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GenerAzioni

1
In gara col modello
Studi sull’idea di competizione nella letteratura latina

Un lIbro per gIUsto pIcone

A cura di
Marco Formisano e Rosa Rita Marchese
GenerAzioni
Letteratura e altri saperi - 1

In gara col modello. Studi sull’idea di competizione nella letteratura


latina. Un libro per Giusto Picone
A cura di Marco Formisano e Rosa Rita Marchese

Direttrici/Editors: Ambra Carta e Rosa Rita Marchese

Giancarlo Alfano (Università di Napoli Federi-


co II); Luisa Amenta (Università di Palermo); Alessandro Barchiesi
(New York University); Alfredo Casamento (Università di Paler-
mo); Matteo Di Gesù (Università di Palermo); Elisabetta Di Stefano
(Università di Palermo); Sabrina Ferrara (Université de Tours); Dan
Hanchey (Baylor University); Donatella La Monaca (Università di
Palermo); Matteo Meschiari (Università di Palermo); Giusto Pico-
ne (Università di Palermo); Leonardo Samonà (Università di Paler-
mo); Alden Smith (Baylor University); Natascia Tonelli (Università
di Siena); Emanuele Zinato (Università di Padova)
www.generazioniletteratura.org
ISBN (a stampa): 978-88-99934-50-7
ISBN (online): 978-88-99934-52-1

Volume pubblicato con il contributo dell’Università degli Studi di


Palermo e del Department of Literary Studies - Ghent University

Le opere pubblicate sono sottoposte a processo di peer–review


a doppio cieco.

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90128 Palermo
www.newdigitalfrontiers.com
Indice

Prefazione 7

Introduzione
Vincere, perdere, eguagliare. Per uno studio dell’idea di
competizione nel mondo romano 9
rosa rIta marchese

Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5). Competizione e mo-


delli etici nel de rerum natura di Lucrezio 41
FabIo tUtrone

Talibus praemiis propositis numquam defutura bella civilia.


Il certamen crudelitatis delle guerre civili nella rappre-
sentazione di Cicerone 85
annUnzIata mIrIam bIancUccI

Cicerone e Seneca, largitio e contentio honestissima: da un


potlatch materiale a un potlatch morale? 117
alIce accardI - sImona rampUlla

Generazioni a confronto: il certamen secondo Eumolpo. Inter-


testualità sallustiane nel Satyricon di Petronio (c. 88) 143
gIovannI sampIno

-
ni uomo-animale in Sen. ben. 1.2.5 155
pIetro lI caUsI
Contentio honestissima e certamen nequitiae nelle opere di Seneca 179
lavInIa scolarI

Modelli antichi per tempi moderni. Una “querelle des


Anciens et des Modernes” nel dialogus de oratoribus 215
claUdIo barone

“Quando vi ucciderete, maestro?”. Elogio e compe-


tizione: Plinio nei Panegyrici Latini 249
marco FormIsano

Indice degli autori antichi e dei passi citati 311

Indice degli autori moderni 325


Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5).
Competizione e modelli etici nel de rerum natura
di Lucrezio
FabIo tUtrone

1. Prologo. Lo sguardo sui flutti

Su di un muro della Casa di Marco Fabio Rufo a Pompei, un’ano-


nima mano incise l’incipit del secondo libro del de rerum natura. Ne
leggiamo ancora, nel frammento di parete conservatoci, le prime tre
parole: suabe (ossia suave) mari magno1. Benché non sia raro trovare fra

canone della memoria letteraria in quella fase cruciale che congiunge


la tarda repubblica alla prima età imperiale2

il proemio del secondo libro lucreziano sarà divenuto assai presto un


locus classicus

1
L’alternanza fra v e b
(Barbarino 1978). Sulla monumentale Casa di Fabio Rufo e i più recenti sviluppi
dell’indagine archeologica si veda Grimaldi et al. 2011. Sul frammento murario

1975, pp. 249-251, Gigante 1979, pp. 154-155, e Varone 1990, p. 153. Secondo Gigante,

di riferimento anche per i proprietari delle ville campane, espressione della felicità
mari
magno

es. Od. 3.179), o riferirsi alle profondità delle acque in “alto mare”, già tratteggiate da
Ennio, Alexander
25.12-13, e Sallustio, Iug. 78.3.
2
La formazione di questo canone e dei connessi paradigmi di “classicità” è stata

citazioni letterarie a Pompei si veda, oltre a Gigante 1979, pp. 153-201, Milnor 2014.
Fabio Tutrone

politica estremamente vivace, questo appassionato elogio della con-


templazione epicurea contro le fallaci ambizioni umane avrà assunto

Roma e nelle altre città dell’impero, i muri stessi davano corpo all’a-
gone politico, divenendo lo sfondo di slogan, programmi e strategie
elettorali3. Le iscrizioni pompeiane tese a supportare questo o quel
candidato sono state a buon diritto interpretate come “espressioni
simboliche del carattere competitivo dell’élite locale”4. E per molti

modo emblematico la collocazione culturale del poema di Lucrezio,

competitiva – a Roma, in Campania e dovunque nel Mediterraneo


romano giungesse il catechismo epicureo del de rerum natura.
Nell’accostarsi all’ouverture del libro II, è bene tenere a mente

sulle strutture valoriali della repubblica romana. La società per cui


Lucrezio scriveva, la platea di lettori che il poeta invitava a ritirarsi
dalla contesa per la gloria, era attraversata da potenti energie com-
petitive. Come modello di azione e pratica culturale, la competizione
era “onnipresente” e “pervasiva” – per richiamare il linguaggio di
Hölkeskamp stesso – poiché nella gara per l’accesso agli honores cia-
scun cittadino metteva in gioco non solo l’occupazione di uno spazio
di potere o il compimento di un progetto politico, ma la sua stessa
identità nel presente e nella storia comunitaria5. Attingere un tra-

stati variamente interpretati, ponendo l’accento ora sul ruolo dell’opinione pubblica
e del favore popolare, ora sui contrasti interni al mondo delle élites. Mi limito qui a
menzionare le letture d’insieme fornite da Mouritsen 1988 e Franklin 2001.
4

competitive character of the local elite, which emerged in public at the annual elections
and was made visible through the candidate names painted all over the town”.
5

determined one’s position and rank within one’s family and above all among one’s own
ancestors”. Questa pratica continuativa e trasversale della competizione (“the omnipresent
and pervasive competition”) diveniva socialmente costruttiva in virtù dell’osservanza di
alcune norme morali condivise e del mantenimento di una situazione generale di consenso:
“competition among the members of the political class as a pattern of social action even

42
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

dell’élite dirigente, versare il proprio contributo nel patrimonio me-


moriale della famiglia di provenienza – in quello che è lecito chiama-
re, con Pierre Bourdieu, il suo “capitale simbolico” – acquisendo in
tal modo uno status preciso tanto nel reticolato diacronico della gens
quanto nello scacchiere sincronico della propria generazione. Nella
sua stimolante introduzione al ciceroniano, Giusto Picone
ha mostrato assai bene come il meccanismo della contentio fra gene-
razioni, tradizionalmente appannaggio dell’aristocrazia senatoria, si
sia progressivamente trasformato in un modulo sociale di più vasta
portata, in grado di assimilare al prototipo elitario dell’emulazione
“verticale” fra maiores e nepotes la contesa “orizzontale” fra nobiles e
homines novi7. Prima ancora di scandagliare il repertorio delle fonti
del secondo proemio lucreziano – testo di indubbia complessità ed

mente a questo intenso dibattito sul valore della competizione sociale


e i connotati dell’identità umana che assillava gli intellettuali latini

le conseguenze degli impulsi agonistici che è necessario leggere alla


luce della “riscrittura” tardorepubblicana dei modelli etici tradiziona-
li8
osservatorio che il poeta ha costruito per il suo lettore, e contemplare
con sguardo più lucido il tempestoso spettacolo del certamen politico:

and accepted procedure of the permanent (re-)positioning of its individual members and
their respective families within its own inherent hierarchy” (p. 135).

cognitive, qui repouse sur la connaissance et la reconnaissance” (Bourdieu 1994,

Bourdieu uno dei presupposti essenziali del suo metodo di analisi.


7
Riprendendo e ampliando l’interpretazione di Gabba 1979, Picone 2012 collega la
memoria
alle notazioni di Sallustio sul potere delle imagines, le dinamiche sociali della
Iug. 4.5-7).
8
Su questo delicato processo di riscrittura e mediazione culturale sono fondamentali,
ancora oggi, i saggi raccolti in Giardina-Schiavone 1981, nonché gli studi ciceroniani
di Narducci 1989. Un’utile messa in prospettiva del poema lucreziano come

43
Fabio Tutrone

È dolce, quando i venti sconvolgono il piano del mare


in tempesta, osservare (spectare) da terra la grande fatica di un altro;
non perché il lungo tormento di uno arrechi piacere,
ma perché è dolce vedere (cernere) da quali mali si è immuni.
È dolce pure guardare (tueri) le grandi contese guerresche 5
schierate in aperta campagna, senza aver parte del rischio.
Ma niente è più dolce che stare nei calmi e sicuri santuari
innalzati dal dotto sapere dei saggi, e da lì potere gettare
lo sguardo sugli altri (despicere), vederli (videre)
vagare qua e là e cercare smarriti la strada del vivere, 10
e duellare (certare) per doti d’ingegno e sfidarsi (contendere) per nobile
nascita,
di notte e di giorno affannarsi in travaglio (niti praestante labore)
per giungere al vertice e conquistare il potere (Lucr. 2.1-13)9.
Il drammatico contrasto fra l’ideale epicureo della saggezza, nutri-
-
tosa degli uomini in lotta richiama per molti aspetti il modulo lette-
rario della Priamel, come già riconosciuto, fra gli altri, da Gian Biagio
Conte e William Race10. Ma la forma peculiare data da Lucrezio alla
sua Priamel der Werte è prima di tutto quella di un invito a guardare. Il

l’atto visivo è a dir poco sorprendente. Dapprincipio, il destinatario è


portato a farsi spettatore del labor di un uomo travolto dalla burrasca
marina (spectare, v. 2, è forma frequentativa del ben più raro specio ed
11
. Che il
poeta ci inviti ad una sorta di “meditazione visuale”, e non a un ve-
dere puramente spettacolare, o ad un’esibizione letteraria, lo confer-
mano anche i due successivi cernere e tueri (vv. 4-5): se il primo verbo
rimarca l’idea del discernimento, della comprensione di un fatto – la
distanza dai mali – attraverso l’operazione cognitiva della distinzio-

dono a Giusto Picone come segno del comune amore per la poesia, antica e moderna.
10

all’indagine sistematica di Kröhling 1935 la fortuna del termine Priamel per indicare
la studiata contrapposizione, da parte di un autore antico, fra i modelli valoriali al
centro della propria opera e le scelte altrui.
11
L’opera di Cicerone fornisce ampia attestazione di quest’uso di specto come verbo
della ponderazione: si veda ad es. de orat. 2.204; Mil. 15; Lael. 18;

44
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

ne, il secondo racchiude il principio del guardare con intenzione (al


punto che in buona parte dei testi coevi, e soprattutto in Cicerone,
tueor è primariamente il verbo della guardia e della difesa)12. La serie

presente si conclude al v. 9 con despicere e videre, collegati anularmente

dei lessemi possibili in questa sfera semantica, quel videre che spesso
ricorre in Lucrezio nella triplice valenza di osservare con gli occhi,
percepire sensorialmente e comprendere con l’intelletto. Più volte,
nei sei libri del poema, l’allievo-lettore sarà energicamente esorta-
to a riconoscere le verità della natura, e della sua stessa condizio-
ne, attraverso formule retoriche quali nonne vides13. Guardare, però,

guardare dall’alto e a distanza14. Da qui discende il rilievo simbolico


dell’iniziale despicere, ulteriore metamorfosi di specio e dello sguardo

templa serena che circoscrivono, per così dire, in modo netto e “cata-
stematico” lo spazio del saggio, opponendolo al moto errabondo dei
più15 – è lecito gettare lo sguardo sull’umanità non ancora illuminata
dal verbo di Epicuro.

