art. 28
dello statuto dei lavoratori, cit., p. 178. Per la tesi contraria, v. GARBAGNATI, E., Profili proces-
suali del licenziamento per motivi antisindacali, cit., p. 628 s.; PERA, G., Art. 28 (Repressione
della condotta antisindacale), cit., p. 348 s.; PUNZI, C., Repressione della condotta antisindacale,
cit., p. 994. Cfr. anche PROTO PISANI, A., Il procedimento di repressione della attività antisin-
dacale, cit., p. 51 ss., per il quale l’applicabilità della sanzione penale in ordine ai comporta-
menti futuri del datore sarebbe possibile solo allorché il dispositivo tenga in sé la precisa de-
scrizione del comportamento doveroso. Ma dello stesso A. v. anche il successivo lavoro ID.,
Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 1104 ss., ora in Le tutele
giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, p. 75 ss., in cui detta opzione ricostruttiva sembre-
rebbe essere superata; indipendentemente da ciò, comunque, decisive appaiono le repliche di
SASSANI, B., Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto, cit., p. 204 ss., spec. nota 53 e 58,
che appunto evidenzia la necessaria integrazione – specie in queste ipotesi – del dispositivo
alla luce della motivazione. Dubitativamente, CHIARLONI, S., Misure coercitive e tutela dei di-
ritti, Milano, 1980, p. 207. Più in generale, in polemica con gli orientamenti che ritengono
ammissibile solo il mero accertamento piuttosto che l’inibitoria allorché il comportamento
antigiuridico sia cessato e la sua ripetizione appaia solo probabile, v. anche le osservazioni di
SPOLIDORO, M.S., Le misure di prevenzione nel diritto industriale, Milano, 1982, p. 46 ss.
161 Sulla possibilità di condannare il datore all’adempimento di obblighi a contenuto
164 Il fatto che il sindacato ed il lavoratore possano essere talora in disaccordo e pale-
sare – come può accadere – interessi incompatibili, non costituisce una contraddizione ri-
spetto a quello che si dice nel testo, poiché occorre tenere separati gli interessi astratti da
quelli concreti (cfr. retro, cap. IV, § 3.). Nel testo, come è ovvio, ci riferiamo, agli interessi
astratti, ovvero allo schema relazionale che la norma presenta tra situazione favorevole e sog-
getti interessati. In questo schema ideal-normativo, appunto, lo stesso obbligo è posto a tu-
tela di due interessi, che per questa ragione sono concorrenti e compatibili. È assolutamente
possibile che poi – in concreto – nessuno sia interessato effettivamente all’osservanza da parte
del datore dell’obbligo, o che l’interesse sia solo del sindacato o tanto di questo che del lavo-
ratore. Ciò non è un’anomalia, ma appartiene alla normale dinamica degli interessi e sul piano
processuale rimarca l’autonomia e la pari dignità dei due interessi concorrenti.
580 CAPITOLO SETTIMO
veniva diversamente configurato in ragione del fatto che l’azione sindacale non potesse con-
durre alla condanna degli effetti patrimoniali conseguenti all’illecito (retro, § 4.1., in fine, nota
106), o alla linea dimostrativa di Garofalo (cfr. retro, nota 85), in cui il petitum veniva sostan-
zialmente a diversificarsi in ragione dei diversi interessi – individuale o collettivo – tutelati.
168 L’identità del petitum è evidentemente implicita nelle ricostruzioni che – pur per di-
verse strade – hanno sostenuto il concorso delle azioni nei termini indicati analiticamente nel
testo. Anche tra la dottrina viceversa favorevole all’autonomia delle azioni, peraltro, parte de-
gli Autori ha sostenuto tale coincidenza ed in particolare – come visto – Vaccarella (cfr. retro,
§ 3.2.) e Dell’Olio (nota 94). In senso contrario Garofalo (retro, § 3.1.2. e nota 85) e, seppur
più cautamente, Vigoriti (retro, nota 94).
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 581
170 Tra gli altri, PERA, G., La legittimazione al procedimento sommario di repressione del-
l’attività sindacale, in Riv. dir. proc., 1971, p. 324 ss.; PROTO PISANI, A., Il procedimento di re-
pressione della attività antisindacale, cit., p. 23 ss.; TREU, T., Attività sindacale e interessi col-
lettivi, cit., p. 574 ss.; ID., Condotta antisindacale del datore di lavoro e atti discriminatori, cit.,
p. 29-30; ROMAGNOLI, U., Aspetti processuali dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori, cit., p.
1314; ID., Commento all’art. 28, cit., p. 434 ss.; ID., Attuazione e attualità dello statuto dei la-
voratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, p. 387 ss., spec. p. 400; LANFRANCHI, L., Il diritto
processuale e la repressione della condotta antisindacale, cit., p. 43; CERRI, A., Una risposta di-
sattenta della Corte sul requisito del carattere nazionale del sindacato per la legittimazione al ri-
corso ai sensi dell’art. 28 del c.d. «statuto dei lavoratori», in Foro it., 1995, I, p. 1735; DE AN-
GELIS, L., L’art. 28 dello statuto dei lavoratori dopo l’esito referendario, in Foro it., 1996, I, p.
477.
171 C. cost. 6 marzo 1974, n. 54, cit.; C. cost. 24 maggio 1988, n. 334, cit.; C. cost., 17
voratori, cit., p. 411 nota 45, p. 425 nota 69, p. 437 ss.; TARUFFO, M., Efficacia della pronuncia
sul licenziamento per motivi antisindacali, cit., p. 1509 ss.; PROTO PISANI, A., Il procedimento
di repressione dell’attività antisindacale, cit., p. 58 s.; GARBAGNATI, E., Procedimento di repres-
sione della condotta antisindacale e cosa giudicata, cit., p. 1 ss. Sulla nozione di procedimento
decisorio-sommario, v., per tutti, ancora LANFRANCHI, L., Profili sistematici dei procedimenti
decisori sommari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 88 ss., ora in ID., La roccia non incrinata,
Garanzia costituzionale del processo civile e tutela dei diritti, Torino, 2004, p. 1 ss.; ID., Proce-
dimenti decisori sommari, in Enc. giur. Trec., XXIV, Roma, 1991, ora anche in ID., La roccia
non incrinata, cit., p. 213 ss.
584 CAPITOLO SETTIMO
176 Ampia è la letteratura riguardante l’esigenza riportata nel testo. Sul punto, v. gli
scritti in materia di PROTO PISANI, A., Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1978, p. 1104 ss.; ID., Brevi note in tema di tutela specifica e tutela risarcitoria, in Foro it.,
1983, V, p. 127 ss.; ID., L’attuazione dei provvedimenti di condanna, in Foro it., 1988, V, p. 177
ss.; ID., Note sulla tutela civile dei diritti, in Foro it., 2002, V, 165 ss. Scritti di recenti raccolti
nel volume Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, p. 75 ss., cui adde, ID., Sentenza
di condanna, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, p. 295 ss.; ID., La tutela giuri-
sdizionale dei diritti della personalità: strumenti e tecniche di tutela, in Foro it., 1990, V, p. 1
ss., nei quali – come noto – la tutela inibitoria viene ad essere ricondotta al genus della tutela
di condanna per decretarne la natura atipica e generale. In prospettiva simile, v. TARUFFO, M.,
Note sul diritto alla condanna e all’esecuzione, in Riv. crit. dir. priv., 1986, p. 635 ss., spec. p.
646 s., anch’esso favorevole all’introduzione dell’inibitoria atipica idonea a prevenire o far
cessare la violazione del diritto alla luce del principio costituzione di effettività della tutela
giurisdizionale, ovvero – nello specifico – ogniqualvolta la situazione concreta lo renda ne-
cessario in ragione del contenuto non patrimoniale dell’interesse tutelato. A favore dell’inibi-
toria generale sembra oramai poter dire si orienti la dottrina maggioritaria, sebbene alla luce
di argomentazioni dimostrative sovente eterogenee. Per FRIGNANI, A., L’injunction nella com-
mon law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974, p. 371 ss.; ID., Azione in cessazione, in
Noviss. Dig. it., Appendice, I, Torino, 1980, p. 639 ss.; ID., Inibitoria, in Enc. dir., XXI, 1971,
Milano, p. 559 ss., l’atipicità della tutela inibitoria andrebbe argomentata sulla base dell’art.
700 c.p.c., ovvero deducendo l’inibitoria definitiva da quella cautelare. Per RAPISARDA, C.,
Profili della tutela civile inibitoria, Padova, 1987, p. 77 ss. e 209 ss., la soluzione alla proble-
matica in questione si troverebbe nel qualificare il rimedio come forma di tutela reintegrato-
ria dichiarativa; ID., Inibitoria, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 474 ss.; RAPI-
586 CAPITOLO SETTIMO
interessi collettivi deriva dal fatto che questi si fanno – come si suol dire
– «portatori» di interessi altrui, nel senso che, come generalmente risulta
dal loro scopo statutario, la loro attività è volta a proteggere l’interesse di
certi soggetti deboli.
Quando diciamo, quindi, che questi enti collettivi sono «portatori»
di interessi altrui non vogliamo dire che l’interesse che li determina e in
virtù del quale è data l’azione non sia il loro, tutt’altro; vogliamo unica-
mente evidenziare il fatto che, non appartenendo loro stessi alla categoria
di soggetti che la legge individua come diretti destinatari della tutela, il
loro interesse tende a conformarsi all’interesse dei soggetti pregiudicati
proprio in ragione della volontaria funzionalizzazione della loro attività.
Si pensi – per esemplificare – alle associazioni dei consumatori.
Queste non sono «consumatori», il loro interesse alla tutela non deriva
dal fatto di operare sul mercato come tali, ma dal fatto di porsi come
obiettivo quello di proteggere quella data categoria. Si instaura, così, un
nesso di strumentalità tra interessi178 in virtù del quale l’interesse dell’as-
sociazione tende ad essere quello del singolo consumatore e per questa
ragione la legge apprezza tale interesse «istituzionale» e, ritenendolo me-
ritevole di tutela (proprio in funzione all’innalzamento del grado di ef-
fettività della protezione giurisdizionale complessivamente apprestata),
estende l’area della legittimazione anche a tali enti, che, non a caso, nel
capitolo che precede, abbiamo definito legittimati «istituzionali».
In materia di repressione della condotta antisindacale, peraltro, que-
sto discorso va rivisto; e va rivisto in ragione del fatto che esso appare al-
terato dal seguente ed ormai noto fenomeno.
Se, infatti, come tutta la dottrina riconosce, la libertà sindacale è a
necessario esercizio collettivo (ovvero implica l’aggregazione e l’organiz-
zazione) e la plurioffensività dell’illecito sta ad indicare proprio che lo
stesso comportamento è idoneo a colpire non solo il singolo, ma anche il
gruppo organizzato all’interno del quale questi opera, ciò sta a significare
che – se accettiamo questo risultato – i destinatari della tutela sono sem-
pre e direttamente, da un lato, il singolo e, dall’altro, il gruppo organiz-
zato a cui questi afferisce, il quale ultimo, è interessato alla repressione
dell’illecito, non perché (o non tanto solo perché) assume come propri
gli interessi del singolo, ma perché l’interesse alla tutela è suo «in via di-
retta». È infatti l’interesse alla sua libertà sindacale come gruppo che ri-
mane insoddisfatto con l’inosservanza dell’obbligo179.
178 Cfr.
retro, cap. IV, § 5.
179 La
questione indicata nel testo è stata rilevata in dottrina con particolare esattezza
da MONTESANO, L., Tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e dei concessionari di ser-
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 589
184 Cass. 26 gennaio 1979, n. 602, cit.; similmente Cass. 22 aprile 1992, n. 4839, cit., e
P. Firenze, 2 dicembre 1997, cit.
594 CAPITOLO SETTIMO
187 Per tutti, IRTI, N., Introduzione allo studio del diritto privato, cit., p. 34 ss., che ap-
punto opera la distinzione in parola, precisando che «la destinazione dell’obbligo identifica il
titolare del diritto soggettivo», mentre «la destinazione del comportamento dovuto identifica
il soggetto a cui l’obbligato indirizza la propria condotta».
LA TUTELA COLLETTIVA SINDACALE 599
1. Considerazioni introduttive
Sin dalle prime riflessioni di questo percorso di ricerca è emerso
chiaramente il ruolo trainante che le dinamiche oggetto di studio e disci-
plina da parte del diritto del lavoro hanno saputo svolgere nel favorire la
penetrazione degli interessi collettivi all’interno del nostro ordinamento e
ciò tanto sotto il profilo – propriamente originario – della tutela contrat-
tuale degli stessi quanto – poco dopo – sotto quello della loro tutela giu-
risdizionale.
Proprio il procedimento per la repressione della condotta antisinda-
cale è stato da noi più volte descritto come il primo significativo frutto
602 CAPITOLO OTTAVO
le transizioni, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2003, p. 447 ss., ma spec. p. 451.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 603
mente parlato MORROZZO DELLA ROCCA, P., Gli atti discriminatori nel diritto civile alla luce
degli artt. 43 e 44 del T.U. sull’immigrazione, in Dir. fam. e pers., 2002, p. 111 ss., p. 122.
604 CAPITOLO OTTAVO
5 Sull’art. 15 dello Statuto dei lavoratori, v. TREU, T., Condotta antisindacale e atti di-
scriminatori, Milano, 1974, p. 120; GHERA, E., Commento agli artt. 15 e 16, Commentario allo
Statuto dei lavoratori, diretto da U. Prosperetti, Milano, 1975, p. 426; TRIGGIANI, E., Art. 15
(Atti discriminatori), in Lo Statuto dei lavoratori, diretto da G. Giugni, Milano, 1979, p. 209
ss.; MONTUSCHI, L., Art. 15-16, in GHEZZI, G. - MANCINI, F. - MONTUSCHI, L. - ROMAGNOLI, U.,
Statuto dei diritti dei lavoratori, Bologna-Roma, 1981, p. 43 ss.
6 Per chiarimenti sulla nozione richiamata nel testo, v., per tutti, LANFRANCHI, L., Profili
sistematici dei procedimenti decisori sommari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 88 ss., ora in
ID., La roccia non incrinata, Garanzia costituzionale del processo civile e tutela dei diritti, To-
rino, 2004, p. 1 ss.; ID., Procedimenti decisori sommari, in Enc. giur. Trec., XXIV, Roma, 1991,
ora in ID., La roccia non incrinata, cit., p. 213 ss.
606 CAPITOLO OTTAVO
7 Sulla legge 9 dicembre 1977, n. 903, v. i contributi raccolti in Legge 9 dicembre 1977
n. 903. Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, Commentario a cura di
T. Treu, in Le nuove leggi civ. comm., 1978, 786 ss.; nonché in Il procedimento sommario a tu-
tela della parità della lavoratrice, in Foro it., 1977, V, p. 326 ss.; v. anche BALLESTRERO, M.V.,
Dalla Tutela alla parità. La legislazione italiana sul lavoro delle donne, Bologna, 1979, p. 223
ss. Sul procedimento sommario previsto dall’art. 15, v., in particolare, FABBRINI, G., Il proce-
dimento avanti il pretore, in Il procedimento sommario a tutela della parità della lavoratrice,
cit., p. 328 ss.; RAPISARDA, C., Sub art. 15, in Legge 9 dicembre 1977 n. 903. Parità di tratta-
mento tra uomini e donne in materia di lavoro, cit., p. 828 ss.; PAOLINI, R., Considerazioni ge-
nerali sulla legge 9 dicembre 1977 n. 903: in particolare il procedimento speciale ex art. 15, in
Dir. lav., 1981, I, la prima parte alle p. 365-393, mentre la seconda parte alle p. 464-483; AN-
DRIOLI, V., Il procedimento di repressione delle discriminazioni tra uomo e donna, in ANDRIOLI,
V. - BARONE, C.M. - PEZZANO, G. - PROTO PISANI, A., Le controversie in materia di lavoro, Bo-
logna, 1987, p. 1082 ss.
8 Su questi aspetti, v., in particolare, RAPISARDA, C., Osservazioni in tema di attuazione
della legge di parità uomo-donna in materia di lavoro, in Riv. dir. proc., 1985, p. 386 ss.; BAL-
LESTRERO, M.V., I giudici e la parità, Osservazioni sull’applicazione giudiziaria della legge
903/1977, in Pol. dir., 1982, p. 463 ss.; DE ANGELIS, L., La legge di parità uomo-donna nella
prassi giurisprudenziale, in Il lavoro delle donne e la legge di parità, Roma, 1982, p. 39 ss.;
TREU, T., Tutela e parità, ivi, p. 65 ss.; GOTTARDI, D., Lavoro delle donne, in Noviss. Dig. it.,
Appendice, IV, Torino, 1983, p. 727 ss., spec. p. 733; MARTONE, C., Quale parità tra uomo e
donna? Prima verifica dello stato di applicazione della legge n. 903 del 1977, in Giur. it., 1980,
IV, p. 275 ss.
9 Sulla nozione di discriminazione diretta e indiretta contenuta nella legge n. 125/1991,
sostanzialmente rimasta invariata anche a seguito del d.legisl. n. 196/2000 e delle successive
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 607
modifiche di cui si darà conto nel testo, v. BALLESTRERO, M.V., La nozione di discriminazione
nella legge 125/91, in Riv. crit. dir. lav., 1992, p. 773 ss.; BARBERA, M., Discriminazioni ed
uguaglianza nel rapporto di lavoro, Milano, 1991, p. 189 ss.; ID., La nozione di discriminazione,
in Commentario alla legge 10 aprile 1991, n. 125, azioni positive per la realizzazione della pa-
rità uomo-donna nel lavoro, in Le nuove leggi civ. comm., 1994, p. 46 ss.; FASANO, A. - MAN-
CARELLI, P., Parità e pari opportunità uomo-donna, Profili di diritto comunitario e nazionale,
Torino, 2001, p. 82 ss.; LUNARDON, F., Principio di uguaglianza, discriminazioni indirette ed
azioni positive nella l. n. 125/1991, in Giur. it., 1992, IV, p. 203 ss.; SCARPONI, S., La nozione
di discriminazione, in GAETA, L. - ZOPPOLI, L., Il diritto diseguale, Torino, 1992, p. 43 ss.; ID.,
Il divieto di discriminazione, in Nuova giur. lav., 1991, p. 9 ss.; VIDIRI, G., La parità di tratta-
mento. Il lavoro femminile, Padova, 1997, p. 174 ss.; da ultimo, DE SIMONE, G., Le modifiche
all’art. 4 della l. n. 125/1991: a) La nozione di discriminazione diretta e indiretta, in La riforma
delle istituzioni e degli strumenti delle politiche di pari opportunità, Commentario sistematico,
a cura di M. Barbera, in Le nuove leggi civ. comm., 2003, p. 711 ss. In giurisprudenza, v. Pret.
Lecce, 13 dicembre 1997, in Giur. mer., 1999, p. 531 ss., con nota di Fontana, e in Riv. crit.
dir. lav., 1999, p. 129; T. Voghera, 21 settembre 2005, in Riv. crit. dir. lav., 2005, p. 768. Di
recente, per un attento studio teso ad armonizzare le diverse nozioni di discriminazione di-
retta ed indiretta presenti nel nostro ordinamento, v. in particolare CHIECO, P., Frantumazione
e ricomposizione delle nozioni di discriminazione, in Riv. giur. lav., 2006, I, p. 559 ss.
10 Cfr. retro la dottrina cit. in nota 8.
608 CAPITOLO OTTAVO
11 Sul punto, per tutti, v. BALLESTRERO, M.V., Dalla Tutela alla parità. La legislazione ita-
liana sul lavoro delle donne, Bologna, 1979, p. 268 ss.; ID., I giudici e la parità, cit., spec. p.
472 ss. Ed ancor prima TREU, T., Condotta antisindacale del datore di lavoro e atti discrimina-
tori, Milano, 1974, p. 51 ss.
12 La dottrina formatasi prima del d.legisl. n. 196/2000 ha frequentemente rilevato
come la legge n. 125, nella sua formulazione originaria, abbia lasciato inalterata la stridente
disparità di tutela giurisdizionale esistente tra le lavoratrici che vengono ad essere discrimi-
nate durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, e che di conseguenza si trovano a dover
far ricorso all’ordinaria azione di nullità, e le lavoratrici che diversamente, subendo il pregiu-
dizio al momento dell’assunzione, possono ricorrere all’azione speciale; sul punto v., tra gli al-
tri, CATALINI TONELLI, P., Primi interrogativi sui principali nuclei normativi della nuova legge n.
125/1991 in tema di azioni positive e pari opportunità tra uomo e donna, in Riv. giur. lav.,
1991, I, p. 52 s.; GUARRIELLO, F., Le azioni in giudizio, in GAETA, L. - ZOPPOLI, L., Il diritto di-
seguale. La legge sulle azioni positive, cit., p. 186 ss., ma spec. p. 205 s.; MINERVINI, A., Dalla
parità di trattamento alle azioni positive per le pari opportunità nelle prime esperienze, in Dir.
lav., 1993, p. 331 ss., spec. p. 342; PESSI, R., Lavoro e discriminazione femminile, in Giorn. dir.
lav. rel. ind., 1994, p. 413 ss., ma spec. p. 471; RAPISARDA, C., La tutela giudiziale dei diritti di
parità tra azione individuale e azione pubblica, in Riv. crit. dir. lav., 1992, p. 785 ss., ma spec.
p. 788; IZZI, D., Discriminazioni di sesso nel rapporto di lavoro: il nuovo regime processuale, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 517 ss., ma spec. p. 574.
13 La dottrina anteriore al d.legisl. n. 196/2000 riconosceva piuttosto unanimemente,
da un lato, l’impossibilità che il giudice stesso procedesse da sé alla definizione del piano di
rimozione e, dall’altro, il datore dovesse essere ritenuto compulso all’attuazione del piano in
ragione della sanzione penale prevista dal comma 8 dell’art. 4 l. 125/91. D’altra parte il testo
della legge deponeva a favore della tesi secondo cui fosse oggetto di sanzione solo la mancata
predisposizione del piano senza connessione alcuna con i contenuti dello stesso. Sul punto, v.
SILVESTRI, E., Rilievi sul piano di rimozione delle discriminazioni collettive, in Riv. crit. dir. lav.,
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 609
cun modo mirare alla realizzazione diretta delle pretese dei soggetti di-
scriminati, cioè non aveva alcuna efficacia propriamente sanzionatoria,
rimettendosi in definitiva alla piena libertà dell’imprenditore, tanto la de-
terminazione del contenuto del piano di rimozione, quanto la sua suc-
cessiva messa in opera14.
Stante questo quadro bilateralmente claudicante, nel tentativo di
perfezionare il sistema delle tutele, il legislatore è intervenuto nuova-
mente con il d.legisl. n. 196 del 2000.
1992, p. 804 ss., cui adde, BALENA, G., Gli aspetti processuali della tutela contro le discrimina-
zioni di sesso, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1995, p. 425 ss., ma spec. p. 431; DE ANGELIS, L., Pro-
fili della tutela processuale contro le discriminazioni tra lavoratori e lavoratrici, in Riv. it. dir.
lav., 1992, p. 457 ss., ma spec. p. 486 ss.; ID., Considerazioni in tema di decisione della causa
promossa contro le discriminazioni sessuali collettive, in Riv. crit. dir. lav., 1992, p. 798 ss.,
spec. p. 800; PESSI, R., Lavoro e discriminazione, cit., p. 473; PULEO, A., Discriminazioni di
sesso nel mercato del lavoro. Novità ed aporie di un modello processuale, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1996, p. 89 ss., ma spec. p. 123 s.; RAPISARDA, C., Azioni positive per la realizzazione della
parità uomo-donna nel lavoro, IV, La tutela dei soggetti discriminati, Azione individuale,
Azione pubblica e tentativo di conciliazione, in Le nuove leggi civ. comm., 1994, p. 73 ss., spec.
p. 88; SASSANI, B., Aspetti processuali della l. n. 125/91 («Azioni positive per la realizzazione
della parità uomo-donna nel lavoro), in Riv. dir. proc., 1992, p. 860 ss., ma spec. p. 875 s.; VAL-
LEBONA, A., in SASSANI, B. - VALLEBONA, A., Le pari opportunità: onere della prova e sanzioni,
in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1992, p. 130 ss., ma spec. p. 141 s.; parzialmente difforme l’opi-
nione di CICCHITI, V.E., Profili processuali della tutela della parità tra uomini e donne in mate-
ria di lavoro, in Riv. dir. proc., 1996, p. 1187 ss., ma spec. p. 1196 ss., che in relazione al con-
tenuto della sentenza, pur ammettendo che il datore non fosse tenuto ad attuare il piano, ha
comunque parlato di un provvedimento dal contenuto «dichiarativo ed inibitorio»; provve-
dimento che tende «a bloccare l’illecito o meglio a non permetterne la ripetizione o la conti-
nuazione». Sul tema, v. ancora, più di recente, CURCIO, L., Le modifiche all’art. 4 della l. n.
125/1991: e) Il piano di azioni positive giudiziale, le procedure d’urgenza, l’inottemperanza alla
sentenza, il raccordo con l’art. 15, l. n. 903/77 e con l’art. 410 c.p.c., in La riforma delle istitu-
zioni e degli strumenti delle politiche di pari opportunità, Commentario sistematico, a cura di
M. Barbera, in Le nuove leggi civ. comm., 2003, p. 773 ss.
14 Così, ad es., SILVESTRI, E., Rilievi sul piano di rimozione delle discriminazioni collet-
tive, in Riv. crit. dir. lav., 1992, p. 804 ss., spec. p. 805. Parte della dottrina riteneva che il giu-
dice potesse indirizzare all’imprenditore delle indicazioni per procedere alla rimozione delle
discriminazioni; indicazioni valide come punto di riferimento per il giudice penale ai fini
della valutazione del reato d’inottemperanza; secondo questa tesi, dunque, la sanzione penale
rilevava, sia in ordine al rispetto del termine per la predisposizione del piano, sia per ciò che
riguardava il rispetto dei criteri da seguire per la definizione dello stesso; così, RAPISARDA, C.,
La tutela dei soggetti discriminati, cit., p. 88; BALENA, G., Gli aspetti processuali della tutela
contro le discriminazioni di sesso, cit., p. 431; VALLEBONA, A., in SASSANI, B. - VALLEBONA, A.,
Le pari opportunità: onere della prova e sanzioni, cit., p. 142; SASSANI, B., Aspetti processuali
della l. n. 125/91 («Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro), cit.,
p. 876, che però evidenzia la difficoltà di individuare i limiti di questo controllo di merito
sulle scelte dell’imprenditore.
610 CAPITOLO OTTAVO
196, in Riv. dir. proc., 2003, p. 171 ss., spec. 175; FERRANTE, V., Mobbing, discriminazioni in
ragione di sesso e tutela inibitoria, in Lav. giur., 2001, p. 978; AMATO, F., Le modifiche all’art.
4 della l. n. 125/1991: d) L’azione individuale e l’azione collettiva, in La riforma delle istitu-
zioni, cit., p. 760; CURCIO, L., Le modifiche all’art. 4 della l. n. 125/1991, cit., p. 775 s.; BOR-
GHESI, D., in Il processo del lavoro, Torino, 2005, p. 488.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 611
dizio ordinario. Se, infatti, come appena visto, l’art. 4, comma 7, della
legge 125/1991, prevedeva che l’oggetto dell’ordine del giudiziale fosse
unicamente la definizione del piano di rimozione, a seguito della richia-
mata novella, il nuovo comma 9 del medesimo articolo prescrive che il
giudice non solo ordini la definizione del piano, ma parimenti proceda
alla fissazione dei «criteri», anche temporali, da osservarsi ai fini della de-
finizione ed attuazione del piano stesso. Con ciò, dunque, le sanzioni che
la legge dispone in caso di inottemperanza della sentenza non vanno ri-
ferite solo alla mancata predisposizione del piano di rimozione entro la
data fissata, ma anche, inequivocabilmente, alla mancata osservanza dei
«criteri» di merito che il giudice detta al datore in sede di provvedimento
conclusivo in ordine all’apprestamento del piano17.
Più di recente, infine, il legislatore è di nuovo intervenuto in mate-
ria, prima con il d.legisl. 30 maggio 2005, n. 145 (e ciò in attuazione alla
direttiva 2002/73/CE18) e poi con il d.legisl. 11 aprile 2006, n. 198, il
quale ha costituito un codice delle pari opportunità tra uomo e donna in
cui sono state trasfuse – o ancor più semplicemente trasmigrate – anche
le disposizioni su cui ci siamo sino ad ora intrattenuti, senza peraltro al-
terazioni di rilievo per ciò che riguarda i principali profili processuali che
qui interessano19.
terale: cfr. LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, in La tu-
tela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di Lanfranchi, Torino, 2003, p.
XXXV ss.; DONZELLI, R., Considerazioni sul procedimento per la repressione della condotta an-
tisindacale alla luce delle tecniche di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e/o diffusi,
ivi, p. 227, nota 135; ID., Considerazioni sulla natura dell’azione esercitata dal consigliere di pa-
rità, cit., p. 619 ss. e nota 21; CURCIO, L., Le modifiche all’art. 4 della l. n. 125/1991, cit., p.
774; BORGHESI, D., in Il processo del lavoro, cit., 2005, p. 489-490. Implicitamente, v. anche
MORROZZO DELLA ROCCA, P., Gli atti discriminatori nel diritto civile alla luce degli artt. 43 e 44
del T.U. sull’immigrazione, cit., p. 135. Desta perplessità, dunque, l’opinione contraria: cfr.
CICCHITI, V.E., La tutela processuale della parità dopo il d.lgs. del 23 maggio 2000 n. 196, cit.,
p. 187 ss.; BASILICO, G., La tutela della parità uomo-donna nei rapporti di lavoro, in La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi e/o diffusi, cit., p. 547; AMATO, F., Le modifiche all’art.
4 della l. n. 125/1991: d) L’azione individuale e l’azione collettiva, cit., p. 769.
18 Sulla direttiva 2002/73/CE, modificatrice della precedente direttiva 76/207/CEE in
materia di parità di trattamento uomo-donna, oltre ai riferimenti presenti alla nota che pre-
cede, più specificamente, cfr. DENTAMARO, B., Parità di trattamento uomo-donna e tutela so-
stanziale contro le discriminazioni nella direttiva 2002/73/CE, in Lavoro giur., 2004, p. 329 ss.;
sulla legge 31 ottobre 2003, n. 306, contenente all’art. 17 la delega al Governo per l’adozione
dei decreti legislativi attuativi della direttiva 2002/73/CE, cfr. NUNIN, R., La legge comunita-
ria 2003: norme di interesse giuslavoristico, in Lavoro giur., 2004, p. 5 ss.
19 Numerose le critiche che la dottrina ha rivolto al codice: cfr. BARBERA, M. - CAFALÀ,
L. - AMATO, F., Note sul progetto di Codice sulle pari opportunità tra uomo e donna, agevol-
612 CAPITOLO OTTAVO
mente reperibile via internet; GOTTARDI, D., Il nuovo Codice delle pari opportunità tra uomo e
donna, in Guida lav., 2006, fasc. 25, p. 20 ss.; MONDA, G.M., La tutela del lavoratore contro le
discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, in Dir. lav., 2006, I, p. 119 ss., spec. p. 129;
SCIOTTI, R., Novità legislative in tema di pari opportunità tra uomo e donna, in Dir. lav., 2006,
I, p. 337 ss. Più in generale, v. Il codice delle pari opportunità, a cura di G. De Marzo, Milano,
2007.
20 Ci riferiamo all’art. 2, comma 1, lett. d), del d.legisl. n. 145/2005.
21 Il comma 2 dell’art. 36 del codice prevede anche, alternativamente alla delega, che il
consigliere possa intervenire nelle cause promosse dalla persona discriminata. In dottrina, seb-
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 613
Per quanto riguarda le forme del giudizio individuale, alle forme co-
gnitive ordinarie del rito del lavoro, stando a quanto dispone l’art. 38, ul-
timo comma, va aggiunta la possibilità di esercitare l’azione individuale
(anche delegata) nelle forme speciali (prima previste dall’art. 15 della l. n.
903/77 ed ora) contemplate dal medesimo articolo 38 nei suoi primi cin-
que commi.
Con riferimento alle forme del giudizio collettivo, l’art. 37 prevede
accanto alle forme ordinarie del rito del lavoro anche la procedura spe-
ciale sommaria già indicata.
Per ciò che, infine, riguarda i rimedi individuali e collettivi, ovvero
più specificamente il contenuto dei provvedimenti che possono essere ri-
chiesti al giudice, con riferimento all’azione individuale ed argomen-
tando sulla base del primo ed ultimo comma dell’art. 38, il soggetto di-
scriminato può chiedere ed ottenere un provvedimento a contenuto ini-
bitorio, ripristinatorio ed anche, ovviamente, risarcitorio; con riferimento
all’azione collettiva, invece, il consigliere di parità, in sede di giudizio col-
lettivo può ottenere tanto l’ordine di cessazione del comportamento pre-
giudizievole, quanto ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli ef-
fetti della discriminazione, ivi compreso, da un lato, l’ordine di defini-
zione del piano di rimozione, e dall’altro, il risarcimento del danno patito
dai soggetti discriminati. In altri termini, i risultati che l’azione collettiva
può conseguire nelle forme ordinarie piuttosto che nelle forme speciali
devono essere ritenuti i medesimi22.
bene in relazione alla l. n. 125/91, l’inquadramento di tale potere processuale aveva dato luogo
ad ogni possibile ricostruzione: talune opinioni hanno qualificato questo intervento come liti-
sconsortile (RAPISARDA, C., La tutela dei soggetti discriminati, cit., p. 83; DE ANGELIS, L., Arti-
colo 4, Azioni in giudizio, in La legge italiana per la parità di opportunità delle lavoratrici: com-
mento alla l. 10 aprile 1991, n. 125, Napoli, 1993, p. 90; PULEO, A., Discriminazioni di sesso nel
mercato del lavoro, cit., p. 100, nota 34) altre come adesivo dipendente, instaurando un paral-
lelo tra tale tipologia di intervento e quello previsto dall’art. 70, comma 2, c.p.c. (BALENA, G.,
Gli aspetti processuali della tutela contro le discriminazioni di sesso, cit., p. 434; AMATO, F., Le
modifiche all’art. 4 della l. n. 125/1991: d - L’azione individuale e l’azione collettiva, cit., p. 768;
BORGHESI, D., in Il processo del lavoro, cit., p. 489), altre ancora hanno ritenuto superfluo un
suo preciso inquadramento (IZZI, D., Discriminazioni di sesso nel rapporto di lavoro: il nuovo re-
gime processuale, cit., p. 575 s.). D’altro canto, l’esatta qualificazione dell’intervento porta con
sé la determinazione dei poteri processuali che spettano all’interventore e vede a monte la
chiarificazione circa la natura e l’oggetto dell’azione che il consigliere può autonomamente
esercitare. Muovendo da queste premesse, quindi, vista la configurazione in termini di con-
correnza del diritto alla repressione dell’illecito che spetta al singolo rispetto al consigliere,
sembrerebbe corretto propendere per un intervento di natura litisconsortile.
22 Visto che la dottrina ha talora dimostrato una ritrosia difficilmente comprensibile
nell’interpretare anche solamente in senso letterale le disposizioni che la legge presenta, non
614 CAPITOLO OTTAVO
nitarie sul divieto di discriminazione, in Riv. it. dir. lav., 2002, p. 75 ss.; AMATO, F., Le nuove
direttive comunitarie sul divieto di discriminazione. Riflessioni critiche e prospettive per la rea-
lizzazione di una società multietnica, in Lav. e dir., 2003, p. 127 ss.; SAPORITO, L., La condizione
giuridica dell’extracomunitario: divieto di discriminazione e parità di trattamento, in Europa e
dir. priv., 2004, p. 1245 ss., ma spec. p. 1254 ss. V. anche i contributi raccolti nel fasc. 3-4 del
2003 del Giorn. dir. lav. rel ind., tra cui in particolare, GUARRIELLO, F., Il nuovo diritto antidi-
scriminatorio, p. 341 ss.; BARBERA, M., Eguaglianza e differenza nella nuova stagione del diritto
antidiscriminatorio comunitario, p. 399 ss.; GOTTARDI, D., Dalle discriminazioni di genere alle
discriminazioni doppie o sovrapposte: le transizioni, p. 447 ss.
25 Sui decreti legislativi 9 luglio 2003, n. 215 e 9 luglio 2003, n. 216, cfr. NUNIN, R., Re-
delle nuove norme comunitarie, in Dir. rel. ind., 2004, p. 775 ss. Si vedano anche i contributi
raccolti nel volume collettaneo La discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, L’attua-
zione della direttiva 2000/78/CE e la nuova disciplina per la protezione dei diritti delle persone
omosessuali sul posto di lavoro, a cura di S. Fabeni e M.G. Toniollo, Roma, 2005, ed in parti-
colare: FABENI, S., Norme antidiscriminatorie e il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216: le op-
portunità mancate e le prospettive per una riforma, ivi, p. 91 ss.; GOTTARDI, D., Il diritto anti-
discriminatorio e la nozione di discriminazione diretta e indiretta, ivi, p. 117 ss.; MANTELLO, M.,
La tutela della privacy del lavoratore omosessuale. Le prospettive alla luce del decreto 9 luglio
2003, n. 216 e della nuova disciplina sul mercato del lavoro, ivi, p. 187 ss.; SCARPONI, S., La no-
zione di molestia secondo il decreto di trasposizione delle direttive antidiscriminatorie. Affinità
e differenze rispetto all’elaborazione in materia di «mobbing», ivi, p. 233 ss.; TORRICE, A., L’a-
zione civile contro le discriminazioni, ivi, p. 202 ss.; GAROFALO, M.G. - RECCHIA, G.A., Le san-
zioni e la loro efficacia, ivi, p. 315 ss. (ma pubblicato anche in Riv. giur. lav., 2005, I, p. 615
ss. con il titolo Le sanzioni contro le discriminazioni per orientamento sessuale); CURCIO, L., Le-
gittimazione ad agire nel nostro ordinamento e in particolare nel diritto del lavoro, ivi, p. 353
ss. Cfr. anche BORGHESI, D., in Il processo del lavoro, cit., p. 494 ss. Di recente, v. MONDA,
G.M., Tutela del lavoratore contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, in Dir.
lav., 2006, I, p. 119 ss.
26 Su cui cfr. SACCHETTINI, E., Dubbie le richieste di ristoro avanzate dagli enti esponen-
ziali, in Guida dir., 2006, fasc. 14, p. 35 ss.; TURCO, V., Lotta alla discriminazione dei disabili.
Doppia tutela: inibitoria e risarcitoria, in Dir. giust., 2006, fasc. 16, p. 103 ss.; GRECO, A., L.
67/2006: tutela inibitoria e risarcitoria per i soggetti disabili vittime di discriminazioni, in Resp.
civ. prev., 2007, p. 243 ss.; MARUFFI, R., Le nuove norme sulla tutela giudiziaria delle persone
con disabilità vittime di discriminazioni, in Riv. dir. proc., 2007, p. 123 ss.
616 CAPITOLO OTTAVO
27 Per un esame più articolato della disciplina sommariamente richiamata nel testo ri-
guardo gli artt. 43 e 44 del d.legisl. 25 luglio, n. 286, cfr.: VISCOMI, A., La legge italiana del
1998 sul lavoro immigrato extracomunitario, in Diritto lavoro alterità, a cura di M. Cappelletti
e L. Gaeta, Napoli, 1998, p. 283 ss.; TARZIA, G., Manuale del processo del lavoro, Milano,
1999, p. 369 ss.; CASTELVETRI, L., Le garanzie contro le discriminazioni sul lavoro per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi, in Dir. rel. ind., 1999, p. 321 ss.; CICCHITI, V.E., L’azione ci-
vile contro la discriminazione ex art. 44 t.u. 286/98, in Lavoro giur., 2000, p. 729 ss.; DONDI,
G., Immigrazione e lavoro: riflessioni e spunti critici, Padova, 2001; SCARSELLI, G., Appunti
sulla discriminazione razziale e la sua tutela giurisdizionale, in Riv. dir. civ., 2001, p. 805 ss.;
MORROZZO DELLA ROCCA, P., Gli atti discriminatori nel diritto civile alla luce degli artt. 43 e 44
del T.U. sull’immigrazione, cit., spec. p. 131 ss.; MANTELLO, M., La tutela civile contro le di-
scriminazioni, in Riv. dir. civ., 2004, p. 439 ss.
28 In particolare tanto il d.legisl. n. 215 quanto il d.legisl. n. 216 prevedono ai rispettivi
artt. 2, comma 2, che è fatto salvo quanto disposto dall’art. 43, commi 1 e 2, del testo unico
sull’immigrazione.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 617
Nel t.u., come nella l. n. 125 del 1991, l’azione collettiva è esperibile
in presenza di «un comportamento discriminatorio collettivo anche – è
questo il punto rilevante – in casi in cui non siano individuabili in modo
immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni».
Similmente, stando a quanto dispone il comma 3 dell’art. 4 della
legge n. 67 del 2000, nei giudizi volti alla repressione dei comportamenti
discriminatori contro i disabili è sufficiente che tali comportamenti assu-
mano «carattere collettivo».
Il comma 3 dell’art. 5 del d.legisl. n. 215 ed il comma 2 dell’art. 5
del decreto «gemello», invece, prevedono che l’azione dell’ente esponen-
ziale sia esperibile nei «casi di discriminazione collettiva», non anche, ma
«qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone
lese dalla discriminazione».
Per ciò che attiene alle forme del processo, queste – sia esso un giu-
dizio individuale o un giudizio collettivo – sono quelle previste dall’art.
44 del t.u.
I commi 1-6, 8 e 11 di detta disposizione sono, infatti, richiamati dai
d.legisl. nn. 215 e 216 ed anche dalla legge n. 67 del 2006, la quale ultima
fa eccezione solo riguardo al rinvio – che qui manca – al comma 11 del-
l’art. 44 del t.u., che concerne la disciplina sanzionatoria in materia di re-
voca di benefici; cosicché – stando all’interpretazione costituzionaliz-
zatrice offerta da autorevole dottrina – il giudizio si avvia nelle forme
previste dal comma 3 dell’art. 44 t.u. dando luogo ad una prima fase
sommaria che si conclude con ordinanza reclamabile per poi proseguire
nelle forme ordinarie sino a concludersi con sentenza appellabile29.
L’aspetto in cui peraltro la disciplina legislativa raggiunge un livello
di vera e propria schizzofrenia è quello che concerne il contenuto dei
provvedimenti conclusivi ovvero i rimedi lato sensu sanzionatori che la
legge prevede.
29 Nel disegnare le linee del procedimento previsto dall’art. 44 del t.u. il legislatore ha
ritenuto opportuno non seguire, come già fatto in materia di parità di trattamento uomo-
donna, l’esempio del procedimento sommario-decisorio previsto in sede di art. 28 dello Sta-
tuto dei lavoratori, ma piuttosto definirne uno inedito. Sull’esame della disciplina e sulle so-
luzioni interpretative da adottarsi per rigorizzare la disciplina legislativa, v. TARZIA, G., Ma-
nuale del processo del lavoro, cit., p. 369 ss.; cui adde, CICCHITI, V.E., L’azione civile contro la
discriminazione ex art. 44 t.u. 286/98, cit., p. 729 ss.; SANTAGADA, F., La tutela giurisdizionale
dei diritti dello straniero nel testo unico sull’immigrazione, in Giusto processo civile e procedi-
menti decisori sommari, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2001, p. 341 ss., ma spec. p. 361 ss.;
BORGHESI, D., in Il processo del lavoro, p. 494 s. Nel senso di una dovuta ricostruzione costi-
tuzionalizzatrice, v. anche SCARSELLI, G., Appunti sulla discriminazione razziale e la sua tutela
giurisdizionale, cit., p. 828, nota 34 in fine.
618 CAPITOLO OTTAVO
In questo ambito si tocca con mano la fiera assenza dei pur minimi
elementi di cognizione che il legislatore avrebbe dovuto possedere per
disciplinare in maniera coerente la questione.
Se si guarda al t.u., il contenuto dei provvedimenti, che possono es-
sere emanati in sede di giudizio individuale, dovrebbe essere il seguente:
con l’ordinanza anticipatoria di cui si è detto o con la sentenza che defi-
nisce il giudizio il giudice può ordinare la cessazione del comportamento
pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere
gli effetti; mentre, dalla lettura del comma 7 dell’art. 44, sembrerebbe
che solo con la sentenza si possa anche condannare il convenuto al risar-
cimento del danno non patrimoniale.
Per ciò che attiene al giudizio collettivo, il comma 10 dell’art. 44 pre-
vede che con la «sentenza che accerta le discriminazioni» il giudice or-
dini al datore di definire un piano di rimozione delle stesse. Peraltro, vi-
sto che il giudizio collettivo segue le forme del giudizio individuale, il ri-
ferimento specifico che la disposizione appena citata opera nei confronti
della «sentenza che accerta le discriminazioni» accompagnato da una let-
tura sistematica di questa disposizione alla luce della disciplina poc’anzi
indicata in materia di azione del consigliere di parità, dovrebbe indurre a
ritenere che il contenuto del provvedimento conclusivo non sia costituito
solo dall’ordine di definizione del piano ma anche dagli ordini inibitori,
ripristinatori e risarcitori. In altri termini, stando a quando previsto dal
t.u. sembrerebbe che in sede di giudizio collettivo l’ordinanza anticipato-
ria sia limitata, come in sede individuale, all’ordine inibitorio e ai prov-
vedimenti ripristinatori, mentre la sentenza possa comprendere anche la
condanna al risarcimento e alla definizione del piano.
Se, poi, si passa all’esame dei decreti legislativi a cui più volte ab-
biamo fatto riferimento e alla legge n. 67 del 2006, il discorso si complica
ulteriormente.
In primo luogo, il generale rinvio che, riguardo alle forme dei giu-
dizi, questi provvedimenti operano alla disciplina dell’art. 44 del t.u. nei
commi già indicati appare particolarmente equivoco e fonte di incer-
tezze, poiché, da un lato, tali disposizioni sono talora indirizzate proprio
a definire il contenuto del provvedimento giudiziale (ad esempio il
comma 1 dell’art. 44 t.u.) e, dall’altro, gli stessi d.legisl. 215 e 216, non-
ché la l. n. 67, dispongono autonomamente in merito alla questione ora
in esame, senza distinguere, peraltro, tra ordinanza e sentenza. Stando
così le cose forse la strada più piana è seguire quanto specificamente è
previsto nei provvedimenti legislativi indicati ovvero ritenere che il giu-
dice «con il provvedimento con il quale è accolto il ricorso» (art. 4,
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 619
comma 5, dei d.legisl. nn. 215 e 216; art. 3, comma 3, della l. 67), cioè,
tanto con l’ordinanza quanto con la sentenza, possa condannare al risar-
cimento anche non patrimoniale, alla cessazione del comportamento ed
alla rimozione degli effetti compresa anche l’adozione del piano di rimo-
zione. Tali misure, infine, sembrerebbero potersi richiedere tanto in sede
di giudizio collettivo che in sede di giudizio individuale.
2.3. Conclusioni
Terminato questo primo tentativo di sistemazione in cui abbiamo
cercato di limitarci – per quanto possibile – ad interventi interpretativi di
ridotta incidenza e che in fondo cercassero di premiare una certa ratio ge-
neralis pur comune ai diversi ambiti di tutela, va subito detto che il ri-
sultato finale raggiunto non soddisfa comunque appieno.
Non vogliamo nuovamente passare in rassegna le disposizioni ap-
pena esaminate per rilevare le numerose antinomie e le inspiegabili in-
congruenze che emergono dalla lettura complessiva del sistema allorché
si proceda ad un esame anche solo poco più approfondito di quello ap-
pena svolto; il discorso uscirebbe di certo dai limiti di indagine che ap-
partengono a questo studio e comunque ci pare che, in assenza di un in-
tervento legislativo che sappia rivedere ex novo ed organicamente tutta la
disciplina, solo un’applicazione giurisprudenziale significativa può dare
stabilizzazione ad un quadro positivo così disarticolato. Va detto, peral-
tro, che di fronte all’interprete si apre una secca alternativa: o arrestarsi
al dato letterale e prendere atto delle incomprensibili differenze di disci-
plina che si presentano pur a parità di esigenze di tutela, o abbandonare
gli indugi ed affrontare una interpretazione costituzionalizzatrice, anche
talora in contrasto con il dato letterale, che sappia ricondurre a logica e
coerenza sistematica il quadro complessivo dei rimedi processuali.
Chi scrive pende di certo a favore della seconda opzione e, pur al-
l’interno di un contesto giurisprudenziale estremamente ridotto, sembra
non manchino significati esempi di tentativi ricostruttivi orientati in tale
senso30. Peraltro, come detto, giunti a questo punto della riflessione non
30 Ci riferiamo a P. Bologna, 27 giugno 1998, in Foro it., 1999, I, p. 3424 ss.; in Riv.
giur. lav., 1999, II, p. 325 ss. con nota di CAFALÀ, L., Le aporie processuali e l’assestamento so-
stanziale delle leggi sulla parità in una recente controversia in tema di discriminazione collettiva
indiretta. Il caso Gloria Bassi; in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 284 ss., con nota di CATTANI, M., Un
decreto del pretore bolognese in tema di discriminazione indiretta. Non interessa in questa sede
l’esame della decisione nel merito delle scelte ricostruttive impiegate, essendo queste oramai
superate dalla novellazione del 2000 (il problema interpretativo era riferito alla possibilità di
esercitare l’azione collettiva ex art. 4 l. 125/91, nelle forme dell’art. 15 l. 903/77), ma preme
620 CAPITOLO OTTAVO
dotto secondo una certa impostazione che privilegi o si limiti alla prospettiva finalistica; cosa
che appunto si è verificata nella dottrina richiamata. Diverso è il discorso se si esaminasse con
attenzione l’oggetto del giudizio che di volta in volta il p.m. è legittimato a promuovere
allorché sia dotato di legittimazione propria. Secondo questa impostazione, ovvero tenendo
rigorosamente separati gli elementi strutturali da quelli funzionali, per poterne apprezzare
l’autonoma dimensione pur nelle inevitabili correlazioni, allora lo scenario di riflessione
potrebbe cambiare completamente, così come gli esiti della stessa. Per verificare quanto si va
affermando in questa nota, si veda ad esempio la sintesi del dibattito sulla natura dell’azione
del pubblico ministero che riportiamo nel cap. VI, alla nota 20.
36 RAPISARDA, C., La tutela dei soggetti discriminati, cit., p. 73 ss.; ID., La tutela giudi-
stenendo che «la peculiare natura [della condotta] non muterebbe quand’anche accadesse
che, nella specifica situazione concreta, il soggetto leso nel suo diritto all’eguale trattamento
fosse uno solo: la discriminazione resterebbe comunque collettiva e plurioffensiva». Questa
opinione, dunque, si riferisce al concetto di lesione intendendo con esso il pregiudizio che
mediatamente può venire a realizzarsi in capo a più soggetti a seguito della violazione (in
senso tecnico) anche di un solo diritto soggettivo appartenente ad un membro del gruppo,
con la conseguenza che secondo questa ricostruzione la lesione sussiste sempre (ontologica-
mente appunto), ma nella misura e secondo la natura individuata dalla maggioranza della
dottrina che, proprio alla luce della formula «anche quando non siano individuabili in modo
immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle discriminazioni», parla frequente-
mente non di vera e propria violazione di diritti soggettivi, ma di lesione intesa come pregiu-
dizio generico, potenziale, non attuale e quant’altro. Ritornando comunque all’esame della
posizione di Izzi, ciò che comunque colpisce del pensiero dell’A. è che, nel sottoporre a cri-
tica l’opinione di Rapisarda, non si avvede di utilizzare un concetto di lesione diverso da
quello adottato da quest’ultima, la quale, infatti, si riferisce inequivocabilmente alla lesione
intesa come violazione di diritto soggettivo e coerentemente, nel momento in cui afferma il
carattere non plurioffensivo della condotta repressa, sostiene, per un verso, la natura generale
dell’interesse tutelato nel giudizio e, per l’altro, che il consigliere non agisca, come in altri or-
dinamenti, in sostituzione dei soggetti individuali singolarmente lesi. Nell’impostazione cri-
tica proposta da Izzi non si coglie il significato tecnico che la nozione di lesione assume nel-
l’impostazione da Rapisarda o, più precisamente, il significato sistematico sotteso all’accogli-
mento di questa nozione. La domanda che anima lo studio di Rapisarda è quella di verificare
se sussista o no lesione simultanea di più diritti soggettivi, ciò ai fini della ricostruzione del-
l’oggetto del giudizio e dell’azione esercitata dal consigliere. Così non è nell’opinione di Izzi
e ciò è confermato dal fatto che quest’ultima, sebbene neghi il presupposto d’indagine adot-
tato da Rapisarda e sostenga quindi l’ontologica plurioffensività del comportamento, non ac-
coglie (come logica vorrebbe) l’ottica al contrario esclusa, ovvero la ricostruzione del proce-
dimento come rivolto alla repressione di comportamenti contestualmente lesivi di diritti sog-
gettivi, e continua a parlare di lesione di interessi, vuoi collettivi, vuoi generali e non di diritti.
Ciò è il segno inequivocabile dell’utilizzo da parte delle due studiose di strumenti interpreta-
tivi tra loro eterogenei, capaci pertanto di falsare il raffronto tra le due ricostruzioni e rendere
logicamente comprensibile che a presupposti (solo apparentemente) diversi, corrispondano
conclusioni simili. Peraltro ciò dovrebbe far riflettere ancora una volta quanto possa essere
equivoco il concetto di plurioffensività, sul punto v. ad esempio il discorso fatto retro, capp.
VII, § 5.2. e X, § 3.1.4.1.
38 Così, BORGHESI, D., in Il processo del lavoro, p. 495 s., il quale, se in relazione al qua-
dro di tutele processuali previste dall’art. 4 della legge 125 del 1991 – come meglio vedremo
tra breve – ritiene sussita necessità di coordinamento tra azioni individuali ed azioni collet-
tive, non potendosi escludere la plurioffensività del comportamento discriminatorio collet-
tivo, diversamente, in materia di azioni previste dagli artt. 5 dei d.legisl. nn. 215 e 216 del
2003, richiama l’attenzione sul fatto che le «entità o associazioni sono legittimate ad agire in
via autonoma solo quando non sono individuabili soggetti concretamente lesi dalla discrimi-
626 CAPITOLO OTTAVO
ciò proprio per il fatto che in essi – come anticipato – gli enti rappresen-
tativi sono legittimati all’azione collettiva solo «qualora non siano indivi-
duabili in modo diretto e immediato le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle
discriminazioni» e non, come previsto dalla legge n. 125, «anche quando
non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalla
discriminazione».
L’argomento qui esposto, dunque, sembrerebbe uscire in un certo
senso rafforzato da questo più recente intervento legislativo, dal quale
dovrebbe derivare la conferma che l’obiettivo specifico dell’azione col-
lettiva è costituito dalla repressione dei comportamenti discriminatori
non concretamente produttivi di violazioni di diritti soggettivi individuali
o comunque non produttivi di vere e proprie lesioni di situazioni sogget-
tive sostanziali perfette39.
Come già anticipato, peraltro, questo primo risultato interpretativo,
ottenuto sulla base della lettura delle disposizioni sostanziali dettate dalla
normativa antidiscriminatoria, è stato poi corroborato con l’impiego di
un secondo argomento, concernente il particolare contenuto dell’ordine
giudiziale conclusivo del procedimento disciplinato dall’art. 4 della l. n.
125/91, il quale, come visto, nella formulazione anteriore alla novella –
ossia nel momento in cui l’orientamento in esame andava affermandosi –
prevedeva che oggetto dell’ordine giudiziale fosse unicamente la defini-
zione del piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro il ter-
mine fissato dal giudice, non disponendosi nulla – come diversamente sa-
rebbe accaduto a seguito del d.legisl. n. 196 del 2000 – riguardo alla fis-
sazione dei criteri, anche temporali, da doversi osservare ai fini della
definizione ed attuazione del piano stesso.
Su questa base positiva, quindi, si è rimarcata l’impossibilità di otte-
nere – in sede di giudizio collettivo – effetti direttamente reintegratori
dei diritti di parità lesi dalla condotta illecita e da qui si è ricavata un’ul-
nazione. La qual cosa significa che, a differenza di quanto previsto dall’art. 4, l. 125/1991, se-
condo il quale l’azione collettiva può essere proposta “anche quando non siano individuabili
in modo immediato e diretto le lavoratrici e il lavoratori lesi dalle discriminazioni”, gli enti
esponenziali sembrano possano agire solo quando la discriminazione incide su di un interesse
collettivo che non ha ricadute su singoli lavoratori». Che le azioni collettive previste dai d.le-
gisl. nn. 215 e 216 possano essere esercitate solo allorché non siano individuabili in modo di-
retto e immediato i soggetti discriminati è opinione diffusa in dottrina: FABENI, S., Norme an-
tidiscriminatorie e il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216: le opportunità mancate e le pro-
spettive per una riforma, cit., p. 110, nota 53; GAROFALO, M.G. - RECCHIA, G.A., Le sanzioni e
la loro efficacia, cit., p. 327. Per un critica a questa impostazione, tanto sotto il profilo della
mancata plurioffensività, quanto riguardo all’interpretazione da dare alla difformità di impo-
stazione letterale che ricorre tra i diversi testi legislativi, v. infra, § 3.3.4.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 627
42 PESSI, R., Lavoro e discriminazione, cit., p. 462 s.; GUARRIELLO, F., Azioni in giudizio,
cit., p. 199 s.; CURCIO, L., Legittimazione ad agire nel nostro ordinamento e in particolare nel
diritto del lavoro, ivi, p. 355 e, negli stessi termini, in relazione alle azioni collettive previste in
sede di d.legisl. 215 e 216 del 2003, p. 358.
