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Non Ita Certandi Cupidus Lucr. 3.5 - Com
Non Ita Certandi Cupidus Lucr. 3.5 - Com
1
In gara col modello
Studi sull’idea di competizione nella letteratura latina
A cura di
Marco Formisano e Rosa Rita Marchese
GenerAzioni
Letteratura e altri saperi - 1
90128 Palermo
www.newdigitalfrontiers.com
Indice
Prefazione 7
Introduzione
Vincere, perdere, eguagliare. Per uno studio dell’idea di
competizione nel mondo romano 9
rosa rIta marchese
-
ni uomo-animale in Sen. ben. 1.2.5 155
pIetro lI caUsI
Contentio honestissima e certamen nequitiae nelle opere di Seneca 179
lavInIa scolarI
1
L’alternanza fra v e b
(Barbarino 1978). Sulla monumentale Casa di Fabio Rufo e i più recenti sviluppi
dell’indagine archeologica si veda Grimaldi et al. 2011. Sul frammento murario
1975, pp. 249-251, Gigante 1979, pp. 154-155, e Varone 1990, p. 153. Secondo Gigante,
di riferimento anche per i proprietari delle ville campane, espressione della felicità
mari
magno
es. Od. 3.179), o riferirsi alle profondità delle acque in “alto mare”, già tratteggiate da
Ennio, Alexander
25.12-13, e Sallustio, Iug. 78.3.
2
La formazione di questo canone e dei connessi paradigmi di “classicità” è stata
citazioni letterarie a Pompei si veda, oltre a Gigante 1979, pp. 153-201, Milnor 2014.
Fabio Tutrone
Roma e nelle altre città dell’impero, i muri stessi davano corpo all’a-
gone politico, divenendo lo sfondo di slogan, programmi e strategie
elettorali3. Le iscrizioni pompeiane tese a supportare questo o quel
candidato sono state a buon diritto interpretate come “espressioni
simboliche del carattere competitivo dell’élite locale”4. E per molti
stati variamente interpretati, ponendo l’accento ora sul ruolo dell’opinione pubblica
e del favore popolare, ora sui contrasti interni al mondo delle élites. Mi limito qui a
menzionare le letture d’insieme fornite da Mouritsen 1988 e Franklin 2001.
4
competitive character of the local elite, which emerged in public at the annual elections
and was made visible through the candidate names painted all over the town”.
5
determined one’s position and rank within one’s family and above all among one’s own
ancestors”. Questa pratica continuativa e trasversale della competizione (“the omnipresent
and pervasive competition”) diveniva socialmente costruttiva in virtù dell’osservanza di
alcune norme morali condivise e del mantenimento di una situazione generale di consenso:
“competition among the members of the political class as a pattern of social action even
42
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
and accepted procedure of the permanent (re-)positioning of its individual members and
their respective families within its own inherent hierarchy” (p. 135).
43
Fabio Tutrone
dono a Giusto Picone come segno del comune amore per la poesia, antica e moderna.
10
all’indagine sistematica di Kröhling 1935 la fortuna del termine Priamel per indicare
la studiata contrapposizione, da parte di un autore antico, fra i modelli valoriali al
centro della propria opera e le scelte altrui.
11
L’opera di Cicerone fornisce ampia attestazione di quest’uso di specto come verbo
della ponderazione: si veda ad es. de orat. 2.204; Mil. 15; Lael. 18;
44
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
dei lessemi possibili in questa sfera semantica, quel videre che spesso
ricorre in Lucrezio nella triplice valenza di osservare con gli occhi,
percepire sensorialmente e comprendere con l’intelletto. Più volte,
nei sei libri del poema, l’allievo-lettore sarà energicamente esorta-
to a riconoscere le verità della natura, e della sua stessa condizio-
ne, attraverso formule retoriche quali nonne vides13. Guardare, però,
templa serena che circoscrivono, per così dire, in modo netto e “cata-
stematico” lo spazio del saggio, opponendolo al moto errabondo dei
più15 – è lecito gettare lo sguardo sull’umanità non ancora illuminata
dal verbo di Epicuro.
12
Seelenheilung greco-romana, ossia, con un linguaggio più “foucaultiano”, nel novero delle
Grilli 1957 rinviava al modello di Democrito, fr. 191 Diels-Kranz (= Stobeo, 3.1.210),
ma si potrebbero aggiungere Seneca, ira 3.31.3, e Plutarco, de tranqu. an. 470A-471A,
Cicerone,
13
L’allocuzione polemica, tipica della lingua parlata, nonne videre si legge già poco
14
e pienamente coerente con l’estetica arcaizzante del verso lucreziano la serie asindetica
45
Fabio Tutrone
a causa della loro stessa cecità (pectora caeca, v. 14) – su coloro che,
in ultima analisi, il de rerum natura aspira a convertire – non è so-
stanzialmente diverso dallo sguardo che Diogene di Enoanda rivol-
gerà, circa due secoli dopo, ai lettori della sua stele, alle vaste masse
-
. Eppure, come notava già
17
fedele seguace della tradizione epica e tragica latina, “ne répugne pas à réunir plusieurs
épithètes à un même substantif”. Quali che siano i modelli letterari del passo (in tempi
recenti, Mazzocchini 2009 ha proposto di risalire a Eschilo per il tramite di Ennio), è certo
che Lucrezio riprenda qui una dicotomia iscritta nel cuore del messaggio epicureo, quella,
auguri in cielo, il posto guadagnato per sé dal sapiente si distingue per un’autarchica
A detta di Epicuro stesso, sent. Vat. 31, soltanto dinanzi alla morte tutti gli uomini,
incluso il saggio, sono esposti alla precarietà e somigliano agli abitanti di una “città senza
Benché Lucrezio rimarchi da subito come sia la coscienza della propria incolumità,
e non il dolore altrui, a generare la dolcezza del piacere (quella suavitas connessa a
suavis
moderni hanno spesso frainteso (e biasimato) il punto di vista del poeta. Bailey
1947, II, p. 797, ad esempio, proclama che i versi del secondo proemio “to almost all
readers have an unpleasant taste of egoism and even of cruelty”, e ancora in tempi
recenti Roskam 2007, p. 89 e n. 19, ha dato credito a una simile interpretazione.