12

(admittedly indirect) that the spectator is tutus”. L’esercizio di visualizzazione delle

Seelenheilung greco-romana, ossia, con un linguaggio più “foucaultiano”, nel novero delle

Grilli 1957 rinviava al modello di Democrito, fr. 191 Diels-Kranz (= Stobeo, 3.1.210),
ma si potrebbero aggiungere Seneca, ira 3.31.3, e Plutarco, de tranqu. an. 470A-471A,

Cicerone,
13
L’allocuzione polemica, tipica della lingua parlata, nonne videre si legge già poco

quale sottolinea sia il retroterra epico-letterario di tale strategia didattica sia il


suo organico inserimento nel sistema “sensista” epicureo. Sul senso del vedere in

14

dall’oggetto di studio rappresenta un tratto essenziale dell’immaginario di tutto il libro


II. In tal senso, l’elegante scenario del proemio prepara il terreno per le più “tecniche”
descrizioni della materia atomica svolte nel prosieguo (cfr. specialmente 2.307-332).
15

e pienamente coerente con l’estetica arcaizzante del verso lucreziano la serie asindetica

45
Fabio Tutrone

Ma di quale vista godono – se è lecito usare tale termine, visto che


-
nico godimento della Schadenfreude – i saggi assisi sulle altezze della
doctrina? Nel dipingere l’errore degli uomini che ignorano il vange-
lo epicureo, Lucrezio prospetta prima di tutto una condizione etica

a causa della loro stessa cecità (pectora caeca, v. 14) – su coloro che,
in ultima analisi, il de rerum natura aspira a convertire – non è so-
stanzialmente diverso dallo sguardo che Diogene di Enoanda rivol-
gerà, circa due secoli dopo, ai lettori della sua stele, alle vaste masse

-
. Eppure, come notava già
17

munita/edita/serena (vv. 7-8), nonostante le recenti obiezioni di Edmunds 2007. Già il

fedele seguace della tradizione epica e tragica latina, “ne répugne pas à réunir plusieurs
épithètes à un même substantif”. Quali che siano i modelli letterari del passo (in tempi
recenti, Mazzocchini 2009 ha proposto di risalire a Eschilo per il tramite di Ennio), è certo
che Lucrezio riprenda qui una dicotomia iscritta nel cuore del messaggio epicureo, quella,

auguri in cielo, il posto guadagnato per sé dal sapiente si distingue per un’autarchica

A detta di Epicuro stesso, sent. Vat. 31, soltanto dinanzi alla morte tutti gli uomini,
incluso il saggio, sono esposti alla precarietà e somigliano agli abitanti di una “città senza

Benché Lucrezio rimarchi da subito come sia la coscienza della propria incolumità,
e non il dolore altrui, a generare la dolcezza del piacere (quella suavitas connessa a
suavis
moderni hanno spesso frainteso (e biasimato) il punto di vista del poeta. Bailey
1947, II, p. 797, ad esempio, proclama che i versi del secondo proemio “to almost all
readers have an unpleasant taste of egoism and even of cruelty”, e ancora in tempi
recenti Roskam 2007, p. 89 e n. 19, ha dato credito a una simile interpretazione.
Ma l’idea di Bailey che l’etica epicurea sia contrassegnata da un radicale

convincente illustrazione dei veri intenti di Lucrezio, alla luce della teoria epicurea

17
Diogene di Enoanda, fr. 3 col. 4.3-col. 5.2 Smith (ma tutto il testo dei frammenti
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

Emilio Pianezzola, il quadro tracciato da Lucrezio ha precisi conno-


tati storico-politici proprio in virtù della sua centrale preoccupazione
etica18. È indubbio che il male diagnosticato da Epicuro sia percepito
da Lucrezio e da tutta la tradizione del Giardino come una costan-
19
. Ma è
impossibile ignorare che Roma e il turbolento scenario della società
tardorepubblicana innervano distintamente il lessico e l’immagina-

del de rerum natura stesse diventando un luogo comune fra i critici, e


aggiungeva che, come molti luoghi comuni, anche questo fosse più
vero che falso20. Gli interpreti più recenti hanno giustamente rimarca-
milieu romano sull’opera di Lucrezio
non ne pregiudichi in alcun modo l’ortodossa adesione al verbo di
Epicuro. Meno fondati appaiono, semmai, i precedenti tentativi degli
studiosi di collegare singoli passi del poema a singole annualità o
21
. Piuttosto che immergersi in minute questioni

dell’immaginario medico nella dottrina morale di Epicuro e dei suoi seguaci si veda

18

motivazione politica nella condanna lucreziana del potere, è innegabile che le


forme storiche del potere nella Roma del I secolo a.C. sono il concreto sfondo contro
cui risaltano certi spunti polemici di Lucrezio […]. In realtà, pur muovendo da
considerazioni di carattere etico individuale, la svalutazione lucreziana del potere

19

in prospettiva storica, a seconda, cioè, dello stadio di evoluzione sociale in cui il


soggetto umano si trova a vivere. E questo è uno degli argomenti principali del
quinto libro lucreziano, su cui fra poco torneremo.
20

Grimal 1977, e Minyard 1985.


21
Sui limiti di simili letture ha insistito McConnell 2012. Come avremo modo di
osservare nel corso di questo lavoro, tuttavia, l’approccio di McConnell rischia di

di Lucrezio gli intellettuali epicurei fossero inclini a criticare con riferimenti diretti
fatti e personaggi coevi, ragion per cui il de rerum natura

47
Fabio Tutrone

-
versi snodi dell’opera il poeta sembri spinto dal degrado della società
romana a radicalizzare la propria fede in Epicuro e ad assolutizzare,
per così dire, il caveat scolastico contro l’ambizione politica22.
È ormai sempre più chiaro, infatti, che né Epicuro né la tradizione
epicurea hanno mai emesso un editto categorico e “monolitico”
contro la partecipazione alla vita pubblica. In questo come in altri
ambiti, il seguace del Giardino era chiamato a scegliere sulla base di
un calcolo razionale dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dalla
situazione concreta, ossia – per usare una formula cara a Epicuro

23
. Fermo era l’ammonimento ad abbando-

addotta, ossia il lacunoso de morte di Vario e la discussa ricostruzione di Filodemo,


de diis

22
Che Lucrezio inasprisca i toni della polemica epicurea contro i turbamenti
derivanti dalla vita pubblica appare chiaro dal confronto con le altre fonti epicuree.
Si veda ora la completa rassegna di Roskam 2007, per il quale, su questo tema,
“Lucretius usually proves to be less nuanced than Epicurus. Almost nowhere do

Importanti considerazioni sono svolte anche da Fish 2011, secondo cui l’estremismo
di Lucrezio sarebbe il frutto di una precisa tecnica didattica, attestata anche nella
parte “diatribica” del de ira
crucial to Epicureanism, did not present him (scil. Lucretius) with rhetorically and
exempla is

23
Cfr. Diogene Laerzio, vit.
matrimonio). In questo calcolo razionale, particolare attenzione andava prestata

responsabilità derivanti da preesistenti legami sociali e familiari. Cfr. soprattutto


Plutarco, de tranq. an. rhet. 3 coll. 14a-15a, con i commenti

dalle successive generazioni della scuola sul tema dell’impegno politico è svolta da

48
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

mento e nemica della saggezza24. Proprio in quanto probabile fonte


di angosce e insicurezza, l’impegno diretto in politica era di norma
sconsigliato dagli epicurei, i quali erano, però, pronti a riconosce-
re l’utilità delle leggi e dell’azione dei governanti25, e l’esistenza di
situazioni in cui anche il saggio, alla luce del calcolo suddetto, era
chiamato ad occuparsi della cosa pubblica .
All’inizio del de rerum natura -
re una circostanza “eccezionale” di questo tipo, ammettendo che il
tempus iniquum della Roma contemporanea obblighi Memmio, vin-
colato da doveri atavici (clara propago), ad adoperarsi per il bene co-
mune27. Ma nel resto del poema, come già detto, la prospettiva del
poeta sulle fatiche della vita pubblica è costantemente animata da
biasimo e commiserazione, con un’insistenza ed un’uniformità che
non lasciano alcuno spazio ai distinguo di scuola28. È vero che il de
rerum natura

24
Si veda, ad esempio, de oec. col. 4.27-32; 22.17-48; ira col. 15.31-32; de lib. dic. col.

25
Particolarmente eloquente è, a riguardo, la storia della civiltà umana nella versione
de abst. 1.7-12 = fr. 34 Longo Auricchio = fr. 24
Krohn. Ma si vedano anche la testimonianza di Plutarco, adv. Col. 1124d, su Colote,
e i testi raccolti nel fr. 530 Usener.

compaia nelle clausole condizionali adoperate da Cicerone, rep. 1.10 (Illa autem
exceptio cui probari tandem potest, quod negant sapientem suscepturum ullam rei publicae
partem, extra quam si eum tempus et necessitas coëgerit?), e Seneca, de otio, 3.2 = fr. 9
Usener ( ),

da parte degli epicurei è stata avvalorata principalmente dalla testimonianza


polemica di Cicerone (e di Plutarco, di cui si è già ricordata, però, l’importante
asserzione nel de tranquillitate animi: cfr. supra n. 23).
27

un’eventuale motivazione fondata sul tempus, nonché sulla necessitas, parlava


Cicerone, rep. 1.10, nella sua sintesi del precetto politico epicureo.
28
Anche lo studio di Fish 2011, per quanto attento e stimolante, non riesce nell’intento
di mitigare la portata polemica totalizzante di passi come Lucr. 3.995-1002 e 5.1120-
1034. E in ultimo lo stesso studioso concede che “it may even be that Lucretius
wants his readers to embrace this more negative view of politics” (p. 87).

49
Fabio Tutrone

ti descrittivi nella presentazione del vizio e delle sue manifestazioni

tradizione del Giardino29. Tuttavia – ed è questo il punto su cui vorrei


-
-
ginato dalla crisi delle istituzioni e delle pratiche politiche. Da questo
punto di vista – nell’individuazione, cioè, di un disincanto generale

visto male, e invano si è poi tentato di “decontestualizzare” il radica-


lismo dell’autore30.
Nell’analisi che segue, cercherò di evidenziare come il tema della
competizione fra individui, con le sue vaste risonanze storico-socia-
li, svolga un ruolo essenziale nell’orientare “in negativo” lo sguardo
dell’autore sull’arena politica. A ben guardare, l’atteggiamento di

della tarda repubblica, e si presenta come un’originale esaltazione


della circolarità caratteristica del modello sociale epicureo, in con-
trasto con le tendenze agonistiche della cultura romana menzio-
nate all’inizio. Già nel proemio II – disegnato da Lucrezio “come
un’introduzione ideale a tutta l’opera sua”31 – abbiamo incrociato lo
sguardo altissimo di un poeta teso a deplorare gli errori dell’uma-
na ambizione. E vale la pena di osservare con più attenzione quale
posto eminente occupi, in una sede tanto emblematica, lo spettacolo
della competizione politica.

29
Su questa ed altre analoghe strategie della didattica epicurea si veda l’analisi di
Tsouna 2001, 2003, 2007.
30
Schiesaro 2007 ha giustamente riportato l’attenzione sulla posizione intransingente
assunta da Lucrezio, una posizione in grado, però, di convivere con una profonda

local, nor his prescriptions ephemeral, yet the DRN displays a sharper awareness

storico-culturali. Questo approccio, tuttavia, benché fondato su interessanti


confronti col dibattito moderno, rischia di sovrapporre alla genesi del testo le sue
de rerum natura e il

originari del testo, si veda Barbour 2007 e Colman 2012.