43 CHIAVASSA, A. - HOESCH, L., Le azioni positive in giudizio, cit., p. 340. Come il lettore
attento capirà, la tesi sostenuta nel testo vede come suo necessario presupposto dogmatico
una ben definita configurazione dell’interesse diffuso. Contrapponendosi, infatti, in dottrina,
due concezioni del medesimo, talora inteso come interesse seriale, talaltra inteso in una di-
mensione globale ed unitaria (cfr. retro, cap. III, §§ 3.3.1.1. e 3.4.1., nonché, in chiave rico-
struttiva cap. IV, §§ 6 ss.); le osservazioni appena riportate nel testo sono evidentemente com-
patibili solo con la seconda opzione teorica or ora indicata, cioè con la configurazione unita-
ria dell’interesse diffuso.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 629
Così, nel caso in cui il consigliere di parità agisca per la tutela di sog-
getti discriminati identificati, l’interesse tutelato dovrebbe essere confi-
gurato come collettivo o di categoria ed il consigliere verrebbe ad assu-
mere la veste di ente esponenziale del gruppo, mentre, al contrario, qua-
lora i soggetti discriminati non fossero identificati o ancor più
identificabili, l’interesse tutelato avrebbe natura pubblica e il consigliere
agirebbe come tutore del rispetto del principio costituzionale della pa-
rità44.
zione collettiva, cit., p. 768; PESSI, R., Lavoro e discriminazione, cit., p. 462; BASILICO, G., La
tutela della parità uomo-donna nei rapporti di lavoro, cit., p. 544, ma solo nel caso di soggetti
individuati.
46 GUARRIELLO, F., Azioni in giudizio, cit., p. 200.
47 Così, BASILICO, G., La tutela della parità uomo-donna nei rapporti di lavoro, cit., p.
544, ma solo nel caso in cui l’azione sia esercitata a tutela di soggetti direttamente individuati;
PESSI, R., Lavoro e discriminazione, cit., p. 462 s.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 631
diritto del lavoro, ivi, p. 355, che rinvia al concetto di sostituzione processuale sebbene l’og-
getto della tutela sia costituito da interessi collettivi e non da diritti soggettivi individuali. La
medesima qualificazione è poi riservata anche alla posizione dei soggetti collettivi legittimati
ai sensi degli artt. 5 dei d.legisl. 215 e 216 del 2003.
50 Sul tema, v. innanzitutto, RAPISARDA, C., La tutela dei soggetti discriminati, cit., p. 75
ss.; ID., La tutela giudiziale, cit., p. 788; cui adde PULEO, A., Discriminazioni di sesso nel mer-
cato del lavoro, cit., p. 100; BALENA, G., Gli aspetti processuali della tutela contro le discrimi-
nazioni di sesso, cit., p. 433; CICCHITI, V.E., Profili processuali della tutela della parità tra uo-
mini e donne in materia di lavoro, cit., p. 1194 ss., che distingue tra le diverse causae petendi
ed i diversi petita relativi alle distinte tipologie di azioni. Dopo l’entrata in vigore del d.legisl.
196/2000, v. ancora CICCHITI, V.E., La tutela processuale della parità dopo il d.lgs. del 23
maggio 2000 n. 196, cit., p. 198; CURCIO, L., Le modifiche all’art. 4 della l. n. 125/1991, cit.,
p. 776; AMATO, F., Le modifiche all’art. 4 della l. n. 125/1991: d) L’azione individuale e l’azione
collettiva, cit., p. 768. In relazione alle azioni già previste dall’art. 44 del t.u. sull’immigra-
zione, v. CICCHITI, V.E., L’azione civile contro la discriminazione ex art. 44 t.u. 286/98, cit.,
p. 743.
632 CAPITOLO OTTAVO
51 Sul punto v. le considerazioni di CICCHITI, V.E., Profili processuali della tutela della
parità tra uomini e donne in materia di lavoro, cit., p. 1199; TARZIA, G., Manuale del processo
del lavoro, cit., p. 369; BALENA, G., Gli aspetti processuali della tutela contro le discriminazioni
di sesso, cit., p. 433.
52 Così, DE ANGELIS, L., Profili della tutela processuale contro le discriminazioni tra lavo-
ratori e lavoratrici, cit., p. 479; ID., Considerazioni in tema di decisione della causa promossa
contro le discriminazioni sessuali collettive, cit., p. 799. A questo orientamento aderisce, salvo
le ragioni di differenziazione di cui diamo conto nel testo, RAPISARDA, C., La tutela dei soggetti
discriminati, cit., p. 82; ID., La tutela giudiziale, cit., p. 789; CICCHITI, V.E., Profili processuali
della tutela della parità tra uomini e donne in materia di lavoro, cit., p. 1200; ID., La tutela pro-
cessuale della parità dopo il d.lgs. del 23 maggio 2000 n. 196, cit., p. 200; IZZI, D., Discrimina-
zioni di sesso nel rapporto di lavoro: il nuovo regime processuale, cit., p. 576 s.; BASILICO, G.,
La tutela della parità uomo-donna nei rapporti di lavoro, cit., p. 547; PULEO, A., Discrimina-
zioni di sesso nel mercato del lavoro, cit., p. 132 s. In relazione alle azioni già previste dall’art.
44 del t.u. sull’immigrazione, nei medesimi termini, v. ancora, CICCHITI, V.E., L’azione civile
contro la discriminazione ex art. 44 t.u. 286/98, cit., p. 743.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 633
53 BALENA, G., Gli aspetti processuali della tutela contro le discriminazioni di sesso, cit.,
p. 432.
54 BALENA, G., Gli aspetti processuali della tutela contro le discriminazioni di sesso, cit.,
p. 433. Come sembra piuttosto evidente le osservazioni di Balena sono tutt’altro che facil-
mente eludibili alla luce dei presupposti ricostruttivi da cui muove l’orientamento in esame
nel testo. A ciò si aggiunge, tra l’altro, un ulteriore incongruenza, costituita dal fatto che, al-
l’interno delle opinioni orientate a favore della tesi del doppio binario, talune voci ritengono
che, qualora il giudizio pubblico penda simultaneamente al giudizio individuale (salvo l’ipo-
tesi in cui si seguano le forme previste dall’art. 15 l. 903/77), quest’ultimo debba essere so-
speso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. sino alla definizione del primo (così, DE ANGELIS, L., Profili
della tutela processuale contro le discriminazioni tra lavoratori e lavoratrici, cit., p. 479; ID.,
Considerazioni in tema di decisione della causa promossa contro le discriminazioni sessuali col-
lettive, cit., p. 799; IZZI, D., Discriminazioni di sesso nel rapporto di lavoro: il nuovo regime
processuale, cit., p. 576 s.; ma, contra, CICCHITI, V.E., Profili processuali della tutela della parità
tra uomini e donne in materia di lavoro, cit., p. 1200; ID., La tutela processuale della parità
dopo il d.lgs. del 23 maggio 2000 n. 196, cit., p. 200). Conseguenza, quest’ultima, davvero sin-
golare se si pensa al fatto che secondo l’impostazione prevalentemente seguita da questo
orientamento non sussiste tra l’oggetto degli eventuali giudizi individuali e l’oggetto del giu-
dizio collettivo alcun nesso di connessione per pregiudizialità-dipendenza.
634 CAPITOLO OTTAVO
rioffensive è sostenuto da RAPISARDA, C., La tutela dei soggetti discriminati, cit., p. 82; ID., La
tutela giudiziale, cit., p. 789. Per la dottrina ora indicata, infatti, nell’ipotesi di condotta di-
scriminatoria indiretta non c’è modo per poter parlare di lesione di situazioni giuridiche col-
lettive, come è testimoniato dalla possibilità di esercitare l’azione anche allorché non siano in-
dividuati o individuabili i soggetti discriminati. Questo è chiaramente un punto che come vi-
sto risulta essere determinante per la ricostruzione dell’intero sistema di tutela processuale e
che condiziona ab imis la teoria del doppio binario. Così, dunque, per Rapisarda l’estensione
ultra partes potrà avere luogo solo allorché il comportamento sia a carattere plurioffensivo.
56 Sul punto, v. BASILICO, G., La tutela della parità uomo-donna nei rapporti di lavoro,
cit., p. 547.
57 Così, precisamente, CICCHITI, V.E., Profili processuali della tutela della parità tra uo-
mini e donne in materia di lavoro, cit., p. 1200; ID., La tutela processuale della parità dopo il
d.lgs. del 23 maggio 2000 n. 196, cit., p. 200.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 635
58 LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, cit., spec. p.
XXXV s.; e, salvo i distinguo operati alle note 38, 63 e 80, BORGHESI, D., in Il processo del la-
voro, cit., p. 485 ss.
59 Ci riferiamo al nostro Considerazioni sulla natura dell’azione esercitata dal consigliere
di parità in materia di discriminazioni uomo-donna, cit., p. 611 ss., nel quale appunto avevamo
già sostenuto il concorso tra azione lato sensu collettiva del consigliere di parità e le azioni in-
dividuali dei soggetti pregiudicati.
60 Su cui, cfr. retro, cap. III, 3.4.1.
636 CAPITOLO OTTAVO
rio devono essere definiti come un insieme più o meno ampio di interessi
individuali caratterizzati da una tipica relazione di compatibilità e con-
correnza61.
Abbiamo anche avuto modo di osservare che la mancata lesività
della violazione degli obblighi imposti a tutela degli interessi collettivi
appare a ben vedere un equivoco indotto dalla stessa concezione unitaria
dell’interesse tutelato.
Il punto fondamentale, infatti, è verificare la relazione che intercorre
tra l’interesse ed il suo strumento di tutela. Così, se un certo comporta-
mento è posto a tutela di un certo interesse, la violazione dell’obbligo im-
porta ex necesse la lesione di quell’interesse che dall’osservanza dello
stesso doveva essere soddisfatto. Per cui tale argomento, ovvero la mi-
nore o maggiore lesività del comportamento antigiuridico si risolve in so-
stanza in quello della determinazione dell’interesse tutelato e della strut-
tura formale da attribuire al medesimo. Se questo è un insieme di inte-
ressi individuali, allora la lesione colpisce di certo questi ultimi, se invece
l’interesse collettivo è qualcosa di diverso, è questo qualcosa e non gli in-
teressi individuali a ricevere lesione. Sul punto – peraltro – ci siamo ap-
pena pronunciati, sicché questa seconda opzione deve ritenersi esclusa
ed al contrario occorre ritenere che la violazione dell’obbligo porta con
sé la lesione del fascio di interessi individuali compatibili e concorrenti
che l’osservanza dello stesso avrebbe dovuto soddisfare.
Il tentativo, dunque, di svincolarsi dal concetto tecnico di lesione ri-
ferendosi ad un «pregiudizio generico», rimarcando l’assenza di «con-
crete lesioni» oppure di «vittime attuali», oppure ventilando l’ipotesi di
«lesioni potenziali e generiche», sono tutte operazioni concettuali che ri-
velano fondamentalmente due cose: a) la predetta concezione unitaria
dell’interesse collettivo; b) la mancata percezione dell’essenza propria del
concetto di diritto soggettivo e dei rapporti tra questo e, da un lato, l’in-
teresse e, dall’altro, l’obbligo.
Nella sede interpretativa a cui ora la nostra indagine è rivolta, peral-
tro, tutte queste osservazioni di natura teorico-generale sono pienamente
confermate da un’attenta analisi del dato legislativo.
Per dimostrare, infatti, che gli illeciti repressi in sede di giudizio col-
lettivo non siano plurioffensivi, ovvero ledano interessi diversi da quelli
dei singoli, occorrerebbe ancor prima dimostrare che quegli stessi illeciti
non possano essere oggetto di repressione anche nei giudizi individuali.
Commentario dello statuto dei lavoratori, diretto da U. Prosperetti, II, Milano, 1975, p. 966
ss., spec. p. 973.
67 Art. 4, comma 3, della l. n. 67/06; art. 5, comma 2, del d.legisl. n. 216/03; art. 5,
Nel recente codice delle pari opportunità, l’art. 37, comma 1, pre-
vede che l’azione del consigliere sia esperibile avverso «comportamenti
discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo», nel t.u. in mate-
ria di immigrazione e condizione giuridica dello straniero, l’art. 44,
comma 10, si riferisce al «comportamento discriminatorio di carattere
collettivo», nella l. n. 67 del 2006 l’art. 4, si riferisce ai comportamenti di-
scriminatori diretti e indiretti «quando questi assumano carattere collet-
tivo», nei d.legisl. nn. 215 e 216, infine, l’art. 2 parla di «discriminazione
collettiva» e solo in questo caso l’azione degli enti rappresentativi sembra
essere limitata all’ipotesi in cui «non siano individuabili in modo diretto
e immediato le persone lese dalla discriminazione», mentre in tutte le al-
tre ipotesi la linea è – come visto addietro – quella dettata in origine dalla
l. n. 125 del 1991 – ora accolta dal già menzionato art. 37 del codice di
pari opportunità – in cui appunto il consigliere esercita l’azione «anche
quando non siano individuabili in modo immediato e diretto le lavora-
trici o i lavoratori lesi dalle discriminazioni».
Ora, messo per il momento da parte il problema di comprendere
quando per il legislatore i comportamenti discriminatori diretti o indi-
retti diventino collettivi e fatte salve anche le ragioni che nei d.legisl. nn.
215 e 216 hanno condotto alla limitazione poc’anzi accennata, non è
dubbio che i comportamenti discriminatori diretti e indiretti richiamati
dalle disposizioni indicate siano quelli previsti da quelle stesse norme,
che appunto li regolamentano, a cui rinviano le disposizioni in materia di
legittimazione individuale.
Non solo; è anche opportuno far cadere l’accento sulla formula ver-
bale che ricorre in queste previsioni di legge, ovvero sulla locuzione
«persone lese dalla discriminazione», oppure sull’omologa «lavoratrici o
[…] lavoratori lesi dalle discriminazioni»; va, a tal proposito rimarcato,
infatti, che anche i soggetti non direttamente o immediatamente indivi-
duabili, sono comunque definiti «lesi» dalla condotta discriminatoria.
Da qui una duplice conferma. La prima è la più scontata e concerne
il fatto che il definire i comportamenti discriminatori deducibili in sede
collettiva come lesivi dei singoli ovviamente conferma la pari deducibilità
degli stessi sul fronte individuale. La seconda, invece, riguarda proprio la
pari lesività – in senso normativo, ovviamente – di ogni condotta discri-
minatoria68, anche di quelle che abbiano l’effetto di ripercuotersi in ma-
niera diffusa – il termine non è impiegato a caso – nei confronti di sog-
68 Sul punto, incisivamente, LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra fac-
cia della luna, cit., p. XXXV.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 641
solo il fatto che tale concorso dipende dalle domande che concretamente
vengono avanzate al giudice, ma anche dalla specifico regime rimediale
che nei distinti provvedimenti indicati viene ad essere previsto.
In questi, infatti, a fronte di una sicura coincidenza parziale dei ri-
medi ottenibili talora è possibile riscontrare un certo scostamento tra ri-
medi individuali e collettivi.
Senza ripeterci nell’elencazione già fatta, nei d.legisl. nn. 215 e 216,
nonché nella l. n. 67 del 2006, ad esempio, il fronte rimediale collettivo
coincide in pieno con quello individuale. Più in particolare, sia l’azione
collettiva che quella riservata al singolo potranno approdare alla con-
danna al risarcimento del danno, all’ordine inibitorio, al provvedimento
ripristinatorio ed anche all’ordine di apprestamento del piano di rimo-
zione. Nel t.u. in materia di immigrazione e nel codice delle pari oppor-
tunità, sembrerebbe, invece, che in sede di giudizio individuale non sia
possibile ottenere quest’ultimo provvedimento concernente il piano di ri-
mozione, d’altra parte, una lettura sistematica di queste norme alla luce
dei principi costituzionali già indicati potrebbe o forse dovrebbe con-
durre ad uniformare la disciplina anche sotto questo profilo.
poiché i d.legisl. nn. 215 e 216, che tale limitazione prevedono, rappre-
sentano l’eccezione all’interno del più ampio sistema di tutela collettiva
antidiscriminatoria che il nostro ordinamento contempla. Infatti, in tutte
le altre fattispecie disciplinate, l’azione collettiva è ammissibile anche se i
soggetti discriminati siano individuati o individuabili.
Un terzo ed ultimo argomento a favore di questa lettura potrebbe,
infine, essere rappresentato dalle disposizioni che prevedono la possibi-
lità di delegare l’azione individuale all’ente rappresentativo secondo le
forme che queste stesse disposizioni prevedono. Si potrebbe, in altri ter-
mini ragionare, evidenziando che, se l’ente rappresentativo ha bisogno
della delega per esercitare l’azione del singolo, allora, ovviamente, non
può farlo in assenza della stessa.
A sostegno della seconda impostazione indicata, ovvero a favore
della valenza lato sensu collettiva appartenente anche al comportamento
«monolesivo», militerebbero invece le seguenti osservazioni interpre-
tative.
In primo luogo svetta l’irragionevolezza di una disposizione di legge
che discrimini essa stessa in ragione di criteri di orientamento meramente
quantitativi e assolutamente imponderabili73. Come è possibile ritenere
che l’attivazione di uno strumento di effettività e di tutela processuale in
fin dei conti rivolto a sostegno del valore supremo dell’uguaglianza tra
persone sia rimessa alla circostanza mera e occasionale che i soggetti lesi
siano tanti e non magari pochi, se non anche uno solo?
Chi dovrebbe decidere, peraltro, quando viene raggiunta la soglia
della dimensione collettiva?
Quanti dovrebbero essere i soggetti discriminati?
Due soggetti? Tre soggetti? Dieci? Cento?
In secondo luogo è la stessa legge a non distinguere tra fattispecie
nelle quali è statisticamente più probabile che la discriminazione abbia
un raggio di incidenza più esteso (discriminazione indiretta), e fattispecie
in cui al contrario la lesione può colpire anche un solo soggetto o anche
73 Diverso discorso, come si vedrà (cfr. cap. X, § 3.3.), va fatto in riferimento all’azione
collettiva risarcitoria appena introdotta con la legge finanziaria 2008. Il meccanismo proces-
suale previsto dall’art. 140 bis, infatti, che appunto prevede anch’esso il riferimento alla «plu-
ralità» di consumatori lesi dall’illecito, presenta profili funzionali e strutturali assai eterogenei
rispetto ai giudizi antidiscriminatori in esame in questo capitolo. In tale sede manca il prima-
rio rilievo costituzionale dell’interesse sostanziale tutelato e di contro acquistano importanza
le esigenze di economia processuale che il contenzioso seriale in questione solleva e che ben
risuonano nel meccanismo dell’adesione all’azione collettiva previsto dal comma 2 dell’arti-
colo ed al quale sono affidate le sorti del buon finanziamento del processo.
646 CAPITOLO OTTAVO
dunque, ad una tipica tecnica di innalzamento della tensione all’attuazione dell’obbligo su cui
ci siamo già ampliamente soffermati (cfr. retro, cap. V, § 2.5.3. e cap. VI, § 4.) e che consiste
nell’attribuzione dell’azione non solo al soggetto o ai soggetti il cui interesse viene ad essere
direttamente protetto dall’osservanza del dovere, ma anche a soggetti differenti che però per
fini istituzionali si prefiggono la difesa di quello stesso interesse ovvero, in altri e più precisi
termini, che tendono ad uniformare il loro interesse concreto a quello che nelle circostanze
del caso appare essere l’interesse del soggetto destinatario dell’obbligo. Alla luce di queste
considerazioni, dobbiamo quindi rivedere ciò che avevamo sostenuto in Considerazioni sulla
natura dell’azione esercitata dal consigliere di parità in materia di discriminazioni uomo-donna,
cit., p. 637, nota 62, ove avevamo valutato opportuno ritenere che la natura collettiva della di-
scriminazione fosse determinata dalla plurilesività della stessa rispetto a più posizioni indivi-
duali. In realtà, alla luce delle considerazioni qui svolte, ma ancor più in relazione a quanto
visto in merito al concetto di interesse e le sue relazioni tanto con la norma quanto con l’ef-
fetto giudico che questa prevede quale suo strumento di tutela, il discorso va reimpostato nei
termini appena accennati, che non distano molto, nella sostanza, dal concetto di situazione
giuridica soggettiva individuale a rilevanza collettiva, elaborato da LANFRANCHI, L., Situazioni
giuridiche individuali a rilevanza collettiva ed attuazione della condanna alla reintegrazione del
lavoratore, in Riv. giur. lav., 1977, I, p. 343 ss., in materia di giudizio per la repressione della
condotta antisindacale ed efficacemente applicato in materia di giudizio ex art. 15 l.903/77 da
PAOLINI, R., Considerazioni generali sulla legge 9 dicembre 1977 n. 903: in particolare il proce-
dimento speciale ex art. 15, cit., p. 464 ss.
76 Cfr., infatti, LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna,
cit., p. XXXV, che afferma condivisibilmente: «la residua ambiguità, dovuta al manteni-
mento, da parte della novellazione operata dal d.legisl. del 2000, della coesistenza tra azione
ordinaria e sommaria non delegata del consigliere di parità ex art. 4, comma 9 e 10, e “azione
individuale”, viceversa delegabile – “ferma restando l’azione ordinaria” – allo stesso consi-
gliere di parità, oltre che al sindacato ex art. 4, comma 13, non essendo in grado – riterrei –
di annullare la ben più esegeticamente e sistematicamente rilevante equiparazione avvenuta
tra tutte le azioni del lavoratore, del sindacato, del consigliere di parità, per quel che attiene
alla oramai comune funzione di tutela giurisdizionale dei singoli soggetti colpiti da compor-
tamenti discriminatori plurioffensivi».
77 Cfr. BORGHESI, D., in Il processo del lavoro, cit., p. 488.
648 CAPITOLO OTTAVO
78 Poco comprensibile appare la tesi che in questa ipotesi vede un caso di sostituzione
processuale ex art. 81 c.p.c. (così, TESORIERE, G., Diritto processuale del lavoro, Padova, 2004,
p. 338).
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 649
condotta antisindacale, cit., p. 41 ss.). Pertanto, porre a perno del meccanismo di tutela le
connotazioni fenomenologiche del comportamento appare di certo una scelta avventata se
non propriamente inconsapevole.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 651
80 Ci poniamo, quindi, in senso contrario alla lettura strettamente esegetica della di-
sposizione in esame già avanzata dalla dottrina (cfr. retro, nota 38, la posizione di Borghesi,
Fabeni, Garofalo e Recchia). Va comunque precisato che quand’anche si preferisse accogliere
il principio – per noi assolutamente irragionevole – secondo cui l’azione può essere esercitata
solo quando non siano determinabili i soggetti lesi, tale conclusione comunque non avrebbe
incidenza sulla persistente natura plurioffensiva dell’illecito (come appunto ritengono tali
opinioni ed in particolare Borghesi). Difatti, per sostenere questo, occorrerebbe dimostrare
che al ricorrere di tale circostanza siano esclude le azioni individuali avversative dell’illecito,
ma questa interpretazione non è sostenibile sulla base di nessuno dei testi normativi qui in
esame. L’errore in cui incorre la dottrina – evidentemente suggestionata dall’idea della distin-
zione ontologica tra interesse collettivo e interesse individuale – è il partire da una disposi-
zione di tal fatta per ricostruire a ritroso il generale sistema di tutele. Al contrario la strada
corretta, come visto, è in primo luogo determinare i caratteri dell’illecito ed in secondo luogo
verificare chi sia legittimato all’azione in ordine alla sua repressione. Se, quindi, si ritenesse
opportuno accogliere l’opinione secondo cui l’individuabilità diretta ed immediata dei sog-
652 CAPITOLO OTTAVO
getti lesi impedisce l’esercizio dell’azione collettiva, ciò starebbe a significare – come già detto
(cfr. retro, § 3.3.1.) che la sfera di tutela collettiva si presenterebbe più piccola ed interna alla
sfera di tutela individuale e non – si badi bene – esterna e separata da essa.
81 Così, SCARSELLI, G., Appunti sulla discriminazione razziale e la sua tutela giurisdizio-
del giudicato tanto favorevole che sfavorevole nei confronti dei soggetti
discriminati rimasti terzi al giudizio. Di certo, a tal proposito, non appare
argomento decisivo il rilevare che i valori sostanziali difesi in questa ti-
pologia di giudizi siano di primissimo rilievo costituzionale, poiché il
punto qui in questione attiene alle garanzie di valori processuali stru-
mentali a quelli, ovvero il diritto di azione e di difesa. Ma, di contro, non
pare dubbio che per questo stesso nesso di strumentalità che lega i se-
condi ai primi, l’estensione del giudicato sfavorevole nei confronti di co-
loro che sono rimasti terzi al giudizio possa apparire soluzione ancor
meno plausibile di quanto lo sia comunque in altri ambiti di tutela in cui
gli interessi in gioco hanno carattere più marcatamente patrimoniale.
Anche in materia di giudizio antidiscriminatorio, dunque, va soste-
nuta la possibile «comunicabilità» tra i giudizi degli accertamenti già ot-
tenuti, allorquando, da un lato, sussistano relationes del tipo già indicato
e, dall’altro, la parte rimasta terza al giudizio che ha dato luogo all’accer-
tamento se ne voglia avvantaggiare nei confronti del soggetto che invece
a tale accertamento è vincolato proprio in ragione della sua partecipa-
zione al giudizio stesso.
quando uno stesso unico atto, si riveli dall’effetto sfavorevole per taluni
soggetti, che appunto pretendono essere da questo discriminati, ma, per
altro verso, sia favorevole riguardo ad altri. Ipotesi tipiche sono, ad esem-
pio, il licenziamento del soggetto X (atto positivo sfavorevole), la cui im-
pugnazione, può ben rimettere in gioco – per ipotesi – la posizione del
soggetto Y, che il datore ha ritenuto opportuno mantenere alle sue di-
pendenze (atto omissivo favorevole). Oppure, in alternativa, si pensi al
caso – similare all’ultimo indicato – della promozione del soggetto K
(atto positivo favorevole) che comporti il mancato avanzamento del sog-
getto Z (atto omissivo sfavorevole)84.
In questa situazione si viene a realizzare un conflitto di interessi che
non coinvolge solo i soggetti presunti discriminati e il datore di lavoro,
ma anche altri soggetti «preferiti», i quali, in un eventuale giudizio anti-
discriminatorio possono – come efficacemente indicato – acquisire la ve-
ste di «contro-interessati»85.
In tutti questi casi, la dottrina ha ben evidenziato come la mera ca-
ducazione dell’atto lesivo (dichiarazione di nullità) di per sé non abbia
quell’efficacia propriamente riparatoria che solo la rivisitazione dei pre-
supposti di esercizio del potere con la successiva rinnovazione dell’atto
viziato può realizzare. Da ciò due necessarie conseguenze: a) consentire
al giudice di procedere, se del caso, in via direttamente costitutiva; b)
rendere parti necessarie del giudizio i soggetti avvantaggiati dall’atto di-
scriminatorio, la cui posizione può o anzi deve essere rimessa in gioco
dagli effetti del provvedimento86.
necessario, in Giust. civ., 1984, I, p. 3413 ss., spec. p. 3414, che peraltro osserva come tale si-
tuazione, con le dovute conseguenze processuali che essa comporta, si verifica tanto riguardo
gli atti discriminatori c.d. omissivi, quanto riguardo gli atti discriminatori c.d. positivi; e ciò
in contrasto con l’orientamento comune che porta di regola l’accento solamente sulla prima
ipotesi, ovvero sugli atti discriminatori omissivi.
86 Sull’instaurazione di un giudizio che veda come parti necessarie il datore e il soggetti
p. 365; DE ANGELIS, L., La legge di parità uomo-donna nella prassi giurisprudenziale, cit., p.
337; PAOLINI, R., Considerazioni generali sulla legge 9 dicembre 1977 n. 903: in particolare il
procedimento speciale ex art. 15, cit., p. 482 ss.; SASSANI, B., in SASSANI, B. - VALLEBONA, A., Le
pari opportunità: onere della prova e sanzioni, cit., p. 135; CICCHITI, V.E., Profili processuali
della tutela della parità tra uomini e donne in materia di lavoro, cit., p. 1190 s.; FRASCA, R.,
Note sui presupposti del litisconsorzio necessario (pt. II), in Riv. dir. proc., 1999, p. 745 ss., ma
spec. p. 757.
87 Si noti che le considerazioni svolte nel testo sono avanzate unicamente al fine di me-
leva come «la formula legislativa sembra escludere che il provvedimento del giudice possa
avere l’effetto costitutivo del rapporto di lavoro, ed assegnargli invece anche qui un conte-
nuto di condanna»; ugualmente BORGHESI, D., in Il processo del lavoro, p. 489. In questo
senso sembra porsi implicitamente gran parte della dottrina: cfr., tra gli altri, RAPISARDA, C.,
Sub art. 15, cit., p. 338, e, più di recente, anche a seguito delle successive innovazioni legisla-
tive di cui abbiamo dato esposizione nel testo, TESORIERE, G., Diritto processuale del lavoro,
cit., p. 340. Per completezza, va anche rilevato che, qualora si ritenga che la lettera di talune
disposizioni non sia idonea a scalsare il principio di tipicità della tutela costitutiva, in dottrina
sono state avanzate diverse opzioni ricostruttive per conseguire tale risultato. Lo stesso TAR-
ZIA, G., Manuale del processo del lavoro, cit., p. 365, nota 83, ha ritenuto possibile ammettere
che il provvedimento giurisdizionale impositivo dell’obbligo datorile di costituzione del rap-
porto possa valere – in caso di inottemperanza dell’ordine giudiziale – come titolo da eserci-
tare ai fini della pronuncia prevista dall’art. 2932 c.c. Immediatamente satisfattiva sarebbe in-
vece la strada indicata da SASSANI, B., Aspetti processuali della l. n. 125/91, cit., p. 869 ss.; ID.,
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 659
in SASSANI-VALLEBONA, Le pari opportunità: onere della prova e sanzioni, cit., p. 133 ss., per il
quale, posta la centralità dell’art. 1453 c.c., per determinare l’esatto rapporto tra sussistenza
del diritto all’adempimento e sua conversione in diritto al risarcimento a seguito della viola-
zione, la diretta produzione dell’effetto costitutivo rappresenterebbe lo strumento di esecu-
zione in forma specifica dell’obbligo di produzione dell’effetto giuridico desiderato che grava
sul datore di lavoro. In altri termini dalla lettura sistematica dell’art. 2932 c.c. sarebbe possi-
bile trarre il «principio generale […] secondo cui l’ordinamento consente di surrogare ope iu-
dicis e ope iudicii il compimento di atti, normativi o direttamente causativi di esiti giuridici fi-
nali, a condizione che essi siano dovuti (sentenza riguardo per la fonte, convenzionale o le-
gale) e (non solo compiutamente) determinati, (ma anche giudizialmente) determinabili nel
loro contenuto».
89 Cfr. art. 37, comma 4, codice delle pari opportunità tra uomo e donna; art. 44,
comma 1, d.legisl. n. 286/98; art. 3, comma 3, l. n. 67/2006. Che questa formula sia suffi-
ciente a ritenere superato il limite imposto dall’art. 2908 c.c. nelle ipotesi ora in esame è co-
munemente rilevato dalla dottrina: cfr. ad es. SCARSELLI, G., Appunti sulla discriminazione raz-
ziale e la sua tutela giurisdizionale, cit., p. 827 e 832; MORROZZO DELLA ROCCA, P., Gli atti di-
scriminatori nel diritto civile alla luce degli artt. 43 e 44 del T.U. sull’immigrazione, cit., p. 131.
Singolare che tale opzione ermeneutica piuttosto piana non sia condivisa da BORGHESI, D., in
Il processo del lavoro, p. 489, che peraltro si richiama all’opinione in tal senso di Tarzia,
espressa peraltro (cfr. retro, nota 88) in riferimento ad una formula legale differente, ovvero
quella riportata dall’art. 15 della l. n. 903/77.
660 CAPITOLO OTTAVO
debba verificarsi non solo quando l’azione è promossa dal soggetto o dai
soggetti discriminati, ma anche quando l’azione è promossa dall’ente
esponenziale di volta in volta legittimato.
Posto, inoltre, che il soggetto avvantaggiato comunque deve pren-
dere parte al giudizio, vista la sostanziale inscindibilità giuridica della sua
posizione rispetto a quella del soggetto per ipotesi leso dal provvedi-
mento impugnato, non par dubbio che il giudizio antidiscriminatorio si
presenti come il luogo per operare una volta per tutte il sindacato giudi-
ziale sul potere privato esercitato, cosicché parte necessaria del giudizio
sembra essere anche il soggetto svantaggiato ovvero presumibilmente di-
scriminato.
In questo caso ricorrono evidentemente quelle esigenze sistematiche
imprescindibili tali da rendere inapplicabile la regola del giudicato se-
cundum eventum litis90.
90 Esigenze sistematiche che sin dal sesto capitolo di questo lavoro avevamo rilevato es-
senziali per scalsare la generale applicabilità del regime di giudicato secundum eventum litis
nella materia in questione.
91 Si pensi, ad esempio, all’art. 37, comma 3 e 4, del codice delle pari opportunità in cui
appunto la possibilità di condannare al risarcimento del danno anche non patrimoniale sem-
bra inequivocabilmente riferita all’azione del consigliere di parità avverso le discriminazioni
collettive. In riferimento al comma 4 dell’articolo citato, occorre peraltro notare che il giudice
adito in via sommaria secondo la disciplina ivi prevista può pronunciare una condanna prov-
visionale nei limiti in cui ritenga provata la sussistenza del danno. In questo senso, ad esem-
pio, si orientava la dottrina (RAPISARDA, C., Sub art. 15, cit., p. 837; ma, contra TARZIA, G., Ma-
nuale del processo del lavoro, cit., p. 365) già in riferimento alla pretesa risarcitoria avanzata
dalla lavoratrice in sede di giudizio sommario ex art. 15 l. 903/77, precedente legislativo a cui
di certo il legislatore ha guardato per disegnare le forme del giudizio sommario collettivo a
cui ora ci riferiamo. Ed ancor prima, una simile opzione interpretativa, era stata autorevol-
mente sostenuta in sede di giudizio ex art. 28 con riferimento alla possibilità di provvedere ad
una condanna generica del datore di lavoro al pagamento delle somme dovute già all’interno
del decreto emesso a conclusione della fase sommaria (così, LANFRANCHI, L., Prospettive rico-
struttive in tema di art. 28 dello Statuto dei lavoratori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 388
ss., spec. p. 409, 432, nota 80, e 435; PUNZI, C., Repressione della condotta antisindacale: b)
Profili di diritto processuale, cit., p. 979).
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 661
94 Dal punto di vista puramente formale l’obbligo di pagamento della somma a titolo di
risarcimento del danno in nulla diverge da qualsiasi altro obbligo giuridico e ben si può dire,
sebbene questo possa apparire poco consueto, che l’ente esponenziale ha diritto al risarci-
mento del danno subito dal soggetto discriminato, intendendo con ciò dire che il pagamento
della somma a titolo di risarcimento da parte dell’autore dell’illecito a favore della persona di-
scriminata soddisfa un interesse normativamente rilevante il cui titolare è determinato dalla
legge anche nell’ente esponenziale. Questo fenomeno è già stato esaminato addietro (cfr. re-
tro, spec. cap. VII, § 5.6.) laddove si è visto come autorevole dottrina civilistica abbia pun-
tualmente distinto tra colui che appare essere destinatario dell’obbligo e colui che risulta de-
stinatario del comportamento doveroso. Uscendo, peraltro da questa prospettiva, ci si avvede
subito della particolarità di tale effetto giuridico, ovvero dell’obbligo di risarcimento, il quale,
in ragione della sua precisa funzione compensativa, «prende contenuto» dalla situazione con-
creta del soggetto che ha patito il pregiudizio, rimanendo sostanzialmente indeterminato sino
a quando la sua consistenza verrà a cristallizzarsi nella sentenza che ne accerta autoritativa-
mente l’esistenza o nell’atto stragiudiziale in cui ad esempio una parte accetti a titolo di ri-
sarcimento una certa somma pattuita rinunciando ad ulteriori pretese nei confronti del dan-
neggiante. È per questa ragione che si verificano indubbie complessificazioni del giudizio che
difficilmente possono essere risolte sulla base dell’applicazione di discipline processuali rigide
e divaricanti e che al contrario necessitano che le forme del processo si adeguino alle circo-
stanze specifiche dell’illecito, magari appunto ritagliando la controversia attorno a quelle que-
stioni comuni da cui dipendono più controversie individuali a contenuto risarcitorio.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 663
antisindacale, rilevava la difficoltà di procedere alla liquidazione del quantum delle somme
dovute da parte del datore nei confronti del lavoratore in un giudizio svolto in sua assenza
(cfr. PUNZI, C., Repressione della condotta antisindacale: b) Profili di diritto processuale, cit.,
p. 979).
96 Per indicazioni, cfr. retro, cap. VI, § 5.1.2.
97 A ben vedere il ragionamento che cerchiamo di sviluppare nel testo ricalca quanto
sostenuto dalla dottrina riguardo all’applicazione del giudicato secundum eventum litis in ri-
ferimento alla tutela della situazione giuridica plurisoggettiva. Cfr. MENCHINI, S., Il processo li-
tisconsortile, cit., p. 532 ss., sulla scia degli studi di COSTANTINO, G., Contributo allo studio del
litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, p. 242 ss., 251 ss., 467 ss., 489 ss., 504 ss.; ID., Liti-
sconsorzio: I) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Trec., XIX, Roma, 1990, p. 3. In detta ipo-
tesi, a fronte del necessario regolamento uniforme del rapporto controverso, il punto di equi-
librio tra principio della domanda e diritto di difesa dei diversi legittimati, indurrebbe ad am-
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 665
Ciò è ancor più vero se si riflette sulla circostanza che, anche in as-
senza della richiesta di condanna al risarcimento del danno, il giudicato
investirà comunque l’esistenza dell’illecito, cosicché la previsione legale
mettere l’estensione ultra partes dei soli effetti favorevoli ogni qual volta la domanda propo-
sta sia rivolta a conseguire un’«utilità» corrispondente ad un effetto «favorevole» per gli altri
soggetti rimasti terzi al giudizio. E ciò proprio per l’astratta idoneità del giudizio così avviato
e impostato a giungere all’auspicato regolamento uniforme in caso di accoglimento della do-
manda. Diversamente, allorquando la domanda proposta sia indirizzata a conseguire un ri-
sultato «sfavorevole» per gli altri titolari del rapporto, il regime di litisconsorzio necessario
diverrebbe percorso ineludibile, in quanto, muovendo dall’impossibilità di imporre ai terzi il
giudicato sfavorevole, un regolamento uniforme del rapporto non potrebbe conseguirsi che
per questa via, salvo, ovviamente dar vita ad un processo destinato ab initio al suo fallimento
in termini di tutela. Per esemplificare, alla prima ipotesi indicata potrebbe corrispondere il
caso dell’actio negatoria proposta da uno dei titolari del bene in comproprietà nei confronti
del proprietario del fondo vicino; in questa fattispecie, infatti, l’accoglimento della domanda
proposta dall’attore costituisce un effetto «favorevole» (la dichiarazione di inesistenza di di-
ritti affermati sulla cosa ai sensi dell’art. 949 c.c.) per gli altri comproprietari rimasti terzi al
giudizio e ciò giustifica l’estensione del giudicato senza violazione del diritto di difesa altrui.
L’esemplificazione dell’ipotesi opposta, invece, potrebbe essere vista nell’actio confessoria
proposta dal proprietario del fondo vicino nei confronti di uno solo dei comproprietari. In
tale ipotesi, perseguendo l’attore un’utilità corrispondente ad un risultato sfavorevole per gli
altri comproprietari non citati, l’unica possibilità di consentire il conseguimento dell’utilità ri-
cercata in giudizio a fronte del necessario regolamento uniforme del rapporto, sarebbe ap-
punto quella di rendere parti necessarie del giudizio gli altri contitolari del diritto reale sul
bene. Il principio da porre come limite all’applicazione del regime degli effetti secundum
eventum litis sarebbe, dunque, quello secondo cui «l’ordinamento non consente lo svolgi-
mento di liti, che, secondo la stessa prospettazione dell’attore, metterebbero capo a provvedi-
menti giurisdizionali inutili, in quanto la decisione, sebbene favorevole a costui, non vinco-
lando gli altri contitolari non citati, non sarebbe in grado di accordare al vincitore il bene
della vita preteso». Al ricorrere di tale circostanza, appunto, «inevitabile diventa il ricorso al-
l’istituto del litisconsorzio necessario, la cui funzione sembra essere proprio quella di rendere
possibile l’emanazione di una pronuncia di merito, idonea ad attribuire a colui che agisce ciò che
egli ha richiesto con la domanda giudiziale» (così, MENCHINI, S., Il processo litisconsortile, cit.,
p. 540). Se, alla luce di queste osservazioni torniamo alla fattispecie esaminata nel testo, ci
rendiamo subito conto dei profili problematici specifici che a questa appartengono. In primo
luogo nella fattispecie in esame l’esigenza di regolamentazione uniforme non discende da im-
prescindibili ragioni di diritto sostanziale (cfr. il concetto di rapporto unico plurisoggettivo),
ma dalle note ragioni di opportunità e soprattutto di effettività di tutela che si sono rimarcate
nel sesto capitolo. A parte questo comunque, il profilo che va qui evidenziato è rappresentato
dal fatto che se si sottopone a vaglio la posizione dell’ente esponenziale rispetto al conflitto
materiale di interessi che il diritto mira qui a regolamentare è agevole verificare come la do-
manda di tutela che esso mira a far prevalere nel processo si presenta di certo come astratta-
mente idonea a conseguire un effetto favorevole per i soggetti discriminati. D’altra parte, seb-
bene in via astratta nulla impedisca che l’ente esponenziale avanzi una domanda di contenuto
pressoché corrispondente a quella che avrebbe potuto avanzare il soggetto pregiudicato e
sebbene nulla impedisca che, proposta questa domanda, l’ente esponenziale conduca il giu-
dizio sino all’accoglimento della stessa con pieno conseguimento del risultato «favorevole»
auspicato dal soggetto discriminato, le caratteristiche sostanziali tipiche dell’effetto giuridico
666 CAPITOLO OTTAVO
dedotto possono rendere questa ipotesi più virtuale che reale. Si noti che la nozione di «fa-
vorevole» da impiegarsi nel meccanismo del giudicato secundum eventum litis non corri-
sponde semplicemente a «risultato positivo», ma in realtà trova la sua spiegazione nella so-
stanziale corrispondenza che essa rivela rispetto a ciò che il soggetto discriminato – facendo
uso della immancabilmente chiara formula chiovendiana – per diritto sostanziale avrebbe di-
ritto di conseguire o, quantomeno, mira a conseguire. Tutte queste considerazioni, peraltro,
operano su un piano di opportunità che non conduce alla necessaria applicazione del regime
processuale previsto dall’art. 102 c.p.c. E ciò in quanto, anche nella particolare fattispecie in
questione, come indicato dall’autorevole dottrina poc’anzi richiamata, il processo si presenta
comunque idoneo ad addivenire ad una pronuncia utile rispetto ai contenuti di tutela appre-
stati sul piano sostanziale a vantaggio dei soggetti terzi; sicché, appunto, così impostata la
questione ed in assenza di una disciplina appositamente predisposta dal legislatore, i princi-
pali strumenti di correzione delle deviazioni che il giudizio potrebbe assumere nel suo svol-
gimento concreto restano anche in tal caso quelli indicati nel testo.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 667
98 Ex multis, v. Cass., 30 ottobre 2006, n. 23342, in Foro it. Rep., 2006, Danni civili, n.
386; Cass., 6 luglio 2006, n. 15366, in Foro it. Rep., 2006, Assicurazione (contratto), n. 225;
Cass., 6 dicembre 2005, n. 26687, in Foro it. Rep., 2006, Cosa giuridica civile, n. 25; Cass., 14
ottobre 2005, n. 19976, in ivi, n. 20. Per approfondimenti, v. MENCHINI, S., Il giudicato civile,
Torino, 2002, p. 120 ss., ma cfr. anche POLI, R., I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie,
Padova, 2001, p. 133 ss., specie in riferimento alla complessificazione che tale effetto giuri-
dico comporta in termini di giudizio di impugnazione.
99 Cfr. retro, cap. VI.
668 CAPITOLO OTTAVO
100 Cfr. SILVESTRI, E., Rilievi sul piano di rimozione delle discriminazioni collettive, cit.,
p. 804 ss.; RAPISARDA, C., Tecniche individuali e collettive a confronto nella tutela giudiziale dei
diritti di parità, cit., p. 97 ss., spec. p. 103 ss. Di recente, v. LA CHINA, S., Dal giudice giudi-
cante al giudice pianificante (variazioni minime su un tema scabroso), in Riv. dir. proc., 2007,
p. 847 ss.
670 CAPITOLO OTTAVO
questione, v. il già citato saggio di LA CHINA, S., Dal giudice giudicante al giudice pianificante,
cit.
102 Cfr. retro, nota 13.
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 671
non pare dubbio che il sistema di tutele che la legge appresta a favore
delle vittime della discriminazione abbia natura contenziosa, cioè sia
volta alla tutela degli interessi umani mediante l’applicazione giudiziale
di regole (più o meno) predeterminate dal legislatore e poste a prote-
zione diretta o indiretta (obblighi originari, derivati e sanzioni invali-
danti) degli interessi protetti: come si suol dire, siamo in materia di giu-
risdizione contenziosa su diritti soggettivi.
A ciò consegue che questo strumento giuridico debba essere inteso
alla luce della direttiva promozionale che in particolare informa il com-
plessivo sistema di tutele apprestato in stretta attuazione del principio
costituzionale di uguaglianza sostanziale previsto all’art. 3, comma 2,
Cost.
Svolgendo questa linea di pensiero, peraltro, non si deve ritenere
che il giudice sia libero di imporre all’autore dell’illecito criteri di defini-
zione del piano attraverso cui sostituirsi surrettiziamente nell’esercizio
dei poteri privati di cui questo è titolare. Dalla definizione dell’area di
operatività degli altri strumenti di tutela che la legge prevede, infatti,
nonché dalle pur laconiche indicazioni che questa stessa offre, sembra
possibile determinare con un buon grado di certezza la direttrice funzio-
nale essenziale che appartiene all’ordine di definizione del piano103.
Più precisamente, come ricorre nei testi di legge, il piano di rimo-
zione sembra essere previsto essenzialmente «al fine di impedire la ripe-
tizione» dell’illecito104.
Sarà, insomma, pur detto «di rimozione» questo piano, ma, posto in
raffronto con gli altri rimedi apprestati a tutela degli interessi lesi, la sua
funzione primaria pare proprio essere quella lato sensu preventiva.
103 Per queste ragioni, forse troppo ampia appare la prospettiva suggerita da CURCIO,
L., Le modifiche all’art. 4 della l. n. 125/1991, cit., spec. p. 774, in cui appunto il piano di ri-
mozione è inteso come azione positiva di natura giudiziale. Se così fosse, infatti, il giudice po-
trebbe far uso del piano non solo in via propriamente preventiva o, se del caso, anche ripa-
ratoria, ma effettivamente promozionale, ovvero diretta nella direzione del futuro eguaglia-
mento. Al contrario, l’azione collettiva ha comunque natura essenzialmente giurisdizionale
nella misura in cui trova il suo fondamento nell’illecito ed a questo costantemente guarda. Il
fatto che poi l’effettività della tutela giurisdizionale impiegata richieda – per la particolare na-
tura tendenzialmente omissiva degli obblighi imposti dalla legge e per la natura degli effetti
pregiudizievoli della condotta antigiuridica, nonché della loro modalità di esplicarsi – non
solo la reiterazione specificativa dell’obbligo legale imposto, ma anche l’imposizione di altri
nuovi obblighi, ciò non altera la cornice che più in generale appartiene al sistema della tutela.
Diversamente opinando, l’illecito diverrebbe quasi una semplice occasione attraverso cui in-
serirsi nell’esercizio dei poteri di gestione dell’impresa funzionalizzandoli in ordine ad obiet-
tivi di eguagliamento.
104 Cfr. art. 4, comma 4, d. legisl., n. 215/03 e art. 4, comma 5, d.legisl. n. 215/03.
672 CAPITOLO OTTAVO
Ciò non sta ovviamente a significare che il piano, nel suo contenuto
naturalmente complesso, non possa accogliere al suo interno previsioni a
carattere ripristinatorio, ed in questo senso vanno forse lette le disposi-
zioni in cui è previsto che il giudice adotti «ogni provvedimento idoneo
a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l’or-
dine di definizione ed attuazione […] di un piano di rimozione»105; ipo-
tesi – quest’ultima – che può ben realizzarsi al ricorrere di prassi discri-
minatorie particolarmente complesse nelle quali è opportuno intervenire
con un complesso mix di misure. Nonostante questo, comunque, l’in-
dirizzo teleologico primario sembra gravitare attorno alla funzione pre-
ventiva.
Se ciò è vero, allora, l’ordine di definizione del piano potrebbe ap-
parire come la specificazione – nella materia de qua – dei poteri giudiziali
lato sensu costitutivi che già da tempo la dottrina ha riconosciuto in ma-
teria di giudizio inibitorio in deroga a quanto dispone l’art. 2908 c.c.
Ci riferiamo, in particolare, all’autorevole opinione che, muovendo
dalla natura negativa degli obblighi violati e dedotti in sede di giudizio
inibitorio, ha evidenziato che il proprium di tale forma di tutela – ovvero
della tutela inibitoria – consista «nel provvedere […] a che violazioni
compiute o minacciate non si ripetano o non si verifichino»106.
«Sarebbe inutile – si è giustamente osservato – che il giudice si limi-
tasse a vietare, per il futuro, comportamenti identici a quelli già sanzio-
nati come illegittimi, giacché l’astensione, cui il soccombente è vincolato,
deve essere idonea a conservare la situazione conseguente alla repres-
sione giudiziaria della lesione del diritto tutelato, e perciò, quando si
tratta di violazioni materiali il non fare da imporre al soggetto passivo
dovrà essere diverso dal precedente, ormai irripetibile dopo la sua con-
creta repressione».
L’approdo interpretativo di questa impostazione sarebbe quello di
attribuire al giudice dell’inibitoria «anche il potere di imporre vincoli
nuovi di astensione al soggetto passivo e di determinarne, caso per caso,
il contenuto in relazione alle situazioni concrete, con ampia discrezio-
nalità»107.
moniali) delle inibitorie, normali e urgenti, cit., p. 777. Sulla discrezionalità attribuita al giu-
dice nell’apprestamento dei criteri dettati al datore per la predisposizione del piano, v. i mo-
LA TUTELA COLLETTIVA ANTIDISCRIMINATORIA 673
tivi di perplessità sollevati da LA CHINA, S., Dal giudice giudicante al giudice pianificante, cit.,
p. 857.
108 La dottrina (RAPISARDA, C., Tecniche individuali e collettive a confronto nella tutela
giudiziale dei diritti di parità, cit., p. 104), specie alla luce dello sguardo gettato alle esperienze
comparatistiche, ha osservato come detto piano di rimozione trovi il suo privilegiato ambito
di applicazione proprio quando «si rendano necessarie delle vere e proprie modifiche strut-
turali dell’impresa o dell’ente interessato». È evidente, infatti, come in tale ipotesi i poteri
giudiziali di determinazione degli obblighi di facere dell’autore dell’illecito si possano sovrap-
porre ai poteri di autonoma gestione dell’impresa che spettano a questi, cosicché il piano di
rimozione diviene il luogo di incontro tra direttive giudiziali e autonomia privata, ovvero tra
due separate ed opposte sfere decisionali.
CAPITOLO NONO
1. Considerazioni introduttive
Oltre al diritto del lavoro, l’altra area del nostro ordinamento in cui
l’esigenza di tutela di interessi a carattere sovraindividuale si è manife-
stata con grande intensità è di certo quella concernente la protezione del-
l’ambiente, al cui studio si è rivolta gran parte della dottrina dedicatasi al
tema della tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi dagli
anni Settanta in poi.
L’osservazione del dibattito scientifico in materia dimostra, infatti,
come il tema in questione abbia costituito non solo un’area di significa-
tiva apertura e adeguamento del sistema giuridico ai nuovi valori emer-
genti, ossia un’area caratterizzata da quel progressivo fenomeno di costi-
676 CAPITOLO NONO
1 Tra la dottrina che per prima ha fatto cadere l’accento sul collegamento sussistente tra
sviluppo della persona e tutela dell’ambiente, v., PATTI, S., La tutela civile dell’ambiente, Pa-
dova, 1979, p. 16 ss.; DI GIOVANNI, F., Strumenti privatistici e tutela dell’«ambiente», Padova,
1982, p. 1.
2 Sulla nozione di ambiente la letteratura è straripante. In sintesi si contrappongono in
dottrina due fondamentali orientamenti. Un primo orientamento fa capo alla nota posizione
ricostruttiva di GIANNINI, M.S., Ambiente, Saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim.
dir. pubbl., 1973, p. 15 ss., secondo cui, nell’impossibilità di concepire una nozione unitaria,
occorrerebbe riferirsi a tre distinte aree normative, ovvero quella sulle bellezze naturali e pae-
sistiche, le norme contro l’inquinamento ed infine le norme urbanistiche. Ancora lungo una
linea tesa a disaggregare le distinte componenti si muove l’opinione di PREDIERI, A., Paesag-
gio, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 503 ss., secondo cui sarebbe opportuno tenere se-
parata una nozione di ambiente costruita in riferimento alla disciplina protettiva del paesag-
gio ed una relativa alla disciplina in materia di difesa dell’aria, acqua e suolo. In senso oppo-
sto si muovono le concezioni unitarie, che fanno capo al lavoro di POSTIGLIONE, A., Ambiente:
suo significato giuridico unitario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, p. 32 ss. Sul tema, di recente,
v. la sintesi di CAFAGNO, M., Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema com-
plesso, adattativo, comune, Torino, 2007, p. 15 ss.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 677
3 «Non è possibile segnare una netta distinzione tra tutela degli interessi individuali e
di quelli collettivi e diffusi in materia di ambiente, giacché la stessa nozione di “ambiente” ri-
chiama ad un tempo sia il concetto di “luogo” della vita degli individui, sia il concetto, emi-
nentemente collettivo, di realtà in cui si svolgono le attività di una comunità, e che viene, per-
ciò, fruita collettivamente», così, DI GIOVANNI, F., Strumenti privatistici e tutela dell’«am-
biente», cit., p. 4-5. Per ALPA, G., Pubblico e privato nel danno ambientale, in Contr. e impr.,
1987, p. 685 ss., ma cit., p. 687, «la protezione dell’ambiente e la reazione al danno ambien-
tale nascono […], in modo coevo e intrecciato, con la nozione di interesse diffuso». Di «pro-
totipo di interessi superindividuali», parla invece BIGLIAZZI GERI, L., Divagazioni su tutela del-
l’ambiente ed uso della proprietà, in Proprietà, danno ambientale e tutela dell’ambiente, a cura
di L. Barbiera, Napoli, 1989, p. 61 ss.
4 Cfr. retro, cap. III, spec. § 3.2.
678 CAPITOLO NONO
5 Cons. St., sez. VI, 14 luglio 1972, n. 475, in Foro it., 1972, III, p. 269 ss., con nota di
ROMANO, A., Interessi «individuali» e tutela giurisdizionale. Nella decisione richiamata, il Con-
siglio di Stato rilevava in effetti come fosse essenziale per l’individuazione dell’interesse legit-
timo la «qualificazione» normativa dell’interesse; qualificazione idonea a diversificare l’inte-
resse del singolo da quello dei cittadini. Ma rilevava al contempo come tale operazione, talora
di immediata realizzazione – come nell’ipotesi tipica dell’affievolimento del diritto soggettivo
preesistente o del ricorso dei partecipanti a concorso pubblico, le cui posizioni sarebbero
chiaramente qualificate dalle norme sullo svolgimento delle operazioni concorsuali – incon-
trasse maggiori difficoltà allorché l’interesse legittimo dovesse riconoscersi in capo a soggetti
«terzi» rispetto al rapporto diretto ed immediato con la p.a. Si evidenziava a tal proposito,
quanto segue: «tale qualificazione non è mera “diversificazione” dell’interesse legittimo dal-
l’interesse semplice. Essa, invero, presuppone un salto, che è rappresentato dalla “persona-
lità” dell’interesse».