Ma l’idea di Bailey che l’etica epicurea sia contrassegnata da un radicale
convincente illustrazione dei veri intenti di Lucrezio, alla luce della teoria epicurea
17
Diogene di Enoanda, fr. 3 col. 4.3-col. 5.2 Smith (ma tutto il testo dei frammenti
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
dell’immaginario medico nella dottrina morale di Epicuro e dei suoi seguaci si veda
18
19
di Lucrezio gli intellettuali epicurei fossero inclini a criticare con riferimenti diretti
fatti e personaggi coevi, ragion per cui il de rerum natura
47
Fabio Tutrone
-
versi snodi dell’opera il poeta sembri spinto dal degrado della società
romana a radicalizzare la propria fede in Epicuro e ad assolutizzare,
per così dire, il caveat scolastico contro l’ambizione politica22.
È ormai sempre più chiaro, infatti, che né Epicuro né la tradizione
epicurea hanno mai emesso un editto categorico e “monolitico”
contro la partecipazione alla vita pubblica. In questo come in altri
ambiti, il seguace del Giardino era chiamato a scegliere sulla base di
un calcolo razionale dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dalla
situazione concreta, ossia – per usare una formula cara a Epicuro
23
. Fermo era l’ammonimento ad abbando-
22
Che Lucrezio inasprisca i toni della polemica epicurea contro i turbamenti
derivanti dalla vita pubblica appare chiaro dal confronto con le altre fonti epicuree.
Si veda ora la completa rassegna di Roskam 2007, per il quale, su questo tema,
“Lucretius usually proves to be less nuanced than Epicurus. Almost nowhere do
Importanti considerazioni sono svolte anche da Fish 2011, secondo cui l’estremismo
di Lucrezio sarebbe il frutto di una precisa tecnica didattica, attestata anche nella
parte “diatribica” del de ira
crucial to Epicureanism, did not present him (scil. Lucretius) with rhetorically and
exempla is
23
Cfr. Diogene Laerzio, vit.
matrimonio). In questo calcolo razionale, particolare attenzione andava prestata
dalle successive generazioni della scuola sul tema dell’impegno politico è svolta da
48
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
24
Si veda, ad esempio, de oec. col. 4.27-32; 22.17-48; ira col. 15.31-32; de lib. dic. col.
25
Particolarmente eloquente è, a riguardo, la storia della civiltà umana nella versione
de abst. 1.7-12 = fr. 34 Longo Auricchio = fr. 24
Krohn. Ma si vedano anche la testimonianza di Plutarco, adv. Col. 1124d, su Colote,
e i testi raccolti nel fr. 530 Usener.
compaia nelle clausole condizionali adoperate da Cicerone, rep. 1.10 (Illa autem
exceptio cui probari tandem potest, quod negant sapientem suscepturum ullam rei publicae
partem, extra quam si eum tempus et necessitas coëgerit?), e Seneca, de otio, 3.2 = fr. 9
Usener ( ),
49
Fabio Tutrone
29
Su questa ed altre analoghe strategie della didattica epicurea si veda l’analisi di
Tsouna 2001, 2003, 2007.
30
Schiesaro 2007 ha giustamente riportato l’attenzione sulla posizione intransingente
assunta da Lucrezio, una posizione in grado, però, di convivere con una profonda
local, nor his prescriptions ephemeral, yet the DRN displays a sharper awareness
50
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
topos
fra spazio antropico e distese selvagge – chi dagli aequora campi pas-
sava pericolosamente agli aequora salsa, per richiamare due iuncturae
enniane care a Lucrezio32. Nel mondo latino, tradizionalmente lega-
to ai riti e ai valori della terraferma, tale ingiunzione aveva un peso
molto maggiore che in Grecia, soprattutto in forza dell’associazione
simbolica fra commercio per lucro, desideri smodati e tecniche della
navigazione33. A ciò si deve aggiungere che nella temperie culturale
della tarda repubblica il paragone canonico, risalente alla lirica greca,
fra disordini politici e tempeste marine era particolarmente in auge,
de re publica e
nelle epistulae ad Atticum34. Sulle soglie della sua Priamel, dunque, Lu-
32
Aequora campi: Ennio, ann Aequora salsa (o aequore
salso): Ennio, Ambracia, fr.