31

50
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

È stato giustamente notato che agli occhi del lettore antico

topos
fra spazio antropico e distese selvagge – chi dagli aequora campi pas-
sava pericolosamente agli aequora salsa, per richiamare due iuncturae
enniane care a Lucrezio32. Nel mondo latino, tradizionalmente lega-
to ai riti e ai valori della terraferma, tale ingiunzione aveva un peso
molto maggiore che in Grecia, soprattutto in forza dell’associazione
simbolica fra commercio per lucro, desideri smodati e tecniche della
navigazione33. A ciò si deve aggiungere che nella temperie culturale
della tarda repubblica il paragone canonico, risalente alla lirica greca,
fra disordini politici e tempeste marine era particolarmente in auge,
de re publica e
nelle epistulae ad Atticum34. Sulle soglie della sua Priamel, dunque, Lu-

32
Aequora campi: Ennio, ann Aequora salsa (o aequore
salso): Ennio, Ambracia, fr.
33
Cfr. Konstan 2007, p. 57: “il poeta immagina non la vittima, priva di soccorso,
del disastro naturale, ma l’audace mercante la cui avidità contro natura lo attira

navigazione alla guerra e alle pulsioni negative dell’umanità decaduta. In passato,


il ricorrere di questo ed altri temi contigui presso scrittori di diversa epoca ed

concentrarsi ad analizzare le diverse ricezioni di questi Leitmotive nelle rispettive


cornici storiche e ideologiche.
34
rep. 1.10-11; Att. 2.7.4. La metafora della tempesta ricorre, peraltro, con notevole
frequenza anche nella produzione oratoria di Cicerone: basterà rimandare alla ricca
rassegna di Achard 1981, pp. 288-289. È certamente degno di nota che Cicerone
elabori la metafora della “nave dello stato” (sulle cui origini vd. almeno Alceo, fr.
208a Voigt, e Platone, rep.
dottrina politica di Epicuro. Come è noto, il de republica fu composto fra il 54 e il 51,
quando, cioè, Cicerone era al timone della res publica (cfr. div. 2.3: cum gubernacula rei
publicae tenebamus) e il de rerum natura era già parte del panorama letterario (se, come
credo, hanno ragione Volk 2010 e Krebs 2013 a difendere la datazione tradizionale
del poema alla metà degli anni ’50 contro l’ipotesi di Hutchinson 2001). Il riferimento
nelle epistulae ad Atticum è, invece, del 59 ed include un intrigante accenno all’idea
del naufragio osservato da lontano (cupio istorum naufragia ex terra intueri), corredato

51
Fabio Tutrone

crezio risuscita un immaginario odissiaco con la deliberata volontà


di stigmatizzare gli eccessi del desiderio, e il campo metaforico più
direttamente coinvolto è quello della lotta per i beni e il potere. Leg-
gendo poco oltre, non si tarderà a rilevare come la condanna dei desi-
35

ruolo nefasto della competizione. Di colpo, dopo l’importante preci-


sazione sulla natura del piacere visivo descritto (vv. 3-4), il lettore è
ricondotto dal mare alla terra per contemplare uno spazio campestre
(per campos

ma di quei luoghi pianeggianti che spesso, nel mondo antico, dive-


nivano teatro di guerra. È oltremodo indicativo che Lucrezio utilizzi
qui la perifrasi, dal chiaro sapore epico, belli certamina magna, metten-
do subito in risalto il movente psicologico sotteso sia alla guerra sia
all’ambizione civile: la passione del certamen.
Se si tiene presente la ripresa della stessa immagine bellica operata
ai vv. 40-43, dove il poeta coinvolge in modo diretto il destinatario,
tuas legio-
nes, v. 40), è facile supporre che già qui, negli esametri iniziali del II
libro, Lucrezio si rivolgesse prima di tutto ai lettori impegnati in po-
sizioni di potere. È noto che a Roma incarichi militari e carriera civile
costituissero un unicum indissolubile per la struttura stessa del cursus
honorum. Risulta, allora, del tutto in linea col crescendo del poeta, e
con la sua enfasi sul disvalore dell’ambizione competitiva, lo scena-
rio introdotto ai vv. 9-13, immediatamente dopo la descrizione delle
alture dei templa serena. Un riferimento generale allo sbandamento
(errare, palantes) e alla ricerca esistenziale (viam quaerere vitae) degli
uomini accecati è seguito da un’esplicita allusione al lessico romano
della competizione politica. Nello spazio di un unico esametro (v. 11),

ateniese d’adozione. È forse possibile che alcune porzioni di spicco del de rerum natura
circolassero già al principio del decennio nella cerchia letteraria ruotante attorno a

reciproci e legami di cerchia, corrisponderebbe alle modalità di “pubblicazione”

35

29, con il relativo scolio. Un riesame complessivo della posizione di Epicuro in


materia si legge in Woolf 2009.

52
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

vengono rievocate le due principali modalità del certamen per l’ascesa


sociale praticate nella tarda repubblica: da una parte stanno coloro
che, privi di nobili natali, gareggiano in virtù e doti naturali (certare
ingenio), dall’altra coloro che, provenendo dai ranghi della nobilitas,
cercano di far prevalere la propria commendatio maiorum, in contrasto
con altri candidati aristocratici (contendere nobilitate) . Fra i molti te-

dagli storici37 – può essere utile ricordare qui due soli esempi tratti
dall’opera di autori coevi.
pro Sestio -
38
, Ci-
cerone si rivolge sia ai giovani di nascita illustre che agli adulescentes
di più umile estrazione, ed esorta entrambi a competere:
Ma per concludere in qualche modo il mio discorso, e per ces-
sare di parlare prima che voi cessiate di ascoltarmi così attentamente,
porterò a termine la riflessione sui maggiorenti, su coloro che fra essi
primeggiano e sui difensori dello stato, e rivolgerò un’esortazione a
voi giovani: spronerò voi di nobile nascita all’imitazione dei vostri

en passant, da Fowler 1989, p. 135:


ingenio is the watch-word of the novus
homo, nobilitate that of the established ruling class. Lucretius encapsulates the strife
within the aristocratic élite between those inside and outside the circle of light”.
37

l’integrazione degli homines novi nell’oligarchia senatoria il riferimento d’obbligo è


ancora oggi Wiseman 1971. Ugualmente centrale resta, per una comprensione dei
valori etico-politici su cui la nobilitas
(soprattutto pp. 224-294; 429-448). Un’attenta disamina delle dinamiche identitarie
soggiacenti al concetto di nobilitas e all’uso politico delle tradizioni familiari si legge
in Treggiari 2003. Sulla rilevanza civile delle imagines e delle memorie ancestrali si

38
Sulla visione della società e degli equilibri politici espressa nella pro Sestio si

242) con precisi riferimenti ai dissidi fra i triumviri, alla debolezza del senato e alle
derive demagogiche, “costituisce, per tutta la sua prima parte, un anno di assoluta
confusione nelle relazioni politiche.” Una fase di transizione così violenta come

Lucrezio e il desiderio di pace espresso già nell’inno a Venere. Cfr. anche Volk 2010,
p. 131: “it seems most reasonable to go back to those sources that point to the mid
50s, a time of great political uncertainty when internal peace at Rome was certainly
endangered, but open civil war had not yet broken out”.

53
Fabio Tutrone

antenati (ad maiorum vestrorum imitationem excitabo) e ammonirò voi,


che grazie alle vostre doti naturali e al vostro valore potete attingere
(consequi) un rango illustre, a perseguire quel metodo di vita che ha
portato molti uomini di recente ascesa a brillare per fama e prestigio
(Sest.
Ecco elogiate, nell’explicit della pro Sestio, le due forme di conten-
tio adombrate al principio del secondo libro lucreziano. L’imitatio/
aemulatio degli antenati, celebrata anche da Sallustio in un passo me-
morabile del bellum Iugurthinum39
Romani un modello fondamentale di competizione costruttiva: nel
momento stesso in cui imitava i propri maiores, secondo il precetto qui
impartito da Cicerone, ogni cittadino di elevata condizione instaura-
va con essi una gara al rialzo, che nelle attese della morale comune lo
avrebbe condotto ad accrescere la gloria della gens e ad onorare così
i propri predecessori40. Forti del prestigio conquistato dagli antenati
(ossia della già citata commendatio maiorum), e desiderosi di attingere
traguardi politici non inferiori, i nobiles scendevano nell’arena elet-
torale per competere, in primo luogo, con altri nobiles – ovvero, nel
linguaggio tagliente di Lucrezio, per contendere nobilitate41. Ai non ari-
stocratici forniti dalla natura di ingenium e virtus Cicerone consiglia,
invece, una strategia d’attacco (ratio) già sperimentata con successo
nei decenni precedenti da numerosi homines novi. Fra questi ultimi
l’oratore annovera certamente Catone il Vecchio, Gaio Mario e – per
l’orgoglio personale che lo contraddistingue – se stesso42.
Per comprendere meglio a quale tipo di strategia Cicerone si rife-
risca, e per illuminare ulteriormente il proemio lucreziano, possiamo

39
Iug. 4.5-7.
40

41
Il termine nobilitas compare anche più avanti nel medesimo proemio, esattamente
nel cuore del v. 38. Ma questa volta l’abbinamento col prestito greco-persiano gazae
(v. 37) e con una chiara allusione al potere monarchico (gloria regni), nel contesto
di una rassegna topica dei beni mondani,

42

ruolo (“role models”) da parte di Cicerone si veda van der Blom 2010. La studiosa
evidenzia, fra l’altro, la posizione preminente assunta da homines novi quali Catone e
Mario, e in ultimo dall’autore stesso, nella galleria di “antenati alternativi” costruita
da Cicerone (cfr. specialmente pp. 149-324).

54
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

volgere lo sguardo ad un altro testo della stessa temperie, concernen-

Sallustio mette in bocca a Mario, da poco eletto console e in procinto


di assumere il comando della guerra contro Giugurta. Di questo di-
-
cellente analisi43, e in questa sede basterà richiamare un passaggio

Cicerone e Lucrezio:
Se altri hanno fallito in questa impresa, la loro antica nobiltà, le
gesta valorose dei loro antenati, le risorse dei loro parenti e sodali, la
loro vasta schiera di clienti fanno loro da scudo; ogni mia speranza
è riposta in me stesso e deve essere difesa dal mio valore e dalla mia
rettitudine. […] Per coloro che si sono finti onesti a motivo della loro
ambizione è difficile mantenere la moderazione una volta ottenute
posizioni di potere; ma per me che ho trascorso tutta la vita nelle occu-
pazioni più oneste, l’agire correttamente è divenuto una disposizione
naturale grazie all’abitudine (Iug. 85.4-9).
Il quadro della competizione aristocratica tracciato da Mario –
questo farsi avanti in forza della gloria ancestrale, dei mezzi altrui e
-
tiva di Sallustio, eccessivamente parziale)44. La polemica del neo-con-
sole si scaglia contro uno solo dei due ambienti sociali additati da
Lucrezio, quello, per l’appunto, della nobilitas. Di una luce positiva
brilla, per contrasto, la spinta competitiva dell’homo novus, sorretta
dal bagaglio della virtus, dell’innocentia e, in una parola, della natura.
Resta intatto, insomma, l’armamentario simbolico che sorreggeva la

43

storico-letteraria dell’orazione, tenuta da Mario nel 108 a.C., ma certamente

“the long speech that Sallust lends him (scil. Marius) in a remarkable passage
of the Jugurthine War is almost certainly not a summary of a speech that Marius

the arguments that he deployed”.


44

civile degli studi e dell’otium culturale lascia emergere il giudizio negativo di


Sallustio: tale polemica, infatti, “doveva essere utilizzata, ancora in età cesariana,
come slogan antiaristocratico; il confronto di Iug.
permette quindi di cogliere il distacco di Sallustio dalle posizioni più estremistiche
dei populares”.

