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silvia mantini

I MEDICI IN TERRA D’ABRUZZO:


IL FEUDO DI CAPESTRANO
TRA I SECOLI XVI E XVII

Nei decenni che si susseguono tra il secolo XVI e il XVIII il feudo mediceo di
Capestrano, in Abruzzo, rappresentò una scena importante nel teatro politico della
complessa successione della famiglia Medici, che vede questo piccolo «Stato»
fiorentino nello «Stato» ispanico come laboratorio di conflitti tra la casata medi-
cea, a cui apparteneva, il regno di Napoli, nel cui territorio era situato, e il vicino
Stato pontificio.
Il feudo di Capestrano comprendeva anche le terre della Baronia di Carapelle,
che oggi abbracciano Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Rocca Calascio e Cas-
telvecchio Calvisio, ed era stato acquistato da Francesco de’ Medici, granduca di
Toscana, nel giugno del 1579 dall’erede di Alfonso Piccolomini, Gostanza Picco-
lomini d’Aragona, duchessa di Amalfi, per la somma considerevole di 106.000
ducati, come si legge nella Miscellanea Medicea:
Il Marchesato di Capestrano e tante terre di Carapelle nel regno di Napoli si com-
perorno per il Sr.mo Gran Duca dalla Sig.ra Gostanza Piccolomini d’Aragona
duchessa di Malfi per mano di Francesco Biffoli di Napoli l’anno 1579 per ducati
106 mila che furono depositati ducati 50 mila nel Banco di Composta e Corcionii,
ducati 56 mila in Banco di Calamanza e Pontecorvo come negli atti di tali depo-
siti e per contratto rogato in Napoli per notaio GiovanFrancesco Damiano in giu-
gno di detto anno; e ducati 2454.3.10 importorno i donativi, et altre spese per tal
conto tutto a moneta di Napoli di carlini che costorno ducati 99180 1.
Stemma mediceo
nel portale d’ingresso Nel corso del suo principato Francesco de’ Medici impegnò con convinzione molti de-
di Santo Stefano di nari per l’acquisto di immobili legati al borgo e a tutti i possedimenti vicini.
Sessanio.
Il granduca percepì da subito il valore di questo territorio di congiunzione tra il regno
di Napoli, lo Stato pontificio e la Toscana, referente fondamentale per il commercio della
lana 2, dei pellami e dello zafferano 3. Proprio per questo pose come governatore del feudo
il nobile Gentile Acciaioli, come attesta l’atto di ratifica siglato il 3 ottobre 1579. In questo
documento venivano precisati con dettaglio tutti gli strumenti in uso al governatore per
Pagina a lato: l’amministrazione del feudo: non solo erano indicate le modalità di riscossione degli affitti
Planimetria
settecentesca e dei dazi sui mulini, ma venivano fornite notizie anche sulla gestione dei terreni, sulla de-
dei possedimenti lega ai notai e sulle difese degli avvocati di riferimento per il granducato, così come pure
della famiglia si poneva l’accento sulla filosofia della gestione del potere che doveva consentire alla po-
Corsi posti in pieno polazione di essere «governata con dolcezza»4.
centro prima
dell’inurbamento. Francesco de’ Medici ripose molta importanza in questo marchesato e intendeva donarlo
al figlio Antonio, nato dall’unione con Bianca Cappello, in modo da poter assicurare l’erede
Pianta della Vicenda
detta di S. Maria alla successione al granducato, presentandolo con un bene concreto e con un titolo.
(Archivio di Stato Proprio per questo, dopo la donazione avvenuta il 30 agosto 1580, il granduca si attivò
di Napoli, b.1173). molto con il sovrano di Spagna Filippo II perché il nome del feudo si potesse modificare

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Secondo passaggio
obligato del rivellino
d’accesso che immette
nella piazza d’armi
del castello.

da marchesato in principato, consentendo al giovane Antonio di succedere al padre gran-


duca, potendo già vantare il titolo di Principe di Capestrano.
Nel 1584 il desiderio di Francesco, di mutare la denominazione del territorio, fu esaudito,
sebbene, non essendo mai stata ratificata la modifica, il granduca morì senza che Antonio
avesse davvero il diritto di essere Principe e quindi suo successore5.
È probabile che, presupponendo l’attenzione del fratello Ferdinando per questo princi-
pato, Francesco volle tutelare Antonio e la reversibilità di Capestrano nel caso lui morisse.
Su questa spinosa querelle è presente nel fondo Mediceo del Principato, conservato presso
l’Archivio di Stato di Firenze, una raccolta di documenti
«[...] che riguardano la reversibilità del Principato di Capestrano alla signora
Bianca Cappelli, Granduchessa di Toscana in caso che venisse a morte, prima di
lei, il Signor Don Antonio suo figliolo già infeudato di detta possessione» 6.

Dei quattro documenti il primo e il secondo sono due copie originali dell’atto della re-
versibilità emanato a Madrid il 27 novembre 1584; il terzo e il quarto contengono le lettere
esecutoriali dell’atto stesso, delle quali la prima è emessa dal viceré di Napoli Don Pedro
Téllez-Girón duca di Ossuna il 31 di gennaio del 1585 e l’altra data dal viceré di Sicilia
Don Antonio D’Avalos marchese del Vasto, l’ultimo di febbraio 1585 in qualità di gran ca-
merario e presidente della regia Camera della Sommaria 7.
Come è noto, Francesco de’ Medici e Bianca Cappello morirono in circostanze poco chiare
a distanza di poche ore il 25 ottobre 1587, si presume per avvelenamento, forse ad opera del
fratello del granduca, Ferdinando, bramoso di conquistare la sovranità della Toscana 8.
Questi riuscì a privare il giovane Antonio di tutti i possedimenti medicei e soprattutto
del titolo di Granduca, a cui il padre Francesco avrebbe particolarmete tenuto9. In realtà lo
zio persuase ingannevolmente Antonio che lui era figlio di una popolana e non di Bianca
Cappello e che quindi non avesse diritto alla successione neanche del marchesato di Ca-

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pestrano. Tuttavia Ferdinando, che si riteneva legittimo successore, avrebbe donato il titolo
e le proprietà al giovane nipote se, una volta divenuto maggiorenne, questi fosse divenuto
Cavaliere di Malta, cosa che avrebbe comportato, come da consuetudine, la donazione dei
possedimenti – tra cui Capestrano – all’Ordine.
Il giovane Antonio accettò, non sapendo che Ferdinando lo aveva raggirato perché aveva
fatto approvare una clausola dal papa Clemente VIII secondo la quale i beni, anziché essere
donati all’Ordine, sarebbero stati donati a lui medesimo. Perciò lo stesso Antonio nominò
suo erede lo zio Ferdinando de’ Medici il 28 giugno 1590 10. La successione, tuttavia, non
fu automatica e semplice: Filippo II non aveva alcuna intenzione di conferire a Ferdinando
de’ Medici, già Granduca di Toscana, il titolo di Principe di un feudo nel territorio del
Regno di Napoli 11. In ogni caso il giovane Antonio non poté sottrarsi all’impegno preso e,
quindi, donò, secondo accordo stipulato, tutti i suoi averi allo zio, quando, raggiunta la
maggiore età, giurò l’ingresso nell’Ordine di Malta 12.
L’Ordine, successivamente, girò i suoi possedimenti a Ferdinando, che si era premurato
di blindare tale accordo con il papa e il 13 aprile 1594 entrò in possesso anche del feudo di
Capestrano, sebbene senza assenso regio: da quel momento i beni di Capestrano si trasmi-
sero solo ai figli cadetti di casa Medici.
Solo alla morte di Ferdinando, nel 1609, fu approvata dal re di Spagna la cessione del Prin-
cipato di Capestrano ai Medici, essendo i rapporti tra i due stati decisamente più equilibrati 13.
Il territorio abruzzese, comprendente le terre della Baronia di Carapelle, rendeva ottimi
frutti e patrimoni al Granducato Toscano, al punto che la hacienda poteva fare prestiti al
Regno di Napoli 14.
Al momento della successione Ferdinando stabilì che il suo secondo figlio maschio, Fran-
cesco, che era stato cugino di Antonio, ricevesse il Principato di Capestrano. Alla morte di
Francesco de’ Medici (1614) – che volle sulla sua tomba l’incisione «princeps Capestrani» –
la titolarità del principato passò a Carlo de’ Medici (1615), che nominò governatore il poeta
e scrittore Alessandro Tassoni 15. Successivamente i Medici si avvicendarono nel titolo di Prin-
cipi di Capestrano e, alla morte di Carlo, subentrò Francesco Maria nel 1666, seguito da Gian
Gastone.

giurisdizioni Complesse

Anche a Capestrano, come in tutto il territorio del meridione della penisola in antico regime,
si sovrapponevano ad incastro problemi di giurisdizioni che richiamavano, tra l’altro la
particolare configurazione di questo Principato, «stato mediceo» nel regno di Napoli, legato
per questioni religiose allo Stato Pontificio e al ruolo dell’Abbazia di San Pietro ad Orato-
rium, che deteneva ampi poteri dall’epoca medievale.
Ricca ed eterogenea è la documentazione presente nel fondo Miscellanea Medicea,
conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze, contenente episodi che richiamano questo
delicato quadro 16.
All’interno di tale fondo assume rilevanza il fascicolo processuale della corrispondenza
del governatore di Capestrano Simone Giugni17, databile tra il 21 ottobre 162118 e il 20 feb-
braio 1623, importante per ricostruire le problematiche concernenti il governo e l’ammi-
nistrazione della giustizia nel principato19. Il carteggio contiene documenti che mostrano
come la macchina della giustizia dovesse rapportarsi con complesse questioni, soprattutto
nel caso di reati commessi in territorio capestranese da personaggi stranieri, su cui paral-
lelamente intervenivano altre amministrazioni che ritenevano di avere competenza.
Emblematico è il caso dell’omicidio del pievano Don Nicola, avvenuto a Ofena, dunque
in territorio capestranese, per il quale era stato arrestato e inquisito tale Giuseppe Cherubini,
originario di Ascoli, ovvero, di una città dello Stato Pontificio situata ai confini con il Regno
di Napoli. All’interno di questa vicenda, si evince come la complessità dei sistemi giurisdi-
zionali di età moderna potesse comportare modalità di intervento tutt’altro che scontate,
presupponendo ridefinizioni di competenze tra giustizia laica ed ecclesiastica da un lato,
sulla base del tipo di reato commesso, ma anche delle singole giurisdizioni sovrane even-
tualmente competenti dall’altro, coinvolgendo in questo caso specifico Stato Pontificio,
Regno di Napoli e Granducato di Toscana.