33
Cfr. Konstan 2007, p. 57: “il poeta immagina non la vittima, priva di soccorso,
del disastro naturale, ma l’audace mercante la cui avidità contro natura lo attira
51
Fabio Tutrone
ateniese d’adozione. È forse possibile che alcune porzioni di spicco del de rerum natura
circolassero già al principio del decennio nella cerchia letteraria ruotante attorno a
35
52
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
dagli storici37 – può essere utile ricordare qui due soli esempi tratti
dall’opera di autori coevi.
pro Sestio -
38
, Ci-
cerone si rivolge sia ai giovani di nascita illustre che agli adulescentes
di più umile estrazione, ed esorta entrambi a competere:
Ma per concludere in qualche modo il mio discorso, e per ces-
sare di parlare prima che voi cessiate di ascoltarmi così attentamente,
porterò a termine la riflessione sui maggiorenti, su coloro che fra essi
primeggiano e sui difensori dello stato, e rivolgerò un’esortazione a
voi giovani: spronerò voi di nobile nascita all’imitazione dei vostri
38
Sulla visione della società e degli equilibri politici espressa nella pro Sestio si
242) con precisi riferimenti ai dissidi fra i triumviri, alla debolezza del senato e alle
derive demagogiche, “costituisce, per tutta la sua prima parte, un anno di assoluta
confusione nelle relazioni politiche.” Una fase di transizione così violenta come
Lucrezio e il desiderio di pace espresso già nell’inno a Venere. Cfr. anche Volk 2010,
p. 131: “it seems most reasonable to go back to those sources that point to the mid
50s, a time of great political uncertainty when internal peace at Rome was certainly
endangered, but open civil war had not yet broken out”.
53
Fabio Tutrone
39
Iug. 4.5-7.
40
41
Il termine nobilitas compare anche più avanti nel medesimo proemio, esattamente
nel cuore del v. 38. Ma questa volta l’abbinamento col prestito greco-persiano gazae
(v. 37) e con una chiara allusione al potere monarchico (gloria regni), nel contesto
di una rassegna topica dei beni mondani,
42
ruolo (“role models”) da parte di Cicerone si veda van der Blom 2010. La studiosa
evidenzia, fra l’altro, la posizione preminente assunta da homines novi quali Catone e
Mario, e in ultimo dall’autore stesso, nella galleria di “antenati alternativi” costruita
da Cicerone (cfr. specialmente pp. 149-324).
54
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
Cicerone e Lucrezio:
Se altri hanno fallito in questa impresa, la loro antica nobiltà, le
gesta valorose dei loro antenati, le risorse dei loro parenti e sodali, la
loro vasta schiera di clienti fanno loro da scudo; ogni mia speranza
è riposta in me stesso e deve essere difesa dal mio valore e dalla mia
rettitudine. […] Per coloro che si sono finti onesti a motivo della loro
ambizione è difficile mantenere la moderazione una volta ottenute
posizioni di potere; ma per me che ho trascorso tutta la vita nelle occu-
pazioni più oneste, l’agire correttamente è divenuto una disposizione
naturale grazie all’abitudine (Iug. 85.4-9).
Il quadro della competizione aristocratica tracciato da Mario –
questo farsi avanti in forza della gloria ancestrale, dei mezzi altrui e
-
tiva di Sallustio, eccessivamente parziale)44. La polemica del neo-con-
sole si scaglia contro uno solo dei due ambienti sociali additati da
Lucrezio, quello, per l’appunto, della nobilitas. Di una luce positiva
brilla, per contrasto, la spinta competitiva dell’homo novus, sorretta
dal bagaglio della virtus, dell’innocentia e, in una parola, della natura.
Resta intatto, insomma, l’armamentario simbolico che sorreggeva la
43
“the long speech that Sallust lends him (scil. Marius) in a remarkable passage
of the Jugurthine War is almost certainly not a summary of a speech that Marius
55
Fabio Tutrone
45
Iug. 4.7.
Cesare in Cat. fuere viri duo) colloca la redazione del bellum Catilinae in una fase
successiva alle Idi di Marzo del 44 (forse intorno al 42). Giacché il bellum Iugurthinum
è solitamente ritenuto opera più matura dell’apologetico bellum Catilinae, la sua
47
Cfr. Iug. seque
remque publicam celebravere) compiendo queste azioni ed altre dello stesso tipo. I
disprezzano noi che li emuliamo (nos illorum aemulos) e reclamano da voi ogni carica
non per merito, ma come se si trattasse di cosa dovuta”. Commentando questi
capitoli del bellum Iugurthinum, e confrontadoli con la collimante testimonianza di
Plutarco, Mar. 9, Sordi 2002, p. 247, individua qui “l’essenza del discorso di Mario”.
Questi, infatti, aspira a presentarsi come il vero erede della “grande nobiltà plebea”
del V e IV secolo a.C, da cui discendeva gran parte della nobilitas tardorepubblicana.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
48
Tutti e quattro gli esempi appena citati sono concentrati da Lucrezio nel breve
spazio dei vv. 12-13. Sul versante sallustiano l’evidenza testuale è così ampia che ci
si può solo limitare a qualche esempio. Per nitor si veda, oltre al proemio del bellum
Iugurthinum appena citato, Cat. 11.2 (insieme a contendere); 38.2 (summa ope niti); Iug.
