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IL COMPARTO DELLA PRODUZIONE E

COMMERCIALIZZAZIONE DI MATERIALI LAPIDEI

Dinamiche e caratteristiche, punti di forza e di debolezza

CENSIS
Sguardo d’insieme

Nel sistema produttivo siciliano, la filiera del lapideo, dei marmi e dei
minerali non metalliferi (destinati all’edilizia) riveste un’importanza
considerevole dal punto di vista economico e delle dinamiche d’impresa.
Nel territorio, la disponibilità di siti minerari di pregio ha infatti favorito la
nascita di un complesso e articolato tessuto imprenditoriale, che attualmente
può contare sulla presenza di 1.238 aziende che si dedicano al taglio, alla
finitura e alla modellatura della pietra1. Benché siano solitamente di piccole
o piccolissime dimensioni, l’occupazione diretta generata da queste unità è
superiore ai 4.000 addetti. A tale valore andrebbe inoltre aggiunto l’indotto
proveniente da tutte le attività che vi sono correlate, legate in particolare alla
fornitura di macchinari, all’estrazione, alla commercializzazione dei prodotti
e al trasporto dei materiali.
La regione è ricca di giacimenti, ubicati in corrispondenza di molte delle
principali catene montuose (Peloritani, Nebrodi, Madonie, Sicani e
Altopiano Ibleo) e nelle zone vulcaniche dell’Etna e delle isole Eolie.
L’estrazione di prodotti dall’elevato livello qualitativo quali il Perlato
siciliano, la pietra di Comiso e il Basalto dell’Etna, è il primo fondamentale
tassello di un comparto che trae la propria ricchezza innanzitutto dalla
valorizzazione di tali pietre. I blocchi ottenuti dalle cave e trasferiti per
subire il processo di segazione vengono poi commercializzati, sia sotto
forma di semi-lavorati di marmo o granito, sia all’interno di una gamma di
prodotti finiti che vanno da quelli più pregiati (piastrelle per l’arredamento o
mosaici per il restauro) ai lavorati più semplici, quali blocchetti e lastre per
la pavimentazione. Tutto il materiale frantumato derivante dal processo di
estrazione e lavorazione del blocco va, invece, a costituire gli sfridi, che in
parte vengono aggregati con cementi o resine e riutilizzati nell’ambito di
altre attività. Da tali frammenti si ottiene, per esempio, la materia prima
principale utilizzata nelle industrie delle costruzioni.
La produzione regionale di marmi si aggira annualmente intorno al milione
di tonnellate e si concentra soprattutto nelle tre province di Trapani, Catania
e Ragusa, specializzate rispettivamente nella produzione di Perlato, pietra
lavica e pietra di Comiso (fig. 1):
- dal trapanese, e in particolare dalla zona di Custonaci, proviene l’85%
della produzione complessiva di marmi della regione. La provincia è,
infatti, il terzo macino marmifero più importante d’Italia, dopo quelli di
Massa Carrara e di Verona, e realizza il 15,7% dei volumi complessivi
nazionali. Oltre al Perlato, altri materiali di pregio quali il Libeccio, il

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Fonte: Telemaco-Infocamere, 2007

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Nerello di Customaci, l’Avorio venato o il rosso fiorito di San Vito
caratterizzano circa il 50% delle cave attualmente attive. Si tratta di
materiali che trovano ampio utilizzo spazio nell’edilizia d’alta gamma,
dove vengono impiegati per rivestimenti di esterni e interni e nella
riqualificazione dei centri storici delle città. I mercati di sbocco sono
molto spesso internazionali. Dall’estero proviene infatti il 30% del giro
d’affari medio annuo, stimato in circa 120 milioni di euro, delle 275
imprese trapanesi che lavorano nel comparto e sono iscritte alle
C.C.I.A.A. (110 operanti nel taglio nella modellatura e nella finitura, 140
nella segagione e nella lavorazione non artistica, 20 nella lavorazione
artistica e 5 nella frantumazione dei minerali);
- anche la provincia di Ragusa, all’interno del comparto, si configura come
un importante polo d’eccellenza. In particolare, Comiso rappresenta il
secondo centro italiano per la lavorazione del granito, un calcare che
presenta aspetti del tutto simili al marmo e viene largamente impiegato
nel settore delle costruzioni. Nella lavorazione della pietra di Comiso
operano complessivamente 127 aziende: 36 nel taglio, nella modellatura
e finitura, 53 nella segagione e nella lavorazione non artistica, 21 nella
lavorazione artistica e 7 nella frantumazione delle pietre. Anche in questo
caso, si tratta di aziende che operano in stretta connessione con i mercati
esteri, soprattutto europei e nord-americani. Dall’export proviene il 40%
del loro fatturato;
- le lavorazioni del polo produttivo catanese sono invece rivolte
essenzialmente al Basalto dell’Etna, la pietra lavica estratta
esclusivamente nel territorio del vulcano ed impiegata sia come pietra
ornamentale che nel settore edile.
Nel complesso, all’interno delle tre province di Trapani, Ragusa e Catania
operano il 52,8% delle imprese dell’intera filiera regionale, mentre vi sono
occupati il 63,8% degli addetti. In altre aree della Sicilia, come nel
palermitano, le cave esistenti e la conseguente attività di trasformazione
hanno per oggetto in massima parte materiali inerti per le costruzioni.