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Particolare interesse hanno in tal senso le lettere scritte da Capestrano da Simone Giugni Il colle del monastero
a Mario Bonaventura, governatore di Ascoli, e a Piero Lagi, segretario del cardinale Carlo di s. Giovanni
che degrada
Medici a Roma, ai quali il governatore sollecitava l’estradizione del carcerato a Capestrano. sulla Valle Tritana.
Il governatore di Ascoli aveva negato il trasferimento del Cherubini, subordinando qualsiasi
risoluzione alla previa autorizzazione della curia romana o del legato pontificio, essendo
la città in territorio papale 20. Di fronte a questa presa di posizione, il governatore Giugni
si trovava a sollecitare Pietro Lagi a Roma presso la corte papale, affinché si procedesse
nella direzione da lui indicata sulla questione dell’estradizione dell’imputato da giudicare
presso la propria corte 21.
Non è dato sapere, al momento, se la questione si sia conclusa – come appare verosimile
– secondo quanto auspicato dal Giugni 22, ma è certo che l’attenzione riposta dai Medici
alla salvaguardia dei propri diritti giurisdizionali – attraverso governatori come lo stesso
Giugni o personaggi di fiducia come Pietro Lagi – fu sempre molto alta. L’immagine del
Principato nella gestione politica delle sue problematiche rispecchia e proietta, pur nel pic-
colo territorio, le dinamiche proprie dei più grandi e coevi stati italiani nella complessità
dei dimensioni emergenti.

Una peculiarità della giurisdizione ecclesiastica in territorio capestranese era legata al


fatto di non essere appannaggio del vescovo di Sulmona, dal momento che Capestrano e le
sue chiese – come del resto altre dei paesi limitrofi – sfuggivano al controllo del vescovo
e dipendevano dall’abbazia di S. Pietro ad Oratorium 23. Gli abati di S. Pietro si muovevano
in maniera autonoma rispetto ai vescovi sulmontini in una serie di questioni, quali la nomina
e la revoca dei confessori, la scelta dei rettori delle chiese del territorio soggetto, la solu-
zione dei casi di coscienza. Di scottante tensione era la questione dell’autonomia dell’Ab-
bazia nullius di san Pietro rispetto al vescovo: nonostante il progressivo consolidamento
delle prerogative episcopali in età post-tridentina, non mancavano frizioni dovute alla te-
nacia degli abati di conservare, sulla base di una lunga tradizione di privilegi, la loro sfera
ampia di potere. Soprattutto sul finire del Cinquecento, negli anni in cui fu abate di S. Pietro
Giuseppe Pascalucci, si determinarono momenti di irrigidimento, nella rivendicazione della
diretta dipendenza di S. Pietro ad Oratorium e delle sue pertinenze dalla S. Sede24.

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Non mancavano però occasioni in cui gli abati di S. Pietro dovessero relazionarsi su una
serie di questioni di carattere ecclesiastico con i vescovi sulmontini, come dimostra la lettera
del 6 ottobre 1612 e quelle seguenti, con cui il governatore di Capestrano Simone Giugni
affrontava la questione dei diritti di giuspatronato del cosiddetto “beneficio di S. Silvestro”,
che comportava conseguenze in termini di nomine, usufrutto e rendite 25.
Il problema del beneficio di S. Silvestro suscitava interesse e animosità, al punto che il
governatore capestranese non esitava a invocare la scomunica papale per coloro che aves-
sero contestato in questa specifica faccenda le prerogative dell’abate di S. Pietro, che era
all’epoca il cardinale Giovan Battista Leni26. Muovendo da questi presupposti, Simone Giu-
gni si recava all’Aquila per avere consigli «da persona praticissima [...] per il negotio del
possesso della badia qui di Capestrano» e cercava di reperire documenti originali in latino
da volgarizzare in lingua italiana, attestanti le prerogative dell’abate in materia 27.
Prima di entrare nel Principato Mediceo, Capestrano era stato un marchesato all’interno
dello Stato dei Piccolomini, che in Abruzzo aveva avuto il proprio cuore nevralgico nella
Contea di Celano 28. Dopo l’estinzione della famiglia dei Piccolomini e il passaggio della
contea ai Peretti, a Celano continuavano a essere custodite due bolle inerenti le prerogative
degli abati di S. Pietro riguardanti il «beneficio di S. Silvestro», risalenti al periodo in cui
l’abbazia fu posseduta «da più persone di Casa De’ Tollis di Celano» 29 – evidentemente
vicini all’epoca ai Piccolomini. Per questa ragione, il Giugni supplicava il «Principe Peretti»
di fargli fruire della documentazione da lui richiesta, in modo da poterla esibire a Napoli e
ottenere attraverso un regio assignatur la sistemazione delle problematiche concernenti il
beneficio, in favore dell’abate, per un giuspatronato unificato 30.
Nella lettera rivolta a Pietro Lagi, datata 12 gennaio 1623, la querelle proseguiva e il
Giugni stabiliva di recarsi personalmente a Sulmona per perorare presso di lui la causa
della giurisdizione dell’abbazia di S. Pietro ad Oratorium rispetto all’affitto del beneficio
di S. Silvestro 31.
L’insistenza sul primato dell’abbazia in un elevato numero di questioni ecclesiastiche
in territorio capestranese lascia presagire come restasse ferma la volontà di continuare a
relegare il vescovo di Sulmona al di fuori dalla giurisdizione ecclesiastica capestranese.
Ciò avvenne in modo ancor più eclatante, quando i Medici giunsero a esercitare un totale
controllo sulle cariche badiali con Carlo e Francesco Maria, che furono al contempo principi
di Capestrano e abati di S. Pietro ad Oratorium 32.

la sCoperta di una zeCCa Clandestina (1608)


La vita nel principato mediceo scorreva ricca di episodi che caratterizzarono l’antico regime
in quella sua serrata dinamica di comportamenti, spesso complessi, ma anche densi di sog-
gettività, che si intersecavano tra istituzioni e società, norma e prassi.
A Capestrano, nel 1608, veniva scoperta una zecca clandestina che operava per mano
di un cittadino locale, Ruggero De Geronimo e di suo cognato, Leonardo Pucciarello di
Popoli, che furono arrestati presso il carcere della Regia Udienza e processati a Chieti con
l’accusa di fabbricazione di moneta falsa e tosatura di moneta genuina 33.
L’esistenza di questa zecca appare espressione della volontà, dei privati cittadini coin-
volti, di trarre lucro dalla circolazione di denari falsi, sfruttando le opportunità che tali at-
tività illegali potevano garantire loro 34.
Diffusa appariva la preoccupazione che il De Geronimo e il Pucciarello potessero avere
avuto alcuni complici nel portare avanti i loro disegni, secondo modalità che suggerirebbero
come l’esistenza di sistemi economici non autorizzati potesse di fatto esercitare un’attrattiva
su una parte della società locale, lusingata dall’ipotesi di immediati profitti.
La Regia Udienza si proponeva così di regolamentare, mediante appositi interventi, i
reati commessi a livello periferico, nell’ottica di una tendenza a contrastare pratiche illecite
che fossero motivo di preoccupazione per il Regio Fisco e, più in generale, di un consoli-
damento degli apparati statali di età moderna.
I carteggi processuali relativi alla vicenda della zecca clandestina capestranese si trovano
in Spagna, custoditi nella Visita de Italia di Don Juan Beltran de Guevara (1607), presso
l’Archivio Generale di Simancas.

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Il fatto processuale riferisce che, dopo molti tormenti, fu acclarato che i due imputati ave-
vano allestito a Capestrano, nella sala dell’abitazione del De Geronimo, una zecca abusiva
che produceva «alcuni retagli» di grane, cianfroni (mezzi ducati d’argento), tornesoni (mul-
tipli di tornesi di rame), utilizzando i ritagli d’argento ricavati dalla tosatura di mezzi carlini
autentici. L’ingiusto profitto si materializzò spendendo il danaro falso per l’acquisto di una
“salma di grano”, compravendita che effettivamente si concluse a Santo Stefano di Sessanio.
Costantina di Micuccio, vittima della truffa, ammontante a sette ducati e mezzo, fu colei che
sollevò la notitia criminis 35. Dai numerosi risvolti processuali è emerso che esistevano molti
potenziali falsari, nonché transazioni a rischio, nella fascia di territorio estesa tra Popoli, San
Pio, Ofena e Forca di Penne 36, area rispetto alla quale Capestrano, città equidistante dal-
l’Aquila e da Chieti, rivestiva un ruolo di assoluta centralità, confermando come la città si
configurasse proprio come un’area di frontiera, crocevia tra mondi diversi.
L’intervento sulla questione della zecca clandestina di Capestrano, sia pure nelle dimen-
sioni locali del fenomeno, poteva rappresentare per la Corona e le sue istituzioni una que-
stione seria da monitorare e arginare, in un territorio che presentava dinamiche di controllo
niente affatto scontate37.
Ne erano ben consapevoli i Medici che puntualmente riportavano al governo centrale
di Firenze rendiconti e descrizioni del territorio, della città e della Baronia di Carapelle,
che documentassero la produzione del territorio, gli introiti, il regime fiscale e le ammini-
strazioni delle giurisdizioni 38.
Al termine del processo istruito dall’uditore della Regia Udienza Teatina competente
per tale reato, tale Cavarretta, fu condannato alla forca soltanto il Pucciarello, in quanto il
De Geronimo morì a causa degli stenti derivatigli dalle torture 39.

demografia e fisCalità nel 1670


Nel 1670 – anno in cui nasceva Giovanni Leopoldo, figlio di Filippo IV e di Margherita
Teresa – l’auditore fiorentino Gherardini riceveva una nota rivolta ai Medici, riguardante
il feudo abruzzese di Capestrano.
“Per l’occorrenze di Menina la regia corte vende tutti i fiscali, così chiamano qua
l’imposizioni di ducati quattro, e un tarì a fuoco, venduti in nome del re di Spagna
[…] e situati sopra ciascuna città e terra di regno e li compratori si chiamano con-
segnatari e stando anco una parte di questa esigenza in beneficio del re che va
sotto il nome di regia corte, hoggi per facilitare le vendite è uscito decreto della
regia camera approvato dal supremo collaterale consiglio col quale privilegiando
i baroni si dà loro la facultà di comprare i fiscali nelle proprie terre non distin-
guendosi se sia del re o delli consegnatari alli quali però unico contextu dà la regia
Corte l’equivalente sopra città e terre regie de’ fiscali spettanti al re della medesima
Provincia” 40.