3.3; 10.8 (enitimini); 14.20 (niti ambire fatigare, con icastico asindeto); 37.2 (continuare
magistratum nitebantur). Per labor vd. Cat. 35.3 (fructu laboris industriaeque); Iug. 7.4
(multo labore multaque cura); 85.7 (ancora il discorso di Mario, e a poca distanza da
adnitundum est). Sulla corsa alle opes, specialmente per invidia di quelle altrui, si
veda Cat. 17.1; 37.3; 58.14. La locuzione rerum potiri compare solo in ep. ad Caes.
la cui autenticità è notoriamente discussa, ma è parte del lessico politico ciceroniano
(cfr. ad es. S. Rosc. 70; Catil. 2.19; Att. 10.8.4). Cfr. anche Fowler 1989, pp. 134-135.
49
Secono Grimal 1957 la Venere invocata nel primo proemio sarebbe addirittura
la Venus Genetrix di Cesare. Un’analisi ad ampio spettro dei supposti legami fra
50
Facendo un uso molto marcato delle categorie interpretative dello storicismo
suo materialismo anti-religioso come il prodotto di una lotta condotta dalle classi
subalterne contro i ceti dominanti. Proprio recensendo (con notevole asprezza)
il saggio di Farrington, Momigliano 1941 propose la sua nota teoria sugli
“Epicureans in revolt”: lungi dal rinchiudersi nella quiete dell’hortulus, o negli
ambienti vicini a Cesare, l’epicureismo della tarda repubblica sarebbe diventato
la dottrina ispiratrice di una reazione anti-tirannica, vissuta con accenti eroici da
Cassio e molti altri. Il poema di Lucrezio, e soprattutto la storia della civiltà del
57
Fabio Tutrone
La seconda tappa del nostro percorso non può che essere la sezione
introduttiva del libro III, che al secondo proemio è legata da evidenti
analogie formali e concettuali53. Dopo avere sciolto il suo inno al divino
una descrizione e una diagnosi dei mali morali che ottenebrano l’a-
nimo umano. Alla vita psichica dell’uomo e alle sue basi rigidamente
materiali è dedicato, del resto, l’intero terzo libro. Quello che Bailey, col
linguaggio della didattica anglosassone, ha chiamato il “syllabus” di
Lucrezio (3.31-93)54 è, in realtà, un prezioso compendio di psicologia
epicurea, teso a mostrare il nesso strettissimo fra paura della morte ed
insaziabilità del desiderio. Spinti dall’idea che la ricchezza e il potere
51
Sulle analogie che collegano l’Atene del IV-III secolo a.C., dove nacque e crebbe la
prima comunità epicurea, alla Roma di Lucrezio si veda la sintesi di Romano 1990, p.
13: “Atene spoliticizzata e Roma superpoliticizzata, in preda all’anarchia, al disordine
sociale e alla confusione. In tutti e due i casi il cittadino ha perduto il senso dello
stato. A Roma si attendeva il ripristino dell’ordine e del diritto”. Sull’atmosfera di
disorientamento sociale e politico che fece da sfondo alla nascita del Kepos, sul
52
Che il mondo greco-romano abbia conosciuto un articolato dibattito sul senso e
emerge chiaramente dal volume di Fisher-van Wees 2011, che troppo poco spazio
54
Bailey 1947, II, p. 993.
58
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
55
Riprendo qui, per sommi capi, l’intepretazione della psicologia epicurea fornita da
Konstan 2007 attraverso un’analisi sensibile delle fonti epicuree e del de rerum natura
esclusivo di lettura del poema lucreziano. È degno di nota che ancora Bailey 1947,
II, p. 993, rimarchi “the vehemence and strangeness of Lucretius’ treatment of this
thesis”. Pregevoli intuizioni sono, però, già in Perret 1940 e Desmouliez 1958.
59
Fabio Tutrone
.
L’esatta conoscenza della natura delle cose, dei motivi per cui la vita
. 57
57
Cfr. Ep. Men. 124-125. Un ampio riesame della posizione epicurea sul problema
L’approccio terapeutico alla paura degli dei e della morte messo a punto dagli
epicurei è indagato anche in Warren 2009 e Tsouna 2009. In tema di terapia del
desiderio fondamentale resta il saggio di Nussbaum 1994 (pp. 102-191 su Lucrezio
59
“we see amongst most familiar Greek material a strong concern for competitive
envy and rivalry among aristocrats as well as distinctly Roman imagery, language,
and allusions. But we are not compelled to consider this as indicative of Lucretius’
, e non a caso
ricorrente anche nel contemporaneo Filodemo – si associa senza
frizioni l’inventario immaginativo della morale pubblica latina, con
l’obiettivo di sfruttare il terreno comune fra poeta e destinatario e
.
In sent. Vat.
danno a sé stessi”. Come spesso accade nei testi greci, anche in Epicuro il contrasto
Laerzio, vit.
PHerc contra
from a personal as well as from a social point of view”. Filodemo, rhet. 2.139.12-
bene Dorandi 1982, p. 177, che questa triplice associazione rivela la radicalità della
posizione epicurea rispetto al portato dell’etica tradizionale: di norma, “l’amore
Erodoto, hist. 8.3). A Roma, potremmo aggiungere, la distinzione fra guerre esterne
e contese interne alla comunità costituisce uno dei capisaldi del mos maiorum.