6 Cons. St., sez. V, 9 marzo 1973, n. 253, in Foro it., 1974, III, p. 33 ss., con nota di A.
ROMANO e con nota di ZANUTTIGH, L., «Italia nostra» di fronte al Consiglio di Stato; in Riv.
giur. edil., 1974, II, p. 112 ss., con nota di BELLOMIA, S., Italia nostra e la sua legittimazione
alla tutela urbanistica.
7 Cass., S.U., 8 maggio 1978, n. 2207, in Foro it., I, 1978, p. 1090 ss.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 679
più propriamente tecnico, ma anche sul piano lato sensu ideologico della
concezione proposta.
Così, chiarendo meglio il secondo aspetto or ora indicato, a fronte
di visioni della problematica rivolte a privilegiare una prospettiva indivi-
duale (o anche individuale di tutela), si sono poste concezioni viceversa
rivolte a privilegiare la dimensione collettiva se non più propriamente
pubblica della stessa.
È evidentemente questo secondo aspetto del dibattito che per le fi-
nalità del nostro studio si presenta di particolare attrattiva; e ciò non
tanto per la minore importanza delle soluzioni tecniche e degli istituti
giuridici di volta involta evocati, ma fondamentalmente per l’opportunità
di porre in evidenza la differente sensibilità dimostrata da ciascuna op-
zione ricostruttiva riguardo alla struttura e alla natura degli interessi so-
vraindividuali all’ambiente ed in particolare – quindi – per ritornare a
porre la nostra attenzione sulla divaricante alternativa di configurare e
giuridicizzare questi interessi privilegiando l’aspetto soggettivo piuttosto
che oggettivo degli stessi8.
8 Per una prospettiva di studio maggiormente indirizzata all’esame specifico dei tenta-
tivi intrapresi dalla dottrina al fine di adattare gli strumenti di tutela civilistica agli interessi
ambientali prima dell’entrata in vigore della legge istitutiva del Ministero dell’ambiente, v.
PATTI, S., Ambiente (tutela del) nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, p.
284 ss.; ALPA, G. - BESSONE, M. - CARBONE, V., Atipicità dell’illecito, III, Diritti reali, Tutela
dell’ambiente, Milano, 1994, p. 113 ss. Più di recente, DI COLA, L., La tutela dell’ambiente, in
La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi, Torino,
2003, p. 253 ss.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 681
cit., spec. p. 53 ss.; SALVI, C., Le immissioni industriali, Rapporti di vicinato e tutela dell’am-
biente, Milano, 1979, p. 199 ss.; ma anche e prima ID., Immissioni, ecologia e norme costitu-
zionali, in Giur. it., 1973, I, 1, p. 798 ss.; ID., Legittimità e razionalità dell’art. 844 c.c., cit.; DI
GIOVANNI, F., Strumenti privatistici e tutela dell’«ambiente», cit., p. 17 ss.
11 LENER, A., Violazioni di norme di condotta e tutela civile dell’interesse all’ambiente,
Premessa, in Foro it., 1980, V, p. 105 ss.; secondo una prospettiva già esposta in ID., Ecologia,
persona, solidarietà: un nuovo ruolo del diritto civile, in Tecniche giuridiche e sviluppo della per-
sona, a cura di N. Lipari, Roma-Bari, 1974, p. 333 ss., ma spec. 344 ss.: «lo strumento dell’a-
buso del diritto sembra davvero, nel campo dell’agire dei privati, lo strumento idoneo a dare
voce agli interessi incisi. La sua sfera di azione è assai più ampia di quella della disciplina dei
torts, perché non presuppone il verificarsi di un danno, ma investe direttamente l’agire in
contrasto con quegli interessi fondamentali della persona, al cui rispetto è ordinato il dovere
di solidarietà […]. La legittimazione a promuovere la repressione giudiziaria dell’abuso
682 CAPITOLO NONO
91 ss. Problematicamente, v. SALVI, C., Immissioni, ecologia, norme costituzionali, cit., p. 798
ss., che evidenzia come in realtà la riparazione dell’interesse leso non richieda il risarcimento
del danno, ma la cessazione dell’attività. Sull’opinione dell’A., v. comunque infra, § 2.3.
13 CORASANITI, A., Profili generali di tutela giurisdizionale contro il danno ecologico, in
14 In questo senso, v., in particolare, PATTI, S., La tutela civile dell’ambiente, cit., p. 16
ss. e POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 32 ss.; ma v. anche
MADDALENA, P., Il diritto all’ambiente come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse ge-
nerale della collettività, cit., la cui posizione, sebbene distinta sotto più profili rispetto a quella
degli A. appena citati, presenta comunque il riconoscimento di un «fondamentale diritto del-
l’individuo all’ambiente».
15 POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 44.
16 PATTI, S., La tutela civile dell’ambiente, cit., p. 29 ss., 137 ss.; POSTIGLIONE, A., Am-
biente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 44, per il quale «l’oggetto giuridico di un di-
ritto può anche consistere in “un bene immateriale” interno al soggetto, se come tale è confi-
gurato dal legislatore: è vero che la tradizione giuridica e l’ampia gamma dei diritti patrimo-
niali ci hanno abituato a considerare come oggetto di diritto delle realtà materiali separate dal
titolare, ma questa caratteristica di alcune categorie di diritti non può essere generalizzata,
senza negare protezione a istanze sociali nuove, che non sono riconducibili ad una relazione
singolare fra uomo e cosa a lui esterna».
17 Su questo profilo, v., in particolare, POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuri-
dico unitario, cit., passim. V. anche PATTI, S., La tutela civile dell’ambiente, cit., p. 137 ss.
18 Così, CORASANITI, A., Profili generali di tutela giurisdizionale contro il danno ecolo-
gico, cit., p. 45; ID., La tutela degli interessi diffusi davanti al giudice ordinario, cit., p. 180 ss.
Ma si tengano presenti anche LUCIANI, M., A proposito del «diritto alla salute», in Dir. e soc.,
1979, p. 407 ss.; ID., Il diritto costituzionale alla salute, in Dir. e soc., 1980, p. 769 ss.; ID., Sa-
lute: I) Diritto alla salute - Dir. cost., in Enc. giur. Trec., XXVII, Roma, 1991, p. 6; SALVI, C.,
Note sulla tutela civile della salute come interesse collettivo, in Tutela della salute e diritto pri-
vato, a cura di F.D. Busnelli e U. Breccia, Milano, 1978, p. 445 ss. spec. p. 451; ID., La tutela
civile dell’ambiente: diritto individuale o interesse collettivo?, cit., p. 870; ID., Immissioni, in
Enc. giur. Trec., XV, Roma, 1989, p. 8. Che il profilo della salubrità delle condizioni ambien-
tali rappresenti l’aspetto maggiormente avvertito da parte della dottrina (e, come stiamo per
vedere nel testo, anche della giurisprudenza di legittimità) risulta in termini evidenti da tutta
la letteratura in materia. In questo senso, si leggano anche gli A. citati retro alla nota 9, in ma-
684 CAPITOLO NONO
STIGLIONE, A., Localizzazione di centrali nucleari e tutela della salute e dell’ambiente e di PIGA,
F., Diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi diffusi e tutela giurisdizionale, p. 703 ss.; in
Giur. it., 1979, I, 1, p. 1493, con nota di MONTESANO, L., Sulla tutela giurisdizionale degli «in-
teressi diffusi» e sul difetto di giurisdizione per «improponibilità della domanda»; in Riv. dir.
proc., 1979, p. 720 ss., con nota di ZANUTTIGH, L., Diritto all’ambiente e tutela giurisdizionale.
Sulla sentenza richiamata, v. anche GIAMPIETRO, F., Diritto alla salubrità dell’ambiente, Inqui-
namenti e riforma sanitaria, Milano, 1980, spec. p. 101 ss.
20 Cass., S.U., 6 ottobre 1979, n. 5172, in Giur. it., 1980, I, 1, p. 464 ss., con note a p.
859 ss. di PATTI, S., Diritto all’ambiente e tutela della persona e SALVI, C., La tutela civile del-
l’ambiente: diritto individuale o interesse collettivo?; in Dem. e dir., 1980, p. 140 ss., con nota
di SALVI, C., La cassazione, il diritto all’ambiente e la supplenza dei giudici; in Riv. dir. proc.,
1980, p. 342 ss., con nota di ZANUTTIGH, L., Giudice ordinario e diritto all’ambiente: un passo
avanti della Cassazione.
21 ALPA, G., Pubblico e privato nel danno ambientale, cit., p. 689. Cfr. anche ID., Il di-
ritto all’ambiente salubre: «nuovo diritto» o espediente tecnico?, in Resp. civ. prev., 1998, p. 4
ss., poi in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 3 ss., in cui si di-
stingue con precisione la figura del «diritto all’ambiente» inteso come «diritto all’integrità
dell’ambiente» e l’attigua figura del «diritto all’ambiente salubre» riferibile al danno alla sa-
lute arrecato come effetto della violazione dell’integrità dell’ambiente; evidenziando, in altri
termini, il differente contenuto degli interessi lesi in ciascuna delle due ipotesi e individuando
quindi nel diritto alla salute la posizione giuridica soggettiva effettivamente pregiudicata nel
secondo caso.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 685
p. 875; DENTI, V., Interessi diffusi, in Noviss. dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, p. 305 ss.,
ma spec. p. 310; TORREGROSSA, G., Profili della tutela dell’ambiente, cit., p. 1396; DI GIO-
VANNI, F., Strumenti privatistici e tutela dell’«ambiente», cit., p. 83 ss.; SCOCA, F.G., Interessi
protetti (dir. amm.), in Enc. giur. Trec., XVII, Roma, 1989, p. 14, che, accogliendo la possibile
configurazione di questi interessi come diritti soggettivi, peraltro critica la scelta interpreta-
tiva di ritenere detti diritti incomprimibili in ordine all’esercizio del potere amministrativo;
SANDULLI, A.M., Considerazioni di sintesi e conclusive (in tema di partecipazione e giustiziabi-
lità), in Giustizia amministrativa e attuazione costituzionale, I, Controlli, Istruzione, Partecipa-
zione, Padova, 1985, p. 86 ss., ma spec. p. 93. Sul problema dei c.d. diritti «resistenti» non
degradabili, v. di recente, anche per i dovuti riferimenti dottrinali, CARINGELLA, F., Corso di di-
ritto processuale amministrativo, Milano, 2005, p. 188 ss.
25 PATTI, S., Diritto all’ambiente e tutela della persona, cit., p. 864; ID., Valori costituzio-
26 V., in particolare, v. PATTI, S., Diritto all’ambiente e tutela della persona, cit., p. 864;
DENTI, V., Interessi diffusi, cit., p. 310; per una critica alla sovrapposizione delle due distinte
prospettive, v. anche RODOTÀ, S., Introduzione, in Responsabilità dell’impresa per danni al-
l’ambiente e ai consumatori, Milano, 1978, p. 19-20.
27 DI GIOVANNI, F., Strumenti privatistici e tutela dell’«ambiente», cit., p. 87.
28 DI GIOVANNI, F., Strumenti privatistici e tutela dell’«ambiente», cit., p. 89, che osserva
(nota n. 40): «condividiamo il rilievo […] per cui vi può essere diritto soggettivo anche se il
bene “non è attribuito né attribuibile […] in modo esclusivo” al soggetto, dovendosi consi-
derare le opposte opinioni viziate da un pregiudizio patrimonialistico che fa coincidere l’idea
di diritto soggettivo con quella di appropriazione esclusiva della “cosa”. Tuttavia nel nostro
caso la relazione tra il titolare e il bene è caratterizzata ulteriormente dal rilievo unitario di
quest’ultimo: le condizioni ambientali rappresentano una realtà non solo non appropriabile
in via esclusiva, ma soprattutto solo unitariamente fruibile da parte di una comunità, sicché
la posizione del singolo appare come il riflesso individuale del rapporto tra una collettività e
l’ambiente. Perché sia possibile il ricorso allo strumento del diritto soggettivo ci pare neces-
saria, se non l’attribuzione in via esclusiva, quanto meno la possibilità di individuare e distin-
guere l’utilità particolare resa al soggetto da un certo bene della vita, rispetto l’utilità com-
plessiva resa da quel bene. Insomma la possibilità di isolare diversi diritti soggettivi sullo
stesso bene, aventi uguali contenuto e struttura, cessa allorché l’utilità resa dal bene al singolo
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 687
è indistinguibile da quella resa a tutti i componenti la collettività. L’unità del bene – osserva
Di Giovanni con parole che il lettore ben comprenderà essere di primo rilievo rispetto ai no-
stri fini di approfondimento – unifica in questo caso anche i titolari dell’interesse, che si pre-
sentano come collettività e non come serie di individui». In dottrina, ancora in posizione cri-
tica rispetto alla configurabilità di detti interessi in termini di diritto soggettivo, ma con pro-
spettive ricostruttive assai differenti, v. LENER, A., Violazioni di norme di condotta e tutela
civile dell’interesse all’ambiente, cit., p. 105 ss.; CARAVITA, B., Interessi diffusi e collettivi (Pro-
blemi di tutela), in Dir. soc., 1982, p. 167 ss., ma spec., p. p. 250 ss., secondo cui, anziché sem-
plicemente di diritto soggettivo, occorrerebbe parlare di diritto di libertà o diritto della per-
sonalità.
29 COMPORTI, M., Responsabilità civile per danni da inquinamenti, in Tecniche giuridiche
e sviluppo della persona, cit., p. 349 ss., ma spec. p. 356, in cui si evidenzia la necessità di
estendere la tutela dell’interesse individuale all’ambiente oltre i limiti imposti dal diritto alla
salute e, scartata la possibilità di concepire una «posizione attiva di vantaggio del tipo del di-
ritto soggettivo», si rinvia al concetto di «interesse legittimo». Afferma, infatti, Comporti (ri-
chiamandosi a NICOLÒ, R., Istituzioni di diritto privato, I, Milano, 1962, p. 55): «la figura del-
l’interesse legittimo privato è stata ravvisata in una situazione di vantaggio, ma inattiva, in
quanto l’ordinamento giuridico non attribuisce al titolare il potere di realizzare direttamente
il proprio interesse, ma ne assicurerebbe la realizzazione solo indirettamente, attraverso il
comportamento di un soggetto diverso (che non si troverebbe dinanzi al titolare dell’inte-
resse, in una posizione di dovere, bensì di potere). In base a tale opinione sembra ammissi-
bile configurare, anche nella materia in esame, una posizione d’interesse legittimo all’am-
biente di cui è titolare ciascun soggetto privato, e la cui soddisfazione non è protetta diretta-
mente, ma è rimessa al comportamento degli altri soggetti, nel momento in cui operano
nell’ambiente. È possibile, allora, distinguere il diritto soggettivo alla salute, la cui lesione può
comportare il danno alla persona nelle sue componenti […], dall’interesse legittimo all’am-
biente, la cui lesione può comportare essenzialmente danni non patrimoniali, ma comunque
giuridicamente rilevanti e risarcibili, posto che, com’è noto, il danno ingiusto si concretizza
nel nocumento di qualsiasi situazione (di diritto o di interesse) giuridicamente tutelata».
Ancora per l’applicazione della figura dell’interesse legittimo di diritto privato in ordine alla
sistemazione dogmatica dell’interesse del singolo all’integrità ambientale, v. RAPISARDA, C.,
Profili della tutela civile inibitoria, Padova, 1987, p. 182 ss., nel testo e in nota. La soluzione
ricostruttiva ora richiamata, dunque, mira, come le altre tesi favorevoli al «diritto all’am-
biente», a tutelare l’interesse della persona all’ambiente e dunque al rispetto dei limiti impo-
sti alle attività private in ordine alla salvaguardia del bene ambiente ma nel far questo, vista
la natura non appropriativa della posizione di vantaggio tutelata, evita il ricorso alla nozione
di diritto soggettivo a favore della nozione di origine pubblicistica dell’interesse legittimo di
688 CAPITOLO NONO
diritto privato. Siamo così in presenza di un’altra occasione in cui la difficile predicabilità, in
fattispecie di tal fatta, dell’esistenza e della lesione di diritti soggettivi in senso tradizionale,
conduce la dottrina ad aggirare il problema ricorrendo a figure alternative. Come si ricorderà,
opzioni teoriche similari sono già emerse più volte (cfr. retro, cap. VIII, nota 39) ed emerge-
ranno nuovamente in sede di strumenti di tutela degli interessi collettivi dei consumatori (v.
infra, cap. X, §§ 3.2.1.2. e 3.2.2.3.). Va ricordato anche – d’altro canto – che l’orientamento
in questione, pur lodevole nel suo tentativo di dare accoglimento dogmatico ai nuovi interessi
bisognosi di tutela, non accoglie il nostro favore proprio in ragione della scarsa persuasività
che riteniamo appartenere alla figura dell’interesse legittimo di diritto privato (cfr. retro, cap.
VI, nota 149).
30 SALVI, C., Ambiente, giustizia civile e partecipazione, in Dem. e dir., 1982, p. 5 ss., ma
cit., p. 8; l’inadeguatezza della nozione di diritto soggettivo a porsi come strumento di com-
prensione del fenomeno degli interessi collettivi è ribadita anche in ID., Il danno extracon-
trattuale, Modelli e funzioni, Napoli, 1985, p. 274.
31 Così, espressamente, SALVI, C., Ambiente, giustizia civile e partecipazione, cit., p. 8
(ma la stessa linea di pensiero emerge anche in ID., Note sulla tutela civile della salute come
interesse collettivo, cit., p. 445 ss.; ID., La tutela civile dell’ambiente: diritto individuale o inte-
resse collettivo?, cit., p. 877 ss.). Nello stesso senso, v. ZANUTTIGH, L., Giudice ordinario e di-
ritto all’ambiente: un passo avanti della Cassazione, cit., p. 360 s. nel testo e in nota, ove si evi-
denzia che «l’ambiente – inteso come bene collettivo oggetto di diritti superindividuali che
non possono giovarsi delle tecniche di tutela dei diritti assoluti ed esclusivi, legati alla dispo-
nibilità di beni materiali – sollecita inevitabilmente la adozione di una prospettiva solidari-
stica e la rivalutazione delle società intermedie, in quanto momenti non prescindibili di orga-
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 689
cato giuridico unitario, cit., p. 32 ss. Ma v. comunque anche PATTI, S., La tutela civile dell’am-
biente, cit., p. 92 ss.; ed in senso ancora più accentuato, MADDALENA, P., Il diritto all’ambiente
come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse generale della collettività, cit., passim,
33 POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 40; sulla compe-
netrazione delle due prospettive v. anche p. 50 ss.; cfr. anche ID., Il danno alla salute e al-
690 CAPITOLO NONO
l’ambiente nella giurisprudenza e nella dottrina giuridica, in Dir. giur. agraria e dell’ambiente,
1996, p. 582 ss., ma spec. p. 583, in cui si specifica che «il danno ambientale va considerato
[…] come danno alla collettività e come danno alla persona» ovvero come «lesione di inte-
resse generale e lesione di un diritto soggettivo (diritto all’ambiente), due facce della stessa
medaglia». Si aggiunge, poi, che «nel diritto all’ambiente di ogni uomo, come diritto della
personalità, bisogna considerare due aspetti: uno “strumentale”, consistente nel diritto al-
l’informazione, alla partecipazione e all’azione: uno “sostanziale”, consistente nel diritto alla
libera utilizzazione dei beni della natura, secondo standards fissati dal diritto positivo, purché
adeguati al valore costituzionale della persona, nella dimensione individuale e sociale».
34 POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 42.
35 POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 50.
36 POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 43.
37 POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 45. Precisa inol-
tre l’A., che «se si concepisce il diritto all’ambiente come valore personale e l’azione come po-
tere di domandare una inibitoria (escludendo poteri dispositivi nel corso del processo civile)
il rischio di una privatizzazione o di una monetizzazione dei danni ambientali può essere su-
perato» (p. 46).
38 POSTIGLIONE, A., Ambiente: suo significato giuridico unitario, cit., p. 47.
39 MADDALENA, P., Il diritto all’ambiente come fondamentale diritto dell’individuo ed inte-
resse generale della collettività, cit., passim; e poi ID., Il diritto all’ambiente come diritto inviola-
bile dell’uomo, cit., spec. p. 1898 s. Sulla posizione ricostruttiva ora richiamata, peraltro, oc-
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 691
p. 1899.
694 CAPITOLO NONO
una serie di fondamentali pronunce: C. conti, sez. I, 15 maggio 1973, n. 39, in Foro amm.,
1973, I, p. 247 ss.; C. conti, sez. I, 20 settembre 1975, n. 108, in Foro it., 1977, III, p. 349 ss.;
C. conti, sez. I, 8 ottobre 1979, n. 61, in Foro it., III, p. 593 ss.; C. conti, sez. I, 18 settembre
1980, n. 86, in Foro it., 1981, III, p. 167 ss.; C. conti, sez. I, 22 maggio 1982, n. 10, in Riv.
Corte dei conti, 1982, I, p. 89 ss. Ampia è la dottrina che si è occupata dell’argomento: SCOCA,
Giurisprudenza amministrativa e tutela dell’ambiente nella prospettiva di un orientamento
omogeneo delle giurisdizioni, in Unità delle giurisdizioni e tutela dell’ambiente, Milano, 1986,
p. 263 ss., ma spec. p. 277 ss.; CARAVITA, B., Corte dei conti e interessi diffusi. Un caso di in-
terpretazione estensiva, in Dem. dir., 1982, fasc. 3, p. 41 ss.; D’ORTA, C., Ambiente e danno
ambientale: dalla giurisprudenza della Corte dei Conti alla legge sul Ministero dell’ambiente, in
Riv. trim. dir. pubbl., 1987, p. 60 ss.; ANGIOLINI, V., Il danno ambientale: dalla giurisprudenza
della Corte dei conti alla legge 349/1986, in Amministrare, 1987, p. 215 ss.; COLOMBINI, G.,
Profili della responsabilità amministrativa nel governo del territorio e dell’ambiente, in Riv.
trim. dir. pubbl., 1987, p. 3 ss., ma spec. p. 57. Fondamentali a tal riguardo sono i contributi
di Maddalena, nei quali viene esposto il quadro teorico-dogmatico posto a fondamento delle
decisioni poc’anzi richiamate; sul punto cfr. Responsabilità amministrativa, danno pubblico e
tutela dell’ambiente, cit., su cui v. le nostre osservazioni critiche esposte retro nota 39. V. an-
che ID., Giurisdizione contabile e tutela degli interessi diffusi, in Cons. St., 1982, II, p. 291 ss.
Successivamente all’approvazione della legge sul Ministero dell’Ambiente, v. ancora MADDA-
LENA, Il danno all’ambiente tra giudice civile e giudice contabile, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p.
445 ss.; e successivamente ID., Danno pubblico ambientale, cit.; contributi che saranno presi
in diretto esame infra, § 3.4.3.
696 CAPITOLO NONO
45 Come si afferma nel testo la giurisprudenza della Corte dei conti e la dottrina di ori-
gine giudiziale che abbiamo esaminato retro (ci riferiamo in particolare alla posizione di Mad-
dalena) rappresentano l’indiscusso punto di riferimento assunto dal legislatore nella predi-
sposizione della norma. Ciò emerge inequivocabilmente dall’iter formativo della legge che nel
testo presentato alla Camera e derivante dalla fusione del disegno di legge governativo elabo-
rato dall’on Biondi con la proposta di legge dell’on. Vernola, recitava all’art. 16 (successiva-
mente divenuto 18 nella formulazione definitiva del testo di legge): «1. Qualunque fatto do-
loso o colposo che cagioni la lesione dell’interesse della collettività alla tutela e alla salva-
guardia dell’ambiente o dei singoli beni ambientali, deteriorandoli o distruggendoli in tutto o
in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento del danno pubblico prodotto dalla sua
azione od omissione. 2. La giurisdizione in materia di risarcimento del danno pubblico am-
bientale appartiene alla Corte dei conti, fatta salva ogni altra possibile azione presso i com-
petenti organi giurisdizionali secondo le leggi vigenti. 3. Tra giudizio di responsabilità per
danno pubblico ambientale e gli altri giudizi non sussiste pregiudizialità. 4. Qualsiasi citta-
dino, in modo singolo e associato, può denunciare al Pubblico Ministero presso la Corte dei
conti qualsiasi fatto lesivo dell’interesse di cui al primo comma. Il Pubblico Ministero, qua-
lora ritenga di non promuovere l’azione, archivia la denucia con provvedimento motivato
dandone comunicazione senza ritardo al denunciante. 5. Per la tutela dell’interesse della col-
lettività di cui al primo comma le associazioni e gli altri soggetti collettivi portatori di interessi
alla tutela ambientale sono legittimati a costituirsi parte civile nei procedimenti penali ed a ri-
correre in sede di giurisdizione amministrativa». Per un esame approfondito di questi aspetti,
sebbene siano presi in esame da numerosi dei contributi intervenuti in materia, v. in partico-
lare il cap. I, di GIAMPIETRO, F., La responsabilità per danno all’ambiente, Profili amministra-
tivi, civili e penali, Milano, 1988. Per i testi dei lavori preparatori, v. ancora l’Appendice della
monografia appena citata oppure l’Appendice del volume Danno ambientale e tutela giuridica
(legge 8 luglio 1986 n. 349), a cura di Cesarò, Padova, 1987, nonché del volume di MADDA-
LENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 257 ss.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 697
Oltre a queste, peraltro, anche altre questioni hanno rivestito pari ri-
lievo in sede ricostruttiva, essendo anch’esse direttamente funzionali al
corretto inquadramento della norma; questioni sino ad ora non esplici-
bientale. Riflessioni sull’art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, in Riv. giur. amb., 1986, p. 485
ss.; ALPA, G., Pubblico e privato nel danno ambientale, cit., p. 685 ss.; ANGIOLINI, V., Il danno
ambientale: dalla giurisprudenza della Corte dei conti alla legge 349/1986, cit., p. 215 ss.; BERTI,
G., Il rapporto ambientale, in Amministrare, 1987, p. 175 ss.; BIGLIAZZI GERI, L., Quale futuro
dell’art. 18 legge 8 luglio 1986, n. 349?, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 685 ss.; BRIGANTI, E.,
Considerazioni in tema di danno ambientale e responsabilità oggettiva, in Rass. dir. civ., 1987, p.
289 ss.; CASTRONOVO, C., Il danno all’ambiente nel sistema di responsabilità civile, ivi, p. 511 ss.;
CENDON, P. - ZIVIZ, P., L’art. 18 della legge 349/86 nel sistema della responsabilità civile, ivi, p.
521 ss.; COMPORTI, M., La responsabilità per danno ambientale, in Foro it., 1987, III, p. 266 ss.;
FRANCARIO, L., Il risarcimento del danno all’ambiente dopo la legge 349 del 1986, in Riv. crit. dir.
priv., 1987, p. 479 ss.; GIAMPIETRO, F., Danno all’ambiente e legittimazione al giudizio dello
Stato, degli enti territoriali e delle associazioni protezionistiche (art. 18 della legge n. 349/1986),
in Riv. giur. amb., 1987, p. 541 ss.; GRASSO, E., Una tutela giurisdizionale per l’ambiente, in Riv.
dir. proc., 1987, p. 505 ss.; GRECO, G., Danno ambientale e tutela giurisdizionale, in Riv. giur.
amb., 1987, p. 525 ss.; LIBERTINI, M., La nuova disciplina del danno ambientale e i problemi ge-
nerali del diritto dell’ambiente, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 547 ss., (ma anche in AA.VV., Il
danno ambientale con riferimento alla responsabilità civile, a cura di P. Perlingieri, Napoli,
1991, p. 21 ss.); MADDALENA, P., Il danno all’ambiente tra giudice civile e giudice contabile, ivi,
p. 445 ss.; MAZZAMUTO, S., Osservazioni sulla tutela reintegratoria di cui all’art. 18 legge 349/86,
ivi, p. 699 ss.; MORBIDELLI, G., Il danno ambientale nell’art. 18 l. 349/1986, Considerazioni in-
troduttive, ivi, p. 599 ss.; ORTA, C., Ambiente e danno ambientale: dalla giurisprudenza della
Corte dei conti alla legge sul Ministero dell’ambiente, cit., p. 60 ss.; POSTIGLIONE, A., L’azione ci-
vile in difesa dell’ambiente, in Riv. trim. dir. pubbl., 1987, p. 303 ss.; TARUFFO, M., La legitti-
mazione ad agire e le tecniche di tutela nella nuova disciplina del danno ambientale, in Riv. crit.
dir. priv., 1987, p. 429 ss.; TRIMARCHI, P., La responsabilità civile per danni all’ambiente: prime
riflessioni, in Amministrare, 1987, p. 189 ss.; TRIMARCHI BANFI, F., Danno privato e interesse
pubblico nella disciplina del danno ambientale, ivi, p. 201 ss.; COSTANZO, A. - VERARDI, C.M., La
responsabilità per danno ambientale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 691 ss.; GIAMPIETRO, F.,
La responsabilità per danno all’ambiente, Profili amministrativi, civili e penali, Milano, 1988;
NOVARESE, F., La responsabilità civile per danno ambientale: differenti tesi per diverse ideologie,
in Riv. giur. amb., 1988, p. 13 ss.; MINERVINI, E., Danno ambientale e responsabilità «indivi-
duale», in Giur. it., 1988, IV, p. 29 ss.; TORREGROSSA, G., La tutela dell’ambiente: dagli interessi
diffusi al danno ambientale, in Cons. St., 1988, II, p. 1729 ss.; ALBAMONTE, A., Danni all’am-
biente e responsabilità civile, Padova, 1989; BIGLIAZZI GERI, L., Divagazioni sull’ambiente ed uso
della proprietà, in Proprietà, danno ambientale e tutela dell’ambiente, a cura di Barbiera, Na-
poli, 1989, p. 61 ss.; COMPORTI, M., Il danno ambientale, ivi, p. 169 ss.; POSTIGLIONE, A., Il
danno ambientale, ivi, p. 177 ss.; MADDALENA, P., Il danno ambientale, ivi, p. 183 ss.; LUMINOSO,
A., Sulla natura della responsabilità per danno ambientale, in Contr. impr., 1989, p. 894 ss.;
MOLLE, A., Il danno ambientale nella legge 349 del 1986, in Riv. dir. comm., 1989, p. 191 ss.;
OLIVIERI, G., Danno ambientale e tutela, in Dizionario di contabilità pubblica, a cura di Baret-
toni Arleri, Milano, 1989, p. 249 ss.; CARAVITA, B., Diritto pubblico dell’ambiente, Bologna,
1990, p. 359 ss.; FRANCARIO, L., Danni ambientali e tutela civile, Napoli, 1990; MOSCARINI, L.V.,
Responsabilità aquiliana e tutela ambientale, in Riv. dir. civ., 1990, p. 489 ss.; BARBIERA, L., Qua-
lificazione del danno ambientale nella sistematica generale del danno, in AA.VV., Il danno am-
bientale con riferimento alla responsabilità civile, cit., p. 111 ss.; BIGLIAZZI GERI, L., L’art. 18
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 699
della legge n. 349 del 1986 in relazione all’art. 2043 c.c., ivi, cit., p. 75 ss.; GIAMPIETRO, F.,
Azione di danno dello Stato e degli enti territoriali. Poteri di intervento in giudizio delle associa-
zioni ambientali, ivi, p. 171 ss.; LANDI, P., La tutela processuale dell’ambiente (art. 18 della legge
8 luglio 1986, n. 349), Padova, 1991; POSTIGLIONE, A., La responsabilità civile per danno am-
bientale nel quadro dell’unità della giurisdizione, in AA.VV., Il danno ambientale con riferi-
mento alla responsabilità civile, cit., p. 117 ss.; SPAGNA MUSSO, B., Riflessioni critiche in tema di
tutela civilistica dell’ambiente, in Rass. dir. civ., 1991, p. 837 ss.; TOMASSINI, R., Danno ambien-
tale e danno alla salute: imputazione ed entità del risarcimento, in AA.VV., Il danno ambientale
con riferimento alla responsabilità civile, cit., p. 139 ss.; BORGONOVO RE, D., Contributo allo stu-
dio del danno ambientale, in Riv. giur. amb., 1992, p. 257 ss.; FEOLA, D., L’art. 18 l. 349/1986
sulla responsabilità civile per il danno all’ambiente: dalle ricostruzioni della dottrina alle applica-
zioni giurisprudenziali, in Quadrimestre, 1992, p. 541 ss.; FRANZONI, M., Il danno all’ambiente,
in Contr. impr., 1992, p. 1015 ss.; POSTIGLIONE, A., Il danno alla salute e all’ambiente nella giu-
risprudenza e nella dottrina giuridica, cit., p. 582 ss.; CHINDEMI, D., Il danno ambientale, in
Nuova giur. civ. comm., 1993, II, p. 431; ALPA, G. - BESSONE, M. - CARBONE, V., Atipicità del-
l’illecito, III, Diritti reali, Tutela dell’ambiente, Milano, 1994, p. 149 ss.; SELVAGGI, S., Il danno
ambientale (nelle ricostruzioni della dottrina e nelle applicazioni della giurisprudenza, in Dir. e
giur., 1994, p. 88 ss.; SOMMA, A., La valutazione del danno ambientale: rilevanza pubblica della
lesione e categorie civilistiche, in Contr. impr., 1995, p. 524 ss.; in un ampia cornice comparati-
stica POZZO, B., Danno ambientale ed imputazione della responsabilità, Esperienze giuridiche a
confronto, Milano, 1996; ID., Danno ambientale, in Riv. dir. civ., 1997, p. 775 ss.; ID., Il danno
ambientale, Milano, 1998; TENELLA SILLANI, C., Responsabilità per danno ambientale, in Dig.
disc. priv., sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 359 ss.; DELL’ANNO, P., Manuale di diritto ambien-
tale, Padova, 2000, p. 166 ss.; PATTI, S., Danno ambientale (valutazione del), in Dig. disc. priv.,
sez. civ., Aggiornamento, Torino, 2000, p. 286 ss.; VIVANI, C., Il danno ambientale, Profili di di-
ritto pubblico, Padova, 2000; PANETTA, R., Il danno ambientale, Torino, 2003; POZZO, B., Am-
biente (Strumenti privatistici di tutela dell’), in Dig. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, Torino,
2003, p. 93 ss.; CARAVITA, B., Diritto dell’ambiente, Bologna, 2005, p. 305 ss.; FEOLA, D., La ti-
picità della responsabilità civile del danno ambientale ex art. 18 l. 349/1986, in Resp. civ. prev.,
2005, p. 238 ss.; SALANITRO, U., Il danno all’ambiente nel sistema della responsabilità civile, Ca-
tania, 2005.
700 CAPITOLO NONO
47 VITUCCI, P., Protezione dell’ambiente e diritto privato, in Dir. e giur. agr. amb., 1993, I,
p. 11 ss.
48 VITUCCI, P., Protezione dell’ambiente e diritto privato, cit., p. 13
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 701
cit., p. 306, ma che ID., Il danno ambientale, cit., p. 179; MADDALENA, P., Il danno all’ambiente
tra giudice civile e giudice contabile, cit., p. 476; CARAVITA, B., Diritto pubblico dell’ambiente,
Bologna, 1990, p. 370 ss., che evidenzia come a fronte di una disciplina che assoggetta l’a-
zione ad un’«opzione politica», la scelta corretta sarebbe stata o l’iniziativa diffusa o l’accen-
tramento dell’iniziativa in capo ad un organo imparziale (difensore civico dell’ambiente). Per-
plesso circa l’eccessiva pubblicizzazione dell’azione anche RODOTÀ, S., Relazione introduttiva,
in AAVV., Il danno ambientale con riferimento alla responsabilità civile, cit., p. 11 ss., ma spec.
p. 15, in cui si evidenzia il carattere di «bene complesso» proprio dell’ambiente ed in parti-
colare la natura tendendenzialmente indifferente al carattere pubblico o privato dei singoli
oggetti che lo compongono; sulla stessa linea sembra porsi VISINTINI, G., Convegno su «il
danno ambientale con riferimento alla responsabilità civile», ivi, p. 235 ss., ma spec. p. 237 ss.;
NATOLI, U., Intervento, in Proprietà, danno ambientale e tutela dell’ambiente, cit., p. 158 s.;
VITUCCI, P., Protezione dell’ambiente e diritto privato, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, t. 1,
Diritto civile, Milano, 1995, p. 933 ss., ma spec. p. 940 s. V. anche CARAVITA, B., Diritto del-
l’ambiente, Bologna, 2005, p. 310 ss., il quale afferma (p. 311) che «teoricamente non corretto
(lo Stato non è infatti titolare di alcun diritto sull’ambiente bensì solo di potestà) e fonte
quantomeno di gravi contraddizioni è l’accentramento in capo allo Stato della titolarità del ri-
sarcimento», rilevando tra l’altro, che, se si volesse accettare la prospettiva della diretta im-
putazione del bene in capo ad un soggetto di rilievo nazionale, detto soggetto «non è – per
quanto ancora valgono queste definizioni ottocentesche – lo stato-persona, bensì lo stato-col-
lettività, con la seguente riconduzione a esso non solo dello stato persona, ma anche di tutti
gli enti, gruppi, associazioni e singoli individui che alla collettività fanno riferimento». Sul
«controllo sociale» si ricordino le fondamentali osservazioni di NIGRO, M., Le due facce del-
l’interesse diffuso: ambiguità della formula e mediazioni della giurisprudenza, in Foro it., 1987,
V, p. 7 ss., spec. p. 12, sollecitate proprio dalla disciplina introdotta a tutela dell’ambiente con
la l’art. 18 della l. n. 349 del 1986; sul punto, v. retro, cap. III, nota 93.
702 CAPITOLO NONO
52 POSTIGLIONE, A., L’azione civile in difesa dell’ambiente, cit., p. 317, per il quale «la in-
dividuazione (rectius “riconoscimento”) delle associazioni con decreto del Ministero dell’am-
biente è un errore giuridico e politico: giuridico, perché la legittimazione va controllata caso
per caso sul territorio della Magistratura, organo non politico; errore politico, perché il Mi-
nistero dell’ambiente sarà costretto a forme di mediazione improprie, sotto la spinta di forze
politiche diverse e perfino delle associazioni già consolidate, gelose di cedere spazio a nuovi
fenomeni associativi»; è in tale prospettiva che deve essere letto il suggerimento a che la ma-
gistratura ritenga non «costitutivi», ma meramente «dichiarativi» i decreti di riconoscimento
non esentando il giudice di operare una verifica del presupposto processuale in concreto;
così, infatti, si è orientata, come ricorderà l’attento lettore, la prevalente giurisprudenza del
Tar e del Consiglio di Stato (cfr. retro, cap. III, nota 95). Rilievi analoghi in TARUFFO, M., La
legittimazione ad agire e le tecniche di tutela nella nuova disciplina del danno ambientale, cit.,
p. 437. Sottolinea il pericolo insito in queste tendenze al controllo del pluralismo in punto di
legittimazione anche RESCIGNO, P., Conclusioni, in Proprietà, danno ambientale e tutela del-
l’ambiente, cit., p. 202.
53 Sul punto v., ancora, le fondamentali osservazioni di POSTIGLIONE, A., L’azione civile in
difesa dell’ambiente, cit., p. 315, ove si afferma: «lo sfavore con il quale si è guardato finora e
si continua a guardare all’azione del singolo cittadino a favore dell’ambiente si fonda su pre-
giudizi o formule di rito, mai sottoposti a critica obiettiva e realistica. La “stortura” istituzio-
nale di un ambiente affidato soltanto all’azione della P.A., dovrebbe ben più fondatamente
scandalizzare! Uno dei pregiudizi è che azione del singolo equivalga ad “azione popolare”,
avente carattere procuratorio, sostitutivo dell’azione degli organi pubblici. In verità il singolo
cittadino non esercita l’azione per altri, ma per sé; non fa valere in via eccezionale, un diritto
altrui, ma un diritto proprio (il diritto personale all’ambiente)»; ID., Il danno alla salute e al-
l’ambiente nella giurisprudenza e nella dottrina giuridica, cit., p. 583. Più di recente, v. ID., L’ac-
cesso alla giustizia per il diritto umano all’ambiente, in Seconda giornata per l’ambiente della
Corte Suprema di Cassazione (Roma, 6 ottobre 1999), a cura di A. Postiglione, Napoli, 2000, p.
24 ss., anche in Dir. giur. agr. amb., 2000, p. 77 ss. Per ulteriori osservazioni, da noi condivise,
in linea con quelle appena riportate, v. retro, cap. III, nota 102, cap. VI, nota 137, nonché an-
che retro, nota 39, la posizione di Maddalena, tendente a ricostruire gli interessi diffusi all’am-
biente come diritti diffusi, secondo una linea ricostruttiva propensa a far coincidere il diritto
soggettivo al bene collettivo con il diritto oggettivo; opzione interpretativa superata dall’A. nel
successivo lavoro Danno pubblico ambientale, cit., nel quale comunque, in una cornice rico-
struttiva assai complessa (su cui v. infra in nota e nel testo) viene ad essere criticata l’opzione
legislativa espressa dall’art. 18 della legge 349/86, tendente ad escludere l’azione del singolo e
delle associazioni rappresentative. Sul punto cfr. anche ID., Il danno ambientale, cit., p. 184-
185. Si tenga presente, inoltre, la posizione di DELL’ACQUA, C., Lo Stato, gli enti territoriali, e
le associazioni, in Danno ambientale e tutela giuridica (legge 8 luglio 1986 n. 349), cit., p. 15 ss.,
ma spec. 16, ove si censura la soluzione positiva prescelta in tema di legittimazione in ragione
della contrapposizione ideologica tra i risultati ottenuti in sede di giurisprudenza amministra-
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 703
del danno ambientale, cit., p. 432 e 433, ma sulla posizione dell’A. v. anche infra, nota 57.
704 CAPITOLO NONO
55 Con particolare riferimento alla posizione della associazioni, v. FRANCARIO, L., Il ri-
sarcimento del danno all’ambiente dopo la legge 349 del 1986, cit., p. 490, per il quale «desta
notevoli perplessità» la scelta del riconoscimento governativo delle associazioni dotate di po-
teri di intervento e di impugnazione in sede di giudizio amministrativo, risultando così, «sfor-
niti di tutela in sede civile gli interessi diffusi che si addensino sul bene ambiente danneg-
giato», nonché anche «privi di qualsiasivoglia ruolo attivo quegli interessi collettivi facenti
capo ad associazioni a carattere locale, zonale o regionale che il più delle volte hanno mag-
giormente a cuore le sorti del territorio, delle acque e degli altri beni ambientali esistenti nella
zona in cui sono presenti»; ID., Danni ambientali e tutela civile, cit., p. 269, dove si profila l’il-
legittimità di detta limitazione; LIBERTINI, M., La nuova disciplina del danno ambientale e i pro-
blemi generali del diritto dell’ambiente, cit., p. 577, e poi (p. 584), con particolare riguardo
alla limitazione in sede di legittimazione ad agire delle associazioni; MADDALENA, P., Il danno
all’ambiente tra giudice civile e giudice contabile, cit., p. 476-477; ID., Danno pubblico ambien-
tale, cit., p. 221-222; si vedano anche le acute osservazioni di BERTI, G., Il rapporto «ambien-
tale», p. 178 ss., in cui si osserva come il configurare un diritto soggettivo di titolarità statale
nei confronti dei consociati costituirebbe «una patente deviazione dalla prospettiva disegnata
dall’art. 9 Cost.», nonché «la riapparizione dello Stato persona nella veste di depositario e tu-
tore di ogni valore o bene costituzionale»; al contrario, per l’autorevole studioso, «l’art. 18
può venir assolto come tentativo di semplificare un problema molto complesso», dovendosi,
per un verso, ritenere l’interesse collettivo da risarcire più propriamente come «addizione di
[…] pressoché infinite posizioni individuali» e, per l’altro, ritenere che «l’interesse pubblico
in quanto tale si soddisfa […] con mezzi pubblici, e cioè con provvedimenti e con sanzioni
penali e amministrative»; più di recente, v. CARRATTA, A., Profili processuali della tutela degli
interessi collettivi e diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit.,
118, critico in riferimento all’esclusione dall’area della legittimazione ad agire tanto dei sin-
goli cittadini, che delle associazioni ambientaliste riconosciute.
56 Alle posizioni che richiamiamo nel testo vanno aggiunte le tesi di coloro che, anziché
operare letture costituzionalizzatrici dell’art. 18, hanno preferito ritenere che, anche in pre-
senza di detta disposizione, potessero ricevere tutela in via autonoma interessi e beni distinti
rispetto a quelli direttamente tutelati dall’azione pubblica di danno ambientale. Il riferimento
è in particolar modo rivolto alle tesi sostenenti la legittimazione delle associazioni ambienta-
liste a far valere in giudizio l’interesse collettivo differenziato delle collettività circoscritte; tesi
di cui si dà conto infra, § 4.2.5.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 705
del danno ambientale, cit., p. 434, sulla corrispondenza tra titolare dell’interesse sostanziale e
legittimato ad agire, ma poi, ancor più incisivamente (cfr. p. 438), sulla titolarità individuale
dell’interesse tutelato e sulla garanzia giurisdizionale dell’azione ex art. 24 Cost. a favore del
titolare dell’interesse materiale leso.
58 TARUFFO, M., La legittimazione ad agire e le tecniche di tutela nella nuova disciplina
del danno ambientale, cit., p. 434; nello stesso senso si è orientato POSTIGLIONE, A., Il danno
alla salute e all’ambiente nella giurisprudenza e nella dottrina giuridica, cit., p. 586-587, alla cui
posizione ci riferiremo tra breve, ma che riguardo questo punto specifico, in diretto rife-
rimento all’intervento della Corte costituzionale nella sentenza n. 210/87, osserva che «la
prevista destinazione del risarcimento “a favore dello Stato” non va confusa con il tema ge-
nerale della legittimazione processuale, nel senso di una pretesa legittimazione esclusiva della
P.A.»; ugualmente orientati, OLIVIERI, G., Danno ambientale e tutela, cit., p. 263; DI COLA, L.,
La tutela dell’ambiente, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., 277-
278.
59 TARUFFO, M., La legittimazione ad agire e le tecniche di tutela nella nuova disciplina
d’altro canto, la sua espressione più «pura» si rinviene di certo nella dot-
trina che ha ritenuto opportuno individuare tra lo Stato e il territorio «un
rapporto giuridico di natura reale» in cui il potere dello Stato nei riguardi
dello stesso possa essere considerato «analogo alla facoltà di un soggetto
privato di godere del bene secondo i propri bisogni»66.
Il fine primo della tutela apprestata dalla norma sarebbe stato,
quindi, «più l’interesse patrimoniale proprio dello Stato (interesse pub-
blico) che quello formale della vivibilità e dell’integrità fisica del citta-
dino», ricevendo, di contro, «l’interesse della collettività al risarcimento
del danno […] una tutela traslata e riflessa rispetto ad esso»67.
Accogliendo – dunque – la posizione or ora riportata come punto di
partenza, già si avverte uno scostamento da essa nel passare all’esame
delle tesi che, evidenziando una nozione di ambiente come bene giuridico
autonomo, sintesi di diversi elementi naturali68, hanno configurato que-
st’ultimo come bene pubblico, ravvisando in capo allo Stato, quale rap-
presentante della collettività intera, un diritto soggettivo proprio, avente
come contenuto la conservazione e la salvaguardia dell’ambiente69.
66 Così TISCI, G., Azione di risarcimento ed intervento delle associazioni nel giudizio ci-
vile, in Danno ambientale e tutela giuridica (legge 8 luglio 1986 n. 349), cit., p. 7 ss., ma cit., a
p. 8 ss.; in termini simili per ciò che riguarda il riconoscimento di un diritto reale in capo allo
Stato avente ad oggetto il suo territorio e non «un diritto esercitato quale soggetto esponen-
ziale della collettività», cfr. CUTRERA, Relazione conclusiva, ivi, p. 111 ss., ma spec. p. 115;
MORBIDELLI, G., Il danno ambientale nell’art. 18, l. 349/1986, cit., p. 611, in cui si afferma:
«titolare del diritto sul bene ambientale, è lo Stato»; in una prospettiva assai simile si colloca
TRIMARCHI, P., La responsabilità civile per danni all’ambiente: prime riflessioni, cit., p. 190, in
cui si osserva come «la norma in esame tende a realizzare, in qualche misura, un assoggetta-
mento delle risorse naturali ad un regime simile a quello dei beni in proprietà, poiché attri-
buisce allo Stato una prerogativa del proprietario: quella di pretendere il risarcimento dei
danni arrecati all’ambiente».
67 Ancora TISCI, G., Azione di risarcimento ed intervento delle associazioni nel giudizio
civile, in Danno ambientale e tutela giuridica (legge 8 luglio 1986 n. 349), cit., p. 8 ss. Come
giustamente osserva GRASSO, E., La tutela giurisdizionale dell’ambiente, cit., p. 509, stando a
questa tesi, «la fruizione del bene da parte della collettività […] rappresenterebbe solo un
dato di fatto, restando ferma la titolarità (“appartenenza”) dell’ente pubblico».
68 GIAMPIETRO, F., La responsabilità per danno all’ambiente, cit., p. 334, che parla del
danno all’ambiente come «danno pubblico» determinato dall’«aggressione ad un bene pub-
blico immateriale, insuscettibile di appropriazione e pertinente allo Stato-persona come ente
rappresentativo della collettività nazionale»; ID., Danno all’ambiente e legittimazione al giudi-
zio dello Stato, degli enti territoriali e delle associazioni protezionistiche, cit., p. 542; ID., Azione
dello Stato e degli enti territoriali. Poteri di intervento in giudizio delle associazioni ambientali,
in Il danno ambientale con riferimento alla responsabilità civile, cit., p. 171; SPAGNA MUSSO, B.,
Riflessioni critiche in tema di tutela civilistica dell’ambiente, cit., p. 839; ALBAMONTE, A., Danni
all’ambiente e responsabilità civile, cit., p. 14 ss.
69 SPAGNA MUSSO, B., Riflessioni critiche in tema di tutela civilistica dell’ambiente, cit.,
spec. p. 840 ss.; similmente, ALBAMONTE, A., Danni all’ambiente e responsabilità civile, cit., p. 15.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 709
hanno ritenuto che la collettività stessa e non lo Stato sia il vero «sog-
getto» danneggiato dal comportamento lesivo75.
In questa prospettiva, la qualificazione del danno – e con essa la na-
tura dell’azione – da «pubblica» si è progressivamente orientata verso
«collettiva»76, «sociale»77, o addirittura «privata»78 e la legittimazione at-
75 Cfr. in particolare gli AA. citati nelle note che seguono.
76 MOSCARINI, L.V., Responsabilità aquiliana e tutela ambientale, p. 500; LUMINOSO, A.,
Sulla natura della responsabilità per danno ambientale, cit., p. 901, che preferisce tale qualifica-
zione a quella pubblica, «essendo arbitraria una aprioristica assimilazione o peggio una identi-
ficazione tra (bene o interesse) “collettivo” e (bene o interesse) “pubblico”, ed essendo ancora
tutta da chiarire la collocazione sistematica delle situazioni (giuridiche) soggettive collettive in
genere e quella dell’interesse collettivo all’ambiente in particolare»; FRANZONI, M., Il danno al-
l’ambiente, cit., p. 1016, che tende ad utilizzare il termine «pubblico» e «collettivo» con una
certa fungibilità, ma che al di là delle formule verbali rende chiara l’impostazione seguita lad-
dove si riferisce espressamente al «danno collettivo» come ad una «forma di lesione della quale
si può fare portatore un soggetto che solo per le sue funzioni esponenziali può assumere la le-
gittimazione attiva nel processo» intendendo con ciò «non […] la tutela risarcitoria di una vio-
lazione riferibile ad uno schema proprietario, bensì la tutela risarcitoria contro la lesione di un
bene o di un interesse di natura collettiva». Si tengano presenti, tra l’altro, le osservazioni di
TARUFFO, M., La legittimazione ad agire e le tecniche di tutela nella nuova disciplina del danno
ambientale, cit., p. 433, che in chiave critica rispetto alla possibilità di ritenere il bene ambiente
di appartenenza dello Stato osserva, che così argomentando, «viene dimenticata la distinzione
tra interessi pubblici ed interessi diffusi, che come è noto non verte sull’oggetto dell’interesse,
pur sempre costituito da beni di rilevanza generale, ma dalla diversità dei soggetti cui sono im-
putabili le situazioni giuridiche che li riguardano». Per AMATO, A., Le azioni delle associazioni
nei giudizi di danno ambientale, in Dir. giur. agr. e amb., 1995, p. 337, gli interessi tutelati non
sono «stricto sensu pubblici, nel senso di interessi riferibili alla collettività in generale (ovvero
comuni a una generalità di persone), né tanto meno privati, pertinenti cioè a particolari cate-
gorie di individui, bensì interessi riferibili contemporaneamente vuoi alla collettività, vuoi ai
singoli componenti». «Trattasi di interessi – si prosegue – non interpretabili nel senso di “ap-
partenenza” ad un soggetto, ma riferibili e imputabili “indifferenziatamente” a tutti i compo-
nenti della collettività, intesa quest’ultima in senso non unitario ma come insieme di tutte le
posizioni soggettive e individuali che la compongono». Cfr., anche CARAVITA, B., Diritto pub-
blico dell’ambiente, cit., p. 374; ID., Diritto dell’ambiente, cit., p. 311.
77 Così, POSTIGLIONE, A., L’azione civile in difesa dell’ambiente, cit., p. 311, che osserva:
«l’azione civile per il risarcimento e il ripristino del danno ambientale può essere definita
“azione civile pubblica” se si tiene conto della natura pubblica dei soggetti legittimati ad eser-
citarla davanti ai giudici ordinari (Stato ed enti territoriali) e della destinazione del risarci-
mento (a favore dello Stato in quanto entrata patrimoniale del medesimo). Ma, a ben vedere,
la natura pubblica dell’azione deriva non tanto dai soggetti che la esercitano quanto dalla ma-
teria alla quale si riferisce. Se si ammette che la singola persona o una associazione possa agire
davanti al giudice civile per il ristoro della danno all’ambiente, deve riconoscersi che la loro
“azione” non diventa per ciò stesso “privata”: l’ambiente è un bene collettivo, come tale in-
divisibile nella sua fruizione sociale, sicché la sua tutela giova alla generalità dei soggetti inte-
ressati. La natura “pubblica” (o meglio “sociale”) dell’azione sarebbe ulteriormente eviden-
ziata, se si riconoscesse che un organo indipendente della Magistratura potesse esercitarla».
78 MOSCARINI, L.V., Responsabilità aquiliana e tutela ambientale, p. 500.
712 CAPITOLO NONO
79 Se, difatti, come detto nel testo, si getta uno sguardo a quali siano gli AA. che aderi-
scono all’impostazione ricostruttiva in esame (cfr. le note che precedono), si nota come molti
di questi appartengano all’orientamento schieratosi a favore dell’incostituzionalità della
norma o a favore di una lettura costituzionalmente orientata della stessa. In tutte queste po-
sizioni, infatti, è dato rilevare una tendenziale distinzione tra il momento della configurazione
o meglio dell’apprezzamento di questi interessi sul piano pregiuridico ed il successivo mo-
mento della giuridicizzazione degli stessi. E procedendo, in questo senso, le tesi in esame,
dopo aver riferito – sul primo piano indicato – gli interessi ai singoli membri della collettività,
ravvisano nell’attribuzione in via esclusiva della legittimazione ad agire allo Stato – e dunque
sul susseguente piano della giuridicizzazione – un elemento di incongruità tale da porsi in
contrasto con i precetti costituzionali. Contra, OLIVIERI, G., Danno ambientale e tutela, cit.,
spec. p. 254 ss. (a cui aderisce LANDI, P., La tutela processuale dell’ambiente, cit., p. 38 ss.),
che, dopo aver accolto la posizione espressa da Fazzalari in materia in necessaria soggettiva-
zione degli interessi diffusi (questione da noi già esaminata retro, al cap. III, § 3.4.1.3.1.) e
dopo aver rilevato che «l’esigenza di tutela dell’ecosistema è un esigenza meritevole di prote-
zione anche (e soprattutto) da parte dell’ordinamento giuridico e che i portatori di tale esi-
genza vanno individuati nei singoli cittadini e nella collettività nel suo insieme» ha ritenuto la
soluzione tecnica adottata in punto di legittimazione dall’art. 18 non solo conforme, ma ad-
dirittura pienamente attuativa del precetto espresso dal primo comma dell’art. 24 Cost. (!),
laddove si prevede che «tutti possano agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e inte-
ressi legittimi». Si è sostenuto, infatti, che «l’attribuzione della legittimazione ad agire a ogni
interessato avrebbe comportato, per la “diffusione” della situazione soggettiva, […] problemi
relativi all’individuazione dei presupposti e di efficacia della sentenza», rivelandosi quindi, la
soluzione legislativa, «sicuramente ispirata alla esigenza di rendere praticabile la via giurisdi-
zionale» (p. 258). Così, sul piano più propriamente formale, il legislatore – stando a questa
tesi – avrebbe creato «una situazione assimilabile a un vero e proprio diritto (soggettivo) al ri-
sarcimento, attribuendone non la titolarità, ma il potere di farlo valere in giudizio, allo Stato
e agli altri enti territoriali» (p. 258, c.vo mio); si tratterebbe, quindi di una non meglio speci-
ficata posizione sostanziale, nella quale, a fronte di una titolarità sostanziale non spettante allo
Stato, ma a ciascun cittadino e alla collettività nel suo complesso, sarebbe invece riservata in
via esclusiva all’ente pubblico una legittimazione ad agire non configurabile – per Olivieri –
né, ovviamente, come legittimazione ordinaria (mancando la corrispondenza tra titolarità del
diritto e titolarità dell’azione), ma nemmeno come sostituzione processuale o legittimazione
straordinaria, presupponendo tale ultima categoria concettuale «in capo al soggetto sostituito
(ben individuato) un vero e proprio diritto soggettivo».