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Fig. 1 - Indice di specializzazione del settore lapideo e degli altri minerali non metalliferi. per i comuni della Sicilia (confronto con la media regionale).
Dati 2001

San Vito Lo Capo Terme Vigliatore


Santo Stefano
Rodì Milici
Erice Custonaci di Camastra
Borgetto
Valderice Castellammare
del Golfo Pettineo
Alcamo San Mauro Francavilla di Sicilia
Trapani Mistretta
Castelverde
Castel di Lucio
Salemi
Caltavuturo Petralia
Nicosia Bronte
Soprana
Prizzi
Petrosino Adrano
Calascibetta
Santa Caterina
Villarmosa
Sant'Angelo Belpasso
Muxaro
Piazza Armerina
Siculiana Barrafranca
Mazzarino
Realmonte Campobello
Grammichele
di Licata
Vizzini
Caltagirone

Monterosso Almo
Chiaramonte Gulfi
nullo Comiso Noto
Vittoria
Ragusa
basso
Modica
medio Rosolini
alto

Fonte: elaborazione Censis su dati ISTAT 2001

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Punti di forza

L’elevata qualità delle pietre disponibili in molte aree della regione


rappresenta senza dubbio la vera forza di una filiera che dalla valorizzazione
delle risorse presenti in natura trae la propria principale fonte di ricchezza.
Nelle zone di Custonaci, di Comiso e dell’Etna vengono estratti marmi e
graniti di pregio, molto richiesti in tutto il mondo per la realizzazione di
sculture, la rifinitura di ville ed altri importanti edifici. Il Perlato di Sicilia,
per esempio, è stato utilizzato per il Kennedy Center di New York o per
l’aeroporto di Riad in Arabia Saudita.
L’esportazione di tali prodotti, come si è visto, rappresenta una componente
fondamentale del fatturato delle imprese dell’isola, che trovano nei ricchi
Paesi petroliferi del Golfo Persico il primo tra i mercati di sbocco
internazionali. Oltre la metà delle esportazioni siciliane ha, infatti, quali
destinatari Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait, anche se negli
anni più recenti è in crescita la quota diretta verso destinazioni europee e
nord-americane.
Inoltre, è interessante osservare che le cave siciliane non sfruttano che una
modesta parte del loro potenziale produttivo, in una lungimirante ottica di
conservazione e razionalizzazione delle risorse.
Ulteriore elemento di competitività per la filiera è dato dalla vicinanza
geografica tra gli insediamenti produttivi e alcuni rilevanti porti della
regione. Per queste merci, il cui spostamento su gomma o su ferro può
risultare alquanto complesso, la posizione strategica dei siti costituisce un
fondamentale vantaggio in termini di acceso ai mercati, sia nazionali che
esteri.