Coinvolgendo tutte le forme di competizione fra individui in un’unica condanna,
scrittori come Lucrezio e Filodemo adottano un atteggiamento intrinsecamente
contro-culturale.
L’individuazione di orizzonti cognitivi familiari al lettore, sulla base dei quali
Cfr. ad es. Epicuro, sent. Vat. 43, e Filodemo, de oec. col. 11.3-8; 17.2-14.
Si veda, da ultimo, il lavoro di Atkins 2013 (soprattutto pp. 120-144), sul pensiero
Cat. 1.8; 3.3. Il solo termine socii in riferimento ai congiurati compare, invece, in
1.33 e 2.4.
Fabio Tutrone
Filodemo, de elect
Cfr. la testimonianza di Diogene Laerzio, vit. 10.117, menzionata supra
70
sent. Vat.
Usener, nonché Lucrezio, 2.20-22; 5.1117-1119. Se Cicerone, e dopo di lui i polemisti
cristiani, avranno buon gioco nel confondere i termini della questione, il richiamo
di Epicuro ad uno stile di vita austero appariva, invece, chiaro e conseguenziale agli
occhi di un interprete acuto come Seneca (vd. ad es. ep.
71
Cat. 12.1-4. Al fondo della critica sallustiana risiede un’antinomia fra il paradigma
“olistico” del mos maiorum, attento al bene della comunità ma non al favore
delle masse tout court, e le tendenze individualistiche della tarda repubblica. Per
un’ampia analisi di questa epocale transizione e del relativo dibattito letterario si
veda Marchese 1998.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
-
de, innervando il discorso della latinità da Cicerone e Sallustio sino a
Orazio, Seneca e Lucano72. Alcune coincidenze lessicali sono partico-
larmente indicative e inducono a ipotizzare, oltre che una vasta trama
di relazioni intertestuali, l’esistenza di un immaginario culturale co-
mune. Quando, nella seconda Philippica, Cicerone accusa Antonio di
72
Una panoramica dei temi dominanti nella vasta letteratura sui bella civilia è ora
73
Phil. 2.70-71. In una lettera a Cassio del 47 a.C. (fam. 15.15.1), Cicerone dichiara che
sia lui sia il suo destinatario si sono tenuti lontani dalla prosecuzione delle ostilità
poiché aborriscono lo spargimento del sangue dei cittadini (odio civilis sanguinis).
74
Cat. alo
con un termine in ablativo, in un’accezione traslata assai vicina al lucreziano mortis
formidine aluntur sanguine civili ritorna anche nel frammento delle
historiae relativo al discorso di Lepido (1.53.14 La Penna-Funari), dove si denuncia
la contaminazione dei sepolcri attraverso il sangue dei cives.
75
Cfr. soprattutto epod. 7.17-20, con il riferimento all’assassinio di Remo (scelus
fraternae necis) e alla maledizione che, in virtù del sangue versato, grava sui nepotes.
Per un’interpretazione complessiva dell’epodo, composto fra il 39 e il 38 a.C., si
veda De Vivo 1994.
ge. 2.505-512, versi incastonati in una sezione dell’opera traboccante di reminiscenze
(v. 499). Rilevando l’allusività del passo virgiliano, Kenney 1971, p. 85, amplia
Fabio Tutrone
opportunamente il discorso e nota che “nothing in the Civil Wars seared the Roman
77
Si noti il contrasto stridente istituito dalla stessa successione delle parole (gaudent
in tristi), nel cuore di un esametro ricco di solenni spondei. La pregnanza del
riferimento lucreziano al funus fratris è stata fortunatamente conservata da
Macrobio, sat. fratris contro l’assai più banale (e
sintatticamente problematica) lezione dei codici (fratres). Sul rilievo simbolico del
mos
maiorum, si veda Bannon 1997, pp. 149-173.
78
Il percorso di trasmissione dei miti e l’evoluzione dei paradigmi sociali sono,
peraltro, legati fra loro da una chiara interdipendenza. Che tutto il processo di
Lucrezio al pater Ennius. Il tema dello scontro fra Atreo e Tieste ha enorme fortuna nel
teatro romano, da Accio e Vario Rufo sino a Seneca e al Curiazio Materno tacitiano.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
in tenebris
caenoque -
sta notazione, una sottile ironia del poeta, per il quale il soggetto in
questione è veramente immerso nelle tenebre: non, però, in quelle
irrilevanti (e quasi sempre nocive) della reputazione mondana, ma in
quelle oppressive dell’ignoranza, da cui solo Epicuro può liberare84.
Già nel mondo greco l’anatema epicureo contro l’invidia e l’emu-
Nella sua penetrante analisi del Thyestes senecano, Picone 1984 ha messo ben in luce
le profonde implicazioni etico-politiche del mito e della sua riscrittura tragica.
81
Frr.