La lettera – di cui non è noto l’autore – era stata inviata all’auditore «acciò si degni par-
ticiparle a Sua Altezza, et in caso che volesse applicare alla Compra de’ Fiscali dello Stato
di Capestrano ne possa prendere presto resolutione, perché la vendita si fa dalla Regia Corte
per l’emergenza vegliante degli affari di Menina, che quando cessasse si altererebbe anco
la mano a vendere» 41.
In quella circostanza, per volontà del viceré Pietro d’Aragona, veniva così effettuata
una rinumerazione dei fuochi presenti nelle dodici province del Regno di Napoli, in modo
da far corrispondere, sulla base del numero dei fuochi, una pressione fiscale il più possibile
proporzionata 42. Tale riconteggio, che avrebbe dovuto essere svolto ogni quindici anni,
non era stato più effettuato dal 1640, e conteneva interessanti indicazioni riguardanti il qua-
dro fiscale e demografico del principato di Capestrano nel secondo Seicento. Queste infor-
mazioni erano trasmesse all’auditore Gherardini «per maggior notitia», in modo che le
sottoponesse agli eventuali «consegnatari» interessati al discorso della ricompra dei fiscali
per trarne eventuali guadagni 43.
Dall’analisi dei dati in nostro possesso, si evince come il numero complessivo dei fuochi
(cioè delle unità familiari) delle località situate nel principato e nella baronia ammontasse

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Da sinistra:
Francesco e Ferdinando
de’ Medici.

a 1430. Le realtà demograficamente più significative erano rispettivamente Castel del


Monte (294 fuochi) e Santo Stefano di Sessanio (223 fuochi), seguiti nell’ordine da Ofena
(174), Capestrano (160), Castelvecchio Calvisio (157), Calascio (155), Rocca Calascio
(155), Bussi (76) e, infine, Carapelle Calvisio (60) 44.
Nonostante fosse il cuore amministrativo, sede degli uffici dello stato mediceo nel
Regno, Capestrano non rappresentava dunque il centro più popoloso del principato, con i
suoi 160 fuochi, che dovevano corrispondere approssimativamente a un totale di circa ot-
tocento unità 45. Analogamente, il centro meno popoloso tra quelli menzionati risultava Ca-
rapelle Calvisio, che pure era il capoluogo dell’omonima baronia. La modesta componente
demografica all’interno del principato, in parte riconducibile alle difficoltà legate al clima,
all’economia appenninica e all’assenza di connotazioni urbane, dovette in parte risentire
anche dell’elevata mortalità provocata dalla peste del 1656.
Secondo anche la testimonianza dell’Antinori, che avvalora i dati forniti all’auditore
Gherardini, nel 1670 Capestrano «fu situato a centosessanta fuochi, per cui a ducati quattro
e otto grana avrebbe dovuto pagare alla corte 652,80 annui»46.

Configurazioni giuridiChe e istituzionali


All’interno del principato, a livello ‘esecutivo’, l’amministrazione era affidata a un gover-
natore generale, per lo più di provenienza toscana, designato dai Medici tra le personalità
di loro fiducia; il governatore soggiornava a Capestrano solitamente per la durata del man-
dato, sovrintendendo al governo dell’intero territorio. Altra figura di fondamentale impor-
tanza era quella dell’erario generale, economo del principato, assistito da un computista
con compiti di ragioneria; gli erari, un po’ come i governatori, erano cooptati da famiglie
vicine ai Medici, ma ben più radicate nel territorio capestranese, come nel caso dei Corsi,
che avevano abbandonato la Toscana per trasferirsi definitivamente in Abruzzo ed esercitare
questo tipo di mansione. L’amministrazione della giustizia civile e criminale era invece
una prerogativa dei capitani di giustizia – anch’essi di provenienza toscana e indiscussa fe-
deltà medicea – che esercitavano la loro giurisdizione in tutte le terre del principato (ecce-
zion fatta per Bussi che ne aveva uno proprio) 47.
Il feudo di Capestrano era sempre apparso agli occhi dei Medici come una terra preziosa,
come è ben sottolineato nel saggio di Stefano Calonaci nel presente volume: Ferdinando
aveva fatto di tutto per aggirare le mire di possesso del giovane Antonio, per il quale il
padre Francesco aveva investito circa la metà dei suoi liquidi destinati alle proprietà im-

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Giovan Carlo de’ Medici. Gian Gastone de’ Medici.

mobiliari. Lo zio, poi, aveva imposto al nipote ogni sorta di configurazione burocratica per
poter assicurare queste terre al suo secondogenito Francesco 48.
Il valore della terra di Capestrano e del suo circondario era riposto soprattutto nelle sua
strategica posizione politica, che la vedeva situata lungo la Via degli Abruzzi, e in un cro-
cevia unico tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, oltre che, ovviamente, in un rapporto
privilegiato con la Toscana. Non è un caso, come sottolinea Francesco Sabatini «se la prima
copia del Decameron si segnala nel 1360 tra le mani dei mercanti Acciaioli che facevano
sosta a L’Aquila e a Sulmona, città che pullulavano di sedi anche dei Badri, dei Peruzzi,
degli Scali, degli Alberti, dei Bonaccorsi, degli Strozzi»49.
Capestrano, dunque, si insinuava come una insula in una provincia di confine, una lingua
toscana in una terra «spagnola». Era perciò una postazione assai speciale di ascolto delle
percezioni politiche, quasi in modo spionistico. Negli anni di transizione tra il secolo XVII
e il XVIII le temute tendenze filofrancesi del Granducato toscano, che stava ormai volgendo
verso il suo declino, rappresentavano un pericolo per la monarchia spagnola, attenta a mo-
nitorare le posizioni baronali nelle sue terre, nel timore di possibili sedizioni. Non a caso
l’intervento del Granducato Toscano nella guerra di Castro (1641-1644), a fianco delle po-
tenze che si erano schierate contro il papa Urbano VIII per difendere il feudo di Castro,
che il papa aveva ripreso da Odoardo Farnese, aveva dimostrato il desiderio del granduca
di temere un rafforzamento papale e, pertanto, aveva evidenziato il ruolo preminente di
Capestrano, come postazione sentinella per la trasmissione delle informazioni in quel cro-
giuolo di traiettorie che era il Principato 50.
Nella Miscellanea Medicea si possono rintracciare numerosi elementi in grado di illu-
minare anche sull’assetto interno del principato rispetto a questioni dinastiche e rapporti
con il Granducato.
Un problema che aveva attraversato la fine del XVI secolo e tutto il XVII era stato
quello relativo alla successione degli esponenti medicei al principato capestranese. La prassi
ricorrente era quella di concedere Capestrano in feudo ai figli cadetti della famiglia gran-
ducale, evitando in questo modo un’eccessiva concentrazione di potere dei sovrani toscani
nel cuore dei domini spagnoli, che potesse provocare irrigidimenti a Madrid e nello scac-
chiere della politica internazionale 51.
L’aver ottenuto in feudo Capestrano, per i Medici, non rendeva di fatto scontata e auto-
matica la loro integrazione nel possedimento abruzzese secondo i piani. Le amicizie tra il
Granduca Ferdinando de’ Medici e la Francia, ad esempio, crearono non poche diffidenze
a Madrid, che – prima della successiva investitura – si risolsero in una iniziale risposta «ne-