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 713
tutela degli interessi superindividuali (cfr. retro, cap. III, § 3.4.1.2., la posizione di Grasso, a
cui ci riferiremo tra breve anche in specifico riferimento alla tutela dell’ambiente), ma anche
in sede di interpretazione del procedimento per la repressione della condotta antisindacale
(cfr. retro, cap. VII, § 2.1.3., la posizione di Romagnoli). Sull’assoluta ambiguità ed incertezza
che appartiene al concetto di giurisdizione oggettiva, o a contenuto oggettivo, ci siamo già
espressi retro, cap. VI, nota 17.
85 GRASSO, E., La tutela giurisdizionale dell’ambiente, cit., rispettivamente p. 515 e 517,
ove si osserva, d’altro canto, che la configurazione in termini oggettivi della tutela apprestata
non risolve il diverso problema della «necessaria soggettivizzazione dell’azione», rispetto al
quale «la soluzione che tiene con maggior rigore logico-giuridico è l’affidamento della legitti-
mazione ad agire a “chiunque” o al pubblico ministero: due strumenti la cui omogeneità è
fondata sulla rilevanza puramente obiettiva dell’interesse tutelato», sebbene, per altro verso,
non possa «negarsi alla legge l’arbitrio di creare dei (puri) legittimati». In questa direzione
sembrano orientarsi anche, DE PAULI, A., Sub. Art. 2907, in Codice civile commentato, Libro
VI, coordinato da V. Cesaro e L.P. Comoglio, Milano, 2005, p. 522 s.
86 FRANCARIO, L., Danni ambientali e tutela civile, cit.; ID., Il risarcimento dell’ambiente
viamente alla posizione di Maddalena e alla giurisprudenza della Corte dei conti.
92 FRANCARIO, L., Danni ambientali e tutela civile, cit., p. 100 s.
93 FRANCARIO, L., Danni ambientali e tutela civile, cit., p. 122. Sebbene all’interno di un
lavoro monografico già citato ed intitolato Danno pubblico ambientale relativo allo studio del-
l’azione di danno ambientale ex art. 18 l. 349/86; sul tema v. peraltro ID., Il danno all’am-
biente tra giudice civile e giudice contabile, cit., p. 445 ss.; ID., Il danno ambientale, in Trib.
amm. reg., 1988, p. 433 ss.; ID., Il diritto all’ambiente ed i diritti dell’ambiente nella costru-
zione della teoria del risarcimento pubblico ambientale, in Riv. giur. amb., 1990, 469 ss.; ID.,
Ambiente: un bene da costituzionalizzare, in Dem e dir., 1995, p. 339 ss.; ID., Il diritto all’am-
biente come diritto inviolabile dell’uomo, cit., p. 1897 ss. La posizione di Maddalena si pone,
quindi, come necessario argomento di riflessione, per i caratteri di originalità che presenta e
per l’articolazione e l’ampiezza dedicata all’esame della natura degli interessi collettivi nei
loro rapporti con la collettività di riferimento e con il bene a cui aspirano. Singolare è peral-
tro che la dottrina occupatasi della tutela dell’ambiente abbia in genere dimostrato scarsa at-
tenzione per lo studio monografico ora in esame.
95 Cfr. retro, spec. nota 39.
96 MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 30 ss., ma spec. p. 62.
97 MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 69.
98 MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 69 ss., le ipotesi riferite sono ap-
punto quelle del diritto all’ambiente e del diritto alla salute, ma come diritti imputati alla col-
718 CAPITOLO NONO
lettività nel suo complesso. Osserva infatti l’A. (p. 70, c.vo mio): «nel caso di specie […] si
tratta di posizioni giuridiche pienamente tutelate e, per di più, di posizioni giuridiche riferi-
bili a tutti, e cioè della collettività, la quale come si è detto, ha una sua soggettività giuridica
e si avvale, per il raggiungimento dei suoi fini, dell’organizzazione propria dello Stato. In que-
sto caso, dunque, il termine appropriato è quello di interesse, o meglio di diritto collettivo. E
non va trascurato che il riferimento alla nozione di interesse collettivo serve solo anche a se-
gnalare che nel caso in questione si è in presenza, non di una “somma” indifferenziata di in-
teressi, ma di una “sintesi” di interessi, quali sono da considerare quelli propri di una collet-
tività, cioè di un complesso organico di persone. L’interesse collettivo, in ultima analisi, è l’in-
teresse al bene comune, ed il bene comune è concetto che trascende i singoli interessi
particolari (che possono essere anche in contrasto con l’interesse generale), ed è, obiettiva-
mente, l’interesse di tutti».
99 MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 72 (c.vi miei); si noti bene: il pro-
filo della «conservazione» investe anche se non fondamentalmente la questione della giusti-
ziabilità degli interessi ambientali, sede in cui per l’A. il singolo potrebbe in via di principio
agire come rappresentante della collettività intera.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 719
100 Così, MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 82. Sulla contrapposizione
concettuale tra interesse collettivo-somma di interessi individuali e interesse collettivo-sintesi
di interessi individuali, v. cap. IV, spec. § 6.1., ove si è dimostrata non solo l’inesattezza di en-
trambe le formule ai fini di una corretta definizione del concetto di interesse collettivo, ma
anche la loro inservibilità nello studio della tutela giurisdizionale degli interessi sostanziali
giuridicamente rilevanti.
101 MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 140, che precisa, aderendo a Pu-
gliatti, che «la proprietà dello Stato e degli enti pubblici è una proprietà-legittimazione, serve
per individuare l’ente che in concreto deve difendere gli interessi in questione, i quali ovvia-
mente vanno difesi e gestiti, non nell’interesse proprio dell’ente, ma nell’interesse proprio
della collettività. La proprietà formale serve in altri termini per individuare l’ente esponen-
ziale della collettività, il quale agisce in rappresentanza, cioè per conto della collettività».
102 Tutte queste questioni sono risolte nel cap. III del lavoro di Maddalena, intitolato Il
stinzione operata da PUGLIATTI, in Beni e cose in senso giuridico, Milano, 1964, 61 ss.
720 CAPITOLO NONO
configurare più posizioni di «appartenenza» riguardo alla cosa in ragione delle diverse utilità
ricavabili dalla stessa, Maddalena cita BARBERO, D., Sistema del diritto privato italiano, Torino,
1965, I, p. 711, per il quale «l’appartenenza del bene è fenomeno generale riscontrabile in
tutto l’ambito dei diritti reali; dove c’è un diritto reale, dalla proprietà alla più esigua delle
servitù, c’è un fenomeno di appartenenza del bene (cioè della cosa) al titolare del diritto. Il
fondo non appartiene soltanto al proprietario; appartiene anche all’enfiteuta, all’usufruttua-
rio, al titolare della servitù». La citazione appena riportata, fa meglio comprendere come
Maddalena assimili la posizione di diritto che la collettività può far valere riguardo all’am-
biente ad una situazione giuridica di natura reale. Ciò chiaramente poteva già arguirsi dal ri-
chiamo della nozione di proprietà collettiva da parte dell’A., nonché dal tentativo di qualifi-
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 721
109 Questa è in estrema sintesi il risultato a cui perviene Maddalena procedendo in una
ricostruzione tessera per tessera – come lo stesso A. afferma (p. 172) – di un mosaico costi-
tuito dall’esame delle diverse situazioni che possono venirsi a creare sul piano giuridico ri-
guardo ai beni (ambientali) culturali e naturali; esame in cui si passa attraverso ipotesi più
semplici, in cui una cosa materiale è di appartenenza solo della collettività [come ad esempio
– riguardo ai beni naturali – le res communes omnium (v. p. 142 ss. e poi p. 153), rispetto alle
quali non si verificano situazioni di «bi-appartenenza»], attraverso ipotesi come i beni dema-
niali [rispetto ai quali, non volendo accedere alla ricostruzione degli stessi come proprietà
collettiva (come invece sostiene Maddalena, p. 134 ss.)], occorre allora distinguere riguardo
la medesima cosa materiale tra il bene ambientale in proprietà collettiva ed un diverso bene
in proprietà pubblica] o ancora, come accennato nel testo, attraverso ipotesi più complesse in
cui occorrerà confrontarsi con un bene in proprietà privata; in tal caso, sia in materia di beni
culturali (p. 150), sia in materia di beni naturali (p. 154), «la chiave di volta per risolvere il
problema sta nella concezione del bene in senso giuridico, concezione in base alla quale è
possibile individuare più beni che insistono sulla stessa cosa, ed in relazione a ciascun bene,
una diversa situazione soggettiva».
110 MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 123-125.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 723
della legittimazione ad agire si estende alla ricerca di tutti i possibili ed alternativi titoli che
possono giustificare misure giurisdizionali di tutela – diretta o indiretta – di interessi lato
sensu ambientali, il quadro complessivo diviene molto più articolato e complesso: sul punto,
cfr. infra, § 4.2.5.
114 Sul punto, v. la dottrina cit. alle note che seguono. L’alternativa ricostruttiva è co-
munque segnalata anche da COSTANZO, A. - VERARDI, C.M., La responsabilità per danno am-
bientale, cit., p. 750; LUMINOSO, A., Sulla natura della responsabilità per danno ambientale, cit.,
p. 904; TRIMARCHI, P., La responsabilità civile per danni all’ambiente: prime riflessioni, cit., p.
192.
115 Così, MORBIDELLI, G., Il danno ambientale nell’art. 18, l. 349/1986, cit., p. 612;
COMPORTI, M., La responsabilità per danno ambientale, cit., p. 272; GIAMPIETRO, F., Danno al-
l’ambiente e legittimazione al giudizio dello Stato, degli enti territoriali e delle associazioni pro-
tezionistiche, cit., p. 547; ID., La responsabilità per danno all’ambiente, cit., p. 341; ID., Azione
dello Stato e degli enti territoriali. Poteri di intervento in giudizio delle associazioni ambientali,
in Il danno ambientale con riferimento alla responsabilità civile, cit., p. 171; GRECO, G., Danno
ambientale e tutela giurisdizionale, cit., p. 527, ma che, a p. 535, ritiene tale disposizione di
dubbia costituzionalità; GRASSO, E., La tutela giurisdizionale dell’ambiente, cit., p. 519; SPA-
GNA MUSSO, B., Riflessioni critiche in tema di tutela civilistica dell’ambiente, cit., p. 847; così
sembrerebbe porsi anche MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 219; cfr., anche
ALBAMONTE, A., Danni all’ambiente e responsabilità civile, cit., p. 75, che peraltro ammette –
oltre all’azione in via sostitutiva – che gli enti pubblici territoriali e le associazioni rappresen-
tative private possano far valere in giudizio l’interesse collettivo alla salubrità ambientale delle
collettività circoscritte ed insediate in luoghi specificamente colpiti dalla condotta dannosa
(p. 77 ss.); DELL’ANNO, P., Manuale di diritto ambientale, Padova, 2001, p. 169; PUNZI, C., La
tutela giudiziale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, in La tutela giurisdizionale de-
gli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 27. La tesi ha trovato accoglimento anche in giurispru-
denza: cfr., in particolare, Cass., S.U., 25 gennaio 1989, n. 440, in Giust. civ., 1989, I, p. 560
ss., con nota di Postiglione, A., L’azione civile di danno ambientale; in Riv. giur. amb., 1989,
p. 97 ss.; in Corr. giur., 1989, p. 505 ss.; sulla questione v. anche C. cost., 29 dicembre 1988,
n. 1162, in Giur. cost., 1988, I, p. 5627; in Riv. giur. amb., 1989, p. 267; C. cost., 12 aprile
1990, n. 195, in Giur. cost., 1990, I, p. 1165; in Riv. giur. edil., 1990, I, p. 483.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 725
116 Cfr. FRANCARIO, L., Danni ambientali e tutela civile, cit., p. 212.
117 LIBERTINI, M., La nuova disciplina del danno ambientale e i problemi generali del di-
ritto dell’ambiente, cit., p. 586, che, promuovendo una lettura filo-costituzionale della norma,
ha ritenuto titolari del diritto al risarcimento anche gli enti territoriali minori, con la conse-
guenza di attribuire allo Stato una legittimazione concorrente talora da leggersi come legitti-
mazione straordinaria, ovvero come potere di sostituzione rispetto l’azione degli enti territo-
riali minori, con il conseguente obbligo dello stesso Stato a trasferire le somme al soggetto
concretamente danneggiato e onerato del ripristino; OLIVIERI, G., Danno ambientale e tutela,
cit., p. 260 ss., ma spec. p. 263, in cui si chiarisce come l’interrogativo circa la titolarità della
situazione giuridica dedotta in giudizio sia questione distinta rispetto all’individuazione dello
Stato quale destinaratio – aggiungiamo noi – mero della somma da versarsi a titolo di risarci-
mento; LANDI, P., La tutela processuale dell’ambiente, cit., p. 72; così anche per POSTIGLIONE,
A., L’azione civile in difesa dell’ambiente, cit., p. 320; in questo senso sembra anche MOSCA-
RINI, L.V., Responsabilità aquiliana e tutela ambientale, cit., p. 501; nega stranamente che la le-
gittimazione degli enti territoriali minori sia espressione di un potere di mera azione FRANCA-
RIO, L., Danni ambientali e tutela civile, cit., p. 222 ss., che ritiene, peraltro, che la legittima-
zione concorrente di tali enti costituisca «il segno più evidente di una più matura collocazione
degli interessi collettivi anche sul piano istituzionale»; interessi collettivi che si presentereb-
bero come interessi differenziati e parziali rispetto a quelli generali rappresentanti dallo Stato;
considerazione, quest’ultima, che sembra poco armonizzarsi con la prospettiva ricostruttiva
avanzata dall’A., tendente a tradurre il giudizio di danno ambientale in termini di giurisdi-
zione obiettiva. L’alternativa possibile dovrebbe, infatti, essere quella che segue: o l’azione dei
comuni ha stessa natura di quella statale ed in tal caso l’interesse sostanziale leso, collettivo o
differenziato che sia, non rileva in termini giuridici, ponendosi questo come mero substrato
metagiuridico e rilevando unicamente la lesione e la successiva reitegrazione oggettiva del
bene, o la natura dell’azione ex art. 18 non ha tale natura oggettiva, potendosi e dovendosi di
conseguenza apprezzare anche sul piano giuridico l’esistenza di un interesse sostanziale rile-
vante e magari eventuali e diverse «sfere» di interessi ingiustamente pregiudicati. Più di re-
cente, per una legittimazione autonoma degli enti pubblici territoriali, v. anche CARRATTA, A.,
Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 116-117, spec. nota 78.
726 CAPITOLO NONO
118 In questo senso, con ampiezza di argomenti, TRIMARCHI BANFI, F., Danno privato e
interesse pubblico nella disciplina del danno ambientale, cit., p. 206 ss.; cfr. anche TORRE-
GROSSA, G., La tutela dell’ambiente: dagli interessi diffusi al danno ambientale, cit., p. 1735.
Alla stessa esigenza pratica risponde la proposta di GIAMPIETRO, F., La responsabilità per
danno all’ambiente, cit., p. 343, volta ad ammettere che gli enti locali possano agire in rivalsa
nei confronti dello Stato per il rimborso delle spese sostenute.
119 TRIMARCHI BANFI, F., Danno privato e interesse pubblico nella disciplina del danno
ambientale, cit., p. 207, che condivisibilmente afferma: «se il profilo proprietario è irrilevante
per stabilire il collegamento tra l’interesse ambientale ed il soggetto che ne è portatore, sem-
bra necessario ravvisare tale collegamento nell’attribuzione di potestà finalizzate alla conser-
vazione e tutela dei beni ambientali, cioè nella titolarità della funzione secondo le leggi vi-
genti»; così, «la lesione dell’interesse ambientale può tradursi in danno patrimoniale solo in
relazione agli interventi riparatori attuati o da attuarsi da parte del soggetto titolare della fun-
zione di tutela».
120 TRIMARCHI BANFI, F., Danno privato e interesse pubblico nella disciplina del danno
dizio di danno ambientale, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 619 ss.; RECCHIONI, S., Sulla «legiti-
matio ad interveniendum» nei giudizi di danno ambientale da parte delle associazioni di prote-
zione ambientale, in Giur. mer., 1990, p. 886 ss. Cfr. anche GIAMPIETRO, F., Danno all’ambiente
e legittimazione al giudizio dello Stato, degli enti territoriali e delle associazioni protezionistiche,
cit., p. 561; GRASSO, E., La tutela giurisdizionale dell’ambiente, cit., p. 529; FRANZONI, M., Il
danno all’ambiente, cit., p. 1020; MOSCARINI, L.V., Responsabilità aquiliana e tutela dell’am-
biente, cit., p. 504; VISINTINI, G., Convegno su «il danno ambientale con riferimento alla re-
sponsabilità civile», cit., p. 238. Implicitamente, POSTIGLIONE, A., L’azione civile in difesa del-
l’ambiente, cit., p. 317; COCCO, G., Tutela dell’ambiente e danno ambientale, cit., p. 495.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 727
ordine alla tutela del bene ambiente122 e pur nella presente consapevo-
lezza della non perfetta riconducibilità della fattispecie – specie per ciò
che attiene al rilievo necessariamente giuridico dell’interesse legittimante
l’intervento – ai tratti definitori dogmatici dell’istituto in questione123.
Considerazione, quest’ultima, che ha condotto parte della dottrina
ad avvicinare la posizione dell’associazione legittimata all’intervento ad
«una sorta di interesse legittimo e cioè una posizione sostanziale più at-
tenuata del diritto soggettivo perfetto nel senso che la protezione, non è
ad esso data dalla norma in modo diretto ma indirettamente e se ed in
quanto sia tutelata una posizione preminente»124; interesse legittimo da
doversi intendere, nel caso di specie, più precisamente come «interesse
legittimo diffuso» ossia come un interesse avente carattere propriamente
partecipativo ed in quanto tale di difficile soggettivazione e predetermi-
nazione di oggetto e contenuto125.
posizioni giuridiche soggettive nella materia ambientale: dagli interessi diffusi al nuovo ruolo del
cittadino, in Dir. econ., 2001, p. 381 ss.; LUCI, F., Azione per danno ambientale: il nuovo ruolo
delle associazioni ambientaliste, in Resp. civ. prev., 2002, p. 877, anche in I diritti dei consuma-
tori e degli utenti, a cura di Alpa e Levi, Milano, 2001, p. 253 ss.; BONATO, G., La tutela del-
l’ambiente secondo la l. n. 349 del 1986, con le successive modificazioni del d.lgs. n. 267 del
2000, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 299 ss.; BONA, C., L’a-
zione popolare locale nel processo penale, in Giur. mer., 2003, p. 1896 ss.; CARRATTA, A., Profili
processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 116 ss.; DI COLA, L., La tutela
dell’ambiente, cit., p. 277 ss.; ANDREIS, M., Azione popolare e atteggiamento dell’ente sostituito,
in Urb. e app., 2004, p. 1344 ss.; MALAGNINO, D., Danno ambientale e tutela risarcitoria. La le-
gittimazione processuale delle associazioni ambientaliste, in Contr. imp., 2004, p. 1201 ss.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 729
prevista dall’art. 4 della legge 3 agosto 1999, n. 265, cit., p. 884: il danno ambientale è «il
danno alla collettività organizzata nell’ente locale».
130 CARRATTA, A., Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit.,
p. 120.
730 CAPITOLO NONO
131 MADDALENA, P., L’evoluzione della tutela ambientale e l’azione popolare prevista dal-
l’art. 4 della legge 3 agosto 1999, n. 265, cit., p. 885.
132 Così, condivisibilmente, BONATO, G., La tutela dell’ambiente secondo la l. n. 349 del
1986, con le successive modificazioni del d.lgs. n. 267 del 2000, cit., p. 342, in richiamo delle
osservazioni di BORGHESI, D., Azione popolare, in Enc. giur. Trec., IV, Roma, 1988, p. 15. Con-
tra, v. ANDREIS, M., Azione popolare e atteggiamento dell’ente sostituito, cit., p. 1344 ss., che
invece aderisce alla posizione espressa, riguardo alla disciplina dell’azione popolare prevista
dal comma 1 dell’art. 7 della l. 142/90, da MIGNONE, C., L’azione popolare prevista dalla legge
di riforma delle autonomie locali, in Dir. proc. amm., 1993, p. 282 ss., ma spec. p. 288, in nota
alla conforme decisione del Tar Veneto, sez. III, 27 maggio, n. 1728. Sul punto, v. le nostre
osservazioni espresse retro, cap. VI, nota 137.
133 Per un primo intervento sulla Parte sesta del d.legisl. esaminato nel testo, v. FIMIANI,
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 731
P., Le nuove norme sul danno ambientale, Milano, 2006, p. 116 s.; ID., Disciplina del danno
ambientale: cosa cambia con il d.lgs. n. 152/2006, in Ambiente e sicurezza, 2006, fasc. 9, p. 129
ss.; PRATI, L., Le criticità del nuovo danno ambientale: il confuso approccio del «Codice del-
l’Ambiente», in Danno e resp., 2006, p. 1049 ss.; STIFANO, M., La tutela risarcitoria dei danni
all’ambiente nel decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, in Giust. amm., 2006, p. 248 ss. Sulle
questioni a carattere processuale, v. DALFINO, D., Tutela dell’«ambiente» e soluzioni (proces-
suali) di compromesso nel d.leg. n. 152 del 2006, in Foro it., 2006, III, p. 508 ss. Cfr. anche DE
CESARIS, A.L., Una nuova disciplina per l’ambiente?, in Giorn. dir. amm., 2007, p. 123 ss.; PO-
STIGLIONE, A., Prevenzione e riparazione del danno ambientale: problemi applicativi, in Dir.
giur. agr. alim. e dell’amb., 2007, p. 10 ss.; SALVI, G., La tutela civile dell’ambiente alla luce del
testo unico ambientale, in Resp. civ. e prev., 2007, p. 656 ss.
134 Sulla direttiva 2004/35/CE, v. GIAMPIETRO, F., La direttiva 2004/35/CE sul danno
ambientale e l’esperienza italiana, in Ambiente, 2004, p. 805 ss.; ID., Prevenzione e riparazione
del danno ambientale: la nuova direttiva n. 2004/35/CE, ivi, 2004, p. 905 ss.; AA.VV., La re-
sponsabilità ambientale, a cura di B. Pozzo, Milano, 2005; GIOVA, S., Ambiente e responsabi-
lità civile: la direttiva 2004/35/CE nell’ordinamento italiano, in Responsabilità da danno am-
bientale, Profili di diritto civile, amministrativo e penale, a cura di S. Giova, Napoli, 2005, p.
7 ss.; LIGUORI, A., Il risarcimento del danno ambientale tra indicazioni comunitarie e prospet-
tive di recepimento, in Danno e resp., 2005, p. 1165 ss.; GIAMPIETRO, F., La responsabilità per
danno all’ambiente in Italia: sintesi di leggi e di giurisprudenza messe a confronto con la diret-
tiva 2004/35/CE e con il T.U. ambientale, in Riv. giur. amb., 2006, p. 19 ss.; POSTIGLIONE, A.,
Prevenzione e riparazione del danno ambientale: problemi applicativi, cit., p. 10 ss.; MONTA-
NARO, R., La direttiva sulla responsabilità ambientale nel quadro della disciplina europea in ma-
teria di ambiente, in La responsabilità per danno all’ambiente, L’attuazione della direttiva
2004/35/CE, a cura di F. Giampietro, Milano, 2006, p. 39 ss.
135 Va a tal proposito accolto il rilievo che LIGUORI, A., Il risarcimento del danno am-
bientale tra indicazioni comunitarie e prospettive di recepimento, cit., p. 1168, correttamente
sollevava già in relazione allo schema di d.legisl., ovvero l’evidente superamento dei limiti di
delega operato nell’apprestamento del d.legisl. 152/2006 da parte del governo. Infatti, se la
direttiva 2004/35/CE non concerneva direttamente l’azione di danno ambientale, nemmeno
la l. n. 308/2004 consentiva un intervento di tale incidenza sulla disciplina preesistente. La
legge menzionata, infatti, all’art. 1 delegava il governo ad adottare uno o più decreti legisla-
tivi di «riordino, coordinamento e integrazione» delle disposizioni legislative di diversi settori
e materie tra cui la «tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente» e poi all’art. 9, lett. e), con
732 CAPITOLO NONO
138 Stando all’imprecisa definizione avanzata dal comma 5 dell’art. 302, per «attività
professionale» la legge intende «qualsiasi azione, mediante la quale si perseguano o meno fini
di lucro, svolta nel corso di un’attività economica, industriale, commerciale, artigianale, agri-
cola e di prestazione di servizi, pubblica o privata».
734 CAPITOLO NONO
139 Dette circostanze sono previste dall’art. 308 al comma 4 e 5, ovvero qualora il
danno o la minaccia di danno: a) sono state causate da un terzo e si sono verificate nono-
stante l’adozione di misure di sicurezza astrattamente idonee; b) sono conseguenza di un or-
dine o istruzione obbligatori impartiti da una pubblica autorità, diversi da quelli impartiti a
seguito dell’emissione o di un incidente imputabile all’operatore (art. 308, comma 4). In tali
ipotesi, anzi, il Ministro adotta le misure necessarie per consentire all’operatore il recupero
dei costi. Visto, inoltre, quanto previsto dalla direttiva all’art. 9, comma 4, ovvero la facoltà
agli Stati membri di consentire che l’operatore sia sollevato dalla responsabilità dei costi delle
(sole) azioni di riparazione (ovvero di ripristino) qualora non gli sia attribuibile un compor-
tamento doloso o colposo e il danno sia stato causato da un’emissione o un evento espressa-
mente consentiti da un’autorizzazione delle autorità preposte o da un’emissione o un’attività
o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un’attività che l’operatore
dimostri di non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato
delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell’emissione o dell’esecu-
zione dell’attività, visto questa previsione – si diceva – sembrerebbe necessario riferirsi a tale
menzionato articolo della direttiva per attribuire un significato al diversamente poco com-
prensibile comma 5 dell’art. 308.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 735
PIETRO, F., Prevenzione, ripristino, risarcimento dei danno all’ambiente nel d.lgs. n. 152/2006.
Esame delle disposizioni di rinvio alla bonifica, in La responsabilità per danno all’ambiente,
L’attuazione della direttiva 2004/35/CE, cit., p. 289 ss., ma spec. p. 293 ss., che in chiave di
sintesi conclusiva ha osservato che il regime complessivo di liquidazione del danno «potrebbe
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 737
funzionare come comoda “scappatoia” nei casi di grave danno ambientale» o «potrebbe,
nello stesso tempo offrire la possibilità di una liquidazione monetaria del danno da illecito
amministrativo o penale, anche quando manchi la prova di un effettivo pregiudizio all’am-
biente».
145 Così, condivisibilmente, la dottrina pronunciatasi sul punto. Cfr. ad es. FIMIANI, P.,
Le nuove norme sul danno ambientale, cit., p. 156; GIAMPIETRO, F., Danno all’ambiente e bo-
nifica dei siti contaminati. La linea evolutiva del testo approvato con il d.lgs. n. 152/2006 alla
luce della direttiva n. 2004/35/CE, in La responsabilità per danno all’ambiente, L’attuazione
della direttiva 2004/35/CE, cit., p. 243 ss., spec. p. 266.
146 Così, anche FIMIANI, P., Le nuove norme sul danno ambientale, cit., p. 116 s.
147 Per approfondimenti, v. GIAMPIETRO, F., Prevenzione, ripristino, risarcimento dei
152 Da leggersi in coordinato disposto con quanto ancora dispone l’art. 18, comma 5,
della l. n. 349/86.
153 Ma, nel dettaglio, v. l’art. 310 del d.legisl. in ordine al potere di opposizione in via
dell’Ambiente», cit., p. 1051, a tal riguardo osserva che «per questa via si trasporterebbe il
danno ambientale sul piano dei diritti soggettivi astrattamente tutelabili individualmente, in
contrapposizione alla concezione dell’ambiente quale bene collettivo e superindividuale».
740 CAPITOLO NONO
della natura oggettiva della tutela GIAMPIETRO, F., Prevenzione, ripristino, risarcimento dei
danno all’ambiente nel d.lgs. n. 152/2006, cit., p. 302.
742 CAPITOLO NONO
160 In generale, v. il cap. V e poi il cap. VI, di cui in particolare la nota 17.
161 Cfr. infatti, le osservazioni di Grasso riportate retro, nota 85. Più in generale sull’ar-
tificialità del legame che lega legittimato ad agire ex lege e strumento di tutela all’interno di
concezioni di tal fatta, v. retro, cap. III, § 3.4.1.2.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 743
biente, cit., p. 129, 334 ss., 434 s.; ID., Danno all’ambiente e legittimazione al giudizio dello
Stato, degli enti territoriali e delle associazioni protezionistiche, cit., p. 543; DEL REGNO MON-
TAGNA, M.R., La partecipazione del cittadino, cit., p. 81 ss.; TARZIA, G., Le associazioni di cate-
goria nei processi civili con rilevanza collettiva, in Riv. dir. proc., 1987, p. 774 ss., ma spec. p.
802; ALBAMONTE, A., Danni all’ambiente e responsabilità civile, cit., p. 44 ss.; MADDALENA, P.,
Danno pubblico ambientale, cit., p. 225 ss.; MORBIDELLI, G., Il danno ambientale nell’art. 18 l.
349/1986, cit., p. 614; VIVANI, C., Il danno ambientale, cit., p. 43; dubitativo MINERVINI, E.,
Danno ambientale e responsabilità «individuale», cit., p. 31; MALAGNINO, D., Danno ambien-
tale e tutela risarcitoria. La legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste, cit., p.
1219; ARCUDI, L., Danno ambientale e legittimazione ad agire, in Responsabilità da danno am-
bientale, cit., p. 155 ss., spec. 157 s.
165 Cfr. COSTANZO, A. - VERARDI, C.M., La responsabilità per danno ambientale, cit., 748
s.; GRASSO, E., La tutela giurisdizionale dell’ambiente, cit., p. 520, in ragione della mancata at-
tribuzione dell’azione al pubblico ministero; dubitativamente, TARUFFO, M., La legittimazione
ad agire e le tecniche di tutela nella nuova disciplina del danno ambientale, cit., p. 432; FRAN-
CARIO, L., Danni ambientali e tutela civile, cit., p. 218, il quale, peraltro precisa che se si qua-
lificasse – soluzione dall’A. negata – come «pubblico» il danno prodotto anziché «collettivo»,
occorrerebbe di conseguenza propendere per la natura obbligatoria dell’azione; POZZO, B.,
Danno ambientale, cit., p. 796; ID., Il danno ambientale, cit., p. 112, sebbene in senso critico
riguardo alla norma; CARAVITA, B., Diritto dell’ambiente, cit., p. 310, in ragione del fatto che
l’attribuzione del potere di azione a soggetti rappresentativi escluderebbe il carattere obbli-
gatorio dell’azione. In quest’ultima direzione, v. anche POSTIGLIONE, A., L’azione civile in di-
fesa dell’ambiente, cit., p. 315, per il quale si verifica una contraddizione tra la natura dell’a-
zione (dall’A. ritenuta «pubblica») e il regime di azionabilità della pretesa sostanziale; da qui
la critica alla soluzione legislativa accolta e l’auspicabile prospettiva di attribuire anche al
pubblico ministero l’azione di difesa ambientale. A ben vedere, peraltro, nessuno di questi ar-
gomenti risulta convincente. Il fatto che, ad esempio, l’azione sia attribuita a soggetti rappre-
sentativi e non al pubblico ministero deve ritenersi argomento tutt’altro che decisivo ai fini
della qualificazione dell’azione, la quale appunto va desunta non tanto da criteri soggettivi,
quanto soprattutto da indici funzionali e strutturali, i quali non solo si rivelano essenziali per
comprendere se la natura degli interessi tutelati sia «pubblica» o «collettiva», ma anche per
raffrontarsi al tenore letterale delle disposizioni, che, non sempre inequivoche, necessitano di
essere incasellate all’interno di un’interpretazione logico-sistematica che valorizzi tutto il loro
significato precettivo; scelta di metodo, quest’ultima indicata, seguita – ad esempio – anche
in ambito processualcivilistico per sciogliere – favorevolmente – il quesito relativo all’obbli-
gatorietà dell’azione del p.m. nel processo civile: in argomento, v. le puntuali osservazioni di
VELLANI, M., Il pubblico ministero nel processo, II, Bologna, 1963, p. 149-150.
LA TUTELA COLLETTIVA DELL’AMBIENTE 745
166 CALABRÒ, M., Il ruolo delle associazioni ambientaliste in tema di prevenzione e ripa-
razione del danno ambientale in La responsabilità per danno all’ambiente, L’attuazione della di-
rettiva 2004/35/CE, cit., p. 193 ss., ma spec. p. 214; GIAMPIETRO, F., Prevenzione, ripristino,
risarcimento dei danno all’ambiente nel d.lgs. n. 152/2006, cit., p. 327; SALVI, G., La tutela ci-
vile dell’ambiente alla luce del testo unico ambientale, cit., p. 683. Cfr. anche FIMIANI, P., Le
nuove norme sul danno ambientale, cit., p. 102; MASINI, S., Sub art. 309, in Commentario breve
al codice dell’ambiente, cit., p. 848.
167 In questo senso, v. in particolare LANDI, P., La tutela processuale dell’ambiente, cit.,
p. 78, sulla scia di VELLANI, M., Art. 69, Azione del pubblico ministero, in Commentario del co-
dice di procedura civile, diretto da E. Allorio, I, 2, Torino, 1973, p. 792 ss.
168 Similmente si argomentava in relazione alla formula «è promossa» riferita dall’art.
18 della l. n. 349/86 all’azione statale: cfr. LANDI, P., La tutela processuale dell’ambiente, cit.,
p. 80; MADDALENA, P., Danno pubblico ambientale, cit., p. 225.
169 Così, GIAMPIETRO, F., Prevenzione, ripristino, risarcimento dei danno all’ambiente nel
d.lgs. n. 152/2006, cit., p. 320-321.
746 CAPITOLO NONO
174 Cfr. retro, nota 155, ed in particolare Cass., 3 febbraio 1998, n. 1087, cit., secondo
cui «lo stesso fatto può comportare, oltre al danno all’ambiente, da risarcire in considera-
zione del suo valore di assieme, che ovviamente prescinde dal valore patrimoniale delle sin-
gole componenti, anche un danno a una o più di queste ultime, risarcibile invece in termini
di stretta equivalenza pecuniaria. Emerge, così, per diversità di oggetto e di criteri di quanti-
ficazione del danno […] la profonda differenza strutturale tra il danno all’ambiente, sempre
di natura pubblicistica, e il danno da lesione di determinati beni, privati o pubblici, ancorché
entrambi ricadano nell’ambito della tutela aquiliana apprestata dall’art. 2043 c.c.»
175 Cfr. ALPA, G., Pubblico e privato nel danno ambientale, cit., p. 699; CASTRONOVO, C.,
Il danno all’ambiente nel sistema di responsabilità civile, cit., p. 518 ss., sull’applicabilità ge-
nerale dell’art. 2043 c.c.; ZIVIZ, P., in CENDON, P. - ZIVIZ, P., L’art. 18 della legge 349/86 nel si-
stema di responsabilità civile, cit., p. 534 s., per la quale «le regole comuni sui fatti illeciti […]
rimarranno […] attivabili in via ordinaria ogniqualvolta il torto ecologico […] abbia ulte-
riormente colpito in maniera “specifica” (vale a dire attraverso l’integrità fisica, alla salute,
alla proprietà o altre situazioni meritevoli) la sfera di un determinato soggetto, non importa
se pubblico o privato»; ugualmente MOSCARINI, L.V., Responsabilità aquiliana e tutela am-
bientale, cit., p. 501; FRANZONI, M., Il danno all’ambiente, cit., p. 1019; COMPORTI, M., La re-
sponsabilità per danno ambientale, cit., p. 273; D’ORTA, C., Ambiente e danno ambientale, cit.,
p. 110; COSTANZO, A. - VERARDI, C.M., La responsabilità per danno ambientale, cit., p. 721; LU-
MINOSO, A., Sulla natura della responsabilità per danno ambientale, cit., p. 899, riguardo ai di-
ritti di proprietà e salute privati e pubblici; BERTI, G., Il rapporto «ambientale», cit., p. 185, ri-
guardo alle lesioni al patrimonio e alla salute dei privati; ALPA-BESSONE, Il danno ambientale,
cit., p. 194; GRASSO, E., La tutela giurisdizionale per l’ambiente, cit., p. 524; MALINCONICO,
Beni ambientali, Padova, 1991, p. 275 ss.; SPAGNA MUSSO, B., Riflessioni critiche in tema di tu-
tela civilistica dell’ambiente, cit., p. 846; TORREGROSSA, G., La tutela dell’ambiente: dagli inte-
ressi diffusi al danno ambientale, cit., p. 1734; BORGONOVO RE, D., Contributo allo studio del
danno ambientale, cit., p. 281.
748 CAPITOLO NONO
associazioni. In secondo luogo, palese è l’ingiustificata commistione tra risarcimento del danno
ambientale e risarcimento di distinti ed autonomi beni giuridici. In terzo ed ultimo luogo,
tutt’altro che fugati sono i dubbi che una tutela risarcitoria così concepita non si traduca in
un’effettiva duplicazione dei risarcimenti. A chi scrive, ad esempio, risulta piuttosto difficile
comprendere come sia possibile qualificare il risarcimento del danno alla salute come una
«voce» del danno ambientale ed inoltre come sia possibile far coesistere sul piano logico il
danno inferto all’integrità fisica e psichica dei singoli cittadini con un diverso e distinto danno
alla salute lesivo degli interessi collettivi e che proprio le associazioni ambientaliste dovrebbero
far valere in giudizio. Qui sembra che gli esiti giurisprudenziali in questione giungano ad un
risultato assimilabile alle note e miracolose moltiplicazioni del lago di Tiberiade. La legittima-
zione ad agire delle associazioni ambientaliste per la tutela del loro diritto al risarcimento con-
seguente (anche) alla lesione degli interessi collettivi alla salubrità ambientale è sostenuta da
Cass. pen., 5 aprile 2002, n. 22539, Kiss Gmunter, in Giur. it., 2003, p. 694, con nota di BAR-
BIERA, L., Il danno ambientale come danno presunto risarcibile allo Stato, agli enti territoriali,
alle persone fisiche e alle associazioni ecologiste; in Riv. giur. amb., 2003, con nota di COPPINI,
C.L., L’illecito ambientale ed il risarcimento del danno disposto nel processo penale; in Dir. giur.
agr. amb., 2003, p. 636 ss., con nota di AMATO, A., Impianti per la produzione di energia deri-
vante dalla trasformazione dei rifiuti: inquinamento atmosferico, natura del CDR, procedure sem-
plificate e ruolo degli enti locali e delle associazioni.
184 ALBAMONTE, A., Danni all’ambiente e responsabilità civile, cit., p. 67, che peraltro
precisa che tale profilo di «danno collettivo» non sostituisce ma si aggiunge ai danni ulte-
riormente differenziati che ricadono sui singoli (cfr. p. 83 ss.). Cfr., anche FRANCARIO, L., Il ri-
sarcimento del danno all’ambiente dopo la legge 349 del 1986, cit., p. 240, che però avanza la
possibilità, riguardo gli enti esponenziali privati di esercitare un’azione inibitoria (e non dun-
que risarcitoria) a tutela dell’interesse collettivo alla salubrità ambientale, meglio specificando
la sua posizione a tal riguardo, già espressa in ID., Il risarcimento del danno all’ambiente dopo
la legge 349 del 1986, cit., p. 485 s.
185 L’impostazione interpretativa indicata nel testo trova origine nelle sentenze della
Corte costituzionale in materia di ambiente (spec. 641/87) ed è chiaramente esposta da Cass.
pen., 5 aprile 2002, n. 22539, cit. Il medesimo principio, ovvero la tridimensionalità del bene
ambiente (pubblica, sociale e personale), è stato ribadito di recente da Cass. pen., 7 aprile
2006, n. 33887, in Guida dir., 2006, fasc. 43, p. 82 (in cui cfr. retro, nota 183); Cass. pen., 9
ottobre 2006, in Urb. e app., 2006, p. 259; Cass. pen., 3 novembre 2006, n. 36514, inedita;
Cass. pen., 2 maggio 2007, n. 16575, in www.ambientediritto.it.
752 CAPITOLO NONO
rappresentative, non solo sotto il profilo ora accennato, che si pone a ca-
vallo tra bene ambiente e bene salute, ma anche nella più ampia cornice
del danno alla persona.
Così, ad esempio, parte della dottrina, avallata dalla giurisprudenza,
ha sostenuto, riguardo agli strumenti di tutela riservati agli enti pubblici
territoriali, anche il possibile ristoro dei «danni (patrimoniali e non) che
importano una lesione di un interesse proprio del soggetto collettivo, in-
teso quale soggetto a sé stante»186, tra cui, eventualmente anche i danni de-
rivanti dalla lesione del nome, dell’immagine, della reputazione187; solu-
zione – quest’ultima – ritenuta ammissibile anche a favore delle associa-
zioni rappresentative private in relazione al danno non patrimoniale
derivante dalla lesione dei diritti della personalità delle associazioni am-
bientaliste anche non riconosciute e concernente «l’interesse alla conserva-
zione di un contesto ambientale circostanziato e storicamente definito as-
sunto e preso a cuore dagli associati per farne ragione stessa dell’esistenza
del sodalizio e così divenuto elemento costitutivo dell’organismo»188.
186 FRANCARIO, L., Il risarcimento del danno all’ambiente dopo la legge 349 del 1986, cit.,
p. 217, 219 ss. Sul tema, v. COSTANTINO, M., Illecito civile e danno ad enti pubblici territoriali,
in Danno e resp., 1999, p. 261 ss.; AMATO, A., I diversi regimi di responsabilità civile per danno
all’ambiente, Bari, 2003, p. 81 ss.
187 FRANCARIO, L., Il risarcimento del danno all’ambiente dopo la legge 349 del 1986, cit.,
p. 233. Ampia è la giurisprudenza sulla lesione dell’immagine dell’ente pubblico o del suo di-
ritto della personalità di cui il territorio è parte integrante: cfr. Cass. pen., 19 marzo 1992, n.
6297, in Imprese, 1992, p. 2568; Cass., 19 maggio 1996, n. 5650, cit.; Cass., 15 aprile 1998, n.
3807, in Resp. civ. prev., 1998, p. 992; Cass. pen., 11 gennaio 1998, n. 8318; Cass. pen., 30 ot-
tobre 2001, n. 1145, in Cass. pen., 2002, p. 3859; Cass. pen., 5 aprile 2002, n. 22539, cit.; T.
Trento, 10 giugno 2002, in Riv. giur. amb., 2004, p. 510 ss., con nota di PRATI, L., La compro-
missione della reputazione turistica come danno morale risarcibile in capo all’ente territoriale;
Cass. pen., 11 novembre 2004, n. 48402, in Guida dir., 2005, fasc. 4, p. 91 ss.
188 Così, T. Venezia, 23 luglio 1997, in Riv. giur. amb., 1998, p. 326 ss. Cfr. anche Cass.
pen., 29 settembre 1992, in Foro it., 1993, II, p. 475 ss.; Cass. pen., 10 marzo 1993, in Dir. proc.
amm., 1994, p. 517 ss., con nota di PUGLIESE, F., La legittimazione ad agire delle associazioni
ambientaliste: il limite è nella legge; Cass. pen., 26 settembre 1996, in Arch. nuova proc. pen.,
1996, p. 871; T. Venezia, 21 giugno 2001, in Riv. giur. amb., 2002, p. 124 ss., con nota di BEL-
TRAME, S., Danno ambientale: l’intervento in giudizio degli enti territoriali e delle associazioni
ambientalistiche; Cass. pen., 5 aprile 2002, n. 22539, cit.; Cass. pen., 2 dicembre 2004, n.
46746, in Arch. nuova proc. pen., 2005, p. 181. In dottrina, v. FRANCARIO, L., Il risarcimento del
danno all’ambiente dopo la legge 349 del 1986, cit., p. 243; ALBAMONTE, A., Danni all’ambiente
e responsabilità civile, cit., p. 47 ss., ma spec. 53-54, 57, 62. In generale, sul riconoscimento an-
che ai soggetti collettivi della titolarità di diritti della personalità: cfr. ad es. DE CUPIS, A., I di-
ritti della personalità, Milano, 1961, p. 44 ss.; RESCIGNO, P., Personalità (diritti della), in Enc.
giur. Trec., XXIII, Roma, 1990, p. 7 ss.; ZENO ZENCOVICH, V., Personalità (diritti della), in Dig.
disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995, p. 430 ss., spec. 440. Più di recente, v. ZOPPINI, A., I di-
ritti della personalità delle persone giuridiche (e dei gruppi organizzati), in Riv. dir. civ., 2002, I,
851 ss.; VITTORIA, D., Il danno patrimoniale agli enti collettivi, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 539 ss.
CAPITOLO DECIMO
fronti degli altri legittimati ad agire in via collettiva. – 3.3.5.3. Gli effetti del giudi-
zio collettivo risarcitorio e le sue ricadute sulla configurazione del giudizio collet-
tivo inibitorio.
1. Considerazioni introduttive
Il 20 maggio del 1970 entrava a far parte del nostro ordinamento lo
Statuto dei lavoratori con il primo procedimento civile volto a tutelare
interessi collettivi di immediata derivazione costituzionale; con la legge n.
903 del 9 dicembre del 1977 tale direttrice di riforma si estendeva – sep-
pur timidamente ed ancora in ambito giuslavoristico – al tema della tu-
tela antidiscriminatoria; anni dopo, con la legge n. 349 dell’8 luglio 1986,
anche l’interesse ambientale riceveva un significativo riconoscimento
nella tanto discussa azione pubblica esaminata nel capitolo precedente.
Solo gli interessi collettivi dei consumatori all’inizio degli anni NOvanta,
e dunque a oramai lungo tempo dall’accendersi del dibattito sul tema
della tutela giurisdizionale degli interessi sovraindividuali, rimanevano
ancora privi di specifici strumenti di tutela processuale collettiva.
D’altra parte, se la dimensione collettiva del conflitto tra potere im-
prenditoriale e lavoratori era oramai questione profondamente penetrata
tanto nella coscienza sociale che nella conoscenza giuridica e se il pro-
blema ambientale poteva contare non solo sull’improcrastinabilità di in-
terventi a suo favore, ma anche sull’attività di sensibilizzazione promossa
da parte dell’associazionismo privato, pari condizioni non appartenevano
ancora al tema relativo alla tutela del consumatore, sebbene questo, già
dai primi anni Settanta (e dunque in perfetta sintonia cronologica con
l’avviarsi della riflessione scientifica sugli interessi collettivi e diffusi) – si
fosse rivelato oggetto di significative attenzioni in seno alla dottrina civi-
listica più avvertita1.
Non solo; proprio durante uno dei primi incontri congressuali dedi-
cati espressamente ai rimedi a difesa del consumatore – ed in particolare
alla tutela del contraente debole avverso l’impiego da parte dell’impresa
di condizioni generali di contratto – detto tema di riflessione scientifica
iniziava – seppur non prevalentemente2 – a presentarsi in una duplice
prospettiva: quella individuale, da un lato, e quella collettiva, dall’altro3.
Con ampio anticipo rispetto al successivo dibattito, autorevole dot-
trina rilevava l’esistenza di «effetti distorsivi» e «costi sociali» gravanti
«su coloro che godono dei beni e dei servizi» a seguito dell’esercizio da
parte dell’impresa di un vero e proprio «potere normativo»4, esplicantesi
gna, 1986; ID., Il diritto dei consumatori, Roma-Bari, 2003; ID., Art. 1, Finalità ed oggetto,
nonché Art. 2, Diritti dei consumatori, in Codice del consumo, Commentario, a cura di G. Alpa
e L. Rossi Carleo, Napoli, 2005, rispettivamente p. 17 ss. e 31 ss.
2 In questa fase di studio, l’interesse della dottrina civilistica sembra orientato con pre-
valenza sulle opportunità ed i limiti di sindacato giudiziale circa il merito delle clausole gene-
rali inserite all’interno della specifica pattuizione contrattuale: cfr. ad es. i contributi conte-
nuti in AA.VV., Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, cit., passim, e
la nota che segue. Per l’approfondimento del tema relativo alle condizioni generali del con-
tratto ed in particolare per le indicazioni bibliografiche concernenti il dibattito relativo al pe-
riodo in esame nel testo, ossia anteriore alla riforma attuata con l’art. 25 del 6 febbraio 1996,
n. 52, v., DOSSETTI, M., Condizioni generali di contratto, in Nss. D.I., III, Torino, 1959, p. 1109
ss.; GENOVESE, A., Le condizioni generali di contratto, in Enc. dir., VII, Milano, 1961, p. 802
ss.; FRANCARIO, L., Clausole vessatorie, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma; MAIORCA, S., Contratti
standard, in Nss. D.I., Appendice, II, Torino, 1981, p. 636 ss.; BIANCA, C.M., Condizioni gene-
rali di contratto: I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, VII, Roma; ROPPO, E. - NAPOLITANO,
G., Clausole abusive, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1994.
3 Cfr., in particolare, l’efficace sintesi proposta da PAVONE LA ROSA, A., Introduzione, in
AA.VV., Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, cit., p. 3 ss., che chia-
risce la duplice prospettiva emersa dal dibattito congressuale: quella del sindacato di merito
operato sul regolamento contrattuale pattuito (alla luce della violazione dei principi di ordine
pubblico per alcuni, della buona fede e correttezza contrattuale, per altri) e quella più diretta
sul controllo del rispetto dei limiti imposti al potere normativo dell’imprenditore ovvero «sul
piano dei rapporti tra […] la categoria degli operatori economici che hanno predisposto le
condizioni generali da una parte, ed i consumatori e gli utenti dall’altra». La dimensione col-
lettiva del conflitto è percepita con particolare acume da BIANCA, C.M., Intervento, in
AA.VV., Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole, cit., p. 227 ss., in cui
si osserva: «se si prende atto di una dimensione delle c.g.c. che supera la pattuizione dei sin-
goli rapporti, allora si tratterà di trovare su un altro piano rimedi più efficaci: cioè non al li-
vello sporadico delle decisioni che può prendere il giudice nel caso concreto ma su un piano
che si misuri direttamente con potere regolamentare dell’imprenditore. […] I tentativi di più
soddisfacenti soluzioni potrebbero allora orientarsi, ad es., verso la possibile unificazione de-
gli interessi negoziali tipici sul piano collettivo. In questo senso si potrebbe auspicare un al-
largamento della sfera della contrattazione collettiva attraverso la sollecitazione di quegli in-
teressi comuni dei consumatori che in questo momento sembrano talmente diffusi da non
riuscire a coagularsi attorno a istituzioni ben determinate».
4 DI MAJO, A., Il controllo giudiziale delle condizioni generali di contratto, in Riv. dir.
comm., 1970, p. 192 ss., ma cit., p. 196.
756 CAPITOLO DECIMO
198, «si potrebbe (essere portati ad) osservare in primo luogo che il fenomeno della predi-
sposizione di c.g.c., destinate a valere per una serie di fattispecie omogenee, presenta motivi
di assonanza assai forti con l’attività di produzione di norme giuridiche, onde la necessità di
un controllo che si esprima in forme diverse da quelle con cui si esercita il controllo sul con-
tratto individuale. Ma, a prescindere dal fatto che una tesi siffatta appare in declino in tutti i
moderni sistemi giuridici – è infatti difficile giustificare dal punto di vista dogmatico la com-
petenza dell’impresa alla produzione di norme – non ne deriverebbe comunque la compe-
tenza al giudice a esercitare il controllo. Al giudice è istituzionalmente demandata in effetti la
soluzione di vertenze concrete e specifiche, non già il sindacato su attività che travalicano un
rapporto specifico. A volere essere coerenti del resto bisognerebbe affermare che il controllo
potrebbe aver luogo in un momento anteriore a quello che segna l’inserimento delle c.g.c. in
un rapporto individuale, il che renderebbe ancora più incerta l’ammissibilità del controllo del
giudice». Ma v. anche successivamente, p. 224 ss., ma spec. p. 226 s. In realtà il controllo pre-
ventivo e collettivo delle clausole generali si pone in questo scritto come ipotesi di difficile at-
tuazione. Come vedremo, peraltro, tanto la necessaria funzione preventiva della tutela,
quanto la dimensione collettiva della stessa, costituiscono aspetti – tra loro evidentemente
connessi – che andranno affermandosi solamente col maturare del dibattito. Sul punto non si
intende offrire un quadro completo, ma ad es. è interessante notare come la funzione pre-
ventiva della tutela degli interessi dei consumatori, sebbene in riferimento più diretto alla re-
sponsabilità per prodotti dannosi, viene a porsi come oggetto di riflessione anche all’interno
del dibattito sviluppatosi durante il Convegno di Milano del 17 dicembre 1977. Qui (cfr., in
particolare, GHIDINI, G., Il problema della prevenzione, in AA.VV., La responsabilità dell’im-
presa per i danni all’ambiente e ai consumatori, Atti del Convegno di Milano del 17 dicembre
1977, Milano, 1978, p. 159 ss.; ma sull’insufficienza della tutela repressiva-risarcitoria v. an-
che FERRI, G.B., In tema di tutela del consumatore, in Tecniche giuridiche e sviluppo della per-
sona, a cura di N. Lipari, Roma-Bari, 1974, p. 265 ss., ma spec. 288) è evidenziata l’impor-
tanza di integrare la funzione tipicamente repressivo-sanzionatoria della responsabilità civile
con la funzione preventiva tipica dell’azione inibitoria in ordine all’incentivazione al perse-
guimento dal parte dell’impresa di una «politica della sicurezza» (cfr. anche le precisazioni di
FRIGNANI, A., Intervento, ivi, p. 221 ss.), ma detta prospettiva non sembra essere assunta da-
gli studiosi nella sua compenetrazione con la dimensione collettiva del conflitto di interessi
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 757
che in relazione all’«interesse della categorie di coloro che acquistano quel determinato pro-
dotto o fruiscono di quel certo servizio o prestazione» parla di interesse «di natura “privata”,
sia pure a struttura “diffusa”, in quanto “generalizzato”, ad una più ampia categoria di per-
sone o di utenti»; interesse in prima approssimazione di possibile accostamento con «il con-
cetto di “interesse collettivo”, che rappresenta la risultante degli interessi degli appartenenti
ad una categoria o a un gruppo sociale» (si richiama in nota alla nozione di interesse collet-
tivo avanzata da GIUGNI, G., Introduzione allo studio della autonomia collettiva, Milano, 1960,
p. 103), ma più correttamente da tenersi distinto da tale nozione per il fatto che, «in tal caso,
il criterio unificatore dei diversi interessi non sarebbe rappresentato dalla particolare condi-
zione o classe sociale che esprime siffatti interessi (donde la formazione di un interesse unita-
rio di classe) sibbene dal fatto, nel fondo formale ed estrinseco, che i diversi soggetti sono de-
stinatari dello stesso servizio o consumatori dello stesso prodotto. In tal caso – si osserva –
non credo che questo elemento possa essere sufficiente per delineare un ordine di interessi
qualitativamente diverso da una mera sommatoria di interessi individuali» (p. 243 e 244).
758 CAPITOLO DECIMO
o diffusi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi (Atti del convegno di Pavia, 11-12 giugno,
1974), Padova, 1976, p. 191 ss.; e poi ID., Accesso alla giustizia, in Enc. giur. Trec., I, Roma,
1988, p. 4; ID., Accesso alla giustizia dei consumatori, in Studi in onore di Gustavo Vignocchi,
I, 1994, p. 293 ss. e in Dimensioni della giustizia nelle società contemporanee, Studi di diritto
giudiziario comparato, Bologna, 1994, p. 103 ss.