82
in contemporary Rome,
83
Il motto dell’Atreus ricorre nella produzione di Cicerone dai tempi della pro Sestio
(102) e dell’invettiva in Pisonem (98) sino agli anni delle Philippicae (1.34) e del de
(1.97), sempre come locus classicus in grado di sintetizzare la natura del potere
riferimento al Thyestes
84
modello competitivo della morale arcaica era già stato oggetto di cir-
85
op.
emulativo tra poeti, nella conclusione di un brano tutt’altro che privo di ambiguità
linguistiche e concettuali: si veda ora Hardie 2012, pp. 55-57.
harmful but avoidable, and, whereas Hesiod sees envy of one’s neighbour as a stimulus
88
Sulla pregnanza simbolica di cerimonie pubbliche quali il triumphus, l’ovatio e la
contio
performance di simili procedure rituali era essenziale nell’ottica di una cultura che
potere. Prima ancora che nei quadri retorici del de rerum natura, peraltro, la pratica
their power and prestige, but these were clearly dependent upon the consent and
approbation of the people. […] The tension between the power of an individual and
the sovereignty of the people, as well as between the glory of Rome and the renown
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
89
Epicuro relegava statue e ghirlande al rango di piaceri innaturali e non necessari (cfr.
90
ann. bellum
Catilinae (9.2).
91
A riguardo, ha certamente ragione Asmis 2004, p.135, nel reagire alla vulgata
-
li ad un singolo individuo. Tutti debbono, a seconda delle circostan-
gruppo (cfr. Glad 1995, pp. 137-138). In de lib. dic. fr. 45.8-11 Olivieri, ribadendo
l’importanza della correzione vicendevole come strumento di crescita interiore,
Filodemo richiama l’attenzione sul fatto che “la cosa più importante in assoluto”
93
94
Preferisco abbandonare il calco italiano (Sulla libertà di parola) della traduzione
latina de libertate dicendi, in accordo con la posizione già assunta, in ambito
On Frank Criticism. Tale scelta consente di segnalare la notevole distanza che separa
95
In de lib. dic.
70
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
-
98
. Poche righe
99
. Mentre la res publica declinava verso
de lib dic.
97
de oec.
genera vitae può essere accostata a quella che Diogene Laerzio, vit.
Usener) attribuisce ad Epicuro. Per una discussione dettagliata dell’argomento
98
aspetto – cui sono stato reso sensibile dal magistero di Giusto Picone – mi
occupo in Tutrone 2017.
99
71
Fabio Tutrone
-
va100, Lucrezio non era il solo a guardare con distanza la contentio
del Foro e delle schiere in battaglia.
Proprio all’inizio del III libro, l’ideale epicureo del rapporto fra ma-
100
Sulla problematica della vita contemplativa e la sua rilevanza nella cultura
con l’immaginario politico ellenistico-romano, si veda Buchheit 1971. Sul culto religioso
che gli epicurei tributavano al loro fondatore, senza per questo contraddire la teologia
102
Cfr. 1.43-44: “sono insaziabili quei desideri (cupiditates) che sconvolgono non
solo i singoli individui (singulos homines), ma intere famiglie (universas familias), e
conducono alla rovina tutta la struttura dello stato (totam rem publicam). Dai desideri
nascono gli odi, le divisioni, le discordie, le sedizioni e le guerre (odia, discidia, discordiae,
seditiones, bella). Queste passioni non si proiettano solo all’esterno (nec eae se foris solum
72
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
iactant), né si limitano ad aggredire gli altri con uno slancio cieco, ma, chiuse dentro
(inter se dissident atque discordant), ragion per
cui è inevitabile che la vita divenga assai amara. Soltanto il sapiente, dopo aver reciso
ed estirpato ogni idea illusoria ed ogni deviazione (amputata circumcisaque inanitate
omni et errore), può vivere privo di angoscia e di timore (sine aegritudine et sine metu),
appagato dai limiti della natura ( )”.
103
formatasi sull’onda del disagio sociale del IV secolo, si veda Frischer 1982, pp. 203-
208. Una diversa formulazione del problema è ora in Gordon 2012, pp. 97-100. In
rhet.
73
Fabio Tutrone
Per un’analisi del retroterra letterario delle similitudini animali qui utilizzate
questa sezione del poema è, come sempre, la parola di Epicuro: parola che libera
dagli errori del passato, e verso cui dunque tutta l’umanità deve tendere. Cfr. Furley
before, when human life was tainted with fear and
greed, then came the teaching of Epicurus, and now we – Lucretius, Memmius,
and all of mankind – have been taught the wisdom (if we will listen to it) that will
enable us to live in peace and purity of mind”. Importanti discussioni d’insieme
degli obiettivi didascalici impliciti nel racconto lucreziano si trovano in Sasso 1979
e Manuwald 1980.
74
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
108
sociale dei re nel resoconto lucreziano può, inoltre, essere collegata all’atteggiamento
globalmente positivo degli epicurei verso la monarchia in quanto istituzione in
grado di assicurare la quiete politica indispensabile alla ricerca dell’atarassia. Se,
nella visione epicurea, essere re non è in sé un bene etico, a causa dell’insieme
di turbamenti che questa condizione comporta inevitabilmente per l’individuo,
tuttavia alcune persone dotate di una particolare disposizione naturale possono
contribuire alla felicità collettiva esercitando in modo virtuoso le prerogative regali.