9
gativa que debe derse a la suplica del assenso que solicita el Duque de Toscana sobre el
Principato de Capistrano»52.
Anche nell’investitura di Giovan Carlo de’ Medici, richiesta nel 1631 dallo zio cardinale
Carlo, principe-abate di Capestrano, si dovettero verificare problemi nell’ottenimento
dell’assenso e del beneplacito regio, da lui sollecitato presso Filippo IV53. Carlo de’ Medici
chiedeva di donare «la Terra di Capistrano e tutte le altre terre, casteli, ville, e beni tanto
feudali, quanto burgensatici et allodiali» a Giovan Carlo de’ Medici e ai successori, prima
che il nipote si avviasse alla carriera ecclesiastica e cingesse come lui la porpora cardinalizia.
La questione dell’investitura del principato a Giovan Carlo dovette di fatto essere più
complessa, dal momento che, a quanto sembrerebbe, Carlo non aveva realmente fretta né
intenzione di cedere del tutto il principato 54. Nel dilazionare quest’operazione, Carlo aveva
avuto il tempo dalla propria parte poiché, oltre a tardare l’approvazione del «re cattolico,
padrone diretto delli sopra detti beni feudali», Giovan Carlo incontrò difficoltà nel destreg-
giarsi fra le carte, riguardanti la passata amministrazione, del dimissionario Giugni55. Sol-
tanto otto anni dopo l’atto ufficiale di donazione, così, zio e nipote trovarono un accordo
duraturo per il quale Giovan Carlo, legittimo proprietario di Capestrano, concedeva in uso
i territori al cardinale Carlo per 3.700 scudi l’anno 56.
Giovan Carlo de’ Medici – secondogenito maschio del granduca Cosimo II e di Maria
Maddalena d’Austria – venne a mancare tre anni prima dello zio Carlo, nel 1663; a quel
punto, il titolo di principe-abate di Capestrano passò a Francesco Maria, secondogenito del
granduca Ferdinando II e di Vittoria della Rovere (1666) 57.
L’occupazione austriaca del Regno di Napoli (1707) e il successivo sequestro da parte
della nuova amministrazione del feudo di Capestrano (1708) comportò un clima di incer-
tezza, che si concluse soltanto nel 1711 con una reintegrazione, niente affatto scontata,
della signoria medicea sul possedimento abruzzese 58.
Tutto questo scenario sembrava rendere importante per i Medici comprovare l’attribu-
zione del feudo come Principato, e non come marchesato, con diritto di successione al
primo figlio e non solo ai cadetti, come era stato fino a quel momento. Nel 1715, così, si
andò a riesumare negli archivi della Segreteria Vecchia l’originale documento che aveva
attestato l’attribuzione del principato al Granduca Francesco, come eventuale strumento
per trattare a Vienna la questione della nomina di Gian Gastone 59:
Signore mio
Il Ser.mo Gran Duca vuole che Vostra Signoria faccia diligenza della Segreteria
Vecchia e specialmente tra le scritture dei Serenissimi Principi che per il tempo
addietro furono in possesso del Principato di Capestrano, se ivi si trovi o l’Origi-
nale, e la Copia del Contratto sopra l’acquisto che il Ser.mo Gran duca Francesco
ne fece dalla Casa Piccolomini, che in quel tempo ne aveva la padronanaza e mi
avvisi di quanto averà potuto trovare. Con che resto Dalla segreteria di Stato li
28 aprile 1715.

A formulare la richiesta della documentazione sul principato era un personaggio vicino


ai Medici quale Carlo Antonio Gondi – proveniente da una famiglia influente a corte – se-
gretario di stato, ambasciatore residente in Francia e membro del consiglio segreto del gran-
duca 60. La richiesta della documentazione su Capestrano avveniva nella collaborazione e
unità di intenti con il granduca Cosimo III, nel periodo in cui il dotto abate fiorentino rea-
lizzava il suo lavoro più meritorio, ovvero, l’effettuazione dei vasti spogli di archivi pubblici
e privati di Firenze61. La lettera del Gondi era indirizzata al canonico Fabrizio Cecini, cu-
stode della segreteria di stato e segretario del cardinale Leopoldo, nonché preposto all’ar-
chivio della segreteria vecchia dal 1682 al 1717, fautore dell’esigenza di un’ordinata
classificazione delle carte medicee 62.
Nella descrizione che si ricavava, si poteva leggere il ruolo preponderante del granduca
Francesco, nella vicenda dell’acquisizione di Capestrano, concesso in un secondo momento
al figlio Antonio.
Capestrano è Baronia di Carapelle, fu comprata dal Gran Duca Francesco nel-
l’anno 1582 e la donò al Signore Don Antonio suo figlio e suoi discendenti maschi
e femmine. Chiede al Re la confermazione e che le regga in Principato. Il cardinale

10
Gran’vela si attraversa e resta in negozio sospeso fino al ritorno del Re in Castiglia;
il quale poi nell’autunno del 1583 lo concede a S.A.
Il Marchesato di Capestrano e tante terre di Carapelle nel regno di Napoli si com-
perorno per il Sr.mo Gran Duca dalla Sig.ra Gostanza Piccolomini d’Aragona du-
chessa di Malfi per mano di Francesco Biffoli di Napoli l’anno 1579 per ducati
106 mila che furono depositati ducati 50 mila nel Banco di Composta e Corcionii,
ducati 56 mila in Banco di Calamanza e Pontecorvo come negli atti di tali depositi
e per contratto rogato in Napoli per notaio Giovan Francesco Damiano in giugno
di detto anno; e ducati 2454.3.10 importorno i donativi, et altre spese per tal conto
tutto a moneta di Napoli di carlini che costorno ducati 99180. In circa di moneta
fiorentina di 27mila fiorini63.
Appariva fondamentale ottenere da Vienna e Napoli un riconoscimento che consentisse
a Gian Gastone de’ Medici di assicurargli il possesso di Capestrano, in attesa che i succes-
sivi sviluppi chiarissero i destini della sua famiglia 64. Nel 1719, così, il viceré di Napoli
Conte di Daun poteva definitivamente accordare a Gian Gastone l’agognato riconoscimento
principesco, secondo quanto previsto dalle disposizioni imperiali a Vienna. In una «Lettera
originale del Signor Conte di Daun al Viceré di Napoli del 26 gennaio 1719 al Ser.mo Gio-
van Gastone Gran Principe di Toscana», più precisamente, questi assicurava del suo com-
piacimento nell’aver potuto dare una pronta esecuzione alla disposizione di Sua Maesta
Cesarea e Cattolica che concede a S.A.R. il possesso dei suoi feudi di Capestrano nel
Regno. La lettera del Conte di Daun a Gian Gastone de’ Medici è in lingua spagnola, a ri-
prova di una certa continuità negli usi linguistici nella cancelleria asburgica, negli anni im-
mediatamente successivi al passaggio del Regno al ramo d’Austria.
Ottenute le necessarie assicurazioni di fedeltà da parte medicea, l’imperatore poteva
così accettare l’investitura di Gian Gastone a principe di Capestrano, di qualche anno pre-
cedente rispetto alla nomina granducale (1723). Essendo di fatto la famiglia Medici ormai
un lieve pericolo, l’imperatore poteva tollerare la convergenza dei titoli di principe e di
granduca nelle mani della stessa persona, lasciando che si interrompesse una consuetudine
plurisecolare che – salvo brevi parentesi – aveva mantenuto separate la dignità principesca
da quella granducale.
Si concludeva una spinosa questione, che aveva creato agli inizi del secolo un clima di
scompiglio, e si delineavano le condizioni perché Gian Gastone potesse mantenere il titolo
Princeps Capestrani per un ventennio, prima che insorgessero nuove problematiche. La so-
luzione di affidare all’ultimo granduca il titolo di principe di Capestrano avrebbe di fatto ri-
mandato le difficoltà successorie innescate dalla mancanza di eredi nella casata dei Medici.
La linea maschile di casa Medici si interrompeva il 9 luglio del 1737 con la morte di
Gian Gastone, ultimo granduca della famiglia, e con il passaggio del granducato Toscano
agli Asburgo-Lorena 65. Tali scenari ponevano interrogativi a Capestrano che, all’indomani
della scomparsa di Gian Gastone, si risolsero con il passaggio del principato alla sorella
Anna Maria Luisa, che lo mantenne fino al 1743, anno in cui si spegneva anch’ella senza
eredi. La questione di Capestrano appariva delicata sul piano internazionale, tanto più all’in-
domani del passaggio del Regno di Napoli dagli Asburgo di Vienna ai Borbone (1734) e
nel complicato sfondo della Guerra di successione polacca e austriaca.
La soluzione adottata dal nuovo re di Napoli Carlo di Borbone fu quella di inglobare il
principato di Capestrano e la Baronia di Carapelle come beni allodiali, assicurando a se
stesso maggiori forme di controllo e tutela sul territorio, creando le condizioni perché si
allentassero gli stretti rapporti che, fino a quel momento, avevano legato il feudo abruzzese
a Firenze. Con questa annessione, il Regno borbonico si ingrandiva di feudi e proprietà
prima mai posseduti dalla corona: infatti non solo Capestrano e i territori di provenienza
medicea furono inglobati nel demanio regio, ma anche i numerosi feudi farnesiani che Mar-
gherita d’Austria aveva posseduto in Abruzzo, sia in virtù della dibattuta eredità ottenuta
dal matrimonio con Alessandro de’ Medici, sia grazie ai suoi feudi personali, donazione
dotale che il padre Carlo V le aveva concesso, sia ancora dai feudi farnesiani, successiva-
mente acquistati da lei dopo il matrimonio con Ottavio Farnese, tanto da costituire un vero
«stato farnesiano» nel regno di Napoli, con propri ordini amministrativi 66.
Nel 1759 Carlo di Borbone decideva di assumere la corona di re di Spagna e lasciava
nelle mani del figlio Ferdinando IV il Regno di Napoli, con tutti i suoi possedimenti, tra
cui Capestrano 67.