11 Cfr. AA.VV., La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato con particolare ri-
guardo alla protezione dell’ambiente e dei consumatori, cit., passim; AA.VV., La responsabilità
dell’impresa per i danni all’ambiente e ai consumatori (Atti del convegno di Milano, 17 di-
cembre 1977), Milano, 1978.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 759
2.1.1. I tentativi di tutelare gli interessi dei consumatori all’interno del giu-
dizio di repressione della concorrenza sleale
tratti con i consumatori, L’iter normativo degli art. 1469 bis-sexies del codice civile, cit., p. 21,
che, in relazione alla direttiva comunitaria n. 93/13/CEE, parla di «autentica svolta nell’espe-
rienza italiana in materia di contratti per adesione e di contratti dei consumatori»; ID., La
nuova disciplina dei diritti dei consumatori, in Studium iuris, 1998, p. 1310 ss., ma in relazione
alla successiva ratifica del Trattato di Amsterdam. Per una panoramica evolutiva degli inter-
venti del legislatore comunitario in materia sino all’inizio degli anni ’90, tra gli altri, v. gli
scritti contenuti in CAPPONI, B-GASPARINETTI, M. - VERARDI, C.M., La tutela collettiva dei
consumatori, Profili di diritto sostanziale e processuale, Napoli, 1995. Successivamente, per
una panoramica generale, CAMERO-DELLA VALLE, La nuova disciplina dei diritti del consu-
matore, Milano, 1999, p. 1 ss.; VERARDI, C., L’accesso alla giustizia e la tutela collettiva dei con-
sumatori, in Il diritto privato dell’Unione europea, t. 2, a cura di A. Tizzano, Torino, 2000,
p. 1331 ss.
13 VERARDI, C.M., I cinquant’anni del codice e la tutela del consumatore, in Rass. dir. civ.,
14 Su questi profili evolutivi, v., l’attento saggio di CACCIATORE, A., Concorrenza sleale e
tutela del consumatore, in Riv. dir. imp., 2005, p. 283 ss., al quale rimandiamo per l’esame de-
gli aspetti più specifici. Si veda anche VERARDI, C.M. - FERRO, M., Distorsioni di mercato, pub-
blicità ingannevole, concorrenza sleale: tecniche di tutela dell’interesse collettivo del consuma-
tore all’informazione non decettiva, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1986, p. 256 ss.; VERARDI, C.M.,
I cinquant’anni del codice civile e la tutela del cittadino consumatore, in Rass. dir. civ., 1993, p.
837 ss.; ID., La tutela dell’interesse collettivo dei consumatori alla lealtà e veridicità del mes-
saggio pubblicitario davanti al giudice, alle authorities ed all’autodisciplina pubblicitaria, in
CAPPONI, B. - GASPARINETTI, M. - VERARDI, C.M., La tutela collettiva dei consumatori, Profili di
diritto sostanziale e processuale, Napoli, 1995, p. 45 ss.
15 V. innanzitutto ASCARELLI, T., Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, in
Riv. trim. dir proc. civ., 1954, p. 873 ss., ma spec. p. 900, 928 e 935 s.; v. anche, successiva-
mente, VANZETTI, A., La repressione della pubblicità menzognera, in Riv. dir. civ., 1964, I, p.
584 ss., ma spec. 593-594 e nota 20.
16 Così, SANTAGATA, C., Le nuove prospettive della concorrenza sleale, in Riv. dir. comm.,
1971, I, p. 141 ss., ma p. 151 ss., per la frase citata nel testo. Cfr. la Relazione ministeriale al
Senato di Mussolini dell’11 marzo 1926 alla legge 29 dicembre 1927, n. 2701, in sede di con-
versione in legge con modifiche dell’art. 3 del r.d. 10 gennaio 1926 che dava esecuzione alla
Convenzione dell’Aja del 6 novembre 1925 (in Le leggi, 1928, p. 143; relazione richiamata da
SANTAGATA, C., Concorrenza sleale e trasparenza del mercato, Padova, 1979, p. 131, nota 130),
in cui si affermava, per giustificare la mancata adesione alla repressione della reclame fausse,
che essa «appare in concreto lesiva direttamente degli interessi del consumatore che rimane
indotto in errore, e non di quelli del concorrente che può essere danneggiato solo in via in-
diretta».
17 GHIDINI, G., La concorrenza sleale: i principi, in Trattato di diritto commerciale e di di-
tori e interessi dei consumatori è ben descritta da SANTAGATA, C., Le nuove prospettive della
concorrenza sleale, in Riv. dir. comm., 1971, I, p. 141 ss., ma spec. p. 151 ss.,; ID., Concorrenza
sleale e interessi protetti, Napoli, 1975, p. 36 ss.; ID., Concorrenza sleale e trasparenza del mer-
cato, Padova, 1979, p. 9. Detta concezione è comunque posta a presupposto da parte di tutta
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 761
A partire, però, dagli anni Sessanta, ed ancor più dagli anni Settanta
in poi, la già più volte richiamata emersione degli interessi a dimensione
sovraindividuale ha condotto, anche in questo campo, alla crisi della con-
cezione ora indicata, favorendo – così – i tentativi – comunque minoritari
– di incrementare il rilievo assegnato in sede ricostruttiva agli interessi
collettivi coinvolti nelle dinamiche appartenenti all’ambito di operatività
delle disposizioni in materia di concorrenza sleale; e ciò sino a fare degli
interessi generali della collettività l’oggetto primario e diretto della tutela
offerta dagli artt. 2598 ss. c.c.19.
Stando ad una delle letture più articolate e maggiormente impegnate
a favore degli interessi collettivi dei consumatori20, la via per favorire l’a-
dottrina protesa verso una lettura evolutiva della disciplina: cfr. JAEGER, P.G., Valutazione
comparativa di interessi e concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 1970, I, p. 5 ss., ma spec. p. 48.
19 Come sovente ricorda la dottrina interessatasi al tema in questione, tra i primi ad evi-
denziare il momento evolutivo richiamato nel testo, v. SCHLESINGER, P. - VANZETTI, A., Aspetti
privatistici delle cosiddette «vendite a premio», in Riv. dir. ind., 1966, I, p. 166 ss., ma spec. p.
175. In dottrina si rimarca, peraltro, come i risvolti sovraindividuali della normativa in que-
stione, pur già da tempo oggetto di riflessione da parte della dottrina, fossero rimasti privi di
ricadute interpretative pratiche: così, JAEGER, P.G., Valutazione comparativa di interessi e con-
correnza sleale, in Riv. dir. ind., 1970, I, p. 5 ss., ma spec. p. 48; sul punto v. anche le recenti
osservazioni di CACCIATORE, A., Concorrenza sleale e tutela del consumatore, cit., p. 287.
20 V. le posizioni di SANTAGATA, C., Condizioni generali del contratto e clausole limitative
della concorrenza nei rapporti tra imprenditori e distributori, in AA.VV., Condizioni generali di
contratto e tutela del contraente debole, cit., p. 129 ss.; ID., Le nuove prospettive della concor-
renza sleale, in Riv. dir. comm., 1971, I, p. 141 ss., ID., Concorrenza sleale e interessi protetti,
Napoli, 1975; ID., Concorrenza sleale e trasparenza del mercato, Padova, 1979. V. anche LIBER-
TINI, M., Lezioni di diritto industriale, II, Concorrenza sleale, Catania, 1979, p. 59 ss. Cfr., per
un riconoscimento della legittimazione ex art. 2601 c.c. anche alle associazioni dei consuma-
tori, la nota pronuncia del Trib. Ravenna, 18 settembre 1984, in Giur. ann. dir. ind., 1985, p.
228; in Corr. giur., 1985, p. 621 ss. Per ciò che riguarda Santagata, l’A., già in Condizioni ge-
nerali del contratto e clausole limitative della concorrenza nei rapporti tra imprenditori e distri-
butori, cit., p. 141 ss., indicava la necessità di una «verifica degli interessi tutelati dalla disci-
plina repressiva della concorrenza sleale», evidenziando che «taluni interessi che il legislatore
del tempo ritenne opportuno tutelare soltanto di riflesso ed occasionalmente, esigono, invece,
una considerazione immediata nell’attuale disciplina dei rapporti economici. Ciò comporta
un adeguamento della legittimazione e la sua estensione in relazione al diffuso pregiudizio
che, tra gli operatori a diverso livello, comporta l’alterazione della libertà del mercato. Tra i
vari mezzi di tutela, soprattutto l’inibitoria appare suscettibile di una estensione della sfera di
legittimazione. Il principio di rigida preclusione ai soli imprenditori concorrenti ha già subito
significativi sfaldamenti allorché si ritiene sufficiente che l’illecito incida sul mercato per giu-
stificarsi la legittimazione per l’inibitoria a vantaggio, di chi opera ad un diverso livello. Il
processo deve completarsi anche per quanto concerne l’estensione della legittimazione a van-
taggio di chi non sia imprenditore in riferimento all’ipotesi in cui l’illecito ha l’effetto di pre-
cludere l’entrata di nuovi operatori. Per vero, il requisito della idoneità a danneggiare l’altrui
azienda […] costituisce un elemento surrettizio il cui inserimento si spiega, tra l’altro, dalla
762 CAPITOLO DECIMO
derivazione della disciplina in esame dal tronco della responsabilità civile; requisito che ha ri-
tardato l’affrancamento e l’autonomia della concorrenza sleale, autonomia che invece ha in-
negabili motivi di giustificazione nella previsione di mezzi tecnici di tutela, quali l’inibitoria,
che sono del tutto specifici; infine, l’individuazione, operata dall’ultima redazione della con-
venzione, di nuove figure di illecito concorrenziale (di cui al n. 3 dell’art. 10 bis del testo di
Lisbona) la cui repressione si giustifica solo con la diretta tutela dei consumatori, impone
l’ampliamento della tradizionale sfera della legittimazione in coerenza alla attuale funzione
della disciplina della concorrenza sleale, quale mezzo correttivo delle alterazioni della libertà
del mercato».
21 Per lo studio delle diverse opinioni sulla natura del giudizio di repressione della con-
correnza sleale, v. retro, cap. II, § 6. Ciò detto, va evidenziato che, mentre per le tesi che se-
guono nel testo (v. Ghedini e Floridia) la lettura evolutiva della disciplina della concorrenza
sleale trova fondamento sull’applicazione diretta dell’art. 41 Cost., per Santagata determi-
nante si rivela l’applicazione in chiave sistematica del criterio di «idoneità ad indurre il pub-
blico in errore» previsto dall’art. 10 bis, n. 3 della Convenzione d’Unione di Parigi per la pro-
tezione della proprietà industriale; v. ad esempio le critiche di Santagata alle posizioni della
restante dottrina, in ID., Concorrenza sleale e trasparenza del mercato, cit., p. 70 ss., 110 ss.
22 Il legame sussistente tra teoria oggettiva della disciplina ex art. 2598 ss. e la possibi-
lità di estendere la legittimazione anche a favore dei consumatori è ben comprensibile sul
piano teorico ed emerge chiaramente in SANTAGATA, C., Concorrenza sleale e interessi protetti,
cit., p. 47.
23 SANTAGATA, C., Concorrenza sleale e interessi protetti, cit., p. 47.
24 SANTAGATA, C., Concorrenza sleale e trasparenza del mercato, cit., p. 127-128.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 763
tuali», facendo perno direttamente sull’art. 100 c.p.c., ovvero sulla norma
attributiva del potere di azione a chiunque ne abbia interesse25.
In posizione lato sensu più «moderata» si sono poste, invece, le opi-
nioni26, che, negando la possibilità di estendere in via meramente inter-
pretativa (come indicato nella tesi appena esaminata) la legittimazione ad
agire ai consumatori, hanno sostenuto l’illegittimità costituzionale del-
l’art. 2601 c.c. proprio nella parte in cui viene esclusa la legittimazione ad
agire di associazioni rappresentative di interessi collettivi «extraimpren-
ditoriali»27.
25 SANTAGATA, C., Concorrenza sleale e interessi protetti, cit., p. 49 ss.; cfr. ad es. l’appli-
cazione di detti criteri alla denigrazione ed alla pubblicità menzognera in ID., Concorrenza
sleale e trasparenza del mercato, cit. Fondamentale a tal riguardo la critica mossa da JAEGER,
P.G., I soggetti della concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., I, 1971, p. 169 ss., ma spec. p. 172-
173: «per quanto suggestiva, la tesi (fortemente eterodossa, e, invero, mai sostenuta prima
d’ora nel nostro ordinamento) manca però in pratica di ogni dimostrazione, giacché il Santa-
gata non può attribuire ad essa altra base normativa che quella rappresentata dall’art. 100
c.p.c. […]. Ma questo richiamo appare non conclusivo, e neppure pertinente. Malgrado non
siano pacifici, nella dottrina processualistica, i caratteri distintivi tra interesse e legittimazione
ad agire, è peraltro certo che tale distinzione deve essere tenuta ben ferma, soprattutto ai fini
pratici. In altre parole, il criterio dell’art. 100 può incidere su una situazione giuridica in cui
un soggetto appaia astrattamente legittimato a proporre una determinata azione, che tuttavia
gli viene negata perché si rileva la mancanza, in esso, del necessario interesse “concreto”, in
relazione al provvedimento domandato al giudice; ma non può servire ad attribuire tale le-
gittimazione a chi non la possieda». Critica quest’ultima che ben potrebbe essere rivolta alla
tesi di Ruffolo, che, come vedremo muoverà anch’essa da una particolare lettura del disposto
dell’art. 100 c.p.c.
26 Si vedano in particolare i numerosi studi di GHIDINI, G., Introduzione allo studio
della pubblicità commerciale, Milano, 1968, p. 141 ss.; ID., La repressione della concorrenza
sleale nel sistema degli artt. 2598 ss. cod. civ., 4, Altri atti non conformi ai principi della corret-
tezza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda, in Riv. dir. civ., 1969, II, p. 395 ss.,
ma spec. p. 409; ID., Lealtà della concorrenza e costituzione economica, Padova, 1974; ID., Mo-
nopolio: I) Monopolio e concorrenza, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, p. 787 ss., ma spec.
819 s.; ID., La concorrenza sleale: i principi, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pub-
blico dell’economia, diretto da F. Galgano, IV, Padova, 1981, p. 69 ss., ma spec. p. 90 ss. e poi
p. 126 ss.; ID., Della concorrenza sleale, Artt. 2598-2601, in Il Codice Civile, Commentario, di-
retto da P. Schlesinger, Milano, 1991, p. 193 ss.; ID., La concorrenza sleale, in Giurisprudenza
sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, Torino, 2001, p. 263 ss. E gli
studi di FLORIDIA, G., Correttezza e responsabilità dell’impresa, Milano, 1982; ID., Concorrenza
sleale e camere di commercio: un ritorno al futuro, in Dir. ind., 1994, p. 851 ss.; ID., Dall’ille-
cito concorrenziale al diritto soggettivo e Le valutazioni in termini di correttezza professionale,
in AUTERI, P. - FLORIDIA, G. - MANGINI, V. - OLIVIERI, G. - RICOLFI, M. - SPADA, P., Diritto in-
dustriale, Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2005, rispettivamente p. 289 ss. e 308
ss. Autore che, tra l’altro, è anche l’estensore dell’ordinanza del Tribunale di Milano che ha
rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2601 c.c.,
su cui v. infra, nota 42.
27 Sull’illegittimità costituzionale dell’art. 2601 c.c.v.: GHIDINI, G., La concorrenza sleale:
i principi, cit., p. 148 s.; ID., Prevenzione e risarcimento nella responsabilità del produttore, in
764 CAPITOLO DECIMO
Riv. soc., 1975, p. 530 ss., ma spec. p. 541 ss.; ID., Della concorrenza sleale, Artt. 2598-2601,
cit., p. 464; ID., La concorrenza sleale, cit., p. 66; FLORIDIA, G., Correttezza e responsabilità del-
l’impresa, cit., p. 298 ss.; ID., Concorrenza sleale e camere di commercio: un ritorno al futuro,
cit., p. 855; ID., Dall’illecito concorrenziale al diritto soggettivo, in AUTERI, P. - FLORIDIA, G. -
MANGINI, V. - OLIVIERI, G. - RICOLFI, M. - SPADA, P., Diritto industriale, Proprietà intellettuale
e concorrenza, cit., p. 302 s. V. anche TROCKER, N., La tutela giurisdizionale degli interessi
diffusi con particolare riguardo alla protezione dei consumatori contro atti di concorrenza
sleale: analisi comparativa dell’esperienza tedesca, in La tutela degli interessi diffusi nel diritto
comparato con particolare riguardo alla protezione dell’ambiente e dei consumatori, cit., p. 447
ss., ma spec. p. 477 ss.; UBERTAZZI, L.C., Legittimazione ad agire delle associazioni di consu-
matori e procedimenti comunitari antitrust, in Monitore trib., 1977, p. 186 ss., ma spec. p. 201;
RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, I, Il problema e il metodo -
Legittimazione, azione e ruolo degli enti associativi esponenziali, Milano, 1985, p. 96, nota 41.
28 Ciò è espressamente evidenziato da GHIDINI, G., La concorrenza sleale: i principi, cit.,
141 ss., dove emerge il fatto che in un primo momento l’A. sembri escludere la possibilità di
dichiarare illecite le condotte pur non lesive degli interessi degli imprenditori, ma al contra-
rio pregiudizievoli per gli interessi dei consumatori e ciò in ragione dell’impossibilità di «im-
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 765
porre limiti» all’attività economica dei privati in assenza di interventi del legislatore (cfr. ID.,
La repressione della concorrenza sleale nel sistema degli artt. 2598 ss. cod. civ., cit., p. 409-410);
ma v. il mutamento di opinione operato sulla scorta dell’immediata efficacia sul piano del-
l’interpretazione, in chiave sistematica, del precetto costituzionale dell’art. 41, comma 2,
Cost. in ID., La concorrenza sleale: i principi, cit., p. 102, p. 127 ss. V. in questo senso FLORI-
DIA, G., Correttezza e responsabilità dell’impresa, cit., spec. p. 295.
31 Precisa molto opportunamente GHIDINI, G., La concorrenza sleale: i principi, cit., p.
94 s. e poi in via applicativa p. 129 ss., che si tratta di «criteri-limite» e non di «criteri-indi-
rizzo»; non si è in presenza, per dirla in altre parole, di ruolo «funzionalizzatore» dei limiti
costituzionali.
32 FLORIDIA, G., Correttezza e responsabilità dell’impresa, cit., spec. p. 243 ss.; ID., Dal-
primo passaggio interpretativo è costituito dall’introdurre sul piano della tutela diretta offerta
dalla norma gli interessi dei consumatori, allora il problema della legittimazione dovrebbe es-
sere in esso già risolto, senza dover ricorrere al sindacato di legittimità costituzionale. E ciò
vista la possibilità di rifarsi all’art. 24 Cost. ed in particolare al principio di atipicità del diritto
di azione in ordine all’obiettivo di ottenere le naturali conseguenze che derivano dalla cor-
retta lettura della disciplina sostanziale sul piano della legittimazione ad agire. In altri termini,
il punto è e rimane la determinazione dell’interesse tutelato dalla norma sostanziale; que-
stione, quest’ultima, risolta la quale «automaticamente» ne discende il diritto di azione in
capo al titolare dell’interesse protetto. Il problema si complica però, nella fattispecie in
esame, per la presenza, accanto all’art. 2598 c.c., dell’art. 2601 c.c., che appunto prevede l’a-
zione collettiva delle associazioni professionali, in aggiunta all’azione dei singoli imprenditori
implicitamente deducibile sulla base degli art. 2598 ss. c.c. E si complica perché determinata
la natura collettiva dell’interesse tutelato, nel passaggio al piano della legittimazione ad agire
766 CAPITOLO DECIMO
Oltre alle due opzioni ricostruttive appena esaminate, una terza so-
luzione interpretativa è stata rappresentata dal tentativo di individuare
negli interessi collettivi e generali dei consumatori il ruolo di «parametri
di valutazione degli interessi degli imprenditori in conflitto», con la con-
seguente possibilità di determinare un rapporto di prevalenza a favore
dell’interesse imprenditoriale maggiormente «conforme» a detti interessi,
nonché a questi legato da un vincolo di strumentalità34. In questa impo-
stazione, dunque, gli artt. 2598 ss. non perderebbero la loro funzione ri-
solutrice di conflitti intersoggettivi tra interessi individuali imprendito-
riali, i quali, come nella lettura tradizionale della norma, continuerebbero
– proprio in ragione delle indicazioni derivanti dalla soluzione tecnica
adottata dal legislatore riguardo al tema della legittimazione ad agire – ad
essere gli unici a ricevere tutela in via diretta35. Di contro gli interessi col-
lettivi, pur assunti come strumento di determinazione del rapporto di
prevalenza degli interessi imprenditoriali in conflitto e non come meri
destinatari di eventuali ed occasionali benefici derivanti dagli esiti di que-
sta composizione, rimarrebbero su un piano di apprezzamento norma-
tivo distinto rispetto a quello individuato dalla legge come sede di com-
torna ad influire la concezione dell’interesse collettivo che si voglia assumere. Secondo una
prima linea interpretativa, infatti, favorevole alla natura seriale dell’interesse collettivo, col ri-
tenere che l’art. 2598 tuteli anche gli interessi dei consumatori, si dovrebbe ammettere in-
nanzitutto la legittimazione ad agire spetti ex art. 24 Cost. (anche) dei consumatori singoli, ri-
manendo peraltro ferma la diversa questione della legittimità costituzionale dell’art. 2601 c.c.
nella parte in cui irragionevolmente prevede che lo strumento di difesa «rafforzativo» degli
interessi collettivi spetti solo alle associazioni professionali e non anche alle associazioni dei
consumatori. Se però ci si muove – come fa Floridia – all’interno di una concezione che ac-
coglie l’interesse collettivo come qualcosa di diverso ed autonomo dall’interesse individuale,
ovvero all’interno di un orientamento di spiccato sfavore verso le azioni del singolo, allora la
legittimazione individuale del singolo consumatore che naturaliter discende ex art. 24 Cost.
dalla determinazione dell’interesse tutelato dalla normativa sostanziale è privata di rilievo e ri-
mane sul campo solo la questione della legittimità costituzionale dell’art. 2601 c.c. Va detto
però che, proprio in relazione alla particolare fattispecie in esame, se si riconoscesse la legit-
timazione anche alle associazioni dei consumatori ad esercitare l’azione collettiva, sorgerebbe
un ulteriore problema, ben evidenziato da Ghidini; ovvero quello di giustificare – sotto il
profilo della legittimità costituzionale – per quale ragione la norma che sanziona un illecito
idoneo a pregiudicare interessi collettivi prevede, a favore degli imprenditori, una legittima-
zione tanto individuale che collettiva, mentre, a favore dei consumatori, è riservata solo l’a-
zione collettiva. Il problema, dunque, è sempre lo stesso, ovvero fare chiarezza sulla natura
dell’interesse collettivo e sulle diverse vie di giuridicizzazione dello stesso, che possono va-
riare da norma a norma (come vedremo) pur nel rispetto dei principi costituzionali.
34 JAEGER, P.G., Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, cit., p. 101.
35 JAEGER, P.G., Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, cit., p. 51 e poi
101 s.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 767
p. 352 in fine.
39 Cfr. JAEGER, P.G., Valutazione comparativa di interessi e concorrenza sleale, cit., p. 101
s.; ID., Pubblicità e «principio di verità», p. 352 ss.; ID., I soggetti della concorrenza sleale, cit.,
p. 171 ss.
768 CAPITOLO DECIMO
Sulla legittimazione delle «associazioni professionali» ad agire per la concorrenza sleale (art.
2601 c.c.), in Problemi attuali del diritto industriale, Milano, 1977, p. 639 ss., ma spec. p. 646-
647. Altra dottrina aveva già preferito seguire la strada dell’intervento legislativo, ma confi-
gurando rimedi autonomi dal giudizio di repressione ex art. 2598 ss. c.c.: cfr. ad es. VANZETTI,
A., La repressione della pubblicità menzognera, cit., p. spec. 590 e 615; seguito da SENA, G., La
repressione penale della concorrenza sleale: premesse di diritto industriale, in Riv. dir. ind.,
1965, I, p. 173 ss., ma spec. p. 183; successivamente, AUTERI, P., La concorrenza sleale, in Trat-
tato di diritto privato, XVIII, t. 4, Impresa e lavoro, a cura di P. Rescigno, Torino, 1983, p.
348-349; FRANCESCHELLI, R., Sulla legittimazione ad agire in concorrenza sleale delle associa-
zioni professionali e dei consorzi e sulla pretesa giustificazione dei principi della correttezza pro-
fessionale con l’art. 41 della Costituzione e la protezione dei consumatori, in Riv. dir. ind., 1983,
II, p. 29 ss., ma spec. p. 40-41. Per ciò che infine riguarda l’esatto ambito soggettivo dei le-
gittimati ad agire individuato dalle tre letture evolutive esaminate nel testo, la questione prin-
cipale da affrontare è rappresentata, come visto nei vari capitoli che ci lasciamo alle spalle,
dalla scelta tra una soluzione di legittimazione diffusa ed una diversa opzione di legittima-
zione concentrata. Il punto è il seguente: nelle prime due tesi esposte (ed anche nella terza al-
lorché ci si muova all’interno della prospettiva de iure condendo da questa indicata) l’interesse
collettivo, quanto meno in alcune ipotesi, ovvero in quelle di possibile conflitto tra interessi
imprenditoriali, da un lato, e interessi extraimprenditoriali, dall’altro, assume il ruolo di og-
getto diretto della tutela ed è proprio per questo, infatti, che la questione dell’ampliamento
della cerchia dei legittimati a soggetti terzi si impone o in via interpretativa o in via di sinda-
cato di legittimità costituzionale. Detto questo, però, rimane aperto il problema di configu-
rare detto interesse dal punto di vista formale e farne discendere le dovute conseguenze sul
piano della legittimazione. Si assiste così, anche in questo settore del dibattito, al confronto
tra due opposte concezioni. Per alcuni, infatti, la legittimazione ad agire dovrebbe essere ri-
conosciuta ai singoli consumatori e non potrebbe essere limitata alle associazioni, pena – an-
che in tal caso – la violazione di principi costituzionali. E ciò in ragione del fatto che «gli in-
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 769
teressi extraimprenditoriali pregiudicati dagli atti di concorrenza sleale sono […] rappresen-
tabili anche, ed anzi essenzialmente, come riferibili ad individui», visto che «il loro carattere
collettivo, o sociale, deriva dalla loro ripetizione generalizzata, vale a dire con caratteri iden-
tici su scala di massa» (GHIDINI, G., La concorrenza sleale: i principi, cit., p. 149). All’opposto,
per altri, la legittimazione ad agire dovrebbe essere limitata a soggetti collettivi adeguata-
mente rappresentativi (oltre agli AA. che tra breve citeremo analiticamente, sembra doversi
aggiungere AUTERI, P., La concorrenza sleale, cit., p. 348; nonché SANTAGATA, C., Concorrenza
sleale e trasparenza del mercato, cit., spec. p. 132, che, sebbene sostenga che la legittimazione
debba essere riconosciuta a «chiunque abbia interesse», poi meglio «precisa» la propria opi-
nione affermando che l’«apertura in tema di “interessi protetti” non può vuole certo soddi-
sfare l’auspicio di una improbabile, quanto sospetta iniziativa giudiziale del consumatore iso-
lato», quanto piuttosto riconoscere quella del p.m. e delle associazioni dei consumatori; come
questa chiusura, poi, debbe trovare giustificazione all’interno della logica propria della rico-
struzione in esame non si comprende; e basta a tal proposito pensare ai presupposti da cui
muove l’A. in questione e precisamente, da un lato, la natura oggettiva della normativa in ma-
teria di concorrenza sleale e la sua funzione di tutela dell’interesse pubblico e, dall’altro, il
rinvio ad una formula dalla assai lata previsione come quella prevista dall’art. 100 c.p.c.).
Argomenti a sostegno di questa impostazione sarebbero quindi: a) la carenza dell’interesse
concreto del singolo a fronte dei costi e dell’alea del giudizio, o b) il rischio di azioni specu-
lative o ricattatorie (JAEGER, P.G., Pubblicità e «principio di verità», cit., p. 359; ID., I soggetti
della concorrenza sleale, cit., p. 174-175), c) l’incapacità del singolo di farsi interprete della
collettività (così, FLORIDIA, G., Correttezza e responsabilità dell’impresa, cit., p. 54, che, dopo
aver negato la possibilità di soluzioni de iure condito afferma: «né, d’altra parte – sia detto qui
per inciso – anche de iure condendo, l’attribuzione della legittimazione ad agire ex art. 2598
al comune cittadino singolarmente considerato appare valida ed auspicabile. Infatti l’efficacia
dannosa dell’atto ingannevole compiuto dall’imprenditore si fraziona nella lesione degli in-
numerevoli interessi individuali dei consumatori, ognuno dei quali, agendo individualmente,
difficilmente può farsi interprete dell’esigenza di tutela della collettività»; cfr. anche ID., La
tutela degli interessi dei consumatori di prodotti alimentari, in Riv. dir. ind., 1986, I, p. 45 ss.,
spec. 59-60, ove, aderendo alla tesi di E. Grasso – su cui, in generale, v. retro, cap. III, §
3.4.1.2., e, riguardo all’azione di danno ambientale, v. cap. IX, § 3.4.2. – viene argomentata
sulla base dell’art. 32 Cost. la contrapposizione ontologica tra, da un lato, interesse indivi-
duale-diritto soggettivo e, dall’altro, l’interesse collettivo) o – come più volte sostenuto in ma-
teria – d) la mancata lesività del comportamento antigiuridico rispetto agli interessi indivi-
duali indifferenziati (FLORIDIA, G., Correttezza e responsabilità dell’impresa, cit., p. 302, in
nota). Motivazioni quest’ultime, che francamente lasciano perplessi, ancor prima che su un
piano generale (cfr. retro, cap. VI), in diretto riferimento agli Autori da cui esse provengono.
Singolare appare, infatti, la circostanza che studiosi del diritto della concorrenza sleale – set-
tore in cui la disciplina legale tradizionalmente interpretata ammette pianamente che un atto
lesivo possa riverberarsi indistintamente su una serie indeterminata di interessi individuali
tutti ugualmente legittimanti l’esercizio dell’azione individuale quanto meno ai fini inibitori
(cfr. retro, cap. II, § 6) – eccepiscano la mancata differenziazione dell’interesse individuale
colpito al fine di sostenere opzioni marcatamente restrittive in tema di legittimazione. Ed an-
cor più singolare è il fatto che a queste voci appartenga la dottrina che, tra le più impegnate
sul piano definitorio dogmatico, abbia, da un lato, predicato la natura seriale dell’interesse
collettivo e dall’altro, negato – in stridente contraddizione logica con le proprie premesse teo-
770 CAPITOLO DECIMO
riche – la legittimazione diffusa ad agire per la repressione della concorrenza sleale in capo ai
titolari degli interessi extraimprenditoriali; e ciò proprio sulla base dell’argomentazione che
in detta sede gli interessi dei consumatori «vengono in gioco sempre […] come interessi col-
lettivi» (così, JAEGER, P.G., I soggetti della concorrenza sleale, cit., p. 175); affermazione, que-
st’ultima, che, se la si volesse intendere alla luce delle chiavi di lettura che la stessa dottrina
in esame ha offerto, starebbe a significare che gli interessi dei consumatori in detta sede ven-
gono in gioco sempre e proprio – guarda un po’ – come interessi individuali (cfr. retro, cap.
II, § 5.).
42 Nonostante il preciso rapporto da assegnare nel nostro ordinamento tra norme
repressive dei comportamenti anticoncorrenziali e interessi dei consumatori sia ancora lon-
tano da trovare una sistemazione definitiva, i tentativi di ampliamento della tutela collettiva
degli interessi dei consumatori esaminati nel testo non hanno avuto il successo auspicato dai
loro sostenitori. Per quel che riguarda, ad es. l’illegittimità dell’art. 2601 c.c., questa è stata
esclusa da C. cost., 21 gennaio 1988, n. 59, in Foro it., 1988, I, p. 2158 ss., con nota di CO-
SENTINO, F., L’art. 2601 c.c. e la tutela dei consumatori al vaglio della Corte costituzionale.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Tribunale di Milano (esten-
sore Floridia) (Trib. Milano, 7 febbraio 1980, in Giur. comm., 1982, II, p. 74 ss., con nota di
SPOLIDORO, M.S., Costituzione e limitazioni soggettive della legittimazione ad agire per con-
correnza sleale; nota di D’ALONZO, R., Sulla legittimazione ad agire delle associazioni dei con-
sumatori per la repressione della concorrenza sleale, in Dir. radiodiffusioni, 1981, p. 95 ss.;
FRANCESCHELLI, R., Sulla legittimazione ad agire in concorrenza sleale delle associazioni pro-
fessionali e dei consorzi e sulla pretesa giustificazione dei principi della correttezza professio-
nale con l’art. 41 della Costituzione e la protezione dei consumatori, in Riv. dir. ind., 1983, II,
p. 29 ss.), che, accogliendo la tesi della natura sostanziale dell’art. 2601 c.c., legittimante
l’azione dell’associazione professionale per la tutela dell’interesse collettivo pregiudicato
dall’atto di concorrenza, ha configurato la violazione dell’art. 3 Cost. da parte del disposto
dell’art. 2601 c.c. nella parte in cui «a) circoscrive la tutela giurisdizionale ordinaria ai soli atti
di concorrenza sleale che pregiudicano gli interessi di una categoria professionale anziché di
una categoria tout court; b) parallelamente conferisce la legittimazione ad agire alle sole as-
sociazioni professionali anziché alle associazioni tout court». La Consulta, peraltro, ha dichia-
rato manifestamente inammissibile la questione in ragione del fatto che «compete al legi-
slatore e non già al giudice delle leggi apprestare, per il consumatore, adeguati strumenti di
salvaguardia», negando, dunque, il presupposto implicito della richiesta avanzata dal Trib. di
Milano, ovvero la dimostrazione che gli interessi tutelati dalla norma siano – quantomeno
anche – gli interessi dei consumatori. In ciò coglieva il punto, SPOLIDORO, M.S., Costituzione
e limitazioni soggettive della legittimazione ad agire per concorrenza sleale, cit., p. 80 ss., che
in riferimento all’ordinanza di rimessione osservava come questa mirasse a censurare la le-
gittimità dell’art. 2601 c.c. più sotto il profilo sostanziale che processuale, ovvero più am-
pliando (o più che altro modificando) l’area dell’illecito, piuttosto che quella dei legittimati
ad agire.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 771
43 È la strada seguita nello studio monografico di RUFFOLO, U., Interessi collettivi o dif-
fusi e tutela del consumatore, I, Il problema e il metodo - Legittimazione, azione e ruolo degli
enti associativi esponenziali, Milano, 1985, p. 36 s. e poi 58; studio monografico che segue il
precedente lavoro ID., La tutela individuale e collettiva del consumatore, I, Profili di tutela in-
dividuale, Milano, 1979, nel quale già veniva presentata la necessità di articolare la ricerca sul
tema relativo alla protezione del consumatore in un duplice piano di indagine, ovvero quello
dei rimendi individuali (oggetto di indagine nel lavoro appena citato) e quello dei rimedi col-
lettivi; prospettive, queste ultime due, valutate dall’A. (ID., La tutela individuale e collettiva
del consumatore, cit., spec. p. 5, ma incidentalmente ricordato al lettore in vari passi dello stu-
dio) come «mutuamente interdipendenti» sebbene non reciprocamente vicarie. Dello stesso
A., v. anche Tutela collettiva del consumatore e legittimazione e ruolo degli enti esponenziali, in
Studi in onore di Tito Carnacini, III, Milano, 1984, p. 833 ss., scritto confluito nella mono-
grafia poc’anzi citata (Interessi collettivi o diffusi ecc.).
44 RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, cit., p. 64, in ter-
mini più sintetici, e, poi, in termini più analitici, p. 76 ss., 81 ss. e 84 s.; ma v. anche le anti-
cipazioni presenti in ID., La tutela individuale e collettiva del consumatore, cit., p. 15-16.
772 CAPITOLO DECIMO
posti riposa sull’accettazione di due principi che si presentano nella forma che segue: a) «al-
tro è […] esorbitare dal limiti del proprio diritto soggettivo, altro è ledere l’altrui diritto sog-
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 773
gettivo»; b) «solo quando il primo fenomeno si traduce anche nel secondo, le “tradizionali”
azioni civilistiche appaiono proponibili» (così, RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tu-
tela del consumatore, cit., p. 92). Principi a cui corrisponde l’elaborazione di due grandi cate-
gorie di azioni giudiziali: una prima categoria in cui l’azione è riconosciuta in ordine alla tu-
tela dello stesso interesse di cui il legittimato si fa portatore (ad esempio il diritto di pro-
prietà) ed una seconda categoria nella quale, al contrario, il controllo giudiziale opererebbe
non in ordine alla tutela dell’interesse sostanziale del legittimato ad agire, ma in ordine al
mero sindacato circa il corretto esercizio dell’altrui potere o facoltà (interesse legittimo, abuso
del diritto, azioni aquiliane, tutela contro gli atti di emulazione, azione surrogatoria, ecc.)
(questa è – se la si è bene intesa – la posizione espressa in sintesi da RUFFOLO, U., Interessi col-
lettivi o diffusi e tutela del consumatore, cit., p. 169 s.).
47 RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, cit., p. 92.
48 RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, cit., p. 86, 92, ma
sumatore, cit., p. 67.; v. anche ID., La tutela individuale e collettiva del consumatore, cit., p. 26.
774 CAPITOLO DECIMO
50 Così, RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, cit., p. 60, che
dunque nega riguardo questi interessi la possibilità di concedere l’azione individuale sulla
base, per un verso, del orientamento dottrinale ritenuto dall’A. prevalente (cfr. la lunga nota
n. 16, spec. nella parte che figura a p. 46) e dall’altro, come detto nel testo, dell’inidoneità
– apoditticamente sostenuta – del comportamento antigiuridico a ledere con un sufficiente
grado di meritevolezza l’interesse individuale; sulla questione v. le osservazioni presenti a
p. 46, 60, 67, 91, 95; ulteriori osservazioni, sul punto, possono essere tratte dalla lettura di ID.,
La tutela individuale e collettiva del consumatore, cit., p. 20, in cui ci si riferisce a «interessi
collettivi, o diffusi, o di categoria, o di gruppo, concernenti la generalità dei consumatori ma
costituenti mero “interesse semplice” di ciascuno, e cioè non coincidenti con un interesse in-
dividuale protetto, o comunque individualmente non azionabili da alcuno». Osserva, difatti,
l’A.: «si pensi anche solo a prodotti difettosi o dannosi “presentati” al pubblico ma non an-
cora immessi nei canali di distribuzione; od a prodotti – ad es, cosmetici – i cui modesti ef-
fetti collaterali negativi non tocchino la soglia del “danni” ex art. 2043 ss. c.c.; od a prodotti
latamente pericolosi per la salute – coloranti alimentari, televisori fonti di radiazioni … – ma
non in concreto dannosi all’integrità fisica del singolo utente». Queste ultime osservazioni di-
mostrano chiaramente la sovrapposizione tra due distinte problematiche: da un lato, il profilo
della risarcibilità dell’eventuale pregiudizio arrecato da un certo comportamento antigiuri-
dico e, dall’altro, la determinazione dell’interesse per la cui tutela viene imposto un obbligo
sul piano sostanziale. I due profili, come già detto (cfr. retro, cap. VI, § 3.), sono e devono es-
sere tenuti distinti, sebbene la dottrina non faccia altro che confonderli per argomentare la
mancata rilevanza dell’interesse del singolo membro della collettività alla repressione degli il-
leciti a lesività indifferenziata. Ma questo difetto di prospettiva è dovuto allo scarso ap-
profondimento che sul piano teorico-generale è stato sovente dedicato alla relazione inter-
corrente tra l’interesse e gli strumenti giuridici direttamente apprestati per il suo soddisfaci-
mento.
51 La ricostruzione presentata nel testo è stata poi ripresa dallo stesso A. in merito alla
natura dell’azione collettiva ex art. 1469 sexies c.c. (cfr. infra, § 3.2.1.2.); ed inoltre ha trovato
applicazione anche in ALVISI, C., Concorrenza sleale, violazioni di norme pubblicistiche e re-
sponsabilità, cit., p. 188 ss., che proprio recuperando la tesi di Ruffolo ha sostenuto la possi-
bilità di esercitare l’azione di repressione della concorrenza sleale da parte delle associazioni
dei consumatori sul fondamento di un «interesse processuale qualificato dalla ratio juris dei
limiti posti (ex lege) all’esercizio» dei poteri imprenditoriali; interesse processuale la cui qua-
lificazione deriverebbe in particolare dalle norme che più di recente attribuiscono la legitti-
mazione alle associazioni dei consumatori, come l’art. 1469 sexies c.c. o l’art. 7, comma 2, del
d.legisl. n. 74/92 in materia di pubblicità ingannevole. Il passaggio chiave sarebbe quello se-
condo il quale l’ordinamento può «attribuire a soggetto diverso dal beneficiario diretto (nella
ratio legis) d’un divieto normativo, la legittimazione a chiedere al giudice il controllo circa la
altrui violazione di quel divieto o, comunque, la censura circa l’altrui comportamento non
jure […] pur non essendo il soggetto agente portatore dell’interesse protetto dalla norma vio-
lata» (così, RUFFOLO, U., Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, cit., p. 171, ri-
chiamato da ALVISI, C., Concorrenza sleale, violazioni di norme pubblicistiche e responsabilità,
cit., p. 191). Costruzione quest’ultima, che attira a sé tutte le critiche che possono essere
mosse nei confronti della concezione di Ruffolo (cfr. la nota che segue) e che inoltre si sottrae
all’unica questione che in materia di concorrenza sleale deve essere dimostrata per raggiun-
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 775
gere gli esiti interpretativi qui descritti, ancor prima di avventurarsi per ricostruzioni sistema-
tiche di dubbia plausibilità, ovvero il fatto che gli interessi sostanziali tutelati dagli artt. 2598
ss. c.c. siano anche quelli dei consumatori quali soggetti interessati al rispetto delle norme
sulla concorrenza, magari intesa, in un senso più ampio, come interesse generale al «buon
funzionamento del mercato». È questo dunque il vero quod demonstrandum ed altri escamo-
tage argomentativi sono destinati all’insuccesso, specie se fondati sulla ipervalutazione della
vaga formula dell’art. 100 c.p.c.
52 Limitandoci a poche battute, la costruzione di Ruffolo non convince sul piano delle
scelte ricostruttive generali per le seguenti ragioni. A) In primo luogo non convince il paral-
lelo con il processo amministrativo. Fare affidamento, infatti, sul concetto di interesse legit-
timo come figura in grado di spiegare i fenomeni giuridici che regolano il conflitto di interessi
tra soggetti privati ci sembra un’operazione particolarmente azzardata, non fosse altro per la
perenne instabilità concettuale che appartiene alla nozione, una delle più travagliate della
scienza giuridica; inoltre, posto che il diritto regola le attività umane imponendo «limiti» e
che detti «limiti» variano la loro natura a seconda della tipologia dell’attività stessa, non è
dato richiamare il concetto di interesse legittimo se prima non si distingue tra attività che si
estrinsecano in atti giuridici e quelle che al contrario sono rappresentate da comportamenti
meri. Nel primo caso, infatti, il legislatore persegue le sue finalità e garantisce la realizzazione
degli interessi, operando sul regime di efficacia dell’atto ed assegnando alla parte opposta
contro-poteri giuridici – spesso ad esercizio giudiziale – idonei ad infirmarne la stabilità. Nel
secondo caso, invece, il limite ai comportamenti non è null’altro che l’obbligo. Sicché, se
nella prima ipotesi l’apparente somiglianza con ciò che avviene nei rapporti tra p.a. e citta-
dino può indurre in tentazione l’interprete a servirsi del concetto di interesse legittimo, nella
seconda esso non ha veramente alcun senso, favorendo al contrario solo l’insorgere di dan-
nosa confusione tra fenomeni giuridici altamente eterogenei. Va inoltre detto, comunque, che
anche con riguardo agli atti giuridici, il parallelo con ciò che avviene nel processo ammini-
strativo ed in particolare il riferirsi alla figura dell’«eccesso di potere» o all’«uso censurabile
della discrezionalità» (p. 175), non convince poiché questi concetti nascono e si sviluppano in
riferimento a situazioni giuriche funzionalizzate, come appunto è il potere pubblico, ovvero a
poteri limitati ab interno, cioè riconosciuti in ordine al raggiungimento di un fine e suppor-
tati da strutture giuridiche capaci di garantire detta funzionalizzazione (nella specie, il proce-
dimento amministrativo); situazione, quest’ultima, che non ricorre in alcun modo in materia
di tutela civile degli interessi colletivi, ove i soggetti attivi (imprenditori, ecc.) possono porre
in essere tutti i comportamenti idonei al raggiungimento dei loro obiettivi liberamente deter-
minati salvo il rispetto dei limiti esterni (comportamenti doverosi di astensione o requisiti di
legalità degli atti) che la legge impone loro. B) Queste stesse considerazioni ci consentono di
sollevare dubbi anche nei confronti dell’impiego, non solo dell’incerta figura dell’interesse le-
gittimo di diritto privato, che in realtà, se impiegata nei corretti ambiti, null’altro appare che
l’ombra di un’azione costitutiva (cfr. retro, cap. V, nota 131, nonché cap. VI, nota 149), ossia
l’interesse strumentale da questa tutelato, ma anche del concetto di abuso del diritto, che na-
sce dalla necessità di adattare le concezioni del diritto soggettivo inteso come posizione di li-
bertà (criticata retro, cap. V, § 2.3.2.) nei casi in cui in capo al soggetto titolare siano imposti
776 CAPITOLO DECIMO
obblighi di comportamento che limitano detta libertà; in dette ipotesi, infatti, non pochi pro-
blemi sorgono nel far coesistere la posizione di libertà assegnata al titolare del diritto con i
vincoli al medesimo imposti, sicché l’ossimoro concettuale dà vita al concetto di abuso di di-
ritto. C) In ultimo, poco convincente si dimostra anche l’aggancio a quanto dispone l’art. 100
c.p.c. per giustificare la tutela degli interessi collettivi. Questi ultimi, infatti, nella ricostru-
zione qui in esame appaiono come interessi pur rilevanti, ma non tutelati direttamente sul
piano sostanziale. L’A. in questione, difatti, con riferimento all’interesse che legittimerebbe
l’azione parla di sostanziale convergenza ed indistinguibilità tra interesse materiale ed inte-
resse processuale (p. 173 ss.). Ma detta affermazione, lascia particolarmente perplessi. Difatti
sembra difficile sfuggire alla seguente alternativa: o un interesse riguardante comportamenti
inerenti a soggetti di diritto nei loro rapporti materiali è tutelato dalla legge, o non è tutelato.
Il paradosso peraltro deriva semplicemente dal fatto che in questa ricostruzione i limiti im-
posti ai poteri privati non sono intesi come strumenti di tutela degli interessi collettivi con-
trapposti agli interessi imprenditoriali, ma al contrario starebbero lì come servi dell’interesse
generale, ovvero – stando alle tradizionali letture – dell’interesse di nessuno, dell’interesse og-
gettivo al rispetto della legge. È solo per questa ragione che nasce l’esigenza di rifarsi a ciò
che dispone l’art. 100 c.p.c., che appunto diviene propriamente norma di legittimazione, ov-
vero l’appiglio positivo per determinare a chi – all’interno di tutti i soggetti dell’ordinamento
– spetti la titolarità del diritto di azione. Al di là delle figure dogmatiche impiegate è proprio
questo il punto veramente critico di tale ricostruzione, cioè il ritenere che i vincoli imposti al-
l’imprenditore nelle sue attività (quali ad esempio potrebbero essere il divieto di commercia-
lizzare prodotti difettosi o dannosi per la salute della persona, oppure l’impiego di clausole
abusive e così via), non siano posti a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, ma del-
l’interesse generale, valendo poi detti interessi collettivi dei consumatori quali interessi so-
stanziali a rilevanza processuale, ovvero idonei ad attribuire l’azione volta a far valere il man-
cato rispetto della legge. Sarebbe come dire che le azioni a tutela della proprietà sono poste
a tutela dell’interesse generale, ma l’azione la si attribuisce comunque al proprietario poiché
il suo essere proprietario gli garantisce la titolarità di un interesse sostanziale da poter spen-
dere proficuamente in ordine all’intergrazione del requisito previsto dall’art. 100 c.p.c. In
quest’ultimo esempio è lampante l’inutile duplicazione dei passaggi ricostruttivi, ovvero il so-
stenere che una certa normativa imponga il rispetto di certi «limiti» ai comportamenti umani,
non per tutelare l’interesse di Tizio, ma l’interesse generale, recuperando poi la rilevanza so-
stanziale dell’interesse di Tizio sulla base dell’art. 100 c.p.c. per riconoscere comuque a que-
sti la legittimazione ad agire. Il punto è che l’interesse sostanziale tutelato è quello di Tizio (e
non quello generale) e su questa base per il principio di atipicità del potere di azione Tizio è
legittimato ad agire per la repressione dell’illecito.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 777
il c.d. Progetto Bianca, presentato al Convegno di Fiuggi sulle condizioni generali di con-
tratto (5-6 giugno 1981) e frutto di un approfondito impegno di studio testimoniato dal-
l’opera collettanea in due volumi, Le condizioni generali di contratto, a cura di C.M. Bianca,
I-II, Milano, 1979-1981. Detto progetto, infatti, prevedeva l’introduzione di un’azione collet-
tiva inibitoria secondo la quale, in estrema sintesi, il giudice inibiva l’inclusione nelle con-
dizioni generali di contratto delle clausole di cui fosse accertata la nullità e, allorché l’im-
prenditore non avesse ottemperato all’ordine giudiziale, la clausola inserita era da consi-
derarsi «non apposta». Di particolare interesse, peraltro era la disciplina dei limiti soggettivi
del giudicato collettivo, tanto nei rapporti tra diversi colegittimati collettivi, quanto per ciò
che riguarda gli effetti della sentenza inibitoria nei confronti dei giudizi avviati dai singoli
consumatori. Si prevedeva, infatti: a) «la domanda di inibitoria accolta con sentenza passata
in giudicato non può essere riproposta da altri legittimati dinanzi allo stesso o ad altri tribu-
nali»; b) «Il rigetto della domanda non ne preclude la proponibilità da parte di altri legitti-
mati né preclude l’accertamento della nullità della clausola da parte del giudice adito dal sin-
golo aderente». Il testo del progetto vedilo in Foro it., 1981, IV, p. 293 s. con commento di
TONDO, S., Su un progetto di riforma della disciplina delle condizioni generali di contratto, ivi,
p. 282 ss.; cui adde, BONELL, M.J., A proposito di una recente proposta di riforma del diritto
delle condizioni generali di contratto, in Riv. dir. civ., 1981, II, p. 461 ss.; COSTANZA, M.,
Riforma della disciplina legislativa legislativa delle condizioni generali di contratto, in Giust.
civ., 1981, II, p. 538 ss.; STANZIONE, P., Convegno per una riforma legislativa, in Rass. dir. civ.,
1981, p. 1255.
54 Per i diversi interventi che, prima dell’approvazione del codice del consumo, hanno
interessato, soprattutto sull’onda delle diverse sollecitazioni provenienti dal diritto comunita-
rio, le disposizioni indicate nel testo, v., per tutti, l’attento studio di MINERVINI, E., La tutela
collettiva dei consumatori in materia contrattuale, in I contratti dei consumatori, t. 1, a cura di
E. Gabrielli e E. Minervini, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli,
2005, p. 427 ss.
778 CAPITOLO DECIMO
IV, p. 234 ss., con nota di PALMIERI, A., Trasposizione della direttiva sulle clausole abusive e
«statutory format»: una strada obbligata per la tutela del consumatore europeo?, con la legge
comunitaria 2002, il legislatore italiano ha dovuto inserire dopo le parole «che utilizzano» an-
che la locuzione «che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali di contratto». Sulla vi-
cenda v. MINERVINI, E., La tutela collettiva dei consumatori in materia contrattuale, cit., p. 433.
57 Sul punto, ora dispone l’art. 37 del c. cons. Sulla disciplina dell’azione inibitoria ex
art. 1469 sexies c.c., la letteratura, come peraltro in materia di art. 3 l. 281/98, è straripante,
limitandoci a segnalare i contributi che affrontano l’argomento in una prospettiva particolar-
mente sensibile anche ai profili processualcivilistici che a noi interessano, v. ARMONE, G.M.,
Art. 1469-sexies (Azione inibitoria), in La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice
civile, a cura di A. Barenghi, Napoli, 1996, p. 221 ss.; DANOVI, F., L’azione inibitoria in mate-
ria di clausole vessatorie, in Riv. dir. proc., 1996, p. 1046 ss.; FERRI, C., L’azione inibitoria pre-
vista dall’art. 1469-sexies c.c., in Riv. dir. proc., 1996, p. 936 ss.; LIBERTINI, M., Prime riflessioni
sull’azione inibitoria dell’uso di clausole vessatorie (art. 1469-sexies c.c.), in Contratto e im-
presa, Europa, 1996, p. 555 ss.; ID., L’azione inibitoria collettiva in materia di clausole vessato-
rie (art. 1469-sexies c.c.), in Diritto privato, 1996, p. 197 ss.; BELLELLI, A., Art. 1469-sexies,
Azione inibitoria, I, La tutela inibitoria, in Commentario al capo XVI bis del codice civile: dei
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 779
sommari, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2001, p. 119 ss.; PETRILLO, C., L’azione inibitoria a
tutela dei consumatori ed utenti ex art. 1469 sexies c.c., in Giusto processo civile e procedimenti
decisori sommari, cit., p. 143 ss.; GRAZIUSO, E., La tutela del consumatore contro le clausole
abusive, Mezzi rituali e irrituali, Milano, 2002, p. 185 ss.; MARINUCCI, E., Gli effetti della sen-
tenza inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies c.c., in Riv. dir. proc., 2002, p. 216 ss.; CARBONARA,
F., Gli interessi collettivi e diffusi e l’azione inibitoria dell’art. 1469 sexies c.c., in La tutela giu-
risdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi, Torino, 2003, p. 457 ss.;
PETRELLI, P., Interessi collettivi e responsabilità civile, Padova, 2003, p. 125 ss.; PUNZI, C., La
tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, in La tutela giurisdizionale
degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 17 ss., ma spec. p. 29 ss.; CHIARLONI, S., Appunti sulle
tecniche di tutela collettiva dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 385 ss.; MARI-
NUCCI, E., Azioni collettive e azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consumatori, in Riv.
dir. proc., 2005, p. 125 ss.; MINERVINI, E., La tutela collettiva dei consumatori in materia con-
trattuale, cit., p. 427 ss.; CHIARLONI, S., Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei
consumatori, in Riv. dir. proc., 2007, p. 567 ss.; MARENGO, R., Garanzie processuali e tutela dei
consumatori, Torino, 2007, p. 140 ss.
58 Le previsioni dei commi 1 e 2 dell’art. 1 l. 281/98, integrate dal comma 2 bis intro-
dotto con la legge comunitaria 2001 (l. 1 marzo 2002, n. 39), sono ora riprodotte dagli art. 1
e 2, comma 1 e 2, del c. cons.
59 Art. 1, comma 2, l. 281/98, ora art. 2, comma 1, c. cons. È interessante evidenziare
sin d’ora la precisa lettera della legge che con l’inserimento dell’«anche» (corsivato nel testo)
sembra inserirsi correttamente nella prospettiva indicata dalla lettura dell’art. 2 della Costitu-
zione, secondo il quale i «diritti inviolabili dell’uomo» sono riconosciuti e garantiti «sia come
singolo sia nelle formazioni sociali». Aspetto quest’ultimo, come vedremo fondamentale, irri-
nunciabile e non pretermettibile all’interno di qualsiasi ricostruzione di un modello di tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi che, rispettosa dei principi costituzionali, tenga pre-
sente, senza sopprimerne uno a vantaggio dell’altro, entrambi i termini della dinamica di que-
sti particolari interessi, ovvero la dimensione individuale e la dimensione sovra-individuale,
cioè collettiva, degli stessi. Sull’importanza della specificazione in questione per l’esatto in-
quadramento del complessivo sistema di tutele individuali e collettive previsto dalla l. 281/98,
v. le attente osservazioni di PUNZI, C., La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli in-
teressi collettivi, cit., p. 37.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 781
60 Secondo un modello già trovato in sede di azione di danno ambientale, i soggetti col-
lettivi legittimati devono previamente essere inseriti all’interno degli elenchi delle associazioni
rappresentative a livello nazionale (cfr. art. 5 l. 281/98, ora art. 137 c. cons.). Detta soluzione
è attualmente stata estesa dall’art. 37 del c. cons. anche all’azione collettiva avverso l’utilizzo
di clausole abusive risolvendo la controversa questione dei rapporti tra l’art. 1469 sexies c.c.
e l’art. 3 della l. n. 281/98 (per un’attenta analisi del dibattito, così come si è sviluppato an-
teriormente alla novella, v. FABBIO, P., Questioni in materia d’inibitoria collettiva ex art. 1469
sexies c.c. alla luce della l. 30 luglio 1998, n. 281 sui diritti dei consumatori e degli utenti, in
Giur. comm., 2003, II, p. 722 ss.). Per ciò che riguarda il fatto se tale rappresentatività sia una
condizione di merito e o di rito, va presto detto che la questione sembra doversi risolvere se-
condo le regole ordinarie, ovvero nei termini che seguono. Detta condizione è questione di
rito da valutare in primo luogo sulla base dell’affermazione contenuta nell’atto introduttivo
proposto dall’associazione. Ad esempio, l’associazione che propone la domanda deve specifi-
care sin dall’atto introduttivo che essa appartiene a quelle riconosciute e legittimate ai sensi
della legge. Se ciò non accade, c’è un difetto di legittimazione ad agire rilevabile d’ufficio e
che segue le regole ordinarie. Ciò posto, l’effettivo inserimento dell’associazione nell’elenco
delle associazioni riconosciute determina la titolarità del diritto soggettivo dell’ente esponen-
ziale, ovvero la rilevanza in termini normativi del suo interesse concreto, cioè, quindi, è que-
stione di merito, come si suol dire di legittimazione sostanziale.