55
Fabio Tutrone

seconda metà dell’esortazione ciceroniana, la retorica dell’ingenium


e della virtus. Il lettore del bellum Iugurthinum sa, però, che la persona
dell’autore non coincide con quella dell’oratore “intradiegetico”. Se
Mario difende con forza la superiorità etica dell’homo novus, Sallustio
dedica uno snodo importante del proemio dell’opera a denunciare
il degrado in cui, ai suoi tempi, lo slancio agonistico degli homines
novi era precipitato. Dopo avere rievocato la storica funzione psica-
gogica delle imagines degli antenati, e avere biasimato i nobili suoi
contemporanei, rei di gareggiare con i maiores in ricchezza e lusso
invece che in onestà e zelo (divitiis et sumptibus, non probitate neque
industria), Sallustio lamenta che “anche gli homines novi, i quali in pre-
cedenza erano soliti superare l’aristocrazia grazie al loro valore (per
virtutem nobilitatem antevenire), lottano per il potere e le magistrature
(ad imperia et honores nituntur) ricorrendo a furti e latrocini piuttosto
che a comportamenti onesti”45. Scrivendo dopo la morte di Cesare,
l’autore intende stigmatizzare la condotta di una classe dirigente ope-
rante a decenni di distanza dalle imprese di Mario , e a Mario è an-
homines novi in grado di emulare
consapevolmente gli antenati della nobilitas47
che, al tramonto della repubblica, un intellettuale cesariano ritiratosi
ai margini della vita pubblica esprima un giudizio così negativo sulle
due principali forme di competizione sociale praticate nel I secolo

45
Iug. 4.7.

Cesare in Cat. fuere viri duo) colloca la redazione del bellum Catilinae in una fase
successiva alle Idi di Marzo del 44 (forse intorno al 42). Giacché il bellum Iugurthinum
è solitamente ritenuto opera più matura dell’apologetico bellum Catilinae, la sua

47
Cfr. Iug. seque
remque publicam celebravere) compiendo queste azioni ed altre dello stesso tipo. I

disprezzano noi che li emuliamo (nos illorum aemulos) e reclamano da voi ogni carica
non per merito, ma come se si trattasse di cosa dovuta”. Commentando questi
capitoli del bellum Iugurthinum, e confrontadoli con la collimante testimonianza di
Plutarco, Mar. 9, Sordi 2002, p. 247, individua qui “l’essenza del discorso di Mario”.
Questi, infatti, aspira a presentarsi come il vero erede della “grande nobiltà plebea”
del V e IV secolo a.C, da cui discendeva gran parte della nobilitas tardorepubblicana.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

quello di Lucrezio: basti pensare all’uso di termini come niti e labor

descrizione della corsa alle opes, o ancora al ricorrere di espressioni


gergali quali rerum potiri48.

altri argomenti Pierre Grimal, Lucrezio partecipasse delle opinioni


dei circoli cesariani49 -
lemica lucreziana sottendesse un progetto antagonistico di riforma

invito entusiasmante alla sollevazione libertaria (come immaginato


da Arnaldo Momigliano)50. La svalutazione radicale delle prassi com-
petitive della res publica portata avanti da Lucrezio è – per quel che
ci è possibile sapere – il frutto di un’adesione consapevole alla parola
di Epicuro e ai modelli socio-culturali che essa proponeva sin dai pri-
mi passi della comunità del Giardino. L’originale lucidità di Lucrezio
risiede, semmai, nel riconoscere la piena pertinenza del messaggio

48
Tutti e quattro gli esempi appena citati sono concentrati da Lucrezio nel breve
spazio dei vv. 12-13. Sul versante sallustiano l’evidenza testuale è così ampia che ci
si può solo limitare a qualche esempio. Per nitor si veda, oltre al proemio del bellum
Iugurthinum appena citato, Cat. 11.2 (insieme a contendere); 38.2 (summa ope niti); Iug.
3.3; 10.8 (enitimini); 14.20 (niti ambire fatigare, con icastico asindeto); 37.2 (continuare
magistratum nitebantur). Per labor vd. Cat. 35.3 (fructu laboris industriaeque); Iug. 7.4
(multo labore multaque cura); 85.7 (ancora il discorso di Mario, e a poca distanza da
adnitundum est). Sulla corsa alle opes, specialmente per invidia di quelle altrui, si
veda Cat. 17.1; 37.3; 58.14. La locuzione rerum potiri compare solo in ep. ad Caes.
la cui autenticità è notoriamente discussa, ma è parte del lessico politico ciceroniano
(cfr. ad es. S. Rosc. 70; Catil. 2.19; Att. 10.8.4). Cfr. anche Fowler 1989, pp. 134-135.
49
Secono Grimal 1957 la Venere invocata nel primo proemio sarebbe addirittura
la Venus Genetrix di Cesare. Un’analisi ad ampio spettro dei supposti legami fra

50
Facendo un uso molto marcato delle categorie interpretative dello storicismo

suo materialismo anti-religioso come il prodotto di una lotta condotta dalle classi
subalterne contro i ceti dominanti. Proprio recensendo (con notevole asprezza)
il saggio di Farrington, Momigliano 1941 propose la sua nota teoria sugli
“Epicureans in revolt”: lungi dal rinchiudersi nella quiete dell’hortulus, o negli
ambienti vicini a Cesare, l’epicureismo della tarda repubblica sarebbe diventato
la dottrina ispiratrice di una reazione anti-tirannica, vissuta con accenti eroici da
Cassio e molti altri. Il poema di Lucrezio, e soprattutto la storia della civiltà del

work for high ideals” (p. 157).

57
Fabio Tutrone

epicureo nella cornice della crisi tardorepubblicana. Un modo di leg-


gere la realtà e i rapporti fra gli individui nato in Grecia in un mo-
mento di cambiamenti traumatici diviene oggetto di un complesso
processo di ricezione da parte di un poeta consapevole dei propri
tempi e dei moduli rappresentativi della propria cultura51. Varrà la
pena di rileggere, nel prosieguo di questo contributo, alcuni passi del
de rerum natura la cui rilevanza etico-politica è stata da molto tempo
riconosciuta, ma di cui spesso si trascura il legame col dibattito antico
sulla competizione52.

2. Comunità senza contentio. Il sangue, la rondine e il cigno

La seconda tappa del nostro percorso non può che essere la sezione
introduttiva del libro III, che al secondo proemio è legata da evidenti
analogie formali e concettuali53. Dopo avere sciolto il suo inno al divino

una descrizione e una diagnosi dei mali morali che ottenebrano l’a-
nimo umano. Alla vita psichica dell’uomo e alle sue basi rigidamente
materiali è dedicato, del resto, l’intero terzo libro. Quello che Bailey, col
linguaggio della didattica anglosassone, ha chiamato il “syllabus” di
Lucrezio (3.31-93)54 è, in realtà, un prezioso compendio di psicologia
epicurea, teso a mostrare il nesso strettissimo fra paura della morte ed
insaziabilità del desiderio. Spinti dall’idea che la ricchezza e il potere

51
Sulle analogie che collegano l’Atene del IV-III secolo a.C., dove nacque e crebbe la
prima comunità epicurea, alla Roma di Lucrezio si veda la sintesi di Romano 1990, p.
13: “Atene spoliticizzata e Roma superpoliticizzata, in preda all’anarchia, al disordine
sociale e alla confusione. In tutti e due i casi il cittadino ha perduto il senso dello
stato. A Roma si attendeva il ripristino dell’ordine e del diritto”. Sull’atmosfera di
disorientamento sociale e politico che fece da sfondo alla nascita del Kepos, sul

52
Che il mondo greco-romano abbia conosciuto un articolato dibattito sul senso e

emerge chiaramente dal volume di Fisher-van Wees 2011, che troppo poco spazio

alle costanti biologiche che alle variabili culturali.


53

54
Bailey 1947, II, p. 993.

58
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

possano proteggerli dalla fragilità della loro condizione, e dalla mor-


te stessa, gli uomini si logorano in una lotta incessante. Per una sorta
di circolo vizioso, il continuo sorgere di nuovi desideri non risponde
-

modo razionale l’autentico volto della natura (naturae species ratioque,


3.93)55. Prima di approdare alla sua endiadi conclusiva, tuttavia, il poe-
ta dipinge un quadro dalle tonalità intense, di cui basterà riportare uno

E l’avida brama e la cieca passione dei pubblici uffici


che spingono i miseri uomini a valicare il confine
di legge, e talora a sforzarsi di notte e di giorno (noctes atque dies niti
praestante labore),
compagni e ministri di crimini (socios scelerum atque ministros), per attingere
il vertice sommo – queste piaghe del vivere
traggono grande alimento dal paventare il morire.
Poiché spesso il turpe disprezzo (contemptus) degli altri e il pungente
bisogno di mezzi (egestas) paiono cosa diversa dal vivere dolce
e sicuro, come una lenta anticamera presso le porte di morte;
perciò, mentre gli uomini spinti da errata paura
vogliono andare lontano, alla morte sfuggire lontano,
ammassano beni in guerre civili (sanguine civili rem conflant divitiasque), rad-
doppiano avidi
i loro tesori, ammucchiando una strage sull’altra,
crudeli provano gioia alle tristi esequie fraterne,
e odiano e temono il desco dei loro parenti (consanguineum mensas odere
timentque).
Sovente per simile causa, per lo stesso timore di morte,

55
Riprendo qui, per sommi capi, l’intepretazione della psicologia epicurea fornita da
Konstan 2007 attraverso un’analisi sensibile delle fonti epicuree e del de rerum natura

esclusivo di lettura del poema lucreziano. È degno di nota che ancora Bailey 1947,
II, p. 993, rimarchi “the vehemence and strangeness of Lucretius’ treatment of this

thesis”. Pregevoli intuizioni sono, però, già in Perret 1940 e Desmouliez 1958.

59
Fabio Tutrone

l’invidia (invidia) logora alcuni al vedere un uomo potente,


al vedere che quello è guardato da tutti ed avanza
coperto di cariche illustri, mentre essi lamentano
d’essere erranti in mezzo alle tenebre e al fango.
Muoiono alcuni per meritare una statua e la fama. (Lucr. 3.59-78).
Nella paura della morte Epicuro aveva individuato una delle cau-
se principali dell’infelicità umana e la spinta più urgente all’indagi-

.
L’esatta conoscenza della natura delle cose, dei motivi per cui la vita

. 57

Profondamente persuaso delle correlazioni logiche e psicologiche

volge lo sguardo alla società dei suoi tempi, a un mondo in cui la


spirale dei desideri ha assunto l’aspetto di una competizione pato-
logica. È stato giustamente osservato che non solo la spiegazione dei
mali interiori, ma anche quella delle discordie civili possiede una
sua precisa genealogia nella tradizione del Giardino, tradizione che
a sua volta rimonta a Democrito. Già in Democrito, infatti, il nesso

appare chiaramente enunciato58. Ciò, però, non può in alcun modo

57
Cfr. Ep. Men. 124-125. Un ampio riesame della posizione epicurea sul problema

L’approccio terapeutico alla paura degli dei e della morte messo a punto dagli
epicurei è indagato anche in Warren 2009 e Tsouna 2009. In tema di terapia del
desiderio fondamentale resta il saggio di Nussbaum 1994 (pp. 102-191 su Lucrezio

nel contesto “di lunga durata” del dibattito romano.


58
McConnell 2012 disegna un convincente percorso, muovendo da Democrito,

Sull’importanza del pensiero democriteo nel processo di formazione dell’etica di


Epicuro si veda, più in generale, Warren 2002.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

poesia di Lucrezio, né è possibile negare che tali modelli, alla metà


del I secolo a.C., fossero sottoposti ad una pressione deformatrice
riverberata nel de rerum natura59.
Sin dalle origini della res publica, la competizione fra i membri
dell’élite (e, secondariamente, fra questi ultimi e coloro che aspira-
vano a integrarsi nell’élite) aveva accompagnato la storia delle istitu-

Hölkeskamp prendendo spunto dalla teoria sociologica di Georg


-
titiva era costantemente neutralizzato dal rispetto di alcune regole
condivise – norme culturali iscritte nel codice antropologico del mos
maiorum – nonché dalla sostanziale omogeneità fra tutti gli attori in

cui la gara doveva mantenersi, gli strumenti consentiti per la lotta, e


la rispettiva legittimità ad ottenere la vittoria. Una parte terza, il po-
pulus Romanus, avrebbe poi deciso a chi assegnare la palma, sempre
nell’osservanza di quei valori comuni che trasformavano la compe-
tizione in un fattore di coesione sociale
scrittori come Sallustio e Cicerone denunciano la violazione del “co-
dice di garanzia” del mos maiorum, ma non rinnegano la pratica della
competizione in quanto tale. Ponendosi sulla scia di Democrito ed

l’idea stessa che l’ambizione agonistica possa apportare un contribu-


to positivo alla vita dell’individuo e della comunità. Nel suo sforzo
di condurre il destinatario didascalico sulle posizioni estreme (e in
larga parte contro-culturali) dell’epicureismo, tuttavia, Lucrezio non
esita a intercettare, per così dire, l’indirizzo polemico dominante nel-

59

gli argomenti di scuola al gusto di un pubblico romano, ma, con sorprendente

“we see amongst most familiar Greek material a strong concern for competitive
envy and rivalry among aristocrats as well as distinctly Roman imagery, language,
and allusions. But we are not compelled to consider this as indicative of Lucretius’

appare, ancora oggi, l’opinione di Kenney 1971, p. 85 (“Lucretius had Rome’s


present troubles in mind”), contestata da McConnell.
supra n. 5.
Fabio Tutrone

, e non a caso
ricorrente anche nel contemporaneo Filodemo – si associa senza
frizioni l’inventario immaginativo della morale pubblica latina, con
l’obiettivo di sfruttare il terreno comune fra poeta e destinatario e
.