11
presenze tosCane
Oltre agli aspetti legati a quelle che erano le molte occasioni dei processi in una società
che rispettava tutte le fragilità economiche del tessuto di una realtà seicentesca meridionale,
Capestrano si configurava come un luogo di sovrapposizioni giurisdizionali tra il territorio
regnicolo, dipendente dalla Monarchia spagnola, quello mediceo legato alla omonima fa-
miglia toscana e quello comunque influente della vicina Roma, per la necessità di confron-
tarsi su questioni di carattere religioso.
L’importanza di Capestrano come “feudo” ha, infatti, un valore che va oltre il rapporto
con la casata de’ Medici e che si inserisce a pieno titolo nel forte dibattito storiografico
che, in particolare in questi ultimi anni, ha visto pregevoli lavori soffermarsi sui temi delle
convivenze giurisdizionali tra poteri centrali e periferici in antico regime 68.
Una questione interessante è quella di indagare la partecipazione nella vita pubblica del
principato da parte delle famiglie che si trasferirono a Capestrano dalla Toscana, propo-
nendosi di sfruttare al meglio le opportunità che il nuovo feudo mediceo in Abruzzo sem-
brava prospettare. Alcune di esse ebbero, nei secoli, effettivamente importanti incarichi di
governo, come nel caso evidente dei Corsi e dei Capponi, che peraltro contribuirono alla
ridefinizione urbanistica del borgo attraverso la costruzione delle loro dimore69. Né appare
un dato trascurabile l’arrivo a Capestrano di abili maestranze lombarde, come nel caso dei
Sonsini, che operarono tra Sulmona, Tocco da Casauria e Ocre, al contempo stabilmente
stanziati a Popoli. I Sonsini, che con Giancarlo avevano fornito un apporto progettuale
nella realizzazione di Villa Mazzara a Sulmona secondo il gusto barocco della propria
epoca70, divennero un importante presenza nella vita pubblica a Capestrano, dove edifica-
rono la propria dimora palazziata.
Alla fine del granducato mediceo e con la riacquisizione del territorio del feudo nel de-
manio del regno di Napoli borbonico, si poneva il problema di cosa fare degli uomini di
governo legati alla precedente casata. Analogamente a quanto accadde nel resto della pe-
nisola nello Stato di Capestrano si procedette verso la cooptazione di funzionari atti alle
nuove cariche dotati di competenze specifiche, non soltanto facendo riferimento ai blasoni.
Il caso di Giandomenico Corsi, rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Napoli, sintetizza
bene la questione di quanto accadde a Capestrano intorno alla metà Settecento71.
Giandomenico Corsi aveva svolto l’incarico di erario per la Casa dei Medici negli stati
d’Abruzzo. Al figlio Giuseppantonio fu conferita la carica di erario, ma anche quella di
agente generale. Per circa sessanta anni la famiglia Corsi aveva prestato questo servizio
per la casa dei Medici a Capestrano, ed è lecito ritenere che proprio questo tipo di incarico,
con il quale già il padre aveva assunto un ruolo di spicco in città, giustificasse il trasferi-

Alessandro Tassoni.

12
mento e il successivo insediamento della casata 72. Nel periodo di governo di Giangastone de’
Medici, Giuseppantonio, nel 1731, meritò di ricevere in enfiteusi un pezzo di terra «sterile e
scaduto che servir doveva per proprio uso e per commodo di giardino contiguo alla casa sua
abitazione sita in Capestrano» per cinque carlini di canone annuo 73. Ogni ventinove anni era
stabilito che i concessionari pagassero un carlino per il mantenimento del contratto; è da notare
come i Medici avessero voluto in precedenza rinnovare nell’incarico i Corsi per fedeltà alla
casata:
«Oltre a che non sarebbe del generoso e gran cuore del re nostro Signore successore
negli stati il voler profittare con accrescimento di canone o altra prestazione nel fondo
migliorato ed a ccresciuto con tanto dispendio e fatiche di Domenico Antonio Corsi
e suoi antecessori. Onde umilmente si supplica il Signor Soprintendente a consultare
alla maestà del re la rinnovatione da farsi al Corsi per mezzo dell’erario delli Sati
nella stessa forma e con lo stesso prezzo fatti e conditioni che si veggono apposti
nella primiera concessioni dell’anno 1731. Per Domenico Antonio Corsi»74.

Nel 1760 il figlio Domenicantonio, allo scadere dei ventinove anni, chiedeva al nuovo so-
vrano Ferdinando di Borbone che fosse rinnovata la concessione di enfiteusi 75. L’affare fu
così rimesso al marchese Mauri che fece realizzare una pianta del sito e perorò la causa presso
l’ufficio del re, il quale a sua volta rifletté sulla necessità di rimodulare il canone dall’antico
del 1731, comportando in questo l’inevitabile opposizione dei Corsi 76.
La questione evidenzia, al di là di ogni fatto, come si determinassero complessi equilibri
nel passaggio delle amministrazioni e dei loro funzionari al momento della successione di
nuovi governi, cosa piuttosto frequente nell’Italia di Antico regime:
«La rinnovazione del censo che prevedeva a forma della prima concessione o inves-
titura ancorché non si fosse convenuto di seguire la rinnovatione colli stessi patti,
leggi e conditioni. Or molto più trattandosi del patto espresso apposto nella conces-
sione di doversi dare la rinnovazione colli stessi patti leggi e conditioni. Per dare una
prova di ciò basta dare un’occhiata a quel che viene disposto nel regolamento delle
rinnovazioni dei feudi, i quali in tutte le parti son conformi alle concessioni enfiteu-
tiche. In tali rinnovationi dei feudi devesi unicamente riguardare la prima investitura
e la rinnovazione deve essere a quella uniforme (cita giurisprudenza). Dall’antica in-
vestitura non debba altrimenti recedere se non nel caso in cui altrimenti si fusse conve-
nuto tra il padrone e il vassallo, avendosi per vero da tutti i soprascritti (giuristi) che
l’investitura esser debba il fondamento di tutte le seguenti concessioni» 77.

Se le investiture sono fatte a maschi e femmine, all’atto del rinnovo, è diritto di entrambi
tornare ad avere il possesso, anche se nel documento si citano solo i maschi:
«E la ragione è quella, di non poter il principe con la sua suprema potestà pregiudicare
al vassallo col mutar la forma di quella concessione del feudo che trovasi di aver fatta.
Ma venendo al caso individuale di cui trattasi non ha dubbio che qualora l’enfiteusi
sia terminata e trovansi da figli ed eredi dell’enfiteuta fatte delle migliorazioni nello
stabile conceduto è tenuto il padron diretto a farne la rinnovazione anche non essen-
dovi il patto» 78.

Al termine della vicenda, si decise che il Corsi ottenesse il diritto ad una nuova concessione
senza aumento del canone – così come il Sacro Consiglio di Napoli era solito deliberare – se-
condo considerazioni che dovettero rendere preferibile evitare strappi o fratture con le ammi-
nistrazioni radicate nel territorio da tempo.

In conclusione tra giurisdizioni complesse, eredità in conflitto, diritti ecclesiastici e civili,


zecche clandestine e famiglie toscane, Capestrano, piccolo feudo di montagna all’interno
del regno di Napoli, ma “Stato mediceo” nella Monarchia spagnola, si configurava come
uno straordinario laboratorio di vita e di politica, punto di snodo tra la Via degli Abruzzi e lo
Stato pontificio.

13
Appendice possessione. Il primo e il secondo sono due copie
originali dell’atto di detta reversibilità dato da
ASF, Mediceo del Principato, 5947, Numero IV Madrid il 28 novembre 1584; il terzo e il quarto
documenti originali che riguardano la reversi- contengono le lettere esecutoriali dell’atto istesso,
bilità del Principato di Capestrano alla Signora che una data dal viceré di Napoli Don Pietro duca
Bianca Cappelli granduchessa di Toscana, in d’Ossuna l’ultimo di gennaio del 1585, e l’altra
caso che venisse a morte prima di lei il Signor data da viceré di Sicilia Don Alfonso d’Avalos
Don Antonio suo figliolo già infeudato di detta marchese del Vasto l’ultimo di febbraio 1585.

1. Copia originale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano alla Granduchessa di Toscana
Bianca Cappello, Madrid 27 novembre 1584 - Atto 1 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Princi-
pato 5947, c. 56r).

14
2. Copia originale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano alla Granduchessa di Toscana Bianca Cappello,
Madrid 27 novembre 1584 - Atto 1 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 5947, c.56v).

15
3.Copia originale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano alla Granduchessa di Toscana Bianca Cappello,
Madrid 27 novembre 1584 - Atto 2 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 5947, c.58r).

16
4. Copia originale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano alla Granduchessa di Toscana Bianca Cap-
pello, Madrid 27 novembre 1584 - Atto 2 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 5947, c.58v).

17
5. Lettera esecutoriale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano data dal Viceré di Napoli Don Pietro
Duca di Ossuna, Napoli 31 gennaio 1585 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 5947, c.60r-v).

18
6. Lettera esecutoriale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano data dal Viceré di Sicilia Don
Alfonso D’Avalos, Marchese del Vasto, Napoli, ultimo di febbraio 1585 (Archivio di Stato di Firenze, Me-
diceo del Principato 5947, c.61r).

19
7. Lettera esecutoriale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano data dal Viceré di Sicilia Don Alfonso
D’Avalos, Marchese del Vasto, Napoli, ultimo di febbraio 1585 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato
5947, c.61v).

20
8. Lettera esecutoriale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano data dal Viceré di Sicilia Don Alfonso
D’Avalos, Marchese del Vasto, Napoli, ultimo di febbraio 1585 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato
5947, c.62r).

21
9. Lettera esecutoriale dell’atto di reversibilità del Principato di Capestrano data dal Viceré di Sicilia Don Alfonso
D’Avalos, Marchese del Vasto, Napoli, ultimo di febbraio 1585 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato
5947, c.62v).