61 Così l’art. 3 della l. 281/98, ora art. 140 c. cons. V’è da dire che nell’architettura della
legge 281/98, l’art. 3 (Legittimazione ad agire) rinviava implicitamente all’art. 1, comma 2, per
ciò che riguardava i diritti dei consumatori legittimanti l’azione collettiva e proseguiva disci-
plinando i provvedimenti giudiziali ed il loro contenuto sanzionatorio. Ora, spetta all’art. 140
(Procedura) del Codice disciplinare il contenuto dei provvedimenti, all’art. 139 (Legittima-
zione ad agire) determinare i soggetti legittimati e, da un lato, rinviare – ora espressamente –
all’art. 2 (Diritti dei consumatori) del Codice per ciò che riguarda i diritti legittimanti l’azione
collettiva e, dall’altro, prevedere che, oltre a detti casi, «le dette associazioni sono legittimate
ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle
materie disciplinate dal presente codice, nonché dalle seguenti disposizioni legislative: a)
legge 6 agosto 1990, n. 223, e legge 30 aprile 1998, n. 122, concernenti l’esercizio delle atti-
vità televisive; b) decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, come modificato dal decreto
legislativo 18 febbraio 1997, n. 44, e legge 14 ottobre 1999, n. 362, concernente la pubblicità
dei medicinali per uso umano». In generale, sull’azione collettiva prima disciplinata dall’art.
3 della l. 281/98 ed ora confluita nel c. cons., v. ALPA, G., La legge sui diritti dei consumatori,
cit., p. 997 ss.; ID., La nuova disciplina dei diritti dei consumatori, cit., p. 1310 ss.; COLA-
GRANDE, R., Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, in Le nuove leggi civili comm.,
1998, p. 700 ss.; GIUSSANI, A., La tutela di interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti
dei consumatori, in Danno e responsabilità, 1998, p. 1061 ss.; BASTIANON, S., Brevi osservazioni
782 CAPITOLO DECIMO
ROSSI CARLEO, L., L’azione inibitoria: dalla norma sulle clausole abusive al nuovo codice dei
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 783
venuti sul punto: cfr.., ad es., BARTOLOMUCCI, P., Art. 140, Procedura, in Codice del consumo,
cit., p. 821 ss.; PETRILLO, C., Art. 140, Procedura (Profili processuali), ivi, cit., p. 838 ss.; BELLI,
C., Articoli 139-140, cit., p. 536 ss.
65 L’introduzione del nuovo art. 140 bis c. cons. è avvenuta quando il volume era già in
bozze. Ciononostante abbiamo cercato – per quanto possibile – di intervenire sul testo già li-
cenziato per aggiornarlo alla novità legislativa. Più in particolare alla fine di questo capitolo
784 CAPITOLO DECIMO
abbiamo dedicato una parte specificamente indirizzata allo studio della natura del rimedio ed
inoltre abbiamo cercato di individuare, sebbene in prima approssimazione, le questioni rela-
tive all’interpretazione dei rimedi collettivi inibitori sulle quali sembra poter incidere la disci-
plina dell’art. 140 bis.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 785
LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, in La tutela giurisdi-
zionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. XLI s., riportata infra, alla nota 78.
786 CAPITOLO DECIMO
rituali, cit., p. 218. Analoga prospettiva, ma in un contesto argomentativo meno sintetico che
negli scritti degli AA. ora citati, è seguita da PETRILLO, C., La tutela giurisdizionale degli inte-
ressi collettivi nella concorrenza sleale, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e dif-
fusi, Torino, 2003, p. 419 ss., ma spec. p. 435, che, in riferimento alla legittimazione ad agire
ex art. 2601 c.c. in capo alle camere di commercio, afferma: «da qui l’opportunità di ravvisare
nell’azione contro la concorrenza sleale la tutela di una moltitudine di diverse situazioni giu-
ridiche: quando l’azione sia promossa dai singoli imprenditori essi tutelano in via immediata
i propri diritti individuali e/o collettivi ed in via mediata, eventualmente, i diritti delle asso-
ciazioni, degli altri imprenditori e l’interesse pubblico; quando, invece, agiscono in giudizio le
associazioni previste dall’art. 2601 c.c. esse tutelano in via immediata i propri diritti ed in via
mediata gli interessi/diritti collettivi degli imprenditori ed eventualmente un interesse pub-
blico alla cui tutela sono preposte le camere di commercio; qualora, infine, siano queste ul-
time ad agire, esse tuteleranno in via immediata il c.d. interesse pubblico, e solo in via me-
diata i diritti soggettivi degli imprenditori e delle associazioni […]». In realtà, a nostro modo
di vedere, tutte queste posizioni, cadono in errore su un piano di teoria generale, poiché
confondono l’interesse tutelato astrattamente dalla norma con l’interesse che concretamente
anima il soggetto che esercita l’azione. In breve (cfr. retro, capp. IV-VI) l’interesse tutelato
dalla norma in via astratta e generale o è l’interesse collettivo (ma particolare) dei consuma-
tori o è l’interesse collettivo (ma particolare) degli imprenditori o è l’interesse generale (e as-
solutamente non pubblico; cfr. retro, cap. IV, § 8.) alla correttezza e trasparenza del mercato
che appartiene a tutti gli operatori dello stesso. Detto interesse inteso nella sua dimensione
astratta verrà appunto ad essere assunto dal legislatore: a) come prevalente a certe condizioni
rispetto all’opposto interesse confliggente; b) come appartenente a determinate categorie di
soggetti. Per cui, se si assume che l’interesse tutelato dalla norma è l’interesse dei consuma-
tori, allora anche l’azione delle associazioni imprenditoriali sarà rivolta alla tutela di quel me-
desimo interesse, indipendentemente dall’interesse che concretamente avrà portato dette as-
sociazioni alla richiesta di tutela giurisdizionale. Si deduce da ciò che, nelle ipotesi in esame,
i soggetti ritenuti legittimati all’azione indicano verosimilmente che l’opzione ermeneutica più
appagante sia ritenere quale interesse tutelato in via astratta dalla normativa in questione un
interesse generale che il legislatore valuta appartenente a tutti i soggetti che operano nel mer-
cato e che, volendo fare un’opera di sintesi, è rappresentato sotto un profilo generale dalla si-
curezza del mercato intesa nel senso più ampio.
788 CAPITOLO DECIMO
utenti, cit., spec. p. 135; ID., Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, in
La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 79 ss., ma spec. p. 102 ss. e
poi, in riferimento alle azioni collettive in questione, p. 126; PETRELLI, P., Interessi collettivi e
responsabilità civile, cit., p. 140 ss. In questa direzione sembrerebbe porsi anche DANOVI, F.,
L’azione inibitoria in materia di clausole vessatorie, cit., p. 1064 ss., nonché, anche CHIARLONI,
S., Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori, cit., p. 385 e 398, che per un
verso rimarca la distinzione tra azioni di classe ed azioni collettive e, dall’altro, sostiene che
l’oggetto del giudizio ex art. 1469 sexies c.c. sia l’«interesse collettivo (così denominato per
abitudine semantica e non perché manchi delle caratteristiche del diritto soggettivo), di cui è
titolare l’universo dei consumatori e che viene portato in giudizio dall’ente esponenziale».
72 Più voci in dottrina avversano la tesi che l’interesse collettivo dei consumatori possa
Corr. giur., 2000, p. 778, ma spec. p. 785; PALMIERI, A. - LUNGHEZZA, P., Consumatori e clau-
sole abusive: l’aggregazione fa la forza, in Foro it., 2000, I, p. 2046 ss., ma spec. p. 2065, nota
59, che in riferimento a detta concezione parla di «angusta visione»; PLAIA, A., Clausole abu-
sive e contratti di fornitura idrica, in Europa e dir. priv., 2000, p. 681 ss., ma spec. p. 684, che,
avversando la tesi del Tribunale, aggiunge, non senza qualche contraddizione dogmatica che
«la posizione soggettiva tutelata ha invece i caratteri del diritto soggettivo individuale, diritto
che sottintende un interesse sostanziale superindividuale e che per questa ragione viene eser-
citato da un ente esponenziale con legittimazione “straordinaria”»; contra, ALAIMO, A.,
Azione inibitoria e condizioni contrattuali relative ad un servizio pubblico, in Resp. com. impr.,
1999, p. 670 ss., ma spec. 672, che accoglie la tesi esposta dal Tribunale e qualifica l’azione
collettiva come ipotesi di sostituzione processuale dei singoli consumatori. V. poi, ancora
CONTI, R., Ai nastri di partenza l’inibitoria a tutela degli interessi collettivi ex art. 3 l. n.
218/1998, in Corr. giur., 2001, p. 392 ss., ma spec. 393, che, in nota a T. Torino, 3 ottobre
2000, evidenzia come la direttiva 98/27/CE nel considerando II, chiarisca definitivamente che
«per interessi collettivi si intendono interessi che non comprendono la somma degli interessi
di individui lesi da una violazione» ed auspica l’abbandono della «concezione che collega l’in-
teresse collettivo ad una mera sommatoria degli interessi individuali dei consumatori», la
quale implicherebbe una legittimazione ad agire collettiva avente natura sostitutiva. Per l’A.
citato, infatti, «negare […] autonomia concettuale e qualitativa agli interessi collettivi, rele-
gandoli a mero “contenitore” dei singoli interessi dei consumatori, vuol dire perdere di vista
il significato intrinseco della dimensione superindividuale che è l’in sé dell’interesse perse-
guito dall’associazione consumeristica, condizionando ingiustificatamente l’azione di contra-
sto all’azione quantitativa dei comportamenti lesivi dei diritti dei singoli consumatori».
73 La distinzione ontologica dell’interesse individuale rispetto a quello collettivo è an-
che in PONCIBÒ, C., Le azioni di interesse collettivo per la tutela dei consumatori, in Riv. crit.
dir. priv., 2002, p. 659 ss., ma spec. 667; e prima in CAPPONI, B., Diritto comunitario e azioni
di ineresse collettivo dei consumatori, in Foro it., 1994, IV, p. 439 ss., spec. p. 449; VERARDI,
C.M., Riflessioni introduttive, La protezione del consumatore tra strumenti di tutela individuale
ed azioni collettive, in CAPPONI, B. - GASPARINETTI, M. - VERARDI, C.M., La tutela collettiva dei
consumatori, Profili di diritto sostanziale e processuale, cit., p. 5 ss., ma spec. p. 39.
74 CAMERO, R. - DELLA VALLE, S., La nuova disciplina dei diritti del consumatore, cit., p.
144-145; CONTI, R., Ai nastri di partenza l’inibitoria a tutela degli interessi collettivi ex art. 3 l.
n. 218/1998, cit., p. 392 ss., ma spec. 393; ID., Inibitoria cautelare e controllo di vessatorietà
nei pubblici servizi, cit., p. 778, ma spec. p. 785; PALMIGIANO, A. - VECCHIO VERDERAME, S., La
legge n. 281 del 1998, La cd. «carta dei diritti del consumatore» e la nuova tutela inibitoria, cit.,
p. 76.
792 CAPITOLO DECIMO
75 GIUSSANI, A., Considerazioni sull’art. 1469 sexies c.c., cit., p. 327 s.; TOMMASEO, F.,
Art. 1469-sexies, cit., p. 764; CAPOBIANCO, E., Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori,
cit., p. 185 s.; CHINÈ, G., Consumatore (contratti del), cit., p. 428; PODDIGHE, E., I contratti con
i consumatori, cit., p. 378.
76 GIUSSANI, A., Considerazioni sull’art. 1469 sexies c.c., cit., p. 327 s.; CAPOBIANCO, E.,
Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori, cit., p. 187; CHINÈ, G., Consumatore (con-
tratti del), cit., p. 428.
77 Cfr. ad es. l’opinione di Carratta, riportata infra in nota. Ma v. anche retro, cap. VIII,
zione della nozione di interesse diffuso, ma è spesso implicitamente sottesa a tutte le tesi che
accolgono l’ontologica contrapposizione dell’interesse collettivo a quello individuale. Per una
espressa presa di posizione v. comunque CARRATTA, A., Brevi osservazioni sull’inibitoria a tu-
tela di consumatori e utenti, cit., spec. p. 135, per il quale «l’interesse del singolo consumatore
o del singolo professionista acquista rilevanza, dal punto di vista processuale, soltanto in re-
lazione ad uno specifico contratto che contenga clausole di questa natura o in relazione ad
uno specifico atto o comportamento che abbia leso i diritti del singolo consumatore o
utente»; opinione ribadita successivamente in Profili processuali della tutela degli interessi col-
lettivi e diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., spec. p. 132,
ove si sostiene «difficile ipotizzare, in concreto, l’interesse del singolo consumatore ad agire
in inibitoria contro l’associazione che raccomandi l’utilizzo di clausole di tale natura, prima
che la stessa “raccomandazione” si sia concretizzata in specifiche clausole contrattuali sotto-
scritte dal consumatore». Cfr. anche GABRIELLI, E. - ORESTANO, A., Contratti del consumatore,
in Dig. disc. priv., Aggiornamento, I, Torino, 2000, p. 225 ss., ma spec. p. 261. Un’imposta-
zione opposta a quella ora indicata è seguita da LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandu-
lae e l’altra faccia della luna, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit.,
p. XLI s., il quale, in riferimento alla pretesa difficoltà di individuare nelle fattispecie appena
accennate la lesione di un interesse individuale, giustamente osserva che «non si comprende,
infatti, perché quel che non è compatibile con la tutela contenziosa dei diritti, lo diventi in ri-
ferimento all’ “interesse collettivo”, l’interesse ad agire potendo per quest’ultimo sussistere
nella specie dell’ “utilizzazione” ancora in potenza delle “condizioni generali di contratto.
Nessuna necessità logico-giuridica, e tanto meno equitativa, impone, invero, che ciò che non
è rilevante per la tutela ‘preventiva’ del singolo, lo diventi per quella quota collettiva, di cui
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 793
ria in materia di clausole vessatorie, cit., p. 1068; LIBERTINI, M., Prime riflessioni sull’azione ini-
bitoria dell’uso di clausole vessatorie (art. 1469-sexies c.c.), cit., p. 560; NICOTINA, G., Questioni
processuali controverse in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori, cit., p.
2220, nota 6; TOMMASEO, F., Art. 1469-sexies, cit., p. 764; CAMERO, R. - DELLA VALLE, S., La
nuova disciplina dei diritti del consumatore, cit., p. 31; CAPOBIANCO, E., Contrattazione banca-
ria e tutela dei consumatori, cit., p. 186. Tanto in riferimento all’art. 1469 sexies c.c., quanto
in riferimento all’art. 3 della l. 281/98, v. CARRATTA, A., Brevi osservazioni sull’inibitoria a tu-
tela di consumatori e utenti, cit., p. 127 ss. (ma v. infra); MINERVINI, E., La tutela collettiva dei
consumatori in materia contrattuale, cit., p. 478. Vanno annoverate, peraltro, anche le voci
che, seppur criticamente, hanno ritenuto non potersi superare in via interpretativa il regime
di legittimazione esclusiva prevista dalla legge: cfr., ad es. COLAGRANDE, R., Disciplina dei di-
ritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 728 s, 741; ARMONE, G.M., Art. 1469-sexies (Azione
inibitoria), cit., p. 250, in nota. Proprio in quest’ultima prospettiva va peraltro ricordata la
posizione espressa da CARRATTA, A., in Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e
diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 133. Se l’A., infatti,
come già visto, sulla base dell’ontologica distinzione tra interessi individuali ed interessi col-
lettivi aveva dapprima sostenuto l’esclusione del singolo consumatore dall’area dei legittimati
ad agire a tutela degli interessi collettivi (cfr. retro), nel successivo saggio appena citato, pur
immutata la nozione di interesse collettivo valutata come preferibile (v. p. 102 ss.), ha co-
munque ritenuto doversi ammettere che, in caso di inerzia da parte delle associazioni rappre-
sentative, «non vi siano plausibili ragioni – una volta che si riconosca la configurabilità degli
interessi collettivi e diffusi come situazioni giuridiche superindividuali rilevanti per l’ordina-
mento concorrenti con i diritti soggettivi e gli interessi legittimi dei singoli – per negare il di-
794 CAPITOLO DECIMO
consumatori, v. in particolare ARMONE, G.M., Art. 1469-sexies (Azione inibitoria), cit., p. 241
e 249; ID., La tutela inibitoria, cit., p. 737 s. Naturalmente, il favor per questa opzione rico-
struttiva è stato dimostrato anche da parte della dottrina che per prima ne ha fatto impiego
in materia di azione collettiva ex art. 28 (cfr. retro, cap. VII, § 2.1.1.1.) e che di recente ha in-
vitato – in una prospettiva di tutela generale degli interessi individuali e dunque anche ri-
guardo le azioni collettive a tutela dei consumatori – a scrutinare «con attenzione innanzi-
tutto le duttili possibilità offerte dalla categoria della sostituzione processuale» (così, ap-
punto, LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, in La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. XLVI). Va comunque evidenziato che
il rigetto da parte della dottrina pressoché unanime dell’istituto della sostituzione processuale
è stato formalmente determinato dalla natura ontologicamente distinta dell’interesse collet-
tivo rispetto a quello individuale e nella sostanza dalla volontà di evitare la complessificazione
del giudizio collettivo, garantendo quindi alle associazioni il pieno dominio del potere di at-
tivazione della tutela (regime di legittimazione esclusiva) e l’altrettanto pieno dominio sullo
svolgimento del processo (esclusione del regime partecipazione necessaria ex art 102 c.p.c.).
Di recente si è infatti opportunamente sottolineato (ARMONE, G.M., La tutela inibitoria, cit.,
p. 737), che il mancato impiego della nozione ha trovato origine proprio nella convinzione
circa la necessaria partecipazione del sostituito al processo attivato dal sostituto, peraltro ri-
levandosi – di contro – la possibilità di accedere ad una nozione di «legittimazione straordi-
naria di specie selettiva nel senso che solo alcuni degli ‘interessati’ possano agire in giudizio
con efficacia nei confronti di tutti gli altri ‘interessati’». A quest’ultima linea interpretativa ha
di recente aderito BELLI, C., Articoli 139-140, cit., p. 549 nota 30, che appunto ha affermato
la praticabilità – per questa via – dell’impiego della nozione in esame; derivandone peraltro
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 795
un duplice vantaggio: «in primo luogo non crea equivoci sul ruolo delle associazioni, chia-
rendo che esse non fanno valere interessi propri, ma si fanno portavoce dell’interesse supe-
rindividuale e adespota della collettività; la loro legittimazione trova origine in una ragione
pratica, politica se si vuole, per cui gli enti collettivi paiono i più idonei a sostenere giudizi
astratti e preventivi come quelli aventi ad oggetto un’inibitoria collettiva. E il meccanismo
dell’art. 81 c.p.c. […] risulta il più idoneo a giustificare simili stratagemmi. In secondo luogo,
permette l’estensione del giudicato anche ai rapporti individuali sulla base di un collega-
mento tecnico dei più agevoli». Soluzione tecnica, quest’ultima, sperimentata da tempo in
materia di art. 28 S.L. proprio sul presupposto della possibile estensione ultra partes degli ef-
fetti della sentenza collettiva (cfr. retro, cap. VII, § 2.1.2, ancora la posizione di Lanfranchi;
ma, diversamente, Garbagnati e Punzi) e di recente ribadita anche in questo ambito di studio
(LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, in La tutela giuri-
sdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. XLVI), anche in relazione a quanto positi-
vamente previsto in sede di art. 111 c.p.c.
81 V. in generale il cap. III, § 3.4.1.3.; o, in materia di repressione della condotta anti-
sindacale, il cap. VII, §§ 2.1.2., 3.1. e 3.2.; o ancora, in materia di tutela ambientale, il cap.
IX, §§ 3.4.1. e 3.4.3.
82 La dottrina ha ben evidenziato i benefici insiti «nell’individuazione, in capo agli enti
Così, specie per gli Autori che hanno sostenuto doversi imputare –
magari per le note finalità di soggettivazione o differenziazione – l’inte-
resse della collettività dei consumatori in capo alle associazioni83 o per
coloro che addirittura hanno ritenuto che l’interesse tutelato appartenga
alle associazioni stesse84, questa opzione ricostruttiva è evidentemente ri-
sultata la più conforme alle premesse accolte. Anzi, operata detta distor-
zione sul piano dell’apprezzamento degli interessi sostanziale in ambito
metagiuridico, perfettamente coerente e conseguente è apparso ed ap-
pare il successivo segmento – quello della giuridicizzazione – dell’iter ri-
costruttivo.
Diversamente, il tentativo di formalizzare questi interessi è stato ben
più arduo – e talora fonte di inedite figure e ricostruzioni dogmatiche –
per coloro che hanno giuridicizzato l’interesse sostanziale senza prima
imputarlo all’ente esponenziale.
interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori, cit., p. 1062. Ancora al di-
ritto soggettivo, sebbene concepito in posizione di contitolarità da parte delle associaizoni e
dei singoli consumatori, ha rinviato PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova
disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n.
281), cit., p. 136.
83 GIUSSANI, A., Considerazioni sull’art. 1469 sexies c.c., cit., p. 328; BELLELLI, A., Art.
nuova disciplina dei diritti del consumatore, cit., spec. p. 33, che, in riferimento al potere di
azione attribuito alle associazioni dei consumatori dall’art. 1469 sexies c.c. hanno sostenuto
che «le associazioni fanno valere un diritto proprio, id est l’interesse associativo alla corret-
tezza comportamentale dei professionisti nella fase della predisposizione delle clausole. La
circostanza che poi, in concreto, l’effetto favorevole di tali iniziative vada a ricadere, sortendo
effetti di potenziata protezione, nella sfera dei consumatori, non toglie il carattere autonomo
del bene della vita alla cui tutela l’organismo associativo tende». Si è aggiunto inoltre che
«l’associazione agisce nell’interesse suo proprio, interesse appunto collettivo, che trova radi-
camento in capo all’organo esponenziale mercè i canoni generali in punto di rappresentatività
ed esponenzialità»; affermazione quest’ultima evidentemente in contraddizione con la prima,
salvo il ritenere – ma poco condivisibilmente – che l’interesse dell’associazione coincida con
quello della collettività dei consumatori. Più di recente, in questo senso, tra l’altro in riferi-
mento non solo alle azioni collettive a tutela dei consumatori, ma anche in relazione all’azione
di repressione della condotta antisindacale, della concorrenza sleale e dell’azione di danno
ambientale, v. COSTANTINO, G., Note sulle tecniche di tutela collettiva (disegni di legge sulla tu-
tela del risparmio e dei consumatori), in Riv. dir. proc., 2004, p. 1009 ss., ma spec. p. 1029 s.;
ID., La tutela dei risparmiatori: i nuovi orizzonti della tutela collettiva, in Società, 2005, p. 325
ss., ma spec. p. 327. Cfr. anche SCUFFI, M., Azione collettiva in difesa dei consumatori: legitti-
mazione e tecniche processuali, cit., p. 154; seppur problematicamente, PETRILLO, C., L’azione
inibitoria a tutela dei consumatori ed utenti ex art. 1469 sexies c.c., cit., p. 159. V., infine, an-
cora per un diritto soggettivo proprio delle associazioni, ROMAGNOLI, G., Clausole vessatorie
e contratti d’impresa, cit., p. 103, in nota; BASTIANON, S., Brevi osservazioni sulla legge n.
281/1998 in materia di tutela dei consumatori, cit., p. 528.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 797
85 Cfr. per tutti, la tesi di Garofalo, riportata retro, cap. VIII, spec. § 2.2.1.
86 V. la nota che precede.
87 Così, MAZZAMUTO, S. - PLAIA, A., Provvedimenti inibitori a tutela del consumatore: la
legge italiana 30 luglio 1998, n. 281 e la direttiva 98/28/CE, cit., p. 673, che oltre a quanto è
riportato nel testo poi aggiungono, in relazione al «diritto soggettivo» e destando ulteriori e
profonde perplessità sul piano dogmatico, «che per questa ragione viene esercitato da un ente
esponenziale con legittimazione “straordinaria”». Nello stesso senso sembrerebbe porsi an-
che CHIARLONI, S., Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori, cit., p. 398,
quando, come già visto, parla di un «interesse collettivo (così denominato per abitudine se-
mantica e non perché manchi delle caratteristiche del diritto soggettivo), di cui è titolare l’u-
niverso dei consumatori e che viene portato in giudizio dall’ente esponenziale». Di recente la
formula del diritto soggettivo-collettivo, ha trovato anche la sponda delle Sezioni unite della
Cassazione, che nella nota pronuncia del 28 marzo 2006, n. 7036 (in Corr. giur., 2006, con
nota di DI MAJO, A., I diritti soggettivi (collettivi) della associazioni dei consumatori; in Danno
e resp., 2006, p. 737 ss., con nota di CONTI, R., Pubblicità ingannevole, inibitoria collettiva e
G.O.; in Giur. it., 2007, p. 1384, con nota di BATTELLI, E., Pubblicità ingannevole, giurisdi-
zione del G.O. e natura degli interessi fatti valere dall’associazione dei consumatori), nell’affer-
mare la giurisdizione del giudice ordinario in materia di inibitorie proposte dalle associazioni
dei consumatori ai sensi dell’art. 3 della l. 281/98 in materia di pubblicità ingannevole ha ri-
tenuto che la «natura» dell’interesse tutelato fosse appunto quella del «diritto soggettivo (sia
pure collettivo)», secondo una linea interpretativa già emersa in diversi ambiti ed in partico-
lare in materia di repressione della condotta antisindacale (cfr. retro, cap. VII, § 3.1.)
798 CAPITOLO DECIMO
TINA, G., Questioni processuali controverse in materia di clausole abusive nei contratti con i con-
sumatori, cit., p. 2220, nota 6.
90 CAPOBIANCO, E., Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori, cit., p. 187; PODDI-
Prime riflessioni sull’azione inibitoria dell’uso di clausole vessatorie (art. 1469-sexies c.c.), cit.,
p. 556 ss.; LIBERTINI, M., L’inibitoria ex art. 1469-sexies, cit., 666; VERARDI, C., L’accesso alla
giustizia e la tutela collettiva dei consumatori, cit., p. 1367; MARINUCCI, E., Azioni collettive e
azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consumatori, cit., p. 150.
92 CONSOLO, C., in CONSOLO, C. - DE CRISTOFARO, M., Clausole abusive e processo, cit.,
p. 479; al «diritto giudiziario» si riferisce di recente anche BELLI, C., Articoli 139-140, in Co-
dice del consumo, Commentario del d.legs. 6 settembre 2005, n. 206, cit., p. 549, ma in un con-
testo ricostruttivo sostanzialmente diverso (cfr., infatti, retro, nota 80).
93 ALPA, G., La legge sui diritti dei consumatori, cit., p. 1000.
94 Ci riferiamo, come è ovvio, alla tesi di Ugo Ruffolo, esaminata criticamente retro, nel
3.2.2. Esame del dibattito sulla natura dell’azione collettiva inibitoria ge-
nerale a tutela dei consumatori
3.2.2.1. La possibile natura plurioffensiva della condotta antigiuridica:
considerazioni introduttive e di metodo. – Dalle considerazioni ricognitive
sino ad ora svolte in riferimento al dibattito attorno alla natura dell’a-
zione ex art. 1469 sexies c.c. è piuttosto agevole rilevare l’assoluta priorità
dell’argomento relativo alla contrapposizione ontologica tra interesse col-
lettivo ed interesse individuale in ordine alla sistemazione dell’azione ini-
bitoria indicata. È insomma l’argomento a cui in più occasioni ed in di-
versi ambiti è stato affidato il compito di tracciare una netta linea di de-
marcazione tra azioni individuali ed azioni collettive ogni qual volta vi
fosse la possibilità di intravedere all’orizzonte eventuali interferenze e/o
sovrapposizioni tra i due percorsi processuali.
Questa prospettiva ricostruttiva nell’ambito di studio ora in esame si
è inoltre potuta giovare della poc’anzi indicata natura astratta, generale e
preventiva del sindacato operato ai sensi dell’art. 1469 sexies c.c. rispetto
al giudizio individuale concernente le clausole inserite all’interno del
contratto oramai concluso. Infatti, specie la diversa fattispecie costitutiva
appartenente alle due azioni (ovvero i differenti parametri di valutazione
critica della regolamentazione contrattuale) ha reso piuttosto agevole cir-
coscrivere l’azione collettiva in una sfera di tutela completamente sepa-
rata rispetto a quella in cui inserire l’azione individuale, corroborando
con ciò la tesi dell’ontologica distinzione tra interesse individuale ed in-
teresse collettivo e semplificando enormemente il problema del concorso
tra azioni individuali e azioni collettive, nonché anche quello della deter-
minazione esatta del loro rispettivo oggetto.
artt. 1469-bis - 1469-sexies c.c., cit., p. 115 ss. Vicina – forse – a questa posizione è quella di
DANOVI, F., L’azione inibitoria in materia di clausole vessatorie, cit., p. 1065-1066, visto che si
sostiene stringatamente che «il legislatore può intervenire anche senza operare una vera e
propria qualificazione della situazione soggettiva tutelata (vero diritto soggettivo o semplice
interesse?), attribuendo in capo ai soggetti portatori dei valori lesi dall’atto illecito un vero e
proprio interesse ad agire».
800 CAPITOLO DECIMO
sfondo sistematico su cui proiettare gran parte delle decisioni giurisprudenziali in materia
(cfr. infra, nota 121) e che inoltre, posta la consueta contrapposizione tra interessi individuali
e collettivi va forse attribuita alle opinioni dottrinali in cui non figurano espresse affermazioni
di segno contrario. A parte, comunque, la sempre sgradevole interpretazione degli interpreti,
di certo questa lettura è sostenuta da MARINUCCI, E., Azioni collettive e azioni inibitorie da
parte delle associazioni dei consumatori, cit., p. 143, che, negando la possibilità di far rientrare
all’interno delle «misure idonee» previste dall’art. 3, comma 1, lett. b), anche la condanna al
risarcimento del danno, sostiene – così eliminando la diversità strutturale intercorrente tra
azione ex art. 1469 sexies c.c. e azione ex art. 3 l. 281/98, rimarcata nel testo e sostenuta dalla
dottrina maggioritaria – che «la tutela collettiva dei consumatori può coinvolgere solo diritti,
interessi, situazioni giuridiche e fatti che si presentino in modo indifferenziato per tutti: di in-
teressi collettivi appunto». Nello stesso senso, TRISORIO LIUZZI, G., I meccanismi processuali di
tutela del consumatore, in www.judicium.it, § 4.3. Ugualmente sembra doversi leggere la rico-
struzione sostenuta da CARRATTA, A., Brevi osservazioni sull’inibitoria a tutela di consumatori e
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 803
utenti, cit., p. 136-137, per il quale «mettendo a confronto l’azione inibitoria ex art. 1469
sexies c.c. e l’azione individuale del singolo consumatore diretta a far dichiarare la nullità
della clausola vessatoria inserita nel contratto da lui sottoscritto ed eventualmente ad ottenere
il risarcimento dei danni subiti o, sull’altro versante, l’azione inibitoria dell’art. 3 l. n. 281 con
l’azione individuale diretta ad ottenere l’accertamento dell’illiceità dell’atto o del comporta-
mento dell’azienda […] non si può non rilevare che, sebbene fra le due azioni vi siano in-
dubbi elementi di connessione, in quanto entrambe presuppongono l’accertamento del carat-
tere vessatorio di una determinata clausola contrattuale o dell’illiceità dell’atto o del compor-
tamento dell’azienda, esse sono notevolmente diverse, sia dal punto di vista soggettivo, sia dal
punto di vista oggettivo. Anzitutto, se si condivide quanto finora detto a proposito della tito-
larità dell’interesse tutelato con l’azione inibitoria, si deve ammettere che, con quest’ultima
azione, viene tutelato – direttamente – soltanto l’interesse del consumatore […], non uti sin-
gulus, ma in quanto appartenente all’insieme o al gruppo […]. In secondo luogo, occorre an-
che sottolineare che, se con l’azione individuale il singolo consumatore o utente vuole otte-
nere solo la tutela della sua posizione giuridica o all’interno di un singolare rapporto che è
sorto per effetto della sottoscrizione di un determinato contratto o in conseguenza di atti o
comportamenti dell’azienda lesivi dei suoi diritti, tra le due azioni (quella inibitoria e quella
individuale) vi è diversità, non solo di soggetti, ma evidentemente anche di causa petendi e pe-
titum». Va, d’altra parte, osservato che in un secondo lavoro, l’autorevole dottrina qui richia-
mata (ID., Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, cit., p. 130 ss.) non
ha escluso che la legittimazione ad agire avverso illeciti a lesione indifferenziata debba essere
estesa anche ai singoli consumatori (cfr. infra). All’orientamento qui in esame, va poi ricon-
dotta l’opinione di COLAGRANDE, R., Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p.
725 ss., che, da un lato, non fa cenno alla possibilità che si realizzi un concorso di legittima-
zioni nell’ipotesi di illeciti a lesione differenziata e, dall’altro, seppur con rammarico (cfr. re-
tro, nota 79), esclude che il singolo si veda riconosciuta l’azione per la tutela degli interessi
collettivi. È così che si distingue tra la tutela generale-preventiva, che concerne i requisiti, i di-
vieti e gli obblighi incidenti sulla fase precedente il trasferimento del bene o l’erogazione del
servizio (procedimenti di fabbricazione concernenti la qualità e sicurezza del prodotto, pre-
sentazione al pubblico, etichettatura ed informativa sui prodotti, diffusione di messaggi pub-
blicitari), e la tutela particolare-repressiva, relativa, invece, agli obblighi riferiti allo stesso tra-
sferimento del bene o dell’erogazione del servizio, sino all’eventuale evento lesivo dei diritti
del consumatore e dell’utente. Cfr. anche BELLI, C., Articoli 139-140, in Codice del consumo,
Commentario del d.legs. 6 settembre 2005, n. 206, cit., p. 548 e 550 s.; CENA, D., La nuova
legge quadro dei diritti dei consumatori, cit., p. 942; MARENGO, R., Garanzie processuali e tu-
tela dei consumatori, cit., p. 138, che appunto esclude che l’inibitoria generale possa essere
impiegata per la tutela dei diritti individuali omogenei (sulla categoria in questione, mutuata
dal processo brasiliano, v. retro, cap. VI, § 5.1.2.). Alla concezione in esame va probabilmente
ricondotta anche la posizione di ALPA, G., La legge sui diritti dei consumatori, cit., p. 999 s.,
ID., La nuova disciplina dei diritti dei consumatori, cit., p. 1314 ss., ID., Art. 1( Finalità ed og-
getto), in I diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 3 ss., spec. p. 17 ss., che ritiene che la
tutela collettiva «si aggiunge» a quella individuale, nel senso che è dato rinvenire nella legge
diritti soggettivi individuali e «diritti collettivi» appunto «da esercitarsi in forma collettiva» e
che «corrispondono agli interessi collettivi o agli interessi diffusi»; d’altro canto, posto che in
questa lettura vengono a configurarsi due fronti di tutela, non sembra emergere una espressa
804 CAPITOLO DECIMO
opinione concernente il fatto se tale tutela collettiva «si aggiunge» nel senso che si affianca a
quella individuale o «si aggiunge» nel senso che può anche (comportamenti appunto pluriof-
fensivi) sovrapporsi in talune ipotesi con essa.
100 Tra le prime voci a sostegno di questa lettura, v. PAGNI, I., Tutela individuale e tutela
collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., che appunto, a p.
144, parla di plurioffensività della condotta antigiuridica, la quale, come chiarito poi anche a
p. 173, si specifica in una posizione di contitolarità di posizioni giuridiche riconosciute in
capo ai consumatori ed alle loro associazioni rappresentative con il risultato che «entrambi
[…] potranno agire sia quando il comportamento lesivo si realizzi attraverso la violazione di
diritti inerenti al rapporto individuale tra imprenditore e consumatore (analogamente a
quanto accade, per esempio, nell’art. 28 S.L.), sia quando invece ne prescinda». Similmente,
v. BENUCCI, S., La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 134, 174 ss., re-
centemente tornata sul punto nel più recente commento agli Artt. 139-141, cit., spec. p. 1081
ss., in cui peraltro si ribadisce il rapporto tra rimedi individuali e collettivi con l’immagine del
«doppio binario di tutela», preferibile a quella del «doppio livello di tutela» in cui, invece, i
singoli sono relegati ad un piano sottostante essendo legittimati solo in via repressivo-risarci-
toria. Autorevole sostegno a questa ricostruzione è inoltre giunta da quella parte della dot-
trina processualistica che già da tempo abbiamo avuto modo di annoverare tra i primi inter-
venti sul tema degli strumenti di tutela degli interessi collettivi nel nostro ordinamento (cfr.,
in particolare, retro, cap. VII, § 2.1.1.). Ci riferiamo a LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae
blandulae e l’altra faccia della luna, cit., XXXVIII ss.; cui adde, ODORISIO, E., La tutela giuri-
sdizionale dei diritti dei consumatori e degli utenti: concorso di azioni e «giusto processo» civile,
cit., p. 491 ss. In questo senso sembrerebbe anche la lettura proposta da GIUSSANI, A., La tu-
tela di interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori, cit., p. 1062. Questa
ricostruzione, infatti, premessa la coesistenza di due differenti tipologie di situazioni giuridi-
che sostanziali, ovvero gli interessi collettivi assegnati in titolarità alle associazioni e i diritti
«fondamentali» spettanti ai singoli, nel ricercare un criterio idoneo a chiarire il collegamento
sussistente tra le due entità, ritiene che questo debba essere rilevato nella circostanza che «le
condotte lesive di tali diritti fondamentali assumono una dimensione plurioffensiva che rende
possibile sia una tutela in via individuale da parte dei singoli consumatori, sia la tutela del-
l’interesse collettivo da parte delle loro associazioni». Stando a queste osservazioni potrebbe
sembrare che l’A. ora richiamato estenda la legittimazione ad agire in via rappresentativa agli
illeciti inerenti anche le vicende del singolo rapporto e non la legittimazione del singolo agli
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 805
tivi, cit., p. 37 s.
104 Cfr. ad esempio DE NOVA, G., I contratti dei consumatori tra novella al codice civile,
art. 3 l. n. 218/1998, cit., p. 397, seguito da MINERVINI, E., La tutela collettiva dei consumatori
in materia contrattuale, cit., p. 486, che rileva come la formula «atti e comportamenti lesivi
degli interessi dei consumatori e degli utenti» prevista dall’art. 3, comma 1, lett. a), l. 281/98,
abbia carattere «omnicomprensivo»; ID., I contratti dei consumatori e la l. 30 luglio 1998 n.
281, cit., p. 940.
106 CONTI, R., Ai nastri di partenza l’inibitoria a tutela degli interessi collettivi ex art. 3 l.
n. 218/1998, cit., p. 394; MINERVINI, E., La tutela collettiva dei consumatori in materia con-
trattuale, cit., p. 481.
107 Sede in cui appunto è sorta per la prima volta la tesi del parallelismo delle azioni,
p. 122 ss., spec. p. 133 ss. Nello stesso senso si orienta ARMONE, G.M., La tutela inibitoria,
cit., p. 738. Cfr. anche CHINÈ, G., Legittimazione ad agire (art. 3), cit., il quale, da un lato (p.
36 s.), evidenza la plurioffensività del comportamento antigiuridico, pur nella non interscam-
biabilità dell’azione individuale con l’azione collettiva in ragione dei diversi petita e causae pe-
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 807
109 Che questa fosse una prospettiva suggestivamente apertasi agli occhi degli studiosi
non pare dubbio se si pensa che – come si ricorderà – la tesi del c.d. «doppio binario», so-
stenuta in materia di rapporti tra azione collettiva del consigliere di parità ed azioni indivi-
duali delle lavoratrici discriminate, aveva individuato proprio nella (presunta) mancata plu-
rioffensività della condotta imprenditoriale l’argomento effettivamente centrale per sostenere
l’eteronomia degli interessi tutelati superando la concezione sostitutiva dell’azione collettiva
(cfr. retro, cap. VIII, in particolare la tesi di Rapisarda). Ma, per altro verso, che questa stessa
prospettiva potesse essere al contrario evitata (anche a fronte del diverso sistema di tutele
processuali introdotte con la l. 281 rispetto agli artt. 1469 bis ss. c.c.), è comunque piena-
mente comprensibile alla luce del dibattito dottrinale in materia di azione di repressione della
condotta antisindacale. Qui, come visto, sebbene un primo orientamento (ancora di origine
processualcivilistica) avesse dato ampio sviluppo al tema della natura plurioffensiva della con-
dotta antigiuridica (cfr., retro, cap. VII, in particolare, la tesi di Lanfranchi), gran parte degli
studiosi non esitarono – per la verità attraverso strumenti argomentativi nemmeno esaminati
e giammai riproposti dalla omologa dottrina in materia di azioni collettive a tutela dei consu-
matori (dottrina al contrario prevalentemente disinteressata al dibattito relativo all’azione ex
art. 28 S.L.) – a concepire l’azione sindacale come fondamentalmente autonoma e indipen-
dente rispetto a quella individuale proprio in virtù di un interesse collettivo perseguito di-
stinto dal parallelo interesse individuale.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 809
alla posizione espressa da LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della
luna, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, cit., e ciò in particolare per
le riflessioni avanzate con risolutezza dall’A. avverso la concezione «oggettiva» dell’interesse
collettivo ed anche per l’essere protesa, detta posizione ricostruttiva, più in una prospettiva
sistematico-generale di tutela giurisdizionale degli interessi sovraindividuali, che in una pro-
810 CAPITOLO DECIMO
spettiva limitata all’esame dei rimedi collettivi esaminati in questo capitolo. Cfr. infatti, i ri-
chiami di questa dottrina operati specie in sede di cap. III.
113 Ci riferiamo al saggio di PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova
disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n.
281), cit.
114 PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), cit., p. 175.
115 PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), cit., p. 183.
116 PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei con-
sumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), cit., p. 135, nota 16.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 811
117 Così, DI FAZZIO, G., Tutela dell’interesse collettivo dei consumatori, cit., p. 1012. Al-
l’atipicità del contenuto rinvia in genere la dottrina: cfr. ad es. DE NOVA, G., I contratti dei
consumatori tra novella al codice civile, legge sulle associazioni dei consumatori e Trattato di
Amsterdam, cit., p. 17; CONTI, R., Ai nastri di partenza l’inibitoria a tutela degli interessi col-
lettivi ex art. 3 l. n. 218/1998, cit., p. 393, che evidenzia il superamento di una visione dina-
mica ancorata al mero accertamento dell’illiceità della condotta a favore di una funzione di-
namica in cui al giudice è affidata la determinazione delle «modalità […] che eliminino per il
futuro gli effetti dannosi cagionati al consumatore»; BENUCCI, S., La disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti, cit., p. 181; CHINÈ, G., Legittimazione ad agire (art. 3), cit., p. 51 s.;
PALMIGIANO, A. - VECCHIO VERDERAME, S., La legge n. 281 del 1998, La cd. «carta dei diritti del
consumatore» e la nuova tutela inibitoria, cit., p. 83 s.
118 Questo rincorrersi di varie qualificazioni volte ad evidenziare in generale la funzione
di ripristino dello status quo ante, è ben evidenziato da MINERVINI, E., La tutela collettiva dei
consumatori in materia contrattuale, cit., p. 505.
812 CAPITOLO DECIMO
122 Ci riferiamo al già citato saggio di PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva
nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l.
30.7.1998, n. 281), cit., in particolare p. 144 ss.
123 Così, PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti
dei consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), cit., p. 153. Ol-
tre all’opinione ora richiamata, altre posizioni sono forse orientate nel medesimo senso. Pre-
mettendo che, sovente, la stessa classificazione e collocazione delle diverse opinioni sulla que-
stione specifica in esame non è ciò che propriamente si potrebbe definire agevole, se la ra-
gione ancora ci sorregge, la posizione appena accennata – ovvero l’orientamento favorevole
ad ammettere anche la condanna al risarcimento del danno in sede di giudizio collettivo –
sembra essere seguita da BENUCCI, S., La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti,
cit., p. 181-182. A favore del rimedio risarcitorio, pur nella perplessità circa la formulazione
del testo di legge, v. anche GRANIERI, M., Contratti dei consumatori: verso una stabilizzazione
degli strumenti di tutela?, in Danno e resp., 1998, p. 920; BELLI, C., Articoli 139-140, in Codice
del consumo, Commentario del d.legs. 6 settembre 2005, n. 206, cit., p. 542 s. Menzione a
parte merita la proposta di ACCIARI, M., Azione collettiva e art. 278, I, c.p.c.: spunti per una tu-
tela risarcitoria in sede collettiva, in www.diritto.it, per il quale sarebbe possibile in via inter-
pretativa ammettere la condanna generica al risarcimento del danno ex art. 278, comma 1,
c.p.c.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 815
legali che la norma prevede, per chi costituisce una situazione favo-
revole?
Per le associazioni o per la collettività dei consumatori o più preci-
samente per tutti coloro che operano sul mercato in tale veste?
Posto, quindi, che evidentemente, i destinatari della tutela sono i
consumatori e non le associazioni, che appunto – come si suol dire in
senso giustamente atecnico – li rappresentano, il problema torna ad es-
sere la natura dell’interesse collettivo; e più precisamente e di nuovo, o
tale interesse è inteso in senso unitario o come insieme di interessi indi-
viduali concorrenti.
Visto che peraltro, come detto in questa sede e altrove, deve rite-
nersi corretta solo la seconda opzione, allora l’osservanza dell’obbligo tu-
tela gli interessi individuali compatibili e concorrenti dei consumatori e,
guardando al fenomeno – per così dire – alla rovescia, l’inosservanza del-
l’obbligo lede parimenti gli interessi appena menzionati.
Le osservazioni tese a rimarcare la natura preventiva del rimedio o
la mancata lesività in senso tecnico della condotta antigiuridica sono
dunque semplicemente inconferenti (la prima) o propriamente non cor-
rette (la seconda).
Per ciò che riguarda la lesività del comportamento occorre non
confondere illecito e responsabilità civile. Nel nostro caso ciò che inte-
ressa è solo la prima ipotesi, ovvero verificare chi sia leso dall’inosser-
vanza dell’obbligo. E questo discorso, a contrario, rimanda alla determi-
nazione di quale sia l’interesse tutelato dall’osservanza dello stesso e alle
conseguenze – poc’anzi indicate – che a tale operazione conseguono.
Per ciò che, invece, riguarda la natura preventiva della tutela appre-
stata, questa può essere intesa solo in senso atecnico, ovvero per riferirci
ad un fenomeno che pre-viene un altro. Più distesamente: potremmo
parlare di natura preventiva della tutela solo se essa potesse essere atti-
vata prima dell’illecito, ovvero anche in assenza della violazione di un ob-
bligo. Ma è di tutta evidenza che questa situazione non è quella con cui
abbiamo a che fare. Difatti, sui soggetti prima richiamati gravano doveri
di comportamento in senso tecnico e non suggerimenti che il legislatore
invia loro.
Ci troviamo, anche qui, di fronte ad una delle mille distorsioni che
derivano da un’impostanzione di studio del diritto condotta guardando
dal punto di vista del diritto soggettivo come entità pseudo-corporea che
è predicato di un soggetto piuttosto che dal punto di vista dell’obbligo129.
Odorisio, Pagni, avanzate in riferimento all’inibitoria generale sulla base degli indici testuali
addietro richiamati. Ma la nostra posizione estende questa conclusione anche in riferimento
all’azione inibitoria in materia di clausole generali vessatorie. In questo senso, v. già la lettura
ricostruttiva proposta da Lanfranchi (cfr. retro, spec. nota 78).
822 CAPITOLO DECIMO
133 Cioè non in senso propriamente assiologico, ma come riferibilità soggettiva dell’ob-
bligo al soggetto tutelato. Cfr. retro, cap. V, § 2.5.4.3.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 823
nita «suppletiva»: cfr. PUNZI, C., Repressione della condotta antisindacale: b) Profili di diritto
processuale, in Commentario dello statuto dei lavoratori, diretto da U. Prosperetti, II, Milano,
1975, p. 966 ss., spec. 972 s.; ID., La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi
collettivi, cit., p. 37 s.
824 CAPITOLO DECIMO
ch’esso con quello dei consumatori rispetto alla unica situazione favore-
vole rappresentata dall’osservanza dell’obbligo.
Da ciò deriva la conseguenza che sia la posizione del singolo consu-
matore, sia la posizione dell’ente esponenziale rispondono pienamente
alla tecnica giuridica del diritto soggettivo137; tecnica, appunto, in cui un
certo interesse sostanziale viene ad essere soddisfatto vincolando i com-
portamenti umani con l’imposizione di obblighi ed attribuendo l’azione
al titolare di tale interesse. Per dirla con altre parole, tanto i singoli con-
sumatori, quanto gli enti esponenziali sono legittimati ad agire, ovvero le-
gittimati a porre in essere quel comportamento normativamente tipizzato
(proposizione della domanda ecc.) che costituisce in capo al giudice il
dovere di accertare l’obbligo imposto a tutela del loro interesse.
Come in altri ambiti di tutela, dunque, il richiamo di figure qualifi-
catorie particolari ed inconsuete – che trovano la loro origine non in con-
notazioni strutturali tipiche, ma nella necessità di dare giustificazione
dogmatica a situazioni che sovente appaiono eccezionali o che comunque
non sembrerebbero agevolmente riconducibili nei contenitori classifica-
tori di sintesi elaborati sulla base dell’osservazione dei fenomeni tradizio-
nalmente più noti all’esperienza giuridica – è privato sostanzialmente di
significato138.
Non c’è bisogno quindi di ricorrere al concetto di mera azione, di
azione giudiziaria, di legittimazione sui generis. Ed anche il concetto di le-
gittimazione straordinaria, va inteso correttamente, ovvero come mero cri-
terio di determinazione del legittimato ad agire e non come fenomeno giu-
ridico dotato di una propria essenza e autonomia sul piano formale; l’ente
esponenziale, infatti, è titolare di un suo proprio diritto soggettivo139.
mento alla posizione dei singoli consumatori o con riguardo alla nozione di interesse collet-
tivo. Anche se si preferisse non aderire alle considerazioni ricostruttive svolte in merito alle
questioni ora indicate non par dubbio che la posizione giuridica dell’associazione è e rimane
quella del diritto soggettivo proprio. Sul piano sostanziale abbiamo doveri di comportamento
tesi al soddisfacimento di interessi e sul piano processuale abbiamo poteri di attivazione del-
l’intervento giurisdizionale rimessi alla piena libertà ed autonomia di un soggetto (in questo
caso collettivo). Ed anche l’ulteriore qualificazione del diritto attribuito all’organismo sociale
come «collettivo» non cambia nulla sul piano strettamente giuridico, in quanto comunque, se
si mettono nell’ombra – come fa la dottrina e la giurisprudenza dominante – gli interessi dei
singoli consumatori, l’unico interesse giuridicamente rilevante è quello dell’associazione. Se
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 825
non fosse che la formula dell’interesse occasionalmente protetto proprio non ci piace, di-
remmo che seguendo questa via gli interessi dei consumatori sono in realtà occasionalmente
protetti, intendendo dire con ciò che, in caso di violazione degli obblighi sostanziali imposti
alle parti professionali, l’ordinamento giuridico si muove a protezione degli stessi solo se così
desiderano le associazioni professionali. Ciò, per dirla più correttamente, non sono protetti.
Viene in altri termini a rompersi quel rapporto di corrispondenza tra interesse e soddisfaci-
mento la cui sussistenza il diritto garantisce allorché assuma un interesse tra quelli meritevoli
di tutela. In conclusione – come visto al cap. V, § 2.5.3. – non vi sono alternative: o l’interesse
di un certo soggetto è tutelato ed allora (quantomeno anche) a questi spetta il potere di pro-
vocare l’attivazione degli strumenti che riparano l’inosservanza degli obblighi posti a tutela di
detto interesse, o quell’interesse non riceve tutela giuridica poiché l’ordinamento «non ri-
sponde» alla sua eventuale violazione fatta valere in via giudiziale da colui che si propone
come titolare di detto interesse. Se si ritiene che solo le associazioni siano legittimate ad agire
– in assenza di meccanismi che garantiscano l’esercizio dell’azione in presenza di illeciti
(azione pubblica) – l’interesse tutelato non può che essere esclusivamente il loro e non quello
dei consumatori.
140 Sulle disposizioni in questione ed in particolare sulla corretta interpretazione da at-
tribuire alle previsioni ora presenti all’art. 2 del c. cons. v., tra gli altri, ALPA, G., La legge sui
diritti dei consumatori, cit., p. 999 s., ID., La nuova disciplina dei diritti dei consumatori, cit.,
p. 1314 ss., ID., Art. 1 (Finalità ed oggetto), in I diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 3
ss., spec. p. 17 ss.; CAMERO, R. - DELLA VALLE, S., La nuova disciplina dei diritti del consuma-
tore, cit., p. 68 ss.; MAZZAMUTO, S. - PLAIA, A., Provvedimenti inibitori a tutela del consuma-
tore: la legge italiana 30 luglio 1998, n. 281 e la direttiva 98/28/CE, cit., p. 669 ss.; COLA-
GRANDE, R., Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 705 ss.; BENUCCI, S., La
disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 134, 174 ss.; ID., Art. 2, in Codice del
consumo, a cura di G. Vettori, cit., p. 23 ss.; VETTORI, G., Art. 1, ivi, p. 3 ss., ma spec. p. 18 ss.
826 CAPITOLO DECIMO
141 Se si seguisse questa strada – ad esempio – per ricavare il concetto di diritto sog-
gettivo dalle occasioni in cui questo termine ricorre nei testi di legge, l’amplissima pluralità di
significati con cui esso è impiegato paralizzerebbe l’interprete impedendo qualsiasi opera di
razionalizzazione sistematica e di intellezione concettuale dei simboli linguistici impiegati. Per
avere una esemplificazione di ciò che si intende si prenda l’analitica indicazione dei diversi si-
gnificati di diritto soggettivo ricorrono nel codice civile presente in CASSARINO, S., Le situa-
zioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, p. 122 ss.
142 Cfr. ad es. LANFRANCHI, L., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna,
cit., p. XL, che a tal riguardo parla di «affastellamento di situazioni giuridiche soggettive».
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 827
143 Come visto, un’impostazione in parte simile a quella avanzata nel testo è stata pro-
posta da Giussani ma con esclusivo riferimento agli effetti delle azioni esercitate dagli enti
esponenziali nei confronti delle altre associazioni legittimate (cfr. retro, § 3.2.2.3.).
144 Cfr. retro, cap. VI, §§ 5.4.2. e 5.4.3.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 829
conda del valore in gioco che i singoli studiosi hanno ritenuto opportuno
privilegiare.
Per dirla con altre parole, ciò che si intende porre in evidenza è il
fatto che – sebbene talora in relazione al coordinamento delle legittima-
zioni rappresentative, o in riferimento alla possibile estensione dell’effi-
cacia della declaratoria di abusività di una clausola generale nei confronti
dei singoli consumatori, o ancora in relazione al coordinamento tra
azione spettante all’ente rappresentativo ed azione eventualmente rico-
nosciuta ai singoli – in fin dei conti ciò che ha veramente contato, più che
le scelte tecniche specifiche, se non anche le specifiche problematiche da
risolvere, è stato il voler assegnare prevalenza o al diritto di difesa del
professionista, evitando che possa essere vessato dal ripetuto esercizio
dell’azione da parte dei diversi legittimati, o al massimo spiegamento
della libertà di azione spettante agli stessi.
Guardando, insomma, il dibattito in questa prospettiva, le questioni
particolari sfumano innanzi alle scelte di valore operate a monte.
Semplificando, dunque, un primo ampio orientamento è costituito
dalle tesi dimostratesi propense a scongiurare aggravamenti della posi-
zione processuale della parte imprenditoriale; e tale obiettivo – esclu-
dendo a priori l’impiego del regime processuale previsto dall’art. 102
c.p.c.145 – è apparso ovviamente raggiungibile mediante l’estensione erga
omnes degli effetti della sentenza.