Punti di debolezza

La grande esposizione internazionale, in particolare verso la regione medio-


orientale, rende le performance della filiera strettamente legate
all’andamento della situazione economica e politica estera. Negli ultimi
anni, per esempio, i conflitti che hanno interessato il medio-oriente hanno
portato a un raffreddamento dei consumi di marmo in quell’area e
contribuito quindi ad una fase di complessiva stagnazione del comparto.
L’atteggiamento delle aziende, che risentono di una scarsa cultura
imprenditoriale e sono quindi poco orientate al mercato, non contribuisce ad

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una più attiva ricerca di nuove nicchie di clientela e all’offerta di prodotti
originali e innovativi. La conduzione tradizionale delle attività non favorisce
l’introduzione di nuove tecnologie informatiche e ostacola l’affermarsi di
un’efficiente gestione delle diverse fasi della lavorazione.
Inoltre, trattandosi di un comparto maturo a bassa intensità tecnologica, la
concorrenza è molto accesa e basata – oltre che sulla qualità del prodotto –
sul basso costo dei fattori produttivi. Tra questi, il costo dell’energia, della
manodopera e dello smaltimento degli scarti di lavorazione assumono un
ruolo determinante nel garantire il proseguo delle attività. Molto diffuso
appare infatti la tendenza ad esportare verso Cina o India i prodotti grezzi,
delocalizzando in quei Paesi le fasi a maggior valore aggiunto della
produzione.

Opportunità

Al fine di valorizzare al meglio le peculiarità dei bacini produttivi locali ed


evitarne così una perdita di competitività, è necessario che le aziende che
operano nei diversi rami della filiera riescano ad intensificare le esperienze
di collaborazione, dando luogo ad economie di scala nelle differenti fasi
della lavorazione, della distribuzione e della commercializzazione dei
prodotti. A riguardo, la Sicilia può già contare su alcune interessanti
esperienze consortili: il Consorzio Perlato di Sicilia, il Consorzio di Comiso
ed il Consorzio della Pietra Lavica che, oltre al Consorzio Lapis, hanno
contribuito in maniera determinante a promuovere l’immagine dei marmi
siciliani.
A tali esperienze andrebbe affiancata una più attiva collaborazione tra
aziende, che potrebbe tradursi in un minor costo d’acquisto delle materie
prime, delle fonti energetiche, dei macchinari e dei beni strumentali.
Operando non in concorrenza tra loro, ma secondo una logica di sistema, le
aziende dedite alla lavorazione delle pietre di pregio riuscirebbero anche a
gestire in maniera più efficiente gli scarti della produzione, sia
condividendone i costi, sia riutilizzando tali detriti, sempre più richiesti sul
mercato per una vasta gamma di applicazioni.
Migliorare i percorsi formativi, al fine di garantire lo sviluppo di
competenze professionali qualificate che consentano di inserire in azienda
personale in grado di contribuire alle funzioni produttive e commerciali,
soprattutto in chiave internazionale, è l’altro elemento fondamentale per il
rilancio della filiera. Il tema della formazione è infatti determinante per

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questo comparto, dov’è necessario riuscire a selezionare adeguatamente la
materia prima e dove spesso le lavorazioni si distinguono per l’elevato
valore artistico richiesto. Ciò nonostante, trattandosi di lavorazioni molto
specifiche, attualmente la crescita di competenze delle risorse umane
avviene prevalentemente all’interno del contesto lavorativo.

Minacce

Data la particolare natura di questa filiera, estremamente dipendente dalle


risorse naturali disponibili in loco, l’eventuale esaurimento di alcuni
importanti giacimenti minerari rappresenterebbe senza dubbio il più
preoccupante problema che in futuro potrebbe presentarsi. Nella regione,
infatti, le imprese del comparto non sono ancora state in grado di affrancarsi
da tale vincolo, non ponendosi l’obiettivo di diversificare la produzione
trattando anche materiali importati. È piuttosto vero il contrario, ossia la
tendenza ad esportare verso Paesi dai bassi costi di produzione marmi e
graniti allo stato grezzo. In tal senso, è necessario che lo sfruttamento delle
cave avvenga attraverso una programmazione razionale e lungimirante e che
sia nel frattempo accompagnata da politiche volte a diversificare le fonti di
approvvigionamento di marmi d’alta qualità.
La minaccia più immediata è però senza dubbio legata al deteriorarsi delle
ragioni di scambio con l’estero. Per uno dei comparti maggiormente
internazionazionalizzati dell’intera economia siciliana, non è sufficiente
puntare soltanto su elevati standard qualitativi: il costo dei fattori produttivi
diviene un elemento fondamentale per restare competitivi sui mercati. In tal
senso, un ulteriore apprezzamento dell’euro sul dollaro oppure l’incapacità
di trovare soluzioni efficienti e poco costose per lo smaltimento degli scarti
di produzione potrebbe avere conseguenze molto negative per le imprese
della filiera.

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