22
note

1. Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF), Miscellanea 17. ASF., Miscellanea Medicea 42, 11, Lettere di Simone Giugni,
Medicea 165, 24, Notizie e documenti originali del marchesato di governatore generale di Capestrano, cc.1-22, 1621-1623.
Capestrano tra il 1631 e il 1637, estratti dall’Archivio della Se-
greteria Vecchia da Fabrizio Cecini, cc.1-11, 28 apr. 1715. Sul- 18. Ivi, Lettera di Simone Giugni a Pietro Lagi, Capestrano, 21 ot-
l’argomento si veda anche G. V. PARIGINO, Il tesoro del Principe. tobre 1621, c. 1. «Ancor ch’io presupponga, che Vostra Signoria
Funzione pubblica e privata del patrimonio della famiglia Medici habbia a quest’ora accappato ordini, che il Signor Governatore
nel Cinquecento, Firenze, Leo S. Olschki, 1999, pp.117-118. d’Ascoli rimetta a questa giurisditione il Carcerato accennatole, ho
stimato non di meno a proposito mandarle copia della risposta che
2. H. HOSHINO, I rapporti economici tra l’Abruzzo aquilano e il medesimo Governatore mi dà intorno al particolare di detta re-
Firenze nel basso Medioevo, L’Aquila, 1988; M. R. BERARDI, I missione; quale, come vedrà, non è per fare senza il sudetto ordine,
Monti d’oro, Napoli, Liguori, 2005; A. CLEMENTI, L’Arte della però resterà senza per questo restasse a fare ogni diligentia possibile
lana in una città del regno (secc. XIV-XVI), L’Aquila 1979. per ottenere quanto prima li recapiti necessari, perché la dilatione
potrebbe apportare qualche pregiuditio a questa giurisditione».
3. G. MUSSONI, L’antico commercio dello zafferano, cit., pp. 247-
289; R. COLAPIETRA, Il governo di Margherita d’Austria al- 19. Sull’amministrazione della giustizia nella penisola italiana e
l’Aquila, p. 168 in S. MANTINI, a cura di, Margherita d’Austria nello Stato Pontificio, cfr. M. SBRICCOLI, Giustizia criminale, in
(1522-1586). Costruzioni politiche e diplimazia tra corte Farnese M. FIORAVANTI (a cura di), Lo Stato moderno in Europa: Istituzioni
e Monarchia spagnola, Roma, Bulzoni 2003; ID., Prezzi com- e diritto, Bari, Laterza, 2002, pp. 163-205; I. FOSI, La giustizia
merciali ed agricoli all’Aquila fra Cinque e Settecento, in «Rivista del papa. Sudditi e tribunali nello Stato Pontificio in età moderna,
di Storia dell’Agricoltura», n. 3, a. XIX, set./dic. 1979, pp. 61- Roma-Bari, Laterza, 2007; M. DI SIVO, Per via di giustizia. Sul
83; cfr. C. MARCIANI, Il commercio dello zafferano a Lanciano processo penale a Roma tra XVI e XIX secolo, in M. CALzOLARI,
nel 1500, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», s. M. DI SIVO, E. GRANTALIANO (a cura di), Giustizia e criminalità
III, LXXXI (1963), pp. 139-161. nello Stato pontificio. Ne delicta remaneant impunita, Roma,
Gangemi, 2002, pp. 13-25,
4. ASF, Carte strozziane, I s, 321, cc. 210 ss.
20. ASF., Miscellanea Medicea 42, 11, Lettera di Mario Bona-
5. ASF, Misc. Med. 578, Stato patrimoniale, cc. 94 e ss. ventura a Simone Lagi, Ascoli, 16 ottobre 1621, c. 2. «Non posso
compiacere a V. S. nel particolare che me richiede che li rimetta
6. ASF, Mediceo del Principato, F. 5947, Documenti attinenti il qui carcerato Gioseppe Cherubini, inquisito, per l’homicidio
alla reversibilità del principato di Capestrano alla Granduchessa, commesso nella persona del quondam Don Nicola, che lo conse-
1584-85, C 55r e ss. gni all’Attuario mandato, poiché senz’ordine particolare dei Si-
gnori Padroni di Roma, o dell’Illustrissimo Legato, per me stesso
7. Si veda l’Appendice al presente saggio. non posso farlo. Potrà ella aiutarsi appresso li detti Ilustrissimi e
io ad ogni oro cenno servirò Vostra Signoria come farò in ogni
8. F. LUTI, Don Antonio de’ Medici e i suoi tempi, Firenze, Olschki, altra suasione ch’ella mi presenti con i suoi Comandi, come di
2006, pp.74 e ss. cuore me l’offero, bagiandole le mani in tanto».

9. Ibidem. 21. Ivi, Lettera di Simone Giugni a Pietro Lagi, Bussi, 28 ottobre
1621, c. 5r-v. «Ho visto con moi gusto la speranza che Vostra Si-
10. ASF, Misc. Med. 579, Stato patrimoniale, cc. 365 e ss.. gnoria mi dà che per la prossima habbia da potermi mandare
buone notitie di cotesti Illustrissimi della Consulta, perché il Go-
11. Archivio di Stato di Napoli (d’ora in poi ASN), Regia Camera vernatore di Ascoli rimetta a questa Giurisdizione il Carcerato
della Sommaria, Segreteria, vol. 1438, a.1597 fol. 8. inquisito in questa Corte per l’omicidio del Piovano passato d’O-
fena: ne starò attendendo con desiderio il successo per potere fa-
12. F. LUTI, Antonio de’ Medici, in Dizionario Biografico degli re quanto sarà necessario in questo negozio [...]»
Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2009, vol.
73, pp.. 22-24. 22. Ivi, Lettera di Simone Giugni a Pietro Lagi, Capestrano, 11
novembre 1621, c. 7. «Già che Vostra Signoria non haveva pos-
13. Su Ferdinando de’ Medici, cfr. S. CALONACI, Ferdinando dei suto accappar la gratia della remissione a questa Corte del Car-
Medici, in «Archivio Storico Italiano», 1996, pp. 635-690; E. FA- cerato in Ascoli, et che propone il modo, più facile per conseguirsi
SANO GUARINI, Ferdinando I de’ Medici, in Dizionario Biografico l’introito, ho incamminato il negotio conforme ricerca il bisogno,
degli Italiani, Roma, Società Grafica Romana, vol. 46, 258-278. et appresso se ne doverrà vedere, che risolutione se ne ritrarà,
non sapendo considerare quando stiano pertinaci non volerlo res-
14. G. CONIGLIO, I Medici, i fiorentini e il Viceregno, in Napoli tituire, quello siano per volerne fare, in quel carcere, già che
nel Cinquecento e la Toscana de’ Medici, Napoli, 1980 pp. 7-24. senza l’informatione presa contro di lui, non possano giudicarlo
per giustitia, et con ringratiarla intanto della guisa ch’ella si era
15. Cfr. C. PULIATTI, Opere di Alessandro Tassoni: Pensieri e scritti presa intorno a questo affare, le bagio le mani».
preparatori, Modena, F. C. Panini, 1986; P. PULIATTI, Bibliografia di
Alessandro Tassoni, Firenze, Sansoni, 1969-1970; V. G. ROSSI, Tas- 23. Alcune informazioni relative a S. Pietro ad Oratorium si pos-
soni, Milano, Edizioni Alpes, 1931; C. DI PIERRO, Tre lettere di Ales- sono trovare in W. CAPEzzALI (a cura di), Anton Ludovico Anti-
sandro Tassoni, in «Archivio Storico Italiano», 1905, XXXV, p. 103. nori. Capestrano e San Pietro ad Oratorium, L’Aquila, Arti Gra-
fiche Aquilane, 1986; R. MANCINI, San Pietro ad Oratorium in
16. ASF., Miscellanea Medicea 42, 24, Notizie sul principato di quel di Capestrano. Storia di un monumento e cronache del suo
Capestrano e sulla baronia di Carapelle, cc.41-42, 1670. restauro con le nuove scoperte, L’Aquila, Colacchi, 2001.