Il problema è stato variamente dibattuto fra gli studiosi, soprattutto in riferimento
Il buon re secondo Omero, ai suoi precedenti ellenistici e al
suo rapporto col milieu romano: vale la pena di menzionare almeno le disamine
75
Fabio Tutrone
ed essi, già ricchi, potessero avere una vita tranquilla (placidam … vitam):
invano, poiché nella gara (certantes) per giungere al soglio
più alto (ad summum succedere honorem) resero instabile il loro cam-
mino,
e giù dal vertice sommo li getta talvolta nel Tartaro oscuro 1125
l’invidia, simile a un fulmine, in mezzo al disprezzo;
ed è per l’invidia difatti che spesso diventano fumo,
come feriti da folgore, i beni più alti ed ogni possesso
donato dal volere degli altri; sicché è assai meglio obbedire
tranquilli che voler governare d’imperio e reggere regni. 1130
Lascia dunque che essi, prostrati, invano sudino sangue,
scontrandosi in lotta sulla strada (per iter luctantes) ristretta dell’ambizione:
poiché hanno un sapere venuto da bocche di altri, e cercano
i beni secondo quanto hanno udito, non per la loro esperienza
diretta – oggi ciò accade e domani accadrà, non più di ieri (Lucr.
5.1120-1135).
Già in questa remota preistoria – una preistoria delle emozioni,
oltre che delle forme sociali e istituzionali – la fama (claros), il presti-
gio (potentes, v. 1120)109 e il potere su cose e persone (regere imperio res
et regna tenere vo-
luerunt, v. 1120; velle, v. 1130): un desiderio incanalatosi su una strada
erronea, come il lettore ha già appreso nei libri precedenti, ma fon-
fundamento stabili, v. 1121)
109
Il senso dell’aggettivo potens, qui come in altri luoghi lucreziani (ad es. 3.1027, e
verso quella del potere materiale. Si tratta di una sfumatura lessicale chiaramente
rilevabile in molti testi della tarda repubblica (un esempio eloquente è in Cicerone,
Planc. 51, a proposito di Gaio Claudio, la cui autorevolezza non bastò ad evitare
la repulsa
in Cicerone, inv.
materiali, che rendono le città salvae et incolumes, e quello di beni simbolici, come il
decoro estetico e le alleanze, che fanno apparire le stesse città amplae atque potentes).
Questa lettura riceve, peraltro, una conferma dirimente dal confronto con Epicuro,
Kulturgeschichte, e qui
il latino clari atque potentes. È, peraltro, evidente che i capi della comunità umana
fossero già investiti di un potere concreto nel momento storico illustrato: tale potere
era il risultato dell’agiatezza economica (opulenti, v. 1122), assurta ad unico criterio
di selezione della classe dirigente, ma rivelatasi bisognosa di un ulteriore sostegno.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
-
tà generale si mescolano suadentemente a termini-chiave e dettagli
del paesaggio culturale romano110. I notabili primitivi che gareggiano
(certantes, v. 1124) gli uni contro gli altri tentano di attingere quel sum-
mus honos che, all’epoca di Lucrezio, era prima di tutto il consolato111.
La strada (iter) che essi percorrono, secondo l’insistita metafora del
poeta (vv. 1124 e 1130), si presenta come un riadattamento allusivo
del cursus più familiare al pubblico latino, il cursus honorum. E non
sarà un caso che la prima delle due occorrenze di iter sia contigua al
termine honorem che chiude enfaticamente il v. 1123. A dimostrazione
degli esiti controproducenti e “paradossali” del desiderio di gloria,
Lucrezio abbina al sostantivo iter due aggettivi visibilmente in con-
trasto con la motivazione di partenza: chi cercava sicurezza si ritro-
va intrappolato su un cammino malcerto (in in-festum è vivissimo il
112
, e chi aspi-
110
Anche in questo caso, non posso celare il mio dissenso rispetto alla critica che
McConnell 2012, pp. 112-113, rivolge alle giuste osservazioni di Fowler 1989, p. 144,
e Gale 2009, pp. 3-4. La stessa alternanza di tempi storici e forme del presente nel
questo e gli altri luoghi lucreziani discussi rimandano, in ragione della loro forma
e del loro contenuto, alla nota descrizione dell’ascesa politica come fatica di Sisifo
112
un’unica, più diretta privazione, sicché anche in questo caso il confronto col maestro
77
Fabio Tutrone
113
È appena il caso di ricordare che lucto (v. 1130), prima di qualsiasi uso traslato, è il
verbo dei lottatori dell’arena. Nella conclusione del brano, dunque, i certantes del v.
1124 sono ridotti, più prosaicamente, al rango di luctantes.
114
Sulla rappresentazione romana del mos maiorum come codice non scritto,
sottoposto ad una continua negoziazione sociale, si veda Bettini 2000, pp. 251-292.
Richiamando testi eloquenti come Cicerone, part. 130, Servius auctus in Aen.
e Isidoro, etym. 2.10.1-2, Bettini sottolinea che “le testimonianze sulla percezione
culturale che si aveva a Roma del mos tradizionale si presentano molto esplicite
riguardo alla natura orale del costume tradizionale”. La conservazione di tale
exempla ai luoghi
della città, dalle imagines degli antenati alle pratiche ritualizzate”. La consapevole
decostruzione del paradigma del mos maiorum da parte di Lucrezio è discussa da
Minyard 1985, pp. 33-79.
78
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
115
Iug. 4.5: nam saepe ego audivi.
La teoria epicurea sulla percezione e la conoscenza è stata recentemente ripresa
in esame da Hahmann 2015, il quale compara utilmente la posizione di Epicuro
alla costruzione degli argomenti analogici, si veda Schiesaro 1990 e Garani 2007.