In sent. Vat.

danno a sé stessi”. Come spesso accade nei testi greci, anche in Epicuro il contrasto

Laerzio, vit.

2.84, il fondatore del


Giardino avrebbe elaborato un’apposita precettistica contro odio e invidia.
Nella cornice della sua ampia opera Sulle passioni

PHerc contra

from a personal as well as from a social point of view”. Filodemo, rhet. 2.139.12-

mantenimento del patrimonio (de oec.


hanno accumulato molti beni in breve tempo è presentata come il frutto di un errore
conoscitivo (de oec. col. 20.38-45), e le conseguenze politiche di simili deviazioni
sono puntualmente stigmatizzate. In de bono reg. sec. Hom. col. 29.15-30 Dorandi,

bene Dorandi 1982, p. 177, che questa triplice associazione rivela la radicalità della
posizione epicurea rispetto al portato dell’etica tradizionale: di norma, “l’amore

Erodoto, hist. 8.3). A Roma, potremmo aggiungere, la distinzione fra guerre esterne
e contese interne alla comunità costituisce uno dei capisaldi del mos maiorum.
Coinvolgendo tutte le forme di competizione fra individui in un’unica condanna,
scrittori come Lucrezio e Filodemo adottano un atteggiamento intrinsecamente
contro-culturale.
L’individuazione di orizzonti cognitivi familiari al lettore, sulla base dei quali

strategia retorica di importanza fondamentale per tutto l’impianto del de rerum


natura
disseminati nei sei libri del poema: mi limito qui a rimandare allo studio di
Schiesaro 1990.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

L’accostamento armonico fra teoria etica epicurea e prassi politica


romana si realizza già al v. 59, dove il generico avarities (trasposizione
è subito seguito
da honorum caeca cupido
irrazionale (caeca -
mente romano delle cariche pubbliche. Nella prospettiva culturale
del lettore latino, il certamen dei candidati per l’accesso agli honores
non appariva certo come una pulsione illogica e biasimevole. Ma ecco
che Lucrezio sollecita l’immaginario del destinatario denunciando,
attraverso un incisivo enjambement ( -

sempre garanti, a Roma, dell’ordine civile . In questo modo il taglio


-
scorso tardorepubblicano, a proteste come quella sallustiana contro
gli eccessi dell’ambitio avaritia e il moltiplicarsi degli
scelera . Ascoltando il poeta epicureo deplorare l’attività incessante
(noctes atque dies
(socios scelerum atque ministros
poteva essere indotto a ricordare eventi drammatici come quelli del

di Catilina come socii sceleris .

della morte possa condurre ad adottare comportamenti dannosi tan-


to per il singolo quanto per la collettività: nella psicologia materiali-
sta di Epicuro e Lucrezio è l’erronea percezione del disprezzo altrui
(contemptus) e della povertà (egestas
semota ab dulci vita stabilique

Cfr. ad es. Epicuro, sent. Vat. 43, e Filodemo, de oec. col. 11.3-8; 17.2-14.
Si veda, da ultimo, il lavoro di Atkins 2013 (soprattutto pp. 120-144), sul pensiero

Emblematici sono i capitoli conclusivi della cosiddetta “archeologia” del bellum


Catilinae
introduttiva del III libro lucreziano “c’est du Salluste en verse”. Ma aveva ragione
nel rilevare l’accostamento consapevole di Lucrezio alle problematiche morali della

Cat. 1.8; 3.3. Il solo termine socii in riferimento ai congiurati compare, invece, in
1.33 e 2.4.
Fabio Tutrone

violenze ed emozioni distruttive . Si è già detto che Epicuro consi-


-
ricoloso. Ma bisogna aggiungere che egli, come il suo allievo Lucre-

principe per il superamento di simili errori da parte del sapiente .


Riguardo alla povertà, è noto che, contrariamente a quanto insinua-
to dai loro detrattori, gli epicurei raccomandassero uno stile di vita
70
.
Anche in questo caso il precetto del Giardino poteva trovare un’utile
sponda nel patrimonio dell’etica tradizionale latina e, più in partico-
lare, nelle polemiche del moralismo coevo. È ancora una volta Sal-

esistenziale basato sull’ostentazione della ricchezza, e dunque sulla


ricerca del consenso e dell’ammirazione, in palese contrasto con la
predilezione dei maiores per la povertà e la moderazione71.
Ma il punto in cui emerge con massima evidenza la volontà del

rete di associazioni simboliche tipicamente romana è ai vv. 70-73. La


iunctura incipitaria sanguine civili dà l’avvio ad un catalogo di viola-
zioni del codice antropologico romano che richiama molto da vicino
la letteratura sulle guerre civili contemporanea e successiva al I se-
colo a.C. La descrizione del sangue dei cives empiamente versato in
un accumularsi di stragi (caedes), e il collegamento fra tali misfatti e
l’avida ricerca di beni (divitiae topos

Filodemo, de elect
Cfr. la testimonianza di Diogene Laerzio, vit. 10.117, menzionata supra
70

sent. Vat.
Usener, nonché Lucrezio, 2.20-22; 5.1117-1119. Se Cicerone, e dopo di lui i polemisti
cristiani, avranno buon gioco nel confondere i termini della questione, il richiamo
di Epicuro ad uno stile di vita austero appariva, invece, chiaro e conseguenziale agli
occhi di un interprete acuto come Seneca (vd. ad es. ep.
71
Cat. 12.1-4. Al fondo della critica sallustiana risiede un’antinomia fra il paradigma
“olistico” del mos maiorum, attento al bene della comunità ma non al favore
delle masse tout court, e le tendenze individualistiche della tarda repubblica. Per
un’ampia analisi di questa epocale transizione e del relativo dibattito letterario si
veda Marchese 1998.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

-
de, innervando il discorso della latinità da Cicerone e Sallustio sino a
Orazio, Seneca e Lucano72. Alcune coincidenze lessicali sono partico-
larmente indicative e inducono a ipotizzare, oltre che una vasta trama
di relazioni intertestuali, l’esistenza di un immaginario culturale co-
mune. Quando, nella seconda Philippica, Cicerone accusa Antonio di

dei suoi concittadini, egli usa il verbo (impiegato da Lucrezio


per dipingere l’accrescimento cruento del patrimonio) e la locuzione
civilis sanguis73. -
leberrimo del bellum Catilinae, dove vengono esplicitati i moventi dei
congiurati. Nel suo tipico stile asindetico e chiaroscurale, Sallustio
sfrutta il lessico dell’accumulo e dell’eccidio sanguinoso: Catilina ha
intorno a sé caterve di crimini e scelleratezze ( -
que facinorum tamquam stipatorum catervas), a lui si unisce chi aveva
ammassato ( ) enormi quantità di debiti, chi è pressato dalla
povertà (egestas
allo spergiuro e allo spargimento di sanguis civilis74.
Come l’Orazio dell’epodo 775 o il Virgilio delle Georgiche , anche
Lucrezio sottolinea lo scandalo di una competizione politica divenu-
pietas che li lega

72
Una panoramica dei temi dominanti nella vasta letteratura sui bella civilia è ora

73
Phil. 2.70-71. In una lettera a Cassio del 47 a.C. (fam. 15.15.1), Cicerone dichiara che
sia lui sia il suo destinatario si sono tenuti lontani dalla prosecuzione delle ostilità
poiché aborriscono lo spargimento del sangue dei cittadini (odio civilis sanguinis).
74
Cat. alo
con un termine in ablativo, in un’accezione traslata assai vicina al lucreziano mortis
formidine aluntur sanguine civili ritorna anche nel frammento delle
historiae relativo al discorso di Lepido (1.53.14 La Penna-Funari), dove si denuncia
la contaminazione dei sepolcri attraverso il sangue dei cives.
75
Cfr. soprattutto epod. 7.17-20, con il riferimento all’assassinio di Remo (scelus
fraternae necis) e alla maledizione che, in virtù del sangue versato, grava sui nepotes.
Per un’interpretazione complessiva dell’epodo, composto fra il 39 e il 38 a.C., si
veda De Vivo 1994.
ge. 2.505-512, versi incastonati in una sezione dell’opera traboccante di reminiscenze

(v. 499). Rilevando l’allusività del passo virgiliano, Kenney 1971, p. 85, amplia
Fabio Tutrone

ai loro congiunti risiede tutta la crudelitas di coloro che gioiscono al


funerale del fratello, durante un rito di passaggio, cioè, in cui l’este-
-
le77. Che si sia propensi o meno a cogliere qui un’allusione al mito di
Remo, è verosimile che il nostro passo combini insieme la denuncia
della devianza culturale e l’eco di racconti mitici, variamente elabo-
rati nella tradizione letteraria e drammaturgica78. L’immagine della
mensa dei consanguinei che diviene oggetto di odio e timore (v. 73),
in particolare, oltre a implicare l’idea di un avvelenamento perpetrato
dai parenti79, può racchiudere la memoria di un mito centrale per la
tragedia latina arcaica, e spesso riscritto fra tarda repubblica ed età
imperiale: il banchetto cannibalico servito da Atreo a Tieste80. Questo
“doppio” livello di lettura consente di spiegare meglio la compresen-

opportunamente il discorso e nota che “nothing in the Civil Wars seared the Roman

77
Si noti il contrasto stridente istituito dalla stessa successione delle parole (gaudent
in tristi), nel cuore di un esametro ricco di solenni spondei. La pregnanza del
riferimento lucreziano al funus fratris è stata fortunatamente conservata da
Macrobio, sat. fratris contro l’assai più banale (e
sintatticamente problematica) lezione dei codici (fratres). Sul rilievo simbolico del
mos
maiorum, si veda Bannon 1997, pp. 149-173.
78
Il percorso di trasmissione dei miti e l’evoluzione dei paradigmi sociali sono,
peraltro, legati fra loro da una chiara interdipendenza. Che tutto il processo di

teatro di età arcaica, è stato sostenuto da Wiseman 1995.


79
È questa l’interpretazione, obiettivamente più scontata, di Bailey 1947, II, p. 1001,
e Kenney 1971, p. 85. Nella storia dell’umanità del V libro, Lucrezio stesso ricorda
nunc): 5.1009-

giuridica con la cosiddetta


(o i sospetti) di avvelenamento si siano moltiplicati sullo scorcio del secolo. Cfr.
Cowan 2013, p. 115: “the multiple poisonings in the case of Cluentius, Catiline’s
alleged poisoning of his son, Clodia’s of her husband, and Calpurnius Bestia’s of
his wife, all attest, if not necessarily to the ubiquity of , than at least to
Romans’ readiness to claim and believe in its ubiquity”.
80
L’ultima tragedia di Ennio, rappresentata ai Ludi Apollinares
auge ai tempi di Cicerone (Pis. 43; orat. 184), è proprio un Thyestes incentrato sugli
eventi che seguono il pasto cannibalico (una snella rassegna dei frammenti è ora in

Lucrezio al pater Ennius. Il tema dello scontro fra Atreo e Tieste ha enorme fortuna nel
teatro romano, da Accio e Vario Rufo sino a Seneca e al Curiazio Materno tacitiano.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

za di due sentimenti, l’odio e il timore, di cui solo il secondo si adatta


odere
timentque denota con ogni probabilità l’aemulatio di un verso fami-
gerato dell’Atreus di Accio (oderint dum metuant)81, rispetto al quale,
secondo Robert Cowan, Lucrezio realizza addirittura una “anti-allu-
sione”82. La logica dell’allusività intertestuale (ed inter-generica) non
deve, però, farci dimenticare che se Lucrezio si cimenta in una simile
-
to politico e morale attribuito alla sententia acciana nella cultura del I
secolo. a.C. Lo fa, cioè, ancora una volta, con l’intento di denunciare
le conseguenze distruttive dell’attaccamento individuale al potere83.
-
dizioni psicologiche che, secondo la diagnosi epicurea, animano la

(ab eodem timore, v. 74): l’invidia, il disprezzo e il desiderio di gloria.

in tenebris
caenoque -
sta notazione, una sottile ironia del poeta, per il quale il soggetto in
questione è veramente immerso nelle tenebre: non, però, in quelle
irrilevanti (e quasi sempre nocive) della reputazione mondana, ma in
quelle oppressive dell’ignoranza, da cui solo Epicuro può liberare84.
Già nel mondo greco l’anatema epicureo contro l’invidia e l’emu-

Nella sua penetrante analisi del Thyestes senecano, Picone 1984 ha messo ben in luce
le profonde implicazioni etico-politiche del mito e della sua riscrittura tragica.
81
Frr.
82
in contemporary Rome,

83
Il motto dell’Atreus ricorre nella produzione di Cicerone dai tempi della pro Sestio
(102) e dell’invettiva in Pisonem (98) sino agli anni delle Philippicae (1.34) e del de
(1.97), sempre come locus classicus in grado di sintetizzare la natura del potere

riferimento al Thyestes
84

Gale 1994, pp. 144-145.