23
24. BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA (da ora BAV), Barb. Lat. la moneta falsa e che vole ache la facesse io et esso insieme et io
10116, c. 134r-v; BAV, Barb. Lat. 10104, c. 41r-v; BAV, Barb. per vedere come si facea me contentai di farla e così ce retirammo
Lat. 10103, c. 220r-v. insieme in ditta mia caa la sala dove habitava detto Lonardo et
detto Lonardo pose sopra lo foco dentro un vasetto de terra a
25. ASF., Miscellanea Medicea 42, 11, cc.14ss. squagliare stagno e certi tornesoni rotti et com fu sqagliato pigliò
una staffa di mattoni che la volsi far fare io da Pietro de Carreti
26. Lettera di Simone Giugni a Pietro Lagi, Capestrano, 24 no- Lombarto e e roppe mentre la lavorava e per questo preditto la
vembre 1621, c. 9. «Mi occorrerà facilmente far ricorrere di certo fece Lonardo predetto con un roncio da potar viti et venne sana
una scomunica papale, supra la circulatione di alcuni beni, che che è quella fu trovata in dett sala dal Commissario che ne carcerò
io pretendo siano stati occupati a una chiesa di Padronato di Nos- e l’ammassava con una certa creta dentro l’una et l’altra e poi in
tro Signor Cardinale [...]». detta terra posta nella saffa predetta facea l’impronta con un
cianfrone buono et fatta l’impronta colava detto stagno et rame
27. Lettera di Simone Giugni a Pietro Lagi, Capestrano, 6 ottobre squagliato per i pertugio che sta in detta stafa e alava dentro la
1622, cc. 10-12. terra dove era l’efficie del cianfrone e restava atto il cianfrone
falso et in deto giorno io et detto Lonardo fecemo dici cianfroni
28. Sull’argomento, si veda in particolare I. PUGLIA, I Piccolomini falsi in detto modo come di sopra e fatti che furno l’attondava
d’Aragona duchi d’Amalfi 1461-1610. Storia di un patrimonio con la lima detto Lonardo e pare che detto Lonardo fu chiamato
nobiliare, Napoli, Editoriale Scientifica, 2005. da uno de Colle Pietro lasciorno di fare più mneta in detto giornoet
opoi detto Lonardo il giorno appresso ne fece più moneta del
29. ASF., Miscellanea Medicea 42, 11, Lettera di Simone Giugni modo predetto e la seguitò di fare per otto giorni che in tutto
a Pietro Lagi, Capestrano, 6 ottobre 1622, cc. 10-12. crede ne facessero sette docati o sette e mezzo ma io non l’aiutai
sepre delle quali monete false consertammo immiscate con altre
30. Ibidem. bone comprammo grano e farmone pane a vendere insieme per
non perdere tempo e guadagnare la spesa».
31. Ivi, Lettera di Pietro Giugni a Pietro Lagi, Capestrano, 12 AGS, VIS IT, leg. 127, exp. 4, cc. 20v-21v.
gennaio 1623, cc. 14-15. «Già che Vostra Signoria havrà incam-
minato costà il negotio della speditione delle bolle del Benefitio 35. Ivi, «E così andammo una matina con le mie bestie a Santo
di S. Silvestro a me non è stato che aspettare che dette bolle ven- Stefano io con detto Lonardo et Fabritio d’Acchille moi garzone
ghino in mio potere per poter qui impiegarmi per la unificatione et io uscetti a Castelvecchio per esigere certi denari et così Lo-
del Padronato, et in che altro sarà qui necessario, assicurandomi, nardo et abritio con le bestie andorno a Santo Stefano et io sbri-
che venendo fatto la sudetta speditione con la clausola di unificar gato che mi fui da Castelvecchio andai appresso a trovarli e
il detto Padronato,Vostra Signoria havrà havuto avertenza far gionsi a tergo che detto Lonardo et Fabritio haveano comprato
commisionare detta venerabile funtione all’ordinario di esso be- una soma di gran oda una donna che ho inteso habbi nome
neficio, che è la Corte Abadiale qui di Capestrano, per che in Constantina de Minicuccio per sette docati e mezzo et io li solli-
questo caso si havrà già maggiore facilità nella giuria delleragion citai a far presto e carichemmo il grano et detto Lonardo pagò a
del sudetto Padronato. Se per mezzo delle buone diligenze, che detta donna li ette docati e mezzo che li diede nove de detti cian-
sento haveva usate le fosse di più riuscito haver qualche lume froni falsi che havea fatti esso et che io l’havea aiutato a fare,
della percetione di Monsignor Iacobo Silverio, alla sopra detta come ho detto di sopra, et trenta carlini de moneta bona e poi
badia verrà supra ogni contrarietà che potesse nacere dalla veri- volti vedere u altro grano bono per ritornarci e visto che l’hebbi
ficatione del Iuspatronato Per lo quale già sono state esaminate con me andammo a Capstrano a mia casa dove scaricammo il
le due stime sopra gli articoli presentati in questa nostra causa, e grano predetto e ce assitemo io e Lonardo vicino il foco: dallà ad
trasmesso dal commissario che fu qui li giorni passati per questo un’hora cin irca venne il Commissario et altri che pigliono me et
effetto il processo a Monsignor Vescovo di Sulmona, dal quale detto Lonaro carcerati».
si riconosceva che egli havrà detto processo: spero si verrà subito
alla speditione della causa, et quando io giudicherò tempo op- 36. Al riguardo, aggiungeva il De Geronimo: «Raggionando io
portuno, mi trasferirò fino a Sulmona per fare l’instranza neces- co Giovan Berardino dello strappo Iovenale alo Frenzelluto me
saria, edi quanto succederà, mi darò parte a Vostra Signoria». disse che Giovanne Sante dello strappo suo compare l’havea
Le altre lettere scritte dal Giugni al Lagi da Capestrano sono detto che nella casa d’Ottavio Tagliente de Capestrano stava gran
datate rispettivamente 9 gennaio, 12 febbraio, 20 febbraio 1623 quantità di moneta falsa nascosta et sotterrata, et era quella chef
(cc. 16-22). u fatta in Forca di Pene da Valerio Stallone et altri d’Ofena».
AGS, VIS IT, leg. 127, exp. 4, cc. 20v-21v, cc. 23v-2r.
32. W. CAPEzzALI (a cura di), Anton Ludovico Antinori. Capes-
trano e San Pietro ad Oratorium, cit., pp. 24ss. 37. Per un raffronto con esperienze di zecche clandestine di Pisa e
Ferrara, cfr. A. zAMPIERI, Pisa nei secoli: la storia, l’arte, le tra-
33. Di tale segnalazione ringrazio sentitamente Simonluca Per- dizioni, Pisa, ETS, 2003, vol. 2; L. BELLESIA, Le monete di Ferrara:
fetto, che mi ha gentilmente fornito il documento del processo periodo comunale ed estense, Serravalle, Nomisma, 2000.
che lui è in procinto di pubblicare in un saggio specifico.
38. ASF., Miscellanea Medicea, b. 468, ins. 39,  «Descrizione
34. Dichiarava il De Geronimo in processo: «Sendo dui mesi in dello Stato di Capestrano et suoi annessi fatta dall’auditore Lio-
circa che Lonardo Pucciarello de Popoli moi cognato insieme nardo Accolti, compilata nel 1617».
con zenobia sua moglie vennero ad habitare in casa mia a Ca-
pestrano perché detto Lonardo non poessea stare a Popoli sua 39. AGS, VIS IT, leg. 127, exp. 4, cc. 1r-30v. Chieti, 1607-1608,
patri ache andava in disgratia dell aorte di quella terra io lo Processo contra Leonardo Pucciarello de Populo y Rugiero Je-
ricevei in casa e l’assignai la stantia dove io oglio ricevere li fo- rónimo de Capestrano, por fabricación y recorte de moneda.
rastieri dove ci era lo letto et dormeano esso et sua moglie in
detta stantia che io la chiamo la sala et esendo stata quattro o 40. ASF., Miscellanea Medicea 42/24, cc. 41r-42r.
cinque giorni in detta terra et in mia casa un giorno che fu dell’ul-
timi giorni di novembre me conferì detto Lonardo che apea fare 41. Ibidem.

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42. Nova situatione de pagamenti fiscali de carlini 42 a foco vivi, che habbia incontinenti l’intero, e pieno suo effetto, tran-
delle prouincie del regno di Napoli, et Adohi de baroni e feuda- sferire nell’Altezza sua, e suoi successori la Terra di Capestrano,
tarij: dal primo di gennaro 1669 avanti, fatta per la Regia Camera e tutte le altre terre, castelli, ville, e beni tanto feudali, quanto
della Summaria d’ordine dell’Illustrissimo, ed Eccellentissimo burgensatici et allodiali che detto Signor Cardinale tiene, e pos-
Signore Pietro Antonio de Aragona, cavaliero, e claviero dell’Or- siede in Abruzzo e Regno di Napoli con loro proventi, entrate et
dine di Malta. Gentil’huomo di Camera di S. M., del suo Consi- emolumenti, e loro annessi e appartenenze di qualunque sorte, e
glio di guerra, Capitano della Guardia Alemana, Principale di con loro giurisdizione, autorità e Privilegij, e con ogni ragione in
una Compagnia d’huomini d’armi delle guardie vecchie di Cas- qualsivoglia modo competenti, et appartenenti a detto Signor
tiglia, Ambasciatore straordinario presso Sua Santità, Viceré, Cardinale».
Luogotenente e Capitan Generale in questo Regno di Napoli. In
Napoli: nella regia stampa di Egidio Longo, 1670, pp. 1-11. 54. L. MASCALCHI, Giovan Carlo de’ Medici (1611-1663): da
principe a cardinale, tesi di laurea in Lettere discussa presso la
43. ASF., MISCELLANEA MEDICEA 42/24, c. 41r. Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Fi-
renze, relatore S. BERTELLI, a.a. 2000-2001; ead., La Muletta. Vi-
44. Ivi, c. 42r. cende costruttive e percorsi di vita quotidiana, in S. BERTELLI,
R. PASTA, a cura di, Vivere a Pitti, Firenze L. Olschki 2003, pp.
45. Per l’individuazione a cinque del coefficente medio di ciascun 186 e ss.
fuoco, cfr. G. BELOCH, La popolazione d’Italia nei secoli sedice- Ringrazio sentitamente Lucia Mascalchi della Sovrintendenza
simo, diciassettesimo e diciottesimo, in C. M. CIPOLLA, a cura di, BAPSAE per le Province di Firenze, Pistoia e Prato, per i preziosi
Storia dell’economia italiana, Torino, Einaudi, 1959, pp. 457 ss. consigli e suggerimenti sulla figura di Giovan Carlo dei Medici.

46. W. CAPEzzALI, a cura di, Anton Ludovico Antinori. Capestrano 55. Ibidem.
e San Pietro ad Oratorium, cit…, p. 27.
56. ASF, P 774, c. 171.
47. ASF, MISCELLANEA MEDICEA 320, ins. 39, Relazione di Lio-
nello Accolti, c 37. 57. Su Giovan Carlo de’ Medici, cfr. S. VILLANI, Giovan Carlo
de’ Medici, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
48. G. CONIGLIO, I Medici, i fiorentini e il viceregno, cit., pp. 14- della Enciclopedia Italiana, 2009, vol. 73, pp. 61-63; su Francesco
16; E. FASANO GUARINI, Cosimo II de’ Medici, in Dizionario Bio- Maria de’ Medici, si veda invece M. P. PAOLI, Francesco Maria
grafico degli Italiani, Roma, Società Grafica Romana, 1984, vol. de’ Medici, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
30, pp. 48-54; W. CAPEzzALI, a cura di, Anton Ludovico Antinori. della Enciclopedia Italiana, 2009, vol. 73.
Capestrano e San Pietro ad Oratorium, cit..., pp. 24-25.
58. ASF, Misc. Med. 320 46, c. 5r.
49. F. SABATINI, Fiorentini, veneziani (e altri) sulla «Via degli
Abruzzi», in Paesi, pastori, viandanti. Marmi antichi e visioni 59. ASF, MISCELLANEA MEDICEA 165, 24, Notizie e documenti
dipinte dagli Uffizi a Santo Stefano di Sessanio, Catalogo della originali del marchesato di Capestrano tra il 1631 e il 1637,
Mostra, Santo Stefano, lug./sett. 2012, Pescara, Carsa. 2012, estratti dall’archivio della Segreteria vecchia da Fabrizio Cecini,
pp.23-31. cc.1-11, 28 aprile 1715.