Questo percorso interpretativo ha riscontrato buon successo in ma-
teria di azione inibitoria ex art. 1469 sexies c.c., sia in riferimento agli ef-
fetti del giudicato sul potere di azione spettante agli altri enti esponen-
ziali legittimati146, sia in riferimento – come meglio vedremo – alla possi-
145 La cornice generale entro cui inserire il dibattito in materia è segnata dall’impossi-
bilità di garantire una dimensione del contraddittorio aderente alle dimensioni del conflitto
di interessi; impossibilità vividamente rappresentata dalla costante attenzione degli studiosi
nel girare – per così dire – a largo da istituti quali il litisconsorzio necessario, talora effettiva-
mente nemmeno nominato e quasi cancellato dal codice di rito (tra i pochi che si interrogano
sull’utilizzabilità del regime processuale richiesto dall’art. 102 c.p.c. nella materia in que-
stione, v. GIUSSANI, A., Considerazioni sull’art. 1469 sexies c.c., cit., p. 333) o dagli istituti che
ne avrebbero potuto evocare l’applicazione: in primo luogo la sostituzione processuale. Lo
evidenzia correttamente ARMONE, G.M., La tutela inibitoria, cit., p. 737; sul punto v. le osser-
vazioni svolte retro, alla nota 80.
146 LIBERTINI, M., Prime riflessioni sull’azione inibitoria dell’uso di clausole vessatorie
(art. 1469-sexies c.c.), cit., p. 567; TARZIA, G., La tutela inibitoria contro le clausole vessatorie,
cit., p. 639 ss.; cui adde, DANOVI, F., L’azione inibitoria in materia di clausole vessatorie, cit., p.
1073 s.; SAPIO, G., L’inibitoria ex art. 1469-sexies c.c. tra problemi risolti e questioni ancora
aperte, cit., p. 248-249.
830 CAPITOLO DECIMO
147 LIBERTINI, M., Prime riflessioni sull’azione inibitoria dell’uso di clausole vessatorie
(art. 1469-sexies c.c.), cit., p. 567; ARMONE, G.M., Art. 1469-sexies (Azione inibitoria), cit., p.
247 ss., che, come già detto, nel ritenere che l’associazione eserciti l’azione in via sostitutiva,
afferma che tutti i consumatori subiscano gli effetti dell’accertamento, ma non come esten-
sione ultra partes degli effetti del giudicato, ma come parti in senso sostanziale del giudizio;
tesi peraltro ribadita dallo stesso ID., La tutela inibitoria, cit., p. 737; e successivamente se-
guita, sebbene in riferimento all’inibitoria generale, da BELLI, C., Articoli 139-140, in Codice
del consumo, Commentario del d.legs. 6 settembre 2005, n. 206, cit., p. 550 in nota.
148 GIUSSANI, A., La tutela di interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei con-
639 ss., che, richiamando Liebman e avanzando un argomento in effetti frequentemente uti-
lizzato in questo ambito di studio, paventa il rischio di un’eccessiva esposizione del profes-
sionista, accentuato dall’assenza di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione sulla
falsa riga di quello previsto in materia di impugnazione assembleari. Sul punto, v. peraltro le
osservazioni contrarie di CHIARLONI, S., Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consu-
matori, cit., p. 394; ID., Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori, cit.,
p. 575, che reputa ben difficile la riproposizione dell’azione da parte di altri legittimati a se-
guito di un precedente giudiziario di esito negativo, se non in presenza di effettive lacune
nella conduzione del processo originario. Valutazione, quest’ultima, che sul piano dell’op-
portunità convince anche in riferimento ad un modello – come il nostro – privo di congrui
incentivi posti a vantaggio delle associazioni dei consumatori e che vale ancor più in riferi-
mento alle preoccupazioni relative ad una possibile legittimazione ad agire appartenente an-
che ai singoli consumatori, i quali, se faranno esercizio del loro potere di azione a tutela del-
l’interesse collettivo, ben se ne guarderanno a fronte di tentativi già esperiti infruttuosamente.
150 Così, ad esempio, per LIBERTINI, M., Prime riflessioni sull’azione inibitoria dell’uso di
clausole vessatorie (art. 1469-sexies c.c.), cit., p. 567. Negando, infatti, la configurazione del-
l’oggetto dell’accertamento in termini di rapporti bi- o pluri-soggettivi intercorrenti tra i sog-
getti divenuti parte del processo, la natura dell’attività giurisdizionale svolta ha evidente-
mente implicato – quantomeno parzialmente – il superamento della problematica relativa alla
perimetrazione soggettiva degli effetti della sentenza.
151 È evidentemente la teoria avanzata da FABBRINI, G., Contributo alla dottrina dell’in-
tervento adesivo, 1964, p. 183 ss., su cui v. le riflessioni svolte retro, nel capitolo VI, spec. nota
159, richiamata in particolare da Tarzia e Giussani, nei lavori poc’anzi citati.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 831
152 Così, GIUSSANI, A., La tutela di interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori, cit., p. 1062-1063, in relazione all’art. 3 della l. 281/98 e prendendo spunto dalla
posizione espressa da MONTESANO, L., Tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e dei
concessionari di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e sulle autorità
di regolazione, cit., spec. p. 10-11, in riferimento all’azione ex art. 1469 sexies c.c.
153 In relazione all’inibitoria in materia di clausole abusive: v. CONSOLO, C., in CONSOLO,
C. - DE CRISTOFARO, M., Clausole abusive e processo, p. 481 ss.; FERRI, C., L’azione inibitoria
prevista dall’art. 1469-sexies c.c., cit., p. 941 s.; FRIGNANI, A., L’azione inibitoria contro le clau-
sole vessatorie (considerazioni «fuori dal coro» di un civilista), cit., p. 1011; GIUSSANI, A., Con-
siderazioni sull’art. 1469 sexies c.c., cit., spec. p. 335, ma v. anche le precisazioni alla nota 42;
LAPERTOSA, F., Profili processuali della disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con il
consumatore, cit., p. 725; CAPOBIANCO, E., Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori,
cit., p. 217; PETRILLO, C., L’azione inibitoria a tutela dei consumatori ed utenti ex art. 1469
sexies c.c., cit., p. 167; PUNZI, C., La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi
collettivi, cit., p. 31 e 40; CHIARLONI, S., Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consu-
matori, cit., p. 393; MINERVINI, E., La tutela collettiva dei consumatori in materia contrattuale,
cit., p. 535.
154 Come si è dice nel testo il pieno rispetto del principio di relatività del giudicato ha
trovato riconoscimento anche in materia di inibitoria generale nei rapporti tra l’azione del-
l’ente esponenziale e l’azione del singolo consumatore, ma non sempre questa ricostruzione si
è collocata in un modello costruito attorno all’effettivo concorso di legittimazioni, quanto,
piuttosto, in un modello fondato sulla piena autonomia dei rimedi collettivi rispetto a quelli
individuali, astretti eventualmente da tenuti vincoli di connessione impropria. Acquisendo
come criterio di classificazione la mera negazione di possibili fenomeni di estensione del giu-
dicato emesso in sede collettiva nei confronti dei singoli consumatori, si tengano presenti i
contributi che seguono: GIUSSANI, A., La tutela di interessi collettivi nella nuova disciplina dei
diritti dei consumatori, cit., p. 1062; CARRATTA, A., Brevi osservazioni sull’inibitoria a tutela di
832 CAPITOLO DECIMO
consumatori e utenti, cit., spec. p. 137, nonché quanto riportato retro, alla nota 99); PUNZI, C.,
La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, cit., p. 40; GIUSSANI,
A., I torti della Fiat verso i consumatori: la giustizia civile richiama le Dedra difettose, cit., p.
82; MINERVINI, E., La tutela collettiva dei consumatori in materia contrattuale, cit., p. 533. Cfr.
anche EVANGELISTA, S., Le nuove frontiere della tutela dei consumatori e degli utenti: qualche
considerazione a margine di un recente provvedimento, in Gazzetta giuridica, 1998, p. 34 ss.,
ma spec., p. 37; MINERVINI, E., La tutela collettiva dei consumatori in materia contrattuale, cit.,
p. 505 ss.; ID., I contratti dei consumatori e la l. 30 luglio 1998 n. 281, cit., p. 944; CAMERO, R.
- DELLA VALLE, S., La nuova disciplina dei diritti del consumatore, cit., p. 184 ss., ma spec. p.
186; CHINÈ, G., Legittimazione ad agire (art. 3), cit., p. 57; CARRATTA, A., Brevi osservazioni
sull’inibitoria a tutela di consumatori e utenti, cit., p. 137 PETRILLO, C., L’azione inibitoria a tu-
tela dei consumatori ed utenti ex art. 1469 sexies c.c., cit., p. 171.
155 Sul concorso soggettivo di azioni, v. le note pagine di LIEBMAN, E.T., Azioni concor-
renti (1935) e Pluralità di legittimati all’impugnazione di un unico atto (1937), saggi ripubbli-
cati in Problemi del processo civile, Napoli, 1962, p. 54 ss e 64 ss.; su cui, peraltro, v. le rifles-
sioni svolte retro, cap. VI, nota 104.
156 TOMMASEO, F., Art. 1469-sexies, cit., p. 785 ss., ma spec. p. 788 ss. V. anche BELLELLI,
A., Art. 1469-sexies, Azione inibitoria, I, La tutela inibitoria, cit., p. 1272; cui adde, più di re-
cente, CHIARLONI, S., Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori, cit., p. 397; ID.,
Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori, cit., p. 575; MARINUCCI, E.,
Azioni collettive e azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consumatori, cit., p. 158 ss.;
MARENGO, R., Garanzie processuali e tutela dei consumatori, cit., p. 152 s. Al risultato pratico di
vincolare il singolo unicamente al giudicato collettivo favorevole, giunge anche LAPERTOSA, F.,
Profili processuali della disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con il consumatore, cit.,
p. 724 ss., ma percorrendo un itinerario dimostrativo assai opinabile: si sostiene, infatti, che
l’associazione nella sostanza rappresenti l’intera categoria e che dunque i consumatori siano
terzi solo in senso formale, ma parti in senso sostanziale (cfr. similmente Armone). Da ciò la
sentenza contenente l’ordine di non usare le clausole di riconosciuta abusività investirebbe i
consumatori nella loro veste di parti e non per estensione. Peraltro, avendo la sentenza ad og-
getto l’ordine di inibizione, in caso di rigetto, proprio il non aver ottenuto la pronuncia del-
l’ordine di inibizione, impedirebbe che la sentenza produca effetto nei confronti dei consu-
matori. In realtà la prospettiva in cui si muove l’A. è fuorviante. Il punto è verificare se il con-
sumatore possa giovarsi in sede di giudizio individuale, non dell’ordine inibitorio, ma
della dichiarazione di abusività e ciò appunto al fine di far dichiarare inefficace la clausola in-
serita nel contratto. Che il consumatore possa giovarsi del giudicato sull’obbligo di astenersi
dall’impiego della clausola poco importa se ciò non si traduce in termini di inefficacia della
clausola all’interno del regolamento contrattuale oggetto del giudizio individuale. Ancora a fa-
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 833
dei consumatori ora disciplinata dall’art. 140 del codice del consumo157.
Dal nostro punto di vista, dunque, come già visto su un piano di rifles-
sione generale, è questa l’opzione relativamente preferibile in termini di
scelte di valore. Tale regime degli effetti innalza il tasso di effettività del
rimedio processuale esercitato, favorisce l’economia dei giudizi, evita in-
giustificate compressioni del diritto di azione dei diversi legittimati e,
adiuvato dall’opportuno impiego di strumenti processuali, quali la chia-
mata in causa del terzo su domanda di parte o iussu iudicis, può impedire
un eccessivo inasprirsi della posizione processuale del preteso autore del-
l’illecito158.
vore del giudicato secundum eventum litis, v. TULLIO, A., Il contratto per adesione, Milano,
1997, p. 197 s.
157 PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), cit., p. 164 ss.; BE-
NUCCI, S., La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 185 s.; ODORISIO, E., La
tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e degli utenti: concorso di azioni e «giusto pro-
cesso» civile, cit., p. 491 ss. Similmente BELLELLI, A., Art. 1469-sexies, Azione inibitoria, I, La
tutela inibitoria, cit., p. 1271.
158 La questione è stata trattata retro, al cap. VI, allorché abbiamo esaminato il pro-
blema dei limiti soggettivi del giudicato in una prospettiva generale. Per quel che riguarda il
tema tutela dei consumatori, se, da un lato, ovvero in riferimento alla specifico punto dell’e-
stensione o meno degli effetti del giudicato, il dibattito scientifico si è sovente diviso tra effi-
cacia erga omnes del giudicato e principio di relatività dello stesso, dall’altro, la dottrina ha
invitato all’impiego di tutti gli strumenti processuali che fossero in grado di rendere più ela-
stica la disciplina processuale e di contemperare al meglio i diversi valori in gioco. Gli stru-
menti tecnici impiegati sono stati appunto: a) la chiamata in causa su istanza di parte o per
ordine del giudice (all’interno di cornici ricostruttive pur diverse, in relazione ai collegittimati
collettivi ex art. 1469 sexies c.c., cfr. ad es. TARZIA, G., La tutela inibitoria contro le clausole
vessatorie, cit., p. 638; contra, MONTESANO, L., Tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori
e dei concessionari di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e sulle au-
torità di regolazione, cit., spec. p. 8-9; in riferimento, invece, ai colegittimati ex art. 3 l. 281/98
e ai singoli consumatori ed utenti, PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova
disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n.
281), cit., p. 169 e 181; BENUCCI, S., La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit.,
p. 186 s.; ODORISIO, E., La tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e degli utenti: con-
corso di azioni e «giusto processo» civile, cit., 504; così, anche CARRATTA, A., Brevi osservazioni
sull’inibitoria a tutela di consumatori e utenti, cit., p. 131, allorché si ritenesse estendere il giu-
dicato alle altre associazioni legittimate); b) la notificazione per pubblici proclami (MONTE-
SANO, L., Tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e dei concessionari di servizi di pub-
blica utilità nelle normative sulle clausole abusive e sulle autorità di regolazione, cit., p. 11, per
ciò che riguarda la chiamata in causa dei soggetti legittimati non facilmente identificabili;
CARRATTA, A., Brevi osservazioni sull’inibitoria a tutela di consumatori e utenti, cit., p. 131; in
relazione alla chiamata in causa dei singoli consumatori ed utenti, v. PAGNI, I., Tutela indivi-
duale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (Prime
riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), cit., p. 181; ODORISIO, E., La tutela giurisdizionale
dei diritti dei consumatori e degli utenti: concorso di azioni e «giusto processo» civile, cit., 504)
834 CAPITOLO DECIMO
o secondo le forme ordinate dal giudice (in questo senso, v. TARZIA, G., La tutela inibitoria
contro le clausole vessatorie, cit., p. 638, che in relazione all’art. 1469 sexies c.c., ha ritenuto
applicabile l’art. 151 c.p.c. anziché l’art. 150 c.p.c. per la mancanza di una espressa disposi-
zione di legge che per il rimedio in esame preveda il ricorso alla notificazione per pubblici
proclami); forme di notificazione, peraltro, riferite – a seconda delle diverse prospettive – al-
l’atto introduttivo o all’atto di chiamata in causa (cfr. ancora TARZIA, G., La tutela inibitoria
contro le clausole vessatorie, cit., p. 638, che proprio per il riferirsi non alla chiamata in causa
del terzo, ma alla pubblicità dell’atto introduttivo, evidenzia la problematicità dell’impiego
dello strumento per l’esser rivolta la notificazione ex art. 151 c.p.c., non a rendere nota la ci-
tazione ai destinatari della domanda, ma unicamente a rendere nota la pendenza del processo
a coloro che desiderino intervenire nello stesso); c) l’applicazione delle regole proprie del li-
tisconsorzio unitario (in relazione all’intervento volontario del colegittimato ex art. 1469
sexies c.c., v. ancora, TARZIA, G., La tutela inibitoria contro le clausole vessatorie, cit., p. 638,
che appunto richiama la nozione, come visto, di azione unica plurisoggettiva; contra, le tesi
favorevoli al concorso soggettivo di azioni: cfr., ad es. GIUSSANI, A., Considerazioni sull’art.
1469 sexies c.c., cit., p. 337; in materia di concorso tra azione collettiva e azione individuale,
la tesi in esame è stata proposta, come agevolmente si comprenderà, dalle posizioni favorevoli
ad ammettere una contitolarità della situazione soggettiva tutelata in capo alle associazioni e
ai consumatori, v., infatti, in relazione al giudizio collettivo ora previsto dall’art. 140 c. cons.,
PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori
e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), cit., p. 169 e 181; sempre in re-
lazione al rapporto tra azione collettiva ed azione individuale, invece, detta soluzione è stata
evidentemente esclusa da coloro che riducono al minimo gli elementi di oggettiva interfe-
renza tra i giudizi e che, negando la possibile identità tra le due azioni di causa petendi e pe-
titum, ravvedono tra i giudizi unicamente la sussistenza di un tenue vincolo di connessione
oggettiva impropria: cfr. GIUSSANI, A., Considerazioni sull’art. 1469 sexies c.c., cit., p. 337,
mentre, in riferimento all’azione ex art. 140 c. cons., basti vedere le opinioni riportate retro,
nota 154); d) il ricorso al rimedio a carattere successivo previsto dall’art. 404 c.p.c. (in rela-
zione ai colegittimati collettivi ex art. 1469 sexies c.c., v. MONTESANO, L., Tutela giurisdizionale
dei diritti dei consumatori e dei concessionari di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle
clausole abusive e sulle autorità di regolazione, cit., p. 8, che ammette l’esercizio dell’opposi-
zione ordinaria; cfr. anche CARRATTA, A., Brevi osservazioni sull’inibitoria a tutela di consuma-
tori e utenti, cit., p. 131, in riferimento all’opposizione ex art. 404, comma 2, c.p.c.; MARI-
NUCCI, E., Azioni collettive e azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consumatori, cit.,
p. 152).
159 In questo senso, v. in particolare TOMMASEO, F., Art. 1469-sexies, cit., p. 785 ss., ma
spec. p. 788 ss., in cui con estrema chiarezza è evidenziata la priorità del valore relativo al ri-
spetto del diritto di difesa rispetto al valore costituito dal garantire, con l’estensione ultra par-
tes degli effetti, il risultato del processo e l’autorità della sentenza. Cfr. anche ODORISIO, E.,
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 835
La tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e degli utenti: concorso di azioni e «giusto
processo» civile, cit., p. 506, che rinvia alle posizione di Attardi e Menchini, su cui, v. retro,
cap. VI, nota 154.
160 Sul punto, la dottrina (MARINUCCI, E., Azioni collettive e azioni inibitorie da parte
delle associazioni dei consumatori, cit., p. 158 ss.) ha rimarcato come il richiamo del principio
del giudicato secundum eventum litis in relazione alla tutela degli interessi collettivi dei con-
sumatori ed in particolare in relazione all’art. 1469 sexies c.c. e all’art. 3 della l. 281/98, debba
essere operato procedendo dall’art. 1306 c.c. in via analogica piuttosto che diretta e ciò pro-
prio in relazione alla difficoltà di concepire – diversamente ad es. da quanto sostenuto da Pa-
gni – una posizione di contitolarità della situazione giuridica soggettiva. A nostro modo di ve-
dere, peraltro, per ciò che attiene agli effetti di accertamento relativi all’obbligo di astensione
reiterato in via di inibitoria, senza dover concepire posizioni di contitolarità di situazioni giu-
ridiche soggettive a noi non gradite dal punto di vista teorico, la disciplina prevista dal c.c.
per le obbligazioni solidali riceve di certo applicazione diretta, mentre ciò non accade – come
vedremo tra breve – in riferimento all’accertamento dell’abusività della clausola generale;
problematica sulla quale ora incide la disciplina del nuovo art. 140 bis c. cons.
836 CAPITOLO DECIMO
giudizi che li coinvolgono senza peraltro che questi siano vincolati al-
l’esito negativo del giudizio originario se non vi hanno preso parte161.
Ciò vale, quindi, tanto per l’accertamento dell’obbligo dell’impren-
ditore di astenersi dall’impiego di una certa clausola generale, quanto per
l’accertamento di altri e diversi obblighi negativi che siano fatti valere in
via inibitoria a fronte di condotte lesive degli interessi collettivi dei con-
sumatori ai sensi dell’art. 140 del codice del consumo.
161 Cfr. retro, cap. VI, § 5.4.2. ss. Ciò però non sta a significare la nostra adesione alla
lettura avanzata in dottrina tendente a rinvenire in capo alle associazioni rappresentative e ai
singoli consumatori una situazione giuridica sostanziale unica che abbia come oggetto un
bene di natura immateriale (cfr. ad es. PAGNI, I., Tutela individuale e tutela collettiva nella
nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, cit., p. 164 ss.; BELLELLI, A., Art.
1469-sexies, Azione inibitoria, I, La tutela inibitoria, cit., p. 1271). Una tesi simile l’abbiamo
ritrovata, mutatis mutandis in materia di tutela ambientale (cfr. retro, al cap. IX, § 3.4.3., la
posizione di Maddalena), ma, se in tale sede non ci ha persuaso, lo stesso vale con riferimento
alla tutela dei consumatori. Le ragioni che ci inducono a criticare tale impostazione sono, pe-
raltro, di impronta teorico-generale, ovvero la convinzione che non sia plausibile concepire
situazioni giuridiche soggettive attive da attribuire in contitolarità a più soggetti (cfr. retro,
cap. VI, spec. nota 159), e ciò poiché sul piano strutturale l’essenzialità della figura dell’ob-
bligo esclude il ricorso ad entificazioni di vario genere (diritto soggettivo o affini situazioni
giuridiche soggettive attive) da attribuire in titolarità a soggetti di diritto.
162 Cfr. DANOVI, F., L’azione inibitoria in materia di clausole vessatorie, cit., p. 1071 ss.;
FERRI, C., L’azione inibitoria prevista dall’art. 1469-sexies c.c., cit., p. 939 ss.; CONSOLO, C., in
CONSOLO, C. - DE CRISTOFARO, M., Clausole abusive e processo, p. 482-483; FRIGNANI, A., L’a-
zione inibitoria contro le clausole vessatorie (considerazioni «fuori dal coro» di un civilista), cit.,
p. 1014; GIUSSANI, A., Considerazioni sull’art. 1469 sexies c.c., cit., p. 337 ss.; MORETTI, C.,
Note in tema di efficacia soggettiva dell’azione inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies c.c., cit.,
p. 891; ROMAGNOLI, G., Clausole vessatorie e contratti d’impresa, cit., p. 106; TARZIA, G., La tu-
tela inibitoria contro le clausole vessatorie, cit., p. 642 ss.; CAPOBIANCO, E., Contrattazione ban-
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 837
caria e tutela dei consumatori, cit., p. 212 s.; SAPIO, G., L’inibitoria ex art. 1469-sexies c.c. tra
problemi risolti e questioni ancora aperte, in Giust. civ., 2000, I, p. 254 ss.; CARRATTA, A., Brevi
osservazioni sull’inibitoria a tutela di consumatori e utenti, cit., p. 137; PETRILLO, C., L’azione
inibitoria a tutela dei consumatori ed utenti ex art. 1469 sexies c.c., cit., p. 170; PUNZI, C., La
tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, cit., p. 31; MINERVINI, E.,
La tutela collettiva dei consumatori in materia contrattuale, cit., p. 532 ss. Così, anche
RUFFOLO, U., Le «clausole vessatorie», «abusive», «inique» e la ricodificazione negli artt. 1469-
bis-1469-sexies c.c., cit., p. 124 ss., che però ritiene possibile da parte del consumatore far va-
lere in giudizio l’inadempimento dell’obbligo di non fare imposto all’imprenditore a vantag-
gio dei singoli consumatori. Qui in sostanza la sentenza verrebbe ad assumere la veste di una
sorta di contratto a favore di terzo.
163 V. gli Autori citati alla nota che precede, ma, in particolare, v. le osservazioni di CAR-
BONARA, F., Gli interessi collettivi e diffusi e l’azione inibitoria dell’art. 1469 sexies c.c., cit.,
p. 475-476.
164 Ci riferiamo ovviamente alla tesi di Luigi Montesano sulla natura costitutiva del-
l’azione inibitoria, su cui, in particolare il saggio Problemi attuali su limiti e contenuti (anche
non patrimoniali) delle inibitorie, normali e urgenti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, p. 775 ss.
Per ulteriori riferimenti e considerazioni su questa impostazione ricostruttiva, v. retro, cap.
VI, § 5.2.2.
838 CAPITOLO DECIMO
di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e sulle autorità di regolazione,
cit., spec. p. 2-3 e 5.
167 MONTESANO, L., Tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e dei concessionari
di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e sulle autorità di regolazione,
cit., p. 5.
168 La tesi in esame è stata sostenuta da NICOTINA, G., Questioni processuali controverse
in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori, cit., p. 2223, e successivamente
sviluppata da CARBONARA, F., Gli interessi collettivi e diffusi e l’azione inibitoria dell’art. 1469
sexies c.c., cit., p. 480 ss.
169 MARINUCCI, E., Gli effetti della sentenza inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies c.c.,
cit., p. 241 ss.; ID., Azioni collettive e azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consuma-
tori, cit., p. 132 ss.
170 MARINUCCI, E., Gli effetti della sentenza inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies c.c.,
cit., p. 228 ss., ritenuta mancante la natura di «minima unità strutturale», ritiene che la que-
stione dell’abusività venga ad essere oggetto, all’interno del giudizio collettivo, di mera co-
gnizione incidentale in ordine alla pronuncia dell’ordine giudiziale. Ma v. infra, nota 176, il
successivo mutamento di opinione dell’A. in discorso.
171 Posta da un lato la prospettiva teorico-dogmatica proposta, la soluzione in esame
condurrebbe, quindi, come nelle tesi favorevoli ad estendere ultra partes l’efficacia di accer-
840 CAPITOLO DECIMO
tamento della sentenza collettiva, all’esito pratico di imporre un vincolo nei confronti del-
l’imprenditore e dei consumatori nei successivi giudizi individuali. Ma l’effetto della sentenza
collettiva sul giudizio individuale in questa concezione assumerebbe un regime affatto parti-
colare. Infatti, l’efficacia normativa della sentenza condurrebbe alla nullità dei singoli con-
tratti, indipendentemente dalle eventuali vicende contrattuali concrete. Non si precisa peral-
tro se tale regola si imponga come nuova norma giuridica sia in caso di esito favorevole sia in
caso di esito sfavorevole nei confronti dei consumatori. Valendo, infatti, il decisum come
nuova norma di legge e sostituendosi con la sua efficacia precettiva all’efficacia propria degli
artt. 1469 bis ss. c.c., questa si dovrebbe imporre alle parti nei loro futuri rapporti impedendo
un nuovo giudizio (concreto) sul carattere vessatorio della clausola (così, MARINUCCI, E., Gli
effetti della sentenza inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies c.c., cit., p. 243.) non fosse altro
che per il noto principio secondo cui la legge è uguale per tutti.
172 Diverse ed autorevoli voci si sono orientate favorevolmente in questo senso. Per le
sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori, cit., p. 396, il quale afferma che nel giudizio
sull’inefficacia della clausola rispetto alla concreta regolamentazione contrattuale, «il punto
pregiudiziale che il giudice è chiamato ad esaminare nei confronti dello stesso professionista
già convenuto e condannato nel processo collettivo è appunto l’abusività “in astratto”». Si-
milmente MARENGO, R., Garanzie processuali e tutela dei consumatori, cit., p. 152 e poi 160 s.,
che, sebbene in un primo momento parli di declaratoria di inefficacia, adombrando così
l’idea che l’accertamento dell’abusività comporti ex se la nullità della clausola in sede indivi-
duale, successivamente conferma la distinzione tra vessatorietà astratta e successivo giudizio
sulla clausola concretato dalle circostanze dello specifico rapporto contrattuale.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 841
174 Cfr. ancora CHIARLONI, S., Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori,
cit., p. 392; e amplius retro, cap. VI, § 5.2.2.
175 Cfr. le osservazioni svolte retro, cap. VI, § 5.2.3.
176 Cfr. ancora retro, cap. VI, § 5.2.3. Se l’accertabilità autoritativa dell’abusività della
clausola generale ha attratto l’attenzione della dottrina, pochi AA. hanno approfondito il pro-
blema dell’estensione del giudicato collettivo ottenuto in sede di inibitoria generale all’illecito
posto in essere dall’imprenditore. Sul tema, v. le osservazioni di MARINUCCI, E., Azioni collet-
tive e azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consumatori, cit., p. 149 s.: «Sappiamo
che, nell’ambito della tutela individuale, l’accertamento, per regola generale ricavabile dal-
l’art. 24 della Costituzione, può avere come oggetto diritti soggettivi, mentre solo in caso di
espressa previsione di legge, può avere come oggetto semplici situazioni giuridiche di carat-
tere prodromico, i semplici fatti (ancorché giuridicamente rilevanti) o la loro qualificazione
giuridica. Si tratta di un limite dettato probabilmente dal principio di economia dei giudizi
[…]. Orbene a me sembra che questo limite possa venire a cadere allorché una semplice si-
842 CAPITOLO DECIMO
tuazione giuridica coinvolga interessi collettivi. La macchina giudiziaria non può sempre met-
tersi in moto per accertare un singolo fatto o una singola situazione giuridica, ma può atti-
varsi allorché quel fatto o una singola situazione giuridica coinvolgano una collettività. È ciò
mi sembra tanto più vero se si considera che, in una controversia collettiva, non è possibile
l’accertamento di un diritto soggettivo. L’accertamento di un diritto soggettivo è possibile
solo se ne è individuato il titolare: non è consentito nel nostro sistema l’accertamento di un
diritto soggettivo in capo ad un numero imprecisato di persone. […] Si può a giusto titolo so-
stenere in questo caso che l’accertamento di mere situazioni giuridiche va ammesso perché è
una forma di tutela “insostituibile”. Insomma a mio avviso la rilevanza collettiva di una si-
tuazione giuridica può far assurgere quest’ultima ad un “rango” superiore, rispetto a quello
da essa rivestito in una controversia individuale. E per tale ragione essa dovrebbe poter dive-
nire oggetto di possibile accertamento». Di pari avviso sembrerebbero MARENGO, R., Garan-
zie processuali e tutela dei consumatori, cit., p. 139; CHIARLONI, S., Per la chiarezza di idee in
tema di tutele collettive dei consumatori, cit., p. 574, secondo cui, con la concessione dell’ini-
bitoria, «l’accertamento che la sorregge viene senz’altro a costituire la “minima unità struttu-
rale” capace di costituire l’oggetto di una sentenza civile»; MENCHINI, S., Azioni seriali e tu-
tela giurisdizionale: aspetti critici e prospettive ricostruttive, in www.judicium.it; contra, CAR-
RATTA, A., Effetti del giudicato e tutela collettiva, in Le azioni collettive in Italia, a cura di C.
Belli, Milano, 2007, p. 100 ss., ma spec. p. 114, che ritiene che il vincolo imposto al giudice
del giudizio individuale relativamente all’accertamento collettivo della responsabilità dell’im-
prenditore possa urtare con il principio costituzionale previsto dall’art. 101, comma 2, Cost.
177 Cfr. retro, § 3.2.2.4.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 843
178 Sul piano più propriamente esegetico diversi elementi hanno indotto parte della
dottrina ad accogliere favorevolmente una prospettiva di tal fatta: non solo la disposizione se-
condo cui l’azione dell’ente esponenziale non pregiudica le azioni individuali dei consumatori
che siano danneggiati dalle medesime violazioni, ma soprattutto le direttive funzionali-assio-
logiche emergenti da più passi della normativa; direttive indiscutibilmente ispirate al princi-
pio di effettività della tutela giurisdizionale previsto dal coordinato disposto degli artt. 24,
commi 1 e 2, e 3, comma 2, Cost. Determinante è apparso anche l’obiettivo enunciato dal-
l’art. 1 del codice di «assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti»; li-
vello che – forse è oramai ultroneo ricordarlo ancora – nella nostra materia impone (a causa
del disequilibrio che governa i rapporti tra professionista e consumatore) proprio l’amplia-
mento della sfera dei legittimati ad agire in ordine al rispetto degli obblighi legali imposti al-
l’imprenditore. Ma pari discorso è stato svolto anche in riferimento alla duplice dimensione
che viene ad essere assegnata ai diritti fondamentali dei consumatori, appunto tutelati «anche
in forma collettiva e associativa», o in riferimento all’ampia formula prevista dalla lett. a), del
primo comma dell’art. 140 del codice, laddove è previsto che l’ordine inibitorio sia diretto av-
verso tutti «gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti». Di
contro, altri argomenti hanno avvalorato la tesi contraria. Si pensi agli artt. 139, comma 1, e
140, comma 1, del codice del consumo, laddove l’inibitoria è riconosciuta agli enti esponen-
ziali espressamente a «tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti». Se-
guendo un’impostazione interpretativa di tenore letterale si è potuto, infatti, ritenere che il
rinvio operato dallo stesso primo comma dell’art. 139 a «quanto disposto dall’art. 2», stia lì a
significare che l’azione collettiva possa essere esercitata a tutela e promozione dei valori in
tale sede proclamati solo per la tutela degli interessi collettivi in senso proprio e non per il ri-
storo degli interessi individuali pregiudicati dalla condotta antigiuridica. Nello stesso senso è
andata orientandosi la dottrina che ha ritenuto opportuno rinvenire la ratio generale dell’ini-
bitoria prevista dall’attuale art. 140 c. cons. nel secondo considerando della direttiva
98/27/CE; laddove appunto è detto che «per interessi collettivi si intendono interessi che non
comprendono la somma degli interessi di individui lesi da una violazione». Se, infatti, sulla
base di tale definizione non è dato ricavare alcun argomento a conferma dell’ontologica dif-
ferenza tra interesse collettivo ed interesse individuale, al contrario è possibile e plausibile at-
tribuire a tale formula il compito di tracciare una linea di demarcazione tra azioni propria-
mente a tutela di interessi collettivi ed azioni collettive in senso improprio, nelle quali – come
già visto – l’accertamento giudiziale provocato non investe un unico effetto, ma diversi effetti
giuridici (a seconda delle circostanze) più o meno differenziati. Dal fronte dell’analisi siste-
844 CAPITOLO DECIMO
matica gli indici di orientamento sono stati i seguenti. Se, di recente, in materia di tutela an-
tidiscriminatoria il legislatore ha concesso all’ente esponenziale legittimato ad agire per la re-
pressione degli illeciti a rilevanza collettiva anche il potere di domandare la condanna al ri-
sarcimento del danno a favore dei soggetti lesi, d’altro canto, anni di costante giurisprudenza
in materia di repressione della condotta antisindacale hanno indotto la dottrina ad accogliere
una posizione di netta chiusura al riguardo. Come visto addietro, infatti, se il concetto di si-
tuazione giuridica a rilevanza superindividuale ha consentito che in materia di giudizio ex art.
28 dello Statuto dei lavoratori si trovasse la via per tutelare il singolo lavoratore direttamente
colpito dalla condotta del datore, di contro il dibattito successivo ha in gran parte sterilizzato
le conseguenze interpretative che potevano derivare dal pieno svolgimento di tale concetto ed
infatti la ricerca della massima autonomia dell’azione sindacale rispetto al giudizio individuale
ordinario ha condotto – come visto, erroneamente – a ritenere meglio perseguibile tale obiet-
tivo praticando una radicale divaricazione degli interessi tutelati nei rispettivi giudizi, con la
conseguenza che, sebbene parte della dottrina avesse giustamente ricondotto la domanda di
condanna al pagamento delle retribuzioni dovute alla «rimozione degli effetti» prevista dalla
norma, l’orientamento giurisprudenziale andato successivamente consolidandosi ha escluso la
possibilità di addivenire a provvedimenti di questo genere, giustificando tale esito sulla base
della natura non patrimoniale degli interessi tutelati in sede di giudizio collettivo. Proprio l’e-
sperienza maturata in quest’ambito di tutela ha con buona probabilità impedito che nel
tempo si affermassero letture più convincenti sul piano teorico ed equitativo anche in altri
settori di studio e, soprattutto, che l’attenzione della dottrina fosse sviata dall’unico vero pro-
blema rimasto irrisolto sul campo. Problema che non apparteneva in realtà ai rapporti tra di-
ritto e processo, ma che al contrario concerneva la mancanza – questa sì insuperabile – di un
processo adeguato, non tanto e non solo in riferimento ai giudizi propriamente collettivi, ma
soprattutto in riferimento ai giudizi collettivi impropri, ovvero, tipicamente, alle azioni col-
lettive risarcitorie, le quali, per la particolare natura del loro oggetto, richiedono un processo
appositamente strutturato.
179 Cfr. retro, nota 121.
180 Cfr. ad es. FAZZIO, G., Tutela dell’interesse collettivo dei consumatori, cit., p. 1013,
che, in critica a T. Torino, 17 dicembre 2002, osserva: «La sentenza del Tribunale di Torino,
nel frustare l’esigenza di tutela dell’interesse collettivo, muove probabilmente dal presuppo-
sto concettuale di tenere completamente distinto l’interesse collettivo dell’associazione da
quello dei singoli consumatori clienti. Ed in realtà, se è pur vero che la configurazione dell’a-
zione collettiva in Italia non consente di qualificare l’interesse collettivo come sommatoria de-
gli interessi dei singoli, è anche vero che questa circostanza non può impedire che l’azione
collettiva incida di fatto sulle posizioni dei singoli consumatori, né può far trascurare il pro-
filo teleologico della legge che in definitiva consiste sempre e comunque nella tutela del sin-
golo consumatore quale “soggetto debole”. D’altra parte, non si vede come possa perseguirsi
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 845
d.d.l. S/2710, al d.d.l. S/2792, al d.d.l. C/4639, al d.d.l.d. C/4747, nonché ai d.d.l. C/3838 e
C/3839, confluiti in un testo unificato (S/3058), approvato – poi – alla Camera, che ha ispi-
rato il successivo d.d.l. C/1495 del 27 luglio 2006, presentato dal ministro Bersani di concerto
col ministro Mastella e Padoa Schioppa, intitolato Introduzione dell’azione collettiva risarcito-
ria a tutela dei consumatori. A questo si aggiungono i consimili disegni di legge C/1289,
C/1662, C/1883, S/679 nonché i più articolati e complessi C/1330, C/1443, C/1834. Per l’e-
same dei progetti ora indicati, v. CONSOLO, C., Fra nuovi riti civili e riscoperta delle «class ac-
tion», alla ricerca di una «giusta» efficienza, in Corr. giur., 2004, p. 565 ss.; ID., Una strategia
per l’efficienza giurisdizionale come base del «giusto» processo civile anche «collettivo», in Resp.
civ. prev., 2004, p. 655 ss.; COSTANTINO, G., Note sulle tecniche di tutela collettiva (disegni di
legge sulla tutela del risparmio e dei risparmiatori), in Riv. dir. proc., 2004, p. 1009 ss. (ma an-
che ID., La tutela dei risparmiatori: i nuovi orizzonti della tutela collettiva, in Società, 2005, p.
325 ss.); FAVA, P., «Class action»: «Paese che vai, usanza che trovi» (l’esperienza dei principali
ordinamenti giuridici stranieri e le proposte di legge n. 3838 e n. 3839), in Corr. giur., 2004, p.
397 ss.; CARRATTA, A., Dall’azione collettiva inibitoria a tutela di consumatori e utenti all’azione
collettiva risarcitoria: i nodi irrisolti delle proposte di legge in discussione, in Giur. it., 2005, p.
662 ss.; CHIARLONI, S., Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori, cit., p. 404
ss.; GIUSSANI, A., Il consumatore come parte debole nel processo civile tra esigenze di tutela e
prospettive di riforma, in Riv. trim. dir. proc., 2005, p. 525 ss.; ID., Prospettive di riforma per le
azioni collettive, in Quest. giust., 2005, p. 366 ss.; MARINUCCI, E., Azioni collettive e azioni ini-
bitorie da parte delle associazioni dei consumatori, cit., p. 159 ss.; MEZZASOMA, L., Tutela del
consumatore ed accesso alla giustizia: introduzione della «class action», in Rass. dir. civ., 2005,
p. 776 ss.; RESCIGNO, M., L’introduzione della «class action» nell’ordinamento italiano. Profili
generali, in Giur. comm., 2005, I, p. 407 ss.; CHIARLONI, S., Per la chiarezza di idee in tema di
tutele collettive dei consumatori, cit., p. 580 ss.; DE SANTIS, A.D., I disegni di legge italiani sulla
846 CAPITOLO DECIMO
legge una disposizione sull’azione collettiva risarcitoria: si è scelta la via svedese dell’«opt-in»
anziché quella danese dell’«opt-out» e il filtro («L’inutil precauzione»), in Corr. giur., 2008, p.
5 ss.; COSTANTINO, G., La tutela collettiva risarcitoria: note a prima lettura dell’art. 140 «bis»
cod. consumo, in Foro it., 2008, V, p. 17 ss.; BOVE, M., Azione collettiva: una soluzione all’ita-
liana lontana dall’esperienze più mature, in Guida dir., 2008, fasc. 4, p. 11 ss.; GIUSSANI, A.,
Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, cit., p. 224 ss.; nonché i contributi di AMADEI,
D., L’azione di classe italiana per la tutela dei diritti individuali omogenei; BRIGUGLIO, A., Venti
domande e venti risposte sulla nuova azione collettiva risarcitoria; MENCHINI, S., La nuova
azione collettiva risarcitoria e restitutoria, tutti pubblicati su www.judicium.it.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 847
183 Cfr., infatti, le osservazioni critiche mosse da MARENGO, R., Garanzie processuali e
tutela dei consumatori, cit., p. 173, in riferimento alle proposte di legge nn. 1330, 1443, 1834
e 1882, che appunto presentavano il riferimento ai rapporti sorti secondo le modalità pre-
scritte dall’art. 1342 c.c.; parimenti critiche sono le posizioni della dottrina intervenuta sul te-
sto di legge appena approvato: cfr. ad esempio GIUSSANI, A., Azioni collettive risarcitorie nel
processo civile, cit., p. 224 s.
184 In questo senso, v. però BRIGUGLIO, A., Venti domande e venti risposte sulla nuova
azione collettiva risarcitoria, cit., § 2. A parer nostro, di contro, all’interno della disciplina pre-
vista dal nuovo art. 140 bis la disposizione a cui può essere attribuito il compito di escludere
che ricevano trattazione e decisione collettiva controversie che presentano questioni differen-
ziate e personali che rendono inagevole questa forma di tutela è di certo quella prevista dal
comma 3 dello stesso articolo. Ci riferiamo al vaglio preliminare di ammissibilità dell’azione
da doversi condurre anche alla luce della sussistenza di un interesse collettivo suscettibile di
ricevere adeguata tutela con l’azione collettiva risarcitoria. Sul punto, v. infra, § 3.3.4.5.
848 CAPITOLO DECIMO
l’elencazione delle fattispecie previste dal primo comma dell’art. 140 bis
debbano essere interpretate in senso restrittivo o viceversa estensivo.
Proprio questa seconda opzione sembra dover essere privilegiata
non solo alla luce di un’opportuna interpretazione secundum costitutio-
nem, ma anche muovendosi all’interno dei principi che informano il co-
dice del consumo, il quale – lo si ricorda – sin dall’art. 1 si proclama
volto ad «assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli
utenti» (tra l’altro, «nel rispetto della Costituzione»). Decisivo è poi
quanto disposto dall’art. 2, laddove sono garantiti in forma individuale e
collettiva i diritti fondamentali dei consumatori con i contenuti addietro
già indicati (tutela della salute, sicurezza e qualità dei prodotti, ecc.).
La soluzione contraria a quella qui prospettata, insomma, porrebbe
in stridente contraddizione il rimedio collettivo risarcitorio rispetto al
quadro normativo apprestato dal codice del consumo nel suo complesso.
Deve a nostro parere escludersi, di contro, che il rimedio risarcito-
rio collettivo possa essere impiegato per la repressione degli illeciti plu-
rioffensivi a carattere ambientale.
Come visto nel capitolo che precede, l’attuale disciplina prevista dal
c.d. codice dell’ambiente ed in particolare la coesistenza-contrapposi-
zione – ivi delineata – tra azione risarcitoria pubblica e rimedi a base in-
dividuale, induce l’interprete a rivalutare sul piano teorico e pratico
forme individuali di tutela quali il diritto all’ambiente salubre, nonché i
rimedi inibitori e risarcitori che da questo discendono.
Sarebbe stato, quindi, decisamente opportuno che l’azione risarcito-
ria collettiva appena introdotta fosse stata diretta anche alla tutela delle
posizioni individuali lese dall’illecito ambientale185. D’altronde, non sem-
brano sussistere adeguati spazi di manovra per poter raggiungere siffatto
risultato in via interpretativa. E ciò in ragione di valutazioni esegetiche e
sistematiche insuperabili. La collocazione del rimedio all’interno del co-
dice del consumo non autorizza, infatti, letture estensive della lettera
della legge, che, per l’appunto, nel riferirsi al «consumatore» come parte
lesa della fattispecie, rinvia inequivocabilmente a quanto previsto in
chiave generale dall’art. 3, comma 1, lett. a), del codice e più in generale
al rapporto di consumo disciplinato analiticamente dal complesso della
disciplina186.
185 L’esigenza rappresentata nel testo era stata puntualmente rilevata in dottrina: cfr.
TARUFFO, M., La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, in Le azioni
collettive in Italia, cit., p. 13 ss.
186 Così, puntualmente, BRIGUGLIO, A., Venti domande e venti risposte sulla nuova
azione collettiva risarcitoria, cit., § 2; nello stesso senso MENCHINI, S., La nuova azione collet-
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 849
tiva risarcitoria e restitutoria, cit., § 2, sub C; contra, AMADEI, D., L’azione di classe italiana per
la tutela dei diritti individuali omogenei, cit., § 2, secondo cui il riferimento agli «atti illeciti
extracontrattuali» previsto dal primo comma dell’art. 140 bis sarebbe idoneo a svincolare la
fattispecie deducibile in giudizio dal rapporto di consumo.
187 Per un’ampia panoramica, v. MULHERON, R., The Class Action in Common Law
188 La disciplina prevista dal nuovo art. 140 bis non sembra in alcun modo prestarsi ad
una ricostruzione di tal fatta, sebbene parte della dottrina pare essersi orientata in tal senso
(cfr. infra, nota 226 la posizione di Amadei). Come vedremo nel prosieguo le due opzioni ri-
costruttive maggiormente plausibili relativamente all’oggetto del giudizio collettivo or ora in-
trodotto sono, da un lato, il ritenere che l’accertamento investa solo le questioni comuni alle
diverse pretese oppure, dall’altro, il ritenere che il legittimato attivo deduca in giudizio i di-
ritti soggettivi dei consumatori aderenti o intervenuti (salvo il profilo liquidatorio rimandato
ad una successiva fase di completamento). Non sembra – insomma – possibile sostenere che
l’azione collettiva attivi un giudizio su tutta la classe di diritti al risarcimento-restituzione.
Sono, quindi, assai lontane dall’attuale disciplina – comunque la si voglia inquadrare – forme
di tutela collettiva volte all’accertamento del danno collettivo effettivamente e complessiva-
mente prodotto (aggregate assessment). Sull’opportunità di introdurre azioni collettive ispi-
rate al modello ora indicato in ragione della loro indubbia portata deterrente, v. TARUFFO, M.,
La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a confronto, cit., p. 16-17.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 851
189 Cfr. AMADEI, D., L’azione di classe italiana per la tutela dei diritti individuali omoge-
nei, cit., § 2.
190 Sul punto, cfr. CARRATTA, A., Effetti del giudicato e tutela collettiva, in Le azioni col-
l’illecito, sia comparativamente più efficiente un giudizio svolto in regime di litisconsorzio fa-
coltativo, in cui tutti i diritti al risarcimento giungono al loro definitivo e completo accerta-
mento, rispetto alla struttura bifasica del processo collettivo disciplinato dall’art. 140 bis, i cui
effetti positivi sul piano dell’economia processuale, nonché anche sul piano dell’effettività del
rimedio, si realizzano solo allorquando la collettività pregiudicata dall’illecito sia particolar-
mente ampia e magari riguardi la liquidazione di somme non particolarmente elevate. In tal
caso, infatti, il consumatore potrà vedere incrementata la sua propensione marginale all’eser-
cizio dell’azione individuale proprio in presenza di un accertamento collettivo dell’illecito e
delle questioni comuni capace di ridurre il rischio di soccombenza nel giudizio individuale,
nonché idoneo a porre il consumatore nella possibilità di avvantaggiarsi della procedura con-
ciliativa che segue il giudizio collettivo.
852 CAPITOLO DECIMO
tivi e diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfran-
chi, Torino, 2003, p. 79 ss., ma spec. p. 126 s.
195 L’esclusione della legittimazione ad agire dei singoli consumatori operata dai pro-
getti di legge che hanno anticipato l’attuale disciplina è stata oggetto di critica da parte della
dottrina: cfr. ad es. MARENGO, R., Garanzie processuali e tutela dei consumatori, cit., p. 170 s.
ma v. anche l’opinione di Carratta, esaminata infra, nota 198.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 853
198 La questione indicata nel testo è puntualmente rilevata da CARRATTA, A., Effetti del
giudicato e tutela collettiva, cit. p. 108 ss., in riferimento ai progetti di legge che hanno anti-
cipato il nuovo art. 140 bis; progetti di legge in relazione ai quali veniva criticato il regime di
legittimazione ad agire riservato in via esclusiva alle associazioni rappresentative ex art. 137
c. cons.
199 Cfr., a tal proposito, le osservazioni di COSTANTINO, G., La tutela collettiva risarcito-
ria: note a prima lettura dell’art. 140 «bis» cod. consumo, cit., p. 20.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 855
200 Parte della dottrina (v. BRIGUGLIO, A., Venti domande e venti risposte sulla nuova
azione collettiva risarcitoria, cit., § 11.) ha anche ritenuto possibile che l’accertamento con-
creto della rappresentatività degli interessi colletti costituisca una verifica da svolgere anche
in riferimento alle associazioni riconosciute ai sensi dell’art. 137 del codice. Secondo questa
impostazione, d’altro canto, tale verifica potrebbe svolgersi nelle forme del giudizio di am-
missibilità dell’azione collettiva in riferimento al sindacato relativo alla sussistenza di un inte-
resse collettivo suscettibile di adeguata tutela in via collettiva risarcitoria. Osservazioni criti-
che riguardo alla mancata previsione di un vaglio di rappresentatività concreta rispetto alle
associazioni legittimate ai sensi dell’art. 137 c. cons. si ritrovano anche in BOVE, M., Azione
collettiva: una soluzione all’italiana lontana dall’esperienze più mature, cit., p. 11.
856 CAPITOLO DECIMO
201 Sul punto, v. le osservazioni avanzate da BRIGUGLIO, A., Venti domande e venti ri-
203 MENCHINI, S., La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., § 2, sub G).
858 CAPITOLO DECIMO
204 Il discorso sul significato appartenente alla disposizione richiamata nel testo può es-
sere proficuamente affrontato solo allorquando si definisca a monte l’oggetto del giudizio col-
lettivo. Sul punto, quindi, avremo occasione di tornare nel prosieguo. Va escluso, peraltro,
che, come ritenuto da parte della dottrina (GIUSSANI, A., Azioni collettive risarcitorie nel pro-
cesso civile, cit., p. 228 s.), tale previsione rappresenti «una regola ridondante e in definitiva
sprovvista di contenuto precettivo».
205 Così, BRIGUGLIO, A., Venti domande e venti risposte sulla nuova azione collettiva ri-
sarcitoria, cit., § 1.
206 In questo senso, v. anche GIUSSANI, A., Azioni collettive risarcitorie nel processo ci-
208 Questa linea ricostruttiva è stata seguita sinora da CONSOLO, C., È legge una disposi-
zione sull’azione collettiva risarcitoria: si è scelta la via svedese dell’«opt-in» anziché quella da-
nese dell’«opt-out» e il filtro («L’inutil precauzione»), cit., p. 5 ss.; COSTANTINO, G., La tutela
collettiva risarcitoria: note a prima lettura dell’art. 140 «bis» cod. consumo, cit., p. 17 ss.; AMA-
DEI, D., L’azione di classe italiana per la tutela dei diritti individuali omogenei, cit., § 3.; MEN-
CHINI, S., La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., § 2; GIUSSANI, A., Azioni col-
lettive risarcitorie nel processo civile, cit., p. 229 ss.
209 In questo senso, v. BOVE, M., Azione collettiva: una soluzione all’italiana lontana dal-
l’esperienze più mature, cit., p. 11 ss. Cfr. anche CHIARLONI, S., Per la chiarezza di idee in tema
di tutele collettive dei consumatori, cit., p. 580 ss., sebbene in relazione ai disegni di legge ri-
chiamati retro (nota 181) ed in particolare al progetto di legge Bersani.
210 Cfr. Cass., 31 luglio 2006, n. 17297, in Mass. Giur. it., 2006; Cass. pen., 11 marzo
2005, n. 12199, in Guida dir., 2005, n. 23, p. 73; Cass., 17 aprile 2003, n. 6190, in Gius, 2003,
p. 2028; Cass. pen., 30 aprile 2003, n. 38183, in Guida dir., 2004, n. 2, p. 108; Cass., 27 giu-
gno 2001, n. 8807, Mass. Giur. it., 2001; Cass., 11 gennaio 2001, n. 329, in Danno e resp.,
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 861
2001, p. 753; cfr. anche App. Roma, 17 gennaio 2008 e App. Roma, 25 luglio 2006, in Utet
giuridica. L’inquadramento sistematico dell’istituto della condanna generica, in particolare ri-
ferimento al suo oggetto, nonché ai suoi rapporti con il giudizio sul quantum, costituisce da
tempo una questione particolarmente controversa; per approfondimenti, v. CARRATTA, A.,
Condanna generica, in Enc. giur. Trec., VII, Roma, 1997. Cfr. anche CAVALLINI, C., L’oggetto
della sentenza di condanna generica, in Riv. dir. proc., 2002, p. 523 ss.
211 Per approfondimenti, v. STELLA, F., A proposito di talune sentenze civili in tema di
Ai nastri di partenza l’inibitoria a tutela degli interessi collettivi ex art. 3 l. n. 218/1998; in Foro
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 863
it., 2000, I, p. 3622 ss., con nota di A. Palmieri; in Giust. civ., 2001, p. 813 ss., con nota di
PLAIA, A., Organizzazioni «piramidali» e interessi del consumatore: il giudice ordinario e la l.
281 del 1998.
214 Per un articolato esame delle ragioni che inducono a preferire un giudizio collettivo
volto alla diretta tutela dei diritti soggettivi dei consumatori, anziché un giudizio collettivo su
mere questioni, v. CARRATTA, A., Effetti del giudicato e tutela collettiva, cit., p. 124 ss.
215 Ciò – fondamentalmente – in ragione del fatto che in via interpretativa era già pos-
sibile pervenire – come abbiamo visto nel cap. VI in chiave di riflessione generale – al risul-
tato dell’accertabilità con effetti di giudicato dell’illecito posto a fondamento dell’azione col-
lettiva inibitoria. In questo senso, sebbene in riferimento ai disegni di legge richiamati retro
alla nota 181, v. CHIARLONI, S., Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consu-
matori alla luce della legislazione vigente e dei progetti all’esame in parlamento, cit., p. 583.
864 CAPITOLO DECIMO
216 Cfr.CARRATTA, A., Effetti del giudicato e tutela collettiva, cit., p. 113, sebbene in re-
lazione ai progetti di legge precedenti l’approvazione del nuovo art. 140 bis.
217 Per approfondimenti relativi al controverso tema dell’oggetto e della natura della
liana lontana dall’esperienze più mature, cit., p. 12) ha ritenuto che l’oggetto del giudizio sia
costituito dalle questioni comuni alle diverse pretese (e non da quest’ultime) proprio in ra-
gione della possibilità che il legittimato collettivo eserciti l’azione senza aver prima raccolto
adesioni.
866 CAPITOLO DECIMO
220 Sul punto, v. BRIGUGLIO, A., Venti domande e venti risposte sulla nuova azione col-
lettiva risarcitoria, cit., § 8.
221 La difficoltà qualificatoria relativa all’intervento del consumatore previsto dal
comma 2 dell’art. 140 bis c. cons. è – sebbene con diversità di sfumature – punto sostanzial-
mente condiviso all’interno del dibattito formatosi alla luce dei primi commenti.
868 CAPITOLO DECIMO
222 Ponendo ad oggetto del giudizio le questioni comuni alle diverse pretese, riteniamo
doversi escludere il potere di impugnazione del consumatore intervenuto; diverso esito si po-
trebbe conseguire ritenendo, al contrario, che l’oggetto del giudizio siano i diritti soggettivi
dei consumatori: cfr., infatti, AMADEI, D., L’azione di classe italiana per la tutela dei diritti in-
dividuali omogenei, cit., spec. § 4.; implicitamente, anche MENCHINI, S., La nuova azione col-
lettiva risarcitoria e restitutoria, cit., § 2, sub F), il quale, qualificando l’intervento del consu-
matore ex art. 140 bis, comma 2, in termini di intervento litisconsortile, ammette anche la
possibilità di intervenire in via adesiva dipendente.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 869
gettivo fatto valere in via di intervento sussista una connessione per «og-
getto», anziché – come già detto addietro – per causa petendi223.