Fabio Tutrone

. Bisogna, tuttavia, aggiungere che quando Epicuro scriveva, il


85

modello competitivo della morale arcaica era già stato oggetto di cir-

tutti il nome di Platone . È più che probabile che, iscrivendo la pro-


pria impresa poetica nel genere didascalico, Lucrezio intenda instau-
rare anche su questo tema una dialettica intertestuale con Esiodo87.
Ma, come al solito, il gusto del cimento letterario è subordinato ad
un preciso obiettivo etico-cognitivo, ossia alla persuasione del lettore
romano. Per questo scopo la censura dell’invidia e dell’aspirazione
alla fama prende la forma di uno scenario familiare all’immaginazio-
ne culturale del destinatario: colui che attira su di sé gli sguardi di
tutti è il cittadino insignito di una carica illustre (claro honore
e il suo incedere, per l’uso stesso del verbo incedo, richiama molto da
vicino il passo militare del trionfo, o l’avanzare di un magistrato nei
luoghi-simbolo del cerimoniale pubblico88.
Nella chiusa della nostra sezione – prima, cioè, di passare a de-
scrivere il paradossale sbocco della paura della morte in un istinto

85
op.

emulativo tra poeti, nella conclusione di un brano tutt’altro che privo di ambiguità
linguistiche e concettuali: si veda ora Hardie 2012, pp. 55-57.

Stones 2010, pp. 43-45.


87

harmful but avoidable, and, whereas Hesiod sees envy of one’s neighbour as a stimulus

88
Sulla pregnanza simbolica di cerimonie pubbliche quali il triumphus, l’ovatio e la
contio
performance di simili procedure rituali era essenziale nell’ottica di una cultura che

potere. Prima ancora che nei quadri retorici del de rerum natura, peraltro, la pratica

their power and prestige, but these were clearly dependent upon the consent and
approbation of the people. […] The tension between the power of an individual and
the sovereignty of the people, as well as between the glory of Rome and the renown
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

critica al desiderio di gloria. Al v. 78 il tentativo di alcuni di guada-


gnarsi una statua e un nomen contrasta visibilmente con l’esito auto-
distruttivo enfatizzato dalla posizione incipitaria di intereunt. Nell’u-

la materia atomica in perenne trasformazione, annichilire se stessi a


vantaggio di un oggetto inanimato, o di un ricordo perituro, è supre-

Kenney, ha ravvisato in questa frase l’impronta di un Giovenale ante


litteram89. Ma è forse più interessante osservare come entrambi i poeti,
sia pure a distanza di più di un secolo e da prospettive ideologiche

certamen virtutis et ambitio gloriae90.


A questo paradigma tradizionale, ai suoi simboli e ai suoi riti,
Lucrezio contrappone un sistema di relazioni e di valori alternativo.
Alternativo non perché relegato in uno spazio di totale estraneità o

teso a cambiare radicalmente l’ordine delle priorità morali e le chiavi


di lettura degli eventi91 -
mentata dall’obbedienza alla parola di Epicuro, il Giardino propone
un modello di vita relazionale caratterizzato dallo scambio circolare e
92
. Questo, almeno, è il modo in cui la comu-

89

Epicuro relegava statue e ghirlande al rango di piaceri innaturali e non necessari (cfr.

Benché Kenney non espliciti alcun riferimento all’opera di Giovenale, è facile


dedurre che egli pensi a passi come sat.

90
ann. bellum
Catilinae (9.2).
91
A riguardo, ha certamente ragione Asmis 2004, p.135, nel reagire alla vulgata

le turbolenze della società antica: “while opposing traditional values, Epicureanism


does not remove the individual from the rest of society. It keeps a person integrated
in the daily routine of ordinary life while shifting his or her aims away from those
of the rest of society”.
92
Fabio Tutrone

del più anacronistico “scuola”, come suggerito da Diskin Clay – rap-


presenta se stessa sia in Grecia che a Roma93. Al secolo di Lucrezio,
-

Nel trattato Sulla franchezza nell’ammonire 94


, il cui
nucleo di base sono le lezioni ateniesi di Zenone Sidonio, Filodemo
rivendica la centralità del rapporto fra maestro e allievo quale unica
strada possibile verso l’attingimento della saggezza – strada qua e là
costellata di incomprensioni e severi richiami – e rimarca il dovere di

. Gli stessi ruoli di ammonitore ed ammonito,


95

-
li ad un singolo individuo. Tutti debbono, a seconda delle circostan-

gruppo (cfr. Glad 1995, pp. 137-138). In de lib. dic. fr. 45.8-11 Olivieri, ribadendo
l’importanza della correzione vicendevole come strumento di crescita interiore,
Filodemo richiama l’attenzione sul fatto che “la cosa più importante in assoluto”

93

formulazione senecana (non schola Epicuri sed contubernium, ep.

94
Preferisco abbandonare il calco italiano (Sulla libertà di parola) della traduzione
latina de libertate dicendi, in accordo con la posizione già assunta, in ambito

On Frank Criticism. Tale scelta consente di segnalare la notevole distanza che separa

95
In de lib. dic.

70
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

così al raggiungimento dell’unico obiettivo veramente rilevante: la


.
Che un simile modello etico-sociale non possa tollerare alcuna
spinta competitiva o rivalità interna è facile dedurlo. Filodemo stes-
so si preoccupa di ribadirlo in un passo della sua opera Sull’ammi-
nistrazione dei beni
fonte di reddito in assoluto sia lo scambio di precetti di saggezza
97
. Nella rappresentazione apologetica
di Filodemo, da una parte si colloca la scelta di chi vive dei pro-

la prassi didattica inaugurata da Epicuro stesso: prassi mirante a


ricevere gratitudine e venerazione in cambio della condivisione di

-
98
. Poche righe

99
. Mentre la res publica declinava verso

de lib dic.

2001, pp. 372-373) a evidenziare la coesistenza di simmetria e asimmetria,


verticalità e circolarità, nel modello psicagogico epicureo. Sull’impossibilità di
individuare ruoli rigidi e asimmetrie precostituite nella comune ricerca della

97
de oec.
genera vitae può essere accostata a quella che Diogene Laerzio, vit.
Usener) attribuisce ad Epicuro. Per una discussione dettagliata dell’argomento

98

aspetto – cui sono stato reso sensibile dal magistero di Giusto Picone – mi
occupo in Tutrone 2017.
99

71
Fabio Tutrone

-
va100, Lucrezio non era il solo a guardare con distanza la contentio
del Foro e delle schiere in battaglia.
Proprio all’inizio del III libro, l’ideale epicureo del rapporto fra ma-

il linguaggio dell’epica didascalica. Elogiando l’eroico Epicuro che ha


disvelato le leggi dell’universo101
-

O tu che per primo (primus) sapesti innalzare una fiaccola chiara


fra tenebre immense, illuminando i mezzi propizi alla vita,
te io seguo (te sequor), gloria del popolo greco, e nell’orma che i passi
tuoi hanno impresso pongo ora i miei passi (ficta pedum pono pressis
vestigia signis),
non per la brama di entrare in contesa (certandi cupidus), 5
ma perché voglio imitarti (quod te imitari aveo) spinto da un senso
d’amore.
Che gara potrebbe mai fare (Quid enim contendat) coi cigni la rondine?
E come potrebbero i piccoli capri sulle gambe tremanti
eguagliare la corsa del forte cavallo? (Lucr. 3.1-8).
L’aggettivo cupidus, al v. 5, denuncia chiaramente la negatività
dell’impulso al certamen. Tale impulso rientra fra i desideri nocivi che la
terapia epicurea vuole estirpare, fra quelle cupiditates insatiabiles, cioè,
che il Torquato del ciceroniano addita come origine dell’in-
felicità individuale, dei fallimenti relazionali e del disordine socio-po-
litico102. Tanto più fuori luogo sarebbe, ovviamente, la cupido certandi
all’interno del circolo di reciprocità che unisce il maestro al discepolo.

100
Sulla problematica della vita contemplativa e la sua rilevanza nella cultura

più recente si veda il volume di Bénatouil-Bonazzi 2012.


101

con l’immaginario politico ellenistico-romano, si veda Buchheit 1971. Sul culto religioso
che gli epicurei tributavano al loro fondatore, senza per questo contraddire la teologia

102
Cfr. 1.43-44: “sono insaziabili quei desideri (cupiditates) che sconvolgono non
solo i singoli individui (singulos homines), ma intere famiglie (universas familias), e
conducono alla rovina tutta la struttura dello stato (totam rem publicam). Dai desideri
nascono gli odi, le divisioni, le discordie, le sedizioni e le guerre (odia, discidia, discordiae,
seditiones, bella). Queste passioni non si proiettano solo all’esterno (nec eae se foris solum

72
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

Epicuro – ci viene detto subito dopo – non è solo un maestro di


saggezza, ma addirittura un padre, e i suoi insegnamenti sono diretti-
ve paterne (patria praecepta)103. Alle orecchie del lettore romano, l’invi-
to a riconoscere in Epicuro i tratti del pater suonava ipso facto come un
invito a cimentarsi nella pratica tradizionale dell’imitatio aemulatio.
E, a ben guardare, né Lucrezio né la tradizione epicurea disattendono
in toto le aspettative del lettore antico, semmai le correggono e le rio-
rientano. Se già la prima generazione di seguaci del Giardino aveva
dato inizio alla prassi religiosa dell’imitatio Epicuri (prassi continuata
nell’impero di Roma da Diogene di Enoanda)104, Lucrezio non ha re-
more a dichiarare il proprio desiderio di imitazione (te imitari aveo, v.
amor (prop-
ter amorem -

attestata anche in Filodemo105, dall’altra essa anticipa coerentemente

Anche in questo caso, in ultima analisi, il poeta intercetta l’immagi-


nazione culturale del suo pubblico, ma ne ristruttura accortamente i

maestro, cui il lettore a sua volta è esortato a conformarsi, persiste


l’imitatio ma scompare l’aemulatio, assimilata all’inutile contesa fra

iactant), né si limitano ad aggredire gli altri con uno slancio cieco, ma, chiuse dentro
(inter se dissident atque discordant), ragion per
cui è inevitabile che la vita divenga assai amara. Soltanto il sapiente, dopo aver reciso
ed estirpato ogni idea illusoria ed ogni deviazione (amputata circumcisaque inanitate
omni et errore), può vivere privo di angoscia e di timore (sine aegritudine et sine metu),
appagato dai limiti della natura ( )”.
103

formatasi sull’onda del disagio sociale del IV secolo, si veda Frischer 1982, pp. 203-
208. Una diversa formulazione del problema è ora in Gordon 2012, pp. 97-100. In
rhet.

Ermarco. Cfr., a riguardo, Sedley 1989, pp. 103-117.


104
Sull’imitatio Epicuri all’interno del Kepos e sulle conseguenze stilistico-letterarie di
questa tendenza, dai tempi di Metrodoro a quelli di Diogene di Enoanda, si veda
Clay 1983. Sull’imitatio praticata da Diogene si legga anche Clay 1978.
105

73
Fabio Tutrone

animali dissimili . In un mondo in cui la rondine non ambisce a su-

consanguinei non sono infranti versando sangue, ma fungono, anzi,


da vettore simbolico per la creazione di nuovi legami. La parabola
della storia civile – Lucrezio lo sa bene – mostra, però, che altre sono
di norma le scelte degli uomini.