50. F. ROMEI, Il Principato di Capestrano. Un possedimento 60. V. ARRIGHI, Gondi, Carlo Antonio, in Dizionario Biografico
conteso, in A. NATALI, a cura di, Condivisione di affetti. Firenze, degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2001, vol. 57,
e Santo Stefano di Sessanio. Opere d’arte della galleria degli pp. 650-652.
Uffizi, Firenze 2011, pp. 17-23.
61. Ibidem.
51. Sull’atteggiamento dei Medici durante la guerra di Castro,
cfr. I. R. GALLUzzI, Istoria del Granducato di Toscana sotto il 62. I Medici in rete: ricerca e progettualità scientifica a proposito
governo della casa Medici, In Firenze: per Gaetano Cambiagi dell’archivio mediceo avanti il Principato, atti del Convegno,
stamp. granducale, 1781 vol. 4, pp. 1-160. Firenze, 18-19 settembre 2000 / a cura di IRENE COTTA E FRAN-
CESCA KLEIN, Firenze, L. S. Olschki, 2003, p. 62 ; R. M. zACCA-
52. Cfr. ARCHIVIO GENERAL DE SIMANCAS (da ora AGS), Estado, RIA, Studi sulla trasmissione archivistica: secoli XV-XVI, Lecce,
Nápoles, legajo 1093, «Asenso que solicita el Duque de Toscana Conte, 2002, p. 6.
para que su sobrino pueda cederle el Principato de Capistrano»
(anno 1592) e «Negativa que debe derse a la súplica dela sensoque 63. ASF, MISCELLANEA MEDICEA 165/24, Lettera di Carlo Antonio
solicita el Duqne de Toscana sobre el Principado de Capistrano» Gondi al canonico Fabrizio Cecini, Dalla Segreteria di Stato, 28
(anno 1593). aprile 1715, cc. 1-3.

53. ASF, Miscellanea Medicea, 165/24, c. 6r-v. «A dì [...] di 64. ASF., MISCELLANEA MEDICEA 35, 6, Lettera Originale Del
Maggio 1631 in Firenze. Havendo deliberato l’Eminentissimo Signor Maresciallo Conte di Daun, allora viceré di Napoli, de-
Signor Cardinale de’ Medici dare qualche viva, et efficace de- cimo di Gennaio 1719, al Serenissimo Giovan Gastone Gran
mostrazione al Serenissimo Signor Principe Giovan Carlo de’ Principe di Toscana, con la quale l’assicura del suo compiaci-
Medici suo dilettissimo Niote dell’Affezzione, et Amore, che li mento nell’aver potuto dare una pronta esecuzione al Dispaccio
porta, non solo per la strettissima congiunzione si sangue, ma di Sua Maestà Cesarea, e Cattolica, che concedeva a Sua Alteza
ancora per e sue nobilissime qualità, et eroiche virtù. Pertanto di Reale il Possesso dei Feudi di Capestrano nel Regno. «Con carta
sua spontanea, e libera volontà per la presente promette, e si ob- de 17 del caydo se suave V. A. insinuarme se da por satisfecho
bliga a detto Signor Principe Giovan Carlo (salvo non di men de haver conto da prompitud dado execucion al Imperial Despa-
l’Assenso, e beneplacito della Maestà del Re Cattolico Parone cho de S. M. CC. Tocante a la Posesion de los feudos de Capes-
Diretto degl’infrascritti beni feudali, e doppo che tale Assenso trano quegoras V. A. en este Reyno. Ides pues de manifestarle mi
sarà impetrato) per titolo di pura et irrevocabile Donazione infra sumo reconocimento por las finas espresiones que merezco a V.

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A. [...]». Sull’argomento, si veda anche M. P. PAOLI, Gian Gastone essendosi applicato al servizio di Erario a pro della Serenissima
de’ Medici, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 54, Ca- Casa di Medici nelli Stati di Abruzzo, per la fedeltà somma, e di-
tanzaro, Arti Grafiche Abramo, 2000, p. 400. sinteresse, con cui erasi condotto, dal Cardinal de’ Medici suc-
cessore ne venne rimeritato, poiché nella persona di D. Giuseppe
65. Sull’argomento, cfr. H. ACTON, Gli ultimi Medici. Traduzione Antonio Corsi figlio di esso D. Gio: Domenico, fu conferita a
di Adriana Castelnuovo Tedesco, Torino, Einaudi, 1993; C. HIB- carica non solo di Erario de’ Stati medesimi, ma anche quella di
BERT, Ascesa e caduta di casa Medici. Traduzione di Annalisa Agente Generale, come dalle Patenti che si conservano. Il D.
Baldassarini Rancati, Milano, A. Mondadori, 1990; M. FERRI, Giuseppe Antonio essendosi controsegnato nel suo impiego con
D. LIPPI, I Medici: la dinastia dei misteri, Firenze, Giunti, 2007; i grandi vantaggi procurati ad essa Serenissima Casa, doppo i
F. DIAz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino, UTET, lunghi servizj e di suo Padre, e di lui prestati nel corso di sessanta
1988. Si veda anche Cfr. I. DONSI GENTILE, L. FUSCO GIRARD, L. anni circa, da sua Altezza Reale di Gio: Gastone de’ Medici
SANTORO, S. SAVARESE, Napoli nel Cinquecento e la Toscana dei meritò di avere una Concessione nell’anno 1731 di un pezzo di
Medici, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1980, pp. 7-23. terra sterile, e scaduto, che servir doveva per proprio uso, e per
commodo di un Giardino contiguo alla Casa di sua abitazione,
66. S. MANTINI, a cura di, Margherita d’Austria. Costruzioni po- sita in Capestrano. Ne fe’ stipolare publico istromento di conces-
litiche e diplomazia, tra corte farnese e Monarchia spagnola, sione per mezzo del di lui Uditore di quel tempo, e si convenne
Roma, Bulzoni, 2003, pp. 11-24. di darsi in enfiteusi il Terreno sudetto, coll’annuo canone di
carlini cinque, moneta di Regno. Si appose il patto espresso di
67. W. CAPEzzALI (a cura di), Anton Ludovico Antinori. Capes- doversi in ogni decorso di anni ventinove, rinnovare la detta
trano e San Pietro ad Oratorium, cit., p. 27. Concessione per mezzo dell’Erario pro tempore, col pagamento
di un sol carlino, colle stesse leggi e conditioni, colle quali ne
68. C. CREMONINI, RICCARDO MUSSO, a cura di, I feudi imperiali appariva fatta la concessione. Con che avesse a migliorarsi, e ri-
in Italia tra XV e XVIII secolo, Roma, Bulzoni, 2010; C. CREMO- dursi in buono stato il sudetto Fondo, come si rileva dalla copia
NINI, Impero e feudi italiani tra Cinque e Settecento, Roma, Bul- legale esibita dell’Istromento di una tal Concessione».
zoni, 2004; M. VERGA, a cura di, Dilatar l’Impero in Italaia. As-
burgo e Italia nel primo Settecento, «Cheiron» Roma, Bulzoni, 74. Ibidem.
1994; G. SABATINI, Lo «stato» farnesiano di Margherita d’Austria
in S. MANTINI, a cura di, Margherita d’Austria (1522-1586). 75. «Essendo scorsi gli anni ventinove, D. Domenico Antonio
Costruzioni politiche e diplomazia, tra Corte farnese e Monarchia Corsi Figlio, ed Erede del D. Giuseppe Antonio avanzò le sue
spagnola, Roma, Bulzoni 2003; G. BRANCACCIO, a cura di, Il umili suppliche alla Maestà del Re nostro Signore, perché si de-
feudalesimo nel Mezzogiorno moderno, Biblion ediz. 2011; A. gnasse di permettere la rinnovazione nella maniera espressata.
MUSI, Il feudalesimo nell’Europa moderna, Bologna, Il Mulino, Fu l’affare rimesso per allora al fu Marchese Mauri, il quale
2007; E. NOVI CHAVARRIA, V. FIORELLI, a cura di, Baroni e vas- prese più informi dall’Erario odierno, dello stato delle cose, fino
salli: storie moderne, Milano, Franco Angeli, 2011. ad ordinare una Pianta del Sito, ed estenzione del sudetto stabile
conceduto, come rilevasi dagli atti: cosicché persuaso infine dal-
69. Aggiungere Pianta. lagiusta domanda avanzata dal D. Domenico Antonio Corsi,
formò il Borro di sua Consulta alla Maestà del Re, perché si de-
70. M. PASQUA, Le maestranze lombarde in epoca barocca e la gnasse benignamente di accordare la rinnovazione. Per la sopra-
loro presenza in Abruzzo: origine e sviluppo, in R. TORLONTANO venuta morte al Marchese Mauri, non poté sperdirsi la consula
(a cura di), Abruzzo, il Barocco negato, Roma, De Luca, 2010, da lui formata; cosicché essendo succeduto alla sopraintendenza
pp. 86-87. de’ Stati Medicei, e Farnesiani il veneratissimo Signor Consigliere
D. Salvadore Caruso, s’è supplicato il medesimo, perché si de-
71. ASN, ARCHIVIO FARNESIANO, b. 1173, Vicenda detta di Santa gnasse di dar camino a questo affare, che pende fin dall’anno
Maria che si possiede dalli Signori Domenicantonio, Francesco 1760. S’è proposto il dubbio, che avesse a regolarsi la chiesta
Maria e Giovan Venanzio Corsi nella città di Capestrano, 10 rinnovazione diversamente dalla Concessione dell’anno 1731, o
giugno 1763. che il Canone si dovesse accrescere».

72. V. SPRETI, Enciclopedia storico-nobiliare italiana. Famiglie 76. ASN, ARCHIVIO FARNESIANO, b. 1173, Vicenda detta di Santa
nobili e titolate viventi, riconosciute dal r. Governo d’Italia, com- Maria, cit.
presi: città, comunità, mense vescovili, abazie, parrocchie ed enti
nobili e titolati riconosciuti, Bologna, Forni, 1935, vol. 2, p. 549. 77. Ibidem.

73. Cfr. ASN, ARCHIVIO FARNESIANO, b. 1173, Vicenda detta di 78. Ibidem.
Santa Maria, cit. «D. Gio: Domenico Corsi per moltissimi anni

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