La dottrina che ha seguito tale impostazione in merito alla determi-
nazione della natura del giudizio collettivo ha poi anche valorizzato la
posizione processuale del consumatore intervenuto ai sensi del secondo
comma dell’art. 140 bis, ritenendo addirittura che costui possa ottenere a
suo favore la completa liquidazione del danno, conseguendo così una tu-
tela giurisdizionale definitiva della propria posizione giuridica ed in
quanto tale non bisognosa di successivi giudizi di completamento224.
Muovendosi in questa direzione è sorto, poi, anche il problema di rico-
noscere all’interventore il potere di impugnazione della sentenza che
chiude il giudizio quantomeno riguardo al capo contenente la statuizione
relativa al suo diritto soggettivo225.
223 Così, infatti, CONSOLO, C., È legge una disposizione sull’azione collettiva risarcitoria:
si è scelta la via svedese dell’«opt-in» anziché quella danese dell’«opt-out» e il filtro («L’inutil
precauzione»), cit., p. 6. Ma cfr., di contro, AMADEI, D., L’azione di classe italiana per la tutela
dei diritti individuali omogenei, cit., § 3., che ribadisce l’esattezza della formula legale, ma sul
presupposto che indipendetemente dall’adesione il legittimato collettivo abbia comunque sin
dall’inizio dedotto in giudizio anche il diritto del consumatore intervenuto successivamente.
224 In questo senso, v., infatti, BRIGUGLIO, A., Venti domande e venti risposte sulla nuova
azione collettiva risarcitoria, cit., § 9, il quale, peraltro, non ritiene ostativo a tale impostazione
né quanto previsto dal comma 4 dell’art. 140 bis, laddove – appunto – la posizione dell’ade-
rente e dell’interventore sono parificate dalla legge in riferimento alla determinazione dei cri-
teri di liquidazione contenuti nella pronuncia di accoglimento della domanda, né la lettera
del comma 2 del medesimo articolo nella parte in cui è previsto che il consumatore che in-
terviene proponga domanda avente il medesimo oggetto dell’azione collettiva. In relazione a
questo secondo profilo, si propende, infatti, per una lettura estensiva ed atecnica della norma,
mentre per quel che riguarda la prima questione si sostiene che spetti al creditore intervenuto
scegliere se limitare la domanda all’accertamento dell’an o estendere tale richiesta alla con-
danna al pagamento dell’intera somma, sicché quanto disposto dalla prima parte del comma
4 dell’art. 140 bis avrebbe il mero compito di indicare il contenuto minimo della pronuncia
collettiva di accoglimento. Cfr. anche AMADEI, D., L’azione di classe italiana per la tutela dei
diritti individuali omogenei, cit., § 4. Per MENCHINI, S., La nuova azione collettiva risarcitoria
e restitutoria, cit., § 2, sub H), l’accertamento definitivo del quantum e la conseguente con-
danna al pagamento dell’intera somma costituisce un risultato a cui potrà pervenire il giudice,
anche in riferimento solamente ad alcuni soggetti (vuoi aderenti meri o intervenuti), allor-
quando ciò sia possibile sulla base dei concreti esiti del processo.
225 Cfr. la dottrina richiamata retro, nota 222.
870 CAPITOLO DECIMO
animano la disciplina e fin’anche lesivo del diritto di difesa della parte convenuta. Anche l’ap-
piglio esegetico che la dottrina in esame sembra addurre a favore di detto inquadramento non
convince appieno. Il riferimento è a quanto disposto dal comma 2 dell’art. 140 bis, laddove
appunto è previsto che il consumatore che interviene propone una domanda avente il mede-
simo oggetto. Tale previsione, infatti, dimostrerebbe la previa deduzione del diritto sogget-
tivo del consumatore da parte del legittimato rappresentativo. Ma tale lettura dà per scontato
che l’associazione abbia dedotto in giudizio il diritto soggettivo del consumatore che voglia
intervenire, il che – muovendosi nella logica interna che appartiene a questa ricostruzione –
non è assolutamente certo. Ben potrebbe accadere, infatti, che il legittimato collettivo, che
appunto non necessita di una previa adesione per dedurre in giudizio il diritto di un certo
consumatore, non faccia valere il diritto del consumatore X, sicché, o si ritiene che il consu-
matore X non può intervenire (o aderire…) perché il suo diritto non è oggetto del giudizio,
o si ritiene che può ciononostante aderire, ma ampliando l’oggetto del giudizio ed in con-
traddizione con la formula legale poc’anzi richiamata. Conclusioni, entrambe le due da ul-
timo indicate, che palesano la non plausibilità della lettura ricostruttiva ora in esame. In con-
clusione, come meglio diremo nel testo, a noi sembra doversi escludere, allo stato attuale
della disciplina, che il giudizio collettivo risarcitorio abbia ad oggetto i diritti soggettivi dei
consumatori, ma quand’anche si voglia seguire questa lettura, crediamo che il fulcro della ri-
costruzione sia costituito dall’istituto dell’adesione. Sembra, infatti, sia questo lo strumento a
cui attribuire – oltre ovviamente all’intervento – il compito di estendere la consistenza ogget-
tiva del giudizio: l’azione collettiva viene esercitata in riferimento ad adesioni già raccolte e si
sviluppa in un processo aperto ad accoglierne altre.
872 CAPITOLO DECIMO
Si può, insomma, ritenere che agli atti introduttivi del giudizio spetti
in primo luogo il compito di ritagliare all’interno delle diverse fattispecie
le questioni comuni in ordine alla determinazione dell’oggetto del giudi-
zio collettivo. Al sindacato di ammissibilità previsto dal comma 3 dell’art.
140 bis, spetterebbe poi la funzione di verificare l’effettiva rilevanza col-
lettiva della questione così come determinata dalle parti. Si ricorda, in-
fatti, che il giudizio collettivo risarcitorio, impostato nei termini ora indi-
cati, ovvero limitando l’accertamento svolto alle sole questioni comuni,
assume la forma di un giudizio propriamente diretto alla tutela di inte-
ressi collettivi; interessi collettivi di rilievo – però – eminentemente pro-
cessuale, in quanto soddisfatti dall’accertamento mero della questione
comune229. Perfettamente coerente con questa impostazione si rivele-
rebbe – dunque – quanto dispone il terzo comma dell’art. 140 bis, lad-
dove appunto è previsto che la «domanda è dichiarata inammissibile …
quando il giudice non ravvisa l’esistenza di un interesse collettivo suscet-
tibile di adeguata tutela ai sensi del presente articolo».
A questo primo correttivo è poi possibile aggiungerne un secondo,
che peraltro è autonomo rispetto al primo; correttivo che a nostro parere
conduce alla ricostruzione in grado di rispondere al meglio alle diverse
esigenze che governano il giudizio collettivo.
Durante l’esame della disciplina dell’adesione abbiamo avuto occa-
sione di rimarcare il fatto che la previa raccolta di adesioni da parte del le-
gittimato ad agire – sebbene talora possa rilevare ad altri fini230 – non con-
diziona il regolare e valido esercizio dell’azione collettiva. Quanto ora
detto – come visto – trova conferma testuale nel comma 2 dell’art. 140 bis
laddove è disciplinato l’effetto interruttivo della prescrizione. La conse-
guenza ricostruttiva primaria di questo ragionamento è stata quella di ri-
tenere che il giudizio possa di per sé svolgersi solo in riferimento alle que-
stioni comuni poste ad oggetto dell’accertamento dall’attore collettivo.
Si è poi anche visto che la disciplina dell’adesione rende poco plau-
sibile una ricostruzione che veda in tale istituto uno strumento votato ad
incidere sull’oggetto del processo nel senso della deduzione in giudizio
dei diritti soggettivi fondati sull’illecito originariamente determinato dal-
l’attore collettivo: l’adesione, infatti, può arrivare anche quando il pro-
cesso è praticamente chiuso e poi con essa non vengono proposte do-
mande; cosa che, al contrario, il legislatore sembra ammettere e rimar-
care in riferimento all’intervento.
229 Cfr. retro, cap. VI, § 5.1.3., spec. lo schema indicato sub C.
230 Cfr. retro. § 3.3.3.
874 CAPITOLO DECIMO
gettivo occorre comunque procedere ad una lettura manipolativa del disposto del comma 2
dell’art. 140 bis, laddove è previsto che l’intervento del consumatore «è sempre ammesso».
Tale locuzione dovrebbe essere intesa come se dicesse «è comunque ammesso» l’intervento
del consumatore. In altri termini il «sempre ammesso» avrebbe lo scopo di evidenziare il fatto
che, oltre all’adesione, il consumatore può anche intervenire. Di recente, v., in una prospet-
tiva generale, COSSIGNANI, F., Intervento volontario e preclusioni, in Giur. it., 2007, p. 2807 ss.
876 CAPITOLO DECIMO
233 Così, MENCHINI, S., La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., § 3.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 879
3.3.5.2. Gli effetti del giudizio collettivo risarcitorio nei confronti de-
gli altri legittimati ad agire in via collettiva. – Ancora ragionando sugli ef-
fetti del giudizio sorge – poi – il quesito relativo ai rapporti tra legittima-
zioni rappresentative.
Sul punto la legge non spende una parola234. Non è detto in alcun
modo, cioè, quali effetti abbia la sentenza collettiva di rigetto nei con-
fronti degli altri legittimati.
Le soluzioni astrattamente prospettabili sono quelle addietro esami-
nate in relazione ai rapporti tra azioni collettive inibitorie: piena relatività
del giudicato; vincolatività erga omnes dell’accertamento collettivo; giu-
dicato secundum eventum litis235.
Anche sotto questo profilo, un rilievo primario sembra doversi asse-
gnare alle circostanze che influiscono sul buon funzionamento del rime-
dio per come esso è concepito; ed anche sotto questo profilo occorre evi-
234 Si potrebbe in effetti propendere per una lettura a contrario del comma 5 dell’art.
140 bis: nel prevedere che la sentenza vincola i consumatori aderenti o intervenuti il legisla-
tore esclude che pari vincolo si realizzi nei confronti dei legittimati rappresentativi. Ma subito
dopo la medesima disposizione aggiunge anche – in maniera un po’ ridondante – che l’azione
individuale dei consumatori non aderenti o intervenuti rimane libera, sicché – ancora inter-
pretando a contrario la lettera della norma – si dovrebbe giungere alla soluzione esattamente
opposta a quella appena prospettata. Dalla lettera del comma 5 dell’art. 140 bis non si rica-
vano – quindi – indicazioni di sorta in merito all’efficacia della sentenza nei confronti degli
altri legittimati collettivi.
235 Cfr. retro, § 3.2.3.5.
880 CAPITOLO DECIMO
236 In questo senso, v. CARRATTA, A., Effetti del giudicato e tutela collettiva, cit., p. 126
ss., in riferimento – anche in tal caso – ai precedenti disegni di legge avanzati in materia.
237 In questo senso, v. GIUSSANI, A., Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, cit.,
p. 228; MENCHINI, S., La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., § 4. L’inidoneità
al giudicato del provvedimento che chiude il giudizio preliminare di ammissibilità dell’azione
collettiva rappresenta anche la questione interpretativa essenziale per risolvere il quesito rela-
tivo alla ricorribilità di detto provvedimento in cassazione ai sensi del comma 7 dell’art. 111
Cost., che deve appunto escludersi. Sul punto, v. in generale le considerazioni già svolte da
chi scrive in La tutela dei diritti processuali violati nei procedimenti ablativi e limitativi della
potestà parentale, in Fam. e dir., 2004, p. 168, in nota a Cass., S.U., 11 luglio 2003, n. 11026;
decisione pubblicata assieme a Cass., S.U., 3 marzo 2003, n. 3073, in Corr. giur., 2004, p.
1215, con nota di TISCINI, R., Le Sezioni unite restringono la decisorietà ex art. 111 Cost. alle
statuizioni di consistenza sostanziale. D’altronde, parte della dottrina si è espressa a favore
della ricorribilità dell’ordinanza che decide sull’ammissibilità dell’azione collettiva: cfr. CO-
STANTINO, G., La tutela collettiva risarcitoria: note a prima lettura dell’art. 140 «bis» cod. con-
sumo, cit., p. 22; dubbioso CONSOLO, C., È legge una disposizione sull’azione collettiva risar-
citoria: si è scelta la via svedese dell’«opt-in» anziché quella danese dell’«opt-out» e il filtro
(«L’inutil precauzione»), cit., p. 8.
LA TUTELA COLLETTIVA DEI CONSUMATORI 881
CARAVITA, B.: I, 32; III, 13, 42, 45, 68, 81, CAZZOLA, G.: I, 78.
89, 123; IV, 35, 43; IX, 28, 44, 46, 51, CECCHELLA, C.: I, 78, 80, 101; IV, 43; VI,
76, 82, 165. 23, 115; VII, 94.
CARBONARA, F.: IV, 44; VI, 95; VII, 85; X, CECCHETTI, M.: IX, 82.
57, 72, 163, 168. CENA, D.: X, 61, 99.
CARBONE, V.: IX, 8, 46. CENDON, P.: IX, 46, 49, 50, 177.
CARBONNIER, J.: V, 173. CERASANI, C.: X, 61.
CARCATERRA, G.: V, 99, 109, 172, 187. CERRI, A.: III, 37, 46, 81, 89, 93, 145; IV,
CARINCI, F.: VII, 132. 35; V, 172; VII, 140, 170.
CARINGELLA, F.: III, 42; IX, 24. CERRONI, U.: III, 76.
CARIOTA FERRARA, L.: V, 172. CERULLI IRELLI, V.: I, 12.
CARLE, G.: I, 6. CESARINI SFORZA, W.: I, 119, 120, 121, 122,
CARLETTI, F.: III, 43. 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130,
CARNELUTTI, F.: 116, 136, 137, 138, 139, 131, 132, 133, 134, 135, 140, 167, 187,
140, 141, 143, 144, 148, 149, 150, 161, 189; II, 1, 2, 4, 48; IV, 16, 17, 32, 44,
167, 173, 174, 178, 180, 181, 190, 191, 61; V, 16, 46, 63, 99, 105, 123, 174,
192; II, 48, 77; IV, 2, 7, 8, 13, 32, 35, 176, 178, 186.
36, 44, 69, 75; V, 32, 33, 34, 3, 36, 75, CHIARELLI, G.: II, 4.
126, 172, 183; VI, 23, 68, 95, 163. CHIARLONI, S.: IV, 40; VI, 26, 68, 81, 126,
CARNEVALE, V.: VI, 63, 68, 73, 81. 130, 154, 160; X, 57, 71, 87, 149, 153,
CARONI, P.: I, 10. 156, 172, 173, 174, 176, 181, 193, 209,
CARPI, F.: III, 37, 152; IV, 44; VI, 23, 131, 215.
133, 149, 154, 159. CHIAVASSA, A.: VIII, 37, 43.
CARPINO, B.: V, 172. CHIECO, P.: VIII, 9, 24.
CARRATTA, A.: III, 33, 37, 45, 77, 79, 89, CHIERICONI, E.: VII, 1.
105, 110, 146, 152; IV, 40, 44; VI, 106, CHINDEMI, D.: IX, 46.
115, 116, 130, 141, 160; IX, 55, 81, CHINÈ, G.: IV, 44; X, 57, 61, 68, 72, 75,
117, 126, 130; X, 57, 61, 71, 72, 77, 76, 108, 117, 154.
78, 79, 88, 99, 108, 110, 154, 158, 162, CHIOVENDA, G.: I, 95; II, 71; V, 122, 153,
176, 181, 190, 194, 198, 210, 214, 216, 172, 183; VI, 20, 23, 68, 82, 87, 88, 96,
218, 236. 105, 147, 154, 159.
CARULLO, A.: III, 104. CHIRONI, G.P.: V, 52.
CASANOVA, M.: I, 65; II, 77. CHIZZINI, A.: VI, 157.
CASCAVILLA, M.: I, 10. CICALA, F.B.: V, 59, 68, 88, 108, 155.
CASETTA, E.: III, 42; V, 123. CICCHITI, V.E.: VI, 126; VIII, 13, 16, 17,
CASSARINO, S.: III, 124; IV, 67; V, 30, 99, 27, 29, 31, 48, 50, 51, 52, 54, 57, 86.
119, 122, 126, 131, 136, 172, 174. CIOFFI, A.: I, 161, 165.
CASSESE, S.: I, 10, 51. CIPRESSI, P.: IV, 41; VI, 115; VII, 1, 94,
CASTELVETRI, L.: I, 61, 63, 64, 78, 80; VIII, 155.
27. CIVITARESE MATTEUCCI, S.: III, 95.
CASTRONOVO, C.: IX, 46, 89, 175. COCCO, G.: III, 13, 16; IX, 46, 121.
CATALDO, A.: III, 42, 68. COHEN, C.: IV, 32.
CATALINI TONELLI, P.: VIII, 11, 15. COLACINO, L.: III, 37, 89; IV, 35.
CATTANI, M.: VIII, 30. COLAGRANDE, R.: X, 61, 78, 79, 99, 140.
CAVALLINI, C.: X, 210. COLLIA, F.: VII, 1.
CAVALLO PERIN, R.: IX, 82. COLOMBINI, G.: III, 123; IX, 44.
CAZZETTA, G.: I, 65, 118. COLUSSI, V.: V, 132.
888 INDICE DEGLI AUTORI CITATI
COMOGLIO, L.P.: II, 7, 13; III, 5, 37; V, DAHRENDORF, R.: VII, 66, 71.
167; VI, 13, 139; X, 61, 181. DALFINO, D.: III, 95; IX, 133.
COMPORTI, M.: V, 66, 122; IX, 29, 46, 115, DAMONE, R.: III, 95.
175. DANOVI, F.: VI, 131; X, 57, 71, 79, 95, 146,
CONIGLIO, A.: I, 161. 162.
CONSOLI, G.: III, 94. DE ANGELIS, L.: VI, 131; VII, 170; VIII, 8,
CONSOLO, C.: III, 111; VI, 20, 52, 99, 115; 13, 21, 37, 41, 52, 54, 86.
IX, 180; X, 57, 92, 153, 162, 181, 182, DE BARROS LEONEL, R.: VI, 3, 41.
208, 223, 237. DE CESARIS, A.L.: IX, 133.
CONTI, R.: X, 72, 74, 87, 105, 106, 117, DE CRISTOFARO, G.: X, 61.
121, 212, 213. DE CRISTOFARO, M.: X, 57.
COPI, I.M.: IV, 32. DE CUPIS, A.: V, 60; IX, 188.
COPPINI, C.L.: IX, 183. DE LITALA, L.: I, 161.
CORAPI, D.: III, 111. DE LUCA TAMAJO, R.: VII, 132.
CORASANITI, A.: III, 43, 47, 49, 79, 89, 91, DE MARZO, G.: IX, 141.143, 178.
94; IV, 35, 43; V, 10; IX, 13, 18, 23. DE NEGRI, R., X, 57.
CORDEDDA, G.: VII, 160. DE NOVA, G.: X, 104, 117.
CORDERO, F.: V, 99, 105, 172, 174, 177, DE PALO, M.: VI, 68.
182, 183; VI, 98. DE PAULI, A.: IX, 85.
CORDOPATRI, F.: V, 172. DE RUGGIERO, R.: V, 53, 60.
COSSIGNANI, F.: X, 231. DE SANTIS, A.D.: X, 121, 181, 212.
COSTA, P.: I, 7, 10. DE SIERVO, U.: II, 14.
COSTAMAGNA, C.: I, 160, 161. DE SIMONE, G.: VIII, 9, 25.
COSTANTINO, G.: II, 93; III, 37, 46, 79, 89, DE TILLA, M.: IX, 53.
103, 150; IV, 35, 41; V, 11; VI, 23, 126, DEL REGNO MONTAGNA, M.R.: IX, 53, 164.
154; VIII, 97; X, 84, 181, 182, 199, DEL VECCHIO, G.: V, 15, 51, 76, 77.
208, 237. DELFINO, F.: III, 89.
COSTANZA, M.: X, 53. DELL’ACQUA, C.: IV, 35; IX, 53.
COSTANZO, A.: IX, 46, 114, 165, 175. DELL’ANNO, P.: IX, 46, 115.
COVIELLO, N.: V, 60. DELL’OLIO, M.: II, 28, 32, 44, 45, 46, 47;
CRAVERI, P.: I, 65. IV, 43, 65; VI, 115; VII, 94, 140, 153.
CRESTI, M.: I, 31, 50; III, 13, 23, 31, 43, DELL’UTRI, M.: VI, 149.
89, 93, 96, 103, 124, 125; IV, 35; V, 12. DELLA VALLE, S.: IV, 41, 44; X, 12, 61, 67,
CRISTOFOLINI, G.: VI, 20. 72, 74, 79, 84, 96, 119, 140, 154.
CURCIO, L.: VIII, 15, 17, 25, 42, 49, 50, 72, DENTAMARO, B.: VIII, 18.
103. DENTI, V.: II, 20; III, 26, 37, 40, 43, 47, 48,
49, 74, 76, 77, 79, 83, 84, 86, 112, 113,
D 115, 116, 118, 147, 149, 152; IV, 35; V,
183; VI, 26, 73, 84, 113, 114, 126; VII,
D’ADDA, A.: IX, 178. 2; IX, 24, 26.
D’AGOSTINO, G.: I, 161, 175, 177, 180, DERNBURG, H.: V, 122.
181; VI, 163. DI CERBO, V.: VII, 1.
D’ALESSIO, R.: II, 3. DI COLA, L.: IX, 8, 58, 126, 127.
D’AMELIO, G.: I, 10. DI FAZZIO, G.: X, 117, 212.
D’ANGELO, G.: IX, 9. DI FRANCO, L.: I, 78, 85.
D’ORTA, C.: III, 123; IX, 44, 46, 175. DI GIOVANNI, F.: IV, 40; IX, 1, 3, 10, 12,
DABIN, J.: V, 122. 24, 27, 28.
INDICE DEGLI AUTORI CITATI 889
DI MAJO, A.: I, 10; II, 78; IV, 35; VI, 70; FERRARI, E.: IX, 82.
VII, 176; X, 4, 5, 6, 7, 8, 87. FERRI, C.: VI, 115, 154; X, 57, 153, 162.
DI MARTINO, A.: IX, 137, 156. FERRI, G.: II, 92, 93; IV, 41.
DI PAOLO, A.: II, 78. FERRI, G.B.: X, 7.
DI SCIASCIO, E.: III, 95. FERRO, M.: X, 14.
DILCHER, G.: I, 10. FILOMUSI GUELFI, F.: V, 60.
DONATI, B.: V, 78. FIMIANI, P.: IX, 133, 145, 146, 166.
DONDI, A.: III, 111. FINZI, E.: II, 78; V, 99.
DONDI, G.: VIII, 27. FLAMMIA, R.: II, 27.
DONZELLI, R.: IV, 35; VI, 52, 108; VIII, 17, FLORIDIA, G.: II, 78, 92, 94, 96, 97, 98, 99;
59, 75; X, 237. IV, 38; X, 26, 27, 30, 32, 41, 42.
DOSSETTI, G.: II, 16. FORNACIARI, M.: V, 172.
DOSSETTI, M.: X, 2. FORTE, F.: IX, 9.
DUSI, B.: V, 72. FOVEL, N.M.: I, 114.
FRANCARIO, L.: IV, 38; IX, 46, 55, 86, 87,
E 88, 89, 90, 91, 92, 93, 116, 117, 165,
184, 186, 187, 188; X, 2.
EINAUDI, L.: I, 115. FRANCESCHELLI, R.: II, 76, 83; X, 42.
ESPOSITO, C.: I, 167; V, 46, 124, 174. FRANCHI, G.: VI, 17, 68.
EVANGELISTA, S.: X, 154. FRANZONI, M.: IX, 46, 76, 121, 175, 177.
FRASCA, R.: VI, 23; VIII, 86.
F FRENI, A.: VI, 115; VII, 6, 10, 62, 63.
FRIEDMAN, M.W.: VI, 45.
FABBIO, P.: X, 60. FRIGNANI, A.: VI, 65, 115; VII, 176; X, 57,
FABBRINI, G.: VI, 99, 105, 154, 159; VIII, 153, 162.
7, 39, 86; X, 151. FRITTELLI, A.: III, 72.
FABENI, S.: VIII, 25, 38. FROSINI, V.: V, 39, 66, 78, 172, 174.
FABIANI, E.: VI, 74. FURNO, C.: V, 60, 183; VI, 68.
FALZEA, A.: IV, 4, 11, 14, 15, 27, 47; V, 18,
172.
FASANO, A.: VIII, 9. G
FASSÒ, G.: IV, 47, 53, 60, 63.
FAVA, P.: X, 181. GABRIELLI, E.: III, 26, 32, 37, 78, 89; X,
FAZZALARI, E.: III, 37, 84, 120, 122; IV, 38; 57, 78.
V, 99, 122, 123, 126, 128, 153, 172, GALATINO, L.: VII, 132.
183; VI, 23, 105. GALGANO, F.: II, 21; V, 124; X, 9.
FAZZIO, G.: IV, 44; X, 72. GALIZIA, A.: I, 72, 73, 74; IV, 42, 44, 77.
FEDERICI, A.: VII, 160. GALLI, P.: I, 167.
FEDERICI, R.: III, 13, 19, 89; IV, 35. GALLO, P.: V, 78.
FEOLA, D.: IX, 46. GAMBINO, A.: X, 40.
FERRAJOLI, L.: II, 18, 20, 21. GANDINO, A.: III, 95.
FERRANTE, M.: V, 66. GARBAGNATI, E.: IV, 41; V, 27, 35, 36, 115,
FERRANTE, V.: VIII, 16. 119, 122, 126, 172, 183; VI, 22, 23, 24,
FERRARA, F. jr.: II, 77. 68, 146, 157; VII, 31, 32, 33, 34, 35,
FERRARA, F. sr.: V, 99, 136, 154, 159, 172. 36, 49, 50, 51, 106, 160, 172.
FERRARA, R.: III, 7, 13, 17, 33, 43, 48, 81, GAROFALO, M.G.: II, 38, 41; IV, 43; VI,
93, 98, 99, 100, 103; IV, 35; V, 12. 115; VII, 1, 61, 68, 69, 72, 73, 74, 75,
890 INDICE DEGLI AUTORI CITATI
76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, GRAZIUSO, E.: X, 57, 68.
86, 87, 88, 89, 107, 135, 180; VIII, 34, GRECO, A.: VIII, 26.
38. GRECO, F.: II, 77.
GASPANI, V.: X, 57. GRECO, G.: IV, 38; IX, 46, 71, 72, 73, 74,
GASPARINETTI, M.: X, 12. 115.
GASPARRI, P.: V, 78, 118. GRECO, P.: I, 161, 169.
GAZZONI, F.: V, 60. GRECO, R.: VII, 140.
GENOVESE, A.: X, 2. GROSSI, P.: I, 10, 63; II, 17, 19, 20, 22, 24.
GENTILI, A.: III, 90. GUARINO, G.: IV, 6; V, 41, 58, 89, 90, 91,
GERRATANA, V.: I, 10. 92, 93, 94, 95, 96, 117, 172.
GHERA, E.: II, 40; VII, 135; VIII, 5. GUARNIERI, A.: V, 172.
GHEZZI, G.: VI, 85, 131; VII, 6, 44, 47, 57, GUARRIELLO, F.: VIII, 12, 24, 33, 37, 42,
58, 134. 46.
GHIDINI, G.: II, 80, 82, 86, 88, 92; IV, 35; GUASTINI, R.: V, 174; VII, 143.
X, 7, 9, 17, 26, 27, 28, 30, 31, 41, 61. GUERRA MEDICI, M.T.: I, 10.
GHIRON, M.: II, 68, 69, 70, 71, 72, 79, 80, GUGLIELMETTI, G.: II, 66, 77, 79, 81, 85,
84, 85, 87; IV, 35. 87.
GHISALBERTI, C.: II, 5. GUICCIARDI, E.: III, 96.
GIAMPIETRO, F.: IV, 38; IX, 19, 45, 46, 68, GUIDI, D.: I, 161, 168, 173; IV, 40.
82, 115, 118, 121, 134, 144, 145, 147, GUIDOTTI, F.: I, 161.
148, 150, 159, 164, 166, 169, 171, 172.
GIANNINI, M.S.: I, 12, 13, 19, 50; III, 17,
38, 42, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 123; IV, H
38; IX, 2. HAZARD Jr: VI, 133.
GIDI, A.: VI, 3, 41, 125.
HODGE, C.: VI, 29, 52, 55, 56.
GIORGIANNI, M.: II, 78; III, 76; V, 71.
HOESCH, L.: VIII, 37, 43.
GIOVA, S.: IX, 134.
HOHFELD, W.N.: V, 98, 103, 123.
GIRACCA, M.P.: IX, 126, 127.
HOLD VON FERNECK, A.: V, 106, 123, 125.
GIUGGIOLI, P.F.: III, 111; X, 181.
GIUGNI, G.: II, 4, 26, 28; VI, 115; VII, 6,
10, 62, 63, 65, 67, 132, 135; X, 8. I
GIULIANI, A.: VII, 140.
GIULIANO, M.: V, 97, 123, 172, 174. INVREA, F.: V, 68, 172; VI, 68.
GIUSSANI, A.: III, 111; VI, 28, 43, 115, IRTI, N.: V, 19, 99, 123, 137, 172, 174, 187;
131; X, 57, 61, 68, 75, 76, 82, 83, 89, VI, 88; VII, 187.
100, 110, 111, 145, 148, 152, 153, 154, ISSACHAROFF, S.: VI, 45.
158, 162, 181, 182, 183, 204, 206, 208, IUDICA, G.: V, 78.
237. IURILLI, C.: VI, 52.
GOTTARDI, D.: VIII, 3, 8, 19, 24, 25, 31. IZZI, D.: VI, 131; VIII, 12, 21, 37, 44, 52,
GRANDI, M.: I, 78; IV, 41; VI, 146; VII, 7, 54.
25, 26, 27, 28, 29, 52, 53.
GRANIERI, M.: IX, 177; X, 123. J
GRASSANO, P.: III, 72.
GRASSO, E.: III, 10, 37, 105, 115, 117, 119, JAEGER, N.: 115, 152, 161, 175, 176 , 177,
142, 155; IV, 40; VI, 20; IX, 46, 67, 84, 179, 181; II, 49, 51, 53, 56, 58, 61, 62,
85, 115, 121, 165, 175. 63, 64; IV, 10, 22, 32, 35, 36, 61, 69;
GRAZIADEI, M.: V, 14, 99, 153. VI, 163.
INDICE DEGLI AUTORI CITATI 891
JAEGER, P.G.: II, 50, 54, 55, 56, 60, 62, 77, LIBERTINI, M.: II, 80, 92, 94; IV, 38; VI, 66,
78, 89, 102, 103, 104, 105; IV, 10, 32, 70, 131; VII, 176; IX, 46, 55, 71, 74,
35, 36, 42, 75; X, 18, 19, 25, 34, 35, 117; X, 20, 57, 79, 91, 146, 147, 150,
36, 37, 38, 39, 40, 41. 172.
JAFFE, L.L.: III, 113. LIEBMAN, E.T.: V, 169, 183; VI, 20, 68,
JASPER, M.C:, VI, 44. 104, 133, 137, 156; X, 155.
JELLINEK, G.: IV, 67; V, 61. LIGUORI, A.: IX, 134, 135, 136, 156.
JEMOLO, A.C.: II, 3; V, 16. LO CIGNO, O.: II, 92, 94; IV, 38.
JHERING, R.: V, 31, 123, 132, 133, 134, 145, LOMBARDI, G.: II, 3.
165, 166, 168; VI, 70. LUBRANO DI RICCIO, G.: IX, 53.
JOCTEAU, G.C.: I, 113, 153, 155. LUCI, F.: IX, 126.
JOLOWICZ, J.A.: VI, 28, 47. LUCIANI, M.: III, 42, 59; IV, 35; IX, 18.
JONES, C.: VI, 39, 45, 49. LUISO, F.P.: VI, 99, 104, 116, 154; VIII, 85,
86.
K LUMINOSO, A.: IX, 46, 76, 81, 114, 175.
LUNARDON, F.: VII, 1; VIII, 9.
KANT, I.: V, 46. LUNGHEZZA, P.: X, 72.
KELSEN, H.: V, 30, 40, 62, 102, 103, 105,
136, 142, 153, 154, 156, 161, 162, 163, L
164.
KLONOFF, R.H.: VI, 43. MACIEL JÙNIOR, V.: VI, 3.
MADDALENA, P.: III, 102; IV, 35, 44, 45;
L IX, 13, 14, 32, 39, 40, 42, 44, 45, 46,
51, 53, 55, 70, 80, 89, 94, 96, 97, 98,
LA CHINA, S.: VI, 121; VIII, 100, 101, 107. 99, 100, 101, 102, 104, 106, 107, 108,
LA LUMIA, I.: II, 77. 109, 110, 112, 115, 126, 129, 131, 164,
LA TORRE, M.: V, 23, 132. 168, 171; X, 161.
LANDI, P.: IV, 35; IX, 46, 79, 117, 164, MAESTRONI, A.: III, 95.
167, 168. MAIELLO, U.: V, 78.
LANFRANCHI, L.: III, 3, 5, 37, 87, 89, 103, MAIORCA, C.: V, 39.
137, 151, 152; IV, 35; VI, 20, 24, 68, MAIORCA, S.: X, 2.
108, 126, 131; VII, 5, 8, 10, 11, 12, 15, MALAGNINO, D.: IX, 126, 127.
16, 17, 18, 19, 20, 21, 55, 117, 126, MALVEAUX, S.M.: VI, 43.
129, 170, 172, 173; VIII, 17, 58, 68, MANCARELLI, P.: VIII, 9.
72, 75, 76, 91; X, 66, 69, 78, 80, 100, MANCINI, F.: VII, 4.
109, 112, 142, 194. MANCINI, G.P.: II, 41.
LAPERTOSA, F.: VI, 115, 126; X, 57, 69, MANDRIOLI, C.: V, 183; VI, 23, 65, 68, 154.
153, 156. MANGINI, V.: II, 76.
LEANZA, P.: VII, 1. MANNORI, L.: I, 12.
LEIBNIZ, G.W.: IV, 53. MANTELLINI, G.: I, 27.
LENER, A.: III, 26, 37, 46, 89; V, 172; IX, MANTELLO, M.: VIII, 25, 27.
11, 28. MANTINI, P.: IX, 82.
LESSONA, C.: I, 78, 93. MARCHESE, S.: III, 95.
LEVI, A.: V, 30, 31, 55, 79, 80, 81, 83, 108, MARCHETTI, D.: I, 161, 169.
118. MARCUS, R.L.: VI, 111.
LEVI, F.: III, 21. MARENGO, R.: X, 57, 61, 88, 99, 121, 156,
LEVI, G.: II, 3. 172, 173, 176, 181, 183, 195.
892 INDICE DEGLI AUTORI CITATI
PUNZI, C.: III, 42; V, 144; VI, 22, 24, 115, 44, 47, 48, 57, 58, 59, 103, 134, 160,
121, 122, 146; VII, 13, 15, 22, 23, 49, 170.
50, 160, 181, 182; VIII, 66, 91, 95; IX, ROMANO CASTELLANA, A.: I, 161.
115, 128; X, 57, 59, 61, 103, 136, 153, ROMANO, A.: I, 12; III, 13, 81, 86, 93, 94,
154, 162. 97; IV, 35; V, 12; IX, 5, 6.
PUTTI, P.M.: X, 57. ROMANO, F.: V, 174.
ROMANO, Santi: I, 167, 185; V, 97, 122,
172, 174.
R ROPPO, E.: X, 2, 9.
ROPPO, V.: X, 55.
RAMM, T.: I, 10.
ROSEMBERG, D.: VI, 45.
RANELLETTI, O.: I, 43; V, 131.
ROSS, A.: V, 98, 99, 103, 123.
RAPISARDA, C.: III, 37, 46, 86; IV, 38; VI,
ROSSI CARLEO, L.: VI, 128; X, 62.
64, 65, 73, 124, 131, 154; VII, 176;
ROSSI, E.: II, 3.
VIII, 7, 8, 12, 13, 14, 21, 36, 37, 40,
ROTA, R.: III, 30, 43, 93.
41, 50, 52, 55, 86, 88, 91, 100, 198; IX,
ROTONDI, F.: VII, 1.
29.
ROUSSEAU, J.J.: IV, 54, 55, 56, 62.
RASELLI, A.: I, 161, 165, 166, 168, 172,
ROVELLI, F.: I, 161, 169, 177, 192.
177; II, 59; IV, 42, 44.
ROVELLI, R.: II, 92, 94; IV, 38.
RATTO, L.: 92, 93, 105; IV, 42.
RUBINO, D.: VI, 149.
RAVÀ, A.: V, 78, 118,.
RUFFOLO, U.: III, 7, 26, 37, 78, 81; V, 2; X,
REBUFFA, G.: I, 12.
27, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51,
RECCHIA, G.: II, 4.
57, 94, 95, 162.
RECCHIA, G.A.: VIII, 38.
RUSCIANO, M.: VII, 131.
RECCHIONI, S.: VI, 99; IX, 121, 123.
RUSSO, E.: III, 37, 78, 89, 90; V, 9, 24, 25,
REDENTI, E.: I, 77, 78, 79, 91, 95, 106, 107,
172.
108, 110, 111, 112; V, 21, 132, 143,
163, 171, 183; VI, 18, 23, 105, 122,
131, 133, 154; X, 134. S
REICH, N.: I, 10.
RESCIGNO, P.: II, 3; III, 6, 79, 111, 149; IV, SACCHETTINI, E.: VIII, 26.
44; V, 66; VI, 122; IX, 52, 188; X, 72, SALANDRA, A.: I, 12, 14, 15, 16, 21, 22, 23,
121. 25.
RICCI, E.F.: VI, 104; VII, 159. SALANITRO, U.: IX, 46.
RICCIUTO, V.: V, 78. SALVI, C.: IV, 40; IX, 9, 10, 12, 18, 20, 24,
RIMOLI, F.: I, 11. 30, 31, 41, 42.
RIVA SANSEVERINO, L.: VII, 5. SALVI, G.: IX, 133, 149, 156, 158, 166,
RIZZARDO, D.: VI, 52. 173, 177.
ROCCO, Alf.: V, 60, 71, 172, 183. SALVIOLI, G.: I, 7.
ROCCO, Art.: IV, 10; V, 60, 71. SANDULLI, A.M.: II, 65; III, 13, 15, 16, 22,
ROCCO, U.: IV, 10; V, 60, 71, 108, 172, 23, 59, 96; IV, 35; V, 3; IX, 24.
183; VI, 23. SANTAGADA, F.: VIII, 29.
RODOTÀ, S.: III, 45, 78, 84; IX, 26, 51. SANTAGATA, C.: II, 78; X, 16, 18, 20, 21,
ROMAGNOLI, G.: X, 57, 84, 162. 22, 23, 24, 25, 41.
ROMAGNOLI, U.: I, 61, 65, 66, 80, 82, 87, SANTANIELLO, G.: III, 13, 25, 42, 68; IV,
90, 95, 101, 105, 109, 110, 146, 155, 43.
159; II, 28; VI, 85, 131; VII, 7, 13, 14, SANTINI, G.: II, 78, 100.
INDICE DEGLI AUTORI CITATI 895
SANTORO PASSARELLI, F.: I, 167; II, 24, 29, STANZIONE, P.: X, 53.
30, 33, 34, 35, 36, 37; IV, 34, 41, 43, STELLA, F.: X, 211.
44, 73, 74, 75; V, 60, 78, 97, 118, 172; STIFANO, M.: IX, 133, 149, 156, 173.
VI, 146; VII, 25, 52, 117. SUPPIEJ, G.: II, 28.
SAPIO, G.: VI, 131; X, 57, 146, 162.
SASSANI, B.: VI, 17, 71, 73, 78, 79, 122,
161; VII, 160; VIII, 13, 14, 86, 88. T
SATTA, F.: III, 43.
TACCOGNA, G.: VI, 137.
SATTA, S.: V, 19, 44, 131, 144, 183; VI, 22,
TARELLO, G.: I, 113; II, 25, 26, 28.
99, 143.
TARUFFO, M.: II, 20; III, 77, 84, 111, 113,
SAVIGNY, F.C.: V, 47, 48, 49.
152; IV, 35, 41; VI, 65, 84, 86, 96, 126,
SBRICCOLI, M.: I, 10.
131, 154, 157; VII, 1, 12, 25, 30, 56,
SCALISI, V.: IX, 9.
SCARPELLO, A.: X, 57. 106, 117, 150, 172, 176; IX, 46, 52, 54,
SCARPONI, S.: VIII, 9, 25. 57, 58, 59, 60, 61, 76, 122, 165; X,
SCARSELLI, G.: VIII, 27, 29, 81, 89. 185, 188.
SCHETTINI, C.: IX, 121, 124, 125. TARZIA, G.: I, 32; III, 43; IV, 36; VI, 131;
SCHLESINGER, P.: V, 60; X, 19. VIII, 27, 29, 37, 51, 86, 87, 88, 91; IX,
SCIARRETTA, S.: III, 72. 164; X, 57, 146, 149, 158, 162.
SCIOTTI, R.: VIII, 19. TAVORMINA, V.: V, 21, 44, 123, 172, 183;
SCOCA, F.G.: I, 17; III, 37, 81, 87, 89, 93, VI; 68.
96, 103, 123; IV, 35; IX, 24, 44. TENELLA SILLANI, C.: IX, 46.
SCOGNAMIGLIO, C.: V, 78. TERESI, F.: III, 96.
SCOGNAMIGLIO, R.: II, 40; VII, 1, 10, 160. TESORIERE, G.: VIII, 78, 88.
SCUFFI, M.: X, 61, 84, 121. THON, A.: V, 30, 35, 36, 82, 99, 136, 138,
SECRETI, G.: I, 161, 168. 139, 140, 141, 142, 146, 148, 149, 150,
SEELMANN, K.: I, 10. 151, 154, 157, 158, 160.
SEGNI, A.: I, 161; VI, 23. TISCI, A.: IV, 41; IX, 66, 67.
SELVAGGI, S.: IX, 46. TISCINI, R.: X, 237.
SENA, G.: X, 41. TOMASSINI, R.: IX, 46.
SENSALE, M.: III, 10, 45, 84. TOMEI, G.: VI, 23.
SERMONTI, A.: I, 118, 161. TOMMASEO, F.: III, 37; VI, 17, 23, 126; X,
SHERMAN, E.F.: VI, 111. 57, 75, 79, 91, 156, 159, 172, 173.
SILVESTRI, E.: VI, 131; VII, 1, 12, 30, 56, TONDO, S.: VI, 127; X, 53.
150; VIII, 13, 14, 100. TORREGROSSA, G.: IX, 24, 46, 118, 175.
SIMONCELLI, V.: V, 60. TORRENTE, A.: V, 60.
SOLARI, G.: I, 3, 4, 8, 62; IV, 53. TRABUCCHI, A.: V, 60.
SOMMA, A.: IX, 46. TRAVI, A.: III, 43.
SORDI, B.: I, 12, 13, 18, 20, 25, 28. TREU, T.: VII, 1, 138, 154, 157, 170; VIII,
SPAGNA MUSSO, B.: IV, 38; IX, 46, 68, 69, 5, 8, 11, 79, 84.
70, 115, 175. TREVES, R.: I, 10.
SPAGNUOLO VIGORITA, L.: I, 61. TRIGGIANI, E.: VIII, 5.
SPAGNUOLO VIGORITA, V.: II, 65; III, 96. TRIMARCHI BANFI, F.: IX, 46, 74, 118, 119,
SPAVENTA, S.: I, 25, 26. 120.
SPERDUTI, G.: V, 32, 84, 85, 114, 121, 175. TRIMARCHI, P.: II, 78; V, 56; IX, 46, 66,
SPOLIDORO, M.S.: II, 90, 91; VI, 64, 81, 114.
160. TRISORIO LIUZZI, G.: X, 99.
896 INDICE DEGLI AUTORI CITATI
TROCCOLI, A.: I, 21. 111, 116, 131, 134, 135, 136, 137, 138,
TROCKER, N.: III, 5, 7, 9, 37, 45, 46, 115, 139, 141, 151, 152, 157; IV, 10, 21, 32,
149, 150, 151, 154; IV, 35; VI, 13, 109, 34, 42, 43, 46; V, 13, 170; VI, 13, 20,
113, 131, 144, 154; VII, 3; X, 27. 116, 131, 160; VII, 43, 94, 150; IX,
TUCCI, G.: VII, 10. 163.
TUCCI, M.A.: III, 10, 37. VISCOMI, A.: VIII, 27.
TURATI, F.: 89, 92, 93, 102. VISINTINI, G.: IX, 9, 51, 121.
TURCO, V.: VIII, 26. VITTORIA, D.: IX, 188.
TURRONI, D.: V, 183. VITUCCI, P.: IX, 47, 48, 51.
VIVANI, C.: IX, 46, 164.
VOCINO, C.: III, 35, 152; VI, 23, 116, 154.
U
VOLPICELLI, A.: I, 114.
UBERTAZZI, L.C.: II, 92; X, 27. VULLO, E.: VI, 68.
UNGARI, P.: I , 10, 113.
W
V
WEBER, M.: VII, 70.
VACCARELLA, R.: VI, 78, 115; VII, 1, 91, WEINSTEIN, J.A.: VI, 35.
92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 101, 126, WEYL, M.P.: I, 10.
151, 160. WEYL, R.: I, 10.
VALLEBONA, A.: VII, 157; VIII, 13, 14. WIEACKER, F.: V, 19.
VANNI, I.: V, 78. WINDSCHEID, B.: V, 25, 28, 37, 135.
VANZETTI, A.: X, 14, 18, 41. WOJETEK PANKIEWICZ, A.: II, 8.
VARDARO, G.: I, 65.
VARRONE, C.: III, 7, 13.
VECCHIO VERDERAME, S.: X, 61, 74, 117. Y
VELLANI, M.: V, 170, 183; VI, 20; IX, 165, YEAZELL, S.C.: VI, 28, 42.
167.
VENEZIANI, B.: I, 65, 78.
VERARDI, C.M.: IV, 44; IX, 46, 114, 165, Z
175; X, 12, 13, 14, 73, 91.
VERBARI, G.B.: III, 72, 89, 93; IV, 35. ZANOBINI, G.: I, 167; V, 131; VI, 149.
VERDE, G.: VI, 20. ZANUTTIGH, L.: III, 37, 46, 57, 79, 86, 94,
VETTORI, G.: X, 140. 113; VI; 23; IX, 6, 19, 20, 31.
VIDIRI, G.: VIII, 9. ZANZUCCHI, M.T.: V, 183.
VIGLIONE, R.: I, 161. ZATTI, P.: V, 78, 132.
VIGNERA, G.: III, 5. ZENO ZENCOVICH, V.: IX, 188.
VIGORITI, V.: II, 42; III, 2, 5, 11, 27, 28, 29, ZIVIZ, P.: IX, 46, 49, 50, 175, 177.
42, 61, 63, 64, 66, 67, 68, 79, 84, 108, ZOPPINI, A.: IX, 188.
INDICE ANALITICO
I numeri senza parentesi si riferiscono alle pagine, quelli tra parentesi alle note.
Le note vengono indicate solo se l’argomento riceve ivi una specifica trattazione o un
particolare approfondimento. L’indicazione della nota non esclude quella della pagina.
– nel dibattito in sede di Assemblea co- – come danno subito dagli enti esponen-
stituente: 93 ss. ziali impegnati nella promozione e di-
– sotto il profilo dell’azionabilità degli fesa dell’interesse collettivo leso: 752
interessi collettivi: (186) (187) (188), 812 (119) (120).
– in generale: 9 (13), 98 (14), 213 ss.,
214 (103), 244 ss., 244 (141). Diritti individuali omogenei (diritto brasi-
– nostra posizione: 244 (141), 377 ss., liano): 428 (41).
404 ss.
Diritti sindacali in senso stretto e diritti
– sotto il profilo dei limiti soggettivi del
sindacali correlati: 557 s.
giudicato:
– estensione ultra partes degli effetti Diritto collettivo: v. Ente esponenziale
della sentenza e rispetto della ga-
ranzia del diritto di azione e di di- Diritto potestativo: v. Potere giuridico
fesa:
– giudicato erga omnes e c.d. garan- Diritto soggettivo
tismo collettivo: 244 (141), 254 – nozione:
(157), 429 (45). – concezioni ricorrenti:
– giudicato erga omnes, «giusto – come potere della volontà: 317 ss.
processo» collettivo e spersona- – come potere di volere per il soddi-
lizzazione del diritto di difesa: sfacimento degli interessi: 329 ss.
253, 478 ss., 478 (137), 481 (141), – come facultas agendi: 322 ss., 335 ss.
486 (149). – come situazione giuridica comples-
– giudicato secundum eventum litis: sa: 317 (25), 338 (78), 341 ss., 358
(122).
250 ss., 468 (116), 472 ss., 474
– come posizione di vantaggio: 358
(130), 486 ss.
(122).
– correttivi processuali possibili:
– come posizione di appartenenza:
l’estensione del contraddittorio
358 (122).
mediante l’intervento in causa e
– come posizione di destinatarietà
la notificazione per pubblici pro-
dell’obbligo: 357 ss.
clami: 42 (95), 248 ss., 465 s., 465
– come facoltà di pretendere: 357 ss.
(113), 470 ss., 474 s., 483 s., 498
– come interesse protetto: 364 ss.
ss., 528 (55), 668 s., 833 (158).
– come tecnica di protezione degli in-
– estensione ultra partes degli effetti
teressi: 367 ss.
della sentenza ed effettività della tu-
– come mera tecnica giuridica: 371 ss.
tela giurisdizionale collettiva: 426
– come soggettivazione del diritto og-
s., 448 s., 452, 472 ss., 475 ss. gettivo: v. Soggettivazione del diritto
Crisi del diritto soggettivo: v. Diritto sog- – nostra posizione: 381 ss.
gettivo – c.d. crisi del diritto soggettivo:
– emersione della problematica in sede
Danno ambientale: 696 ss., 697 (46), 732, di approvazione dell’art. 19 del Pro-
735, 738 (148) (149). getto di Costituzione: 93 ss., 96 (9).
– cause della crisi: 95 ss., 185 ss., 305
Danno collettivo ss., 312 ss., 772 (45).
– come aggregato dei danni individuali – tendenza all’ideazione di figure dog-
prodotti: 427 (39), 428 (41), 850 (188). matiche alternative come conseguen-
– come danno ontologicamente distinto za della crisi:
dal danno individuale: 693 s., 750 ss., – in materia di inquadramento dog-
750 (183), 751 (184), 812 (119) (120). matico della posizione giuridica
900 INDICE ANALITICO
dell’ente esponenziale: v. Ente espo- – diritto soggettivo: 76 s., 132 ss., 228
nenziale ss., 516 ss., 538 ss., 539 (94), 552
– in materia di inquadramento dog- ss., 631 (48), 707 ss., 724 ss., 795 s.
matico della posizione giuridica del – diritto collettivo: 76 (171), 238 s.
pubblico ministero agente: v. Azio- (131), 531 ss., 716 ss., 797 (87), 806
ne pubblica (107), v. anche Legittimazione ad
– mera apparenza della crisi e critica agire sui generis
delle figure dogmatiche alternative: – interesse collettivo: 521 ss., 552 ss.,
97 s., 97 (12), 310 (9), 410 (17), 486 809 (111).
(149), 775 (42). – interesse legittimo di diritto pri-
– tutelabilità dell’interesse collettivo nella vato: 773 ss.
forma del diritto soggettivo: – mera azione: 136 ss., 223 (113), 225
– di titolarità del singolo membro della ss., 241 (137), 511 s., 682 (13), 714
collettività: 195 ss., ss., 724, 798 (88) (89).
– di titolarità dell’ente esponenziale: v. – rappresentanza ideologica: 221 ss.
Ente esponenziale – rappresentanza politica: 81 (180).
– nostra posizione: 398 ss. – sostituzione processuale: 78 (174),
129 (80), 132 (90) (91), 194 (95),
Diritto soggettivo all’ambiente salubre 511 s., 519, 631 (49), 648 (78), 706
– in generale: 683 ss., 747 ss. (61), 723, 724, 727 ss., 790 (72),
– triplice rilevanza dell’interesse all’am- 794 (80), 870 (226), v. anche Sosti-
biente salubre (individuale, sociale, tuzione processuale
pubblica): 750 ss., 750 (183), 751 (185), – nostra impostazione del problema:
v. anche Ambiente, Ambiente (tutela 407 ss., 575 ss., 594 ss., 737 ss., 816
dell’), Danno collettivo. ss., 823 ss., v. anche Legittimazione ad
agire istituzionale, Legittimazione ad
Discriminazione
agire suppletiva
– nozione: 607 (9).
– adeguata rappresentatività
– discriminazione collettiva: 634 ss., 643
– valutazione in astratto in sede ammi-
ss., 646 (75), 648 ss.
nistrativa: 227 (119), 702 (52), 704
Dovere: v. Obbligo (55), 781 (60).
– valutazione in concreto in sede giuri-
Effettività della tutela giurisdizionale degli sdizionale: 205 (95), 208 (96), 224
interessi collettivi: v. Costituzione ed in- (115), 851 ss.
teressi sovraindividuali – la correlazione tra il requisito dell’a-
deguata rappresentatività e la possi-
Efficacia normativa della sentenza collet- bile estensione ultra partes degli ef-
tiva fetti della sentenza
– nell’ordinamento corporativo: 82 ss. – opinioni correnti: 238 ss., 254
(184) (185). (157).
– in materia di tutela dei consumatori: – nostra posizione: 478 ss., 478 (137),
839 ss. 481 (141), 827 s.
Ente esponenziale Facoltà: v. Lecito
– inquadramento dogmatico della posi-
zione giuridica dell’ente esponenziale: Giudicato erga omnes
– impostazioni ricostruttive ricorrenti: – come regime di regolamentazione uni-
– abuso del diritto: 773 ss. forme alternativo al litisconsorzio neces-
– diritto giudiziario: 798 (92) (93). sario: 49, 462 (105).
INDICE ANALITICO 901
Legittimazione ad agire sui generis: 241 effetti della sentenza: 489 (154),
(137). 834 (159).
– come conseguenza della stessa
Legittimazione ad agire suppletiva: 214 ss.
interpretazione dell’art. 2909
(103), 515, 587 ss., 639, 646 (75), 805,
c.c.: 489 (154).
822 s., v. anche Legittimazione ad agire
– estensione ultra partes dell’efficacia
istituzionale
della sentenza e garanzia costituzio-
Libertà e diritto soggettivo nale del diritto di azione e difesa: v.
– in generale: 343 ss. Costituzione e interessi sovraindivi-
– libertà protetta: 351 ss. duali
– v. anche Diritto soggettivo – comparazione dei diversi regimi di ef-
ficacia della sentenza collettiva alla
Limiti oggettivi del giudicato collettivo: v.
luce dei diversi valori in gioco e in re-
Giudizio collettivo
lazione all’attuale quadro positivo:
Limiti soggettivi del giudicato collettivo 466 ss.
– in generale: – in materia di repressione della condotta
– nel dibattito post-costituzionale sulla antisindacale: 525 ss., 535 ss., 544 ss.,
tutela giurisdizionale degli interessi 579 ss.
sovraindividuali: 246 ss. – in materia di tutela antidiscriminatoria:
– il problema dei limiti soggettivi del 631 ss., 651 ss.
giudicato in un ordinamento privo di – in materia di tutela dei consumatori:
una apposita regomentazione legale 826 ss., 875 ss.
dell’efficacia della sentenza collettiva:
– in generale: 459 ss., 477 (133). Litisconsorzio necessario e interessi collet-
– il concorso soggettivo di azioni: 466 tivi: 42 (95), 49, 188 (79), 475 ss., 498
ss. ss., 525 ss., 656 ss., 660 ss., 829 (145).
– il fondamento dell’estensione ultra
partes dell’efficacia della sentenza: Mera azione
– in particolare riferimento al giu- – in generale: 410 (20).
dicato erga omnes: – in relazione alla posizione dell’ente
– sua correlazione con l’adeguata esponenziale: v. Ente esponenziale, Di-
rappresentatività dell’ente ritto soggettivo
esponenziale: v. Costituzione e – in relazione all’azione del pubblico mi-
interessi sovraindividuali nistero: v. Azione pubblica
– sua correlazione con la natura
sovraindividuale degli interessi Misure idonee e tutela collettiva dei consu-
tutelati: 250, 253 s., 254 (155), matori: v. Azione di rimozione
475 (131), 486 (149), 831 (152).
– sua correlazione con la natura Norma giuridica
oggettiva dell’attività giurisdi- – nozione: 345 (99).
zionale svolta: 475 (131), 529, – dimensione normativa e dimensione
830 (150). pratica dell’ordinamento: 368 ss.
– in particolare riferimento al giu-
dicato secundum eventum litis: Notificazione per pubblici proclami
– disciplina delle obbligazioni in- – in generale: 470 (121) (122).
divisibili: 250 (152), 488 ss., – in materia di tutela giurisdizionale degli
489 (154), 497 (160), 834. interessi collettivi: 42 (95), 249 (149),
– come limite ex art. 24 Cost al- 470 ss., 483 ss., 498 ss., 668, 782 (62),
l’estensione ultra partes degli 833 (158).
INDICE ANALITICO 905