3. In lotta per la corona. Tra preistoria e poesia

del V libro del poema, i temi dell’ambizione politica, della compe-


tizione per la fama e della lotta sanguinosa tornano nuovamente al
centro della didassi lucreziana. Della cupido certandi viene ora illu-
strata la prima genesi in una fase ben precisa dell’evoluzione cultu-
rale. Ed è una genesi che Lucrezio collega polemicamente ad alcune
costanti morali e antropologiche, ancora operanti ai tempi dell’autore
107
.

possibile cuocere i cibi, ma l’introduzione di nuove pratiche ed usan-


ze da parte degli individui intellettualmente più capaci (vv. 1105-
1107) pone le basi per la fondazione delle città. Sono i re a promuo-
vere i primi insediamenti urbani come difesa e rifugio per se stessi

Per un’analisi del retroterra letterario delle similitudini animali qui utilizzate

proemio è anche in Konstan 1988.


107
Tutta la Kulturentstehungslehre del V libro, compreso il passo che ora esamineremo
nel dettaglio, vive di un continuo dialogo con i valori e le problematiche della
società romana. Al pubblico del I secolo a.C. Lucrezio intende mostrare il cammino
accidentato della storia umana, privo di qualsiasi direzione provvidenziale o

questa sezione del poema è, come sempre, la parola di Epicuro: parola che libera
dagli errori del passato, e verso cui dunque tutta l’umanità deve tendere. Cfr. Furley
before, when human life was tainted with fear and
greed, then came the teaching of Epicurus, and now we – Lucretius, Memmius,
and all of mankind – have been taught the wisdom (if we will listen to it) that will
enable us to live in peace and purity of mind”. Importanti discussioni d’insieme
degli obiettivi didascalici impliciti nel racconto lucreziano si trovano in Sasso 1979
e Manuwald 1980.

74
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

(praesidium sibi perfugiumque, v. 1109), e sono ancora i re ad attuare la


prima divisione del bestiame e delle terre, utilizzando come criterio

(vv. 1110-1112)108. Molto presto, però, un’altra determinante scoperta


trasforma l’ordine della società: il valore attribuito alla ricchezza (res)
e all’oro (aurum -
-
crezio riconosce nel suo presente (sequuntur, v. 1115) e considera con-
traria all’ideale epicureo del vivere parce aequo animo (vv. 1117-1119). È
a questo punto che entrano in scena il desiderio di fama, la gara per
gli honores invidia. Mentre ancora vige la
monarchia, gli uomini individuano nella gloria e nell’autorevolezza
gli strumenti più adatti a rinsaldare la propria posizione di dominio,

Ma gli uomini vollero essere illustri (claros) ed influenti (potentes), 1120


affinché la loro fortuna poggiasse su solide basi (fondamento stabili)

108

reges del v. 1109 con i “saggi” primitivi menzionati

ep. 90.4-5 (su questa ed altre analoghe

sociale dei re nel resoconto lucreziano può, inoltre, essere collegata all’atteggiamento
globalmente positivo degli epicurei verso la monarchia in quanto istituzione in
grado di assicurare la quiete politica indispensabile alla ricerca dell’atarassia. Se,
nella visione epicurea, essere re non è in sé un bene etico, a causa dell’insieme
di turbamenti che questa condizione comporta inevitabilmente per l’individuo,
tuttavia alcune persone dotate di una particolare disposizione naturale possono
contribuire alla felicità collettiva esercitando in modo virtuoso le prerogative regali.
Il problema è stato variamente dibattuto fra gli studiosi, soprattutto in riferimento
Il buon re secondo Omero, ai suoi precedenti ellenistici e al
suo rapporto col milieu romano: vale la pena di menzionare almeno le disamine

operata da Gigante-Dorandi 1980, e l’attenta analisi di McConnell 2010. Di certo, è


fuori luogo discutere ancora oggi delle preferenze “monarchiche” o “repubblicane”
di Lucrezio (sulla scorta, soprattutto, di Momigliano 1941): da epicureo ortodosso,
il poeta aspira ad una condizione di vita compatibile con la ricerca della saggezza,
e nella sua storia dell’umanità egli non manca di segnalare come, sia al tempo

luce da Epicuro. Cfr. anche Benferhat 2005.

75
Fabio Tutrone

ed essi, già ricchi, potessero avere una vita tranquilla (placidam … vitam):
invano, poiché nella gara (certantes) per giungere al soglio
più alto (ad summum succedere honorem) resero instabile il loro cam-
mino,
e giù dal vertice sommo li getta talvolta nel Tartaro oscuro 1125
l’invidia, simile a un fulmine, in mezzo al disprezzo;
ed è per l’invidia difatti che spesso diventano fumo,
come feriti da folgore, i beni più alti ed ogni possesso
donato dal volere degli altri; sicché è assai meglio obbedire
tranquilli che voler governare d’imperio e reggere regni. 1130
Lascia dunque che essi, prostrati, invano sudino sangue,
scontrandosi in lotta sulla strada (per iter luctantes) ristretta dell’ambizione:
poiché hanno un sapere venuto da bocche di altri, e cercano
i beni secondo quanto hanno udito, non per la loro esperienza
diretta – oggi ciò accade e domani accadrà, non più di ieri (Lucr.
5.1120-1135).
Già in questa remota preistoria – una preistoria delle emozioni,
oltre che delle forme sociali e istituzionali – la fama (claros), il presti-
gio (potentes, v. 1120)109 e il potere su cose e persone (regere imperio res
et regna tenere vo-
luerunt, v. 1120; velle, v. 1130): un desiderio incanalatosi su una strada
erronea, come il lettore ha già appreso nei libri precedenti, ma fon-
fundamento stabili, v. 1121)

109
Il senso dell’aggettivo potens, qui come in altri luoghi lucreziani (ad es. 3.1027, e

verso quella del potere materiale. Si tratta di una sfumatura lessicale chiaramente
rilevabile in molti testi della tarda repubblica (un esempio eloquente è in Cicerone,
Planc. 51, a proposito di Gaio Claudio, la cui autorevolezza non bastò ad evitare
la repulsa
in Cicerone, inv.
materiali, che rendono le città salvae et incolumes, e quello di beni simbolici, come il
decoro estetico e le alleanze, che fanno apparire le stesse città amplae atque potentes).
Questa lettura riceve, peraltro, una conferma dirimente dal confronto con Epicuro,
Kulturgeschichte, e qui

il latino clari atque potentes. È, peraltro, evidente che i capi della comunità umana
fossero già investiti di un potere concreto nel momento storico illustrato: tale potere
era il risultato dell’agiatezza economica (opulenti, v. 1122), assurta ad unico criterio
di selezione della classe dirigente, ma rivelatasi bisognosa di un ulteriore sostegno.
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

placidam vitam, v. 1122). Invece di cercare la risposta


alla lora ansia di sicurezza nella più stretta aderenza ai dettami della
natura – in conformità col precetto rivelato, al culmine della storia,
da Epicuro – gli uomini avviano una corsa ambiziosa agli onori e, per
ciò stesso, sviluppano un’attitudine competitiva. È l’atto di nascita,

-
tà generale si mescolano suadentemente a termini-chiave e dettagli
del paesaggio culturale romano110. I notabili primitivi che gareggiano
(certantes, v. 1124) gli uni contro gli altri tentano di attingere quel sum-
mus honos che, all’epoca di Lucrezio, era prima di tutto il consolato111.
La strada (iter) che essi percorrono, secondo l’insistita metafora del
poeta (vv. 1124 e 1130), si presenta come un riadattamento allusivo
del cursus più familiare al pubblico latino, il cursus honorum. E non
sarà un caso che la prima delle due occorrenze di iter sia contigua al
termine honorem che chiude enfaticamente il v. 1123. A dimostrazione
degli esiti controproducenti e “paradossali” del desiderio di gloria,
Lucrezio abbina al sostantivo iter due aggettivi visibilmente in con-
trasto con la motivazione di partenza: chi cercava sicurezza si ritro-
va intrappolato su un cammino malcerto (in in-festum è vivissimo il
112
, e chi aspi-

110
Anche in questo caso, non posso celare il mio dissenso rispetto alla critica che
McConnell 2012, pp. 112-113, rivolge alle giuste osservazioni di Fowler 1989, p. 144,
e Gale 2009, pp. 3-4. La stessa alternanza di tempi storici e forme del presente nel

preistorica fa costantemente da specchio al mondo del lettore. Estremamente


eloquente è, in proposito, il paragone fra la veste di pelle dell’era primitiva (tunc) e
l’oro e la porpora che, al tempo dell’autore (nunc), contraddistinguono la toga picta
(5.1418-1435). Anche McConnell 2012, p. 113, riconosce che “this direct and forceful
shift of focus to Roman society must be an innovation on Lucretius’ part over his
Epicurean models”.
111
Cfr. Cicerone, agr. 2.2, e il più volte richiamato discorso di Mario in Sallustio, Iug.
85.28. Per altre forme analoghe, come amplissimus honos o maximi honores, si veda

questo e gli altri luoghi lucreziani discussi rimandano, in ragione della loro forma
e del loro contenuto, alla nota descrizione dell’ascesa politica come fatica di Sisifo

112

un’unica, più diretta privazione, sicché anche in questo caso il confronto col maestro

77
Fabio Tutrone

(defessi sanguine sudent, v. 1129) su un palcoscenico ristretto perché


angustum, v. 1130).
C’è, in questo immaginario atletico senz’altro familiare agli spet-
tatori del circo, una rappresentazione degradata della metafora tra-
dizionale della contentio e del certamen113. Ed è chiaro il contrasto col
riuso positivo della stessa metafora fatto da altri intellettuali della
medesima temperie. Più che contro singole personalità, tuttavia, Lu-
crezio intende reagire contro un modello etico-culturale la cui con-
servazione nel lungo periodo è consentita dalla trasmissione preva-
lentemente orale di precetti, exempla, riti e consuetudini: contro quel

chiamano mos maiorum114. In questa luce possiamo leggere lo sferzan-


te attacco alla sicumera di coloro i quali persistono nell’errore per
attaccamento alle opinioni altrui (vv. 1133-1135). Lucrezio è assai pre-
ciso nello stigmatizzare un meccanismo di veicolazione del sapere
che, col linguaggio dell’odierna teoria della comunicazione, potrem-
-
ma di interazione, l’atto linguistico della trasmissione orale (alieno ex
ore, v. 1133) e l’accoglimento del messaggio per il tramite sensoriale
dell’udito (ex auditis, v. 1134). Che si tratti di un tipo di comunicazione
-

contribuisce a evidenziare l’originalità della riscrittura poetica. Sul riadattamento

113
È appena il caso di ricordare che lucto (v. 1130), prima di qualsiasi uso traslato, è il
verbo dei lottatori dell’arena. Nella conclusione del brano, dunque, i certantes del v.
1124 sono ridotti, più prosaicamente, al rango di luctantes.
114
Sulla rappresentazione romana del mos maiorum come codice non scritto,

sottoposto ad una continua negoziazione sociale, si veda Bettini 2000, pp. 251-292.
Richiamando testi eloquenti come Cicerone, part. 130, Servius auctus in Aen.
e Isidoro, etym. 2.10.1-2, Bettini sottolinea che “le testimonianze sulla percezione
culturale che si aveva a Roma del mos tradizionale si presentano molto esplicite
riguardo alla natura orale del costume tradizionale”. La conservazione di tale
exempla ai luoghi
della città, dalle imagines degli antenati alle pratiche ritualizzate”. La consapevole
decostruzione del paradigma del mos maiorum da parte di Lucrezio è discussa da
Minyard 1985, pp. 33-79.