118
in vestris disputationibus historia muta est. Cfr. Romano 1990, pp. 7-8. Cicerone
opponeva all’historia muta degli epicurei gli annalium monumenta della tradizione
romana, denunciando l’impossibilità, per i discepoli di Epicuro, di invocare a
propria difesa la testimonianza di uomini illustri (clari viri
1987, pp. 45-49). Il paradosso apparente per cui, in Lucrezio, l’unica novità storica
79
Fabio Tutrone
di sanguis civilis.
La conclusione del passo potrebbe forse indurre a postulare un
sotterraneo “pessimismo” dell’autore circa la possibilità di contra-
stare la tradizione del mos maiorum. Già col suo invito al lettore a
tollerare la stolta ambizione dei più (sine, v. 1129), Lucrezio sembra
-
sizione di superiorità contemplativa analoga a quella del proemio II.
119
Aen.
120
La presenza di riferimenti espliciti alla potestà regale è dovuta, in prima istanza, al
regere imperio res
si adatta perfettamente a descrivere l’esercizio del potere da parte di un monarca,
ma al pubblico latino non poteva sfuggire la connessione fra il summus honos del v.
1123 e il desiderio di imperium: nella Roma repubblicana, l’imperium che era stato dei
primi reges era detenuto dai consoli, e l’honos che questi ricevevano era considerato
summus anche in ragione di ciò. Gli studiosi hanno da tempo rilevato come tutta
l’impostazione diacronica della Kulturgeschichte
memoria dell’esperienza romana: mentre Ermarco e Colote (cfr. supra n. 25) fanno
seguire la stipula del contratto sociale e l’intervento dei primi legislatori ad una
prima fase di anarchia, Lucrezio disegna una parabola fatta di tre (Fowler 1989,
pp. 141-145) o quattro stadi (Schiesaro 2007, p. 44), in cui l’avvento di leggi e
80
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
tina121, la sententia
del futuro prossimo (mox). Nel breve periodo – sembra suggerire il
poeta – il certamen dell’ambizione, sostenuto dalla trasmissione col-
lettiva di modelli erronei, continuerà a imperversare, e ai saggi non
resterà che commiserare l’infelicità di molti. Ma nulla esclude che
in un futuro più lontano, quando il verbo di Epicuro sarà penetrato
in profondità, gli uomini potranno sperimentare l’età dell’oro pro-
fetizzata da Diogene di Enoanda122 e rievocata da Lucrezio stesso123.
Diogene, come Lucrezio, sottolinea che in quel tempo beato la vita
121
Bailey 1947, III, p. 1503, considera il v. 1235 “a proverbial ring” e rinvia per un
Amph. 553. La scoraggiata osservazione secondo cui domani
gli esseri umani non saranno migliori di oggi e di ieri ha certamente un sapore
Lucrezio vi faccia ricorso. Al contempo, è bene ricordare che simili adagi proverbiali
altra natura, saldamente radicata nel sistema stoico. Sull’argomento si veda ora
122
leggano i commenti di Smith 1974, pp. 21-25, e Long 1985, pp. 314-315,
123
81
Fabio Tutrone
124
Plutarco, adv. Col. 1125c. Poco dopo leggiamo anche una citazione da Metrodoro
125
su questo ed altri passi lucreziani si vedano i lavori di Brown 1982 e Donohue 1993.
82
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)
127
Una svolta decisiva in questo ambito di studi è stata segnata dai contributi raccolti
in Obbink 1995. Varrà la pena di citare almeno le notazioni “iconoclaste” formulate
concerning poetry and education in Epicurus bear the same relation to an Epicurean
edict against the writing of poetry as the sentence concerning Onan in Genesis
38.9 bears to the prohibition against birth control. And both Epicurus’ precept and
liked to say in his work On Lifecourses), poetry might serve not only as a source of
128
of a community, and in particular between the sage and his fellow-men. […]
The mutual care which the Epicureans show for each other nurtures in them
83
Fabio Tutrone
fondamentale (primum quod, 1.931) per cui egli aspira alla corona è
l’eccezionalità della materia trattata, in grado di liberare l’animo del
destinatario dalle strette catene della religio132. Al dono dell’arricchi-
mento spirituale, impreziosito dallo splendore della poesia, sarebbe
-
che quando fuori dal cerchio del dono – nell’aiuola che rende l’uomo
feroce – trionfa una ridda di desideri distruttivi.
of Epicurean friendship”.
131
Secondo Diogene Laerzio, vit. 10.27-28, e Sesto Empirico, adv. math. 1.49 (= fr. 22 Usener),
Epicuro compose un’opera Sui doni e la gratitudine
PHerc 1414) si colloca evidentemente
edizione del trattato (ampio e importante alla luce dei dati sticometrici), Filodemo pone
particolarmente interessante notare, con la Tepedino, che Filodemo (col. 1.3-12) condanna
132
1.931-934. Solo secondariamente (deinde quod, v. 933) viene evocata la grazia poetica
84
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, iustitia e imperium tra passato, presente e
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310
Parte del ricavato della vendita del volume sarà destinato alla cre-
azione di un premio per la miglior tesi di laurea in Letteratura latina
che venga discussa, nell’arco del triennio 2017-2019, in uno dei corsi
di studio in cui il professor Picone ha insegnato.