78
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

portamento degli attori coinvolti, lo dimostra l’impiego del binomio


sapiunt petuntque (v. 1133): la conoscenza della tradizione orale-aurale
si trasforma istantaneamente in un desiderio attivo, in una tensione
verso le res. È lo stesso Sallustio, d’altronde, a presentare la pratica
virtuosa della contentio con i maiores come un’eredità memoriale rice-
vuta attraverso l’ascolto115.
Ad un uso tanto fallace di occhi e orecchie, ad una così depistante
sapientia pragmatica, Lucrezio contrappone l’osservazione metodica
dei dati ricavabili attraverso l’esperienza sensoriale (sensibus ipsis, v.
1134). È noto che l’epicureismo professi una fede granitica nella “ve-
, ed è noto che
tutto il de rerum natura
capacità di osservazione ed analisi induttiva117. In fondo, nella pro-
spettiva di Lucrezio e del Giardino, il merito fondamentale di Epicuro
non è quello di avere aggiunto un’altra dottrina, più completa o più
esatta, al lungo elenco di saperi tramandati dagli uomini. L’operazio-

faccia a faccia con la realtà dei fatti di natura, esperibili da ciascuno


per mezzo dei sensi e dunque esistenti a monte della storia. Non er-
rava del tutto Cicerone quando, con vibrante polemica, denunciava il
silenzio della storia fra le mura del Giardino118.

115
Iug. 4.5: nam saepe ego audivi.
La teoria epicurea sulla percezione e la conoscenza è stata recentemente ripresa
in esame da Hahmann 2015, il quale compara utilmente la posizione di Epicuro

si veda Asmis 1984. Un’incisiva rassegna è pure in Asmis 1999.


117

alla costruzione degli argomenti analogici, si veda Schiesaro 1990 e Garani 2007.
118
in vestris disputationibus historia muta est. Cfr. Romano 1990, pp. 7-8. Cicerone
opponeva all’historia muta degli epicurei gli annalium monumenta della tradizione
romana, denunciando l’impossibilità, per i discepoli di Epicuro, di invocare a
propria difesa la testimonianza di uomini illustri (clari viri

epicurea, incentrata sull’esemplarità morale di Epicuro e dei primi scolarchi, cui

1987, pp. 45-49). Il paradosso apparente per cui, in Lucrezio, l’unica novità storica

nuova della natura, è discusso con attenzione in Romano 2008.

79
Fabio Tutrone

Buona parte del nostro brano si spiega facilmente alla luce di


quanto notato a proposito del proemio II e del “syllabus” del III libro.

duplice anastrofe di invidia


Munro nella sua meritoria restituzione dell’ordine originario dei ver-
si (vv. 1127-1132). Al tema dell’invidia si unisce di nuovo saldamente
quello del disprezzo (contemptim -
re la pregnanza dei vv. 1129-1130, oggetto di un’ambigua allusione
virgiliana119
memorie regie (regna tenere) e categorie politiche repubblicane (im-
perio)120. La stessa caratterizzazione dell’impegno nella vita pubblica
come fatica sanguinosa (sanguine, v. 1129) non può non richiamare

di sanguis civilis.
La conclusione del passo potrebbe forse indurre a postulare un
sotterraneo “pessimismo” dell’autore circa la possibilità di contra-
stare la tradizione del mos maiorum. Già col suo invito al lettore a
tollerare la stolta ambizione dei più (sine, v. 1129), Lucrezio sembra
-
sizione di superiorità contemplativa analoga a quella del proemio II.

asserzioni sulla perennità del male rintracciabili nella letteratura la-

119
Aen.
120
La presenza di riferimenti espliciti alla potestà regale è dovuta, in prima istanza, al
regere imperio res
si adatta perfettamente a descrivere l’esercizio del potere da parte di un monarca,
ma al pubblico latino non poteva sfuggire la connessione fra il summus honos del v.
1123 e il desiderio di imperium: nella Roma repubblicana, l’imperium che era stato dei
primi reges era detenuto dai consoli, e l’honos che questi ricevevano era considerato
summus anche in ragione di ciò. Gli studiosi hanno da tempo rilevato come tutta
l’impostazione diacronica della Kulturgeschichte
memoria dell’esperienza romana: mentre Ermarco e Colote (cfr. supra n. 25) fanno
seguire la stipula del contratto sociale e l’intervento dei primi legislatori ad una
prima fase di anarchia, Lucrezio disegna una parabola fatta di tre (Fowler 1989,
pp. 141-145) o quattro stadi (Schiesaro 2007, p. 44), in cui l’avvento di leggi e

Anche considerando la “compressione” cui i racconti di Ermarco e Colote possono

ragguardevole che attiene alla periodizzazione e ai criteri esplicativi.

80
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

tina121, la sententia
del futuro prossimo (mox). Nel breve periodo – sembra suggerire il
poeta – il certamen dell’ambizione, sostenuto dalla trasmissione col-
lettiva di modelli erronei, continuerà a imperversare, e ai saggi non
resterà che commiserare l’infelicità di molti. Ma nulla esclude che
in un futuro più lontano, quando il verbo di Epicuro sarà penetrato
in profondità, gli uomini potranno sperimentare l’età dell’oro pro-
fetizzata da Diogene di Enoanda122 e rievocata da Lucrezio stesso123.
Diogene, come Lucrezio, sottolinea che in quel tempo beato la vita

quest’ultimo valore ci trasporta palesemente agli antipodi della so-


cietà competitiva biasimata da Lucrezio.
-
lemica morale, potremmo ritenerci giunti alla conclusione del nostro
percorso. In tema di competizione e modelli etici, l’organicità della
posizione di Lucrezio rispetto al portato del pensiero epicureo è fuori
discussione. Della tradizione del Kepos il poeta latino attua una lucida
ricezione, cogliendo l’attualità del messaggio di Epicuro fra le trasfor-
mazioni della res publica, e riscrivendo il vangelo del maestro attraver-
so i codici simbolici, il lessico e l’immaginario della cultura romana.
Eppure, sin dal I libro, il lettore comprende che c’è qualcosa di più.

121
Bailey 1947, III, p. 1503, considera il v. 1235 “a proverbial ring” e rinvia per un
Amph. 553. La scoraggiata osservazione secondo cui domani
gli esseri umani non saranno migliori di oggi e di ieri ha certamente un sapore

Lucrezio vi faccia ricorso. Al contempo, è bene ricordare che simili adagi proverbiali

ben. 1.10.3-4, ad esempio, potrebbe

altra natura, saldamente radicata nel sistema stoico. Sull’argomento si veda ora

122

leggano i commenti di Smith 1974, pp. 21-25, e Long 1985, pp. 314-315,
123

comportamento degli individui, Lucrezio si professa notoriamente ottimista circa la


possibilità che gli uomini vivano una vita degna degli dei (dignam dis degere vitam,
v. 322) grazie all’azione riformatrice della ratio.

81
Fabio Tutrone

Nella storia dell’umanità che abbiamo appena lasciato, Lucrezio di-

viene annientata con un trasporto emotivo che richiama da vicino la


brama di chi l’aveva agognata (cupide, v. 1140) e il timore eccessivo cui
era stata associata (nimis ante metutum, v. 1140). Il distacco denigratorio
con cui il poeta epicureo guarda alla scena è del tutto in linea col rela-
tivismo politico della sua scuola. Se prestiamo fede a Plutarco, infatti,
gli epicurei sono “coloro i quali considerano la corona dell’atarassia

. È altrettanto vero, però, che nel I libro del de rerum natura


124

il destinatario didascalico ha già incontrato un’altra corona. E a questo

Mi piace accostarmi a fonti illibate ed attingervi acqua,


e mi piace raccogliere fiori novelli e così bramare
per il mio capo un’insigne corona (insignemque meo capiti petere inde
coronam)
che mai alle tempie di un uomo posero prima le Muse (Lucr. 1.927-930).

lo scenario agonistico che tutta la cosiddetta “apologia” lucreziana


sottende125. Il primato che il poeta desidera per sé – insistentemen-
te richiamato dalle immagini alessandrine della strada mai battuta

corona vistosa e inusitata (insignem, v. 929) – presuppone un con-


fronto con altre esperienze letterarie: con altri scrittori che Lucrezio
pretende di aver superato nel più classico dei certamina. Gli interpre-
ti del pensiero epicureo hanno ormai fatto giustizia dell’antico pre-

124
Plutarco, adv. Col. 1125c. Poco dopo leggiamo anche una citazione da Metrodoro

125

rimando a Tutrone 2017.

su questo ed altri passi lucreziani si vedano i lavori di Brown 1982 e Donohue 1993.

82
Non ita certandi cupidus (Lucr. 3.5)

giudizio secondo cui il Giardino avrebbe escluso la pratica poetica


in modo categorico e inappellabile. Come nel caso già menzionato
dell’impegno politico, il “fuoco” del discorso epicureo sembra ver-
tere piuttosto sulla necessità di discernere le circostanze, gli obiettivi
e le conseguenze concrete nella vita di ciascun individuo127. Tutta-
via, se ci spostiamo nell’area più ristretta della logica “intratestuale”
– se, cioè, ci poniamo nella prospettiva del lettore-allievo di Lucre-

civile combattuta per ansia di sicurezza è condannata senza mezzi


termini dal poeta latino, la contesa per la laus letteraria è ampiamente
legittimata128
scelta della poesia come mezzo innovativo per la didattica epicurea.
Nel brano sopra menzionato del trattato Sull’amministrazione dei beni,
Filodemo dichiara che il contraccambio atteso dal maestro epicureo
per il dono dei precetti di saggezza è un combinato di gratitudine e
129
. Il tema
appare di centrale importanza per tutta la visione epicurea della re-
-
nicazione interpersonale130

127
Una svolta decisiva in questo ambito di studi è stata segnata dai contributi raccolti
in Obbink 1995. Varrà la pena di citare almeno le notazioni “iconoclaste” formulate

concerning poetry and education in Epicurus bear the same relation to an Epicurean
edict against the writing of poetry as the sentence concerning Onan in Genesis
38.9 bears to the prohibition against birth control. And both Epicurus’ precept and

liked to say in his work On Lifecourses), poetry might serve not only as a source of

128

da una laudis spes magna (1.923).


129
de oec. col. 23.27-29. Cfr. supra nn. 97-98.
130

in rilievo da Indelli-Tsouna McKirahan 1995, pp. 198-199, nella loro edizione


del PHerc 1251, un tempo ricordato con l’appellativo di Etica Comparetti ed ora

of a community, and in particular between the sage and his fellow-men. […]
The mutual care which the Epicureans show for each other nurtures in them

83
Fabio Tutrone

modello di Epicuro, un ampio trattato Sulla gratitudine


in cui molto spazio è dedicato alla risposta dell’allievo dinanzi al be-
131
. Se riportiamo tali dinamiche
di reciprocità alle più vaste dimensioni della comunicazione lettera-
ria lucreziana, è inevitabile che i sentimenti della gratitudine e del-
la venerazione diano luogo al prestigio del poeta. Dietro Memmio,
una vasta platea di lettori è chiamata a ricambiare col proprio devo-

fondamentale (primum quod, 1.931) per cui egli aspira alla corona è
l’eccezionalità della materia trattata, in grado di liberare l’animo del
destinatario dalle strette catene della religio132. Al dono dell’arricchi-
mento spirituale, impreziosito dallo splendore della poesia, sarebbe

-
che quando fuori dal cerchio del dono – nell’aiuola che rende l’uomo
feroce – trionfa una ridda di desideri distruttivi.

of Epicurean friendship”.
131
Secondo Diogene Laerzio, vit. 10.27-28, e Sesto Empirico, adv. math. 1.49 (= fr. 22 Usener),
Epicuro compose un’opera Sui doni e la gratitudine
PHerc 1414) si colloca evidentemente

edizione del trattato (ampio e importante alla luce dei dati sticometrici), Filodemo pone

particolarmente interessante notare, con la Tepedino, che Filodemo (col. 1.3-12) condanna

132
1.931-934. Solo secondariamente (deinde quod, v. 933) viene evocata la grazia poetica

laudis spes need not amount to an un-Epicurean


desire for fame. […] The source of the laus is to be Memmius (or the reader more
generally); and praise for the poetry will mean that the patient has swallowed the
medicine along with the honey. The poet hopes to convert the reader (who will
then praise him), and this hope inspires him with love of the Muses, which in turn
enables him to write on such a novel theme”.

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310
Parte del ricavato della vendita del volume sarà destinato alla cre-
azione di un premio per la miglior tesi di laurea in Letteratura latina
che venga discussa, nell’arco del triennio 2017-2019, in uno dei corsi
di studio in cui il professor Picone ha insegnato.

Visita il nostro catalogo:

Finito di stampare nel mese di


Settembre 2017
Presso la ditta Fotograph s.r.l - Palermo
Editing e typesetting: Edity Società Cooperativa per conto di NDF

Illustrazione copertina: Roberto Speziale

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